Sionismo e studi africani globali

Samar Al-Bulushi, Peter James Hudson, Zachary Mondesire, Corinna Mullin, Jemima PierreI

21 luglio 2019, Africa is a Country

Il 27 e 28 giugno di quest’anno, abbiamo partecipato a una conferenza dal titolo “Razzializzazione e Dimensione Pubblica in Africa e nella Diaspora Africana”, ospitata dal Centro Studi Africani dell’Università di Oxford e dalla sua Scuola di Studi Globali e di Area. La conferenza si è tenuta per “affrontare il problema contemporaneo della razzializzazione in Africa e nella diaspora africana”. Gli organizzatori intendevano analizzare come “le persone di origine africana vengano razzializzate … [e] perché e come in Africa e nella diaspora africana le identità e le categorie razziali siano costruite, immaginate e inscritte all’interno di processi, pratiche e rapporti sociali, politici ed economici.”

In realtà, una conferenza accademica internazionale sull’Africa Globale è stata cooptata in un progetto teso a legittimare lo Stato israeliano [fondato] sugli insediamenti coloniali e l’apartheid e a operare un “black-wash” [ripulita attraverso la matrice nera, n.d.tr.] delle sue politiche e pratiche razziste. In quanto tale, e alla luce dei continui tentativi di Israele di normalizzare le sue relazioni con gli Stati africani in coordinamento con l’imperialismo USA, ingraziandosi alle comunità della diaspora africana, vogliamo dare un monito ai futuri organizzatori della conferenza Black Studies e African Studies, i quali potrebbero avere a che fare con simili tattiche da parte delle organizzazioni sioniste.

Nell’invito originale, gli organizzatori della conferenza hanno usato i linguaggi dell’antirazzismo, anticolonialismo, panafricanismo e intersezionalità. Hanno invocato l’omicidio di Trayvon Martin e la detenzione illegale da parte del Regno Unito e le deportazioni di membri della generazione Windrush [bambini importati dai Caraibi in Gran Bretagna nel 1948, n.d.tr.], e hanno fatto riferimento al lavoro di intellettuali neri radicali tra cui W.E.B. Du Bois e Frantz Fanon. I 12 seminari della conferenza dovevano essere introdotti da linee guida dell’antropologa Faye V. Harrison e del filosofo Achille Mbembe (Mbembe non ha potuto partecipare).

Dei 12 seminari, due erano elencati sotto un solo titolo (con una Prima Parte e una Seconda Parte): “Nozioni di Diaspora e Patria: l’Impatto dell’Emergenza Contemporanea del (dei) Razzismo (Razzismi), Antisemitismo (Antisemitismi), Nazionalismo (Nazionalismi) e Supremazia Bianca nell’Era della Globalizzazione.” A prima vista, il titolo generale appariva innocuo. Sembrava correttamente accademico, anche se leggermente obsoleto, e sembrava rientrare nei temi espliciti della conferenza. Tuttavia, uno sguardo più attento alla composizione dei seminari ha rivelato alcune cose sorprendenti.

Entrambi i dibattiti erano organizzati da un gruppo chiamato Institute for the Study of Global Antisemitism and Policy (ISGAP) – un’associazione di parte, non un’istituzione accademica. È stato fondato da Charles Asher Small, un canadese senza un definito ruolo accademico che ha conseguito una laurea presso il St. Anthony’s College a Oxford. In un’intervista del 2019, Small ha descritto l’ISGAP come “un movimento di base intellettuale all’interno dell’università” i cui obiettivi principali includono la lotta al movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS), un movimento che Small ha identificato come anti-semita. L’ISGAP lavora “conducendo ricerche strategiche e fornendo informazioni” al fine di “influire sulle future generazioni di politici, studiosi e leader di comunità”.

Mentre altre organizzazioni sioniste hanno usato strumenti giuridici e ostracismo per smorzare la solidarietà verso i Palestinesi nei campus universitari, la strategia adottata dall’ISGAP sembra essere leggermente diversa. Da un lato, il suo approccio è di infiltrarsi negli ambiti studenteschi e di appropriarsi del linguaggio accademico. Dall’altro, mira a incitare al dissenso e al conflitto all’interno dei circoli accademici ai fini dell’auto-promozione e della propaganda, usando la bandiera del “libertà di parola accademica” come randello contro la critica.

I partecipanti dell’ISGAP alla conferenza di Oxford costituivano una strana compagine. Tra di loro c’erano un membro del partito Likud alla Knesset, uno psicologo clinico e un componente del consiglio dell’ISGAP che non aveva mai scritto niente sull’Africa, un antropologo del Grinnell College interessato alla “doppia coscienza” [concetto che si riferisce ai gruppi marginalizzati in una società oppressiva, n.d.tr.] e alla diversità israeliana, uno scienziato politico dell’università di Tel Aviv, nonché lo stesso Charles Small. Molti dei relatori dei due seminari dell’ISGAP provenivano dagli Historically Black Colleges and Universities (HBCUs) [College e Università Storicamente Neri, n.d.tr.] negli Stati Uniti. Tra questi c’erano Harold V. Bennett del Morehouse, Valerie Ann Johnson del Bennett College, Carlton Long, un consulente educativo un tempo del Morehouse, e Ansel Brown della North Carolina Central University. Brown ha utilizzato tutto il tempo assegnatogli per il primo dibattito dell’ISGAP per una presentazione di cinquanta minuti intitolata “Sionismo e Pan-Africanismo: Un Viaggio Comune per la Riconquista dell’Auto-Realizzazione Etnica”.

La connessione coll’ HBCU è importante. Negli ultimi anni, l’American Israel Public Affairs Committee [Commissione per gli Affari Pubblici Israeliani (AIPAC), principale gruppo lobbystico filoisraeliano negli U.S.A., n.d.tr.], di destra, ha fatto proselitismo nei college neri, puntando su studenti e docenti interessati alla politica internazionale. L’AIPAC ha sponsorizzato un viaggio a Washington DC per incontrare i politici che sono sostenitori di Israele e ha fornito viaggi completamente gratuiti in Israele. Il suo obiettivo è coltivare la simpatia per il sionismo mettendo nel frattempo in conflitto le lotte di liberazione dei neri e quelle dei Palestinesi.

Anche prima dell’inizio dei seminari dell’ISGAP, molti partecipanti alla conferenza hanno espresso preoccupazione per la loro inclusione nel programma. Erano turbati dalle asserite connessioni tra Israele, uno Stato fondato sulla pulizia etnica e sulla disumanizzazione ed espropriazione della popolazione palestinese autoctona, e le vicende radicali del Pan-Africanismo. Ed erano sorpresi e preoccupati per la preminenza data a questo tipo di visione dagli organizzatori della conferenza. Molti partecipanti alla conferenza hanno discusso del modo in cui i seminari sponsorizzati dall’ISGAP sembravano progettati per infiltrarsi ed interferire con il programma, rispecchiando ciò che si era visto in precedenti conferenze, specialmente quando si trattava di questioni relative al BDS.

Di conseguenza, i partecipanti alla conferenza hanno richiesto un dibattito pubblico con gli organizzatori al fine di discutere la relazione dell’ Oxford African Studies Centre con l’ISGAP. Ma le nostre domande e preoccupazioni sono state travisate, e in alcuni casi accolte con sprezzante ilarità, e siamo stati francamente sorpresi dalla riluttanza a sostenere una discussione aperta. Nel frattempo, alcuni partecipanti affiliati all’ISGAP hanno tentato di affossare le nostre richieste di chiarimento sostenendo che le nostre preoccupazioni incoraggiavano l’antisemitismo, il razzismo e, ironicamente, negavano la “libertà di espressione”.

Il secondo giorno della conferenza, diversi relatori hanno rinunciato al tempo a loro dedicato per l’intervento, dandoci l’opportunità di incontrarci per discutere delle nostre preoccupazioni. La maggioranza dei partecipanti alla conferenza ha preso parte alla riunione, durante la quale ha espresso soddisfazione per il fatto di essere stati in grado di riunirci come collettivo, soprattutto perché gli ambienti accademici spesso incoraggiano l’isolamento, l’atomizzazione e l’alienazione. Abbiamo redatto collettivamente una dichiarazione in cui ci dissociavamo dall’ ISGAP e abbiamo chiesto al Centro Studi Africani di Oxford di pubblicare la nostra dichiarazione sul loro sito web. Il Centro ha rifiutato di farlo. La direzione del Centro ha, invece, rilasciato una propria dichiarazione, negando qualsiasi connessione con l’ISGAP affermando nel contempo il proprio impegno a favore del libero scambio intellettuale.

Crediamo fermamente che parte della risposta del Centro Studi Africani avesse lo scopo di ovviare al fatto che così tanti partecipanti alla conferenza fossero infastiditi dalla presenza preminente dell’ISGAP. A tal fine, alcuni organizzatori della conferenza hanno persino insinuato che un eminente studioso di sesso maschile di alto livello avesse guidato questa protesta.

Non è stato affatto così. In realtà, nonostante gli sforzi degli organizzatori, come gruppo abbiamo spontaneamente preso il controllo della conferenza e l’abbiamo trasformata in un forum collettivo, auto-organizzato e multi-generazionale per l’educazione politica, imparando e facendo noi tutti nuove valutazioni e interventi in risposta all’opposizione da parte dell’African Studies Center e delle affiliate ISGAP. La nostra risposta scritta collettivamente è stata pubblicata sul sito web della Fondazione Frantz Fanon il 4 luglio 2019.

A dire il vero, c’era una certa ansia manifestata riguardo alla dichiarazione collettiva. Alcuni partecipanti erano preoccupati che se avessimo reso pubbliche le nostre obiezioni, avremmo coinvolto l’Oxford African Studies Centre, che avrebbe avuto gravi conseguenze sui tentativi di imprimere dei cambiamenti nell’università. In effetti, Charles Small dell’ISGAP, seduto tra il pubblico a seguire le nostre discussioni, ha suggerito di non fare nulla che potesse mettere a repentaglio la posizione del direttore del Centro (il primo docente nero della cattedra Rhodes di Oxford), che ha descritto come un vecchio amico.

Eravamo preoccupati della possibile reazione da parte di Oxford e altrove per quegli studenti laureati e per i docenti precari che volevano appoggiarci. Un certo numero di docenti senior era preoccupato per le rappresaglie e uno studioso, che all’ultimo minuto ha chiesto che il suo nome venisse rimosso dalla dichiarazione, ci ha invitati a “riconoscere l’atmosfera di intimidazione e paura alimentata durante questa vicenda”.

Ma alla fine, tra i firmatari (e tra i molti che hanno espresso sostegno, ma hanno ritenuto di non poter firmare), c’era la sensazione che non potessimo lasciare che lo studio sull’Africa Globale fosse ostaggio dei sionisti. Inoltre, non abbiamo potuto accettare la diffamazione e la profanazione della storia del pan-Africanismo da parte di finti accademici e agenti di uno Stato razzista e colonialista.

L’infiltrazione della conferenza da parte dell’ISGAP è stata poco più che una continuazione del razzismo sionista, rivestito della raffinatezza del linguaggio accademico e, in particolare, con gli abiti eleganti di Oxford. Ma dovremmo sottolinearne l’importanza e capire che tali infiltrazioni accadranno di nuovo.

Se vogliamo mantenere l’integrità politica e intellettuale dello studio dell’Africa Globale, dobbiamo diffidare in futuro di tali infiltrazioni – e, per combatterle, dobbiamo continuare a rafforzare e rinnovare, in tutto il mondo, le connessioni tra le lotte contro il neocolonialismo, il capitalismo basato sulla razza e l’imperialismo.

Traduzione: Aldo Lotta