L’industria dell’hasbara: decostruire la macchina propagandistica israeliana

M. Reza Behnam

8 giugno 2023 – Palestine Chronicle

Tuttavia Tel Aviv sta incontrando difficoltà sempre maggiori a nascondere il suo consolidato sistema di apartheid e il continuo genocidio, soprattutto alla luce delle politiche e prassi apertamente razziste dell’attuale regime di destra messo insieme dal suo primo ministro perseguito dalla giustizia, Benjamin Netanyahu.

Quasi sempre la mattina, mentre mi preparo per fare footing, mi sintonizzo su BBC News. Ultimamente il notiziario presenta, in sobrio stile britannico, il numero dei palestinesi uccisi la notte precedente dall’esercito israeliano durante le sue incursioni quasi quotidiane in case e campi di rifugiati nei territori palestinesi occupati. Quando cerco sui siti di notizie americani per saperne di più, essi non fanno menzione di queste atrocità. Invece le onde radio sono piene di notizie sulla guerra tra Russia e Ucraina e sulla morte di civili.

Quello che molti americani non sapranno da queste fonti di “notizie” è che nel 2022 l’esercito israeliano ha ucciso in Cisgiordania e a Gerusalemme est più di 170 civili palestinesi, tra cui 30 minorenni, e che dall’inizio del 2023 l’esercito di occupazione israeliano ha già ammazzato 158 palestinesi, tra cui 26 minori.

Quello che non sapranno è che Israele controlla le vite e le risorse (l’accesso all’acqua potabile) di circa 7 milioni di palestinesi, e che le città, villaggi, case, coltivazioni e attività economiche palestinesi sono state sistematicamente distrutte e ripopolate con oltre 750.000 occupanti illegali ebrei (“abitanti”).

Non sapranno dei 56 anni di occupazione, spoliazione, demolizioni di case, coprifuoco, posti di controllo, muri, blocchi, permessi, raid notturni, uccisioni mirate, tribunali militari, detenzioni amministrative, migliaia di prigionieri politici, minori palestinesi torturati e di 56 anni di oppressione e umiliazione da parte di Israele.

Cosa spiega l’“eccezionale” trattamento deferente che Israele riceve mentre altri che violano i diritti umani sono condannati o sanzionati dagli Stati Uniti e dai loro alleati?

Buona parte della spiegazione ha a che fare con la poderosa ed efficace industria delle pubbliche relazioni di Israele gestita dallo Stato, che si basa su miti e falsità. Dalla sua fondazione nel 1948 Israele ha creato con successo una nuova assurdità a se stante che ha fatto sembrare l’illegalità come legale, apparire morale l’immoralità e democratico ciò che è antidemocratico. Ha magistralmente spacciato una serie di miti che sono diventati parte della narrazione politica e dei principali media.

Fin dall’inizio i fondatori sionisti di Israele ammantarono di termini eroici il loro vero obiettivo di creare un “Grande Israele”, uno Stato ebraico non solo in Palestina, ma in Giordania, nel sud del Libano e sulle Alture del Golan siriane.

Una storia e figure retoriche inventate sui “buoni” israeliani, che portavano sviluppo a una terra spopolata, creando miracoli agricoli nel deserto e reclamando una storica terra promessa, si sono profondamente radicate.

In realtà i sionisti, come il primo capo del governo di Israele nato in Polonia David Ben-Gurion, videro il piano di partizione della Palestina dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 1948 come il primo passo verso una futura espansione.

I piani di colonizzazione di Israele

Nel suo libro Vittime [Rizzoli, Milano, 2002] Benny Morris scrive che in una lettera al figlio del 1937 Ben-Gurion architettò il progetto sionista per colonizzare la Palestina: “Nessun sionista può rinunciare a una minima parte della Terra di Israele. (Uno) Stato ebraico su una parte (della Palestina) non è la fine, ma un inizio…attraverso di esso incrementiamo la nostra potenza, e ogni incremento di potenza agevola l’appropriazione del Paese nella sua totalità. Fondare un (piccolo) Stato…servirà come leva molto potente nel nostro storico tentativo di redimere tutto il Paese.”

Che per realizzare i suoi progetti colonialisti Israele avrebbe dovuto trasferire e togliere di mezzo con la forza la popolazione autoctona palestinese venne cancellato dalla narrazione israeliana.

In conseguenza di questa efficace campagna di disinformazione molti americani sono arrivati a credere che Israele sia uno Stato democratico, progressista e umano, una piccola ma coraggiosa Nazione che si difende contro violenza e terrorismo “stranieri”.

Nel realizzare la sua missione annessionista del “Grande Israele”, Israele ha creato un’altra finzione per legittimare la sua scelta di fare la guerra nel 1967. Benché la guerra dei Sei Giorni, iniziata nel giugno 1967, si sia dimostrata un cruciale punto di svolta nella storia contemporanea del Medio Oriente, il mito israeliano della vulnerabilità e le invenzioni sulla “Nazione sotto assedio” rimangono ampiamente indiscussi.

I produttori di miti sionisti

Cinquantasei anni fa l’aviazione militare israeliana attaccò le basi aeree di Egitto, Siria e Giordania, distruggendo a terra oltre l’80% degli aerei da guerra. Le truppe israeliane occuparono rapidamente la penisola del Sinai e la Striscia di Gaza egiziane, la West Bank giordana e le Alture del Golan siriane. Secondo i verbali del governo israeliano questo attacco non fu difensivo, ma preventivo e pianificato.

Gli israeliani erano pienamente consapevoli della necessità di avviare una campagna di disinformazione insieme alle loro operazioni militari preventive per placare le reazioni avverse da parte di Washington e di altre potenze occidentali.

Il mito israeliano secondo cui lo Stato ebraico stava lottando per la sua sopravvivenza fisica contro un nemico arabo più potente ebbe una forte presa sui dirigenti politici e sull’opinione pubblica statunitensi. Di fatto i leader arabi non avevano nessun piano di invasione e i dirigenti israeliani sapevano che era facile vincere la guerra. La menzogna sulla distruzione totale era diventata un dogma irrefutabile a Washington, il mantra del “diritto all’autodifesa” consentì a Tel Aviv di continuare la sua annessione illegale della terra palestinese conquistata.

I costruttori di miti sionisti si diedero di nuovo da fare negli anni ’80. Per controbattere alle critiche ricevute in seguito ai bombardamenti indiscriminati sul Libano e al massacro di palestinesi nei campi profughi di Sabra e Shatila a Beirut nel 1982, Israele nel 1983 partorì il Progetto Hasbara (“spiegazione” in ebraico).

Quell’anno l’American Jewish Congress [organizzazione creata per difendere gli interessi ebraici negli USA e all’estero, ndt.] sponsorizzò una conferenza di alti dirigenti, giornalisti e accademici di Israele e degli USA a Gerusalemme per elaborare una strategia volta a riabilitare Israele, cementare l’appoggio economico e militare statunitense e rendere estremamente difficile criticare le azioni di Israele.

[Il progetto] Hasbara creò strutture permanenti negli Stati Uniti e in Israele per influenzare il modo in cui in futuro il mondo, soprattutto gli americani, avrebbe pensato a Israele e al Medio Oriente. Gli argomenti che svilupparono sono riconoscibili nel discorso attuale, tra cui: l’importanza strategica di Israele per gli Stati Uniti; la sua vulnerabilità; i suoi valori condivisi con l’Occidente; il suo desiderio di pace. Israele definisce ora “diplomazia pubblica” la sua continua propaganda hasbara.

Mezzi di informazione, giornalisti, accademici, politici e personaggi dello spettacolo sono arrivati al punto di aspettarsi pressioni se superano il livello di accettabilità del discorso stabilito da Israele e dai suoi sostenitori. Narrazioni alternative che evidenziano gli abusi israeliani sono liquidate come anti-israeliani o ricevono la temuta etichetta di antisemite. I propagandisti israeliani hanno fatto in modo di confondere le critiche al regime – anti-sionismo – con l’antisemitismo. L’accusa di antisemitismo si è dimostrata un potente strumento retorico per difendere Israele da ogni colpa. Ha distrutto carriere e reputazioni.

Sfidare i miti israeliani

La defunta Helen Thomas, famosa giornalista, Norman Finkelstein, importante intellettuale ebreo, scienziato politico e scrittore, e Fatima Mohammed, laureata nel 2023 alla scuola di diritto della CUNY [università della città di New York, ndt.] sono tra quanti hanno voluto sfidare la violenta ondata di critiche che avrebbero dovuto inevitabilmente affrontare per “aver osato” mettere in discussione i miti israeliani.

Helen Thomas, icona nazionale e importante corrispondente dalla Casa Bianca di UPI [agenzia di notizie USA, ndt.] nel 2010 è stata obbligata a porre fine alla sua carriera durata 57 anni per aver insistentemente messo in discussione pubblicamente il sostegno statunitense a Israele. In seguito Thomas ha osservato: “In questo Paese non puoi criticare Israele e sopravvivere.”

Nel 2007 la De Paul University [università cattolica con sede a Chicago, ndt.] rifiutò una cattedra a Norman Finkelstein a causa delle sue critiche a Israele. Nei suoi libri Finkelstein ha sostenuto che l’antisemitismo è stato usato per reprimere le critiche alle politiche israeliane verso i palestinesi, e che l’Olocausto è sfruttato da alcune istituzioni ebraiche per i propri interessi e per nascondere l’illegale occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza. Dato che il suo nome è stato calunniato, Finkelstein non ha più potuto insegnare.

Nel suo recente discorso di commiato dai suoi colleghi laureati, Fatima Mohammed ha condannato Israele per aver perpetuato la Nakba (la Catastrofe), affermando che “il nostro silenzio non è più accettabile…La Palestina non può continuare ad essere l’eccezione nella nostra ricerca di giustizia.” Come prevedibile, Mohammed ha dovuto affrontare un’immediata condanna pubblica da parte di politici statunitensi e organizzazioni filo-israeliane, che l’hanno accusata di antisemitismo e hanno chiesto che l’università non riceva più finanziamenti a causa del suo discorso.

Nel dicembre 2008 e gennaio 2009 Israele, come in precedenza, schierò la sua macchina di pubbliche relazioni. Questa volta fu per contrastare le critiche ricevute per i massicci bombardamenti della Striscia di Gaza durati 22 giorni, in cui vennero uccisi 1.398 palestinesi.

L’Israel Project

The Israel Project [Il progetto Israele] (TIP), organizzazione filo-israeliana con sede a Washington, assoldò Frank Luntz, militante e stratega politico del partito Repubblicano, per sostenere la sua immagine. Luntz intraprese un ampio studio per scoprire come inserire la narrazione israeliana nei principali mezzi di comunicazione. I risultati vennero riportati in un documento intitolato The Israel Project’s 2009 Global Language Dictionary [Il dizionario del linguaggio globale 2009 di The Israel Project].

Il linguaggio del manuale di Luntz, con i suoi discorsi scritti per i sostenitori di Israele, è penetrato nel pensiero, nel vocabolario e nei commenti di politici, accademici e dei principali mezzi di comunicazione americani, israeliani ed europei.

Nel suo libretto di 18 capitoli Luntz insegna ai sostenitori di Israele come adattare le risposte a differenti uditori, descrive quello che gli americani vogliono sentire e quali parole e frasi utilizzare e quali evitare. Fornisce una guida su come affrontare affermazioni da parte di palestinesi e ostentare compassione nei loro confronti. Luntz avverte di sottolineare sempre il desiderio di pace da parte di Israele, benché inizialmente affermi come non voglia realmente una soluzione pacifica.

Ai sostenitori viene raccomandato di dare la falsa impressione che il cosiddetto “ciclo di violenza” stia andando avanti da migliaia di anni, che le due parti sono ugualmente in errore e che la catastrofe Palestina-Israele sia incomprensibile. Sollecita i sostenitori a sottolineare la necessità israeliana di sicurezza, evidenziando che gli americani risponderanno favorevolmente se i civili israeliani vengono dipinti come vittime innocenti del “terrorismo” palestinese.

Luntz afferma che, quando viene detto agli americani che l’Iran sostiene Hezbollah e Hamas, essi tendono ad essere più favorevoli a Israele. Quindi, quando si parla di loro, bisogna ripetere continuamente Hamas ed Hezbollah “sostenuti dall’Iran”.

Nelle rare occasioni in cui i principali mezzi di comunicazione riportano le violenze di Israele, si adeguano al lessico ufficiale del dizionario di Luntz. L’esercito di occupazione israeliano, per esempio, viene definito forze “di difesa” o “di sicurezza”, i coloni sionisti (occupanti abusivi) vengono definiti “abitanti”, le colonie sioniste sono definite “insediamenti” o “quartieri”, i palestinesi “aggrediscono”, mentre gli israeliani semplicemente “reagiscono”.

Normalizzare l’anomalo

Tra le falsificazioni più evidenti c’è la descrizione del ginepraio israelo-palestinese come un “conflitto” tra due popoli con le stesse risorse politiche e militari e le stesse rivendicazioni, quando in realtà si tratta di un conflitto tra il colonizzatore, Israele, e il colonizzato, i palestinesi.

Per 75 anni la propaganda israeliana gli ha consentito di essere un’eccezione, di farsi beffe impunemente delle norme e delle leggi internazionali. Grazie ai suoi miti Israele ha avuto una notevole influenza nel definire la politica USA in Medio Oriente. Le campagne di incessante e metodica disinformazione del Paese dal 1948 fino ad ora hanno consentito a Israele di piantare la bandiera sionista su terra palestinese e nei cuori e nelle menti degli americani.

Tuttavia Tel Aviv sta incontrando difficoltà sempre maggiori a nascondere il suo consolidato sistema di apartheid e il continuo genocidio, soprattutto alla luce delle politiche e prassi apertamente razziste dell’attuale regime di destra messo insieme dal suo primo ministro perseguito dalla giustizia, Benjamin Netanyahu. Ma l’industria israeliana dell’hasbara rimane impavida. Il TIP ha chiuso nel 2019 dopo che i suoi finanziamenti si sono prosciugati, ma la Democratic Majority for Israel [Maggioranza Democratica per Israele] (DMFI) continua a portare avanti la missione dell’hasbara israeliana.

Israele sa che la narrazione che racconta a se stesso e al mondo è apocrifa e che lo Stato ebraico, nella sua attuale forma, è illegale e ingiusto. Di conseguenza, nel tentativo di rendere l’apocrifo reale e legale l’illegittimo, Israele continua la sua costante guerra ideologica per normalizzare l’anomalo in Palestina.

Reza Behnam è un politologo specializzato nella storia, la politica e i governi in Medio Oriente. Ha concesso questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’amministrazione statunitense uscente definisce il BDS “antisemita”

Tamara Nassar

19 novembre 2020 – ELECTRONIC INTIFADA

Giovedì il segretario di Stato Mike Pompeo ha formalmente etichettato il movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS) a favore dei diritti dei palestinesi come “antisemita” e ha promesso che l’amministrazione statunitense uscente lo combatterà.

Questa è l’ultima violazione della libertà di parola da parte del governo degli Stati Uniti nel suo tentativo di reprimere il sostegno ai diritti dei palestinesi.

“Come abbiamo chiarito, l’antisionismo è antisemitismo”, ha detto Pompeo, equiparando la critica nei confronti di Israele e della sua ideologia politica razzista al sionismo da un lato, al fanatismo contro gli ebrei dall’altro.

Gli Stati Uniti sono “impegnati a contrastare la campagna globale del BDS in quanto manifestazione di antisemitismo”, ha affermato Pompeo.

Giovedì, a Gerusalemme, in una conferenza stampa congiunta con il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, egli ha inoltre definito il BDS un “cancro”.

Pompeo ha affermato che l’inviato del Dipartimento di Stato per l’antisemitismo avrebbe “identificato le organizzazioni che si impegnano o in altro modo sostengono” il BDS per consentire al Dipartimento di Stato di interrompere qualsiasi finanziamento governativo.

Giovedì Amnesty International ha dichiarato che gli attacchi mirati di Pompeo contro i gruppi “che, in quanto antisemiti, utilizzano strumenti pacifici, come il boicottaggio, per porre fine alle violazioni dei diritti umani contro i palestinesi, violano la libertà di espressione e sono un regalo per chi cerca di mettere a tacere, perseguitare, intimidire e opprimere coloro che difendono i diritti umani in tutto il mondo”.

Le organizzazioni della società civile palestinese hanno lanciato la campagna BDS nel 2005 per fare pressione su Israele affinché rispettasse i diritti dei palestinesi e si attenesse al diritto internazionale. Si basa sul modello della campagna che ha contribuito a porre fine all’apartheid in Sud Africa.

Il movimento BDS si oppone a tutte le forme di razzismo e fanatismo, compreso l’antisemitismo, e sostiene l’uguaglianza come questione di principio.

Il Comitato nazionale palestinese per il boicottaggio, il gruppo direttivo della campagna globale del BDS, ha denunciato il verificarsi della “fanatica alleanza Trump-Netanyahu” che “continua a consentire e normalizzare la supremazia bianca e l’antisemitismo negli Stati Uniti e nel mondo, diffamando contemporaneamente il BDS.”

Omar Shakir di Human Rights Watch ha affermato che l’amministrazione Trump “sta compromettendo la lotta contro l’antisemitismo equiparando quest’ultimo alle forme di boicottaggio pacifico”.

Vendita delle merci dei coloni

Pompeo ha anche dichiarato che le merci prodotte nelle colonie insediate sulla terra palestinese occupata devono essere etichettate come “Made in Israel” – nascondendo che sono state prodotte in colonie costruite nel territorio occupato in violazione del diritto internazionale.

Ciò verrà applicato a tutti i prodotti dell’Area C – il 60% della Cisgiordania sotto il pieno controllo militare israeliano secondo gli accordi di Oslo degli anni ’90. È l’area in cui si trova la maggior parte delle colonie israeliane.

Questo avviene nel momento in cui quattro senatori repubblicani hanno scritto questa settimana una lettera al presidente Donald Trump chiedendogli di cambiare la politica doganale degli Stati Uniti per consentire alle merci prodotte nelle colonie di essere etichettate come “Made in Israel”.

Pompeo ha aggiunto che le merci prodotte nelle aree della Cisgiordania occupata nominalmente sotto il controllo dell’Autorità Palestinese saranno etichettate come prodotte in “Cisgiordania”.

Pompeo ha anche affermato che gli Stati Uniti “non accetteranno più” l’etichettatura congiunta dei prodotti della Cisgiordania occupata e di Gaza, poiché i due territori “sono separati politicamente e amministrativamente e devono essere trattati di conseguenza”.

Queste misure possono essere interpretate come un ulteriore riconoscimento da parte degli Stati Uniti dell’annessione de facto del territorio palestinese da parte di Israele, mentre negano ai palestinesi qualsiasi riconoscimento che la Cisgiordania e la Striscia di Gaza costituiscano un’unica entità politica.

Il Comitato nazionale del BDS ha definito la fusione intenzionale di antisionismo e antisemitismo da parte del Dipartimento di Stato un tentativo “revisionista e fraudolento” di mettere a tacere non solo i sostenitori del BDS, ma anche le organizzazioni per i diritti umani – come Human Rights Watch – che non sostengono il BDS ma si oppongono al commercio dei prodotti delle colonie.

Il vino delle colonie

Giovedì in un tweet Pompeo ha anche attaccato la politica della UE, scarsamente applicata, volta a richiedere che le merci delle colonie israeliane siano etichettate come tali.

A quanto pare Pompeo avrebbe poco dopo cancellato il tweet per poi ripubblicarlo senza l’immagine, originariamente inclusa, di quello che sembrava il villaggio palestinese di Mukhmas [a nord-est di Gerusalemme, nella Cisgiordania centrale, ndtr.]

Ciò è avvenuto quando Pompeo e l’ambasciatore statunitense David Friedman hanno visitato le Cantine Psagot, un’azienda coloniale che opera su terre palestinesi occupate e rubate.

“Oggi ho pranzato nella pittoresca cantina Psagot”, ha scritto Pompeo.

“Sfortunatamente, Psagot e altre aziende sono state prese di mira dalle dannose iniziative della UE riguardo l’etichettatura, le quali agevolano il boicottaggio delle aziende israeliane”.

Funzionari statunitensi avevano già visitato, nel corso dell’amministrazione Trump, i territori occupati.

La sosta di Pompeo presso le cantine Psagot era tuttavia chiaramente intesa a fornire un sostegno di alto profilo alle colonie illegali di Israele.

Il vino prodotto dalle Cantine Psagot è ottenuto da uve provenienti da diverse colonie della Cisgiordania.

Le cantine sono costruite su un terreno di proprietà dei palestinesi della vicina città di al-Bireh [adiacente a Ramallah, in Cisgiordania, ndtr.], i cui abitanti hanno protestato contro la visita di Pompeo.

Alla stregua di altri colonizzatori europei Israele ha cercato a lungo di vendere all’interno del mercato vinicolo internazionale vini prodotti su terreni palestinesi e siriani rubati, come ha scritto recentemente il professore della Columbia University Joseph Massad [docente di politica araba moderna e storia intellettuale, ndtr.].

Il vino prodotto sulle alture del Golan siriano occupate sarà presto in vendita anche negli Emirati Arabi Uniti.

Durante la sua visita Pompeo ha anche esaltato la costruzione della cosiddetta Città di David, un parco a tema costruito nel quartiere di Silwan, nella Gerusalemme est occupata, da dove Israele sta espellendo con la forza i residenti palestinesi.

Giovedì Pompeo ha inoltre visitato il sito battesimale vicino al fiume Giordano, al confine della Cisgiordania occupata con la Giordania.

Pompeo aveva anche in programma una sosta sulle alture del Golan. Trump ha riconosciuto la sovranità di Israele sull’area nel marzo 2019, in barba al diritto internazionale.

Rafforzamento dell’alleanza anti-Iran

La visita di Pompeo ha coinciso con quella del ministro degli Esteri del Bahrein Abdullatif bin Rashid Al Zayani, arrivato mercoledì a Tel Aviv per la sua prima visita ufficiale da quando, a settembre, il suo paese ha accettato di normalizzare i rapporti con Israele.

Al Zayani si è unito a Pompeo e Netanyahu a Gerusalemme per una conferenza stampa congiunta.

Al Zayani ha annunciato che Israele e Bahrein si scambieranno presto le ambasciate. Dal prossimo mese, ha aggiunto, israeliani e bahreiniti potranno ottenere visti elettronici e presto potranno viaggiare con voli regolari tra i due paesi.

Gli accordi di normalizzazione tra gli stati arabi e Israele fanno parte degli sforzi degli Stati Uniti per costruire un’alleanza anti-Iran tra Israele e gli stati del Golfo sotto la supervisione americana.

Pompeo si è vantato del fatto che i recenti accordi tra Israele e gli Stati arabi abbiano reso l’Iran “sempre più isolato”, con la sua influenza “in declino”.

Ciò avviene mentre l’amministrazione Trump intensifica le sanzioni economiche contro l’Iran nel tentativo di rendere irreversibile, dopo che Joe Biden lo avrà sostituito come presidente, il ritiro di Trump dall’accordo nucleare del 2015.

Trump, ha riferito il New York Times martedì, ha persino preso in considerazione di bombardare il principale impianto nucleare iraniano nel corso delle ultime settimane della sua presidenza.

Secondo quanto riferito, dei consiglieri, tra cui Pompeo e il vicepresidente Mike Pence, lo avrebbero dissuaso da ciò.

L’accordo del 2015 raggiunto dall’amministrazione Obama e da altri stati ha visto l’Iran limitare volontariamente il suo programma di produzione di energia nucleare in cambio della revoca delle sanzioni economiche.

Israele ha incessantemente fatto pressioni per intensificare la guerra economica contro l’Iran, che causa sofferenza ai normali cittadini iraniani e devasta l’economia del paese nel corso di una pandemia.

Mercoledì Pompeo ha strombazzato la campagna dell’amministrazione contro l’Iran “Massima pressione”.

“Oggi l’economia iraniana deve affrontare una crisi valutaria, un aumento del debito pubblico e un aumento dell’inflazione”, ha affermato Pompeo. Ha ammonito sulle “conseguenze dolorose” per gli stati e le società che sfidano le sanzioni statunitensi.

Lettera del Congresso

Prima dell’arrivo di Pompeo in Israele, il membro del Congresso Mark Pocan si è fatto promotore di una lettera con la richiesta al Segretario di Stato di condanna delle recenti demolizioni di case palestinesi da parte di Israele.

Co-firmata da altri 40 membri del Congresso, la lettera si riferisce alla demolizione, il 3 novembre, della comunità di Khirbet Humsa [villaggio nella parte settentrionale della valle del Giordano, ndtr.] nella Cisgiordania occupata.

La distruzione ha lasciato più di 70 palestinesi senza casa, inclusi 41 bambini – la più grande demolizione di questo tipo da molti anni.

Il membro del Congresso Ilhan Omar, una dei cofirmatari, ha definito la demolizione “un crimine grave” e ha affermato che gli Stati Uniti “non dovrebbero finanziare la pulizia etnica”.

La lettera chiede se siano stati utilizzati per la demolizione strumenti forniti dagli americani – il che Omar aveva precedentemente ammonito sarebbe stato illegale.

Chiede inoltre con forza che negli ultimi due mesi del mandato di Pompeo, “le violazioni dei diritti umani e le violazioni del diritto internazionale continuino ad essere respinte con la forza dal governo americano”.

È molto chiaro, tuttavia, che Pompeo è determinato a utilizzare il suo tempo restante per incoraggiare e premiare il maggior numero possibile di violazioni da parte di Israele.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)