Il congelamento dei finanziamenti potrebbe fermare le operazioni dell’UNRWA entro la fine del mese

Maureen Clare Murphy

Diritti e responsabilità

3 febbraio 2024 – The Electronic Intifada

Secondo il direttore dell’Agenzia Philippe Lazzarini se i finanziamenti non verranno ripristinati l’UNRWA sarà costretta a sospendere le operazioni già entro la fine del mese.

I Paesi donatori, tra cui gli Stati Uniti, il suo principale finanziatore, hanno sospeso gli aiuti per un valore di 440 milioni di dollari dopo che Israele ha sollevato accuse non verificate secondo cui alcuni dipendenti dellUNRWA a Gaza avrebbero partecipato agli attacchi del 7 ottobre guidati da Hamas.

Mercoledì Martin Griffiths, responsabile per gli aiuti umanitari dell’ONU, ha dichiarato al Consiglio di Sicurezza che la risposta umanitaria dellorganismo mondiale in Cisgiordania e Gaza dipende dal presupposto che lUNRWA sia adeguatamente finanziata e operativa” e ha chiesto che le decisioni di trattenere i fondi” vengano revocate.

Questa settimana tre organizzazioni palestinesi per i diritti umani – Al-Haq, Al Mezan e il Centro Palestinese per i Diritti Umani – hanno condannato il congelamento dei finanziamenti allUNRWA, affermando che ciò “equivale a un atto di punizione collettiva contro 5,9 milioni di rifugiati palestinesi registrati” presso lagenzia.

Anche Josep Borrell, rappresentante dellUnione Europea per gli affari esteri, si è espresso contro quella che ha descritto come una punizione collettiva” del popolo palestinese. Ha detto che il collasso dellagenzia causerebbe la morte di centinaia di migliaia di persone”.

Questa settimana Petra De Sutter, vice prima ministra del Belgio, ha descritto lUNRWA come insostituibile nel compito di fornire aiuti umanitari urgenti e cruciali a Gaza”. Un giorno prima che lei facesse quel commento, Israele aveva bombardato gli uffici di Gaza dellagenzia umanitaria belga.

Le organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno avvertito che la sospensione dei fondi, con conseguente cessazione degli aiuti umanitari a Gaza, potrebbe costituire complicità nel genocidio”. Ciò varrebbe soprattutto per gli Stati Uniti e la Germania, due dei principali Paesi donatori.

L’Istituto Lemkin per la Prevenzione del Genocidio ha affermato che la decisione di sospendere i finanziamenti rappresenta un passaggio da parte di diversi paesi da una potenziale complicità nel genocidio a un coinvolgimento diretto in una carestia pianificata”.

Listituto ha aggiunto che si tratta di un attacco a ciò che resta della sicurezza personale, libertà, salute e dignità in Palestina”.

Giovedì l‘UNRWA ha affermato che lagenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi è il più grande fornitore di aiuti umanitari a Gaza, dove la stragrande maggioranza della popolazione dipende da essa per la propria sopravvivenza”.

Prima delle agenzie delle Nazioni Unite ad essere istituita, lUNRWA fornisce servizi pubblici a circa sei milioni di rifugiati palestinesi nella Striscia di Gaza occupata e in Cisgiordania, nonché in Libano, Siria e Giordania.

Due terzi dei 2,3 milioni di abitanti di Gaza sono rifugiati registrati presso lUNRWA. Delle circa 27.000 persone uccise a Gaza dal 7 ottobre più di 150 erano membri del personale dellUNRWA mentre più di 140 strutture dellagenzia sono state danneggiate o distrutte, compreso il quartier generale di Gaza City.

Centinaia di migliaia di sfollati si trovano nelle strutture dell’UNRWA in tutta Gaza. Più di 350 sfollati sono stati uccisi e 1.255 feriti negli attacchi contro le strutture delle Nazioni Unite.

Intento criminale”

Lagenzia, che fa affidamento sui finanziamenti volontari degli Stati membri delle Nazioni Unite, negli ultimi anni ha visto diminuire i contributi mentre le necessità dei suoi servizi non hanno fatto altro che aumentare. L’estate scorsa il segretario generale delle Nazioni Unite ha avvertito che lUNRWA si trovava sullorlo del collasso finanziario”.

Le tre organizzazioni palestinesi per i diritti umani affermano che la tempistica delle accuse di Israele contro lUNRWA suggerisce un intento criminale” a seguito della sentenza provvisoria della Corte Internazionale di Giustizia dellAia che ha stabilito che Israele sta plausibilmente commettendo un genocidio a Gaza.

Una delle numerose misure provvisorie emesse dalla corte impone a Israele di adottare misure immediate ed efficaci per consentire la fornitura dei servizi di base e di assistenza umanitaria urgentemente necessari”.

Le organizzazioni per i diritti umani hanno affermato che le accuse convenientemente tempestive costituiscono rappresaglie contro lUNRWA, le cui dichiarazioni sono citate come supporto nellautorevole sentenza della CIG contro Israele”.

Si tratta di un comportamento abituale nel recente passato: Israele impedisce regolarmente lingresso ai funzionari delle Nazioni Unite e ad altri investigatori sui diritti umani e ha rifiutato di rinnovare un il visto a Lynn Hastings, lex alto funzionario per gli aiuti umanitari delle Nazioni Unite a favore della Cisgiordania e Gaza.

A quanto pare all’inizio di novembre dello scorso anno lo Stato ha rifiutato l’ingresso a Volker Türk, il responsabile dei diritti umani delle Nazioni Unite, nel corso della sua visita di cinque giorni nella regione.

Questa settimana durante un incontro a Gerusalemme il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha detto agli ambasciatori delle Nazioni Unite che lUNRWA è “totalmente infiltrata” da Hamas e deve essere sostituita.

“Lo dico con grande rammarico perché speravamo che esistesse un organismo di soccorso obiettivo e costruttivo”, ha detto Netanyahu ai diplomatici. Oggi a Gaza abbiamo bisogno di un organismo di questo tipo, ma lUNRWA non è quellorganismo”.

Netanyahu si è anche lamentato del controllo delle Nazioni Unite sulle azioni di Israele, ha ripetuto affermazioni già confutate sulle atrocità e ha affermato che il suo Paese sta combattendo la guerra della civiltà contro la barbarie”.

Netanyahu ha criticato lUNRWA per aver presentato le informazioni citate dal Sudafrica nella sua denuncia di genocidio contro Israele allAia.

Altri funzionari israeliani sono meno desiderosi di Netanyahu di vedere il collasso immediato dellUNRWA.

Un alto funzionario anonimo ha detto al Times of Israel che se lUNRWA cessasse di operare sul terreno ciò potrebbe causare una catastrofe umanitaria che costringerebbe Israele a fermare la sua lotta contro Hamas”.

Una catastrofe umanitaria a Gaza è in corso da mesi dopo che allinizio della sua controffensiva Israele ha tagliato la fornitura di elettricità, carburante, acqua, cibo e scorte mediche.

Alcuni di questi elementi vitali indispensabili sono stati ripristinati a Gaza ma a un livello ben lungi dal soddisfare i bisogni primari della popolazione poiché le restrizioni e le operazioni militari israeliane impediscono lattività commerciale e la fornitura di aiuti su vasta scala.

I palestinesi di Gaza si trovano ad affrontare una malnutrizione di massa con un ritmo e una portata mai visti dalla seconda guerra mondiale, costretti a mangiare erba e bere acqua inquinata per sopravvivere alle condizioni di carestia imposte da Israele.

Christian Lindmeier, portavoce dellOrganizzazione Mondiale della Sanità, ha affermato che le accuse contro il personale dellUNRWA sono una distrazione da ciò che realmente accade ogni giorno, ogni ora, ogni minuto a Gaza”.

È un voler distogliere l’attenzione dall’aver interdetto a unintera popolazione laccesso allacqua pulita, al cibo e ad un riparo”, ha aggiunto. “È un voler distogliere l’attenzione dallaver impedito l’afflusso dell’elettricità a Gaza per oltre 100 giorni”.

Diritto al ritorno

La dichiarazione di rammarico di Netanyahyu è smentita dalla campagna multi-decennale di Israele rivolta a smantellare lUNRWA.

Le tre organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno affermato che il desiderio di Israele di distruggere lagenzia è “motivato dalla questione centrale insita nel mandato dellUNRWA: lattuazione della risoluzione 194 (III) dellAssemblea generale delle Nazioni Unite”.

Tale risoluzione fu approvata dallAssemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1948 in seguito allespulsione forzata di centinaia di migliaia di palestinesi dalla loro patria da parte delle milizie sioniste prestatali e dellesercito israeliano.

I rifugiati che desiderano ritornare alle loro case e vivere in pace con i loro vicini dovranno essere autorizzati a farlo il prima possibile”, afferma la risoluzione delle Nazioni Unite, aggiungendo che i rifugiati che avessero scelto di non ritornare avrebbero dovuto essere risarciti per la perdita o il danno alle loro proprietà.

Israele ha negato ai palestinesi di esercitare il loro diritto al ritorno nelle terre che ora occupa perché ciò “altererebbe il carattere demografico di Israele al punto da eliminarlo come Stato ebraico”, come ha affermato la Commissione Economica e Sociale delle Nazioni Unite per lAsia occidentale in un rapporto del 2017.

Le nostre organizzazioni sottolineano che lUNRWA deve essere preservata come istituzione per proteggere i diritti dei palestinesi”, hanno affermato le tre organizzazioni per i diritti umani sopra menzionate, aggiungendo che ai rifugiati palestinesi viene ancora sistematicamente negato il loro inalienabile diritto al ritorno; essi vengono lasciati vivere per generazioni in campi profughi e viene negata loro la libertà di movimento e i diritti umani fondamentali”.

Le organizzazioni per i diritti dei palestinesi sottolineano che i Paesi che hanno sospeso il sostegno all’UNRWA – che oltre agli Stati Uniti includono Germania, Regno Unito, Canada, Australia, Italia, Paesi Bassi, Svezia, Finlandia, Estonia, Islanda, Giappone, Austria, Lettonia, Lituania e Romania – hanno ignorato i loro appelli affinché smettessero di armare Israele.

La britannica Sky News ha riferito questa settimana di aver visto i documenti dellintelligence israeliana che supporterebbero le sue affermazioni secondo cui degli operatori dellUNRWA sarebbero collegati ad Hamas.

Sky News ha affermato che il dossier, condiviso con i governi stranieri ma non con le autorità delle Nazioni Unite, sostiene che il 7 ottobre sei dipendenti dellUNRWA si sono infiltrati” in Israele da Gaza. Secondo Sky News quattro di questi sei dipendenti sarebbero presumibilmente coinvolti nel rapimento di israeliani, mentre un altro lavoratore avrebbe fornito supporto logistico’”.

I primi rapporti della scorsa settimana affermavano che Israele avrebbe sostenuto che 12 dipendenti dell’UNRWA erano coinvolti negli attacchi del 7 ottobre.

Sky News ha aggiunto che il dossier di Israele afferma che il 10% dei 12.000 dipendenti dellUNRWA a Gaza sono agenti di Hamas e della Jihad islamica, unaltra fazione palestinese impegnata nella resistenza armata. Il dossier afferma inoltre che circa la metà del personale dellUNRWA a Gaza sarebbe costituita da parenti di primo grado di un militante di Hamas”.

Il dossier di Israele tenta evidentemente di dipingere il coordinamento dellUNRWA con le autorità locali come una forma di subordinazione a Hamas che di fatto governa gli affari interni di Gaza dal 2007.

L’emittente ha affermato: I documenti dellintelligence israeliana fanno diverse affermazioni di cui Sky News non ha visto prove e molte delle affermazioni, anche se vere, non implicano esplicitamente lUNRWA”.

Dossier sospetti

Il dossier dellUNRWA riportato da Sky News sembra essere simile ai documenti prodotti in passato da Israele e dai suoi delegati che cercavano di collegare le organizzazioni non governative palestinesi alle organizzazioni di resistenza nel tentativo di privarle dei loro finanziamenti europei.

Nel 2021 gli Stati europei hanno affermato di non essere rimasti convinti da un dossier segreto fornito da Israele per dimostrare le sue accuse contro diverse importanti organizzazioni della società civile palestinese dichiarate organizzazioni terroristiche”.

Il dossier si fondava su testimonianze di due uomini licenziati da un’organizzazione per sospetti reati finanziari.

L’avvocato di uno degli uomini ha sostenuto che [il suo assistito] durante l’interrogatorio potrebbe essere stato sottoposto a maltrattamenti o torture.

Nel dossier segreto, il cui contenuto è stato rivelato dalla rivista +972 Magazine, risultava evidente che i due uomini non avevano familiarità con le altre organizzazioni palestinesi contro le quali la loro testimonianza era stata usata.

Le dichiarazioni dei funzionari israeliani suggeriscono che le attuali accuse contro i dipendenti dell’UNRWA potrebbero essere basate su informazioni estorte ai detenuti, dando adito a preoccupazioni per torture e maltrattamenti.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Voci dalla Cisgiordania occupata: “Continuerò a parlare con amore”

Dylan Hollingsworth

30 gennaio 2024 al Jazeera

Cisgiordania occupata – Proseguendo le conversazioni di Al Jazeera con persone della Cisgiordania occupata, su come considerino le infinite tragiche notizie dalla Striscia di Gaza assediata e bombardata, e sulle circostanze del tentare di rifarsi una vita come palestinese sotto occupazione, ecco quattro storie di palestinesi:

Un giovane cristiano sconcertato per come il messaggio di pace e di perdono nato con Cristo in Palestina possa essere dimenticato così barbaramente.

Un difensore dei diritti umani il cui lavoro di una vita è stato di proteggere il popolo palestinese dalla negazione dei suoi diritti.

Un padre che si sveglia ogni giorno nell’angoscia perché ha il terrore che uno dei suoi figli a Gaza sia stato ucciso durante la notte.

E una madre il cui figlio ha compiuto il sacrificio estremo della sua giovane vita perché ha intrapreso l’unica strada che gli è sembrata possibile per combattere contro l’ingiustizia.

Nota: le interviste sono state modificate per motivi di lunghezza e chiarezza.

Abu Ghazaleh, cristiano palestinese, Ramallah

Siamo palestinesi.

Siamo rimasti qui nel corso della storia, musulmani, ebrei o cristiani… la [nostra] prima identità è palestinese.

E anche se sono cristiano palestinese… questo non mi pone fuori dall’ambito del conflitto palestinese. Non consideriamo la religione come la forza trainante o il motivo per difendere la mia terra o rivendicare i miei diritti.

Per me la religione è un modo per contattare Dio, mentre il mio diritto di esistere su questa terra è un mio diritto come palestinese, indipendentemente dalla mia religione.

Questa è la terra di Gesù, la terra dove Cristo ha predicato, dove Gesù è venuto e da qui il cristianesimo si è diffuso nel mondo.

Se vogliamo parlarne dal punto di vista religioso noi cristiani siamo più legati a questa terra di chiunque altro, musulmani o ebrei.

Ma non facciamo distinzioni in base alla religione, piuttosto se si crede nel diritto di vivere in libertà, pace e felicità.

“Le due cose che amo di più nella Bibbia sono: ‘Amate i vostri nemici, benedite coloro che vi maledicono.’ Dio dice che anche se il tuo nemico ti augura la morte e ti odia, devi amarlo perché attraverso l’amore gli insegnerai la strada giusta.

‘Ma con la violenza non gli insegnerai la retta via. Se tu uccidi e lui uccide, le uccisioni continueranno. Se ami, l’amore crescerà.’

Questa frase… è magnifica. Significa che ami qualcuno che ti augura la morte e molte cose orribili.

Non importano le nostre divergenze con gli israeliani, continuerò a parlar loro con amore, affetto e pace.

Ma questo non significa che se un israeliano mi uccide io rimango in silenzio. Se mi uccide l’accuserò, ma il mio obiettivo principale non sarà toglierlo di mezzo, ucciderlo o eliminarlo, come fa lui con me”.

Shawan, direttore generale di Al-Haq [ONG palestinese indipendente per i diritti umani fondata nel 1979, ndt.], Ramallah

“I funzionari americani, l’amministrazione, posso dire che stanno aiutando e sono complici dei crimini di guerra che avvengono in Palestina. Siamo uccisi dalle armi americane.

Noi veniamo uccisi e gli israeliani godono dell’impunità, perché gli americani usano il veto per non ritenere responsabile Israele della sua prolungata occupazione e delle atrocità che accadono quotidianamente contro i palestinesi.

Come l’uccisione di palestinesi. Come espandere qui gli insediamenti o le colonie. Come la confisca delle terre. Come le demolizioni di case. Come il saccheggio delle nostre risorse naturali… come l’acqua, i minerali, la terra, tutto. Gli israeliani non ci hanno lasciato nulla.

Ora molti delle giovani generazioni americane sono più consapevoli della situazione rispetto a prima. E per questo motivo credo che dagli Stati Uniti venga una speranza, nonostante questa orribile situazione.

Ma il nostro caso non è iniziato il 7 ottobre. Il nostro caso ha ormai 75 anni.

Metà della nostra gente è rifugiata in tutto il mondo. L’80% della popolazione della Striscia di Gaza. Gaza misura 360 km quadrati. Si tratta di 2,3 milioni di persone in un luogo molto piccolo e densamente popolato.

E comunque gli israeliani attaccano e uccidono i civili. E l’hanno dichiarato fin dall’inizio, hanno detto: ‘Sono animali umani’, proprio per disumanizzare da subito i palestinesi.

“E hanno detto: ‘Taglieremo l’acqua’, e lo hanno fatto. ‘Taglieremo l’assistenza umanitaria’, e lo hanno fatto.

Che cosa possono ottenere gli israeliani se non seminare sempre più odio nelle menti del popolo palestinese? Questo non porterà la pace. Ciò che porterà la pace è se godiamo del nostro diritto fondamentale all’autodeterminazione.

Questo è il vostro risultato, il risultato americano. Ma sei il principale sostenitore di Israele e non dici al tuo amico: “Ehi, ragazzi, questo non va bene e non è giusto”. Perché se sei un vero amico devi dire ai tuoi amici di evitare di commettere atti illeciti. L’America, in questo momento, non lo sta facendo”.

Raed, palestinese di Gaza con permesso di lavoro israeliano, Ramallah

“Questa guerra non è né la prima né l’ultima per me.

Ho perso metà della mia famiglia nella guerra del 2014 in al-Wehda Street, vicino all’ospedale al-Shifa, quando più di 100 persone furono uccise in una sola zona.

Bambini innocenti sono stati presi di mira dagli aerei israeliani. Sostenevano che ci fossero dei tunnel sotto le case. Mia madre era lì, la moglie di mio fratello e i figli di mio fratello sono stati uccisi.

Ogni corpo che ho recuperato era mutilato, ognuno peggio del precedente. Alcuni erano stati decapitati…

“Soffriamo moltissimo, non riusciamo a dormire e siamo perseguitati dagli incubi. I miei figli soffrono e la maggior parte delle volte preferisco spegnere il telefono per evitare di parlare con loro.

«Dicono: ‘Papà, eri qui con noi prima del 7 ottobre’. Ma io non posso, sento morire i miei figli e non posso fare niente per loro.

Questa non è solo la mia sofferenza, ma quella di tutti i giovani qui. Capita di perdere un amico carissimo una volta in 20 o 30 anni, ma qui ogni giorno perdi le persone più care.

E non siamo responsabili di questa guerra. Siamo lavoratori rispettabili e i nostri figli sono innocenti. Non hanno niente a che fare con questa faccenda. Israele prende di mira coloro che sono coinvolti e coloro che non lo sono. Cerca vendetta sui bambini.

“Perché? O è per annientarci una volta per tutte oppure per non permetterci di piangere gli uni per gli altri. È difficile, come padre, svegliarsi e guardare il telefono per controllare come sta tuo figlio solo per scoprire che è morto, o sapere che tua moglie o tuo fratello sono morti.

Dammi un motivo per cui uno qualsiasi dei nostri figli debba essere coinvolto in questo atto barbarico.

Sono d’accordo, Hamas ha ucciso centinaia di persone il 7 ottobre, ma non puoi annientare un’intera nazione… stanno distruggendo l’intero Paese”.

Amal, madre in lutto e casalinga, Dair Jarir

“Qais era di buon cuore ed era molto colpito dalle cose che accadevano intorno a lui.

Tutti i giovani qui, quando hanno visto cosa stava succedendo ad Al-Aqsa… quelle madri e quelle donne trascinate dagli israeliani, gli si è spezzato il cuore e si sono sentiti impotenti.

Quando sono comparse a Nablus la Fossa dei Leoni e a Jenin le Brigate Jenin, i giovani hanno cominciato a credere di avere uno spazio per agire.

Certo, non ne sapevamo nulla, non ne avevamo idea. Ci raccontava che era con i suoi amici. Non sapevamo che avrebbe fatto quello che ha fatto.

Non poteva sopportare di vedere i giovani martirizzati a Jenin, Nablus, e gli assalti ad Al-Aqsa sono stati la goccia che ha fatto traboccare il vaso… riposi in Dio la sua anima. Non abbiamo ancora ricevuto il suo corpo.

Qais ha portato la vita nella nostra casa, lui e suo fratello. Ci prendeva in giro e qualche volta era testardo, ma la nostra casa era piena di vita.

Adesso siamo come zombi, non c’è più vita in casa nostra. Se avessimo avuto il suo corpo fin da subito e lo avessimo seppellito sarebbe più facile.

Non penso ad altro che a come è Qais, che aspetto ha, cosa hanno prelevato dal suo corpo e cosa gli hanno lasciato.

A volte mio marito viene e mi trova congelata, con il corpo così freddo anche se fa caldo e mi copre con delle coperte. Ma non riesco a scaldarmi. Dico: ‘Qais è gelato’.

So, e nella nostra religione tutti sappiamo, che l’anima è con Dio, ma… non lo so. Le madri non vogliono mai seppellire i propri figli, ma in questa situazione preferiremmo poterli seppellire.

Quando sarà sepolto, potrò recitare il Corano per lui, visitare la sua tomba e piangere accanto ad essa.

Vogliono torturare le famiglie detenendo i corpi dei martiri… una punizione collettiva per le famiglie”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Coloni, l’esercito scatena la vendetta in Cisgiordania

Tamara Nassar

29 gennaio 2023 – The Electronic Intifada

I coloni israeliani hanno attaccato i palestinesi in tutta la Cisgiordania occupata per vendicare l’uccisione di sette israeliani da parte di un palestinese armato venerdì in una colonia nella Gerusalemme est occupata.

Ciò è avvenuto mentre il governo israeliano è in procinto di armare migliaia di altri suoi cittadini, una mossa che sicuramente porterà a più uccisioni e violenze sommarie.

Come risposta alla sparatoria di venerdì il governo israeliano ha anche promesso di “potenziare” i suoi insediamenti coloniali illegali in Cisgiordania, usando lo spargimento di sangue come pretesto per confiscare e colonizzare ulteriormente la terra palestinese, un’altra mossa che sicuramente alimenterà altra violenza.

Nel frattempo le forze di occupazione hanno iniziato a imporre una punizione collettiva alla famiglia dell’uomo armato sigillandone la casa in preparazione di una demolizione come vendetta.

Israele sta anche minacciando più punizioni collettive crimini di guerra ai sensi del diritto internazionale inclusa la negazione dei benefici della sicurezza sociale ai parenti dei presunti aggressori palestinesi e la deportazione delle loro famiglie.

Questi tipi di punizione collettiva sono una caratteristica essenziale del sistema di apartheid israeliano, poiché vengono usati solo contro i palestinesi.

La furia dei coloni

Domenica gruppi di coloni hanno attaccato con pietre auto palestinesi sulle strade di diverse località della Cisgiordania, tra cui un incrocio vicino alla colonia di Yitzhar, vicino a Nablus.

i coloni hanno attaccato i palestinesi con spray al peperoncino e, secondo quanto riferito, un palestinese è stato leggermente ferito dal lancio di pietre dei coloni ebrei.

Domenica notte una casa e un’auto sono state date alle fiamme nel villaggio di Turmusaya vicino a Ramallah.

Una seconda casa nello stesso villaggio è stata vandalizzata.

Secondo quanto riferito, la polizia israeliana sta indagando sull’incidente, ma ci sono poche possibilità che qualcuno possa essere incolpato.

I proprietari di entrambe le case sono cittadini palestinesi americani e il personale addetto alla manutenzione è intenzionato a notificare gli attacchi all’ambasciata americana.

Secondo Ynet, una pubblicazione israeliana, nel villaggio i coloni hanno anche scritto con le bombolette “vendetta” e “morte agli arabi”.

Dei palestinesi hanno riferito ai media che i soldati israeliani nell’area hanno assistito senza reagire allo scatenarsi della furia dei coloni.

Nel frattempo nel villaggio di Aqraba, vicino a Nablus, dei coloni hanno sradicato e rubato più di 100 alberelli di ulivo.

Inoltre ad Aqraba e Majdal Bani Fadil, un altro villaggio vicino, dei coloni hanno dato fuoco a delle auto.

A Nablus i coloni hanno vandalizzato un’ambulanza palestinese.

E’ stato riferito che hanno anche danneggiato e distrutto le tende utilizzate dagli agricoltori nella Valle del Giordano.

Gli attacchi vendicativi dei coloni israeliani fanno seguito all’uccisione, venerdì, di sette israeliani a Neve Yaakov, un insediamento coloniale nella Gerusalemme est occupata, da parte di Khayri Alqam, 21 anni.

Secondo quanto riferito, Alqam, che è stato colpito a morte dai soldati, si chiamava come suo nonno, ucciso nel 1998 insieme ad altri tre palestinesi dal colono israeliano Haim Perelman.

Nonostante ciò Perelman venne successivamente rilasciato. Vive in una colonia per soli ebrei in Cisgiordania.

Le uccisioni di venerdì a Neve Yaakov hanno fatto seguito all’attacco israeliano al campo profughi di Jenin di giovedì, in cui le forze di occupazione hanno ucciso nove palestinesi, tra cui due minori e una donna . Nell’attacco israeliano sono rimaste ferite almeno 20 persone.

Una decima persona è morta domenica per le ferite riportate. Secondo quanto riporta il Ministero della Salute palestinese giovedì le forze israeliane hanno sparato allo stomaco a Omar Tariq al-Saadi, 24 anni.

Fomentare ulteriore violenza

L’Unione Europea ha condannato fermamente l’attacco a Neve Yaakov come un atto di “folle violenza e odio”.

Bruxelles ha anche affermato falsamente e in modo provocatorio che l’attacco è avvenuto “in una sinagoga di Gerusalemme” uccidendo e ferendo persone “mentre assistevano alla cerimonia dello Shabbat [servizio liturgico tradizionale del sabato ebraico, ndt]”.

Ma i resoconti dei media israeliani affermano tutti indistintamente che la sparatoria è avvenuta in una strada “vicino a una sinagoga”.

E invece l’UE ha approvato retroattivamente l’attacco letale di Israele a Jenin, affermando che Bruxelles “riconosce pienamente le legittime preoccupazioni di sicurezza di Israele, come evidenziato dagli ultimi attacchi terroristici”.

In realtà, le sparatorie di venerdì sono seguite al massacro di Jenin, che un funzionario delle Nazioni Unite ha descritto come “la più letale delle operazioni israeliane in Cisgiordania almeno dal 2005”.

Come ha scritto domenica Gideon Levy, editorialista del quotidiano israeliano Haaretz, “tutti sapevano che l’operazione a Jenin avrebbe scatenato una pericolosa ondata di violenza”.[vedi Zeitun]

Levy afferma che “non è possibile invadere il campo profughi di Jenin senza un massacro”, aggiungendo che “nessun massacro nel campo potrebbe passare sotto silenzio”.

L’organizzazione palestinese per i diritti umani Al-Haq ha documentato numerose violazioni del diritto internazionale da parte delle forze israeliane durante il micidiale raid nel campo profughi di Jenin.

In un caso gli aggressori israeliani hanno sparato a un minore palestinese e dopo la sua morte “un veicolo militare ha investito il suo corpo recidendogli l’orecchio destro e mutilandogli il volto”.

Dopo il massacro di Jenin, i media israeliani hanno riportato diversi tentativi da parte dei palestinesi di attaccare soldati o coloni israeliani.

L’anno 2022 ha visto il maggior numero di palestinesi uccisi dalle forze e dai coloni israeliani in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, dalla seconda intifada quasi due decenni fa.

Secondo il monitoraggio di The Electronic Intifada, nel corso dell’anno 207 palestinesi sono stati uccisi dall’esercito, dalla polizia e dai coloni israeliani in Cisgiordania, a Gaza e all’interno di Israele, o sono morti per le ferite riportate negli anni precedenti.

Finora, nel 2023, Israele ha ucciso in media un palestinese al giorno, un fatto poco rilevato nella copertura dei media occidentali, ma che sta portando alla violenza.

Incremento della violenza

Sabato nel quartiere di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, un altro palestinese avrebbe sparato, ferendoli, a un soldato fuori servizio e suo padre.

I media hanno identificato nel tredicenne Mahmoud Aleiwat l’autore degli spari.

La famiglia del ragazzo nega che possa essere stato coinvolto nella sparatoria, anche se si dice che abbia lasciato un messaggio a sua madre chiedendo perdono.

Il soldato aveva l’arma con sé e ha sparato al ragazzo. Anche un altro colono gli ha sparato.

Il soldato ferito è in condizioni gravi ma stabili e, secondo quanto riferito, suo padre è in condizioni discrete.

Secondo Haaretz il ragazzo accusato della sparatoria è cosciente e sta ricevendo delle cure.

Giorni prima un parente di Mahmoud Aleiwat era è stato ucciso dalle forze israeliane.

Wadie Abdul Aziz Abu Rumouz, 17 anni, è stato colpito al petto il 25 gennaio. Le autorità israeliane hanno sottoposto Wadie agli arresti persino mentre si trovava nel reparto di terapia intensiva.

E’ morto venerdì a causa delle ferite.

Israele sta ora progettando di demolire la casa della famiglia del ragazzo di 13 anni, così come quella di Khayri Alqam.

Nel frattempo, sabato un giovane palestinese è stato colpito e ucciso da una guardia di sicurezza nei pressi dell’insediamento di Kedumim, nel nord della Cisgiordania.

Karam Ali Salman, 18 anni, aveva cercato di entrare nell’insediamento coloniale armato di pistola, ha affermato l’esercito. Il suo video è stato condiviso dai media locali.

Mostra una persona che cammina con cautela attraverso un campo portando un oggetto.

I media israeliani non hanno riferito di feriti tra i coloni.

Kedumim, che è costruito su terreno privato palestinese, ospita l’abitazione del Ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich.

In un altro incidente i soldati israeliani hanno sparato a un camionista palestinese che, secondo loro, stava tentando un attacco ma in seguito hanno ammesso che non era così.

L’esercito ha riferito che nessuno è rimasto ferito nell’incidente.

Nonostante l’aumento vertiginoso dello spargimento di sangue, Israele e i suoi alleati sembrano determinati a non imparare che ulteriori uccisioni e oppressione di palestinesi non placheranno mai la resistenza, ma solo la alimenteranno.

Ha contribuito all’inchiesta Ali Abunimah.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Una lobby israeliana ammette di aver mentito riguardo ad un’associazione palestinese per i diritti

Maureen Clare Murphy

13 dicembre 2022 – The Electronic Intifada

Il principale gruppo lobbistico olandese a favore di Israele ha rimosso dal proprio sito web tre articoli contenenti diffamazioni nei confronti di Al-Haq, una nota associazione palestinese per i diritti umani.

Dopo che Al-Haq ha avviato un’azione legale contro di esso il Centro di Informazione e Documentazione Israele (CIDI) ha ammesso che gli articoli contenevano false accuse che danneggiavano “il buon nome dell’organizzazione”.

Una di tali accuse è che Al-Haq avrebbe “stretti legami con gruppi terroristi palestinesi” e farebbe parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), una fazione marxista-leninista bandita da Israele, USA e UE.

Nell’ottobre 2021 Israele ha etichettato Al-Haq e diverse altre famose associazioni della società civile palestinese come organizzazioni terroriste, sostenendo che esse erano organizzazioni collaterali al FPLP. Israele non ha fornito alcuna prova a riscontro delle sue accuse, che sono state respinte da 10 Paesi europei, compresa l’Olanda, che finanziano le organizzazioni.

Il CIDI ha anche ammesso che è “falso sostenere che Al-Haq compaia in diversi elenchi internazionali di terroristi” e che non vi è prova dell’accusa che essa storni i finanziamenti europei al FPLP o che sia stata bandita dalle società di carte di credito.

Al-Haq ha accusato il CIDI di diffamazione per aver amplificato le infondate accuse nei suoi confronti.

Concordando con la veridicità dell’accusa di Al-Haq, il CIDI di fatto riconosce che la definizione di organizzazione “terroristica” da parte del governo israeliano è senza fondamento e diffamatoria.

Il CIDI ha condotto a lungo una campagna per porre fine all’assistenza olandese alle associazioni palestinesi ed ha ricalcato le campagne del governo israeliano che le diffamavano come fiancheggiatrici di organizzazioni terroristiche.

Israele e strutture di copertura come il CIDI hanno preso di mira Al-Haq soprattutto a causa dell’attività dell’organizzazione in difesa della giustizia internazionale, in particolare presso la Corte Penale Internazionale (CPI).

Circa 200 organizzazioni in Palestina e in tutto il mondo hanno chiesto a Karim Khan, il procuratore capo della CPI, di condannare le definizioni di Israele contro Al-Haq e due altre associazioni palestinesi, fornendo prove e rappresentando le vittime presso la Corte.

Il problema della “arbitraria criminalizzazione” da parte di Israele di associazioni della società civile palestinese è stato sollevato nel corso dell’assemblea degli Stati membri della CPI la settimana scorsa.

In una dichiarazione comune, Al-Haq e altre organizzazioni, comprese Human Rights Watch, Al Mezan e il Centro Palestinese per i Diritti Umani, hanno chiesto di agire rispetto alle minacce e agli attacchi contro i difensori dei diritti umani che collaborano con la Corte.

Al-Haq, Al Mezan e il Centro Palestinese per i Diritti Umani hanno convenuto, durante l’assemblea degli Stati membri, di mettere in evidenza l’ostruzionismo di Khan rispetto all’indagine sulla Palestina avviata dal suo predecessore all’inizio dello scorso anno.

I critici affermano che il doppio standard della generosa allocazione delle risorse della Corte per l’indagine in Ucraina mentre viene affossata l’inchiesta sulla Palestina ha ulteriormente compromesso la credibilità della CPI.

Se la CPI non agirà sulla Palestina, verrà disconosciuta in quanto strumento al servizio degli interessi dei potenti Stati occidentali, lasciando che i palestinesi prendano le leggi nelle proprie mani, hanno dichiarato i difensori dei diritti umani durante l’evento in corso all’Aja.

Maureen Clare Murphy è caporedattrice di The Electronic Intifada.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Nuove prove emergono della deliberata intenzione di Israele di uccidere Shireen Abu Akleh, e la famiglia presenta una denuncia alla Corte Penale Internazionale

DAVID KATTENBURG

  20 settembre 2022 ,Mondoweiss

Una nuova analisi forense dimostra che Shireen Abu Akleh è stata “deliberatamente e ripetutamente presa di mira” da un cecchino militare israeliano che prendeva “la mira con precisione e cura”.

Shireen Abu Akleh è stata “deliberatamente e ripetutamente presa di mira” da un cecchino militare israeliano lo scorso maggio mentre effettuava un reportage su un raid dell’esercito israeliano all’ingresso del campo profughi di Jenin, un cecchino che prendeva una”mira precisa e accurata”.

Questo è uno dei risultati inediti di un’indagine congiunta della britannica Forensic Architecture [gruppo di ricerca multidisciplinare che utilizza tecniche e tecnologie architettoniche per indagare su casi di violenza di Stato e violazioni dei diritti umani, guidato dall’arch. Eyal Weizman, ndt.] e del Dipartimento di Monitoraggio e Documentazione dell’organizzazione palestinese per i diritti umani Al Haq, presentata questa mattina alla Corte penale internazionale nella capitale olandese L’Aia.

Questi risultati, basati in parte su filmati inediti girati sulla scena da un cameraman di Al Jazeera, sono stati esposti a un piccolo gruppo di giornalisti a seguito della presentazione di una denuncia alla CPI da parte degli avvocati della famiglia di Abu Akleh e di due giornalisti palestinesi che erano accanto a lei quel giorno.

L’attacco dei cecchini israeliani ha comportato tre distinte sequenze di spari, per un totale di sedici colpi destinati a Shireen, ai suoi colleghi e a un civile che cercava di fornire assistenza medica”, ha rivelato l’Unità Investigativa Forensic Architecture-Al Haq (FAI).

“Tutti i colpi sono stati sparati col fucile a spalla ed erano destinati a uccidere”.

Forensic Architecture, con sede presso la Goldsmiths University di Londra, è specializzata nella “ricostruzione spaziale di siti e scene di violenza di Stato”. La sua analisi della morte di Abu Akleh – descritta come un “omicidio mirato” – si basa su più video registrati da palestinesi insieme ad altre prove.

Secondo il rapporto FAI, letto da un documento scritto, “non c’erano altre persone presenti lì tra [Abu Akleh e i suoi colleghi] e il convoglio di veicoli militari al momento dell’incidente”, “nessun colpo … proveniva dalle vicinanze dei giornalisti” e “gli unici colpi sparati nei tre minuti precedenti la sparatoria di Shireen provenivano dalla posizione delle forze di occupazione israeliana”.

Il rapporto FAI di questa mattina rivela anche che, mentre tentava di fornire aiuto alla veterana giornalista di Al Jazeera, “un civile sulla scena veniva colpito da colpi di arma da fuoco ogni volta che tentava di avvicinarlesi” e “di conseguenza [le forze di occupazione israeliane] hanno deliberatamente negato assistenza medica a Shireen dopo averle sparato”.

L’analisi del campo visivo che simula ciò che il cecchino dell’IDF avrebbe visto “mostra che i giornalisti erano chiaramente identificabili come tali”, conclude la FAI.

“I colpi sono stati sparati solo quando i giornalisti e poi un civile sono entrati nel campo visivo dell’assassino delle forze di occupazione israeliane”.

Appello alla Corte Penale Internazionale

Nessuno di questi dettagli forensi è contenuto nella denuncia consegnata alla Corte Penale Internazionale questa mattina. Invece il testo di oggi, presentato da una coppia di avvocati della società britannica Doughty Chambers [gruppo di avvocati di fama internazionale con una reputazione di eccellenza, ndt.], riassume i resoconti dei testimoni oculari e fornisce argomenti legali per intraprendere un’indagine completa sull’omicidio di Abu Akleh.

“Esistono motivi ragionevoli per sospettare che siano stati commessi crimini di guerra”, nel contesto di un più ampio “attacco sistematico” ai giornalisti palestinesi da parte delle forze di occupazione israeliane, affermano le dichiarazioni depositate oggi alla CPI.

La denuncia di 25 pagine è stata consegnata a un membro dello staff della CPI che non si è identificato al team legale, gli avvocati di Doughty Chambers Jennifer Robinson e Tatyana Eatwell. Non erano presenti né il procuratore capo Karim Khan né il vice procuratore Nazhat Shameen Khan (che non sono parenti).

La denuncia di oggi è stata presentata a nome del fratello di Shireen Abu Akleh, il cinquantanovenne Anton Abu Akleh, e di due colleghi di Shireen: il giornalista palestinese Ali Samoudi, colpito alla spalla quel giorno mentre si trovava vicino ad Abu Akleh, e Shatha Hanaysha, una reporter ventinovenne per il sito web di notizie Ultra Palestine e collaboratrice di Mondoweiss, anch’ella vicino ad Abu Akleh quando il cecchino israeliano l’ha uccisa sparandole.

Samoudi, Hanaysha e la famiglia di Abu Akleh sono sostenuti dal Sindacato dei Giornalisti Palestinesi, dal Centro Internazionale di Giustizia per i Palestinesi e dalla Federazione Internazionale dei Giornalisti.

Tatyana Eatwell ha detto a Mondoweiss che gli avvocati sperano di essere ricevuti presso l’Ufficio del procuratore della CPI nelle “prossime settimane” per presentare prove forensi e testimonianze che portino al perseguimento dei responsabili della morte di Shireen Abu Akleh e di altri giornalisti palestinesi,.

“Stiamo offrendo loro la nostra collaborazione, al fine di assisterli in questa indagine”.

“Questo caso, e gli altri casi di giornalisti uccisi o mutilati dalle forze israeliane, rientrano esattamente nella giurisdizione della Corte e richiedono un’indagine da parte della Corte Penale Internazionale”, ha detto Tatyana Eatwell ai giornalisti riuniti alla CPI questa mattina.

“Non c’è quasi nessuna prospettiva di una qualche indagine penale su questi fatti da parte delle autorità nazionali”.

Una denuncia più ampia redatta dal team di Doughty Street Chambers, consegnata alla CPI il 16 aprile – tre settimane prima dell’uccisione di Abu Akleh – chiedeva alla CPI di indagare sul “prendere sistematicamente di mira, mutilare e uccidere giornalisti e distruggere le infrastrutture dei media in Palestina”.

Nella denuncia di aprile erano citati quattro giornalisti palestinesi. Yaser Murtaja e Ahmed Abu Hussein sono stati colpiti da cecchini israeliani nell’aprile 2018 mentre seguivano le proteste della Grande Marcia del Ritorno a Gaza. Entrambi sono morti per le ferite riportate. Nedal Eshtayeh e Muath Amarneh hanno perso la vista mentre documentavano le proteste rispettivamente nel 2015 e alla fine del 2019. Tutti e quattro quando sono stati colpiti indossavano giubbotti stampa.

La denuncia di aprile e quella odierna sono state depositate ai sensi dell’articolo 15 dello Statuto di Roma, che incarica il procuratore capo della CPI di avviare indagini di propria iniziativa (motu proprio) se esiste una base ragionevole per farlo. In teoria, il permesso ufficiale a procedere deve poi essere concesso dalla Camera Istruttoria della Corte.

L’ufficio del procuratore capo Karim Khan ha ammesso di aver ricevuto la denuncia di aprile, ma non ha specificato se la denuncia sarà o meno seguita da indagine, ha detto a Mondoweiss Tatyana Eatwell.

Ciò detto, entrambe le denunce sono attinenti alla più ampia indagine sulla Palestina annunciata all’inizio di marzo 2021 dall’allora procuratore capo Fatou Bensouda.

Nelle parole di Bensouda, l’indagine sulla Palestina – una delle diciassette “situazioni” attualmente oggetto di indagine da parte della CPI – interessa “tutti i fatti e le prove rilevanti per valutare se vi sia responsabilità penale individuale ai sensi dello Statuto [di Roma]”.

“L’accusa potrà ampliare o modificare l’indagine”, aveva scritto Bensouda, “solo se i casi individuati per l’accusa sono sufficientemente collegati alla situazione. In particolare, la situazione in Palestina è tale che si suppone continuino a essere commessi crimini”.

Le indagini della CPI mirano a identificare “i presunti colpevoli più efferati o quelli che si presume siano i maggiori responsabili dell’esecuzione dei crimini”.

Una cultura dell’impunità

Israele non ha identificato il cecchino israeliano che ha sparato a Shireen Abu Akleh e ferito Ali Samoudi l’11 maggio, né la loro unità o il comandante.

In seguito all’annuncio da parte del governo degli Stati Uniti dell’esame del proiettile che ha ucciso Shireen Abu Akleh, il team legale di Doughty Street ha chiesto di poter accedere a questi e ad altri risultati. Richieste simili sono state presentate al governo di Israele e all’Autorità Nazionale Palestinese. Nessuna informazione è stata fornita.

Nel suo rapporto del febbraio 2019 al Consiglio per i Diritti Umani, la Commissione Internazionale Indipendente d’Inchiesta sulle proteste nei Territori Palestinesi Occupati ha concluso che ci siano “ragionevoli motivi per ritenere che i cecchini israeliani avessero sparato intenzionalmente ai giornalisti, nonostante avessero chiaramente visto che erano contrassegnati come tali”.

“C’è tutta una cultura di impunità per questi atti all’interno delle forze di sicurezza israeliane. Ed è proprio per questo che è molto importante che la Corte Penale Internazionale, in quanto autorità internazionale indipendente, indaghi su questi casi”, ha detto Tatyana Eatwell a Mondoweiss poco dopo la denunzia di aprile alla CPI sua e del collega avvocato Jennifer Robinson.

Le vittime hanno diritto a questo; è ciò che stanno chiedendo, un’indagine”.

Anton Abu Akleh, il fratello maggiore di Shireen, ha parlato questa mattina con i giornalisti davanti alla sede della CPI.

“L’amministrazione Biden non è finora riuscita ad avviare un’indagine, nonostante le richieste di oltre ottanta membri del Congresso degli Stati Uniti”, ha detto Abu Akleh.

Oltre ad essere cittadina statunitense, Shireen era anche fiera di essere palestinese ed è stata uccisa a sangue freddo da un soldato israeliano. Sembra che il motivo per cui il suo caso non è diventato una priorità per il governo degli Stati Uniti è per via di chi era e da chi è stata uccisa. Non c’è mistero su cosa sia successo a Shireen. Fatta eccezione per il nome e l’identità del suo assassino… Abbiamo bisogno di un’indagine degli Stati Uniti e della CPI per far sì che Israele ne risponda… la nostra famiglia non dovrebbe dover aspettare nemmeno un giorno in più per avere giustizia”.

David Kattenburg è insegnante universitario di scienze e giornalista radiofonico/web e vive a Breda, nel Brabante settentrionale, Paesi Bassi.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Direttore di un gruppo palestinese per i diritti umani arrestato dall’intelligence israeliana

Redazione di MEE

21 agosto 2022 – Middle East Eye

Israele continua a perseguitare sei organizzazioni per i diritti umani dicendo che sostengono il terrorismo, accuse respinte dall’ONU e da alcuni Stati UE

L’intelligence israeliana ha arrestato il direttore di un’importante associazione palestinese per i diritti umani mentre continua il giro di vite contro molte altre organizzazioni simili.

Secondo un tweet di Defense of Children International – Palestine (DCI Palestine) [ong indipendente che sostiene e promuove i diritti dei minori, ndtr.] Khaled Quzmar, il suo direttore generale sarebbe stato arrestato domenica dal servizio di sicurezza Shin Bet.

“Alle 14.25 ora locale Quzmar ha ricevuto una telefonata da un agente dello Shin Bet che lo convocava per un interrogatorio. Subito dopo è andato alla base militare israeliana di Ofer,” scrive l’organizzazione.

“Un testimone oculare nella base (militare di Ofer) ha visto Quzmar scortato dentro la sede dello Shin Bet intorno alle 15:20. Al legale di Quzmar non è stato permesso di accompagnarlo.”

Aggiunge che dopo due ore in custodia Quzmar è stato rilasciato.

L’arresto è solo l’ultimo episodio di una campagna lanciata da Israele contro varie organizzazioni palestinesi per i diritti umani nei territori palestinesi occupati.

Tolleranza zero verso le associazioni per i diritti umani

Sei gruppi per i diritti umani: Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq, il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo], l’Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], l’Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] e DCI Palestine Defence for Children International [la sezione palestinese dell’associazione Protezione Internazionale dei Minori] sono state definite “organizzazioni terroristiche” da Israele nell’ottobre 2021e da allora sono state oggetto di crescenti controlli.

Molte di queste organizzazioni hanno ricevuto fondi da Paesi UE.

Domenica mattina presto Al-Haq aveva twittato che il suo direttore aveva ricevuto una telefonata di minacce relative al suo lavoro da parte di un agente dell’intelligence israeliano.

Secondo Al-Haq, Shawan Jabarin è stato convocato dallo Shin Bet per un “interrogatorio” e la persona al telefono l’aveva “minacciato di arresto e altre misure se Al-Haq avesse continuato le sue attività “.

Venerdì soldati israeliani hanno fatto irruzione, confiscato oggetti e chiuso gli uffici dei gruppi per i diritti umani in Cisgiordania. Sono stati perquisiti anche gli uffici dell’Union of Health Workers Committees [Unione dei comitati di operatori sanitari], che non è stata definita organizzazione terroristica.

I sei gruppi che sono stati così etichettati hanno negato le accuse di “terrorismo” e specificato che la loro chiusura è stata criticata sia dalle Nazioni Unite che da organizzazioni per i diritti umani.

I ministri degli esteri di Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Irlanda, Italia, Olanda, Spagna e Svezia hanno detto che Israele non è riuscito a fornire loro “informazioni sostanziali ” circa le accuse e si sono impegnati a continuare la cooperazione con i gruppi in l’assenza di ogni prova.

Venerdì in un comunicato congiunto hanno affermato: “Siamo profondamente preoccupati per i raid che si sono svolti la mattina del 18 agosto che fanno parte di una preoccupante riduzione degli spazi della società civile sul territorio. Queste azioni non sono accettabili.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




“Accuse infondate”: l’UE ripristina i finanziamenti alle ONG palestinesi

A cura della redazione di Al Jazeera

30 giugno 2022 – Aljazeera

L’anno scorso la Commissione Europea aveva sospeso i finanziamenti per due organizzazioni palestinesi per i diritti umani a causa delle accuse israeliane di “terrorismo”.

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’Unione Europea (UE) ha riferito a due importanti ONG palestinesi che riprenderà a finanziarle dopo una sospensione di un anno legata ad accuse infondate di terrorismo” avanzate da Israele.

La Commissione Europea, il ramo esecutivo dell’UE, ha inviato alcuni giorni fa delle lettere ad Al-Haq e al Palestinian Centre for Human Rights (PCHR) informandoli che le loro sospensioni di 13 mesi sono state revocate incondizionatamente e con effetto immediato.

La Commissione ha citato i risultati di una revisione condotta dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) dell’UE, che ha affermato che “non ha riscontrato sospetti di irregolarità e/o frode” e “non ha trovato motivi sufficienti per aprire un’indagine”.

Secondo le informazioni fornite ad Al Jazeera, le e-mail sono state inviate subito dopo l’avvio da parte di Al-Haq di un’azione legale contro la Commissione.

Giovedì Al-Haq ha dichiarato che più di 13 mesi dopo l’imposizione di una sospensione arbitraria al finanziamento del progetto a favore di Al-Haq con sovvenzioni della UE, la Commissione ha “finalmente revocato questa sospensione vergognosa, illegittima fin dall’inizio e basata sulla propaganda e la disinformazione israeliane”.

“La sospensione è stata revocata incondizionatamente e con effetto immediato”, afferma Al-Haq.

Per decenni Al-Haq si è impegnata nel proteggere i diritti del popolo palestinese dalle violazioni della giustizia internazionale commesse da Israele e da altri responsabili. La sospensione ha rappresentato un’altra violazione. Continueremo a promuovere la responsabilizzazione e a difendere lo stato di diritto”, aggiunge l’organizzazione.

“Nella nostra interazione con la Commissione, abbiamo richiesto assicurazioni in merito all’impegno della Commissione di portare avanti il resto del progetto in buona fede, escludendo qualsiasi ulteriore interruzione di natura politica basata su accuse diffamatorie contro Al-Haq”.

L’UE ha sospeso i suoi finanziamenti ad Al-Haq e PCHR nel maggio 2021.

Quel mese, i diplomatici europei avevano ricevuto un dossier riservato dell’intelligence israeliana in cui si affermava che sei importanti ONG con sede in Palestina, tra cui Al-Haq, stavano usando i soldi dell’UE per finanziare il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) [organizzazione politica e militare palestinese di orientamento socialista, ndt.].

Contemporaneamente la Commissione ha sospeso i suoi finanziamenti al PCHR nonostante non fosse tra le sei ONG menzionate.

Pochi mesi dopo, nell’ottobre 2021, Israele ha dichiarato illegali le sei organizzazioni, con il pretesto dell’affiliazione al partito politico FPLP, il cui braccio armato è stato attivo tempo fa, durante la seconda Intifada all’inizio degli anni 2000 [la rivolta palestinese esplosa il 28 settembre del 2000 come reazione a una visita provocatoria dell’allora capo del Likud Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee, ndt.] quando effettuò degli attacchi contro obiettivi israeliani.

La designazione [di illegalità, ndr.] è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e dai gruppi per i diritti umani in quanto ingiustificata” e infondata”.

Nessuna prova è stata fornita dal governo israeliano a sostegno delle sue affermazioni riguardanti le sei organizzazioni.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha descritto la decisione come un “attacco contro i difensori dei diritti umani, le libertà di associazione, opinione ed espressione e il diritto alla partecipazione pubblica” e ha affermato che “dovrebbe essere immediatamente revocata”.

L’udienza

A seguito dell’impegno di Al-Haq di indagare sulla natura giuridica della sospensione, l’organizzazione ha avviato un procedimento legale contro la Commissione a Bruxelles.

La prima udienza è stata fissata per il 4 luglio 2022.

Al-Haq ha informato Al Jazeera che, nonostante la revoca della sospensione, l’organizzazione proseguirà con i procedimenti legali, per danni alla reputazione e garanzie di fiducia per il futuro.

“Il fatto che [Al-Haq] sia stata sospettata di finanziamento del terrorismo per oltre un anno sulla base di informazioni prive di basi oggettive è di per sé dannoso per la sua reputazione”, si legge nella citazione, aggiungendo che l’UE “ha violato i suoi obblighi contrattuali”.

Il direttore di Al-Haq, Shawan Jabarin, ha dichiarato giovedì di non aver mai avuto dubbi sul fatto che la Commissione avrebbe revocato la sospensione.

“Sapevamo che la sospensione, come la designazione da parte di Israele di Al-Haq e di altre organizzazioni della società civile palestinese, non aveva basi legali e fattuali”, ha affermato Jabarin in una nota.

La voce della ragione e della logica ha prevalso dopo una lunga attesa. Siamo lieti di vedere la Commissione ritirare le sue decisioni dannose e tornare nella giusta direzione per sostenere la società civile e i diritti umani”, dice Jabarin.

Siamo preoccupati che la sospensione possa essere stata intenzionale, al fine di danneggiare la nostra immagine e reputazione. Tuttavia, il nostro legittimo lavoro di documentazione delle violazioni dei diritti umani, di sensibilizzazione pubblica e politica e di promozione della responsabilità continuerà”, aggiunge.

“Consideriamo la revoca della sospensione una vittoria per Al-Haq e per la società civile palestinese in generale, nell’ambito del nostro continuo impegno nel difendere le leggi internazionali e i diritti umani e nel perseguire gli autori di gravi violazioni”.

Le organizzazioni della società civile, che ottengono la maggior parte dei loro finanziamenti dai Paesi donatori, sono un pilastro fondamentale dello sviluppo sociale ed economico dei palestinesi che vivono nei territori occupati dal 1967.

Le ONG con sede in Palestina o che lavorano per i diritti dei palestinesi sono state a lungo oggetto di campagne denigratorie, diffamatorie e volte all’interruzione dei finanziamenti da parte di organizzazioni di interesse israeliane e internazionali come ONG Monitor e UK Lawyers for Israel, in collaborazione con il governo israeliano, con il quale hanno stretti rapporti.

Dal 1967 Israele ha bandito (PDF) più di 400 organizzazioni locali e internazionali come “ostili” o “illegali”, inclusi tutti i principali partiti politici palestinesi, come il partito Fatah al governo dell’Autorità Palestinese e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), con cui Israele ha firmato gli Accordi di Oslo [serie di accordi politici conclusi il 20 agosto 1993 che hanno portato all’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese con il compito di autogovernare, in modo limitato, parte della Cisgiordania e la Striscia di Gaza e hanno riconosciuto l’OLP come partner di Israele nei negoziati sulle questioni in sospeso, ndr.] nel 1993.

La designazione [di organizzazioni “ostili” o “illegali”, ndt.] “autorizza le autorità israeliane a chiudere i loro uffici, sequestrare i loro beni e arrestare e incarcerare i membri del personale, e vieta di finanziare o anche esprimere pubblicamente sostegno per le loro attività”, secondo una dichiarazione dell’ottobre 2021 delle organizzazioni per i diritti umani Human Rights Watch e Amnesty International.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




90 organizzazioni sollecitano la Commissione Indipendente Internazionale di Indagine sulla Palestina dell’ONU a riconoscere e affrontare il colonialismo sionista di insediamento e l’apartheid quali cause alla radice delle continue violazioni di Israele.

Al Haq

28 giugno 2022 – Al-Haq, Defending Human Rights

Il 31 maggio 2022 Al-Haq e 90 organizzazioni palestinesi e internazionali hanno inviato alla Commissione Internazionale Indipendente di Indagine sulla Palestina delle Nazioni Unite (CoI) una richiesta congiunta di esame del colonialismo sionista di insediamento e dell’apartheid come cause alla radice delle perduranti violazioni dei diritti inalienabili del popolo palestinese. La richiesta congiunta è una risposta al mandato unico assegnato alla CoI istituita (dal Consiglio dei Diritti Umani dell’ONU, ndtr.) nel maggio 2021, il primo ente investigativo dell’ONU incaricato di esaminare le cause profonde alla radice della sistematica discriminazione e repressione dell’intera Palestina colonizzata, consentendo così di riconoscere che le violazioni israeliane in Palestina sono radicate nel progetto coloniale di insediamento storico e attuale e di considerare il popolo e il territorio palestinese come un insieme che si autodetermina, invece di un popolo e un territorio frammentati.

Le organizzazioni richiedenti riconoscono che lo specifico mandato della CoI è principalmente relativo alla popolazione palestinese sul campo che nel maggio 2021 si è mobilitata in una lotta collettiva di resistenza popolare. Questa resistenza popolare è una sfida a 73 anni di frammentazione imposta dalla colonizzazione israeliana di insediamento e apartheid con quella che è nota come Intifada/Rivolta dell’Unità.

Prima di analizzare il regime di colonialismo sionista di insediamento e di apartheid come cause alla radice delle perduranti violazioni di Israele, il documento spiega la necessità che sta dietro a questa impostazione, alternativa alla narrativa egemone riguardo alla Palestina, che dipinge ancora la situazione come “conflitto israelo-palestinese”, incentrato ‘solo’ sull’occupazione a partire dal 1967. Adottare l’impostazione basata sul colonialismo di insediamento e sull’apartheid consente di considerare la condizione del popolo palestinese nella sua complessità. Ciò sposta il discorso da un focus sulle cosiddette soluzioni politiche alla lotta per l’autodeterminazione, finalizzata a smantellare il regime israeliano di colonialismo di insediamento, invece di perseguire “modifiche” alle condizioni di vita sotto il dominio del sionismo, o una “uguaglianza liberale”.

Il documento congiunto approfondisce poi la storia del movimento sionista di colonialismo di insediamento, intendendo lo Stato coloniale israeliano come un prodotto di tale movimento. Il documento si occupa della nascita del movimento sionista alla fine del XIX secolo e di come esso abbia adottato insieme le ideologie di autoidentificazione razziale delle persone di fede ebraica e di colonialismo di insediamento, che comporta l’eliminazione della popolazione nativa e l’annessione delle sue terre a beneficio del gruppo razziale colonizzatore costituito ex-novo.

Le organizzazioni sottolineano come il movimento sionista abbia utilizzato un apparato proto-statale e sia stato complice delle potenze imperialiste per “creare una patria in Palestina garantita dal diritto pubblico per il popolo ebraico”. Il documento rileva il ruolo illegittimo della Gran Bretagna nel facilitare la colonizzazione sionista in Palestina, in violazione della Convenzione della Lega delle Nazioni che prevedeva il riconoscimento provvisorio dell’indipendenza del popolo palestinese ed il suo diritto all’autodeterminazione, e in violazione dell’obbligo della potenza mandataria di amministrare il territorio nell’interesse del popolo autoctono palestinese.

Inoltre il documento prende in esame la pianificazione del trasferimento e ricollocazione del popolo palestinese prima della Nakba da parte del movimento sionista di colonialismo di insediamento, analizzando il “Piano Dalet” [piano militare messo a punto dalla dirigenza sionista per espellere i palestinesi dal loro territorio, ndtr.) e la sua attuazione, che portò alla distruzione di almeno 531 villaggi palestinesi e all’espulsione della loro popolazione indigena, cosa che trasformò l’80% dei palestinesi in rifugiati e sfollati interni nel loro stesso Paese.(1) Quindi la creazione dello Stato di Israele sul 77% della Palestina fu il culmine del movimento sionista di colonialismo di insediamento, ma non ne fu la fine. Lo Stato coloniale israeliano adottò l’ideologia sionista del trasferimento e reinsediamento della popolazione palestinese autoctona, instaurò ed istituzionalizzò un regime di dominazione razziale ebraica e di oppressione del popolo palestinese che configura il crimine di apartheid.

Il documento esamina poi il regime di apartheid di Israele, prendendo in considerazione la serie di leggi e di politiche sviluppate da Israele fin dalla sua creazione, in particolare negli ambiti della terra, della pianificazione urbanistica, della nazionalità, residenza e immigrazione, operando una netta separazione tra la popolazione palestinese indigena e gli ebrei israeliani, in modo da legalizzare e legittimare i crimini commessi prima della Nakba e garantire la continuità dei trasferimenti e spoliazioni. Il documento spiega come queste politiche e piani di apartheid proseguano dopo l’occupazione bellica, per mantenere il dominio e la sottomissione dei palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde [confini stabiliti dagli accordi di armistizio del 1949 tra Israele e i Paesi arabi, ndtr.).

Viene poi presa in esame la frammentazione strategica del popolo palestinese da parte di Israele, come strumento per consolidare il proprio regime di apartheid mediante il diniego ai rifugiati palestinesi del diritto al ritorno, l’imposizione di restrizioni alla libertà di movimento, alla residenza e all’ingresso e la negazione della vita familiare.

Il documento analizza l’intenzione di Israele di mantenere il proprio regime di apartheid annientando la resistenza palestinese attraverso il governo militare, le uccisioni deliberate, la repressione delle manifestazioni, la detenzione arbitraria, la tortura ed altri abusi e punizioni collettive, come anche tramite campagne diffamatorie contro associazioni e individui difensori dei diritti umani che cercano di sfidare il regime di apartheid.

In conclusione, le organizzazioni denunciano l’impunità di Israele ed il ruolo della comunità internazionale nel rendere possibile la colonizzazione della Palestina. Le organizzazioni apprezzano la CoI come promettente opportunità di riconoscere la situazione nella Palestina colonizzata per ciò che è e di agire in prospettiva della decolonizzazione, di una vera giustizia e di risarcimenti al popolo palestinese. 

    1. Ilan Pappe, The Ethnic Cleansing of Palestine, Oneworld, 2007 [La pulizia etnica in Palestina, Fazi, 2008].

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Effetti di un attacco israeliano a Gaza simili a quelli di armi chimiche, rileva il rapporto di una ONG

Bethan McKernan, Gerusalemme e Hazem Balousha, Gaza City

Lunedì 30 maggio 2022 – The Guardian

I proiettili sparati contro un magazzino agrochimico hanno creato una nube tossica che ha causato problemi di salute agli abitanti

Secondo un rapporto che analizza il bombardamento e i suoi effetti, un attacco aereo israeliano contro un magazzino agrochimico durante la guerra dell’anno scorso a Gaza ha rappresentato un equivalente dell’ “impiego indiretto di armi chimiche”.

Il 15 maggio dello scorso anno i proiettili incendiari sparati dalle Forze di difesa israeliane (IDF)  hanno colpito il grande magazzino di prodotti farmaceutici e agricoli di Khudair nel nord della Striscia di Gaza dando fuoco a centinaia di tonnellate di pesticidi, fertilizzanti, plastica e nylon. L’impatto ha creato una nube tossica che ha investito un’area di 5,7 kmq e ha lasciato i residenti locali alle prese con problemi di salute, tra cui due segnalazioni di aborti spontanei, e indicazioni di danni ambientali.

L’indagine approfondita, che ha comportato l’analisi di filmati di telefoni cellulari, droni e telecamere a circuito chiuso, dozzine di interviste con i residenti e l’analisi di esperti di munizioni e dinamica dei fluidi, ha utilizzato un modello in 3D del magazzino per determinare le circostanze dell’attacco.

È la prima pubblicazione da parte dell’unità investigativa di architettura forense della ONG palestinese per i diritti umani Al-Haq, una collaborazione unica nel suo genere in Medio Oriente con Forensic Architecture, un’agenzia di ricerca con sede presso la Goldsmiths University of London, che svolge analisi territoriali e dei media per le ONG e nei casi internazionali riguardanti i diritti umani.

Esperti legali hanno concluso in base alle risultanze di Al-Haq che, sebbene nell’attacco siano state usate armi convenzionali, il bombardamento del magazzino, con la consapevolezza della presenza all’interno di sostanze chimiche tossiche, equivale all’uso indiretto di armi chimiche. Tali atti sono chiaramente vietati… e perseguibili sulla base dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale”.

Chris Cobb-Smith, un esperto di munizioni, avrebbe affermato: Non c’è alcuna giustificazione militare per l’uso in quel luogo di [proiettili fumogeni avanzati]. Il loro impiego in un contesto urbano è intrinsecamente scorretto e inappropriato.

Duecentocinquantasei persone a Gaza e 14 in Israele sono morte nella guerra di 11 giorni del maggio dello scorso anno tra Israele e Hamas, il gruppo militante palestinese che controlla la striscia assediata. Al-Haq ha affermato che l’attacco al magazzino di Khudair è stato il primo di una serie di attacchi mirati deliberatamente alle infrastrutture economiche e industriali di Gaza, con il bombardamento sistematico di una mezza dozzina di altre fabbriche e magazzini.

Nel 2019 la Corte Penale Internazionale (CPI) ha aperto un’indagine su presumibili crimini di guerra da parte delle forze israeliane e dei militanti palestinesi in territorio palestinese. Israele contesta la giurisdizione della CPI.

Le IDF hanno dichiarato che l’anno scorso in risposta alla serie di attacchi di Hamas Israele ha “effettuato una serie di bombardamenti contro obiettivi militari legittimi nella Striscia di Gaza” durante quella che in Israele è nota come Operazione guardiano delle mura.

Le IDF prendono tutte le precauzioni possibili per evitare di danneggiare i civili durante l’attività operativa”, ha detto un portavoce, aggiungendo che “l’evento in questione” è stato oggetto di indagine da parte di un’inchiesta interna delle IDF “per esaminare se ci fossero deviazioni dalle regole vincolanti e operare necessarie modifiche sulla base delle lezioni apprese”.

Israa Khudair, 20 anni, che vive con il marito e due figli a 40 metri dal sito del magazzino agrochimico, ha subito un aborto spontaneo al quinto mese di gravidanza, otto settimane dopo l’attacco.

“Per mesi l’odore è stato insopportabile, come quello del motore di un’auto misto con olio bruciato, liquame e gas da cucina, quindi ovviamente sapevamo che poteva essere dannoso”, ha detto suo marito, Ihab, 26 anni.

Da allora ho avuto eruzioni cutanee come la maggior parte delle persone qui. Abbiamo lavato la casa cinque volte, insieme ai mobili, ma l’odore è rimasto. Era come un olio sui muri… alla fine in inverno la pioggia ne ha spazzato via gran parte dalle macerie del magazzino.

Ora siamo preoccupati per la nostra salute. Di recente uno dei miei cugini, che ha solo 19 anni, e anche mia zia, si sono ammalati di cancro e pensiamo che sia correlato a quello che è successo qui”.

I combattimenti dell’anno scorso hanno costituito il ​​terzo conflitto su vasta scala tra lo Stato israeliano e Hamas da quando il gruppo ha preso il controllo di Gaza nel 2007, dopo di che Israele ed Egitto hanno imposto un blocco punitivo. Da allora le infrastrutture idriche, fognarie ed elettriche della striscia sono quasi collassate, lasciando i 2 milioni di abitanti di Gaza impegnati ad affrontare crescenti livelli di inquinamento dell’aria,  del suolo e dell’acqua.

Anche Al-Haq, che opera a Gaza e in Cisgiordania, è stata attaccata dalle autorità israeliane: l’anno scorso la ONG è stata una delle sei principali organizzazioni della società civile e dei diritti umani che operano nei territori palestinesi occupati ad essere designate come organizzazioni terroristiche. La decisione è stata ampiamente condannata dalle Nazioni Unite, dai governi occidentali e da importanti organizzazioni internazionali come Amnesty International.

Rula Shadeed, la responsabile del dipartimento di monitoraggio e documentazione di Al-Haq, ha dichiarato: Senza la nostra documentazione professionale basata su standard giuridici [i palestinesi] non possono chiedere accertamenti di responsabilità e giustizia. L’introduzione di nuove metodologie per migliorare e completare la documentazione standard e la presentazione del nostro lavoro è molto importante.

“Siamo molto orgogliosi del fatto che, nonostante gli attacchi illegali e i tempi difficili che la società civile palestinese sta affrontando, riusciamo ancora a continuare e ad avanzare nel nostro lavoro, grazie alla nostra ferma convinzione nell’importanza di denunciare le violazioni contro il nostro popolo e di chiamare a rispondere i colpevoli”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il governo olandese interrompe il finanziamento di un’associazione della società civile palestinese

Zena Al Tahhan

6 gennaio 2022 – Al Jazeera

L’iniziativa giunge nonostante un’indagine esterna non abbia trovato prove delle accuse israeliane di “terrorismo” contro l’Union of Agricultural Work Committees

Ramallah, Cisgiordania occupata – Il governo olandese ha affermato che non finanzierà più una delle sei importanti organizzazioni palestinesi della società civile e dei diritti umani che Israele ha messo fuorilegge come “associazioni terroristiche” nell’ottobre 2021.

In un comunicato che denuncia la decisione di mercoledì, l’Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo] (UAWC), con sede a Ramallah, – di cui dal 2013 il governo olandese è stato il principale donatore– ha affermato che “questa è la prima volta che un governo interrompe i finanziamenti per la società civile palestinese sulla base di criteri politici.”

L’UAWC fornisce aiuto concreto ai palestinesi, anche recuperando terre a rischio di confisca da parte di Israele. Aiuta decine di migliaia di contadini nell’Area C, più del 60% della Cisgiordania occupata sotto diretto controllo militare israeliano e dove si trova la maggior parte delle illegali colonie israeliane e delle loro infrastrutture.

L’associazione afferma che prenderà in considerazione azioni legali per contrastare “la decisione dannosa e scorretta” del governo olandese che, ha avvertito, probabilmente “avrà ripercussioni ben oltre la nostra organizzazione.”

Nell’ottobre 2021 Israele ha messo fuorilegge sei associazioni in quanto “gruppi terroristici” con il pretesto che sarebbero affiliate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), di sinistra. La decisione è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e da organizzazioni per i diritti in quanto “ingiustificata” e “senza fondamento”, poiché il governo israeliano non ha fornito alcuna prova per sostenere le sue accuse.

La definizione israeliana mette in rapporto le sei associazioni con l’ala militare del FPLP, che è stata attiva come gruppo organizzato nella Seconda Intifada (2000-2005), quando ha effettuato attacchi contro obiettivi civili e militari israeliani.

Cinque associazioni sono palestinesi: il gruppo per i diritti dei prigionieri Addameer; l’associazione per i diritti Al-Haq; l’Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] (UPWC); il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo]; l’UAWC. La sesta è la sezione palestinese dell’organizzazione Defence for Children International [Difesa Internazionale dei Bambini], con sede a Ginevra.

Verifica esterna

La decisione del governo olandese ha fatto seguito a una sospensione di 18 mesi dei finanziamenti all’UAWC.

Nel luglio 2020, in seguito all’arresto di due collaboratori palestinesi dell’associazione, il ministero olandese del Commercio Estero e della Cooperazione per lo Sviluppo ha ordinato una verifica. Gli ormai ex-dipendenti sono accusati da Israele di essere stati responsabili nell’agosto 2019 di un attacco dinamitardo lungo una strada che ha ucciso una ragazza israeliana di 17 anni nei pressi della colonia illegale di Dolev, nella Cisgiordania occupata.

La verifica, condotta dall’associazione olandese Proximities Risk Consultancy [Consulenza di Priorità di Rischio], è iniziata nel febbraio 2021 ed ha riguardato il periodo tra il 2007 e il 2020, durante il quale l’UAWC ha ricevuto finanziamenti olandesi. I suoi risultati sono stati presentati mercoledì al parlamento olandese.

Mentre la verifica esterna ha affermato che i due ex-dipendenti hanno “ricevuto parte dei loro stipendi da spese generali finanziate dall’Olanda”, non sono state trovate prove di flussi finanziari tra l’UAWC e il FPLP né di legami tra l’UAWC e l’ala militare del FPLP. L’indagine ha anche affermato che non è stata trovata alcuna prova che personale o membri del consiglio di amministrazione abbiano utilizzato la propria posizione nell’organizzazione per organizzare attacchi armati.

Né è stata trovata alcuna prova di unità organizzativa tra l’UAWC e il FPLP o che il FPLP abbia fornito indicazioni all’UAWC,” afferma il rapporto di verifica, che ha trovato legami con i rami politici e civili del FPLP “a livello individuale tra il personale dell’UAWC e membri della direzione del FPLP.”

Proximities afferma che non si poteva pretendere che l’UAWC fosse al corrente di rapporti di singoli [dipendenti] con il FPLP,” continua il rapporto.

Colpo durissimo”

Nel suo comunicato di mercoledì l’UAWC afferma che la decisione “scioccante e sconvolgente” del governo olandese si è “basata su un certo numero di ‘rapporti di singoli’ che Proximities ha individuato – presunti collegamenti con il FPLP a titolo individuale di membri della direzione o del personale dell’UAWC.”

Evidenziando che “non può (e non vuole) interferire con le convinzioni e affiliazioni politiche personali dei propri dipendenti e membri della dirigenza,” l’UAWC afferma che la decisione legittima ed incoraggia “la strategia israeliana di attaccare le ong palestinesi” attraverso presunti legami politici delle persone che lavorano con esse.

Tutto ciò sta spostando l’attenzione internazionale dal furto e confisca di altra terra palestinese da parte di Israele e dalla sua brutale espulsione del popolo palestinese che vive sotto occupazione militare,” afferma l’UAWC.

Ryvka Barnard, vicedirettrice della Palestine Solidarity Campaign [Campagna di Solidarietà con la Palestina], con sede nel Regno Unito, ha definito l’iniziativa come “vergognosa” e ha affermato che “segna un precedente molto pericoloso” per le associazioni della società civile palestinese.

Con crescenti attacchi in tutto il mondo contro difensori della terra, popoli indigeni e contadini che producono per l’autoconsumo, la decisione del governo olandese di non finanziare più l’UAWC con queste false motivazioni è un gravissimo colpo e passerà alla storia come una vera battuta d’arresto nel progresso,” ha detto Barnard ad Al Jazeera. “Per decenni il lavoro di UAWC è stato fondamentale per appoggiare i contadini palestinesi nelle situazioni più vulnerabili, sottoposti a una terribile violenza dei coloni e a un’illegale furto di terre.”

Osservando che l’UAWC “ha fatto parte di un potente movimento per la sovranità alimentare in Palestina e a livello internazionale,” Barnard ha affermato che “queste sono le persone che ora più che mai dovremmo sostenere, e invece vengono attaccate.”

Martin Konecny, direttore di European Middle East Project [Progetto Europeo per il Medio Oriente], con sede in Belgio, ha affermato che la decisione è “assolutamente politica” e “non fondata su basi legali né su requisiti riguardanti la lotta al terrorismo”. Ha detto che la verifica contraddice la maggior parte delle affermazioni del governo israeliano.

Dal 1967 Israele ha messo fuorilegge più di 400 organizzazioni locali palestinesi e internazionali in quanto “ostili” o “illegali”, compresi tutti i principali partiti politici palestinesi, come Fatah, che governa l’Autorità Nazionale Palestinese, e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che raggruppa varie organizzazioni e con cui nel 1993 Israele firmò gli Accordi di Oslo.

Le autorità israeliane hanno imposto questa etichetta anche a decine di associazioni di beneficienza e mezzi di comunicazione in Palestina e l’hanno utilizzata per fare irruzione nei loro uffici, emettere ordini di chiusura, di arresto e di detenzione contro persone e processarle per un lavoro con cui esercitavano diritti civili e per aver criticato l’occupazione israeliana, considerata illegale in base alle leggi internazionali.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)