A Gerusalemme le scuole palestinesi scioperano contro i libri di testo imposti da Israele

Zena Al Tahhan

19 settembre 2022 – Al Jazeera

Centinaia di scuole palestinesi scioperano per protestare contro i tentativi israeliani di imporre i libri di testo israeliani.

Gerusalemme est occupata – Le scuole palestinesi nella Gerusalemme est occupata stanno facendo uno sciopero di protesta contro i tentativi del Comune israeliano di Gerusalemme di censurare e modificare i libri di testo palestinesi e di imporre a lezione un programma israeliano.

Lunedì mattina centinaia di scuole hanno chiuso i battenti come ultimo di una serie di recenti iniziative organizzate durante le scorse settimane dai genitori, che hanno incluso proteste e il rifiuto di insegnare sui libri di testo imposti da Israele.

Domenica, in un comunicato stampa congiunto, il comitato unitario dei genitori e del Forze Nazionali e Islamiche Palestinesi di Gerusalemme ha invocato uno sciopero generale e ha chiesto alle istituzioni internazionali un intervento per proteggere l’educazione palestinese.

Giornalisti e abitanti hanno condiviso decine di immagini di classi vuote e scuole chiuse il lunedì mattina.

Ziad al-Shamali, 56 anni, rappresentante del comitato unitario dei genitori, ha detto ad Al Jazeera che se i tentativi di Israele avranno successo, “controllerà l’educazione del 90% dei nostri studenti a Gerusalemme.”

Secondo al-Shamali a Gerusalemme ci sono più di 280 scuole palestinesi, con circa 115.000 studenti dall’asilo alle superiori. Egli sostiene che circa il 90-95% delle scuole sta scioperando.

Al-Shamali afferma che dall’inizio dell’anno Israele sta cercando di imporre una “versione distorta del programma dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP)” alle scuole private palestinesi.

“Lo stanno facendo con il pretesto che concedono l’accreditamento alle scuole private e che le finanziano,” dice al-Shamali, che vive nel quartiere di al-Tur nella Gerusalemme est occupata.

Le scuole per palestinesi che si trovano in città, gestite dal Comune, hanno già iniziato a insegnare la versione modificata del programma dell’ANP, prosegue, mentre le nuove scuole costruite dall’amministrazione comunale sono state obbligate ad adottare il programma israeliano.

“Ciò che sta preoccupando i genitori è che sono stati messi alle strette tra i programmi palestinesi modificati e quelli israeliani,” dice al-Shamali.

“È in corso un’israelizzazione dell’educazione palestinese,” continua, in corso dagli ultimi 10-12 anni, ma si è intensificata negli ultimi 3 anni.

“Ora stanno aggiungendo i loro contenuti come “Yossi è il vicino di Mohammed,” riguardo alle colonie, alla coesistenza,” dice al-Shamali. “Hanno giocato con i libri di testo in arabo, con la religione, la storia e ogni altro riferimento nazionale.”

Domenica notte sulle reti sociali sono stati condivisi video di abitanti che esponevano poster che dicevano “sciopero generale – sì al programma palestinese, no al programma modificato.”

In luglio le autorità israeliane hanno revocato l’accreditamento permanente a sei scuole palestinesi a Gerusalemme, sostenendo che i loro libri di testo incitano alla violenza contro lo Stato e l’esercito israeliani. Hanno avuto il permesso di restare aperte per un anno se il programma scolastico viene modificato.

La metà orientale di Gerusalemme venne occupata militarmente da Israele nel 1967 e annessa illegalmente. Circa 350.000 palestinesi attualmente vivono nella Gerusalemme est occupata, e 220.000 israeliani risiedono tra loro nelle colonie illegali.

Oggi l’86% della Gerusalemme est occupata è sotto il diretto controllo di Israele e dei coloni.

L’annessione di Gerusalemme Est non è riconosciuta da alcun Paese del mondo, salvo gli Stati Uniti, in quanto viola le leggi internazionali che stabiliscono che una potenza occupante non ha sovranità sui territori che occupa.

Nel 2009 l’amministrazione comunale di Gerusalemme ha adottato un piano generale “per guidare e delineare lo sviluppo della città nei prossimi decenni.” L’idea, come affermato nel progetto, è di creare una maggioranza demografica ebraica in modo che gli ebrei israeliani rappresentino il 70% della città e i palestinesi solo il 30%. Questo rapporto è stato in seguito modificato a 60% contro 40%.

Al-Shamali afferma che il comitato dei genitori sta progettando di continuare a protestare o intensificare le iniziative se le sue richieste non saranno accolte o se le autorità israeliane inizieranno a imporre con la forza i libri di testo modificati.

“È probabile che continueremo con lo sciopero e lo inaspriremo,” afferma. “Continueremo anche con le nostre proteste davanti alle scuole e chiederemo alle istituzioni internazionali di intervenire.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Le mutevoli narrazioni di Israele riguardo all’uccisione di Shireen Abu Akleh

Redazione di Al Jazeera

6 settembre 2022 – Al Jazeera

Dopo aver cambiato varie volte la sua versione, Israele ora ha concluso che è “molto probabile” che uno dei suoi soldati abbia ucciso Shireen Abu Akleh.

La versione del governo e dell’esercito israeliani sull’uccisione l’11 maggio scorso di Shireen Abu Akleh, la nota giornalista palestinese di Al Jazeera, è cambiata varie volte nei mesi scorsi.

Testimoni, tra cui giornalisti di Al Jazeera, hanno subito detto che le forze israeliane erano responsabili della sparatoria a Jenin, un’affermazione confermata da numerose indagini da parte di mezzi di comunicazione, organizzazioni per i diritti umani e delle Nazioni Unite.

Eppure Israele ha cercato di eludere ogni responsabilità, finché lunedì ha annunciato che un’indagine militare ha definito “molto probabile” che uno dei suoi soldati abbia sparato il proiettile che ha ucciso Abu Akleh. Tuttavia l’esercito ha escluso ulteriori indagini, affermando di non aver riscontrato alcun sospetto di un reato penalmente perseguibile.

Questa posizione segna un cambiamento rispetto alle precedenti narrazioni israeliane riguardo all’omicidio, come dicono le molte e diverse versioni date su quanto avvenuto.

Ecco la cronologia della mutevole narrazione di Israele.

Sono stati i palestinesi”

Subito dopo l’uccisione di Abu Akleh il ministero degli Esteri israeliano e il primo ministro Naftali Bennett hanno puntato il dito contro i combattenti palestinesi come i “probabili” responsabili.

“Secondo le informazioni che abbiamo raccolto sembra probabile che palestinesi armati che in quel momento stavano sparando all’impazzata siano stati responsabili della sfortunata morte della giornalista,” ha twittato Bennett.

Per sostenere queste affermazioni l’ufficio del primo ministro ha persino twittato un video di palestinesi armati che sparavano nel campo profughi. Il video è stato smentito dopo poche ore dall’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem che ha affermato che gli uomini armati si trovavano in tutt’altro posto del campo e che nessun combattente palestinese si trovava nei pressi del luogo in cui Abu Akleh e i suoi colleghi si erano riuniti.

Poi Israele ha offerto di condurre un’indagine congiunta sull’omicidio con l’Autorità Nazionale Palestinese, che quest’ultima ha nettamente rifiutato.

Basta accusare Israele”

Il giorno seguente, il 12 maggio, il governo ha reso pubblico un comunicato in cui denunciava “affrettate” accuse secondo cui un suo soldato sarebbe stato responsabile dell’uccisione come “menzognere e irresponsabili”.

Potrebbe essere stato Israele”

Il 13 maggio Israele ha affermato che, dopo le sue prime indagini sulla sparatoria, era possibile che il proiettile che ha ucciso Abu Akleh fosse stato sparato da un soldato israeliano che aveva aperto il fuoco contro un palestinese armato che si trovava vicino a lei.

“Il palestinese armato ha sparato molteplici raffiche di arma da fuoco contro il soldato delle IDF [Forzedi Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] e c’è la possibilità che Abu Akleh, che si trovava vicino al palestinese armato alle sue spalle, sia stata colpita dal fuoco sparato dal soldato verso il palestinese armato,” ha sostenuto un comunicato dell’esercito.

I colleghi di Abu Akleh che si trovavano con lei, così come molteplici indagini, hanno ripetutamente sottolineato che al momento della sua uccisione non c’erano nei pressi combattenti palestinesi.

Abbiamo l’arma che potrebbe aver ucciso Abu Akleh”

Il 19 maggio l’esercito israeliano ha affermato di aver identificato il fucile di un soldato che “potrebbe aver ucciso” Abu Akleh, ma ha detto di non esserne sicuro finché i palestinesi non avessero consegnato il proiettile perché venisse analizzato.

Una fonte ufficiale israeliana ha affermato: “Abbiamo in nostro possesso l’arma (dell’esercito israeliano) che potrebbe essere coinvolta nello scambio a fuoco vicino a Shireen”, ma ha sottolineato che non era chiaro da dove sia provenuto lo sparo.

È molto probabile” che sia stato Israele

Il 5 settembre Israele ha annunciato i risultati della sua inchiesta militare e ha affermato che è “molto probabile” che Abu Akleh sia stata “colpita accidentalmente” dal fuoco dell’esercito israeliano. Tuttavia non verrà avviata alcuna indagine penale.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Archiviato il caso dei palestinesi accusati di aver aggredito la polizia israeliana

Redazione di Al Jazeera

22 agosto 2022 – Al Jazeera

Un video mostra che due palestinesi erano stati aggrediti dalla polizia israeliana e obbliga l’accusa a rinunciare al caso.

Gerusalemme est occupata – Due palestinesi accusati di aver aggredito poliziotti israeliani non verranno imputati dopo che una prova video ha dimostrato che in realtà erano stati loro gli aggrediti. Una delle vittime, il cinquantaseienne Mohammad Abu al-Hommos, un attivista politico della Gerusalemme occupata, ha affermato che il pubblico ministero ha chiuso la causa all’inizio di agosto, anche se i dettagli del caso sono stati resi noti solo ora dai media israeliani.

Tre mesi fa, quando ci hanno imputati, siamo stati sorpresi,” dice Abu al-Hommos ad Al Jazeera. “Abbiamo risposto entro il periodo consentito di 30 giorni. Loro sono rimasti sorpresi quando il nostro avvocato ha fatto riferimento ai video che dimostrano che siamo stati noi ad essere stati aggrediti dalla polizia, e hanno ritirato le accuse.”

Immagini della notte dell’incidente nel novembre 2019 dimostrano che i due uomini sono stati brutalmente picchiati dalla polizia durante un’incursione israeliana nel loro quartiere, al-Issawiya, nella Gerusalemme est occupata.

Nel video si vedono Abu al-Hommos e suo nipote, il trentaseienne Adam Masri, che chiedono agli agenti di polizia di non parcheggiare nel loro posto auto privato, ma poi vengono aggrediti dai poliziotti.

Quel giorno c’era una festa di famiglia, nella zona c’erano molti miei parenti. Stavo filmando l’incursione con un gruppo di giornalisti stranieri ed ebrei,” afferma Abual-Hommos.

Appena abbiamo detto loro di non parcheggiare lì, hanno iniziato ad aggredirci. Hanno arrestato Adam, che ha avuto il volto pieno di lividi, e un altro mio nipote, e poi li hanno rilasciati. Abbiamo presentato una denuncia alle autorità, ma inutilmente,” continua.

Durante l’aggressione Masri ha perso conoscenza, mentre Abu al-Hommos è stato ricoverato in ospedale, dice quest’ultimo.

Domenica il quotidiano israeliano Haaretz ha informato che la procura aveva preparato un atto d’accusa senza aver visionato i video o aver tenuto conto delle testimonianze degli agenti coinvolti nell’incidente, che contraddicevano il rapporto ufficiale della polizia.

Secondo Haaretz, dopo che all’inizio del procedimento giudiziario è stata sollevata la questione di potenziali irregolarità nel comportamento della polizia, i giudici incaricati del procedimento a hanno ordinato che il caso venisse portato all’attenzione dell’unità del ministero della Giustizia incaricata di indagare gli abusi della polizia. La causa contro gli agenti è stata archiviata per insufficienza di prove.

Le autorità israeliane hanno visionato le prove video solo dopo che gli avvocati dei due uomini hanno inviato una lettera evidenziando le contraddizioni tra il video e le accuse presenti nel verbale.

L’atto di accusa contro i due uomini afferma che essi hanno attaccato gli agenti di polizia e impedito loro di bloccare la strada, arrivando fino a sostenere che gli uomini avevano colpito e preso a morsi i poliziotti.

Le immagini mostrano chiaramente che sono stati i palestinesi ad essere stati aggrediti.

Dopo un’ulteriore analisi delle argomentazioni nel loro insieme e delle prove, si è deciso di non avviare un procedimento giudiziario contro di loro e di chiudere la pratica,” ha affermato l’ufficio del pubblico ministero in una dichiarazione ad Haaretz.

Abu al-Hommos sostiene di essere stato spesso oggetto della violenza della polizia israeliana in conseguenza del suo attivismo nella Gerusalemme est occupata e che la causa è una prova delle false accuse che sono sollevate dalle autorità israeliane contro i palestinesi.

Questa è una delle centinaia di cause contro palestinesi di Gerusalemme create ad arte per accusare sempre i palestinesi delle violenze,” afferma. “Questa volta non ci sono riusciti.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele chiude alcune ong e uccide un palestinese nella Cisgiordania occupata

Zena Al Tahhan

18 agosto 2022 – Al Jazeera

Forze israeliane colpiscono a morte un palestinese a Nablus e chiudono gli uffici di sette organizzazioni della società civile.

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’esercito israeliano ha chiuso varie organizzazioni della società civile palestinese in Cisgiordania poche ore dopo che un palestinese era stato colpito a morte durante scontri armati scoppiati in seguito a un’incursione israeliana nella città di Nablus, a nord della Cisgiordania occupata.

Secondo Wafa, l’agenzia di notizie ufficiale [palestinese, ndt.], il giovane ucciso giovedì è stato identificato come il ventenne Waseem Nasr Khalifa, del campo profughi di Balata nella periferia della città di Nablus.

L’esercito afferma che le forze israeliane hanno fatto irruzione a Nablus poco dopo mezzanotte per garantire l’ingresso di coloni ebrei nel sito sensibile della [presunta, ndt.] Tomba di Giuseppe, a est di Nablus.

Durante il raid sono scoppiati violenti scontri a fuoco con combattenti palestinesi. Almeno altri quattro palestinesi, tre dei quali pare siano in condizioni critiche, sono rimasti feriti con proiettili veri.

L’esercito israeliano ha affermato che Khalifa era armato e stava sparando ai soldati, un’affermazione negata dai palestinesi.

In un altro incidente, giovedì all’alba un consistente contingente militare israeliano ha fatto irruzione nella città di Ramallah, nella zona centrale della Cisgiordania occupata.

Le forze israeliane sono entrate negli uffici di sette associazioni della società civile e per i diritti umani e le hanno chiuse.

Sei di queste associazioni nell’ottobre 2021 sono state messe fuorilegge da Israele in quanto organizzazioni “terroriste” e accusate di legami con il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP) [storico gruppo marxista della resistenza armata palestinese, ndt.].

Esse includono Addameer Prisoner Support and Human Rights Association [Associazione Addameer per il sostegno e i diritti umani dei prigionieri], Al-Haq per i diritti umani, the Union of Palestinian Women Committees (UPWC) [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi], the Union of Agricultural Work Committees (UAWC) [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo], the Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo] e la sezione palestinese dell’associazione con sede a Ginevra Defence for Children International [Protezione Internazionale dei Minorenni].

La settima organizzazione in cui è avvenuta l’incursione è l’Union of Health Work Committees (UHWC) [Unione dei Comitati per la Salute Pubblica].

Gli uffici delle associazioni sono stati messi a soqquadro e le loro attrezzature sono state confiscate. Le porte sono state sigillate e vi è stato affisso un ordine militare israeliano che dichiara “illegali” le associazioni.

Mazen Rantisi, capo del comitato direttivo dell’UHWC, che dirige vari ospedali e decine di ambulatori in tutta la Cisgiordania occupata, ha affermato che le chiusure sono parte di una consolidata politica israeliana. “Hanno fatto irruzione nei nostri uffici all’alba, hanno sfondato le porte, preso documenti e computer, stiamo ancora verificando quello che è stato portato via. Hanno devastato i locali e hanno sigillato le porte con un saldatore,” racconta Rantisi ad Al Jazeera.

“Abbiamo trovato un documento scritto solo in ebraico affisso sulla porta in cui si dice che questa è un’associazione chiusa, dove non possiamo entrare, senza specificare per quanto tempo.”

La chiusura significa che in base alla legge militare israeliana è illegale che i dipendenti entrino nei loro uffici. “Lo scopo è ostacolare la società civile in modo che non possa svilupparsi, è parte della distruzione della società palestinese e per far sentire le persone sconfitte,” afferma Rantisi.

“Ciò avrà decisamente un impatto sui servizi che offriamo, ma troveremo il modo per continuare il nostro lavoro.”

Su Twitter l’associazione per i diritti dei detenuti Addameer ha affermato che l’esercito ha lasciato un’ordinanza che dichiara l’organizzazione “chiusa con la forza in nome della sicurezza nella regione e per combattere le infrastrutture del terrorismo.”

“Questo è un attacco sconvolgente contro il nostro necessario lavoro per i diritti umani,” afferma l’organizzazione.

Le associazioni portano avanti un lavoro critico per i diritti umani nella Cisgiordania occupata, anche fornendo aiuto legale ai detenuti, documentando le violazioni israeliane dei diritti umani, svolgendo attività di sostegno locale e internazionale e lavorando con la Corte Penale Internazionale (CPI) e le Nazioni Unite.

Le organizzazioni prese di mira hanno convocato per giovedì a mezzogiorno un presidio di fronte agli uffici di Al-Haq nel centro di Ramallah per protestare contro le incursioni e la chiusura dei loro uffici.

La definizione israeliana di queste organizzazioni [come gruppi terroristici, ndt.] nell’ottobre 2021 è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e dalle associazioni per i diritti umani in quanto “ingiustificata” e “senza fondamento”.

Nessuna prova è stata trovata o fornita dal governo israeliano per sostenere le sue accuse riguardanti le sei organizzazioni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Reportage: Israele ammette la responsabilità del raid contro Gaza che ha ucciso dei minorenni

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Contraddicendo le prime affermazioni, fonti ufficiali hanno detto al quotidiano Haaretz che Israele è responsabile del l’attacco del 7 agosto nei pressi del campo rifugiati di Jabalia.

Secondo un nuovo reportage, contraddicendo precedenti dichiarazioni fatte a media locali da importanti funzionari militari, fonti ufficiali della difesa israeliana hanno confermato che durante l’attacco di inizio agosto un raid israeliano contro un cimitero di Gaza ha ucciso cinque minorenni palestinesi.

Varie fonti della difesa hanno detto al quotidiano Haaretz che un’indagine dell’esercito sull’attacco del 7 agosto ha concluso che cinque minori – Jamil Najm al-Deen Naijm, 4 anni, Jamil Ihab Najim, 13, Mohammad Naijm e Hamed Naijm, 17, e Nazmi Abu Karsh, 15 anni – sono stati uccisi da un raid aereo israeliano contro il cimitero di Al-Faluja, nei pressi del campo profughi di Jabalia nel nord della Striscia di Gaza.

All’indomani dell’attacco, avvenuto durante l’aggressione israeliana di tre giorni dal 6 all’8 agosto contro l’enclave assediata, alcuni ufficiali israeliani avevano detto ad Haaretz che probabilmente le morti erano state causate da un razzo della Jihad Islamica fuori traiettoria.

L’esercito non ha pubblicamente assunto la responsabilità delle morti e non ha risposto a una richiesta di commenti sull’ultimo resoconto da parte di Al Jazeera.

Martedì, qualche ora dopo la pubblicazione del reportage di Haaretz, la famiglia Najim ha tenuto una veglia presso il cimitero di Gaza e ha chiesto che Israele risponda di queste accuse davanti alla Corte Penale Internazionale. Quattro minori della famiglia sono rimasti uccisi nel raid.

Decine di persone hanno partecipato all’evento, e alcuni dei presenti hanno esposto cartelli che dicevano: “I nostri figli hanno il diritto di vivere in pace e sicurezza.”

Ihab Najim, padre di quattro dei minori uccisi nell’attacco, ha detto ad Al Jazeera che la famiglia era sicura che Israele fosse responsabile della morte dei figli dopo aver sentito i racconti di testimoni oculari.

“I nostri figli erano giovani innocenti, e si trovavano nel cimitero davanti a casa nostra in visita alla tomba del nonno. Sono stati uccisi a sangue freddo. Chiediamo a tutti i partiti di stare dalla nostra parte e sostenere la causa dei nostri figli presso i tribunali internazionali.”

“Per noi l’ammissione di responsabilità di Israele non è una notizia,” ha aggiunto. “Era chiaro fin dal primo momento in cui i nostri quattro figli e quello dei nostri vicini sono stati uccisi che il missile era israeliano, secondo i testimoni oculari.”

In un altro incidente avvenuto il giorno prima dell’attacco al cimitero l’esercito israeliano aveva subito incolpato il Jihad islamico dopo che otto persone, tra cui minorenni, erano stati uccisi in un’esplosione nel campo profughi di Jabalia.

L’esercito israeliano aveva affermato di non aver effettuato nessun bombardamento al momento dell’attacco, e in seguito ha reso pubblico un filmato in cui si vedevano vari razzi lanciati da Gaza, uno dei quali caduto troppo presto a metà volo.

Dei 49 palestinesi uccisi nell’attacco di tre giorni, descritto da Israele come un’“operazione preventiva” in seguito all’arresto il giorno prima di un dirigente della Jihad islamica nella Cisgiordania occupata, i minorenni sono stati 17.

Parlando con Al Jazeera dopo le uccisioni del 7 agosto, la madre di Hamed Najim ha segnalato che l’attacco è arrivato a poche ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, che è stato in seguito rispettato.

“Solo due ore prima che venisse annunciata la tregua lui mi ha detto che sarebbe uscito per cinque minuti con i suoi cugini,” ha affermato. “Passato qualche minuto abbiamo sentito un’esplosione. Siamo corsi fuori per cercare mio figlio e i suoi tre cugini. Erano tutti ridotti in pezzi.”

Il Norwegian Refugee Council [Consiglio Norvegese per i Rifugiati, ong indipendente che si occupa dei diritti dei profughi, ndt.] ha affermato che prima della morte tre dei ragazzini uccisi nell’attacco stavano seguendo una terapia per i traumi subiti.

Secondo i dati raccolti dal Norwegian Refugee Council, dal 2000, anno d’inizio della Seconda Intifada, almeno 2.200 minori sono stati uccisi dall’esercito e da coloni israeliani nei Territori Palestinesi Occupati.

Maram Humaid ha contribuito a questo reportage da Gaza.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Palestinese in sciopero della fame si appellerà alla Corte Suprema israeliana

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh continua uno sciopero della fame durato 165 giorni contro la sua detenzione senza accuse né processo

Secondo la sua legale, il prigioniero palestinese in sciopero della fame Khalil Awawdeh si appellerà alla Corte Suprema israeliana contro la sua detenzione dopo che un tribunale militare israeliano ha respinto una richiesta di rilascio per problemi di salute.

Awawdeh – che secondo la sua famiglia è in sciopero della fame per protesta da 165 giorni – sta contestando il fatto di essere detenuto senza accuse né processo in base a quella che Israele definisce “detenzione amministrativa”.

L’avvocatessa Ahlam Haddad sostiene che la salute del suo cliente sta peggiorando e di aver chiesto che venga rilasciato.

“A quest’uomo non è stata fatta giustizia,” ha detto Haddad riguardo alla sentenza del tribunale militare israeliano. “Ci rivolgiamo alla… Corte Suprema di Gerusalemme per ottenere forse la giusta soluzione, cioè il suo rilascio dalla detenzione amministrativa.”

Awawdeh, quarantenne con quattro figli, è uno dei numerosi prigionieri palestinesi in prolungato sciopero della fame che nel corso degli anni hanno protestato contro la detenzione amministrativa.

Israele sostiene che questa politica contribuisce a mantenere le strade sicure e consente al governo israeliano di detenere i sospettati senza divulgare informazioni di intelligence riservate.

Chi lo critica afferma che questo modo di agire nega il giusto processo ai prigionieri palestinesi.

Israele sostiene che Awawdeh è membro di un gruppo armato, un’accusa che tramite la sua avvocatessa egli ha strenuamente respinto.

Miliziani palestinesi del Jihad Islamico hanno chiesto il rilascio di Awawdeh come parte di un accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto che ha posto fine all’attacco di tre giorni contro la Striscia di Gaza assediata da parte di forze israeliane all’inizio di questo mese. L’organizzazione non lo ha riconosciuto come un suo membro.

Israele attualmente tiene in carcere circa 4.450 prigionieri palestinesi.

Al momento sono in detenzione amministrativa circa 670 palestinesi, un numero in aumento in marzo quando Israele ha iniziato a effettuare retate quasi ogni sera nella Cisgiordania occupata.

Secondo gli ultimi dati resi pubblici dall’associazione per i diritti dei detenuti Addameer, delle migliaia di palestinesi nelle prigioni israeliane 175 sono minorenni e 27 sono donne.

Haddad ha affermato che, secondo la sua famiglia, durante lo sciopero della fame il suo cliente non ha mai mangiato, salvo che in un periodo di 10 giorni in cui ha ricevuto iniezioni di vitamine.

Il servizio di sicurezza interna israeliano Shin Bet non ha fatto commenti sul suo caso.

Israele ha affermato che la detenzione amministrativa garantisce un giusto processo e imprigiona principalmente chi minaccia la sua sicurezza, benché un piccolo numero di prigionieri sia composto da detenuti per reati minori.

I palestinesi e le associazioni per i diritti umani affermano che il sistema è inteso a reprimere l’opposizione all’occupazione militare israeliana delle loro terre durata 55 anni e che non accenna a finire.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La relatrice speciale per l’ONU afferma che gli attacchi israeliani su Gaza sono “illegali”.

Redazione Al Jazeera

7 agosto 2022 – Al Jazeera

Francesca Albanese chiede alle Nazioni Unite di indagare se Israele abbia violato il diritto internazionale e di accertare le responsabilità.

La relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati afferma che i raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza assediata “non solo sono illegali, ma irresponsabili”, invocando una soluzione diplomatica all’ultimo scoppio di violenza iniziato venerdì, quando Israele ha lanciato gli attacchi aerei su Gaza City.

La situazione a Gaza è sull’orlo di una crisi umanitaria”, ha detto Francesca Albanese ad Al Jazeera.

Il solo modo per garantire il benessere dei palestinesi ovunque siano è togliere l’assedio e permettere l’ingresso degli aiuti”.

Israele ha definito l’attacco come azione “preventiva” di autodifesa contro il gruppo della Jihad Islamica palestinese e ha detto che l’operazione sarebbe durata una settimana.

Albanese ha esecrato gli Stati Uniti per aver detto di ritenere che Israele aveva il diritto di difendersi. “Israele non può sostenere che si sta difendendo in questo conflitto”, ha detto Albanese.

L’ambasciatore statunitense in Israele, Tom Nides, venerdì ha scritto su twitter: “Gli Stati Uniti credono fermamente che Israele abbia il diritto di proteggersi. Ci stiamo impegnando con le diverse parti e invitiamo tutti alla calma.”

La sua posizione è stata ripresa dalla Ministra degli Esteri britannica Liz Truss, che ha detto che il Regno Unito “sta dalla parte di Israele e del suo diritto a difendersi” e ha condannato i gruppi terroristi che sparano ai civili e la violenza che ha provocato vittime da entrambe le parti.”

A partire da venerdì a Gaza sono stati uccisi almeno 31 palestinesi e 260 sono stati feriti. A sabato non sono stati riferiti feriti gravi dal lato israeliano, in quanto secondo l’esercito il sistema di difesa Iron Dome ha intercettato il 97% dei razzi lanciati dalla striscia assediata.

La protezione è ciò che ho chiesto in Palestina e non solo io. È necessario…proteggere le vite dei civili”, ha detto Albanese. “Non è possibile che Israele si stia difendendo dai civili dal 1967.”

La relatrice speciale, che è un’esperta indipendente responsabile del monitoraggio delle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati e di riferirne all’ONU, ha chiesto all’ente internazionale di accertare se a Gaza sia stato violato il diritto internazionale e di garantire l’attribuzione delle responsabilità.

Ritengo che la mancanza di attribuzione di responsabilità rafforzi Israele”, ha detto Albanese. “Vedo come soluzione la fine dell’occupazione.”

Una commissione di inchiesta indipendente istituita dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU dopo la brutale guerra contro Gaza nel maggio 2021 ha affermato che Israele deve fare di più che “porre semplicemente fine all’occupazione” della terra che i dirigenti palestinesi esigono per un futuro Stato.

Di per sé la fine dell’occupazione non sarà sufficiente”, conclude il rapporto pubblicato a giugno. Aggiunge che devono essere prese misure per assicurare un uguale godimento dei diritti umani per i palestinesi.

Tuttavia fornisce prove che Israele “non ha intenzione di porre termine all’occupazione”, ma al contrario persegue il “completo controllo” dei territori occupati nel 1967.

La commissione conclude che il governo israeliano “ha agito in modo da alterare la demografia tramite il mantenimento di un contesto repressivo per i palestinesi e favorevole ai coloni israeliani.”

Gli USA hanno lasciato il Consiglio (per i Diritti Umani) nel 2018 imputando “un cronico pregiudizio” contro Israele e vi sono pienamente rientrati solo quest’anno.

Nel maggio 2021 un’offensiva militare durata 11 giorni contro Gaza ha ucciso oltre 260 palestinesi e ne ha feriti più di 2.000. In Israele sono state uccise 13 persone.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Politica USA su Israele-Palestina: cosa (non) è cambiato con Biden

In occasione del viaggio di Joe Biden in Israele e Palestina Al Jazeera ha paragonato le sue politiche alle strategie di Donald Trump.

Ali Harb

12 luglio 2022 – Al Jazeera

Il presidente Joe Biden, che si definisce sionista, è spesso citato dai suoi più importanti consiglieri per aver detto che se non ci fosse Israele gli Stati Uniti dovrebbero inventarne uno.

Così, quando è salito alla Casa Bianca, i difensori dei diritti umani palestinesi e gli elettori arabo-americani che l’avevano sostenuto, non nutrivano grandi aspettative di cambiamento sotto la sua guida circa la posizione USA verso Israele.

Comunque, fra le promesse durante la campagna di Biden e quelle degli inizi della sua presidenza di portare avanti una politica estera incentrata sui diritti umani, molti avevano sperato che il presidente avrebbe almeno ribaltato alcune delle decisioni del suo predecessore Donald Trump che avevano ulteriormente allineato gli USA con Israele.

Ma i difensori dei diritti umani sostengono che fino ad ora il presidente democratico non sia riuscito ad adempiere neppure alle sue modeste promesse ai palestinesi e che al momento la posizione USA sia più simile a quella che aveva con Trump che con Barack Obama.

Mentre Biden viaggia verso Israele per la prima volta da quando è presidente, Al Jazeera esamina quali delle politiche di Trump sono state cambiate da Biden e quali sono rimaste immutate.

Ambasciata USA a Gerusalemme

Di tutti i cambiamenti a favore di Israele delle politiche di Trump, trasferire l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme è stata forse la più gravida di conseguenze. La decisione del 2018 ha dato un appoggio concreto degli USA alle rivendicazioni di Israele sull’intera città santa come sua capitale.

Israele ha annesso illegalmente Gerusalemme Est nel 1980 dopo averla conquistata nel 1967.

Mentre i palestinesi esprimevano la propria indignazione contro la decisione e le Nazioni Unite la dichiaravano a grandissima maggioranza “nulla e senza effetto legale”, a Washington venne approvata da politici di entrambi i partiti.

In vista dello spostamento dell’ambasciata e in presenza di una debole reazione araba Trump dichiarò Gerusalemme “fuori discussione”.

Biden non ha mai preso seriamente in considerazione l’idea di riportare l’ambasciata a Tel Aviv. Gli USA sotto la sua amministrazione hanno trattato Gerusalemme come se fosse la capitale di Israele, usando allo stesso tempo un linguaggio ambiguo per descrivere la propria visione di Gerusalemme Est.

Per esempio, il rapporto annuale sui diritti umani redatta dal Dipartimento di Stato USA include Gerusalemme Est nella sezione riguardante Israele. Ma aggiunge in una postilla: “Con il linguaggio usato in questo rapporto non si vuole prendere posizione su nessuno dei temi relativi all’assetto finale oggetto del negoziato fra le parti del conflitto, incluso quello dei confini specifici della sovranità israeliana a Gerusalemme o dei confini tra Israele e qualsiasi futuro Stato palestinese.”

Il consolato per i palestinesi di Gerusalemme

Nel 2019 Trump ha chiuso il consolato per gli affari palestinesi a Gerusalemme e trasferito le sue funzioni all’ambasciata israeliana nella Città Santa.

La decisione recide i legami con i palestinesi ed esplicita la bocciatura USA delle loro rivendicazioni su Gerusalemme.

Da candidato Biden aveva promesso di riaprire il consolato, ma, a oltre un anno e mezzo dall’inizio della sua amministrazione, lo spostamento non si è materializzato.

Mentre i funzionari USA dicono di essere ancora interessati a ristabilire la sede diplomatica, Biden e i suoi più importanti collaboratori sono riluttanti a scontrarsi pubblicamente con Israele, che si oppone alla riapertura del consolato.

“Da presidente Biden farà immediatamente dei passi per ripristinare l’assistenza economica e umanitaria al popolo palestinese, in conformità con la legislazione USA, inclusa l’assistenza ai rifugiati, operando per affrontare l’attuale crisi umanitaria a Gaza e per riaprire il consolato USA a Gerusalemme Est, e lavorerà per riaprire la missione diplomatica palestinese a Washington,” disse Biden durante la sua campagna davanti a una tribuna di elettori arabo americani nel 2020.

La missione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina a Washington, chiusa da Trump nel 2018, non è stata riaperta neppure da Biden a causa di pressioni interne bipartisan contro la decisione.

Colonie

Da candidato Biden aveva promesso di opporsi all’annessione ed espansione delle colonie. E in contrasto con Trump, che non si era mai pubblicamente opposto alle azioni israeliani, l’amministrazione Biden ha occasionalmente criticato a voce l’approvazione di nuove colonie nella Cisgiordania occupata.

Ma tali smorzate critiche spesso sono contenute in vaghe dichiarazioni che stabiliscono paralleli fra le azioni israeliane e quelle palestinesi affermando che gli USA disapprovano un’escalation da entrambe le parti.

Lo scorso ottobre Ned Price, portavoce del Dipartimento di Stat USA, in una rara occasione era stato esplicito nella critica di Israele dopo il suo annuncio di un piano su grande scala di espansione delle colonie.

“Noi ci opponiamo fermamente all’espansione delle colonie che è totalmente in contrasto con i tentativi di diminuire le tensioni e garantire la calma,” aveva detto Price in quell’occasione.

Ma quel linguaggio diretto è rapidamente svanito.

La scorsa settimana è stato chiesto a Price se gli USA avessero fatto pressione su Israele per porre fine al progetto di una colonia che avrebbe separato le comunità palestinesi in Cisgiordania da quelle a Gerusalemme Est e ha detto: “Noi abbiamo dialogato regolarmente con entrambe le parti per incoraggiarle a non compiere passi che avrebbero esacerbato le tensioni a questo proposito, in caso in cui qualcosa del genere allontani ulteriormente la soluzione dei due Stati.”

La scorsa settimana Maya Berry, direttrice esecutiva dell’Arab American Institute (AAI), un think-tank con sede a Washington, ha detto ad Al Jazeera che l’amministrazione continua a trovare eccezioni per giustificare le violenze israeliane contro i palestinesi.

“È la continuazione di un approccio politicizzato,” ha detto delle politiche di Biden sul conflitto.

“Che si tratti dell’amministrazione Biden o di specifici membri del Congresso, essi stanno facendo di Israele un’eccezione. Non si permetterebbe a nessun altro Paese di fare quello che fa Israele senza che debba affrontare conseguenze politiche sulla scena internazionale. E il protettore principale a questo riguardo sono gli Stati Uniti.”

Aiuti a Israele

Nonostante le crescenti richieste di porre condizioni o restrizioni agli aiuti USA a Israele, Biden in realtà ha  incrementato l’assistenza di Washington al suo principale alleato nella regione rispetto ai tempi di Obama e Trump.

Israele riceve annualmente 3,8 miliardi di dollari in assistenza e quest’anno ha ottenuto un miliardo di dollari extra per “ripristinare Iron Dome [“Cupola di Ferro”], il sistema antimissilistico di difesa, dopo la guerra a Gaza nel maggio 2021.

In un editoriale del Washington Post uscito la scorsa settimana Biden si è dichiarato orgoglioso di aver approvato “il più massiccio pacchetto di aiuti per Israele” della storia.

Aiuti ai palestinesi

Mentre Trump aveva praticamente posto fine a tutti gli aiuti USA ai palestinesi, tagliando completamente i fondi all’United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees [Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi nel Vicino Oriente] (UNRWA), Biden ha rinnovato parte di quegli aiuti.

Biden ha detto che, dall’insediamento nel 2021, la sua amministrazione ha ripristinato 500 milioni di dollari di aiuti ai palestinesi, inclusi dei fondi per l’UNRWA che nell’era Obama aveva ricevuto annualmente circa 350 milioni di dollari.

Normalizzazione

L’amministrazione Biden è totalmente impegnata nello sforzo di normalizzazione fra Israele e i Paesi arabi iniziato con Trump e noto come gli Accordi di Abramo.

Il Dipartimento di Stato dice che la normalizzazione arabo-israeliana non soddisfa la necessità di pace fra Israele e i palestinesi. Ma gli analisti dicono che Biden ha difeso quella stessa normalizzazione dell’era Trump che ha ignorato i palestinesi.

Infatti, prima del suo viaggio in Medio Oriente, Biden ha ripetutamente citato la normalizzazione come motivo della sua visita.

“Parte dello scopo del viaggio in Medio Oriente è approfondire l’integrazione di Israele nella regione, cosa che io penso saremo in grado di fare e che è un bene per la pace e per la sicurezza di Israele. Ecco anche spiegato il motivo per cui i leader di Israele hanno fortemente approvato la mia visita in Arabia  Saudita,” ha detto Biden lo scorso mese.

Le alture di Golan

Quando Trump aveva riconosciuto la sovranità israeliana sulle alture di Golan siriane occupate, molti esperti di diritto internazionale segnalarono che la decisione avrebbe minato il divieto di acquisire territori con la forza.

Sebbene Biden stia caldeggiando il concetto di integrità territoriale in Ucraina, la sua amministrazione ha confermato l’appartenenza ad Israele delle alture di Golan.

Anche se il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha in precedenza usato un linguaggio ambiguo per descrivere il territorio siriano, dall’insediamento di Biden nessun cambiamento delle politiche USA sul tema è mai stato annunciato.

“Le politiche statunitensi riguardo al Golan non sono cambiate e affermazioni contrarie sono false,” ha detto l’anno scorso su Twitter l’Ufficio per gli affari del Medio Oriente del Dipartimento di Stato.

Legami con i palestinesi

Se Trump ha quasi totalmente ignorato i palestinesi nelle sue politiche per la regione, l’amministrazione Biden ha cercato di riallacciare le relazioni americane con i leader palestinesi.

Ci sono state parecchie telefonate fra alti funzionari USA e palestinesi, incluse quelle tra Biden e il presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Lo scorso mese l’amministrazione USA ha annunciato che la sezione per gli affari palestinesi dell’ambasciata americana a Gerusalemme inizierà a rapportarsi direttamente su “questioni rilevanti” con il Bureau per gli Affari del Vicino Oriente all’interno del Dipartimento di Stato.

In seguito al cambiamento diplomatico si è ribattezzata Office of Palestinian Affairs (OPA) quella che era la Palestinian Affairs Unit (PAU).

Ma gli esperti l’hanno liquidata come una mossa prevalentemente di facciata, sottolineando come non sia un’adeguata sostituzione all’impegno per un vero consolato per i palestinesi a Gerusalemme.

“Nelle presenti circostanze mi sento molto sicuro nell’affermare che questo è semplicemente un tentativo propagandistico per cercare di placare la frustrazione dei palestinesi, soprattutto alla luce dell’imminente visita del presidente nella regione,” ha detto ad Al Jazeera Khalil Jahshan, direttore esecutivo dell’Arab Center, Washington DC.

Ciononostante l’amministrazione si è attribuita quella che descrive come un ristabilimento delle relazioni con l’Autorità Palestinese.

“Abbiamo collaborato con Israele, Egitto, Qatar e Giordania per mantenere la pace impedendo ai terroristi di riarmarsi. Abbiamo anche ricostruito i legami USA con i palestinesi,” ha scritto Biden sul Washington Post.

Organizzazioni internazionali

Biden è rientrato in contatto con molte organizzazioni ONU e internazionali, tra cui il Consiglio per i Diritti Umani che Trump aveva abbandonato a causa delle loro critiche a Israele.

Ma i funzionari USA hanno sempre sottolineato che stanno tornando in questi forum per proteggere Israele dall’interno e non per difendere gli sforzi di appoggiare i diritti umani dei palestinesi.

Lo scorso mese il Dipartimento di Stato ha rimproverato una commissione di inchiesta del Consiglio per i Diritti Umani che aveva pubblicato un rapporto in cui accusava Israele di cercare di acquisire un controllo permanente sui palestinesi  “senza intenzioni di porre fine all’occupazione”.

Il 7 giugno Price ha dichiarato che la commissione di inchiesta “rappresenta un approccio unilaterale e fazioso che non fa nulla per contribuire all’avanzamento delle prospettive di pace”.

Allo stesso modo l’amministrazione Biden ha revocato le sanzioni che Trump aveva imposto sui funzionari della Corte Penale internazionale (ICC), mantenendo nel contempo la sua opposizione alle indagini della ICC sulle violazioni israeliane.

Nelle ultime settimane il Dipartimento di Stato ha detto ripetutamente che la ICC non è la “sede appropriata” per indagare sull’assassinio di Shireen Abu Akleh, la giornalista di Al Jazeera ammazzata a maggio dall’esercito israeliano nella Cisgiordania occupata.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Palestinese ucciso dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata

Redazione Al Jazeera

6 luglio Al Jazeera

Rafeeq Riyad Ghannam è stato ucciso all’alba di mercoledì nella città di Jabaa a sud di Jenin, durante un’incursione dell’esercito israeliano.

Le forze israeliane hanno sparato uccidendolo ad un giovane palestinese nella Cisgiordania occupata, nel corso degli scontri seguiti ad un’incursione militare israeliana.

Il Ministero della Salute palestinese ha identificato l’uomo come Rafiq Riyad Ghannam e ha dichiarato che è stato ucciso dal fuoco israeliano nella città di Jabaa a sud di Jenin all’alba di mercoledì.

L’agenzia di notizie ufficiale palestinese Wafa ha riferito che Ghannam aveva 20 anni.

Ghannam è stato arrestato dalle forze israeliane dopo essere stato ferito ed è morto poco dopo sotto la loro custodia. Il suo corpo non è stato ancora consegnato alla sua famiglia dall’esercito israeliano.

La ‘Palestinian Prisoners Society’ ha dichiarato che l’uccisione “è avvenuta nell’ambito di una continua escalation di esecuzioni sul campo da parte delle forze di occupazione israeliane fin dall’inizio di quest’anno e del trattenimento dei loro corpi, oltre ad arresti e violenze su molti cittadini dopo che sono stati feriti.”

Gli scontri si erano accesi all’alba di mercoledì dopo che le forze israeliane hanno fatto irruzione a Jabaa.

L’esercito israeliano compie quasi ogni giorno incursioni ed operazioni di arresto nelle città palestinesi nella Cisgiordania illegalmente occupata, che spesso provocano il ferimento o l’uccisione di palestinesi.

Nella notte di mercoledì le forze israeliane hanno arrestato almeno 42 palestinesi, compresi 30 provenienti dalla città di Silwad vicino a Ramallah.

Nei mesi scorsi l’esercito ha intensificato le incursioni nella zona di Jenin.

Dalla fine di marzo almeno 50 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane in Israele e nei territori palestinesi, inclusa la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh, uccisa l’11 maggio mentre svolgeva il suo lavoro di cronaca nel campo profughi di Jenin.

Nello stesso periodo 19 persone sono state uccise in Israele in attacchi da parte di singoli palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




“Accuse infondate”: l’UE ripristina i finanziamenti alle ONG palestinesi

A cura della redazione di Al Jazeera

30 giugno 2022 – Aljazeera

L’anno scorso la Commissione Europea aveva sospeso i finanziamenti per due organizzazioni palestinesi per i diritti umani a causa delle accuse israeliane di “terrorismo”.

Ramallah, Cisgiordania occupata – L’Unione Europea (UE) ha riferito a due importanti ONG palestinesi che riprenderà a finanziarle dopo una sospensione di un anno legata ad accuse infondate di terrorismo” avanzate da Israele.

La Commissione Europea, il ramo esecutivo dell’UE, ha inviato alcuni giorni fa delle lettere ad Al-Haq e al Palestinian Centre for Human Rights (PCHR) informandoli che le loro sospensioni di 13 mesi sono state revocate incondizionatamente e con effetto immediato.

La Commissione ha citato i risultati di una revisione condotta dall’Ufficio europeo per la lotta antifrode (OLAF) dell’UE, che ha affermato che “non ha riscontrato sospetti di irregolarità e/o frode” e “non ha trovato motivi sufficienti per aprire un’indagine”.

Secondo le informazioni fornite ad Al Jazeera, le e-mail sono state inviate subito dopo l’avvio da parte di Al-Haq di un’azione legale contro la Commissione.

Giovedì Al-Haq ha dichiarato che più di 13 mesi dopo l’imposizione di una sospensione arbitraria al finanziamento del progetto a favore di Al-Haq con sovvenzioni della UE, la Commissione ha “finalmente revocato questa sospensione vergognosa, illegittima fin dall’inizio e basata sulla propaganda e la disinformazione israeliane”.

“La sospensione è stata revocata incondizionatamente e con effetto immediato”, afferma Al-Haq.

Per decenni Al-Haq si è impegnata nel proteggere i diritti del popolo palestinese dalle violazioni della giustizia internazionale commesse da Israele e da altri responsabili. La sospensione ha rappresentato un’altra violazione. Continueremo a promuovere la responsabilizzazione e a difendere lo stato di diritto”, aggiunge l’organizzazione.

“Nella nostra interazione con la Commissione, abbiamo richiesto assicurazioni in merito all’impegno della Commissione di portare avanti il resto del progetto in buona fede, escludendo qualsiasi ulteriore interruzione di natura politica basata su accuse diffamatorie contro Al-Haq”.

L’UE ha sospeso i suoi finanziamenti ad Al-Haq e PCHR nel maggio 2021.

Quel mese, i diplomatici europei avevano ricevuto un dossier riservato dell’intelligence israeliana in cui si affermava che sei importanti ONG con sede in Palestina, tra cui Al-Haq, stavano usando i soldi dell’UE per finanziare il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (FPLP) [organizzazione politica e militare palestinese di orientamento socialista, ndt.].

Contemporaneamente la Commissione ha sospeso i suoi finanziamenti al PCHR nonostante non fosse tra le sei ONG menzionate.

Pochi mesi dopo, nell’ottobre 2021, Israele ha dichiarato illegali le sei organizzazioni, con il pretesto dell’affiliazione al partito politico FPLP, il cui braccio armato è stato attivo tempo fa, durante la seconda Intifada all’inizio degli anni 2000 [la rivolta palestinese esplosa il 28 settembre del 2000 come reazione a una visita provocatoria dell’allora capo del Likud Ariel Sharon sulla Spianata delle Moschee, ndt.] quando effettuò degli attacchi contro obiettivi israeliani.

La designazione [di illegalità, ndr.] è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e dai gruppi per i diritti umani in quanto ingiustificata” e infondata”.

Nessuna prova è stata fornita dal governo israeliano a sostegno delle sue affermazioni riguardanti le sei organizzazioni.

L’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Michelle Bachelet, ha descritto la decisione come un “attacco contro i difensori dei diritti umani, le libertà di associazione, opinione ed espressione e il diritto alla partecipazione pubblica” e ha affermato che “dovrebbe essere immediatamente revocata”.

L’udienza

A seguito dell’impegno di Al-Haq di indagare sulla natura giuridica della sospensione, l’organizzazione ha avviato un procedimento legale contro la Commissione a Bruxelles.

La prima udienza è stata fissata per il 4 luglio 2022.

Al-Haq ha informato Al Jazeera che, nonostante la revoca della sospensione, l’organizzazione proseguirà con i procedimenti legali, per danni alla reputazione e garanzie di fiducia per il futuro.

“Il fatto che [Al-Haq] sia stata sospettata di finanziamento del terrorismo per oltre un anno sulla base di informazioni prive di basi oggettive è di per sé dannoso per la sua reputazione”, si legge nella citazione, aggiungendo che l’UE “ha violato i suoi obblighi contrattuali”.

Il direttore di Al-Haq, Shawan Jabarin, ha dichiarato giovedì di non aver mai avuto dubbi sul fatto che la Commissione avrebbe revocato la sospensione.

“Sapevamo che la sospensione, come la designazione da parte di Israele di Al-Haq e di altre organizzazioni della società civile palestinese, non aveva basi legali e fattuali”, ha affermato Jabarin in una nota.

La voce della ragione e della logica ha prevalso dopo una lunga attesa. Siamo lieti di vedere la Commissione ritirare le sue decisioni dannose e tornare nella giusta direzione per sostenere la società civile e i diritti umani”, dice Jabarin.

Siamo preoccupati che la sospensione possa essere stata intenzionale, al fine di danneggiare la nostra immagine e reputazione. Tuttavia, il nostro legittimo lavoro di documentazione delle violazioni dei diritti umani, di sensibilizzazione pubblica e politica e di promozione della responsabilità continuerà”, aggiunge.

“Consideriamo la revoca della sospensione una vittoria per Al-Haq e per la società civile palestinese in generale, nell’ambito del nostro continuo impegno nel difendere le leggi internazionali e i diritti umani e nel perseguire gli autori di gravi violazioni”.

Le organizzazioni della società civile, che ottengono la maggior parte dei loro finanziamenti dai Paesi donatori, sono un pilastro fondamentale dello sviluppo sociale ed economico dei palestinesi che vivono nei territori occupati dal 1967.

Le ONG con sede in Palestina o che lavorano per i diritti dei palestinesi sono state a lungo oggetto di campagne denigratorie, diffamatorie e volte all’interruzione dei finanziamenti da parte di organizzazioni di interesse israeliane e internazionali come ONG Monitor e UK Lawyers for Israel, in collaborazione con il governo israeliano, con il quale hanno stretti rapporti.

Dal 1967 Israele ha bandito (PDF) più di 400 organizzazioni locali e internazionali come “ostili” o “illegali”, inclusi tutti i principali partiti politici palestinesi, come il partito Fatah al governo dell’Autorità Palestinese e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), con cui Israele ha firmato gli Accordi di Oslo [serie di accordi politici conclusi il 20 agosto 1993 che hanno portato all’istituzione dell’Autorità Nazionale Palestinese con il compito di autogovernare, in modo limitato, parte della Cisgiordania e la Striscia di Gaza e hanno riconosciuto l’OLP come partner di Israele nei negoziati sulle questioni in sospeso, ndr.] nel 1993.

La designazione [di organizzazioni “ostili” o “illegali”, ndt.] “autorizza le autorità israeliane a chiudere i loro uffici, sequestrare i loro beni e arrestare e incarcerare i membri del personale, e vieta di finanziare o anche esprimere pubblicamente sostegno per le loro attività”, secondo una dichiarazione dell’ottobre 2021 delle organizzazioni per i diritti umani Human Rights Watch e Amnesty International.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)