Obiettrice di coscienza: “Non voglio indossare un’uniforme che simboleggia violenza e dolore”

Oren Ziv

1 settembre 2021 – +972 MAGAZINE

Shahar Perets, che è stata condannata al carcere per essersi rifiutata di arruolarsi nell’esercito israeliano, per la prima volta parla dell’incontro con i palestinesi, delle sue visite in Cisgiordania e di come la società israeliana reprime chi si trova sotto occupazione.

Martedì mattina, dopo aver comunicato il suo rifiuto di arruolarsi nell’esercito israeliano a causa delle sue politiche nei confronti dei palestinesi, l’obiettrice di coscienza israeliana Shahar Perets è stata condannata a 10 giorni di carcere militare.

Perets, 18 anni, della cittadina di Kfar Yona, è una dei 60 adolescenti che a gennaio hanno firmato la Lettera degli Shministim(iniziativa denominata con l’appellativo ebraico dato agli studenti delle superiori) in cui hanno dichiarato il loro rifiuto di prestare servizio nell’esercito in segno di protesta contro le politiche di occupazione e apartheid. Nel giugno 2020, è stata una dei 400 adolescenti israeliani che hanno firmato una lettera alla leadership israeliana chiedendo di porre fine ai suoi precedenti programmi di annettere parti della Cisgiordania occupata come parte del cosiddetto piano di pace di Trump.

Martedì mattina decine di sostenitori, tra cui il deputato della Lista Unita [formata da quattro diversi partiti arabo-israeliani, ndtr.] Ofer Cassif, hanno accompagnato sia Perets che l’obiettore di coscienza Eran Aviv – che andrà per la quarta volta dietro le sbarre – presso il nucleo di reclutamento di Tel Hashomer nel centro di Israele, dove entrambi hanno detto all’esercito che non avrebbero prestato il servizio di leva. Aviv ha trascorso un totale di 54 giorni nel carcere militare per essersi rifiutato di prestare servizio nell’esercito. Perets e Aviv sono stati condannati ciascuno a 10 giorni dietro le sbarre. Dopo essere stati rilasciati dovranno tornare al centro di reclutamento e ripetere la procedura fino a quando l’esercito non deciderà di congedarli.

Il servizio di leva è obbligatorio per la maggior parte degli ebrei israeliani

Anche il padre di Shahar, Shlomo Perets, che è stato in prigione quattro volte per essersi rifiutato di prestare servizio militare in Libano e nei territori occupati, era lì per sostenere sua figlia. Queste sono le sue scelte, fa quello che ha deciso con coscienza, scrupolo e voglia di cambiamento. La sostengo e spero che riesca a non fare le cose che vanno contro i suoi principi e rifiuti di essere ciò che non è”.

Nei giorni precedenti alla sua condanna ho parlato con Perets delle ragioni del suo rifiuto, delle sue visite nei territori occupati e di cosa intenda portare con sé in prigione.

“Ho deciso di rifiutare [il servizio di leva] dopo aver partecipato in terza media a un incontro tra palestinesi e israeliani in un campo estivo”, mi ha detto Perets. Ho fatto la conoscenza di amici palestinesi, ho capito che non voglio ferirli, non voglio incontrarli da soldatessa e diventare il loro nemico. Non voglio prendere parte a un sistema che li opprime quotidianamente».

Che esperienze hai fatto in seguito a quel primo incontro con dei palestinesi?

Ho preso coscienza di ciò che sta accadendo a Gaza e in Cisgiordania. Ho iniziato a conoscere meglio le realtà della vita palestinese e ho preso la decisione di non arruolarmi e di farlo pubblicamente”.

Le tue visite in Cisgiordania ti hanno aiutata a prendere la decisione sul rifiuto?

Sono stata in giro e ho anche partecipato a tutti i tipi di attività, tra cui il volontariato e l’aiuto agli agricoltori [palestinesi] nelle colline del sud di Hebron e la raccolta delle olive nella Cisgiordania settentrionale.

E’ un’esperienza difficile, ritorno sempre stravolta. Sta succedendo qualcosa di brutto e deve finire. Passare dall’osservazione di foto o dall’ascolto di testimonianze alla valutazione in loco è sconvolgente. Vedere gli insediamenti coloniali dove i bambini vengono attaccati mentre vanno a scuola. Vedere i luoghi che i palestinesi non possono raggiungere, ad esempio nelle colline a sud di Hebron nell’area C [sotto il pieno dominio militare israeliano].

Ho preso la decisione ben prima di trovarmi in Cisgiordania, ma è chiaro che vedere i soldati e i coloni in piedi davanti ai palestinesi mi ha chiarito che non voglio essere uno di quei soldati, non voglio indossare questa uniforme, che simboleggia la violenza e il dolore dell’esperienza dei palestinesi”.

Nell’ultimo anno hai parlato con molti adolescenti mentre ti preparavi a pubblicare la Lettera Shministim. Che tipo di reazioni hai avuto?

La risposta iniziale è sempre un po’ di timore, dal momento che nella maggior parte dei circoli di ragazzi e ragazze, nei movimenti giovanili e nelle scuole non c’è una discussione critica sull’esercito, sul reclutamento e sull’occupazione .

Sia i miei amici più intimi che la cerchia dei conoscenti sono rimasti sorpresi. La gente non sapeva che c’era un’opzione per non arruolarsi. Allo stesso tempo molti adolescenti, ragazzi e ragazze, potrebbero improvvisamente ritrovarsi su qualcosa, firmare la lettera. Voglio credere che questi incontri siano efficaci. Che diano [alle persone] molta forza e una vera alternativa.

Speri che il tuo rifiuto permetta agli adolescenti di vedere un’altra opzione?

Gli adolescenti incontrano i palestinesi per la prima volta da soldati, quando indossano uniformi e imbracciano armi. È chiaro che se ci fossero stati degli incontri con palestinesi a scuola o conversazioni sulla narrativa palestinese, le cose sarebbero andate diversamente.

Ovviamente questo fa parte della politica del sistema, dello stesso desiderio di dividere, di creare una realtà di ‘nemici’ e ‘terroristi’, invece di guardare tutti coloro che vivono qui – palestinesi e israeliani – e dire viviamo e creiamo sicurezza per tutti. Non facciamoci del male, smettiamo di uccidere e di essere uccisi».

Come ha reagito la tua famiglia?

Nel complesso sia i miei amici che la mia famiglia mi stanno davvero a fianco. Ovviamente non tutti sono contenti che io vada in prigione. È strano rispondere alla domanda “Qual è la prossima cosa che farai?” Tra una settimana andrò in prigione. Penso che chi mi è più vicino sia stato in grado di comprendere il mio rifiuto.

C’è il desiderio di trasmettere un messaggio anche ai palestinesi?

[Il messaggio è che] sebbene il movimento del rifiuto sia in minoranza, esiste e ha un’influenza. Alcune persone non sono disposte a contribuire a ciò che sta accadendo, resistono e agiscono in modo che gli altri sappiano [cosa sta accadendo].

Negli ultimi 50 anni gli adolescenti hanno pubblicato numerose lettere in cui hanno annunciato il loro rifiuto di partecipare al servizio militare sia nei territori occupati che in generale. La prima lettera Shministim è stata pubblicata nel 1970 nel bel mezzo della guerra di logoramento tra Israele ed Egitto. La lettera Shministim pubblicata quest’anno è stata firmata da adolescenti che ci si aspetta finiscano dietro le sbarre o che altrimenti vengano esentati.

Peretz inizialmente ha intrapreso la procedura di arruolamento, ma si è fermata a metà e ha scelto di non richiedere un esonero dall’esercito.

“Ho deciso di non andare davanti al comitato per gli obiettori di coscienza, a una commissione medica o all’ufficiale dell’esercito per la salute mentale”, afferma Perets, “perché è importante per me rispettare i miei principi e non creare l’impressione che sia io il problema e che dovrei essere esentata [dal servizio]. Ho scelto di andare in prigione e partecipare a una campagna perché spero che raggiunga il maggior numero di persone. Spero che attraverso il mio rifiuto le persone riflettano sulla loro posizione in questa realtà”.

Pensi che oggi le persone, soprattutto adolescenti, non sappiano cosa sta succedendo nei territori occupati? Oppure lo sanno e scelgono di rimuoverlo?

Esiste una dimensione molto ampia della rimozione; la gente non sa o sa e non lo vuole riconoscere. La rimozione non sempre è un nostro difetto, è del ministero dell’Istruzione, del governo, di tutti i tipi di altre organizzazioni che non ne parlano [dell’occupazione]. Le lezioni di storia non parlano della narrazione palestinese. Ovviamente questo scoraggia le persone. Le persone si mettono fortemente sulla difensiva quando dico loro che non ho intenzione di arruolarmi. Lo prendono sul personale e si arrabbiano. Ciò proviene chiaramente da una qualche riluttanza a confrontarsi.

Come ti stai preparando per il carcere?

Negli ultimi tre anni ho fatto parte di una rete di donne che si rifiutano di prestare il servizio militare. Ho potuto discutere e riflettere su ciò che sta accadendo in prigione. Prima della mia prigionia, ho parlato con obiettori di coscienza che sono stati in carcere. Mi hanno aiutato a mettere insieme le liste delle cose da portare. Porterò molti libri, sudoku e album da colorare. Ho iniziato a studiare l’arabo, quindi porterò qualche quaderno per continuare a esercitarmi, se me lo permetteranno”.

Come funziona in pratica la procedura di rifiuto? Cosa succede il giorno del reclutamento?

Arriverò al centro di reclutamento delle IDF [forze di difesa israeliane: l’esercito israeliano, ndtr.] e rifiuterò di passare attraverso il percorso di arruolamento. Questo è il primo confronto con il sistema. Da lì sarò inviata a tutte le categorie di ufficiali per ogni sorta di conversazioni e tentativi di persuasione finché non capiranno [la mia posizione]. Ci sarà un processo nello stesso centro, dove decideranno la mia condanna [di solito tra 10 giorni e due settimane]. Dopo il processo sarò trattenuta in stato di detenzione fino a quando non sarò trasferita in carcere.

Dopo il mio rilascio rifiuterò di nuovo e subirò quindi un altro processo e sarò rispedita in prigione. So che è quello che farò nei prossimi mesi. Festeggerò il mio 19esimo compleanno in carcere”.

Oren Ziv è un fotoreporter, membro fondatore del collettivo di fotografia Activestills [gruppo di fotoreporter israeliani, palestinesi e internazionali impegnati contro oppressione, razzismo e discriminazione, ndtr.] e giornalista della redazione di Local Call [sito internet di informazione in lingua ebraica che fa capo alla redazione di +972, ndtr.]. Dal 2003 ha documentato una serie di tematiche sociali e politiche in Israele e nei territori palestinesi occupati, con particolare attenzione alle comunità di attivisti e alle loro lotte. Il suo reportage si è concentrato sulle proteste popolari contro il muro e gli insediamenti, sugli alloggi a prezzi accessibili e altre questioni socio-economiche, sulle lotte contro il razzismo e la discriminazione e sulle battaglie a favore della libertà degli animali.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Opinione: il primo ministro israeliano non cerca un cambiamento. Vuole solo maggiore copertura per l’apartheid e la colonizzazione.

Noura Erakat

26 agosto 2021 – Washington Post

Questa settimana il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha fatto una serie di incontri a Washington, incontrandosi con funzionari dell’amministrazione Biden (un colloquio alla Casa Bianca è stato rinviato a causa degli attacchi all’aeroporto di Kabul). Entrambe le parti sperano di ristabilire i rapporti tra gli USA e Israele dopo quattro anni in cui l’ex-presidente Trump ha sfacciatamente promosso gli interessi espansionistici di Israele senza la parvenza progressista delle passate amministrazioni USA. La sinergia tra Trump e il primo ministro Benjamin Netanyahu ha evidenziato la natura farsesca del processo di pace e rafforzato una crescente divisione di parte tra i democratici e i repubblicani riguardo a Israele.

Tuttavia, nonostante il loro massimo impegno per nascondere la realtà – la colonizzazione israeliana di insediamento sulla terra palestinese e il regime di apartheid imposto per consolidare queste appropriazioni di territorio e rafforzare la supremazia ebraica – nessuna operazione di pubbliche relazioni o manipolazione della realtà può cambiare quanto avviene sul terreno o le tendenze che stanno allontanando gli americani da Israele a favore del sostegno alla libertà dei palestinesi.

In politica niente è cambiato. Nei suoi primi otto mesi in carica Biden ha approvato la maggior parte delle iniziative più discutibili di Trump, compresi lo spostamento dell’ambasciata USA a Gerusalemme, l’opposizione all’inchiesta della Corte Penale Internazionale sulle azioni di Israele e l’adozione dell’estremamente problematica definizione di antisemitismo che confonde le critiche contro Israele con il fanatismo antiebraico.

Biden si è categoricamente opposto a qualunque condizionamento dell’aiuto militare a Israele in base alle violazioni dei diritti umani e ha ordinato ai suoi funzionari di lottare contro il movimento di base per il Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) a favore dei diritti dei palestinesi, che si ispira ai movimenti per i Diritti Civili [negli USA, ndtr.] e contro l’apartheid in Sudafrica. In maggio, durante il bombardamento israeliano di Gaza che ha ucciso più di 250 palestinesi, tra cui 12 famiglie cancellate dall’anagrafe, Biden ha resistito a ripetute richieste all’interno del suo stesso partito per sollecitare pubblicamente Israele a interrompere le violenze.

Da parte sua Bennett è ansioso di presentarsi al principale sponsor di Israele e al mondo. Vuole distinguersi da Netanyahu, sotto il quale e al cui fianco ha lavorato per molti anni, nel tentativo di compiacere i sionisti progressisti USA, che sono alla disperata ricerca di una foglia di fico per sostenere la loro negazione riguardo all’esistenza dell’apartheid israeliano.

Tuttavia Bennett è, se possibile, persino più estremista di Netanyahu. Bennett è stato a capo del Consiglio Yesha, la principale organizzazione che rappresenta i coloni, e si è opposto senza riserve a uno Stato palestinese. In base all’accordo che tiene insieme la sua coalizione, il nuovo governo “incentiverà in modo significativo la costruzione a Gerusalemme,” comprese le colonie a Gerusalemme est, e, secondo informazioni, ha promesso ai capi dei coloni che non ci sarà un blocco delle colonie neppure nel resto della Cisgiordania.

Cosa forse ancor più allarmante, Bennett ha iniziato a cambiare lo status quo nel venerato complesso della moschea del nobile santuario, noto agli ebrei come Monte del Tempio, per consentire agli ebrei di pregarvi. Dall’occupazione di Gerusalemme est nel 1967 Israele ha vietato agli ebrei di pregare sul Nobile Santuario perché molte autorità religiose ebraiche vi si sono opposte per ragioni teologiche e per evitare di provocare tensioni con i musulmani. Ora con Bennett ciò sta cambiando, con conseguenze potenzialmente disastrose non solo per la regione.

Come parte di questo piano per presentare una nuova immagine, Bennett sta cercando di “ridimensionare il conflitto” rendendo più tollerabili le condizioni dei palestinesi con la prosecuzione della dominazione israeliana, proprio come la visione di Trump per una “pace economica”. Questo approccio riguarderà anche l’esaltazione come modelli per la pace degli Accordi di Abramo, il riconoscimento reciproco tra Israele e regimi autoritari sostenuti dagli USA. Bennett probabilmente appoggerà un incremento degli aiuti USA all’Autorità Nazionale Palestinese, che è parte dell’apparato di sicurezza israeliano: proprio di recente essa ha arrestato decine di difensori dei diritti umani palestinesi nel tentativo di reprimere il dissenso.

Biden è altrettanto ansioso di accogliere Bennett e una versione modificata delle politiche di contenimento di Trump. Egli rappresenta la vecchia guardia del Partito Democratico, che ha perso i contatti con gli elettori democratici e con l’opinione pubblica degli USA in generale. I sondaggi mostrano sistematicamente che gli americani di tutto lo spettro politico vogliono che gli USA siano più corretti e imparziali quando si tratta di Israele e dei palestinesi.

Questo spostamento dell’opinione pubblica statunitense è stato chiaramente evidente lo scorso maggio, quando gli americani hanno occupato le reti sociali e sono scesi in piazza in numero senza precedenti per chiedere la fine dell’attacco israeliano contro Gaza e un cambiamento della politica USA nella regione. Con un altro segno dei tempi, la popolare marca di gelati Ben & Jerry ha annunciato che smetterà di vendere gelati nelle colonie israeliane, una decisione che ha sostenuto benché le più alte cariche del governo israeliano abbiano vilmente accusato l’azienda di antisemitismo.

In ogni caso, quando Biden e Bennett si incontreranno alla Casa Bianca, i palestinesi figureranno al massimo come ombre. Ciò è particolarmente insultante alla luce del continuo movimento di protesta dell’Intifada Unita e una testimonianza del fatto che un cambiamento necessario non avverrà dall’alto verso il basso. Nel prossimo futuro probabilmente Israele sarà il suo stesso peggior nemico, in quanto insiste a sostenere che il suo regime di suprematismo razziale è una forma corretta di liberazione nazionale, e probabilmente gli Stati Uniti saranno l’ultima tessera a cadere come fu nel caso della lotta contro l’apartheid in Sud Africa.

Noura Erekat è avvocatessa per i diritti umani e docente associata dell’università Rutgers [prestigiosa università statunitense, ndtr.]. È autrice di “Justice for Some: Law and the Question of Palestine” [Giustizia per qualcuno: la legge e la questione della Palestina].

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La nostra arte si occupa di ingiustizie reali, alcune in Palestina: non sorprende abbia incontrato ostilità

Forensic Architecture

20 agosto 2021 – The Guardian

La nostra lotta per ripristinare un’affermazione nella mostra a Manchester in realtà riguarda cosa si può o non può dire negli spazi culturali

A Manchester mercoledì 18 manifestanti si sono ripresi una delle principali istituzioni culturali della città. Nonostante la pioggia, attivisti filo-palestinesi si sono radunati davanti al portone chiuso della galleria d’arte Whitworth, parte dell’università di Manchester. È stato grazie alla loro azione insistente e a 13.000 lettere inviate alla galleria, che è stata ripristinata una parte della nostra mostra, la dichiarazione scritta intitolata: “Forensic Architecture [Architettura forense] sta dalla parte della Palestina”. La mostra che dietro nostre insistenze era stata chiusa dopo la rimozione unilaterale dell’enunciato, è ora riaperta.

Sabato 15 agosto un post sul blog del sito web dell’organizzazione UK Lawyers for Israel [Giuristi Britannici per Israele] (UKLFI) aveva annunciato che, in seguito al loro intervento, la frase era stata rimossa dalla nostra mostra, “Cloud Studies” [Studi di Nubi]. Quando l’abbiamo appreso non ci siamo poi molto sorpresi. Lo stesso gruppo aveva già criticato una dichiarazione di solidarietà con i palestinesi pubblicata a giugno sul sito della Whitworth ed era riuscito a convincere l’università a toglierla. E questo non era per niente il primo attacco da parte di UKLFI contro di noi come organizzazione. Nel 2018, quando siamo stati nominati per il Turner Prize [prestigioso premio britannico di arte contemporanea, ndtr.], l’UKLFI aveva sollecitato la Tate [noto complesso museale britannico, ndtr.] a non consegnarci il premio adducendo il motivo ridicolo che i documenti che avevamo pubblicato sulla Palestina equivalevano a “una moderna ‘accusa del sangue’ [accusa antisemita diffusa dall’XI secolo secondo cui alcuni ebrei berrebbero sangue infantile per compiere riti di magia nera, ndtr.] che avrebbe potuto promuovere antisemitismo e attacchi contro gli ebrei”.

Forensic Architecture non è esattamente un collettivo di artisti come qualcuno ci descrive. Siamo piuttosto un gruppo universitario di ricerca che opera in tutto il mondo con comunità in prima linea nei conflitti. Noi sviluppiamo tecniche e strumenti architettonici per raccogliere prove delle violazioni dei diritti umani da usare nelle aule di tribunali nazionali e internazionali, in inchieste parlamentari, tribunali per i diritti dei cittadini, forum di comunità, istituzioni accademiche e media. Noi esponiamo i risultati delle nostre ricerche anche in gallerie e musei quando altri siti affidabili sono inaccessibili.

Perciò, seppure sorpresi dalla nomina del Turner Prize, abbiamo scelto di usare la piattaforma per rivelare le affermazioni ufficiali israeliane sull’uccisione del beduino palestinese Yaakub Abu al-Qi’an per mano di poliziotti israeliani il 18 gennaio 2017. Abbiamo collaborato con gli abitanti del villaggio palestinese Umm al-Hirane e con attivisti per redigere un’inchiesta che collettivamente smentisce l’affermazione dei poliziotti israeliani secondo cui al-Qi’an era un “terrorista” e al contrario svela l’uccisione efferata e il rozzo tentativo di occultarla. Era difficile contestare le conclusioni dell’inchiesta e persino l’allora primo ministro di estrema destra, Benjamin Netanyahu, è stato alla fine costretto a scusarsi per l’omicidio.

Il nostro lavoro rivela l’avvento di un nuovo tipo di arte politica, meno interessata a commentare che a intervenire in contesti politici. È con questo spirito che abbiamo esposto Cloud Studies alla Whitworth. Il titolo si riferisce alla comparsa della meteorologia nel diciannovesimo secolo con il lavoro combinato di scienziati e artisti, ma, invece di occuparsi del tempo, la mostra mappa le odierne nubi tossiche: dai gas lacrimogeni negli USA, in Palestina e in Cile, agli attacchi chimici in Siria, a quelli prodotti dalle industrie estrattive in Argentina, alle nuvole di CO2 create dagli incendi nelle foreste in Indonesia.

Un elemento chiave della mostra è il nostro studio sul razzismo ambientale in Louisiana, nello specifico sul “corridoio petrolchimico” intensamente industrializzato lungo il fiume Mississippi, fra Baton Rouge e New Orleans. Gli abitanti delle comunità, a maggioranza nera, che vivono nei pressi di questi impianti respirano una delle arie più tossiche del Paese e registrano i numeri più elevati di casi di tumore.

A maggio, mentre stavamo lavorando alla mostra, è cominciata la serie più recente di attacchi israeliani contro Gaza. Abbiamo seguito da vicino collaboratori, amici ed ex dipendenti a Gaza e altrove in Palestine che ci mandavano in tempo reale immagini orribili delle distruzioni che le forze armate israeliane stavano arrecando alle loro case e aziende. Mentre assistevamo al sorgere di nubi tossiche sopra gli stabilimenti chimici bombardati di Beit Lahia ci sembrava di vedere una rappresentazione dal vivo dei nostri ‘Studi di nubi’.

Gli attacchi si sono estesi anche a istituzioni artistiche: l’artista Emily Jacir, nostra cara amica palestinese, ci ha mandato video del raid dell’esercito israeliano contro Dar Jacir, uno spazio indipendente e vitale gestito da artisti a Betlemme.

La nostra dichiarazione, la cui inclusione nella mostra era stata approvata in fase di progettazione dai curatori della Whitworth, è stata scritta mentre si svolgevano questi attacchi. Abbiamo usato termini come “pulizia etnica” e “apartheid” per descrivere le politiche del governo israeliano in Palestina perché descrivono la realtà della vita palestinese, sono in linea con il linguaggio delle principali organizzazioni israeliane e internazionali per i diritti umani e sono naturalmente state usate in Palestina per decenni. Analogamente il termine “colonialismo di insediamento” è stato usato estensivamente dagli studiosi per descrivere le politiche israeliane in Palestina. Se tali termini sono offensivi, essi sono ancora più offensivi per quelli che sperimentano quotidianamente l’impatto di tali politiche. Le università devono essere luoghi dove tali categorie possono essere presentate, sviluppate e discusse e la nostra battaglia per ripristinare la dichiarazione riguardava in realtà quello che si può dire in un contesto accademico e culturale.

Compiacere gruppi come UKLFI, un’organizzazione che ha ospitato un evento pubblico a cui era presente Regavim, l’organizzazione israeliana di coloni di estrema destra che sostiene la demolizione delle case dei palestinesi, non è solo una violazione del principio della libertà di espressione, ma mostra anche un’assenza di integrità morale. Il nostro è solo un caso, e non uno degli esempi più significativi, della campagna di diffamazione e di attacchi giuridici contro artisti e intellettuali palestinesi, molti dei quali subiscono la repressione per mano delle autorità di occupazione israeliane, e censura e restrizioni della loro libertà di espressione a livello internazionale. Secondo noi la campagna di UKLFI per screditare Forensic Architecture fa parte di questi tentativi di far tacere e intimidire. Il fatto che uno sforzo concertato sia riuscito a ribaltare la posizione dell’Università di Manchester dimostra che a tali azioni si può opporre una resistenza a livello collettivo.

Questa lotta alla Whitworth ha anche qualcosa da dire ai responsabili delle politiche culturali: mentre le gallerie si orientano sempre di più ad ospitare arte politica, allo stesso modo istituzioni e l’opinione pubblica non dovrebbero essere sorpresi quando l’arte politica è, appunto, politica.

Forensic Architecture è un’organizzazione di ricerca che indaga violazioni di diritti umani, inclusa la violenza commessa da Stati, forze di polizia, militari e corporazioni.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Ebrei israeliani chiedono: Basta con l’apartheid israeliano. Lettera aperta alla comunità internazionale

#IsraelisAgainstApartheid

Agosto 2021

Noi, ebrei israeliani, ci opponiamo alle azioni del governo israeliano e quindi dichiariamo il nostro impegno ad agire contro di esse. Ci rifiutiamo di accettare il regime suprematista ebraico e chiediamo alla comunità internazionale di intervenire immediatamente in difesa dei palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme, in Galilea, nel Negev, a Lydda, Giaffa, Ramleh, Haifa e in tutta la Palestina storica.

Il suprematismo ebraico è la pietra angolare del regime israeliano e il suo coerente obiettivo è espellere e cancellare il popolo palestinese, la sua storia e la sua identità nazionale. Questo obiettivo si manifesta in continui atti di pulizia etnica mediante sfratti e demolizioni di case, brutale occupazione militare, negazione dei diritti civili e umani ed emanazione di una serie di leggi razziste culminate nella legge Stato-Nazione, che definisce lo Stato come “lo Stato Nazione del popolo ebraico ”, e solo di quest’ultimo.

Tutto ciò costituisce di fatto un regime di apartheid che crea aree simili a bantustan e ghetti per le comunità native palestinesi. Crediamo che il sionismo sia un principio di governo non etico che porta intrinsecamente a un regime di apartheid razzista che per oltre settanta anni ha commesso crimini di guerra e negato ai palestinesi i diritti umani fondamentali. Tali crimini e violazioni includono: la distruzione di centinaia di città e villaggi e il loro spopolamento di 750.000 palestinesi nel 1948, impedendo nel contempo attivamente il ritorno dei rifugiati; l’espropriazione sistematica delle terre dei palestinesi e il loro trasferimento a proprietari ebrei sotto gli auspici dello Stato; l’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle alture del Golan e la messa in pratica di un regime militare colonizzatore, che governa su milioni di palestinesi; la graduale annessione dei territori occupati nel 1967 con una violenta operazione di ingegneria demografica; l’assedio in corso contro la Striscia di Gaza e i persistenti massacri della popolazione di Gaza da parte dell’aviazione israeliana; la persecuzione politica dei palestinesi in tutta la Palestina e l’incitamento in corso contro la leadership politica e la società in generale. Tutte queste atrocità hanno luogo a causa dell’impunità di cui Israele gode da parte della comunità internazionale e in particolare degli Stati Uniti.

Nelle ultime settimane, il governo israeliano ha aumentato i suoi tentativi di impossessarsi di case palestinesi a Gerusalemme Est (specialmente nel quartiere di Sheikh Jarrah) e ospitarvi coloni ebrei con l’obiettivo di completare l’ebraizzazione della città iniziata nel 1967. Durante il mese di Ramadan le forze israeliane hanno intensificato il loro violento assalto al complesso della moschea di Al Aqsa, dando ai coloni il via libera per vandalizzare e aggredire fisicamente i palestinesi in Cisgiordania, Gerusalemme e in tutti i territori del ’48. Folle di coloni agiscono sotto l’egida della polizia israeliana e in coordinamento con essa. I media israeliani stanno partecipando alla sfrenata istigazione contro i cittadini arabi di Israele. Di conseguenza, le bande di ebrei godono dell’impunità per la loro violenza, mentre centinaia di cittadini palestinesi di Israele vengono arrestati per aver protetto le proprie case e comunità, o semplicemente per essere stati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Di tanto in tanto Israele commette un ulteriore massacro contro la popolazione del ghetto di Gaza, rifiutando iniziative e proposte di cessate il fuoco con le organizzazioni palestinesi nella Striscia di Gaza e continuando con la distruzione di quartieri residenziali nella Striscia di Gaza e con il brutale assedio imposto contro circa due milioni di persone.

Come individui che si trovano dalla parte dell’oppressore e che hanno cercato per anni di spostare l’opinione pubblica in Israele al fine di cambiare dalle fondamenta l’attuale regime, siamo da molto tempo giunti alla conclusione che è impossibile cambiare il regime suprematista ebraico senza un intervento esterno.

Chiediamo alla comunità internazionale di intervenire immediatamente per fermare le attuali aggressioni israeliane, di accogliere le richieste del movimento palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni, di agire per l’attuazione del diritto al ritorno dei palestinesi e per realizzare la giustizia storica, di raggiungere una soluzione giusta e democratica per tutti, basata sulla decolonizzazione della regione e sulla fondazione di uno Stato di tutti i suoi cittadini.

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

#IsraelisAgainstApartheid

  1. Ruchama Marton

  2. Reuven Abergel

  3. Anat Matar

  4. Orly Noy

  5. Yehouda Shenhav

  6. Ilan Pappe

  7. Moshé Machover 

  8. Rela Mazali

  9. Prof. Emmanuel Farjoun

  10. Ronit Lentin

  11. Marcelo Svirsky

  12. Hannah Safran

  13. Michel Warshawski

  14. Jeff Halper

  15. Hanna Zohar

  16. Eyal Sivan

  17. Melissa Danz

  18. Tal Dor

  19. Aya Kaniuk

  20. Shiri Eisner

  21. Shaul Tcherikover

  22. Rana Saba

  23. Esther Rapoport

  24. Yossef Mekyton

  25. Revital Sella

  26. Haley Firkser

  27. Michal Raz

  28. Avi Liberman

  29. Amitai Ben-Abba

  30. Shlomo Owen

  31. Shmuel Merzel

  32. Maayan Geva

  33. Hillel Garmi

  34. Zohar Atai

  35. Dina Hecht

  36. Naama Farjoun

  37. Ehud Shem Tov

  38. Daniel Roe

  39. Neta Golan

  40. Guy Avni

  41. Daniella Cramer

  42. Yonatan Shapira

  43. Einat Weizman

  44. Tali Shapiro

  45. Tom Pessah

  46. Keren Assaf

  47. Ofer Neiman

  48. Tami Dynes

  49. Guy Hirschfeld

  50. Tsipi Erann

  51. Aryeh Miller

  52. Vardit Shalfy

  53. Or Ben David

  54. Haim Schwarczenberg

  55. Oren Feld

  56. Shira Havkin

  57. Oneg Ben Dror

  58. Rosana Berghoff

  59. Lirona Rosenthal

  60. Dror Shohet

  61. Guy Gillor

  62. Adi Shosberger

  63. Imri Hen

  64. Nuni Tal

  65. Dalit Baum

  66. Yoko Ram Chupak

  67. Maxine Kaufman-Lacusta

  68. Yael Shomroni

  69. Bilha Golan Sündermann

  70. Noa Shaindlinger

  71. Noa Friehmann

  72. Yom Shamash

  73. Abigail Szor

  74. Ronnen Ben-Arie

  75. ayA Zamir

  76. Connie Hackbarth

  77. Adi Moreno

  78. Yasmine Halevi

  79. Kobi Snitz

  80. Alexander Eyal

  81. Ronen Wolf

  82. Anat Elzam

  83. Robert Nathan Suberi

  84. Oshra Bar

  85. Liat Rosenberg

  86. Shaindy Ort

  87. Ari Libero

  88. Shai Ilan

  89. Yasmin Eran- Vardi

  90. Miri Barak

  91. Tamar Selby

  92. Elian Weizman

  93. Aliza Dror

  94. Ruti Lavi

  95. Michal Sapir

  96. Ayala Levinger

  97. Daphna Baram

  98. Yudit Ilany

  99. Odeliya Matter

  100. Yaniv Shachar

  101. Ofra Yeshua-Lyth

  102. Moshe Eliraz

  103. Elfrea Lockley

  104. Iris Hefets

  105. Oriana Weich

  106. Reut Ben-Yaakov

  107. Doaa Abunasa

  108. Yoram Blumenkranz

  109. Tia Levi

  110. Bosmat Gal

  111. Rachel Beitarie

  112. Udi Raz

  113. Yael Friedman

  114. Alon Marcus

  115. Jasmin Wagner

  116. Orna Akad

  117. Avi Berg

  118. Inna Michaeli

  119. Galit Naaman

  120. Sharona Weiss

  121. Aya Breuer

  122. Tal Janner-Klausner

  123. Eran Torbiner

  124. Vered Bitan

  125. Pnina Werbner

  126. Irit Rotmensch

  127. Eliana Ben-David

  128. Mike Arad

  129. Karen Zack

  130. Adi Liraz

  131. Nadav Franckovich

  132. Irit Segoli

  133. Maya Reggev

  134. Yam Nir-Bejerano

  135. Abey Mizrahi

  136. Hadas Leonov

  137. Tair Borchardt

  138. Yehudith Harel

  139. Yael Politi

  140. Itamar Shapira

  141. Regev Nathansohn

  142. Liad Kantorowicz

  143. David Benarroch

  144. Uri Gordon

  145. Zohar Efron

  146. Reuben Klein

  147. Yisrael Puterman

  148. Erica Melzer

  149. Yaara Benger Alaluf

  150. Anat Guthman

  151. Erella Grassiani

  152. Daniel Palanker Chas

  153. Einat Podjarny

  154. Yael Lerer

  155. Ya’ara Peretz

  156. Shirli Nadav

  157. Lihi Joffe

  158. Danielle Parsay

  159. Adi Winter

  160. Daphna Westerman

  161. Tslil Ushpiz

  162. Ella Janatovsky

  163. Nily Gorin

  164. Ora Slonim

  165. Rachel Hagigi

  166. Nahed Ghanayem

  167. Maayan Ashash

  168. Ruth Rosenthal

  169. Debby Farber

  170. Nicole Schwartz

  171. Sahar Vardi

  172. Hilla Dayan

  173. Rana Sawalha

  174. Galit Saporta

  175. 0-Michaela Reisin

  176. Adi Golan Bikhnafo

  177. Sharon Avraham

  178. Noa Roei

  179. Elliot Beck

  180. Jair Straschnow

  181. Haim Bresheeth-Zabner

  182. Amir Vudka

  183. Alma Ganihar

  184. Atalia Israeli Nevo

  185. Itamar Liebergall

  186. Jonathan Pollak

  187. Livnat Konopny Decleve

  188. Yanai Himelfarb

  189. Sigal Ronen

  190. Merav Devere

  191. Shiri Wilk Nader

  192. Dror K Levi

  193. Yael Perlman

  194. Laurent Schuman

  195. Ferial Himel

  196. Ester Nili Fisher

  197. Abo Kouder Gaber

  198. Ur Shlonsky

  199. Rachel Giora

  200. Judit Druks

  201. Miri Michaeli

  202. Tal(y) Wozner

  203. Meir Amor

  204. Souraya Abeid

  205. Alon Benach

  206. Roni Gechtman

  207. Rahel Wachs

  208. Anat Rosenblum

  209. Yoav Beirach

  210. Dorit Naaman

  211. Noa Vidman

  212. Dror Dayan

  213. Ruthie Pliskin

  214. Yaara Shaham

  215. Inbar Tamari

  216. Herzl Schubert

  217. Assif Am-David

  218. Nadia Cohen

  219. Rachel Yagil

  220. Rani Nader Wilk

  221. Gony Halevi

  222. Tamar Katz

  223. Chagit Lyssy

  224. Sam Shtein

  225. Michal Baror

  226. Doron Ben David

  227. Miki Fischer

  228. Zhava Grinfeld

  229. Aviya Atai

  230. Nimrod Ronen

  231. Judith Tamir

  232. Yotam Ben-David

  233. Alex Cohn

  234. Avital Barak

  235. Maayan Vaknin

  236. Tamar Yaron

  237. Orit Ben David

  238. Maia Bendersky

  239. Oran Nissim

  240. Roni Tzoreff

  241. Udi Adiv

  242. Lilach Ben David

  243. Ayelet Yonah Adelman

  244. Tal Berglas

  245. Ronit Milano

  246. Terry Greenblat

  247. Mie Shamir

  248. Oren Lamm

  249. Ayelet Politi

  250. Udi Aloni

  251. Hava Ortman

  252. Liat Hasenfratz

  253. Marie Berry

  254. Revital Elkayam

  255. Asaf Calderon

  256. Nitza Aminov

  257. Isaac Johnston

  258. Amos Brison

  259. Michael Treiger

  260. Hadas Binyamini

  261. Sirli Bahar

  262. Ron Naiweld

  263. Maria Chekhanovich

  264. Yehonatan Chekhanovich

  265. Lisa Kronberg Chitayat

  266. Moriah Lavey

  267. Guy Yadin Evron

  268. Eran Efrati

  269. Zohar Weiss

  270. Orit Zacks

  271. Arielle Bareket

  272. Sarah Raanan

  273. Dana Dahdal

  274. Zvi Gaster

  275. Raz BDV

  276. Emad Housary

  277. Mika Zacks

  278. Dorit Argo

  279. Lorraine Evrard

  280. Micha Kaplan Chetrit

  281. Hadar Kleiman

  282. Talma Bar-Din

  283. Orit Friedland

  284. Tali keren

  285. Oded Carmi

  286. Hadas Rivera-Weiss

  287. Avi Blecherman

  288. Lior wachtel

  289. Avi Greenman

  290. Dina Leibermann

  291. Zurqab Razaq

  292. Tamir Sorek

  293. Oded Jacob

  294. Itamar Avraham Cohen Scali

  295. Chen Israel

  296. Rand Warren Aronov

  297. Gila Avni

  298. Bekah Wolf

  299. Alon Lapid

  300. Ehud Kotegro

  301. Entissar kharoub

  302. Lotem Zabinski

  303. Shai Carmeli Pollak

  304. Yael Admoni

  305. Hen Levi

  306. Shahar Tsameret

  307. Elik Nir

  308. Nir Nader

  309. Zoe Gutzeit

  310. Ossi Ron

  311. Raanan Alexandrowicz

  312. Sima Sason

  313. Ehud Sivosh

  314. Elías Deik Halabi

  315. Ben Gershovitz

  316. David Kortwa

  317. Gina Ben David

  318. Liel Green

  319. Evyatar shamir

  320. Tom Mosek

  321. Yael rozanes

  322. Anna Fox

  323. Ruhama Weiss

  324. Tirtza Tauber

  325. David Nir

  326. Coral Cohen

  327. Ayoub mohareb

  328. Daniel Roth

  329. Oz Shelach

  330. Rona Even Merrill

  331. Anat Biletzki

  332. Shachaf Polakow

  333. Michael Kaminer

  334. Yaffit Windler

  335. Maya Wind

  336. Max Somerstein

  337. Hillel Barak

  338. Yaron Ben-Haim

  339. Ori Goldberg

  340. Milan Shiff

  341. Sivan Ben-Hayun

  342. Elana Wesley

  343. Tali Baram

  344. Hannah Goldman

  345. Ronen Meshulam

  346. Rotem Bahat

  347. Toviel Rose

  348. Miriam Meir

  349. Sivan Tal

  350. Naama Golan

  351. Ruth Lackner Hiller

  352. Afia Begum

  353. Gaia Beirak

  354. Assa Doron

  355. Ze’ev Ionis

  356. Mira Khazzam

  357. Matan S. Cohen

  358. Smadar Carmon

  359. Amira Tasse

  360. Shelly Yosha

  361. Tal Frieden

  362. Shai Shabtai

  363. Leah Even Chorev

  364. Reva Damir

  365. Iris Stern Levi

  366. Wael Sayej

  367. Ronit Marian Kadishay

  368. Freda Guttman

  369. Diana Dolev

  370. Annelien Kisch-Kroon

  371. Debbie Eylon

  372. Galit Eilat

  373. Daniel Gagarin

  374. Eyal Mazor

  375. Yael Messer

  376. Omri Goren

  377. Rachel Hayut

  378. Daphne Banai

  379. Nadav Harari

  380. Kamal Manzur

  381. Meital Yaniv

  382. Yudit Yahav

  383. Elisheva Gavra

  384. Dalia Sachs

  385. Angela Godfrey-Goldstein

  386. Shlomo Perets

  387. Idit Nathan

  388. Haim Yacobi

  389. Edna Gorney

  390. Hilla Kerner

  391. Naomi Raz

  392. Nir Lutati

  393. Daniel Ayzenberg

  394. Hava halevi

  395. Rona Sela

  396. Racheli Bar-Or

  397. Ruti Kantor

  398. Ayelet ophir

  399. Noki Olchovski

  400. Nina Jawitz

  401. Ma’ayan Levi

  402. Effi Ziv

  403. Reshef Agam-Segal

  404. Rami Heled

  405. Dalit Fresco

  406. Mirit Barashi

  407. Ido Even Paz

  408. Yoel Lion

  409. Michal Margaliot

  410. Tali Bromberg

  411. Sharon Cohen

  412. Hilla Bar-om

  413. Yuval Tenenbaum

  414. Lilit Bartana

  415. Gilad Nir

  416. Yael Gvirtz

  417. Namer Golan

  418. Ofir Shahar

  419. Maya Herman

  420. Guy Ronen

  421. Gidon Raz

  422. Ron Barkai

  423. Assaf Rotman

  424. Aaron Turgeman

  425. Asaf Ronel

  426. Nurit Peled-Elhanan

  427. Mia Perelmuter

  428. Sarit Tamura

  429. Or Glicklich

  430. Roni Meyerstein

  431. Ofra Hoffman

  432. Eran Razgour

  433. Shai Gortler

  434. Jacob Katriel

  435. Ofer Shinar Levanon

  436. Heidi Stern

  437. Orly Dumitrescu

  438. Rotem Levin

  439. Atalia Omer

  440. Yossi Shabo

  441. Michal Schwartz

  442. Itay Snir

  443. Roy Wagner

  444. Ella Gur

  445. Hadar Solomon

  446. Esther Bar Nathan

  447. Jonathan Preminger

  448. Moria Rabbani

  449. Yeela Lahav Raz

  450. Miriam Turmalin

  451. Tuly Flint

  452. Ori Ben Shalom

  453. Rom Yan

  454. Naftali Orner

  455. Maya Ron Levinger

  456. Aaron Paz

  457. Liat Bar-oz

  458. Adili Liberman

  459. Barak Heymann

  460. Miki Levy

  461. Noam Keim

  462. Ruth Varon

  463. Tamir Erlich

  464. Amjad Darwish

  465. Annie Ohayon

  466. Noga Wolff

  467. Nadav David

  468. Dr Moshe Behar

  469. Hila Rubinstein

  470. Anna Waisman

  471. Yehonatan Ben Yisrael

  472. Mazal Etedgi

  473. Yuval Naor

  474. Rotem Marty

  475. Maya Paz

  476. Yael Meron

  477. Danae Elon

  478. Gali Schell

  479. Anna Kleiman

  480. Or Shloman

  481. Gili Sercarz

  482. Natali Kalnitski

  483. Ohad Bracha

  484. Moriel Ram

  485. Eliezer Moav

  486. O-Ren Horowitz

  487. Ilana Bernstein

  488. Tamar Aviyah

  489. Hugit Rubinstein

  490. Dafna Kaplan

  491. Yakov Pipman

  492. Netta Toledano

  493. Daphna Levit

  494. Noa Bar Hain

  495. Yuval Graff

  496. Amit Ben Haim

  497. Noga Eilon

  498. Alma Katz

  499. Yom Omer

  500. Moshe Yamo

  501. Noga Hurvitz

  502. Arie Finkelstein

  503. Tali Rabin

  504. Romi Marcia Bencke

  505. Ilana Machover

  506. Michal Cohen

  507. Sigal Primor

  508. Michal Gabay

  509. Lea Pipman Dotan

  510. Yotam Ben Meir

  511. Kochav Shachar

  512. Haim Scortariu

  513. Dotan Moreno

  514. Gaya Feldheim Schorr

  515. Ariel Koren

  516. Layla Natour

  517. Maayan Iyar Averbuch

  518. Gilad Ben David

  519. Maya Eshel

  520. Itai Vonshak

  521. Matan Sandler Tadmor

  522. Hagit Borer

  523. Sharon Shmuel

  524. Yosefa Loshitzky

  525. Noga Emuna Avisar

  526. Aya Kook

  527. Gabriel Schubiner

  528. Elham Rokni

  529. Tamar Goldschmidt

  530. Avigail y. Zeleke

  531. Ofer Tisser

  532. Revital Madar

  533. Elana Lakh

  534. Zohar Regev

  535. Elana Summers

  536. Chava Finkler

  537. Sharon Orshalimy

  538. Guy Elhanan

  539. Michal Schendar

  540. Shir Darwin Regev

  541. N.Nur Zahor

  542. Ori Rom

  543. Noa Schwartz

  544. Anita S. Maroun

  545. Hani Abramson

  546. Glick Moshe

  547. Ortal Mizrahi

  548. Noam Schechter

  549. Yulie Cohen

  550. Eviatar Bach

  551. Amnon Keren

  552. Ella Levenbach

  553. Omer Shokron

  554. Shira Shvadron

  555. Gadi Schnitzer

  556. Natalie Rothman

  557. Ron Cohen

  558. Michal Halevy

  559. Shelly Mehari

  560. Andrea Koverman

  561. Ira Perelson

  562. Aviv Liplis

  563. Syed Fatima Hossain

  564. Yoav haas

  565. Vardit Goldner

  566. Nitzan Lebovic

  567. Nomi Drory

  568. Sivan Barak

  569. Gabriela Vollick

  570. Avi Incisiker Cohen

  571. Raya Fidel

  572. Maya Ober

  573. Itamar Feigenbaum

  574. Agan Tsabari

  575. Ronit Milo

  576. Lenny Lapon

  577. Alon Stotter

  578. Yael Kahn

  579. Moran Barir

  580. Omri Haven

  581. Felix Laub

  582. Daniella Aperlev

  583. Sarah Shapiro

  584. Yvonne Deutsch

  585. Itamar Stamler

  586. Lia Tarachansky

  587. Naava Weiner

  588. Daniella Krishevsky

  589. Efrat Levy

  590. Howard Cohen

  591. Daniel Flexer

  592. Victor Herstigg

  593. Julie Weinberg-Connors

  594. David L. Mandel

  595. Hanan Offner

  596. Ayelet Ben-Yishai

  597. Itay Sapir

  598. Nizan Weisman

  599. Bryan Atinsky

  600. Naama Or

  601. Talia Krevsky

  602. Mali Assaf

  603. Tom Sela

  604. Maya Mukamel

  605. Sigal Oppenhaim Shachar

  606. Elizabet Freund

  607. Yossi Cohen

  608. Itzik Gil

  609. Nomi Shir

  610. Haitham Salim

  611. Simma Chester

  612. Omri Cohen

  613. Gil Mualem-Doron

  614. Erez Moshe Amit

  615. Ehud Tamuz

  616. Tom Koren

  617. Rachel Milstein

  618. Gil Freund

  619. Yael Shein

  620. Rechavia Berman

  621. Shoshana Kahn

  622. Tania Jones

  623. Christoph Bugel

  624. Gaby Ron

  625. Mieka Polanco

  626. Naomi Lyth

  627. Ruth Noemi Pragier

  628. Tali Harkavi

  629. Danielle zini

  630. Mohammed Patel

  631. Yam-Nir Bejerano

  632. Sara Almog

  633. Susan Ettinger

  634. David Miller

  635. Michal David

  636. Yana Knopova

  637. Omer Shamir

  638. Simeon S. Jacob

  639. Ruth Sevack

  640. Lee Hemminger

  641. Jonatan Israel

  642. Nora Gottlieb

  643. Roni Roseman

  644. Omer Sharir

  645. Mijal Kimel

  646. Ilya Ziblat Shay

  647. Lian Malki-Schubert

  648. Aviv Nitsan

  649. Valerie Malki

  650. Omar Mahmoud

  651. Oz Malul

  652. Yael Edri

  653. Amir Zloof

  654. Sirah Foighel

  655. Keren Manor

  656. Eli Aminov

  657. Abigail Yanow

  658. Hagit Zohara M

  659. Daphna Thier

  660. Maya Lerman

  661. Yuula Benivolski

  662. Shlomit Altman

  663. Ivy Sichel

  664. Anael Resnick

  665. Tamar Sarfatti

  666. Irit Halperin

  667. Yaar Koren

  668. Ada Bilu

  669. Julieta Kriger

  670. Jackie Yarosky

  671. Uri Rodberg

  672. Mohammedi Fatima

  673. Maayan Priel

  674. Hadas Kedar

  675. Michal Peleg

  676. Hava Lerman

  677. Tal Nitzan

  678. Einat Amir

  679. Mia Kerner

  680. Gil Schneider

  681. Tzvia Thier

  682. Marina Ergas

  683. Irit Halavy

  684. Shahar Shnitzer

  685. Ibrahim Hawash

  686. Avishay Halavy

  687. Raphael Cohney

  688. Eran Stoler

  689. Dafi Cramer

  690. Or Gerlitz

  691. Anat Natasha Camran

  692. Hadas Thier

  693. Shachar Camran

  694. Dr. Ariela Bairey Ben Ishay

  695. Sr. Mary Beth Orr

  696. Oren Yehosha

  697. Rebecca Maria Goldschmidt

  698. Ohal Grietzer

  699. Mauricio Calderón F

  700. Nir Harel

  701. Yahav Erez

  702. Oz Marinov

  703. Zohar Alon

  704. Yiskah Bashevis

  705. Ilan Blumberg

  706. Amit Perelson

  707. Sarah Shartal Levinthal

  708. Simcha Stecklov

  709. Noga Elhassid

  710. Elia Koutavas

  711. Esther Kingston-Mann

  712. Mohd Isa Maaroff

  713. David Pollack

  714. Rina King

  715. Batya Gil Margalit

  716. Tamar Verete

  717. Tami Gold

  718. Khalil Toama

  719. Aviva Wexler

  720. Tamar Dover

  721. Hester Eisenstein

  722. Hamutal Fishman

  723. Shlomit Yerushalmi

  724. Dina Afek

  725. Avigail Yanow

  726. Dani Wachsmann

  727. Vered Keasar

  728. Ahmad Awad

  729. Adi Raz

  730. Shimrit Karni

  731. Lilach Ram Chupak

  732. Tamar Zamir

  733. B.H. Yael

  734. Dr. Amir Locker-Biletzki

  735. Jessica Falstein

  736. Yael Vishnizki-Levi

  737. Mela Itzhaki

  738. Shira Bitan

  739. Shir Hever

  740. Orna Meir

  741. Noa Moguillansky

  742. David Gilad

  743. Syeda Afia Sarah Hossein

  744. Hen Magen

  745. Shelli Ben Shachar

  746. Noa Poliakin Dotan

  747. Yossi Farjoun

  748. Uzi Nitsan

  749. Maya Azran

  750. Rotem Anna Diamant

  751. Rotem Linial

  752. David Cohen

  753. Shahar Zaken

  754. Yael Ben-Chaim

  755. Netanel Ben Yarden

  756. Bar Maor Neeman

  757. Ayelet Desta

  758. Ari Gold

  759. Ofra Ben Artzi

  760. Gioia Morris

  761. Layla Klinger

  762. Adi Savran

  763. Ari Gutman

  764. Sarah kashlan

  765. Sahar Khalil

  766. Gabriela Zappi

  767. Rann Bar-On

  768. Eitan Bronstein

  769. Michal Shalva

  770. Safeyah Levy

  771. Shiraz Grinbaum

  772. Sigal Kook Avivi

  773. Nizan Shaked

  774. Elimelech Dror

  775. Pnina Grietzer

  776. Dror Feiler

  777. David Tsinovoy

  778. Asma Daragmeh

  779. Imad Sayeed

  780. Yasmin Eran-Bardi

  781. Yael Plat

  782. Tal Gilad

  783. Omer Krieger

  784. Ofer Engel

  785. Omri Eran Vardi

  786. Shelley Sella

  787. Gili Lavy

  788. Gadi Cohen

  789. Alisa Klein

  790. Eden Mitsenmacher

  791. Meshulam Plaves

  792. Noa Assido

  793. Rubén Kotler

  794. Oreet Ashery

  795. Sigal Flint

  796. Yonah Gabbai

  797. Shira Inbar

  798. Orit Levy

  799. Roee Rosen

  800. Alma Ben Yossef

  801. Karen Russo

  802. Ilan Dadon

  803. Hadar Ben-Simon

  804. Ofer Gazit

  805. Michal Zak

  806. Dori Tal

  807. Maytal Strul

  808. Alma Halpern

  809. Ophir Gilad

  810. Udi Pladott

  811. Daniel Shaya

  812. Shlomo Regev

  813. Arie David Plat

  814. Zehava Greenfeld

  815. Sharon Mantel

  816. Shlomi Fogel

  817. Daniela Ma-yafit

  818. Anka Schneidermann

  819. Tal Iungman

  820. Maya Guttmann

  821. Naomi Kallner

  822. Osama Zatar

  823. Adi Ben Yaccov

  824. Carmit Wolberg

  825. Liat Fassberg

  826. Merav Amir

  827. Keren Samuel Dalach

  828. Noga inbar

  829. Yeheli Cialic

  830. Einat Walter

  831. Rivka Warshwsky

  832. Nait Rosenfelder

  833. Adi Maoz

  834. Michal Ben-Gera

  835. Irit Reinheimer

  836. Debby Lerman

  837. Lillian Rosengarten

  838. Aviva Konforty

  839. Tai Shani

  840. Hannah Kessler

  841. Henry Lowi

  842. Yoram Gelman

  843. Noa Farbstein

  844. Yael Tal-Barzilai

  845. James Marks

  846. Miriam Marmur

  847. Daniel Alexander Machover

  848. Yaar Peretz

  849. Marc Volovic

  850. Nufar Shimony

  851. Elana Golden 

  852. Tamir Lederberg

  853. Omer Katz

  854. Abe Hayeem

  855. Michael Schell

  856. Adam Shulman

  857. Sagi Raveh

  858. Tamar Gordon

  859. Orit Loyter

  860. Guy Oron

  861. Bracha Flicoteaux

  862. Roni Wang

  863. Nina Sodin

  864. Irit Sela

  865. Dalia Hager

  866. Hili Razinsky

  867. Alex Nissen

  868. Rivka Vitenberg

  869. Sarah Magen

  870. Shelly Nativ

  871. Yehudit Yinhar

  872. Gal Lugassi

  873. Matan Prezma

  874. Nomi Erteschik-Shir

  875. Elya Kravtsov

  876. Rachel Freudenthal

  877. Sophie Paulay

  878. Edna Kadman

  879. Michal Kaiser-Livne

  880. Elinor Azari

  881. Adi Shechter

  882. Anna Aharon

  883. Roni Sharabi

  884. Nora Bendersky

  885. Lior Elefant

  886. Avshalom Rov

  887. Daniel Shoshan

  888. Nir Falah

  889. Rachel Algazi

  890. Yara Agbaria

  891. Raz Weiner

  892. Nadia Jona

  893. Noga Spector

  894. Ofek Taragan

  895. Varda Heled

  896. Avi-ram Tzoreff

  897. Ronen Skaletzky

  898. Ron-Ethan Melamed

  899. Tal Marom

  900. Erella Shadmi

  901. Iftach Starik

  902. Sine Gadot

  903. Matan Golan

  904. Pepe Goldman

  905. Nabil Alfayoumi

  906. Gilad Paz

  907. Amit Salomon

  908. Iftach Shavit

  909. Batel Glor

  910. Yael Koren

  911. Mordechai Shilo

  912. Daphna Shochat

  913. Zuraya Hadad

  914. Yael Shoham

  915. Aharon Michael Keiser

  916. Daniel Avi Schneider

  917. Nitzan Marinov

  918. Rachel Barlow

  919. Gilad Ben Ari

  920. Talia Zohar

  921. Noga Kadman

  922. Ruben Serroussi

  923. Dafna Lichtmam

  924. Alma Itzhaky

  925. Ira Avneri

  926. Naor Ben Yehoyada

  927. Tamar Katriel

  928. Dochy Lichtensztajn

  929. Noa Shuval

  930. Ree Levin

  931. Ilana Zabari

  932. Jonathan Ofir

  933. Ayelet Chen

  934. Dov Caller

  935. Maya Goldman

  936. Ophir Hodel

  937. Rivka Pearl Etkin

  938. Rona Sela

  939. Tamar Fortuna

  940. Yifat Susskind

  941. David Opp

  942. Aviad Albert

  943. Cindy Goldstein

  944. Elhanan Lax

  945. Aryeh Shomron

  946. Shlomit Altman

  947. Nirit Sommerfeld

  948. Rotem Sudman

  949. Dror Dayan

  950. Dorit Shippin

  951. Veronica Hamutal

  952. Eyal Vexler

  953. Adi Lustigman

  954. Tally Gur

  955. Ofira Henig

  956. Shmuel Binyamin

  957. Diego Lewin

  958. Taliah Pollack

  959. Dror Sprung

  960. Inbar Birak

  961. Ben Ronen

  962. Daniel Solomon

  963. Alison Carmel

  964. Vardit Goldner

  965. Racheli Said

  966. Omri Najad

  967. Maya Eshet

  968. Nurit Dreamer

  969. Ofra Danon

  970. Tomer Avrahami

  971. Shimon Azulay

  972. Einav Kaplan Raz

  973. Noam Ben Chorin

  974. Eyal Hareuveni

  975. Shaked Kaufmann

  976. Irena Shofaniyeh 

  977. Iddo Naiss

  978. Asaf Bass

  979. Hillel David Greenwald

  980. Maayan Levi

  981. Asher Fried

  982. Asia Weksler

  983. Nadia Jona

  984. Itai Feitelson

  985. Hedva Isachar

  986. Ruth Erez

  987. Yossi Zabari

  988. Rina Goren

  989. Tali Bromberg

  990. Hillai Peli

  991. Goni Raz

  992. Shai Tal

  993. Guy Sapirstein

  994. Shahar Or

  995. Odelia Toder

  996. Neria Biala

  997. Ilana Meystelman

  998. Naor Urian

  999. Asaf Achai

  1000. Lior Kariel

  1001. Talia Vekshtein

  1002. Efrat Noy

  1003. Ruthie Ginsburg

  1004. Haya Livne

  1005. Daphna Ganor

  1006. Nama Landau

  1007. Daniela Darvasi

  1008. Mati Kroin

  1009. Ofir Sovan

  1010. Doron Orr

  1011. Alona Amram

  1012. Yuval Tirosh

  1013. Ron Amit

  1014. Emmanuel Jakob Auerbach

  1015. Yuval Benari

  1016. Dafna Saporta

  1017. Maayan Shtendel

  1018. Hila Amar

  1019. Oded Zinger

  1020. Shirli Tepper

  1021. Daniella Kaufman

  1022. Zohar Peled

  1023. Liane Rosenthal

  1024. Eitan Shaag

  1025. Daniel Jacobowitz

  1026. Guy Meltzer

  1027. Nirit Haviv

  1028. Oren Elbaz

  1029. Efrat Bella Levy

  1030. Sabi Yafffa

  1031. Eddie Saar

  1032. Maya Rizov

  1033. Galia Chai

  1034. Addi Ilan

  1035. Tammy Avichail

  1036. Diana Gilon

  1037. Tamara Pratt

  1038. Erin Toledano Farajov

  1039. Dora Lavie

  1040. Fanny Prizant

  1041. Yakov Horn




I pescatori di Gaza presi tra l’incudine e il martello 

Motasem A Dalloul

9 agosto 2021 middleeastmonitor

“La vita del pescatore è sempre dura, ovunque, ma sotto l’occupazione militare israeliana lo è ancora di più.”

Samya e Omayya Abu Watfa hanno perso il padre undici anni fa. Si stanno preparando per il nuovo semestre all’università, dove Samya studia chimica e Omayya studia sicurezza alimentare. Ognuno ha bisogno di circa 1.100 – 1.200 dollari per le tasse scolastiche, ma dipendono dal fratello Mohammad, 33 anni, che è un pescatore. Ciò significa che il denaro scarseggia.

“Lavora giorno e notte per provvedere a noi, a nostra madre e ai tre fratelli”, mi ha detto Samya. Mohammad è per noi fratello, padre, tutto.” Ha anche la sua famiglia a cui pensare, una moglie e quattro figli.

A 22 anni Mohammad Abu Watfa ha ereditato la barca da suo padre. Ha lasciato l’università per lavorare e provvedere alla famiglia. “Lavoravo con mio padre quando era vivo, anche durante gli studi. Voleva che diventassi ingegnere, ma non potevo lavorare e continuare a studiare”.

Come tutti gli altri pescatori di Gaza, Abu Watfa sarebbe contento del suo lavoro, anche se è molto duro, se non fosse per le restrizioni imposte da Israele e per le quotidiane violenze esercitate dalla marina israeliana.

Il capo del Sindacato dei Pescatori di Gaza ha ribadito come l’occupazione israeliana abbia imposto un rigoroso blocco terrestre, aereo e marittimo sulla Striscia di Gaza dal 2006. “Questo rende insopportabile la vita di oltre 2 milioni di persone a Gaza”, ha affermato Nizar Ayyash. “La pesca è uno dei settori più colpiti dal blocco. Più di 4.500 pescatori, che hanno complessivamente a carico circa 50.000 persone, vivono e lavorano sotto un’estrema pressione e stress a causa delle misure israeliane connesse al blocco”.

Secondo gli Accordi di Pace di Oslo firmati nel 1993 tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, i palestinesi dovrebbero avere accesso alla pesca senza restrizioni fino a 20 miglia nautiche al largo della costa di Gaza. Tuttavia, non sono mai stati autorizzati ad avventurarsi oltre le 16 miglia. Normalmente, sono bloccati entro le 12 miglia; spesso molto meno.

La scorsa settimana, ad esempio, la marina di occupazione israeliana ha ridotto la zona di pesca a sei miglia nautiche in risposta a ciò che Israele ha affermato essere il lancio di palloni incendiari da Gaza verso Israele. È stato poi esteso di nuovo a 12 miglia nautiche. Questo è il gioco israeliano con i pescatori palestinesi dal 2005. Ci sono momenti in cui lo Stato di occupazione vieta del tutto la pesca per giorni o settimane con il più debole dei pretesti.

“Dal 2007”, ha affermato l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari ( OCHA) in un recente rapporto, “Israele ha mantenuto incerta la zona di pesca come parte della sua politica di ‘zone cuscinetto’ marittime, ovvero limposizione unilaterale da parte di Israele di inaccessibili zone militari nelle acque palestinesi, spesso vietando completamente la pesca ai palestinesi”.

La pesca è sempre stata un lavoro pericoloso per uomini come Abu Watfa, che mette in gioco la propria vita per portare il cibo in tavola. “A volte ci sono branchi di pesci a circa 15 miglia al largo. Se vogliamo catturarli, dobbiamo andare più in là e spingerli a riva. Quando lo facciamo, la marina israeliana ci insegue, ci spara e poi ci vieta di pescare”.

L’ OCHA ha sottolineato che “Nel corso degli anni, gli attacchi illegali e ingiustificati di Israele – comprese forme di forza letale e altri eccessi, arresti arbitrari, confisca e distruzione di barche e altri materiali da pesca – e restrizioni punitive contro i pescatori palestinesi hanno reso la pesca al largo della costa di Gaza un rischio per la vita e la sicurezza e ridotto la comunità dei pescatori in povertà estrema”.

Queste pratiche, ha aggiunto l’ONU, fanno parte della attuale politica di Israele di interdizioni nella Striscia di Gaza. “Equivalgono a una punizione collettiva illegale degli oltre due milioni di residenti palestinesi, e sono tra le pratiche, leggi e politiche che costituiscono il regime di apartheid di Israele contro il popolo palestinese”.

Bilal Bashir, 42 anni, lavora insieme ad altri dieci pescatori sulla stessa barca. Si è lamentato delle ripetute aggressioni israeliane contro di loro. “A volte, Israele decide di ridurre la zona di pesca proprio mentre siamo in mare. Apprendiamo della restrizione solo quando la marina apre il fuoco contro di noi o i marinai ci urlano contro con gli altoparlanti”.

La sua barca è stata colpita più volte dal fuoco israeliano. Nel marzo 2015, ricorda con amarezza, il suo collega Tawfiq Abu Riala, 32 anni, è stato ucciso. “Quando Tawfiq è stato colpito siamo rimasti scioccati e abbiamo chiesto aiuto. Invece di aiutarci, la marina ha arrestato altri due uomini”.

L’ultimo incidente del genere è accaduto nel febbraio 2018. Le forze di occupazione hanno spiegato cosa è successo: “Una nave sospetta [sic] ha lasciato la zona di pesca al largo della Striscia di Gaza settentrionale, con a bordo tre sospetti [per cui i marinai israeliani hanno iniziato] il protocollo di arresto, che include richiami [di stop], spari di avvertimento in aria e spari alla barca stessa… A seguito degli spari, uno dei sospetti è stato gravemente ferito e in seguito è morto per le ferite riportate”.

La pesca è un affare costoso. Un giorno in mare di una barca con dieci pescatori a bordo può costare fino a 1.500 dollari. “Quando navighiamo entro le 15 miglia nautiche, difficilmente il pescato può coprire le spese”, ha osservato Kinan Baker, 27 anni. “Quando la zona di pesca viene ridotta a sei miglia nautiche è una perdita enorme perché il pescato non copre le spese .”

Ayyash ha descritto l’industria della pesca come il settore più vulnerabile sotto l’assedio imposto a Gaza dall’occupazione israeliana. “Israele sfrutta tutto per mettere sotto pressione la resistenza palestinese. Questa [punizione collettiva] è una chiara violazione del diritto internazionale”. Il capo del sindacato ha chiesto al mondo di esercitare pressioni su Israele affinché smetta di mettere in pericolo la vita e il sostentamento dei pescatori per motivi politici o di sicurezza.

Le punizioni collettive equivalgono a crimini di guerra, e se parte di una politica diffusa o sistematica sono crimini contro l’umanità e sono i fattori principali del deterioramento della situazione umanitaria a Gaza”, ha aggiunto il Center Al Mezan for Human Rights [organizzazione non governativa con sede nel campo profughi palestinese di Jabalia nella Striscia di Gaza, ndtr.]

Nel giugno dello scorso anno la Banca Mondiale ha affermato che “la pesca è una fonte vitale di occupazione, con più di 100.000 persone che beneficiano del settore”. Oltre ai pescatori e alle loro famiglie, ha indicato come beneficiari del settore i commercianti al dettaglio, i proprietari di ristoranti, gli operatori di vivai e i trasportatori del pesce. “Tuttavia, il mare non è più generoso come una volta. La gente di Gaza non può far conto sul proprio pesce, e a volte nemmeno permetterselo. La maggior parte delle famiglie di pescatori sono povere e il loro reddito sta diventando sempre più precario man mano che gli ecosistemi marini continuano a degradare.”

La vita del pescatore è sempre dura, ovunque, ma sotto l’occupazione militare israeliana lo è ancora di più. I pescatori di Gaza sono presi tra l’incudine dell’occupazione e il martello delle difficoltà economiche.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Consigli (comunali) israeliani vietano “illegalmente” ai palestinesi l’accesso alle spiagge, adducendo le norme sul Covid-19

Redazione di Middle East Eye

8 agosto 2021 – Middle East Eye

L’associazione per i diritti Adalah afferma che le misure hanno lo scopo di bloccare l’ingresso dei palestinesi ‘col pretesto della salute pubblica’

Le municipalità israeliane hanno illegalmente vietato l’accesso dei palestinesi alle spiagge in tre città, con misure denunciate da un’associazione locale per i diritti come “iniziative di apartheid”.

Domenica il Centro Legale per i Diritti della Minoranza Araba in Israele (Adalah) ha dichiarato che le autorità comunali di Netanya, Akka e Hadera hanno imposto nuove restrizioni ai non residenti con il pretesto di misure di sicurezza contro il Covid-19.

L’associazione per i diritti ha inviato una lettera al procuratore generale di Israele sostenendo che tali misure sono illegali.

Il consiglio comunale di Akka (Acri) il 4 agosto ha deciso di costruire una barriera intorno alla spiaggia di Argaman, consentendovi l’accesso solo a coloro che esibiscono un certificato di vaccinazione.

Adalah ha affermato che la decisione contravviene alle norme del governo sul Covid-19, che non impediscono la circolazione in spazi pubblici all’aperto. L’Ufficio per il Coronavirus di Israele è l’unica autorità che ha competenza per applicare qualunque misura relativa alla pandemia, ha affermato l’associazione per i diritti, sostenendo che il consiglio comunale ha quindi violato la legge.

Il Comune di Akka ha anche vietato agli autobus privati l’ingresso alle strade che portano alla spiaggia.

Adalah ha aggiunto che le misure “hanno lo scopo di impedire ai visitatori palestinesi provenienti dalla Cisgiordania l’accesso alle spiagge di Akka con il pretesto della salute pubblica”

Le immagini viste a Akka non lasciano spazio all’immaginazione: gli ispettori comunali hanno cacciato con la forza i palestinesi fuori dal perimetro cittadino per il solo fatto di essere palestinesi”, ha detto l’avvocato di Adalah, Rabea Eghbariah.

L’utilizzo di giustificazioni connesse all’aumento dei casi di Covid-19 per imporre misure illegali di restrizioni alla libertà di movimento e di divieto di accesso a spazi pubblici con motivazioni razziste è un fenomeno che sta emergendo.

Per ironia, queste iniziative locali di apartheid che hanno lo scopo di ottenere una segregazione razziale potrebbero probabilmente violare anche i diritti di altre collettività.”

Secondo un video postato su Facebook dal giornalista Rafat Aker, ispettori del Comune di Akka il 5 agosto hanno costretto dei palestinesi della città di Jenin in Cisgiordania a lasciare la città nonostante il fatto che alcuni di loro avessero spiegato di essere vaccinati e fossero in possesso di permessi legali di ingresso e soggiorno.

Adalah ha detto che simili restrizioni sono state imposte in seguito a Hadera, mentre il Comune di Netanya aveva preso misure analoghe a luglio durante la festa di Eid al-Adha.

In quell’occasione Netanya ha installato posti di blocco agli ingressi della città e impedito l’accesso ai palestinesi.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Perché opporsi al sionismo non è antisemita: le radici cristiane del sionismo

Miko Peled

21 luglio 2021 – MPN NEWS

Quando Naftali Bennett, il primo leader israeliano ad indossare lo yarmulke [o kippah, copricapo circolare usato dagli ebrei maschi, ndtr.], fa riferimento alla Bibbia per giustificare le sue pretese sulla Terra d’Israele non si riferisce alle scritture ebraiche ma alla dottrina religiosa protestante.

GERUSALEMME Una volta Naftali Bennett ha dichiarato in un’intervista a Mehdi Hassan [giornalista politico, televisivo e scrittore britannico-americano, ndtr.] che, secondo la Bibbia, la Palestina o, come la chiama lui, Israele appartiene al popolo ebraico. Da alcuni la Palestina viene definita “La Terra di Israele” e in questa intervista del 2017 Bennett insiste che se Hassan vuole affermare che “la Terra non ci appartiene, dovrebbe modificare la Bibbia”.

In seguito Bennett è diventato primo ministro di Israele (un incarico che probabilmente non ricoprirà per molto tempo) e, per quanto molti siano in sintonia con questa affermazione, uno sguardo più attento a ciò che le scritture ebraiche effettivamente dicono mostra molto chiaramente che ciò che ha detto non è vero.

Secondo la Torah (le scritture ebraiche) e i discorsi di generazioni di saggi ebrei, la Terra Santa appartiene all’Onnipotente che le conferisce la grazia della santità. Al popolo ebraico fu concesso di risiedere nella Terra Santa e di godere della sua grazia purché si comportasse con rettitudine e osservasse le leggi che l’Onnipotente prescrisse nella Torah. Quando il popolo ebraico si allontanò dal sentiero della Torah, incorse nell’ira dell’Onnipotente e fu espulso dalla Terra Santa, con il divieto di tornare fino al momento della venuta del Messia e del ritorno di re David sul trono.

La Terra di Israele non ha valore in sé e per sé, ma solo come tramite per servire l’Onnipotente e seguire la Torah. Inoltre neanche la venuta del Messia ha a che fare con la sovranità ebraica sulla Terra d’Israele; è un concetto che racchiude molti significati. Soprattutto, però, si riferisce ad una trasformazione del mondo in un luogo pacifico in cui agli ebrei sarà ancora una volta permesso di risiedere pacificamente nella Terra Santa, con l’intento di seguire le leggi dell’Onnipotente in quella terra che ha ricevuto la grazia della santità. È un’idea religiosa che non ha nulla a che fare con le nozioni di conquista, nazionalità o sovranità.

Si potrebbe pensare che ciò che la Bibbia afferma riguardo alla Palestina non sia importante, ma dobbiamo riconoscere che molte persone ritengono importanti le parole delle scritture ebraiche e le riconoscono come vere parole di Dio. Pertanto, vale la pena dare un’occhiata da vicino a ciò che effettivamente sostengono la Torah e gli antichi saggi.

Dovremmo anche ricordare che il sionismo è un’ideologia laica e razzista e ai fondatori del sionismo importava poco della Bibbia o dell’ebraismo. Israele la mostruosa creazione del movimento sionista – è un regime di apartheid che sta commettendo crimini orrendi. Israele afferma di parlare e agire in nome e per il bene del popolo ebraico. Tuttavia sarebbe bene dimostrare che Israele e le rivendicazioni sioniste sulla Palestina non hanno nulla a che fare con l’ebraismo; infatti l’affermazione che la legittimità del sionismo possa essere trovata nella Bibbia è completamente falsa.

Il sionismo come idolatria

Secondo le scritture ebraiche gli ebrei furono trasformati in un popolo, il popolo ebraico, quando fu loro consegnata la Torah sul monte Sinai, una montagna nel deserto del Sinai lontana dalla Terra Santa. La trasformazione degli ebrei in una nazione non aveva nulla a che fare con l’acquisizione di terra o sovranità, né con nessuno degli altri simboli associati all’idea moderna di nazionalità. Fu realizzata attraverso un impegno religioso verso l’Onnipotente.

Nella sua dettagliata opera The Empty Wagon: Zionisms journey from identity crisis to identity theft [Il carro vuoto: il viaggio del sionismo dalla crisi di identità al furto di identità] il rabbino Yaakov Shapiro discute a lungo di questo problema. Cita il venerato rabbino Shlomo Ephraim ben Aaron Luntschitz del XVII secolo, noto come Kli Yakar (o Vaso Prezioso) per il suo commento alla Torah. Il rabbino Luntschitz ha scritto nel suo commento ai cinque libri della Torah che il popolo ebraico è semplicemente inquilino della Terra d’Israele e che l’Onnipotente è l’unico proprietario della Terra Santa. Rabbi Shapiro continua con una citazione dal Libro del Levitico [il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana, ndtr.] 25:23, dove l’Onnipotente dice al popolo ebraico: “La terra non deve essere venduta perché la terra è mia e voi risiedete nella mia terra come stranieri e forestieri”.

C’è una storia ancora antecedente nel Libro della Genesi, capitolo 23, dove viene chiarito che anche il patriarca Abramo si considerava uno straniero nella Terra d’Israele. Abramo vuole seppellire sua moglie Sarah nella città di Hebron e si avvicina a un uomo del posto chiedendo di poter acquistare un appezzamento di terreno da utilizzare per la sepoltura. L’uomo è d’accordo e Abramo acquista il fondo. Se la terra fosse stata sua in virtù della promessa divina non avrebbe avuto bisogno di acquistarla. In questa storia Abramo si definiva in quella terra come uno “straniero”.

Rabbi Shapiro prosegue spiegando che la sola devozione alla terra d’Israele, senza l’osservanza delle leggi della Torah e la devozione all’Onnipotente, è idolatria. Non c’è alcun valore nella Terra di per sé, dice. “L’amore per Eretz Yisroel [terra d’Israele in ebraico, ndtr.] dovrebbe essere parte dell’amore per Hashem (l’Onnipotente) e la Torah”.

Come quasi tutti sanno i Dieci Comandamenti, che fanno parte della Torah, proibiscono l’omicidio, il furto e il desiderio della casa di qualcun altro. Ciò significa che i sionisti – anche quelli come Naftali Bennett, che indossa un yarmulke – commettono idolatria, poiché il loro desiderio per la Terra deriva dalla brama, e fanno uso dell’omicidio e del furto come mezzo per ottenere quella terra. Sono ben lontani da un’onesta osservanza della Torah.

Ammonizioni, avvertimenti e proibizioni

Nelle preghiere quotidiane c’è una riga che gli ebrei ripetono regolarmente che dice “Siamo stati esiliati a causa dei nostri peccati”. Nei ventiquattro libri dell’Antico Testamento sono innumerevoli gli avvertimenti e gli ammonimenti dati dall’Onnipotente al popolo di Israele. Questo è messo ripetutamente sull’avviso che se si allontanerà dal sentiero assegnatogli dalle leggi della Torah verrà bandito dalla Terra. Ci sono numerosi passaggi in cui l’Onnipotente avverte gli ebrei che se gli voltano le spalle la Terra stessa li “vomiterà” proprio come aveva vomitato altre nazioni che vi erano vissute prima di loro. Forse il passaggio più noto proviene dal Libro del Levitico, capitolo 18, versetto 28: “Che non ti vomiti il Paese per averlo contaminato, come ha vomitato le nazioni che sono venute prima di te”.

Dopo che il popolo d’Israele fu esiliato per aver voltato le spalle alla Torah e alle sue leggi, gli fu proibito di tornare. Il grande rabbino Yoel Teitelbaum – noto come il rabbino di Satmar [movimento di ebrei principalmente ungheresi e rumeni sopravvissuti alla Seconda guerra mondiale, ndtr.], che ha ottenuto un seguito senza precedenti negli Stati Uniti e in tutto il mondo – cita questo divieto nel suo libro Vayoel Moshe. Rabbi Teitelbaum parla dei tre giuramenti che furono fatti dal popolo ebraico davanti all’Onnipotente. Questi giuramenti comprendono: non tentare mai di affrettare la fine dell’esilio (devono aspettare il Messia prima di poter tornare in Terra Santa); non tornare mai con l’uso della forza; e non ribellarsi alle altre nazioni, nazioni dove il popolo ebraico vive in esilio.

Un’interpretazione cristiana

L’idea che le scritture ebraiche promettano la Terra d’Israele agli ebrei come “patria” è una nozione cristiana che i sionisti hanno adottato. Secondo le scritture ebraiche, la Terra d’Israele non è la patria del popolo ebraico. L’Onnipotente fece degli ebrei una nazione sul monte Sinai quando impartì loro la Torah. Ciò non avvenne nella Terra d’Israele ma, come già detto, molto, molto lontano da essa. La nozione di connessione di un popolo con una patria è un’idea moderna, che coinvolge il nazionalismo e non è in alcun modo un’idea ebraica.

Il rabbino Shapiro scrive: “Il concetto sionista di Eretz Yisroel non deriva dalla Torah”. Questa idea, secondo le innumerevoli fonti che cita in The Empty Wagon, è “un’idea cristiana”. Egli continua col sottolineare che “la percezione di Eretz Yisroel come il ‘diritto di nascita’ o la ‘patria della nazione’ del popolo ebraico appare per la prima volta nelle fonti del restaurazionismo protestante cristiano”. Questa idea è nata con l’avvento del movimento protestante nella seconda metà del passato millennio; si è diffusa in tutto il mondo protestante e continua oggi con Cristiani Uniti per Israele, o CUFI, che è uno dei più significativi [movimenti] sostenitori di Israele nel mondo.

Il concetto che l’Onnipotente abbia dato tutta la Terra d’Israele al popolo ebraico in modo permanente e incondizionato e che gli ebrei alla fine vi torneranno è un concetto protestante, non ebraico. Questa è in gran parte la ragione che sta dietro il sostegno che i sionisti sono stati in grado di ottenere da Paesi per lo più protestanti come la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, dove il sionismo cristiano ha prosperato per diversi secoli.

Dalla fine del XVI secolo a Napoleone, dalla London Society for Promoting Protestant Christianity among Jews [Società londinese per la promozione del protestantesimo cristiano tra gli ebrei] (una missione cristiana sionista che fa parte della Chiesa d’Inghilterra conosciuta oggi come Churchs Ministry Among Jewish People [Ministero della Chiesa tra gli ebrei]), a John Quincy Adams e persino ad Abraham Lincoln, l’idea del ritorno degli ebrei nella loro “patria” è stata molto diffusa tra i protestanti nel mondo.

Anche lo slogan “una terra senza popolo per un popolo senza terra” non è di origine sionista. Sebbene di solito si presume fosse uno slogan sionista, la frase fu usata già nel 1843 da un pastore restauratore cristiano, il reverendo Dr. Alexander Keith, Dottore della Chiesa di Scozia. La frase continuò ad essere usata per quasi un secolo dai restaurazionisti cristiani prima che i sionisti la adottassero. Allo stesso modo, l’idea di trasformare la lingua ebraica nella lingua “nazionale” del popolo ebraico nella loro “patria” era anch’essa un’idea protestante che fu poi adottata dai sionisti.

Quindi quando l’attuale primo ministro israeliano Naftali Bennett, che è anche il primo leader israeliano ad indossare lo yarmulke, fa riferimento alla Bibbia per giustificare le sue pretese sulla Terra d’Israele, non si riferisce alle scritture ebraiche ma alla dottrina religiosa protestante. Quando lui e altri politici israeliani come l’ex primo ministro Benjamin Netanyahu fanno queste affermazioni, non si rivolgono agli ebrei, ma ai sionisti cristiani. Gli alleati più importanti che lo Stato di Israele e i sionisti hanno sono i sionisti cristiani evangelici.

Dichiarazioni come quelle di Bennett sono fatte per assicurarsi che i sionisti cristiani continuino a lavorare per Israele e per il movimento sionista facendo pressioni sui governi e raccogliendo fondi. Questa dottrina protestante, tra l’altro, invita il popolo ebraico a tornare nella Terra d’Israele non per il beneficio del popolo ebraico. Il fine di questo ritorno è che gli ebrei possano convertirsi al cristianesimo e affrettare la seconda venuta di Gesù Cristo.

L’antisionismo non può essere antisemita

Poiché le idee espresse dai sionisti non sono chiaramente idee ebraiche, opporsi al sionismo non può essere antisemita. Una volta chiarito che le rivendicazioni sioniste sulla Terra di Israele, o Palestina, non solo non sono ebraiche, ma provengono dalla teologia protestante cristiana, comprendiamo perché opporsi al sionismo non può essere antisemita. Essere un antisionista non è affatto essere antisemita perché i principi fondamentali del sionismo in realtà non sono affatto ebrei. Sono cristiani.

Miko Peled è uno scrittore che contribuisce con MintPress News [sito di notizie online americano di sinistra, ndtr.] autore di numerose pubblicazioni e attivista per i diritti umani nato a Gerusalemme.

I suoi ultimi libri sono The General’s Son. Journey of an Israeli in Palestine [ Il figlio del generale. Viaggio di un israeliano in Palestina] e Injustice, the Story of the Holy Land Foundation Five [Ingiustizia. Storia dei cinque nella fondazione della Terra Santa].

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di MintPress News.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Palestinesi d’Israele. Un duro colpo al mito della “coesistenza”

GRÉGORY MAUZÉ

29 luglio 2021 – Orient XXI

Un partito arabo, il Raam, ha contribuito alla formazione del governo israeliano che in buona misura continua le pratiche di apartheid e la colonizzazione. Le mobilitazioni della primavera scorsa in solidarietà con Gerusalemme est e Gaza hanno tuttavia ricordato la solidità dei rapporti che uniscono tutte le componenti del popolo palestinese.

Il ruolo cruciale giocato dai palestinesi di Israele nella recente crisi ha fatto vacillare molte certezze. Cittadini di serie B, con le loro mobilitazioni hanno evidenziato la situazione di discriminazione materiale e simbolica che colpisce i discendenti degli autoctoni rimasti sulla propria terra quando venne creato Israele. La fiammata di violenza nelle città cosiddette “miste” ha fatto esplodere il mito di una coesistenza armoniosa tra comunità che in realtà non è mai stata pacifica per il gruppo dominato.

Soprattutto ha ricordato le somiglianze tra la loro condizione e quella del popolo palestinese nel suo complesso. Sheikh Jarrah, Al-Aqsa, Gaza: i riferimenti all’oppressione subita nei territori occupati erano sulle bocche di tutti. Questa dinamica di solidarietà, inedita dallo scoppio della Seconda Intifada, è culminata con il grande “sciopero per la dignità” del 18 maggio 2021 dei lavoratori palestinesi, molto partecipato da entrambi i lati della Linea Verde [il confine tra Israele e la Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndtr.]. Ha sanzionato l’incapacità israeliana di risolvere il problema palestinese all’interno delle proprie frontiere riconosciute. Fin dalla sua creazione quest’ultimo di fatto si è impegnato a reprimere l’affermazione nazionale dei suoi cittadini palestinesi, significativamente definiti “arabi israeliani” per cancellare l’origine colonialista dell’oppressione a cui si trovano di fronte.

Esatto contrario

Questo ritorno imprevisto della centralità della causa nazionale nella minoranza palestinese contrasta con una dinamica quasi simmetricamente opposta all’interno della sua classe politica.

All’inizio del 2021 la Lista Unita, coalizione che dal 2015 raggruppava in modo intermittente i partiti che rappresentano gli interessi della minoranza araba nel parlamento israeliano, è stata indebolita dall’uscita del partito islamista Raam. Infatti il suo leader, Mansour Abbas, ha manifestato in modo sempre più esplicito il suo desiderio di rompere con quello che cementava questa eterogenea alleanza: il legame tra la lotta per i diritti dei palestinesi nei territori occupati e di quelli di Israele. Questi ultimi, ritiene Mansour Abbas, dovrebbero ormai pensare soprattutto a difendere i propri interessi. Liberati dal peso morto che rappresenterebbe la causa palestinese, potrebbero allora prendere in considerazione una collaborazione promettente con una destra nazionalista che, per quanto colonialista e suprematista, è tuttavia stabilmente al potere. Ultima trasgressione, Mansour Abbas ha manifestato in modo evidente la sua complicità con Benjamin Netanyahu, proponendo il suo partito come perno del gioco politico israeliano.

Se questo approccio ha rappresentato un punto di rottura per i suoi ex-alleati, è stato accolto a braccia aperte dal mondo politico e mediatico israeliano. “Mano a mano che la causa palestinese svanisce nel mondo arabo, essa si attenua anche tra gli arabo-israeliani,” scriveva entusiasticamente nel 2020 il Times of Israel [quotidiano israeliano on line in lingua inglese, ndtr.]. Dopo gli accordi di normalizzazione avvenuti qualche mese prima tra Israele e varie monarchie del Golfo, sarebbero dunque i cittadini palestinesi di Israele a dimostrare a loro volta il proprio “pragmatismo”.

Nella posizione di persona decisiva in seguito alle elezioni del 23 marzo 2021, Abbas ha continuato a centrare le proprie esigenze sugli interessi della “sua comunità”, evitando ogni riferimento alla questione palestinese nel suo insieme. Salvo i suprematisti del Partito Sionista Religioso, la classe politica [ebreo-israeliana, ndtr.] ha allora salutato, secondo le parole di un ministro della coalizione di Benjamin Netanyahu, “la vera voce degli arabo-israeliani”. “Una rivoluzione politica,” ha persino intitolato Haaretz [quotidiano israeliano di centro-sinistra, ndtr.], che ha esortato la popolazione ebraica ad accettare la mano tesa.

L’unità palestinese manifestata durante le rivolte di maggio e aprile non ha impedito a Mansour Abbas e al suo partito, che si sono dissociati per quanto possibile dalle mobilitazioni, anche da quelle pacifiche, di essere conseguenti con la loro logica. La polvere dei bombardamenti a Gaza si era appena depositata quando essi hanno contribuito in modo decisivo alla conclusione di un accordo di governo destinato ad allontanare Netanyahu dal potere. Come previsto, nessuna citazione della questione palestinese da parte sua, ma un piano sostanzioso di investimenti nelle località arabe, il riconoscimento di una manciata di villaggi beduini nel Negev e una sospensione temporanea della distruzione di edifici costruiti senza permesso. In modo altrettanto prevedibile, questa collaborazione arabo-sionista è stata considerata dai commentatori politici un segno dell’apertura della società israeliana e della vitalità della sua democrazia.

Persistenza dell’apartheid

Tra i palestinesi le reazioni sono state nettamente meno entusiastiche. La debole speranza di vita di questo governo, che va dalla sinistra sionista all’estrema destra annessionista, fa sorgere dubbi sul conseguimento effettivo di misure a favore degli arabi, tanto più che esso è in un primo tempo diretto dall’araldo della corrente messianica suprematista ebraica, Naftali Bennett. Cosa ancora più importante, molti hanno criticato l’assenza di risposte alle cause profonde delle diseguaglianze razziali in Israele. Rimangono in vigore norme discriminatorie strutturali come legge sullo Stato-Nazione del 2018, che relega le minoranze non ebraiche in una condizione di secondo piano, o della legge sulla Nakba del 2011, che impedisce di commemorare la grande espulsione dei palestinesi durante la creazione dello Stato di Israele.

Allo stesso modo gli islamisti e la sinistra sionista hanno appoggiato con una relativa facilità il prolungamento del divieto per i palestinesi dei territori occupati di ottenere la cittadinanza israeliana grazie ai ricongiungimenti familiari.

Se l’obiettivo perseguito è l’uguaglianza, non è possibile isolare la questione degli arabi israeliani da quella palestinese nel suo complesso, dal momento che l’oppressione delle diverse componenti del popolo palestinese risponde, in misura variabile, alla stessa filosofia di apartheid,” sostiene Naim Moussa, del centro Mossawa, che promuove l’uguaglianza dei cittadini arabi [di Israele, ndtr.].

Di fatto la rivolta di piazza dei palestinesi dal Giordano al Mediterraneo conferma la constatazione ormai largamente condivisa dalle organizzazioni dei diritti umani: l’esistenza di un regime di supremazia razziale su tutto il territorio controllato da Israele. Il confinamento del 18% dei palestinesi di Israele sul 3% delle terre, l’impossibilità di ottenere un permesso edilizio o l’ebraizzazione a marce forzate da parte di coloni fanatici dei quartieri arabi riecheggiano così clamorosamente la situazione di Gerusalemme est e in Cisgiordania. Allo stesso modo la repressione spietata di queste manifestazioni, a volte con l’appoggio di ausiliari estremisti venuti dalle colonie, e l’ondata di arresti massicci che ne è seguita (più di 2.000 dall’inizio del maggio 2021) evocano i metodi contro-insurrezionali praticati nei territori occupati.

In questo contesto molti temono una risistemazione di facciata che lasci intatte le strutture istituzionali di dominazione. “Quei pochi miglioramenti ottenuti dal Raam non sono molto diversi da quelli ottenuti in modo puntuale grazie al nostro lavoro parlamentare, con la differenza che all’epoca non avevamo da pagare il prezzo del sostegno a un governo che perpetua l’occupazione, le colonie e la discriminazione razziale,” osserva Raja Zaatry, del partito comunista israeliano (Hadash), principale componente della Lista Unita.

Inoltre la tanto celebrata rivoluzione nei rapporti tra ebrei e arabi non lo è affatto. “La storia è piena di cosiddetti dirigenti palestinesi che hanno effettivamente venduto la causa del loro popolo per ottenere un vantaggio personale”, rivela il giornalista e militante Rami Younis, originario di Lod-Lydda, che ricorda la partecipazione di partiti-satellite arabi ai primi governi laburisti o la cooptazione di notabili locali sotto il regime dell’amministrazione militare [israeliana] dal 1948 al 1966.

Come all’epoca, questa collaborazione tra élite senza dubbio non si rifletterà sui rapporti intercomunitari nella società. L’inclusione di Raam è innanzitutto il risultato di un’aritmetica parlamentare che lo ha reso indispensabile. È quindi poco suscettibile di cancellare anni di incitamento all’odio contro la minoranza araba da parte di quegli stessi che oggi incensano l’atteggiamento di Abbas. Del resto, con quattro seggi, il suo partito è certo il primo della sua comunità se si contano separatamente i sei ottenuti dalla Lista Unita, ma nel contesto di un tasso record d’astensione delle località arabe (55,4% contro il 33,6% nel 2020), in grande misura provocato dalla divisione della rappresentanza politica palestinese. Perché l’iniziativa di Abbas ha soprattutto segnato una battuta d’arresto del processo di affermazione di una forza parlamentare palestinese autonoma. Il successo clamoroso della Lista nel 2020 l’aveva in effetti portata a 15 seggi e ridotto i voti arabi per i partiti sionisti al 12%, il livello più basso da sempre, fornendole un’attenzione inedita. Al contrario, la sua scissione nel 2021 consente di opporre con poco sforzo gli “arabi buoni”, che aspirano a partecipare nel posto che gli compete al sogno israeliano, senza rimettere in discussione le disuguaglianze strutturali e il razzismo, agli “arabi sleali”, che reclamano diritti in quanto minoranza nazionale.

Scetticismo riguardo alle elezioni

Peraltro non è detto che la sequenza imposta dalla piazza palestinese favorisca la Lista Unita. Lo scoppio delle rivolte d’aprile e maggio fuori da qualunque quadro centralizzato costituisce di fatto una sconfessione generale per la classe politica palestinese, che fa eco al divorzio tra l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e le mobilitazioni nate spontaneamente in Cisgiordania. A questo riguardo è significativo che le città “miste” nelle quali si sono prodotte siano anche quelle in cui la popolazione araba ha maggiormente disertato le urne il 23 marzo 2021.

Queste mobilitazioni spontanee testimoniano pertanto un profondo scetticismo quanto all’efficacia della partecipazione palestinese al gioco politico israeliano. “I palestinesi si sono fortemente mobilitati nel 2020 per porre la Lista Unita in terza posizione e con il suo risultato migliore unicamente per essere poi rifiutati dal sistema,” spiega Amjad Iraqi sul sito +972 Magazine, in riferimento al dialogo abortito avviato nel 2020 per affrettare la caduta di Netanyahu tra il capo dell’opposizione Benny Gantz e Ayman Odeh, dirigente di Hadash. L’ambizione di quest’ultimo di far progredire una collaborazione ebreo-palestinese basata sull’inclusione della questione palestinese in senso lato e l’impegno a combattere le disuguaglianze nel loro complesso si è scontrata con la persistente ostilità della maggioranza dell’opinione pubblica ebraica.

Mansour Abbas ha fatto lo stesso errore di Ayman Odeh. Questi ultimi 3 anni sono stati un esame per i nostri rappresentanti politici, e purtroppo hanno fallito due volte,” sostiene Rawan Bisharat, militante originaria di Giaffa ed ex-codirettrice dell’associazione per il dialogo ebraico-arabo Sadaka-Reut. “Il fossato tra la nuova generazione che è scesa in piazza e quella precedente che si è dimostrata incapace di comprendere l’escalation a cui abbiamo assistito è oggi evidente. La Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] non è più il luogo adeguato per far avanzare i nostri diritti e dovremmo prendere in considerazione in modo diverso il nostro contributo per il futuro.

La partecipazione alle elezioni rimane una leva per difendere i diritti del popolo palestinese nel suo complesso, tanto più se ci mobilitiamo in modo consistente,” confida Naim Moussa. Continuare su questa strada richiederà però di tener conto dei cambiamenti della società araba in Israele nella sua diversità. La persistenza a lungo termine delle disuguaglianze tra i più precari li rende da parte loro sensibili alle proposte, per quanto aleatorie, che consistono nel migliorare nell’immediato la loro vita quotidiana, finché non si porrà fine al regime discriminatorio che colpisce il popolo palestinese nel suo complesso.

GRÉGORY MAUZÉ

Politologo e giornalista.

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)




“Ciò dimostra che il BDS funziona”: Wafic Faour su come un gruppo di attivisti del Vermont ha convinto Ben & Jerry’s

Micheal Arria

23 Luglio 2021Mondoweiss

“C’è una linea che stiamo seguendo. Stiamo lottando contro un regime di apartheid e abbiamo visto cosa è successo in Sudafrica. Se continuiamo a lavorare e ad informare l’opinione pubblica e se questi leader insistono con i loro messaggi confusi, vinceremo”.

Questa settimana Ben & Jerry’s [rinomata azienda americana produttrice di gelati con sede a South Burlington, ndtr.] ha annunciato che avrebbe smesso di vendere i suoi gelati negli insediamenti coloniali illegali israeliani. La mossa è stata elogiata dagli attivisti palestinesi e condannata dai parlamentari israeliani. Wafic Faour è membro di Vermonters for Justice in Palestine (VTJP), l’organizzazione che ha condotto una campagna contro Ben & Jerry’s per oltre un decennio. Faour è cresciuto in un campo profughi palestinese in Libano, ma si è recato negli Stati Uniti per studiare e ha finito per trasferirsi nel Vermont.

Ho discusso tramite Zoom con Faour dell’importante annuncio di Ben & Jerry, della reazione isterica di Israele e di cosa significhi tutto questo per il movimento BDS.

Mondoweiss: Vorrei iniziare col chiederle la sua reazione all’annuncio di Ben & Jerry. Cosa ha pensato quando ha sentito la notizia?

Wafic Faour: A dirle la verità, all’inizio ero un po’ deluso. Il loro annuncio ha un’ ottima apertura. Hanno dichiarato che fare affari nei territori occupati dalle colonie illegali è contro i valori di Ben & Jerry’s. Fin qui tutto bene, ma poi nel corso della dichiarazione ci dicono che proseguiranno in forma diversa il commercio in Israele. Che continueranno ad operare in Israele secondo modalità di cui daranno notizia in seguito.

Questo è in contraddizione con due cose che Ben & Jerry’s afferma di rappresentare. Quando li abbiamo incontrati nel 2014 e abbiamo chiesto loro di smettere di vendere i loro prodotti nelle colonie esclusivamente ebraiche ci hanno detto che in realtà non potevano farlo perché una volta che i loro prodotti vengono venduti dalla fabbrica, non sono in grado di controllare i percorsi di vendita altrove da parte degli intermediari.

Inoltre rifiutarsi di vendere prodotti negli insediamenti va contro la legge israeliana contro il BDS. Ecco perché i leader israeliani stanno andando fuori dai gangheri. Anche oggi, con le rimostranze del presidente di Israele [Isaac Herzog] che definisce terroristica la nostra campagna.

Quando abbiamo iniziato questa campagna, abbiamo preso di mira Ben & Jerry’s perché il loro codice sociale parla di uguaglianza, diritti umani, protezione dei rifugiati, protezione dell’ambiente, Black Lives Matter, brutalità della polizia. Parliamo di Israele perché è tuttora uno stato di apartheid e i palestinesi che vivono lì come cittadini israeliani, arabo israeliani... sottostanno a regole diverse e affrontano discriminazioni sull’alloggio, l’istruzione, l’assistenza sanitaria, la protezione della polizia. Su qualsiasi cosa. Quindi l’azienda non aderisce alla propria missione sociale.

Non mi fraintenda, questo è un passo molto positivo, ma sto cercando di capire come possiamo immaginare il rapporto tra Ben & Jerry e le leggi israeliane sul BDS. Mi chiedo come potranno continuare ad operare nella zona. C’è anche un altro problema. Abbiamo notato una dichiarazione contraddittoria del consiglio di amministrazione di Ben & Jerry rilasciata dalla presidente [Anuradha] Mittal. Hanno detto che loro avevano in mente un diverso tipo di annuncio e che [il passaggio riguardante una continuazione degli affari in Israele] è da attribuire ad Unilever, la società madre di Ben & Jerry.

Quindi qui abbiamo di fronte più domande che risposte. Non sappiamo cosa accadrà.

Abbiamo visto che in procinto dell’annuncio di Ben & Jerry questa campagna è stata un po’ più presente sugli organi di informazione tradizionali, ma VTJP ci ha lavorato per oltre un decennio. Mi piacerebbe se potesse descrivere un po’ l’attivismo che ha portato a questo momento.

La prima azione che abbiamo intrapreso è stata una lettera che abbiamo inviato a Ben Cohen e Jerry Greenfield [i fondatori dell’azienda] chiedendo loro come potessero, in coscienza, accettare di trattare con Israele. Ci hanno detto Non siamo le persone giuste con cui discuterne perché non è più la nostra azienda. Potete andare al quartier generale di South Burlington a porre la domanda”.

In realtà abbiamo ricevuto quella risposta dopo aver inviato loro più lettere. In effetti, è Jerry che ha risposto alla lettera. Quindi siamo andati a South Burlington e abbiamo insistito per ottenere un incontro. Dopo tanti sforzi, abbiamo scoperto molte cose.

Una di queste è che dopo la vendita di Ben & Jerry’s, il contratto con Israele è rimasto a South Burlington e tutte le altre operazioni sono state rilevate da Unilever. In altre parole, solo l’operazione aziendale riguardante Israele è stata mantenuta qui a South Burlington nelle mani della dirigenza e del loro consiglio indipendente. Ci è sembrato strano.

La seconda cosa che ci hanno detto è che non hanno mai guadagnato un centesimo dal settore israeliano dei loro affari. Quindi stiamo parlando di un’operazione che non frutta denaro e si trova in una zona contesa riguardo alla quale devono confrontarsi con le nostre richieste. Allora perché sono ancora ?

Dopo l’incontro abbiamo iniziato a firmare petizioni. Ogni volta che Ben & Jerry’s tenevano un Cone Day [giornata del cono gelato, ndtr.] gratuito noi eravamo fuori dal loro negozio in centro a distribuire volantini e a raccogliere firme per la petizione. Abbiamo inviato le petizioni alla società. Abbiamo invitato altri gruppi di solidarietà con la Palestina a fare lo stesso in dodici diverse sedi di Ben & Jerry e abbiamo inviato le petizioni all’azienda.

Abbiamo anche provato a inviare lettere ai gestori dei negozi Ben & Jerry’s negli Stati Uniti e in Canada, chiedendo loro di fare qualcosa. Non abbiamo avuto risposta. Durante quel periodo abbiamo anche incontrato Jeff Furman [che ha fatto parte del consiglio di amministrazione di Ben & Jerry per quasi 40 anni] e poi la società ha risposto e ha detto che avrebbero cercato di studiare la questione.

Hanno inviato nella zona un gruppo di membri del consiglio di amministrazione e dirigenti per conoscere la situazione. Ad essere sinceri, l’unica persona che è tornata con una dichiarazione davvero positiva è stato Jeff Furman. Mi pare che sia stato anche il primo avvocato dell’azienda quando hanno iniziato a vendere gelati negli Stati Uniti. Ha detto che quello che ha visto laggiù era apartheid.

Capisco che tutte le sue domande riguardino Ben & Jerry’s perché questo è il tema, ma abbiamo scelto l’azienda più di dieci anni fa a causa della sua presenza in una regione del Vermont molto estesa, e la sua fabbrica è il luogo più visitato dello Stato. La utilizziamo per sensibilizzare sulla questione palestinese la popolazione del posto e tutta la popolazione degli Stati Uniti. Vogliamo informare le persone sulla sofferenza dei palestinesi e su ciò che Israele sta facendo in Palestina.

A volte, quando parli con le persone di questo problema, pensano che sia solo qualcosa che sta accadendo lontano. Non si immedesimano con loro. Allora illustri l’argomento e ne discuti con le persone, di come sia contro il diritto internazionale trarre profitto dall’occupazione. Si tratta di un movimento educativo perché nel condurre la campagna parliamo alla gente della Palestina, delle vite dei palestinesi, della terra palestinese, dell’acqua palestinese, dell’ambiente palestinese. Sfruttiamo l’azienda come strumento educativo.

Anche se abbiamo fatto tutto questo lavoro, molte persone pensavano che trarli fuori da quella condizione fosse un obiettivo inverosimile, in quanto noi siamo un piccolo gruppo nel Vermont. Molti di noi sono persone di mezza età e usiamo la vecchia tecnica del volantino. Tuttavia, dopo la guerra di maggio su Gaza, e così tanti bambini uccisi, una generazione più giovane ci affianca. Conoscono la tecnologia, Instagram, Twitter. Hanno portato su un altro piano [il nostro lavoro] in modo da raggiungere il risultato voluto.

La mia prossima domanda si collega a quello che ha appena detto. E’ sembrato che dopo l’ultimo attacco a Gaza la campagna abbia ricevuto maggiore attenzione e mi chiedo se pensa che Ben & Jerry’s abbia finalmente fatto questa mossa tenendone conto. Pensa che ci sia stato un cambiamento nell’opinione pubblica dall’ultimo attacco di Israele?

Sicuramente. Sicuramente. Non si può negare. Senza i quasi 70 bambini uccisi a Gaza non sono sicuro che nell’opinione pubblica americana sarebbe emersa questa fortissima rabbia. Sono certo di aver letto di recente su Mondoweiss che il numero dei nostri fratelli ebrei che pensano che Israele sia uno stato di apartheid sta crescendo.

L’Israele di oggi è decisamente diverso da quello che era vent’anni fa, o dieci anni fa, o anche un anno fa. Sono stato un attivista sulla questione palestinese per tutta la vita, ma non ho mai visto questo genere di sostegno, come quello che abbiamo ora.

Cosa ne pensa della reazione israeliana a questa notizia e della reazione dei loro sostenitori? Cosa dice del momento in cui ci troviamo attualmente?

Questo dimostra che il BDS funziona. Vediamo come il primo ministro, il ministro degli esteri, il presidente chiedano tutti il boicottaggio di Ben & Jerry’s. Credo che il governo e i politici israeliani siano più deboli di quanto si pensi.

Se questa dichiarazione a metà di Ben & Jerry’s è in grado di far parlare tutti questi leader per più di 48 ore, significa che non sono così forti e risoluti come pensano, o forti come nell’immagine che vogliono mostrare all’opinione pubblica. Dovremmo approfittarne. Se attaccheranno il BDS negli Stati Uniti e interferiranno con Freedom of Speech [la libertà di parola, 14° emendamento della Costituzione americana, ndtr.] sarà un bel passo. È un limone, dobbiamo spremerlo. Porteremo le nostre organizzazioni e porteremo sostenitori americani di studi legali come l’ACLU [American Civil Liberties Union, organizzazione non governativa a difesa di diritti civili e libertà individuali negli Stati Uniti, ndtr.]. Dovranno combatterli e schierarsi insieme a noi.

Le leggi contro il BDS sono incostituzionali. Abbiamo visto cosa è successo in Georgia qualche mese fa. Quando portano una legge sul BDS in tribunale, perdono. Quindi, se provano a farlo, perderanno.

C’è una linea che stiamo seguendo. Stiamo lottando contro un regime di apartheid e abbiamo visto cosa è successo in Sudafrica. Non sono solo i leader israeliani. Ho appena visto il Dipartimento di Stato attaccare il BDS quando gli è stato chiesto di farlo. Quindi non sono solo i leader israeliani, sono i loro compari qui. Se continuiamo a lavorare ed informare l’opinione pubblica e questi leader insistono con i loro messaggi confusi, vinceremo.

Michael Arria è il corrispondente dagli USA di Mondoweiss. I suoi lavori sono comparsi su In These Times, The Appeal e Truthout. È autore di Medium Blue: The politics of MSNBC [“Media blu: la politica di MSNBC”, canale di notizie via cavo USA legato al partito Democratico, ndtr.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Secondo un sondaggio, un terzo dei giovani ebrei statunitensi vede Israele come genocida

Ali Abunimah

15 luglio 2021 –Electronic Intifada

Sono in crescita i tentativi da parte di Israele e della sua lobby di assimilare la contestazione dei crimini israeliani contro il popolo palestinese al pregiudizio anti-ebraico.

Eppure un recente sondaggio indica che questa campagna è fallita persino tra la stragrande maggioranza degli elettori ebrei americani.

Il sondaggio commissionato dal Jewish Electorate Institute [Istituto per l’elettorato ebraico, ndtr.], un’organizzazione guidata da sostenitori del Partito Democratico, riporta diversi dati interessanti.

Un quarto degli elettori ebrei americani concorda sul fatto che Israele sia uno Stato di apartheid, un numero che sale fino al 38% tra coloro che hanno meno di 40 anni.

Nel complesso il 22% degli elettori ebrei concorda sul fatto che Israele stia commettendo un genocidio nei confronti dei palestinesi, cifra che sale fino ad un sorprendente 33% nella categoria dei più giovani.

Inoltre secondo il 34% degli elettori ebrei intervistati la condotta di Israele nei confronti dei palestinesi è simile al razzismo negli Stati Uniti. Cifra che va oltre i due su cinque tra chi ha meno di 40 anni.

E’probabile che tali risultati provochino sgomento tra i leader dei gruppi di pressione che sono da tempo preoccupati per l’erosione del sostegno a Israele tra gli ebrei americani, in particolare tra i più giovani.

Ciò che inoltre colpisce è che anche gli ebrei che non sono d’accordo sul fatto che Israele commetta apartheid e genocidio spesso non considerano tali dichiarazioni come antisemite.

Ad esempio, il 62% degli intervistati non è d’accordo sul fatto che Israele stia commettendo un genocidio, ma di questi solo la metà considera tale affermazione come “antisemita”.

Aperti alla soluzione a uno Stato

Gli ebrei americani sono anche più aperti di quanto generalmente si creda riguardo alla questione di una soluzione politica per palestinesi e israeliani.

Mentre il 61% degli intervistati sostiene ancora la soluzione ormai moribonda dei due Stati, una minoranza considerevole – il 20 % – è favorevole a una soluzione democratica di uno Stato con uguali diritti per tutti coloro che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.

Solo il 19% è a favore dell’annessione formale da parte di Israele della Cisgiordania occupata senza la concessione di uguali diritti ai palestinesi – in effetti quella che è, se non di nome, di fatto, la situazione attuale.

E riguardo la questione degli aiuti statunitensi a Israele, il 71% complessivamente li considera “importanti”.

Ma il 58% concorda sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero impedire l’utilizzo da parte di Israele di tali aiuti per la costruzione di insediamenti coloniali nella Cisgiordania occupata. Contemporaneamente, il 62% è favorevole al fatto che gli Stati Uniti ristabiliscano gli aiuti ai palestinesi tagliati dall’amministrazione Trump.

Questa indagine non ha chiesto agli intervistati opinioni sul movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni guidato dai palestinesi, ma lo ha fatto un sondaggio tra ebrei americani del Pew Research Center [agenzia statunitense di ricerca su problemi sociali, opinione pubblica, andamenti demografici sugli Stati Uniti ed il mondo in generale, ndtr.] pubblicato a maggio.

Quest‘ultimo rivela che il 34% degli ebrei americani “si oppone fortemente” al movimento BDS. In linea con i risultati di altre indagini, si sono mostrati maggiormente ostili al BDS le persone più anziane, i repubblicani e i religiosi.

Affermazioni false sull’antisemitismo

Ogni volta che l’attenzione mondiale è focalizzata sulle atrocità di Israele, i gruppi di pressione israeliani spesso cercano di deviare l’attenzione verso una presunta ondata di antisemitismo.

Neppure lo scorso maggio, quando Israele ha massacrato decine di bambini a Gaza, è stata un’eccezione.

I principali lobbisti israeliani e i mass-media hanno parlato di un’ondata di presunti attacchi antiebraici negli Stati Uniti.

Eppure una meticolosa indagine del giornalista Max Blumenthal ha rivelato che queste affermazioni erano infondate.

Quello che stanno facendo negli Stati Uniti è fondamentalmente cercare di trovare una via di fuga dalle scene che anche la CNN stava mostrando, come le torri sede degli organi di informazione a Gaza venivano distrutte senza motivo … o di intere famiglie sterminate, per sostituire l’immagine delle vittime palestinesi con quella di … ebrei americani”, ha detto Blumenthal a The Electronic Intifada Podcast il mese scorso.

Questo non vuol dire che non ci sia fanatismo antiebraico e che non debba costituire un problema. In effetti, il 90% degli intervistati – una cifra che varia a malapena in base all’età o all’osservanza religiosa – è preoccupato per l’antisemitismo negli Stati Uniti.

Ma tra uomini e donne e in tutte le fasce d’età il 61% degli elettori ebrei intervistati è più preoccupato per l’antisemitismo della destra politica. Nel complesso, solo il 22% ha dichiarato di essere preoccupato per “l’antisemitismo di sinistra”.

Ciò indica che in generale gli ebrei americani non sono vittime della propaganda secondo cui la sinistra è piena di animosità antiebraica, anche se i gruppi di pressione hanno ignorato o minimizzato il fanatismo e persino la violenza letale della destra contro gli ebrei per concentrarsi invece nell’attaccare e colpevolizzare il movimento di solidarietà con i Palestinesi.

Dato che le persone di sinistra tendono ad appoggiare maggiormente i diritti dei palestinesi e ad essere più critiche nei confronti di Israele i gruppi di pressione si sono concentrati nel diffamare con falsi i partiti e i leader della sinistra, ad esempio la deputata democratica Ilhan Omar e l’ex leader del partito laburista britannico Jeremy Corbyn – come antisemiti.

È una strategia fondata sulla malafede che mira a punire e spaventare le persone fino a portarle a tacere sulla Palestina e ad utilizzare tutta l’energia che potrebbe essere investita nel sostegno ai diritti dei palestinesi in un dibattito difensivo su cosa sia o non sia antisemita.

Mira anche a dividere i movimenti di sinistra e a cooptare nell’azione di sostegno a Israele figure influenti che si atteggiano ancora come “progressisti”.

Tuttavia il sondaggio del Jewish Electorate Institute suggerisce che la maggior parte degli ebrei americani capisce che la più grande minaccia alla loro sicurezza non viene dai sostenitori dei diritti dei palestinesi, ma dalla destra politica bianca anti-palestinese, anti-musulmana, suprematista e razzista.

Difficile da far accettare

Può sembrare sorprendente che un numero significativo di ebrei americani ora accetti che Israele sia uno Stato genocida e di apartheid.

Ma ciò riflette tendenze più ampie nella società americana, specialmente tra i giovani, di crescente sostegno per i diritti dei palestinesi e di scetticismo nei confronti di Israele.

A parte gli ebrei ortodossi, gli ebrei americani costituiscono un collegio elettorale particolarmente aperto e progressista: nel complesso il 68% afferma che se si tenesse un’elezione oggi voterebbe per il Partito Democratico.

L’82% degli elettori ebrei intervistati si descrive come moderato, di ampie vedute o progressista. Solo il 16% si identifica come conservatore.

È davvero difficile far accettare Israele – uno Stato segregazionista e di apartheid – a un gruppo che in enorme maggioranza professa di sostenere la giustizia razziale e i valori progressisti negli Stati Uniti.

Un indicatore di questa realtà è la clamorosa svolta su Israele annunciata l’anno scorso da Peter Beinart. Influente commentatore sionista progressista, Beinart ha difeso a lungo la soluzione dei due Stati e si è opposto al BDS.

Beinart ha riconosciuto che il suo approccio era arrivato a un vicolo cieco e ha abbracciato la soluzione di un unico Stato basato sull’uguaglianza dei diritti, provocando costernazione e rabbia tra i leader della lobby pro Israele.

La questione è stata affrontata anche da Marisa Kabas in un articolo su Rolling Stone scritto a maggio nel corso dell’attacco israeliano a Gaza.

Kabas scrive come lei e molti dei suoi giovani coetanei ebrei americani siano “alle prese con la versione di Israele presentata in viaggi organizzati da enti come Birthright [ONLUS israeliana che sponsorizza viaggi gratuiti in Israele, Gerusalemme e le alture del Golan per giovani adulti di origine ebraica di età compresa tra 18 e 32, ndtr.] rispetto a ciò che hanno visto accadere nella realtà“.

Sostiene che fanno fatica a “conciliare l’amore per la loro gente e la loro storia con l’impegno per la giustizia razziale e sociale, e che le azioni di Israele in Palestina sembrano andare contro il ‘tikkun olam’ – il principio ebraico di migliorare il mondo attraverso l’azione”.

Questione con bassa priorità

E contrariamente all’impressione che si potrebbe avere seguendo le principali lobby israeliane o ascoltando i politici compiacenti, il sondaggio indica che per la maggior parte degli ebrei americani Israele ha una priorità molto scarsa.

È vero che il 62% degli intervistati afferma di essere “legato affettivamente” a Israele, mentre il 38% afferma di non esserlo. Tuttavia quest’attaccamento si indebolisce un po’ tra i più giovani o i meno religiosi.

Ma quanto sarebbero diversi questi numeri se un sondaggista interrogasse un campione che rappresentasse tutti gli americani sul loro “legame affettivocon Israele?

Per decenni, dopotutto, i leader politici statunitensi hanno dichiarato agli americani di avere un legame speciale e indissolubile con Israele, diverso che con qualsiasi altro Paese.

Influenti personalità americane di religione cristiana come il pastore John Hagee, il fondatore di Christians United for Israel [organizzazione cristiana americana che sostiene Israele, ndtr.], addirittura dicono ai loro fedeli che sostenere Israele è un dovere religioso.

In ogni caso, il legame affettivo – qualunque cosa significhi – non si traduce apparentemente in priorità politiche.

Solo il 4% degli elettori ebrei indica Israele come una delle due questioni principali su cui vorrebbe che il governo degli Stati Uniti si concentrasse, mentre il 3% elenca l’Iran, un’altra ossessione delle lobby pro Israele.

Invece, con un ampio margine di vantaggio, le principali preoccupazioni sono il cambiamento climatico, i diritti di voto e le questioni economiche. Solo tra gli ebrei ortodossi una minoranza significativa – il 18% – vede Israele come una priorità.

Per la maggior parte degli elettori ebrei, secondo il Jewish Electorate Institute, Israele è una “questione con bassa priorità“.

Non è mai successo che gli ebrei americani sostenessero in modo omogeneo Israele o la sua ideologia sionista di Stato colonialista, sebbene sia gli antisemiti che i sionisti siano stati felici di permettere che questa idea prosperasse per i propri fini.

Questo sondaggio, che si aggiunge ad altre testimonianze, aiuta a sfatare questo mito.

Ali Abunimah

Co-fondatore di The Electronic Intifada e autore di The Battle for Justice in Palestine [ La battaglia per la giustizia in Palestina, ndtr.] ora pubblicato da Haymarket Books.

Ha scritto anche One Country : A Bold-Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse [Un Paese: una proposta coraggiosa per porre fine all’impasse israelo-palestinese, ndtr.]. Le opinioni sono solo mie.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)