Dejà vu, in bianco e nero

Malak Reyad Alhaw

5 agosto 2022 –WeAreNotNumbers

Striscia di Gaza – L’odore di incenso si sprigiona dall’incensiere dorato in una sottile scia di fumo a zig zag. Mi piace quell’odore. La pace della mente, i complimenti che ricevo quando cucino un piatto gustoso e l’odore di incenso sono rituali indispensabili del venerdì.

C’è un altro evento che può rendere il 5 agosto un venerdì davvero eccezionale: è il giorno del matrimonio di mio cugino!

Mamma, qual è il vestito più carino? Quello bianco avorio o quello nero?” chiedo ansiosamente. “Quello nero”, mi risponde.

Mentre sollevo il vestito nero in modo da accostarlo a quello bianco avorio, una piccola mano mi batte sulla spalla. Mi giro piano e guardo in basso. È la mia nipotina Malak di 5 anni, una bimba dagli occhi luminosi, le guance rosse e affascinanti fossette. Mio fratello ha chiamato sua figlia come me perché sono l’unica sorella nella famiglia. Io e lei abbiamo in comune non solo il nome, ma anche il modo di parlare e sorridere e la timidezza.

Zia Malak, zietta, voglio accompagnarti, per favore”. Mi chino e la guardo negli occhi chiari; non riesco a dire di no quando li guardo. “Certo, cara”, rispondo. “Prima lascia che la mamma ti vesta.”

Le chiedo di andare piano mentre scendiamo le scale. Non sopporterei che si ferisse o si facesse male.

Una fiamma improvvisa si riflette nel vetro della finestra, seguita immediatamente da un devastante bombardamento. Non è una scia di fumo, è una massiccia nube nera insieme ad una fiammata rossa. Non spande incenso, ma polvere soffocante con terribili schegge e odore di esplosivo.

Sono una giovane di vent’anni di Gaza, che ha vissuto l’esperienza di cinque guerre israeliane. Quel che posso fare è chiudere gli occhi e fare un profondo respiro. Con gli occhi chiusi mi rivedo piccola e terrorizzata. Sono una bambina di sei anni in preda al panico, che chiede alla mamma: “Quando finirà l’operazione Piombo Fuso *?” Mia mamma risponde calma: “Andrà tutto bene”.

Sento delle grida e allora apro gli occhi. È mia nipote Malak che sta gridando come una pazza. Corre da me e mi si getta in grembo; mi abbraccia stretta. Posso sentire il suo cuore battere forte e il suo corpo tremare. Cerca aiuto da me, una protezione.

La mia calma e il mio contegno tranquillo la rassicurano. Non sa che dietro questa calma c’è una lotta violenta; non sa che dentro di me sto gridando e piangendo, proprio come lei. Non sa che mi ritrovo dentro l’operazione Piombo Fuso, cercando di assumere l’atteggiamento tranquillo di mia madre per darmi sollievo.

Le faccio una carezza e le dico: “Andrà tutto bene”. Lei annuisce più volte.

Un quarto d’ora dopo la piccola Malak si addormenta in braccio a me, stringendo con la manina la mia camicetta. La guardo in viso da vicino: le fossette sono sparite, le sue guance rosse sono diventate sottili e giallastre. La piccola Malak cede al sonno ed io ai miei pensieri.

Mi rendo conto che l’ennesima tortura che una persona può subire è fingere di star bene mentre affronta un conflitto interiore. Questa è la situazione degli adulti di Gaza durante ogni aggressione israeliana.

Mi rendo conto che il pensiero di trascorrere un venerdì eccezionale per via di un matrimonio è un errore di calcolo. A Gaza gli attacchi israeliani e le aggressioni possono verificarsi in ogni momento. Massacri e genocidi possono essere compiuti ogni volta che stanno per svolgersi le elezioni israeliane. I riti del venerdì possono essere rovinati da un inatteso scoppio di violenza.

Dopotutto, ogni abitante di Gaza è fatalmente segnato, sia che scelga di indossare il vestito bianco o quello nero. Uno è la divisa nera del lutto e l’altro è la bara bianca del martire.

* ‘Operazione Piombo Fuso’ è il nome che Israele ha dato alla sua guerra contro Gaza del 2008-09.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)