La relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina: Israele ha trasformato tutta la Palestina in “una prigione a cielo aperto” per ulteriori piani di annessione

Jeff Wright

16 luglio 2023 – Mondoweiss

Il rapporto di giugno di Francesca Albanese al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU afferma che Israele usa mezzi fisici, burocratici, militari e di sorveglianza per “de-palestinizzare” il territorio occupato, minacciando “l’esistenza dei palestinesi come popolo”.

Nel suo rapporto di giugno al Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU Francesca Albanese, Relatrice Speciale delle Nazioni Unite sulla Palestina, descrive in dettaglio come, attraverso “un sistema di controllo composto da livelli multipli e interconnessi di confinamento“, Israele “ha trasformato la vita dei palestinesi in un continuum carcerario” – equivalente, come scrive, a una prigione a cielo aperto costantemente sorvegliata.

Il suo rapporto documenta i tanti mezzi fisici, burocratici, militari e di sorveglianza che consentono il “sequestro arbitrario di terra e lo sfollamento forzato dei palestinesi” da parte di Israele: caratteristiche, scrive, del colonialismo di insediamento.

Lunedì, nel corso della presentazione del rapporto al Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, Albanese ha dichiarato: Questi reati sembrano far parte di un piano per de-palestinizzare il territorio. Minacciano l’esistenza dei palestinesi come popolo, come compagine nazionale coesa”.

Esperta di diritto internazionale, Albanese consente al lettore una visione dettagliata dello specifico attraverso una descrizione delle leggi internazionali riguardanti il diritto umanitario e il diritto penale, che nel loro insieme mostrano chiaramente l’illegalità delle azioni di Israele relative ai palestinesi in Cisgiordania (compresa Gerusalemme Est) e a Gaza.

È fondamentale, ha detto ai membri del Consiglio per i Diritti Umani, che la comunità internazionale riconosca l’illegalità dell’occupazione israeliana che conduce naturalmente all’apartheid. Questa non può essere rettificata. Non può essere resa più umana semplicemente affrontando alcune delle sue conseguenze più gravi. E’ necessario porvi fine, per ripristinare lo stato di diritto e la giustizia”.

Israele ha sempre negato che il diritto internazionale si applichi alle sue azioni nel territorio occupato, sostenendo che il territorio è conteso, non occupato. Il rifiuto da parte di Israele dell’applicabilità del diritto internazionale, riferisce la Relatrice Speciale, ha portato a violazioni dei principi fondamentali che regolano le situazioni di occupazione, tra cui l’impossibilità di acquisire una sovranità, i doveri di amministrare il territorio occupato a beneficio della popolazione protetta, e [il principio di] provvisorietà.”

In una conferenza stampa che ha fatto seguito alla pubblicazione della relazione di 21 pagine Albanese ha affermato di aver scritto il suo rapporto sul tema della privazione arbitraria della libertà “a causa della estrema gravità della situazione sul terreno“.

Il suo rapporto aggiorna la documentazione delle Nazioni Unite sulle politiche e pratiche israeliane familiari a molti: detenzione arbitraria e arresto senza mandato; incursioni notturne con arresto di minori; il sistema legale su due livelli in Cisgiordania, uno per i cittadini israeliani che vivono in insediamenti illegali, sotto la giurisdizione di tribunali civili, l’altro creato per i palestinesi, sotto l’amministrazione e il sistema giudiziario delle forze di occupazione; il blocco illegale della Striscia di Gaza; un sistema di autorizzazioni arbitrario privo di trasparenza; 270 colonie e basi militari che circondano città, paesi e villaggi palestinesi, impedendone l’espansione; il Muro, posti di blocco, blocchi stradali e strade divise con criteri di segregazione; e la parcellizzazione dei palestinesi in aree separate con leggi diverse che regolano quasi ogni aspetto della loro vita. “L’architettura di confinamento a più livelli”, la chiama nel suo rapporto.

Uno dei contributi significativi del rapporto della Relatrice Speciale è la sua descrizione della sorveglianza digitale da parte di Israele. L’interferenza con il diritto alla privacy, come l’uso di tecnologie di sorveglianza, è regolamentata dal diritto internazionale e deve essere utilizzata solo quando strettamente necessario.

Albanese scrive:

Al contrario, la sorveglianza digitale rafforza in modo pervasivo il controllo delle forze israeliane sullo spazio e sulla vita della popolazione occupata. I palestinesi sono costantemente monitorati attraverso telecamere a circuito chiuso e altri dispositivi ai posti di blocco, negli spazi pubblici, in occasione di eventi e proteste collettive. I loro spazi privati sono spesso invasi a loro insaputa, attraverso il monitoraggio su piattaforme online come Facebook di chiamate e conversazioni online considerate “minacciose” e il tracciamento della posizione e connessione dei telefoni cellulari per stabilire reti e potenziali associazioni, o persino attraverso le loro cartelle cliniche.

“L’occupazione”, riferisce Albanese, “ha favorito da parte di Israele lo sviluppo di potenti tecnologie di sorveglianza, tra cui riconoscimento facciale, droni e monitoraggio dei social media”. Descrive l’uso di sistemi israeliani – come Blue Wolf, Red Wolf e Wolf Pack – che contribuiscono al database israeliano di immagini, informazioni personali e valutazione di sicurezza dei palestinesi della Cisgiordania, compresi quelli che vivono in quartieri di Gerusalemme come Silwan e Sheikh Jarrah. Hanno “creato una ‘sorveglianza trasformata in gioco‘”, scrive Albanese, “in base alla quale le unità militari israeliane fotografano i palestinesi senza consenso impegnandosi persino in inquietanti competizioni“.

“La sorveglianza digitale serve in definitiva a facilitare la colonizzazione”, scrive.

Incaricata nel suo mandato di documentare la situazione dei diritti umani nei territori palestinesi, Albanese elenca anche le violazioni del diritto internazionale da parte delle autorità palestinesi che contribuiscono a rafforzare la morsa del regime imposto dall’occupazione”.

“Gli arresti e le detenzioni arbitrarie effettuati dall’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania e dalle autorità de facto nella Striscia di Gaza hanno contribuito a soffocare i diritti e le libertà dei palestinesi”, scrive. “Le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato pratiche abusive, insulti, segregazione in celle di isolamento e percosse spesso per estorcere confessioni, punire e intimidire gli attivisti”, riferisce.

Albanese descrive come il coordinamento sulla sicurezza tra l’Autorità Nazionale Palestinese e Israele “ha aperto la strada a un collegamento diretto tra gli apparati di detenzione palestinesi e israeliani”. Le vittime palestinesi, scrive, sono affidate a una “politica della porta girevole”, un ciclo in cui “i palestinesi vengono prima arrestati, interrogati, detenuti e spesso sottoposti a maltrattamenti da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese e poi, una volta rilasciati, dalle forze di occupazione, o vice versa.”

Mentre la Legge Fondamentale palestinese, emendata nel 2003, dovrebbe proteggere i diritti e le libertà fondamentali, Albanese scrive che altre leggi palestinesi ancora assegnano delle ampie interpretazioni ad alcuni reati [e] possono includere insulti o calunnie nei confronti di un pubblico ufficiale o di un’autorità superiore, diffamazione a mezzo stampa, o provocazione di un ‘conflitto settario’”.

I palestinesi sospettati di collaborare con Israele affrontano un trattamento ancora più severo”, scrive, e nella Striscia di Gaza possono essere puniti con la pena di morte”.

La relatrice speciale sottolinea anche come l’Autorità Nazionale Palestinese abbia fatto propria la repressione israeliana degli studenti nei campus palestinesi, “detenendo studenti e altri per opinioni politiche dissenzienti, comprese quelle condivise sui social media”.

Tra le conclusioni del suo rapporto:

    • Sotto l’occupazione israeliana generazioni di palestinesi hanno subito una diffusa e sistematica privazione arbitraria della libertà, spesso per i più elementari atti della vita…”.

    • Col privare i palestinesi delle protezioni garantite dal diritto internazionale l’occupazione li riduce a una popolazione ‘de-civilizzata’, spogliata del loro status di persone protette e dei diritti fondamentali. Trattare i palestinesi come una minaccia collettiva da recludere sottrae loro la protezione in quanto “civili” ai sensi del diritto internazionale, li priva delle loro libertà fondamentali e li espropria del loro libero arbitrio e possibilità di restare uniti, autogovernarsi e progredire sul piano politico… “

    • Col passare dalla sicurezza del potere occupantealla sicurezza delloccupazione stessaIsraele ha camuffato la sicurezzasotto la forma di controllo permanente del territorio che occupa e cerca di annettere…. Ciò ha radicato la segregazione, la sottomissione, la frammentazione e, in ultima analisi, l’espropriazione delle terre palestinesi e lo sfollamento forzato dei palestinesi”.

    • “… Sulla base della Carta delle Nazioni Unite e del diritto internazionale, in particolare la legge sulla responsabilità dello Stato, gli Stati terzi hanno il dovere di non favorire o legittimare l’apartheid coloniale di Israele…”

Albanese cita diversi modi per raggiungere la prima delle due raccomandazioni del suo rapporto: che “il sistema israeliano rivolto a privare arbitrariamente i palestinesi della loro libertà nel territorio palestinese occupato… sia abolito tout court”. La seconda raccomandazione invita il Procuratore della Corte Penale Internazionale ad esaminare, nell’ambito dell’indagine sulla Situazione in Palestina, la possibile perpetrazione dei crimini internazionali da lei descritti.

Alla richiesta di Mondoweiss di un parere sul rapporto della Relatrice Speciale Jonathan Kuttab, esperto di diritto internazionale e attivista per i diritti umani, ha affermato: A differenza di altri commentatori, la signora Albanese applica il diritto internazionale con immediatezza e specificità e non consente che le sue osservazioni vengano travisate da altri attraverso il silenzio o l’esplicita accettazione delle continue violazioni del diritto internazionale da parte di Israele. Altri agiscono come se tale silenzio persistente e prolungato avesse in qualche modo normalizzato o legittimato ciò che costituisce chiaramente un comportamento illegale e un insieme di flagranti violazioni delle norme imposte dal diritto internazionale in relazione al comportamento di una “potenza occupante” nei confronti di una “popolazione civile protetta”.

Essendole stato rifiutato l’ingresso nel territorio occupato da Israele, la Relatrice Speciale ha condotto il suo studio di sei mesi a distanza, con visite in Giordania, incontri e sopralluoghi virtuali, analisi di fonti primarie e pubbliche e [esame di] rapporti di organizzazioni della società civile palestinese.

Al momento della stesura di questo articolo, non abbiamo ancora visto una risposta dallo Stato di Israele. Ma le critiche sono attese a meno che, come successo per la riunione del Consiglio dei Diritti Umani di lunedì, Israele semplicemente ignori il rapporto.

In un articolo pubblicato all’inizio di questo mese Avi Shlaim, professore emerito di relazioni internazionali all’Università di Oxford, ha difeso Albanese dopo le accuse contro di lei di antisemitismo in risposta al suo rapporto di settembre. Schlaim ha scritto che l’approccio di Israele nei confronti delle Nazioni Unite, spesso caratterizzato da disprezzo, si trasforma in “derisione [che] lascia il posto a un’inesorabile denigrazione” di coloro che indagano sulle pratiche di Israele e cercano di indurlo a risponderne”.

“Albanese è un’ esperta internazionale straordinariamente competente e coscienziosa”, scrive Schlaim. Non merita altro che credito per il coraggio e l’impegno che ha dimostrato nell’adempimento del suo mandato presso le Nazioni Unite. Può persino esibire come simbolo d’onore la maggior parte degli attacchi contro di lei da parti sioniste.

“I tre pilastri principali dell’ebraismo sono verità, giustizia e pace”, scrive Schlaim. Albanese incarna questi valori in misura straordinariamente alta. E ci saranno molti ebrei in tutto il mondo, turbati dal tradimento da parte di Israele di questi fondamentali valori ebraici, soprattutto dopo la formazione del governo di coalizione violentemente anti-palestinese, di estrema destra, xenofobo, omofobo e apertamente razzista guidato da Benjamin Netanyahu, che dovrebbero ringraziarla per aver sostenuto questi valori in un momento critico della storia di Israele”.

I sostenitori di una pace giusta dovrebbero stampare il rapporto della Relatrice Speciale, aggiungere una breve nota personale e spedire copie evidenziate ai loro rappresentanti politici eletti e ai media locali.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Mekorot, l’impresa idrica nazionale di Israele, riduce la fornitura d’acqua a Betlemme e Hebron in Cisgiordania

Redazione The New Arab

16 luglio 2023The New Arab

L’Autorità idrica palestinese ha descritto come ‘razzista’ e ‘discriminatoria’ la decisione di ridurre la fornitura d’acqua a Betlemme e Hebron.

Sabato l’Autorità idrica palestinese (PWA) ha riferito che Mekorot, l’impresa idrica nazionale di Israele, ha ridotto la quantità giornaliera che fornisce a Betlemme e Hebron, nella Cisgiordania occupata.

La PWA ha detto che Mekorot ha ridotto la fornitura di circa 1.419 litri e sta privando i palestinesi dell’accesso all’acqua sufficiente, specialmente durante l’estate con le attuali alte temperature in Cisgiordania.

L’Autorità idrica ha continuato definendo “razzista” la decisione e precisando che “non ci sono motivi tecnici”.

“Non sono stati rilevati guasti alla sorgente, si tratta piuttosto di una misura discriminatoria che va ad aggiungersi alle politiche razziste messe in atto dalle autorità di occupazione,” continua l’Autorità citata da WAFA, l’agenzia di notizie ufficiale palestinese.

I palestinesi in Cisgiordania e nell’assediata Striscia di Gaza soffrono da tempo per le forniture idriche insufficienti e a causa della siccità, poiché Israele controlla l’80 % delle riserve d’acqua del territorio occupato.

A causa delle restrizioni soprattutto i contadini incontrano moltissime difficoltà a coltivare le proprie terre in Cisgiordania mentre i coloni illegali israeliani non devono affrontare gli stessi ostacoli.

Secondo la ONG israeliana B’tselem gli israeliani, inclusi i coloni illegali in Cisgiordania, consumano una media di 247 litri per persona al giorno, tre volte tanto i palestinesi che consumano una media di 82,4 litri al giorno.

A maggio di quest’anno l’ONG ha riferito che solo il 36% dei palestinesi in Cisgiordania ha l’acqua corrente ogni giorno.

In media il consumo d’acqua per palestinese è inferiore alla quantità raccomandata a livello internazionale dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) che prevede 100 litri. al giorno.

La differenza nelle forniture idriche fra palestinesi e israeliani è solo una delle discriminazioni che i palestinesi subiscono per mano degli israeliani, che occupano Cisgiordania e Gerusalemme Est dal 1967.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




“Unite the Union” condanna la legge britannica contro il boicottaggio e conferma il suo appoggio al BDS

Redazioni di Middle East Monitor e Palestine Chronicle

15 luglio 2023 – Palestine Chronicle

Venerdì 14 luglio Unite the Union, che rappresenta 1.2 milioni di lavoratori nel Regno Unito, ha approvato tre fondamentali mozioni riguardanti l’occupazione israeliana e la continua lotta dei palestinesi per la libertà.

Le risoluzioni riaffermano la costante solidarietà del sindacato con la lotta del popolo palestinese per la liberazione, il sostegno all’appello palestinese per una campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni finché Israele non porrà fine alle violazioni dei diritti dei palestinesi ed ha anche condannato la legge contro il boicottaggio del governo britannico attualmente in discussione in una commissione alla Camera dei Comuni.

Nel suo congresso Unite the Union [il secondo sindacato britannico per numero di iscritti, ndt.] ha notato che l’anti-boicottaggio, impedendo a enti pubblici di interrompere rapporti finanziari con esse riguardo ad abusi o azioni illegali commessi in uno Stato estero, salvo previo esplicito consenso da parte del governo, protegge le imprese coinvolte in violazioni dei diritti umani o nella distruzione ambientale.

La legge viola anche i diritti degli affiliati al sistema pensionistico degli enti locali, tra cui i membri di Unite the Union, impedendo loro di scegliere come vengono investiti i propri fondi pensione.

Un’altra mozione, anch’essa approvata venerdì, afferma che il sindacato riconosce che Israele pratica il crimine di apartheid e chiede di revocare la proposta del governo britannico di un accordo di libero scambio con Israele.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Jenin: tutta la storia, intervista con Mustafa Barghouti

Mustafa Barghouti

7 luglio 2023 – PalestineDeepDive

Il dottor Mustafa Barghouti è il leader di Iniziativa Nazionale Palestinese e anche il presidente della Società Palestinese di Assistenza Medica. È stato candidato alla presidenza nelle elezioni palestinesi ed è medico. 

Questa settimana il dr. Barghouti ha passato parecchi giorni a Jenin, è entrato nella città e nel campo profughi nel secondo giorno dell’incursione e degli attacchi israeliani che hanno ucciso 12 palestinesi, fra cui 4 minori. 

Palestine Deep Dive [Approfondimenti sulla Palestina, rivista on-line, ndt.] ha ottenuto un’intervista esclusiva con il dr. Barghouti per ascoltare il suo resoconto su come si sono svolti gli attacchi israeliani contro Jenin, sull’entità dei danni dopo il massacro, sul conseguente stato d’animo della gente sul posto. Vogliamo anche conoscere la sua opinione su come oggi i palestinesi sono trattati dai principali mezzi d’informazione.

PDD: Può riassumerci gli eventi di questa settimana a Jenin?

Dr Barghouti: Certo. Beh, prima di tutto lasciatemi dire che l’attacco israeliano contro Jenin non è in alcun modo giustificato. Non era diretto solo contro il campo di Jenin, ma anche contro l’intera città. Per pattugliare la zona Israele ha usato tutto il suo arsenale militare: blindati, carri armati, elicotteri Apache e caccia F-16.

Hanno usato razzi e droni per attaccare una popolazione essenzialmente di civili, in una delle zone più densamente popolate del mondo: il campo profughi di Jenin infatti conta 16.000 persone che vivono in meno di mezzo chilometro quadrato.

L’esercito ha mirato ad arrestare o uccidere persone che stanno resistendo all’occupazione, ma non ci sono riusciti, a parte uccidere 12 persone fra cui 4 minori di età inferiore ai 17 anni. Poiché hanno fallito, hanno condotto arresti arbitrari di persone che non fanno realmente parte della resistenza. Hanno anche condotto attacchi terribili e causato enormi danni al campo.

Hanno utilizzato carri armati e bulldozer corazzati che hanno demolito le strade principali e il campo, distruggendo anche delle case, moltissime auto, dando poi fuoco a molti edifici nella città di Jenin, così come nel campo profughi.

Hanno anche usato droni per lanciare razzi contro i civili. Sono stato in molte case che sono state completamente, totalmente distrutte. È stato veramente un miracolo che non siano state uccise molte più persone, ma ci sono stati comunque almeno 200 feriti. Il numero ufficiale è 130, ma in realtà molti preferiscono essere curati a casa piuttosto che in ospedale per paura di essere arrestati. A Jenin ho visitato gli ospedali principali che sono molto vicini al campo, e ho visto i feriti, persone a cui hanno sparato con l’intento di uccidere.

I feriti hanno pallottole nell’addome, nel petto e nelle gambe. Tutti i proiettili usati sono ad alta velocità e lo scopo era di uccidere. Ho visto un uomo colpito alla testa, con il cervello spappolato, prima che lasciassimo l’ospedale ne hanno annunciato la morte. Ma hanno compiuto terribili massacri anche dentro le case, attacchi terribili contro le persone. Le loro famiglie mi hanno detto che l’esercito è entrato nelle case attraverso i muri.

Sono andati da una casa all’altra aprendosi dei varchi nei muri e quindi le famiglie improvvisamente si sono trovate davanti i soldati. Hanno separato gli uomini dalle donne, ammanettato gli uomini, isolandoli in una stanza separata per poi arrestarne la maggioranza, mentre le donne erano in una zona separata, tutte nella stessa stanza. Di solito l’esercito interrompe l’erogazione dell’elettricità. Come sapete la zona è molto calda, è estate, la gente è rimasta bloccata nelle stanze senza acqua, cibo, provviste e con un gran caldo. Molti sono anziani che soffrono di ipertensione, diabete e cardiopatie.

Sono stati tenuti così per due giorni mentre l’esercito occupava il resto della casa, in molti casi l’hanno usata per creare postazioni per i cecchini per sparare alle persone che pensavano facessero parte della resistenza. Molte famiglie mi hanno detto che i soldati hanno rubato loro i soldi. Ci sono dei piccoli, contenitori, non so come li chiamano, in cui i bambini conservano i loro soldini, uno sembrava un giocattolo: li hanno rotti e hanno preso i risparmi dei bambini!

Ma, peggio ancora, hanno isolato i minori, in alcuni casi in una stanza con un ufficiale o un soldato per interrogarli, cercando di costringerli a testimoniare contro i familiari, per esempio a dire che i familiari avevano delle armi. Quando non ci sono riusciti hanno portato nella stanza un cane per terrorizzarli mentre erano separati dalle famiglie. Questo è il tipo di comportamento dell’esercito israeliano. Oltre a ciò hanno attaccato le ambulanze, impedendo alle equipe mediche di raggiungere i feriti in tempo. Hanno sparato a un ragazzo, Hamesia, e l’hanno lasciato a morire dissanguato, il suo corpo è stato trovato solo ore dopo perché l’esercito non ha permesso a nessun medico di avvicinarglisi.

Hanno sparato alle ambulanze, al personale di pronto soccorso e ai giornalisti. C’è un video in cui si vede l’esercito sparare 10 volte da un blindato contro una macchina da presa di una TV e una troupe della stazione televisiva Al-Araby. Solo un miracolo ha salvato questi giornalisti dall’essere uccisi, come era accaduto in precedenza a Shireen Abu Akleh nella stessa zona, e non sorprende che si siano comportati così con i nostri giornalisti. Nel corso degli ultimi 10 anni l’esercito ha ucciso 52 giornalisti palestinesi nel corso di vari attacchi contro i civili.

Fino ad ora il numero totale di palestinesi uccisi dall’esercito israeliano è 197, i feriti sono molte centinaia. Queste sono le cifre più alte dal 2005. L’attacco contro Jenin ha fallito nel senso che non sono riusciti a catturare le persone che cercavano.

PDD: cosa voleva ottenere il primo ministro Benjamin Netanyahu invadendo Jenin?

Dr Barghouti: Netanyahu ha dichiarato molto chiaramente che il suo obiettivo è non solo prevenire la fondazione di uno Stato palestinese indipendente, ma soprattutto togliere completamente dalla testa della gente anche solo l’idea di uno Stato palestinese. Ha dichiarato che il suo governo fascista ha annunciato dei piani per espandere le colonie con una velocità senza precedenti. Hanno già costruito 50 nuove colonie illegali, cosa che non succedeva da anni. Hanno dichiarato la costruzione di non meno di 13.000 nuove abitazioni nelle colonie.

Hanno rivelato che il loro obiettivo è di legalizzare tutti gli avamposti di insediamento creati dai coloni, inclusi i sette nuovi che hanno ricevuto un’autorizzazione da questo nuovo governo. Il numero totale di avamposti di insediamento è 171. Il piano di Netanyahu è di riempire la Cisgiordania con 151 di queste nuove colonie che andranno ad aggiungersi alle altre. Smotrich, il secondo più importante ministro del governo e che si è auto-dichiarato fascista e omofobo, ha reso noto la strategia dell’establishment israeliano.

Ha detto che riempirà la Cisgiordania di coloni e colonie, cosicché i palestinesi perderanno ogni speranza di ottenere un loro Stato e poi avranno una scelta fra tre opzioni: emigrare, morire o accettare una vita di sottomissione a questo regime. Ben-Gvir ha detto che hanno ucciso 120 palestinesi e che ne uccideranno altre migliaia. Ecco il tipo di linguaggio che questo governo sta usando. Allora qual è il piano di Netanyahu?

Il piano di Netanyahu è annettere completamente tutta la Cisgiordania e ebraizzarla, impedire la creazione di uno Stato palestinese indipendente, non concedere la libertà ai palestinesi e allo stesso tempo uccidere chiunque resista a queste ingiustizie. Quando parla di uccidere e arrestare i palestinesi che resistono all’occupazione egli intende praticamente chiunque respinga questi orrendi progetti di mantenere l’occupazione e il sistema di apartheid in Palestina. Non ci sta riuscendo perché l’intero popolo palestinese non accetterà mai una vita di schiavitù sotto l’occupazione israeliana e il suo sistema di apartheid. 

Praticamente quello che Netanyahu sta facendo è esattamente quello che Einstein ha descritto come follia: quando uno continua a fare la stessa cosa aspettandosi risultati diversi. Noi siamo stati vittime dell’oppressione israeliana per i 56 anni di occupazione e 75 anni di pulizia etnica avvenuta durante la Nakba nel 1948 e loro hanno continuato ad opprimerci, ma noi non abbiamo mai smesso di resistere a questa ingiustizia in ogni modo possibile. Ed ecco il motivo per cui dico che Netanyahu sta fallendo, perché il suo obiettivo di soggiogarci non avrà mai successo. Nel frattempo tantissimi hanno perso la loro vita, anche in questa fase, e penso che la morte di ogni palestinese, e di ogni israeliano, sia responsabilità del governo israeliano, anche se le cifre sono così diverse.

Quando si paragona il numero dei palestinesi uccisi con quello degli israeliani la discrepanza è enorme, ma io penso che tutti, il sangue di tutti, palestinesi o israeliani, sia sulle mani di questi estremisti e fascisti come Netanyahu, Smotrich e Ben-Gvir, che impediscono che la pace prevalga in quest’area o che qui ci sia giustizia. 

Credo che ora ci troviamo davanti a uno dei governi più estremisti, ma la cosa tragica è che l’opposizione sionista in Israele, che si oppone a Netanyahu riguardo alla riforma del sistema giudiziario, non ha nulla da obiettare a quello che si sta facendo a noi palestinesi. In realtà tutti i leader dell’opposizione hanno sostenuto gli attacchi contro il campo di Jenin e quelli contro i palestinesi. È veramente di poco aiuto e molto deludente perché significa che sfortunatamente tutti i partiti sionisti stanno sostenendo il sistema di occupazione, apartheid e fascismo e la crescita del fascismo che sta riguardando Israele stesso.

Ci sono stati molti saggi leader israeliani che a un certo punto hanno detto che l’occupazione diventerà il cancro che divorerà Israele dall’interno, e io penso che sia esattamente quello che sta succedendo. L’occupazione ha prodotto i coloni, i coloni l’apartheid che sta ora producendo il fascismo in Israele, che è la cosa più pericolosa a cui siamo sottoposti. 

Nel frattempo voglio elogiare il notevole spirito di resilienza e solidarietà che i palestinesi hanno mostrato l’un l’altro nel campo di Jenin, perché oggi ero con equipe mediche che venivano da Ramallah, Gerusalemme e Tulkarem, con la Società Palestinese di Assistenza Medica, l’organizzazione che dirigo.

Erano tutti nel campo ad aiutare la gente, offrendo cure. La gente è arrivata da tutto il Paese per portare latte, cibo, materiale medico sanitario per i bambini e molte amministrazioni comunali intorno a Jenin hanno mandato trattori e macchinari per cercare di riparare alcuni dei terribili danni alle infrastrutture causati dall’esercito. Sono state tagliate le condutture dell’acqua, disselciate le strade, distrutte le attrezzature sanitarie, completamente tagliata la rete elettrica. Le infrastrutture sono state distrutte e non è la prima volta: è esattamente quello che è successo nel 2002 quando Israele invase il campo di Jenin e distrusse tutto, uccidendo più di 70 persone. È veramente ironico che la generazione che oggi sta resistendo all’occupazione sia quella dei bambini nati nel 2002.

PDD: Qual è oggi l’atteggiamento sul terreno dei giovani palestinesi verso il “Processo di Pace”?

La giovane generazione e io stesso abbiamo perso speranza nel cosiddetto processo di pace molto tempo fa, ma cosa abbiamo? Gli accordi di Oslo furono firmati nel 1993, esattamente 30 anni fa. Israele ne ha ostacolato l’implementazione, essi dovevano essere un accordo ad interim solo per sei anni per arrivare alla fondazione di uno Stato palestinese. Yitzhak Rabin, che firmò quell’accordo, fu assassinato da un estremista israeliano. Netanyahu ha sollevato l’opinione pubblica israeliana contro il governo che firmò gli Accordi di Oslo. Netanyahu nel 1994 ha poi scritto un libro intitolato A Place Under the Sun (Un posto sotto il sole) in cui ha promesso che avrebbe affossato il processo di Oslo e impedito la fondazione di uno Stato palestinese. Questo è esattamente quello che ha fatto. Dal 2014 non c’è stato un solo incontro fra i leader palestinesi e quelli israeliani. Israele ha bloccato tutti questi meeting, i negoziati e ha continuato a costruire colonie illegali che sottraggono terra alla Cisgiordania, distruggendo qualsiasi possibilità per la soluzione dei due Stati.

Quando Israele attacca il campo di Jenin, dei civili, sta attaccando dei rifugiati spogliati delle loro terre, della loro patria nel 1948 e che vivono in condizioni orribili in un campo profughi sotto l’occupazione israeliana. Quando Israele attacca un campo profughi così, con una situazione molto critica sotto la sua occupazione con il suo arsenale militare, carri armati, aerei, droni e caccia, quando fa tutto ciò è totalmente inaccettabile che il mondo resti in silenzio e, ancor peggio, che alcuni Paesi incoraggino Israele.

Le dichiarazioni del governo degli Stati Uniti e del governo britannico dicono che Israele ha il diritto all’autodifesa non sono altro che dare il via libera a questa aggressione. E il popolo palestinese che vive sotto l’occupazione israeliana? Non abbiamo il diritto di difenderci o per loro siamo degli esseri subumani? Penso che il fatto vergognoso sia che il parlamento britannico discuta come impedire la forma di resistenza più pacifica, cioè il boicottaggio, disinvestimento e le sanzioni. Fare ricorso al BDS come è successo in Sudafrica non è altro che un atto di libertà di parola, libertà per un popolo di lottare contro l’ingiustizia, per protestare contro l’occupazione e il sistema di apartheid.

Queste posizioni a sostegno di Israele rendono complici coloro che rilasciano dichiarazioni come “Israele ha il diritto all’autodifesa” di un crimine di guerra che Israele ha commesso e continua a commettere contro il popolo palestinese. Tutto il discorso sulla soluzione dei due Stati è diventato null’altro che un cliché che non convince nessuno. Se Stati Uniti, Regno Unito, Europa fossero realmente seri a proposito dello Stato palestinese lo avrebbero riconosciuto e non si sarebbero limitati a riconoscere solo Israele. Se fossero seri sulla soluzione dei due Stati avrebbero iniziato immediatamente a far pressione su Israele, inclusa l’imposizione di sanzioni, per costringerlo a fermare le attività delle colonie illegali che, come ammettono questi Paesi, stanno distruggendo la possibilità di uno Stato palestinese e la soluzione dei due Stati. Penso che tutto questo parlare della soluzione dei due Stati sia null’altro che un modo per distrarre l’attenzione, un modo per dare a Israele più tempo per finire il vero lavoro che sta facendo qua: l’annessione della Cisgiordania e l’eliminazione totale di ogni possibilità di soluzione a due Stati.

E noi diciamo che, nonostante Israele abbia distrutto l’opzione dei due Stati, ciò non significa che abbiano distrutto la nostra speranza di libertà. E hanno creato una nuova realtà, che è una realtà di uno Stato di apartheid. L’alternativa può solo essere uno Stato democratico in cui i palestinesi godano della parità dei diritti non solo come cittadini, ma anche come Nazione, con l’uguaglianza dei diritti per i cittadini e parità di diritti nazionali. Questa è l’unica soluzione a una situazione di uno Stato di apartheid.

PDD: come sono trattati oggi i palestinesi dai media?

Dr Barghouti: Noi siamo per lo più ignorati e raramente intervistati. Io ricordo sempre che 10 o 20 anni fa venivamo intervistati molto più frequentemente dai media internazionali, come CNN e BBC. Negli ultimi anni siamo stati totalmente ignorati. Io non penso che la narrazione dei palestinesi passi attraverso la maggioranza di questi organi di stampa. È per questo che ora contiamo di più sui social media.

Anche quando abbiamo la rara opportunità di portare all’attenzione della gente la narrazione e il punto di vista palestinese, gli israeliani attaccano immediatamente queste emittenti, come stanno facendo ora con la BBC. Vogliono monopolizzare la verità, i media. Vogliono impedire alla gente in Gran Bretagna e nel mondo di conoscere la realtà, la verità. La BBC ha intervistato me ma anche molti israeliani, molti più di noi, eppure gli israeliani attaccano la BBC perché vogliono zittire la voce della verità. Vogliono ostacolare la possibilità che nel mondo si sappia la verità su quello che sta succedendo qui.

Noi non stiamo dicendo che non dovrebbero intervistare gli israeliani, lasciate che lo facciano, ma dovrebbero intervistare anche noi. Noi abbiamo il pieno diritto di portare le nostre opinioni ai media e all’opinione pubblica mondiali. La gente può poi giudicare da sé chi ha ragione e chi torto, cosa è corretto e cosa non lo è, e quali sono i fatti. Ma impedire persino che si possa conoscere il punto di vista dei palestinesi secondo me fa pensare a due cose.

Uno, un comportamento fascista che tenta di monopolizzare la verità e i fatti. Mi spiace. Mostra anche che la posizione di Israele è debole perché hanno paura della verità. Hanno paura del fatto che se si mette uno di noi davanti ai media con un israeliano, persino uno dei fascisti israeliani, la gente riconoscerà immediatamente che noi stiano dicendo la verità. Io dico sempre ai miei colleghi dei media che noi abbiamo bisogno forse di un decimo di quello che hanno gli israeliani per avere la meglio. Perché? Perché noi diciamo la verità ed è questo che essi temono.

PDD: La BBC avrebbe dovuto scusarsi con l’ex primo ministro Naftali Bennett per aver domandato se Israele è “felice di uccidere minori palestinesi”?

Dr Barghouti: Penso che fosse solo giusto perché Israele sta uccidendo i minori. Appena prima dell’ultimo assalto contro Jenin i soldati israeliani hanno ucciso un bambino di due anni e mezzo e il padre davanti a casa. Il padre è stato raggiunto da due proiettili alla spalla e il piccolo uno al cervello, è morto: due anni e mezzo! Gli hanno sparato dieci volte. Poi l’esercito ha detto che è stato un errore, ma nessun soldato è stato portato in tribunale e nessuno è stato punito. Nel 1996 io stesso come medico stavo cercando di aiutare un ferito al quinto piano a Ramallah dove c’erano scontri fra l’esercito e la gente.

Mentre stavo cercando di bloccare l’emorragia un cecchino israeliano mi ha visto e mi ha sparato due volte. Ho ancora 35 schegge nella schiena e in una spalla. Nessuno è stato punito. No, Israele uccide bambini e civili e medici e giornalisti. No, non penso che la BBC avrebbe dovuto scusarsi per questo. Secondo me l’establishment israeliano con il suo enorme potere sta praticando quello che io chiamo terrorismo intellettuale contro i media in tutto il mondo e contro chiunque solidarizzi con i palestinesi. Nessuno dovrebbe accettare di subire questo terrorismo intellettuale che Israele sta mettendo in atto.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Palestine Deep Dive.

Mustafa Barghouti

Politico, attivista e medico

Il dr. Mustafa Barghouti è medico, attivista e politico palestinese, segretario generale di Iniziativa Nazionale Palestinese, anche nota come Mubadara. È membro del Consiglio Legislativo Palestinese dal 2006 e fa anche parte del Consiglio Centrale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Perché i pogrom dei coloni stanno squassando la Cisgiordania proprio ora

Menachem Klein 

26 giugno 2023 +972

Frustrati dalle reazioni armate ai loro pogrom, i coloni continueranno a propugnare la supremazia ebraica con ogni mezzo necessario.

A volte un evento è così estremo da strappare il paraocchi della deliberata ignoranza alla società ebraico-israeliana. Il pogrom di Huwara lo scorso febbraio in cui centinaia di coloni hanno incendiato la città palestinese nella Cisgiordania occupata è stato un evento del genere. I pogrom della scorsa settimana a Turmus Ayya, Urif e Umm Safa hanno aperto ulteriormente il quadro, costringendo molti israeliani a guardare in faccia a una realtà presente da tempo e che senza dubbio può peggiorare.

Il problema principale non è però nel sottoprodotto dell’occupazione – il terrorismo dei coloni ebrei – ma nell’attività di routine di Israele nei territori. In effetti, la decisione dei dirigenti della sicurezza israeliana di etichettare i pogrom come “terrorismo” indica che il paraocchi è stato levato solo in parte: semplicemente non vogliono che il terrorismo ebraico interferisca o metta in imbarazzo l’autorità di esercito, Shin Bet e polizia.

L’insediamento coloniale è di per sé un atto violento, che sia fatto in accordo con la legge israeliana o con una legge che lo legittima retroattivamente. È violento perché i coloni impongono la loro presenza agli abitanti autoctoni e li privano della terra, dell’acqua, della libertà di movimento e dei diritti umani fondamentali. È un sistema organizzato di violenza per conto dello Stato.

La simbiosi tra esercito e coloni non si limita alla violenza; esiste anche nella concezione che hanno della loro missione. I coloni definiscono esplicitamente la loro missione come l’ebraizzazione dell’area, e lo fanno in modo efficace e coerente. La missione dell’esercito non è garantire la sicurezza a tutti i residenti nei territori – come il diritto internazionale richiede alla potenza occupante – ma piuttosto proteggere i coloni dalle reazioni dei nativi palestinesi, ai quali non è permesso difendersi, né con l’aiuto delle forze di sicurezza palestinesi, né istituendo una propria guardia nazionale.

Il fattore che determina se la vita e la proprietà di un residente della Cisgiordania saranno protette è se è ebreo o meno.

Anche l’espansione delle colonie in risposta all’assassinio di israeliani – come alte cariche del governo si sono impegnate a fare la scorsa settimana – non è un’innocua azione civile. È una violenza senza immediato spargimento di sangue, ma che inevitabilmente genererà una resistenza palestinese seguita da una sanguinosa repressione dell’esercito.

I palestinesi sono tollerati solo se si annullano nel paesaggio, diventando oggetti inanimati che rinunciano alla loro identità collettiva. Ma finché mantengono quell’identità sono per definizione il nemico. L’esercito e lo Shin Bet continueranno a controllarli con dati biometrici ed elettromagnetici che tracciano la loro posizione, le loro azioni e i pensieri espressi nelle telefonate e sui social media. La completa dipendenza dei palestinesi da Israele per i permessi rende facile per le autorità israeliane raccogliere informazioni sulla loro famiglia e le condizioni mediche, le tendenze sessuali, le debolezze personali e l’inquadramento sociale e utilizzare tali informazioni come arma per costringerli a collaborare.

Il predominio ebraico è chiaro come il sole e il popolo palestinese sta sanguinando fisicamente e politicamente. Tuttavia, man mano che le colonie si espandono e l’esercito interviene aumenta l’attrito, e così anche la motivazione palestinese a reagire. Oggi la violenza palestinese ha poca speranza di liberare la Cisgiordania la disparità di potere tra le parti è fin troppo evidente. Piuttosto, intende far pagare un prezzo, un qualsiasi prezzo, ai colonizzatori.

Una frustrazione pericolosa

Questa reazione frustra i coloni. Com’è possibile che tutto il loro potere e la loro supremazia non abbiano ancora cancellato l’identità e la resistenza palestinese? Questa frustrazione è ciò che muove i pogrom, come quelli che abbiamo visto la scorsa settimana, che poi spingono l’esercito e il governo a usare ancora più forza nell’espandere il progetto di insediamento coloniale. Solo pochi giorni fa, il Col. (Forze di Riserva) Moshe Hagar, capo dell’accademia premilitare nella colonia di Beit Yatir, ha invocato la distruzione di una città o di un villaggio palestinesi per dare una lezione ai palestinesi. Nel frattempo Bezalel Smotrich che funge sia da Ministro delle Finanze che come Ministro incaricato degli Affari Civili in Cisgiordania, ha definito “sbagliato e pericoloso” qualsiasi paragone tra ciò che ha definito “terrore arabo” e le “contro-operazioni di civili”.

La loro frustrazione oggi è maggiore di quanto non fosse in passato. Negli anni ’80 e ’90 i coloni nei territori occupati si sono trasformati da movimento civile sostenuto dalla classe dirigente in classe dirigente essi stessi. Si sono fatti strada nei livelli esecutivi degli ambiti governativi di amministrazione e sicurezza che controllano la popolazione palestinese e la sua terra. Oggi, sotto l’attuale governo di estrema destra, hanno raggiunto l’apice del potere. Non pensano affatto a riconoscere dei limiti al proprio potere, perché la direzione delle loro ambizioni politiche è diretta e inequivocabile. Non devono ritrarsi.

L’idea di contenere il conflitto per non perdere il controllo – come sperano di fare esercito, Shin Bet e polizia – è per loro inaccettabile, poiché la loro frustrazione è pari al loro estremismo politico e teologico. I coloni stanno spingendo i dirigenti della sicurezza ad agire secondo la visione di Hagar. A differenza dell'”Operazione Scudo Difensivo” – quando l’esercito israeliano distrusse fisicamente e politicamente l’Autorità Nazionale Palestinese nel 2002 attraverso devastanti invasioni urbane – oggi non c’è più una leadership da decimare. L’ANP sotto il presidente Mahmoud Abbas l’ha già fatto per Israele. L’appello della destra israeliana a lanciare “Scudo Difensivo II” è invece un invito a porre i civili palestinesi come obiettivo centrale piuttosto che come semplice e accettabile effetto collaterale.

La fine del conflitto e la soluzione dei due Stati non sono più interessanti per l’opinione pubblica israeliana e per la comunità internazionale. In mancanza di una soluzione – o più precisamente, della volontà di perseguirne una – i governi stranieri, compresi gli Stati arabi, hanno permesso a Israele di creare un regime unico nell’intera area compresa tra il fiume e il mare senza dover dichiarare ufficialmente l’annessione.

Il fatto che due popoli diversi vivano sotto due sistemi di leggi e un unico potere significa che Israele sta attuando pratiche di apartheid, supremazia razziale e governo militare non come una questione di politica estera, ma piuttosto come politica interna.

Questo è il motivo per cui, ad esempio, il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir sta cercando di istituire una propria milizia privata, per avere il potere di sottoporre i cittadini palestinesi di Israele alla detenzione amministrativa e per approfondire la penetrazione dello Shin Bet nella vita dei cittadini palestinesi di Israele. E, sulla scia degli eventi del maggio 2021 [grave esplosione di violenza iniziata il 10 maggio 2021 e continuata fino all’entrata in vigore del cessate il fuoco il 21 maggio, ndt.] l’esercito israeliano ha ora elaborato piani per agire contro i cittadini palestinesi in caso di conflitto.

I dirigenti di Israele si stanno rendendo conto che devono piegare ulteriormente la legge alla loro volontà, altrimenti l’identità dell’intera area tra il fiume e il mare non sarà mai esclusivamente ebraica. E, sfortunatamente, la sinistra ebraica sionista non ha né la visione né il coraggio per impedire questa tendenza.

Menachem Klein è professore di Scienze Politiche all’Università Bar Ilan. È stato consigliere della delegazione israeliana nei negoziati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 2000 ed è stato uno dei leader dell’Iniziativa di Ginevra. Il suo nuovo libro, Arafat e Abbas: Portraits of Leadership in a State Postponed [Arafat e Abbas: ritratti di leadership in uno Stato rinviato], è stato appena pubblicato da Hurst London e Oxford University Press New York.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Sono l’ex presidentessa dell’Associazione Americana di Antropologia e questo è il motivo per cui voto per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane

Alisse Waterston

14 giugno 2023 – Mondoweiss

A otto anni da quando l’Associazione Americana di Antropologia prese per la prima volta in considerazione il boicottaggio accademico di Israele, le condizioni dei palestinesi sono solo peggiorate e le istituzioni accademiche israeliane sono complici. Questo è il motivo per cui appoggio la nuova risoluzione per il boicottaggio.

In questo momento critico gli antropologi membri dell’Associazione Americana di Antropologia (AAA) affrontano una decisione epocale. La questione che devono affrontare è la risoluzione di boicottare le istituzioni accademiche israeliane, un atto nonviolento di resistenza, facendo causa comune con il popolo palestinese che soffre i crimini di apartheid e persecuzione. Il voto elettronico sulla risoluzione inizia il 15 giugno e si concluderà il 14 luglio.

Mi sono già trovata alle prese con questa decisione in precedenza. Il 20 novembre 2015, un numero record di 1400 membri presenziò all’annuale incontro dell’associazione. La lunga notte di discussione e dibattiti finì in modo chiaro: la mozione per sottoporre all’assemblea generale il voto sulla risoluzione per boicottare le istituzioni accademiche israeliane nella primavera successiva passò con un ampio margine. Con un risultato senza precedenti: la risoluzione non fu approvata con un margine ridotto. Votò un numero record del 51% dei membri: il boicottaggio fu respinto [dall’assemblea generale] con 2.423 voti contro e 2.384 a favore.

Lo so perché alla fine di quell’incontro mi venne dato il martelletto del presidente e diventai l’84esimo presidente dell’AAA. Dovendo affrontare la questione la mia sfida più difficile è stata separare me stessa come individuo (e come potessi agire e votare) dai miei doveri in quanto funzionaria dell’associazione, una sfida che ho risolto attenendomi ai processi democratici dell’organizzazione e facendo costantemente riferimento al suo statuto. Nel corso dei sei difficili mesi che hanno preceduto il voto io e altri dirigenti e dipendenti di AAA abbiamo ricevuto email e telefonate moleste e minacciose da persone estranee all’associazione che volevano che noi ritirassimo del tutto la risoluzione.

Durante quei sei mesi la mia missione fu di organizzare la votazione, incoraggiando i membri ad ascoltare e farsi guidare dalla propria coscienza e dando loro il necessario per prendere una decisione informata. Fra queste informazioni c’era la relazione della task force dell’AAA su Israele e Palestina e un’esauriente bibliografia sull’argomento. Nel frattempo ho riunito un gruppo di lavoro che ha prodotto otto misure concernenti Israele-Palestina approvate dalla commissione esecutiva a maggio del 2016. Tra queste c’era una dichiarazione di condanna di politiche e pratiche israeliane focalizzata principalmente sulla negazione della libertà accademica e di espressione nei confronti dei palestinesi che includeva l’appello ad abrogare leggi israeliane che criminalizzano il fatto di parlare pubblicamente a favore del boicottaggio.

Questa non è una questione di opinioni: le prove raccontano delle orrende condizioni che i palestinesi sopportano come diretto risultato di leggi, politiche e pratiche israeliane. Fra esse la legge fondamentale Israele, Stato Nazione del popolo ebraico, che stabilisce che lo Stato di Israele è “solo per il popolo ebraico.” Inoltre le istituzioni accademiche israeliane hanno una lunga e documentata storia di collaborazione alla promozione del programma militare e nazionalista del Paese, per espanderne l’avanzata nei territori occupati, trascurando la sorte dei palestinesi. Ecco un esempio: in una lettera che ho ricevuto nel dicembre 2015 dall’associazione di rettori di università di Israele, gli 8 firmatari, che rappresentavano sedici università israeliane, sottolineavano di percepire il BDS come “una campagna anti-israeliana aggressiva e globale [che] fa circolare malignamente vili calunnie e bugie … con il solo obiettivo di delegittimare lo Stato di Israele.” Non si citava il timore per le continue violazioni, la negazione di vita, sostentamento, libertà di parola e libertà accademica che danneggiavano i palestinesi.

La situazione, una volta descritta come un conflitto e l’azione dello Stato di Israele come “l’occupazione”, è ora definita apartheid da parecchie organizzazioni affidabili. Per esempio la ricerca e le analisi dei dati di Amnesty International l’hanno portata a concludere che l’apartheid di Israele, in violazione del diritto internazionale, è “un sistema crudele di dominio e un crimine contro l’umanità.” Queste sono parole astratte: la cruda realtà è che la morte e distruzione vissute dai palestinesi sono praticamente impossibili da cogliere. Io leggo i vari rapporti, il minimo che posso fare. Non si possono voltare le spalle davanti a fatti dolorosi.

Eppure gli Stati Uniti non guardano ai fatti. Dal 2014 vari Stati hanno cominciato ad approvare leggi e decreti esecutivi contro il boicottaggio di Israele: oggi ci sono 35 Stati con tali leggi in vigore. Invece di contestare la lunga pratica di confondere l’antisemitismo con le critiche contro Israele, un crescente numero di Stati e governi federali hanno preso in considerazione o lo stanno facendo di codificare questa fusione adottando la definizione dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa cui aderiscono 34 Paesi, per lo più europei, ndt.]. Secondo un rapporto del Servizio di ricerca del Congresso, a marzo di quest’anno Israele è il maggiore destinatario cumulativo di assistenza all’estero degli USA dalla seconda guerra mondiale, avendo ricevuto 158 miliardi di dollari in assistenza bilaterale e fondi per la difesa missilistica; quasi tutto l’aiuto bilaterale degli USA a Israele è militare. Non è fare polemica sostenere che i dollari dei contribuenti supportano un sistema crudele di dominio e di crimini contro l’umanità.

Avendo occupato una posizione apicale nell’associazione, conosco direttamente la difficoltà di rispondere ai vari punti di vista dei suoi membri, adeguando le decisioni ai valori fondanti e alla missione dell’organizzazione, fra cui la protezione della libertà accademica, preoccupandosi della sostenibilità dell’associazione e mantenendo una bussola morale rispetto ai temi umani e politici in oggetto. Sono anche consapevole del danno potenziale che potrebbe causare all’associazione: alcuni potrebbero ritirare la propria adesione, alcuni donatori potrebbero smettere di finanziarla e alcuni incontri annuali non potrebbero svolgersi in centri congressi pubblici negli Stati in cui vigono leggi anti-boicottaggio.

Tenendo a mente tutto ciò, la proposta di boicottaggio merita un’attenta analisi. Richiede all’AAA di impegnarsi in un boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane fino a quando queste istituzioni porranno fine alla loro complicità nel violare i diritti palestinesi stabiliti dal diritto internazionale; implementare questo boicottaggio d’accordo con le procedure di governance, statuti e missione dell’associazione; riconoscere che questo boicottaggio riguarda solo le istituzioni accademiche israeliane e non gli studiosi a livello individuale e che gli antropologi che sono membri dell’AAA sono liberi di stabilire se e come applicare il boicottaggio nella propria pratica professionale; sostenere i diritti di tutti gli studenti e accademici ovunque di intraprendere ricerche e interventi pubblici su Palestina e Israele e a favore del movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

Riconosco che talvolta certi principi possono entrare in contraddizione. Se il boicottaggio dell’AAA danneggia la libertà accademica, ciò deve essere valutato rispetto ai morti e alle case distrutte che sono la tragedia dei palestinesi. Se dei membri cancelleranno la propria sottoscrizione e alcuni donatori si ritireranno, coloro che sostengono il boicottaggio dovranno impegnarsi a portare ognuno 1-2 nuovi membri e a offrire all’associazione un sostegno finanziario oltre alla quota di iscrizione. Ogni altra minaccia o danno all’AAA possono essere affrontati con l’impegno di prenderne le difese. Se il boicottaggio si rivela inefficace, esso deve essere valutato considerando l’alternativa di complicità con il silenzio sulle condizioni dei palestinesi sotto l’apartheid che li lascia isolati, soli e invisibili.

Lottando con la necessità di prendere una decisione, sono consapevole del mio obbligo speciale da antropologa di considerare le sofferenze di altri. Comprendo anche che l’incolumità e la sicurezza possono solo giungere quando tutte le persone sono sicure e protette: militarismo, occupazione e apartheid sono controproducenti al raggiungimento di questo obiettivo. Sono consapevole delle strutture di potere che riproducono diseguaglianze e delle sofferenze sociali che ne risultano e portano a un senso di responsabilità e all’azione in nome di coloro che sono disumanizzati, spossessati e scacciati. Ho esaminato i dati e le posizioni e sono a conoscenza dei rischi che potrebbe correre l’associazione, considerando le minacce già ricevute e quelle che potrebbero continuare ad arrivare. Da ebrea ho cercato insegnamenti etici nel libro di preghiere di mia madre che mi aiutassero a guidarmi. Forse nessuno di essi è più importante o rilevante dell’imperativo di perseguire “giustizia, giustizia,” una parola scritta due volte per “insegnarci che dobbiamo praticare la giustizia sempre, sia per il nostro profitto che nel caso ci arrecasse una perdita e verso tutti gli uomini [sic], ebrei e non ebrei, allo stesso modo.”

In conclusione io voterò a favore della risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, l’unica decisione suggeritami dalla mia coscienza.

Le opinioni qui espresse sono dell’autrice e non rappresentano la posizione dell’American Anthropological Association o dei suoi dirigenti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Dobbiamo smetterla di confutare la propaganda israeliana nei termini di Israele

TOM SUAREZ  

27 maggio 2023  – Mondoweiss

Nelle nazioni occidentali tendiamo inconsapevolmente a permettere a Israele di controllare i termini del dibattito anche mentre combattiamo per la causa palestinese. Invece, dobbiamo rispedire le accuse israeliane a chi le formula

La battaglia per la giustizia in Palestina è una battaglia di linguaggi. È una battaglia non solo di informazioni, ma del contesto in cui vengono presentati gli ipotetici fatti, cioè di narrazione. Così Israele settantenne utilizza una narrazione “nazionale” che inizia con l’Antico Testamento e profitta dei nostri stessi media e governi come co-cospiratori. Se i media occidentali riportassero invece la realtà israelo-palestinese, da un giorno all’altro l’intero progetto sionista si farebbe insostenibile.

La narrazione palestinese è sempre più considerata vitale nella lotta per la giustizia. Eppure viene in gran parte estromessa. Come osserva la professoressa dell’Università di Exeter Nadia Naser Najjab, non ci sarà giustizia per la Palestina “fintanto che la comunità internazionale continuerà a ignorare la narrazione palestinese”.

Perché, allora, viene ignorata? Che cosa le è contro? Contro cosa si scontra la (vera) storia di una terra rubata, la sua gente sottoposta a pulizia etnica o rinchiusa in bantustan sotto uno Stato di apartheid?

Si scontra con una mitologia elaborata e sfaccettata, radicata nell’iconografia biblica e messianica culturalmente inculcata nel suo pubblico. Si scontra con la favola di un popolo in alleanza con Dio che ritorna nel proprio “paese” che risale a cinquemila anni fa. Si scontra con uno Stato il cui nome è stato scelto per farci credere che lo abbiamo letto nella Bibbia e funge cinicamente da fiaccola per il peso morale dell’Olocausto e da rifugio per gli ebrei dal flagello dell’antisemitismo. Si scontra con il fondamentalismo sionista cristiano e un pubblico ulteriormente predisposto attraverso la sistematica disumanizzazione dei palestinesi.

E oltre a tutto ciò la Narrazione Palestinese si scontra con la precondizione che perfino per ridicolizzare la mitologia di Israele i palestinesi devono prima pienamente accettarla.

Come ha affermato Jeremy Ben-Ami del “progressita” J Street [forum statunitense che promuove la leadership americana per una soluzione pacifica e diplomatica ai conflitti arabo-israeliano e israelo-palestinese, ndt.] nel suo articolo per commemorare il 75° anniversario dello Stato israeliano (tutti i corsivi sono miei):

Credo che coloro che sottolineano la Nakba dovrebbero anche riconoscere la legittimità del legame ebraico con la terra di Israele e che anche il popolo ebraico ha diritto all’autodeterminazione. […] se mai dovessimo risolvere questo tragico conflitto tra ebrei e palestinesi, entrambi i popoli dovranno comprendere la narrazione dell’altro, la loro storia di dolore e il loro legame con la stessa terra…”

Si noti che “conflitto” è anch’esso una narrazione a beneficio di Israele.

“… e tutti gli ebrei, spero, un giorno riconosceranno il legame dei palestinesi con questa terra e capiranno perché essi considerano il 1948 una catastrofe…”

I palestinesi devono accettare la narrazione israeliana subito, ma il riconoscimento reciproco? Forse “un giorno”, spera l’autore. Il “legame palestinese” con la propria terra è presentato come un concetto vago, valido solo se “tutti gli ebrei” lo accettano, mentre il legame dei coloni stranieri con quella terra è così naturale da non meritare spiegazioni. E infine, nello stereotipo antisemita, gli “ebrei” sono considerati così chiusi e concentrati su di sé da non arrivare a capire perché altre persone potrebbero considerare una “catastrofe” il totale furto e la pulizia etnica del loro paese – davvero così difficile che:

È improbabile che israeliani e palestinesi si accordino mai su una versione comune della storia

Svilendo ciò che è realmente accaduto ai palestinesi come “versione” – sostituto peggiorativo di “narrazione” – si può rimuoverlo. In effetti, una ricerca su Internet di “Narrazione palestinese” può occupare tutto il giorno, ma ogni volta che viene esposta una Narrazione per mostrare il crimine secolare contro i palestinesi, i propagandisti israeliani se ne impadroniscono per definirla una sorta di credenza, di invenzione nostalgica – nient’altro che “quello che dicono i palestinesi”.

In risposta agli sforzi del professor Rashid Khalidi per impedire agli Stati Uniti di costruire la propria ambasciata a Gerusalemme su terra rubata a palestinesi, tra cui la sua famiglia, un velenoso articolo sul Jerusalem Post affermava che “quello che sta accadendo qui non è tanto una battaglia sulla storia di Gerusalemme quanto una battaglia sulle narrazioni della storia.” Una recensione sullo stesso giornale dell’eccellente The Hundred Years’ War on Palestine [La guerra di cent’anni per la Palestina] del prof. Khalidi inizia proprio col titolo: “Controllare la narrazione palestinese”. Il recensore contrasta la “narrazione” di Khalidi con una litania di invenzioni israeliane la cui stessa logica sarebbe giustamente condannata come incitamento all’odio se le “parti” fossero invertite. Ed è nel contrastare tale razzismo – disumanizzazione – che la narrazione è così cruciale, per assicurare il fallimento della infame congettura di Ben-Gurion secondo cui “i giovani dimenticheranno”.

Riappropriarsi dei termini del dibattito

Solo i palestinesi possono riferire la narrazione palestinese collettiva e individuale. Ma per quelli di noi i cui paesi hanno causato il crimine secolare contro di loro – in particolare il Regno Unito e gli Stati Uniti – la fondamentale responsabilità di porre fine all’eterna complicità dei nostri paesi ricade su di noi. È nostro compito porre fine alla giungla di bugie su cui fa affidamento Israele.

A tal fine propongo un’osservazione generale. Nelle nazioni occidentali che si sono nutrite della mitologia di Israele tendiamo inconsapevolmente a permettere a Israele di controllare i termini del dibattito anche se combattiamo per la causa palestinese. Di una miriade di esempi forse il più semplice con cui illustrare il mio punto è come trattiamo l’uso da parte di Israele dell’accusa di antisemitismo per metterci a tacere.

Quando sul nostro petto viene scarabocchiata la “A” scarlatta di antisemita , la nostra tipica risposta è negare l’accusa: no, non sono antisemita. L’antisionismo non è antisemitismo. Questa risposta è totalmente nei termini di Israele: i suoi propagandisti, non tu, mantengono il controllo e tu rimani “colpevole”.

La risposta deve respingere correttamente l’accusa e includere le parole che la calunnia vorrebbe mettere a tacere: No, non cercare di coprire/nascondere l’apartheid israeliano. Sei sionista. Questo è antisemitismo! Oppure: sto difendendo dei fondamentali diritti umani. Stai insultando gli ebrei come oppositori dei diritti? O ancora: l’unico antisemitismo qui è da parte dei sionisti che in nome degli ebrei difendono l’apartheid israeliano contro la Palestina.

Cito questo come modello, suggerito per ripensarci e liberare tutti i nostri ragionamenti da un contesto ereditato. In questo momento la presa di Israele sull’opinione pubblica sta vacillando, Israele stesso è nel caos politico, le tre sillabe “apartheid” diventano ogni giorno più salde e la realtà che Tel Aviv abbia rubato tutta la Palestina storica non è più negabile . Il pubblico è più aperto alla verità dell’esperienza collettiva e individuale dei palestinesi – e il resto di noi deve fare sempre più pressioni per “delegittimare” lo stato razziale che è causa dell’intera catastrofe.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Tantura: alla Bafta anteprima del film sul massacro nel villaggio palestinese durante la Nakba

Nadda Osman da Londra

23 maggio 2023 – Middle East Eye

Anche se il documentario è stato ampiamente apprezzato perché mostra le uccisioni a Tantura nel 1948, alcuni critici dicono che dà troppa rilevanza alla prospettiva israeliana

Lunedì sera la prestigiosa British Academy of Film and Television Arts, la londinese Bafta, è stata sede della proiezione del documentario Tantura, che indaga il massacro presso il villaggio palestinese durante la  Nakba.

La proiezione, organizzata dall’International Centre of Justice for Palestinians (ICJP, Centro Internazionale per la giustizia per i palestinesi), ha coinciso con il 75esimo anniversario del massacro avvenuto fra il 22 e il 23 maggio 1948 e nel film appaiono testimonianze registrate e interviste con vari veterani israeliani che presenziarono alle esecuzioni.

Si stima che siano oltre 200 le persone uccise durante il massacro. Un soldato israeliano commenta così il bilancio delle vittime: “Non ho contato. Non saprei proprio. Avevo una mitragliatrice con 250 pallottole.”

Tayab Ali, avvocato e direttore dell’ICJP, ha detto che l’episodio di Tantura sintetizza l’esperienza palestinese durante la Nakba e da allora in poi.

La storia di Tantura esemplifica la lunga esperienza di rimozione e perdita subita dai palestinesi durante la Nakba, ma in questo film è raccontata da coloro che l’hanno perpetrata,” afferma, e poi continua:

Ripercorrendo i fatti di Tantura in questo film non prendiamo una posizione nel dibattito, ma presentiamo i fatti indiscutibili di quello che gli israeliani fecero ai palestinesi non solo a Tantura e in altri villaggi nel 1948, [ma ciò che loro] continuano a fare.

“Fino ad oggi la comunità internazionale ha chiuso un occhio sui crimini Israeliani e peggio ancora ne è complice.”

Le registrazioni di Katz

Il regista [israeliano] Alon Schwarz concentra il suo lavoro sulle ricerche dell’israeliano Teddy Katz che scrisse la sua tesi sull’argomento all’Università di Haifa. 

In Israele Katz fu completamente marginalizzato per aver rivelato le sue scoperte e fatto oggetto di pressioni perché ritrattasse.

Un’ampia parte del film parla dell’impatto su Katz, incluse le cause legali contro lui e il suo licenziamento dall’università.

Il ricercatore aveva raccolto più di un centinaio di ore di registrazioni di testimonianze di 135 sopravvissuti palestinesi e di soldati israeliani che erano là.

Il film illustra come membri della brigata Alexandroni, parte dell’esercito israeliano, attaccarono il villaggio seminando morte fra la popolazione civile palestinese e costringendo altri a fuggire.

I palestinesi hanno da sempre detto che tali tattiche erano usate per scacciarli dalle loro terre storiche per far posto alla fondazione di Israele.

Il lavoro di Schwarz fa luce sulla mentalità delle unità dell’esercito israeliano e contiene l’ammissione da parte di israeliani di aver ucciso palestinesi.

Li abbiamo ammazzati. Naturalmente li abbiamo ammazzati. Non ci siamo fatti scrupoli,” dice un membro della brigata. 

Altri soldati raccontano di aver radunato donne e bambini separandoli dagli uomini che furono mandati in campi di prigionia, mentre gli altri furono uccisi. 

Molti degli intervistati ammettono di aver ucciso, ma dicono che cercano di dimenticarlo e di non parlarne con altri. 

Oggi il villaggio di Tantura, che si trova a sud della città di Haifa, è diventato un’area ricreativa israeliana dove la gente va a nuotare e per ammirare il panorama.

Nel documentario le voci narranti dicono che una sepoltura di massa palestinese dove avvenne il massacro è ora diventata un parcheggio alle spalle della spiaggia di Dor.

La pellicola è stata mostrata a Londra a un pubblico composto, fra gli altri, da avvocati, accademici, giornalisti e ad appartenenti alla diaspora palestinese.

C’è poi stata una tavola rotonda a cui hanno partecipato Yasmine Ahmed, direttrice per il Regno Unito di Human Rights Watch [organizzazione non governativa internazionale, ndt.], lo storico anglo-israeliano Avi Shlaim, l’accademico palestinese Nur Masalha e la regista palestinese Hala Gabriel.

Shlaim ha apprezzato che la regista abbia mostrato le uccisioni, ma ha messo in guardia sul fatto che il documentario “è un film molto israeliano “.

Secondo Shlaim “la ragione per cui suscita tante reazioni così forti è che va al cuore della percezione che ha Israele di sé, e la percezione che Israele ha di sé è quella di un Paese molto rispettabile, progressista e amante della pace.”

Ha aggiunto che la guerra che ha portato alla fondazione di Israele è da molto tempo vista all’interno del Paese come una guerra di difesa contro “gli aggressori arabi”.

“C’è una grande riluttanza a vedere il lato oscuro di questa guerra, in particolare la pulizia etnica avvenuta nel 1948,” ha aggiunto.

Rispondendo a una domanda circa il ruolo giocato dall’ideologia sionista nella pulizia etnica dei palestinesi nel 1948, Shlaim ha detto che il movimento era improntato a un’ideologia “esclusivista” e “razzista”.

Ha aggiunto: “Israele ama definirsi ebraico e democratico, ma come ha detto un parlamentare arabo: ‘Israele è una democrazia per gli ebrei’… Israele non può essere sia uno Stato ebraico razzista che uno democratico.”

La regista Gabriel è originaria del villaggio di Tantura e suo padre è stato un testimone della strage.

Come Shlaim, anche lei è lieta che si puntino i riflettori sugli eventi di Tantura nel 1948, ma chiede uguale attenzione per le opere dei palestinesi.

Per l’ICJP la speranza è che il film susciti il dibattito su altre violazioni israeliane dalla Nakba in poi.

“La prossima volta che vi diranno che i soldati e i coloni israeliani non uccidono impunemente i palestinesi, ricordatevi di Tantura,” ha aggiunto Ali, il direttore di ICJP, continuando:

“La prossima volta che vi diranno che Israele non compie atti di apartheid, ricordatevi di Tantura.

La prossima volta che qualcuno cerca di giustificare l’occupazione o le aggressioni israeliane affermando che Israele è una democrazia, ricordatevi di Tantura.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




In un comunicato inviato a Palestine Chronicle Spotify spiega perché una canzone popolare di Mohammed Assaf è stata censurata

Redazione di Palestine Chronicle

21 maggio 2023 – Palestine Chronicle

In un comunicato inviato a Palestine Chronicle un’agenzia di pubbliche relazioni che rappresenta Spotify MENA [acronimo inglese per Paesi del Medio Oriente e Nord Africa, ndt.] afferma che la ragione della rimozione di una canzone popolare del famoso artista palestinese Mohammed Assaf “non è stata decisa da Spotify ma dal distributore.”

Il comunicato di Spotify, inviato tramite Publicist Inc., sostiene anche che “anticipiamo che nel prossimo futuro verrà reinserita e ci scusiamo per ogni inconveniente provocato.”

Nel breve comunicato si legge:

Spotify intende offrire sulla propria piattaforma un’ampia gamma di musiche, ma la disponibilità può variare nel tempo e a seconda dei Paesi. La rimozione di alcuni contenuti di Mohammed Assaf non è stata decisa da Spotify ma dal distributore. Anticipiamo il suo reinserimento nel prossimo futuro e ci scusiamo per qualunque inconveniente provocato.”

In precedenza Palestine Chronicle e altre fonti avevano dato notizia che Spotify e Apple Music avevano deciso di eliminare la canzone “Ana Dammi Falastini” (Il mio sangue è palestinese) di Assaf accusandolo di antisemitismo.

Secondo Roya News [rete informativa giordana, ndt.], dopo aver scoperto che la sua canzone era stata eliminata da entrambe le piattaforme, il cantante palestinese ha condiviso la sua sorpresa in una intervista con Al-Araby al-Jadeed [Il Nuovo Arabo, sito web di notizie in arabo con sede a Londra, ndt.].

Assaf avrebbe detto di aver ricevuto una mail ufficiale in cui si menzionavano accuse di antisemitismo come ragione per la cancellazione della canzone.

Assaf, nato e cresciuto a Gaza, ha sottolineato su Instagram che la canzone è stampata nel cuore di qualunque persona onesta e libera.

Secondo Doha News [blog di notizie con sede in Qatar, ndt.], “la decisione da parte del gigante dello streaming di eliminare la canzone è arrivata dopo che una petizione organizzata dalla filo-sionista “We Believe in Israel” [Noi crediamo in Israele] (WBII) e dal Consiglio dei Deputati ha raccolto circa 4.000 firme.”

Per Israele cancellare la Palestina ed escludere il popolo palestinese dalla storia della sua stessa terra è sempre stato un comportamento strategico,” ha scritto in un recente articolo il giornalista ed editorialista palestinese di Palestine Chronicle Ramzy Baorud, commentando la decisione israeliana di impedire ad Assaf di tornare in Palestina.

La cultura palestinese è stata molto utile alla lotta del popolo palestinese. Nonostante l’occupazione e l’apartheid israeliane, essa ha dato ai palestinesi un senso di continuità e coesione, legandoli tutti a un senso collettivo di identità che ruota intorno alla Palestina,” aveva scritto Baroud.

Nota di redazione: aggiungiamo all’articolo di Palestine Chronicle il testo della canzone censurata da Spotify in modo che i lettori possano verificare quanto ci sia di antisemita.

Il mio sangue è palestinese

Tenendo fede al mio giuramento, seguendo la mia religione

Mi troverai sulla mia terra

Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per lui

Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese,

il mio sangue è palestinese.

Siamo rimasti con te, nostra patria

Con il nostro orgoglio e identità araba

La terra di Gerusalemme ci ha chiamati

(Come) il suono della voce di mia madre che mi chiama

Palestinese, palestinese,

il mio sangue è palestinese.

Tenendo fede al mio giuramento, seguendo la mia religione

Mi troverai sulla mia terra

Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per lui

Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese,

il mio sangue è palestinese.

Oh madre, non preoccuparti

La tua patria è un castello fortificato

A cui sacrifico la mia anima

E il mio sangue, e le mie vene.

Tenendo fede al mio giuramento, seguendo la mia religione

Mi troverai sulla mia terra

Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per lui

Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese,

il mio sangue è palestinese.

 Sono palestinese, figlio di una famiglia libera

Sono valoroso e vado a testa alta

Tengo fede al mio giuramento per la mia patria

Non mi sono mai piegato di fronte a nessuno

Palestinese, palestinese

Il mio sangue è palestinese.

Tenendo fede al mio giuramento, seguendo la mia religione

Mi troverai sulla mia terra

Appartengo al mio popolo, sacrifico la mia anima per lui

Il mio sangue è palestinese, palestinese, palestinese,

il mio sangue è palestinese.

(traduzione dall’inglese dell’articolo e del testo della canzone di Amedeo Rossi)




Riforme giudiziarie israeliane: far scoppiare la bolla di un sistema giuridico coloniale

Pietro Stefanini

22-05-2023, The Legal Agenda

Il 4 gennaio 2023, meno di una settimana prima del giuramento dell’attuale governo israeliano, il ministro della Giustizia Yariv Levin annunciava una controversa revisione del sistema giudiziario. Quello che è diventato noto come il Piano Levin comprende diversi cambiamenti tecnici e legali, ma l’essenza delle riforme proposte risiede nel limitare l’influenza della Corte Suprema israeliana rafforzando al contempo l’autorità della Knesset di approvare leggi con meno ostacoli.[1] Se adottate, sposterebbero in modo significativo l’equilibrio del potere verso il governo e lontano dai rami giudiziari. Mentre in passato la Corte Suprema poteva annullare alcune leggi approvate dalla Knesset quando erano in conflitto con una delle Leggi Fondamentali di Israele, le riforme proposte ridurrebbero la supervisione della Corte e darebbero ulteriore potere al governo.

Dall’annuncio di Levin manifestazioni di massa hanno scosso Israele con dimostranti che lamentavano la presunta svolta autoritaria del paese. Il primo ministro Benjamin Netanyahu è Stato accusato di palese conflitto di interessi perché le riforme legali gli darebbero la possibilità di ottenere l’immunità parlamentare dal suo processo in corso per corruzione, qualcosa che ha cercato di accelerare almeno dall’inizio del 2020.[2] Il nuovo governo è anche definito “il più di estrema destra nella storia di Israele” dato che, insieme al Likud di Netanyahu, la coalizione al potere comprende il Jewish Power Party di Itamar Ben-Gvir e il Religious Sionist Party di Bezalel Smotrich, entrambi coloni ultranazionalisti della Cisgiordania con un noto passato di incitamento alla violenza razziale contro i palestinesi.[3]

In questo contesto, le proteste israeliane sembrano contrapporre il campo liberale come protettore dello “Stato di diritto” all’ascesa di un’estrema destra senza precedenti. Questa è la comune narrazione riportata da molti commentatori internazionali che osservano le manifestazioni e discutono sul futuro della “democrazia” di Israele. Tuttavia, uno sguardo più attento rivela che difendere la Corte Suprema è ben lungi dall’essere una posizione democratica o antiautoritaria. Il diritto in generale, e la Corte in particolare, dovrebbero essere collocati all’interno del loro rilevante contesto storico e politico, che in questo caso è il colonialismo di insediamento israeliano.[4] Se gli osservatori mettessero i palestinesi al centro nel dibattito, il bilancio dell’operato della Corte Suprema mostrerebbe chiaramente di avere costantemente fornito sostegno alle pratiche israeliane di colonizzazione e violenza militare.

Cosa significa la Corte Suprema israeliana per i palestinesi

Dal punto di vista dei colonizzati, la leadership del progetto coloniale sionista – sia di destra che di sinistra – conta poco. Fu il sionismo laburista, apparentemente di sinistra, di David Ben-Gurion predominante nel 1948 che effettuò la pulizia etnica di oltre 750.000 nativi, quella che arabi e palestinesi chiamano la Nakba (catastrofe), per aprire la strada allo Stato colonizzatore di Israele. Commentando i manifestanti israeliani “pro-democrazia” provenienti da quella tradizione politica, lo storico Ilan Pappé scrive che “[l’]erede del sionismo liberale è fondato su una serie di ossimori: Israele come occupante illuminato, pulitore etnico benevolo, Stato apartheid progressista.”[5] Aggiunge che i funzionari militari israeliani, “che hanno commesso innumerevoli crimini di guerra nella Striscia di Gaza, e prima ancora in Cisgiordania e in Libano, stanno ora svolgendo un ruolo cruciale nell’emergente blocco di opposizione.”[6] ] Temono che indebolire la Corte Suprema attraverso riforme giudiziarie contribuirebbe a far diventare Israele un paria globale, come un tempo successe al Sud Africa dell’apartheid, e a perdere la sua legittimità come Stato liberale e democratico.

La Corte Suprema israeliana ha due funzioni principali: agire come corte d’appello e fungere da Alta Corte di Giustizia.[7] È in quest’ultima funzione che la Corte ha ottenuto un ampio sostegno pubblico. Il più alto ramo giudiziario di Israele ha acquisito importanza anche per aver investigato le azioni del governo e dei militari all’interno dei Territori Occupati (TO) della Palestina del 1967. Eppure, i suoi precedenti nei TO parlano della sua natura antidemocratica e coloniale. La Corte ha autorità sulle aree sotto occupazione militare, dove risiedono circa cinque milioni di palestinesi senza diritto di cittadinanza nello Stato da cui emana il potere giudiziario. Legifera così su soggetti non cittadini sotto occupazione; i palestinesi sono vincolati dalla legge del colonizzatore ma non sono loro concessi diritti politici. La Corte Suprema, quindi, non riconosce nemmeno il controllo del regime israeliano sulla Cisgiordania e sulla Striscia di Gaza come occupazione, ma accetta il punto di vista dello Stato secondo cui i territori sono “contesi”. Il consenso stabilito ai sensi del diritto internazionale è che i territori sono occupati, ma lo Stato israeliano ha solo riconosciuto che rispetterà le “disposizioni umanitarie” delle Convenzioni di Ginevra.

Un esempio attuale della Corte Suprema che sanziona la violenza militare israeliana è stato durante la Grande Marcia del Ritorno del 2018-19. Quando i palestinesi hanno organizzato una serie di proteste pacifiche lungo la recinzione che racchiude la Striscia di Gaza per chiedere la fine dell’assedio in corso dal 2007 e per tornare alle loro terre e case da cui furono espropriati nel 1948 – l’esercito israeliano ha risposto con cecchini che sparavano per uccidere e ferire civili, giornalisti e medici.[8] Per porre fine alle marce, l’esercito israeliano ha ucciso 214 palestinesi e ne ha feriti oltre 36.100 – dei quali oltre 8.000 sono stati colpiti da proiettili veri.[9] A un mese dall’inizio della serie di manifestazioni che sono durate quasi due anni, la Corte Suprema avrebbe potuto limitare il cecchinaggio di manifestanti disarmati. Ma quando ONG per i diritti umani hanno presentato una petizione per rivedere la politica del fuoco indiscriminato dei cecchini, la Corte ha respinto le petizioni e si è schierata con la condotta dell’esercito israeliano.

La Corte Suprema ha autorizzato una serie di pratiche statali violente come, tra l’altro, la negazione del ricongiungimento familiare[10] e l’uso della tortura.[11] La Corte ha anche bloccato qualsiasi petizione per contestare l’incarcerazione a tempo indeterminato dei palestinesi senza processo.[12] Nel 2019, la Corte ha anche approvato la politica draconiana di Israele di trattenere i corpi dei palestinesi uccisi.[13] Per decenni il regime israeliano ha adottato questa misura necropolitica di trattenere i corpi dei palestinesi morti – alcuni dei quali detenuti nel Greenberg Institute of Forensic Medicine, un’affiliata dell’Università di Tel Aviv – come “merce di scambio” per costringere a concessioni durante i negoziati o in potenziali accordi di scambio di prigionieri.[14]

Sulla questione dell’espansione coloniale, la Corte Suprema è un facilitatore dell’espropriazione palestinese. Masafer Yatta è diventato l’ultimo obiettivo di alto profilo dell’occupazione israeliana nell’Area C della Cisgiordania. Un totale di 1.200 palestinesi sarà espulso con la forza dal sud di Hebron, un’area che i coloni israeliani hanno a lungo cercato di colonizzare. Nel maggio 2022, la Corte ha respinto i ricorsi contro gli ordini di sfratto pendenti sulla comunità di Masafer Yatta e ha sostanzialmente accettato l’argomentazione dello Stato israeliano secondo cui la terra è un sito di addestramento militare chiuso su cui gli abitanti palestinesi indigeni non hanno il diritto di vivere.[15]

In effetti, la Corte Suprema riconosce la definizione dello Stato come “ebraico e democratico” e afferma inoltre che questa definizione implica il mantenimento di una maggioranza ebraica in Israele.[16] Un effetto voluto di ciò è precludere la possibilità di qualsiasi ritorno di profughi palestinesi che reclamano le proprie case e terre all’interno dei confini dello Stato israeliano. La definizione includeva anche i palestinesi del ’48 (noti come cittadini palestinesi di Israele), portando a decenni di discriminazione. Storicamente, lo Stato israeliano li ha designati come cittadini di seconda classe, ma spesso sono soggetti alle stesse pratiche coloniali e alla stessa repressione militare diretta contro altri collegi elettorali con diritti nominalmente inferiori sanciti dalla legge.

Estendere la cittadinanza ai palestinesi che rimasero e non furono espulsi nel 1948 fu un compromesso necessario per ricevere un riconoscimento liberale e internazionale per la sovranità del nuovo Stato coloniale di Israele.[17] La cittadinanza, tuttavia, non ha mai voluto dire piena uguaglianza in uno Stato fondato su gerarchie razziali, per cui gli ebrei detengono uno status di supremazia sugli arabi palestinesi. Nel 2021, la Corte Suprema ha riaffermato la legalità di attribuire caratteristiche razziali ai palestinesi da parte di Israele sostenendo la costituzionalità della Legge sullo Stato-Nazione del 2018. Secondo Adalah (il Centro legale per i diritti delle minoranze arabe in Israele) la legge sancisce la “supremazia ebraica sui cittadini palestinesi” e “ha caratteristiche specifiche di apartheid e rivendica atti razzisti come valore costituzionale”. [18] Per la studiosa Lana Tatour, la legge Stato-Nazione semplicemente “conferma la realtà” vissuta dai palestinesi: decenni di occupazione, apartheid e colonizzazione.[19]

Nel 2022, la Corte Suprema ha inoltre convalidato un emendamento del 2008 alla legge sulla cittadinanza del 1952 che consente la privazione della cittadinanza ai palestinesi del ’48 accusati di “violazione della lealtà” – concetto di ampio significato tramite il quale i palestinesi accusati di “terrorismo” rischiano l’espulsione. [20] Nel 2021, con un pretesto simile, al palestinese di Gerusalemme Salah Hammouri è stato revocato il diritto di residenza.[21] Con un emendamento alla legge sull’ingresso in Israele approvato nel 2018, il ministero dell’Interno ha revocato la sua carta d’identità di Gerusalemme e lo status di residenza permanente.[22] Hammouri è stato inizialmente tenuto in detenzione amministrativa e accusato di “terrorismo” per il suo lavoro sui diritti umani con l’ONG palestinese Addameer, un centro di assistenza ai prigionieri che è stato criminalizzato come “organizzazione terroristica” insieme ad altri cinque gruppi per i diritti dei palestinesi. Dopo che la Corte Suprema israeliana ha respinto un ricorso contro la decisione di revocare i suoi diritti di residenza per presunta “violazione della lealtà”, Hammouri è stato espulso dalla sua patria.[23]

Il limitato potenziale di emancipazione della difesa della Corte Suprema

Nonostante il ricco dossier di sanzioni contro la violenza di Stato inflitta ai palestinesi, la Corte Suprema è diventata un’istituzione molto popolare. Consentendo alle petizioni dei politici e della società civile di contestare la legalità della politica del governo, è diventato un sito chiave per la contestazione politica e il dibattito pubblico. È anche vista prevalentemente come una Corte “attivista” – sia in una connotazione positiva che negativa.[24] Spesso è il campo della destra religiosa sionista a criticare la Corte per aver ostacolato il loro progetto di insediamento espansionista. Parte dell’etichetta di “attivista” è venuta da alcune revisioni giudiziarie che occasionalmente si pronunciano a favore dei firmatari che cercano di proteggere i palestinesi. In un esempio recente, nell’aprile 2023, la Corte si è pronunciata contro un tentativo da parte di coloni israeliani di espellere una famiglia palestinese dalla propria casa nella zona di Silwan a Gerusalemme est.[25]

Tuttavia, la Corte Suprema declina di affrontare le questioni strutturali dell’ingiustizia. La questione della legalità delle colonie, dei posti di blocco e del muro di separazione sono tutte questioni generali che la Corte si rifiuta di prendere in considerazione. Invece, consente di esaminare solo un elemento singolo: una singola colonia o checkpoint o un percorso parziale del muro.[26] Oscura così il contesto storico e politico in cui si collocano queste questioni. Attraverso questo tipo di mosse legali e digressive, la Corte Suprema – come sottolinea lo studioso di diritto Nimer Sultany – legittima in pratica l’occupazione coloniale di Israele. Può intervenire per respingere i peggiori eccessi violenti di Israele, ma nel complesso lascia indenne il progetto coloniale. Sultany conclude che non c’è “alcun motivo per cui i colonizzati abbiano fiducia nelle istituzioni dello Stato di diritto coloniale”.[27]

Alcune organizzazioni palestinesi intravedono ancora un valore nella “resistenza legale” facendo uso del sistema giudiziario israeliano, sebbene siano consapevoli che è improbabile che i tribunali dei loro oppressori conducano a una vera misura di giustizia o liberazione. L’avvocato palestinese Hassan Jabareen, uno dei fondatori di Adalah, ha sostenuto che la petizione alla Corte Suprema non fornisce quasi mai un rimedio legale interno per le vittime palestinesi. Dove la petizione può avere successo è mobilitare strumenti che trascendono la funzione dei tribunali nazionali. Attingendo ai casi presentati durante l’Intifada di Al-Aqsa (2000-2005), suggerisce che le petizioni hanno avuto due principali effetti positivi: creare una documentazione storica degli eventi che funziona contro i tentativi di sopprimere la copertura delle operazioni dell’esercito israeliano; e per raccogliere sostegno internazionale, ad es. alle Nazioni Unite o nei tribunali internazionali, ancorando le petizioni ai principi del diritto internazionale.[28]

Eppure, i sostenitori della Corte Suprema usano il suo lavoro come prova di una forma legale e disciplinata di dominio israeliano. Per difendere la sua condotta contro i palestinesi nei TO, il regime israeliano fa riferimento abitualmente alle decisioni della Corte come prova della “protezione dei diritti della popolazione locale”.[29] Inoltre, i critici delle riforme giudiziarie del Piano Levin temono che minare l’autorità della Corte esporrebbe i soldati israeliani alla giurisdizione della Corte Penale Internazionale (CPI). Il professore di diritto americano e apologeta filoisraeliano Alan Dershowitz ha recentemente definito la Corte Suprema un ” Iron Dome legale” – in analogia al sistema di difesa aerea che intercetta i razzi lanciati sulla Palestina del 1948 dai gruppi di resistenza della Striscia di Gaza. Per Dershowitz, la Corte che esamina le azioni dei soldati israeliani può fungere da deterrente contro le indagini in corso della CPI sui crimini di guerra.[30] Secondo il principio di “complementarità” della Corte penale internazionale, un caso è inammissibile se è attualmente oggetto di indagine da parte di uno Stato avente giurisdizione su di esso.

La legittimazione da parte della Corte Suprema delle pratiche israeliane di colonizzazione e repressione militare, unita al suo limitato potenziale di emancipazione, invitano alla cautela riguardo all’uso di mezzi legali come principale strumento di resistenza. Inoltre, impegnarsi con un sistema legale così ingiusto che rende poca o nessuna giustizia ai palestinesi può avere l’involontaria conseguenza di rafforzare la sua legittimità. In definitiva, i palestinesi continuano ad attingere dall’intero repertorio della lotta anticoloniale adottata anche da altri movimenti di liberazione di successo contro il dominio coloniale. Insieme alla resistenza legale nei tribunali nazionali e internazionali, ciò include anche varie tattiche come scioperi, manifestazioni, lotta armata e campagne globali come il movimento per il boicottaggio, il disinvestimento e le sanzioni.

Se si considera che i palestinesi del ’48 sono in gran parte assenti dalle proteste antigovernative, la storia di un autoritarismo ribelle che fa scoppiare la bolla della democrazia liberale cade rapidamente a pezzi. I palestinesi del ’48 si sono schierati in piena forza durante la rivolta popolare del 2021 nota come “Unity Intifada”, in cui tutti i gruppi palestinesi frammentati, all’interno della Palestina storica e in diaspora, hanno preso parte alla resistenza anticoloniale contro il regime israeliano. [31] Non sorprende che abbiano delle riserve sull’unirsi agli sforzi per salvare l’attuale Corte Suprema.

In particolare, non è emersa alcuna mobilitazione su larga scala da parte del blocco “pro-democrazia” per protestare contro i recenti attacchi israeliani a Gaza che hanno ucciso oltre 30 palestinesi. Nel momento in cui la violenza di Stato contro i palestinesi si intensifica, i manifestanti israeliani tornano all’ovile con lo stesso regime coloniale che fino ad ora hanno definito autoritario e inaccettabile. [32]

Per concludere, spesso si trascura il fatto che gli artefici della pulizia etnica della Palestina del 1948 volevano anche uno Stato democratico liberale. Consideravano il governo di una minoranza di coloni una forma illegittima nell’ordine internazionale dell’epoca; questo è uno dei motivi per cui ricorsero all’espulsione di massa dei palestinesi in modo da poter costruire uno Stato-nazione a maggioranza ebraica con caratteristiche liberali e democratiche. Allo Stato attuale, i manifestanti israeliani non stanno compiendo una rottura significativa con quella storia, ma stanno promuovendo un retaggio della cancellazione palestinese. Mentre l’esito di questa lotta tra i poli liberali e della destra religiosa della società dei coloni israeliani dovrà attendere almeno fino alla sessione estiva della Knesset, preservare la Corte Suprema significherebbe garantire la sua posizione nel legiferare sulla colonizzazione della Palestina.

Traduzione di Angelo Stefanini

[1] For a detailed breakdown of the Levin Plan, see Sawsan Zaher, “The Impact of Israel’s Judicial Reforms on Palestinians – A Legal Perspective”, Rosa Luxemburg Stiftung, 29 March 2023.

[2] Henriette Chacar, “Israel’s attorney general accuses Netanyahu of breaking the law”, Reuters, 24 March 2023; BBC News, “Benjamin Netanyahu asks for immunity from prosecution”, 1 January 2020.

[3] Haaretz, “Netanyahu’s Government, the Most Right-wing in Israel’s History, Takes Office”, 2022.

[4] See, for example, Omar Jabary Salamanca et al., “Past is Present: Settler Colonialism in Palestine”, Settler Colonial Studies, 2(1), 1–8, 2012; and Areej Sabbagh-Khoury, “Tracing Settler Colonialism: A Genealogy of a Paradigm in the Sociology of Knowledge Production in Israel,” Politics & Society, 50(1), 44–83, 2022.

[5] Ilan Pappé, “Fantasies of Israel”, New Left Review, 19 April 2023.

[6] Ibid.

[7] The permanence of a High Court is a legacy of the British Mandatory period (1922-1948).

[8] Jasbir Puar and Ghassan Abu-Sitta, “Israel is trying to maim Gaza Palestinians into silence”, Al Jazeera English, 31 March 2019.

[9] “Two Years On: People Injured and Traumatized During the ‘Great March of Return’ are Still Struggling”, United Nations Office for the Coordination of Humanitarian Affairs (OCHA), 6 April 2020.

[10] Mazen Masri, “Love Suspended: Demography, Comparative Law and Palestinian Couples in the Israeli Supreme Court”, Social & Legal Studies, 22(3) 309–334, 2013.

[11] Ardi Imseis, “Moderate Torture on Trial: Critical Reflections on the Israeli Supreme Court Judgement concerning the Legality of General Security Service Interrogation Methods”, 19 Berkeley J. Int’l Law. 328, 2001; “UN expert alarmed at Israeli Supreme Court’s ‘license to torture’ ruling”, OCHA, 20 February 2018.

[12] Mohammed El-Kurd, “Israeli Protesters Say They’re Defending Freedom. Palestinians Know Better.”, The Nation, 30 March 2023.

[13] “Israeli High Court of Justice Upholds Israel’s Policy of Withholding the Bodies of Palestinians Killed”, Al-Haq, 9 September 2019.

[14] Noura Erakat and Rabea Eghbariah, “The Jurisprudence of Death: Palestinian Corpses & the Israeli Legal Process”, Jadaliyya, 8 February 2023.

[15] Ibid.

[16] Mazen Masri, The Dynamics of Exclusionary Constitutionalism: Israel as a Jewish and Democratic State, Bloomsbury Professional, 3, 2017.

[17] Shira Robinson, Citizen Strangers: Palestinians and the Birth of Israel’s Liberal Settler State, Stanford University Press, 2013.

[18] “Israel’s Jewish Nation-State Law”, Adalah, 20 December 2020.

[19] Lana Tatour, “The Nation-State Law: Negotiating Liberal Settler Colonialism”, Critical Times, 4 (3): 578, 2021.

[20] “Q&A: Israeli Supreme Court allows government to strip citizenship for ‘breach of loyalty’”, Adalah, 14 September 2022.

[21] When East Jerusalem was occupied and annexed in 1967, Israel granted Palestinians a unique status of permanent residency in the city but not citizenship.

[22]“Punitive Residency Revocation: the Most Recent Tool of Forcible Transfer”, Al-Haq, 7 March 2018.

[23] Chloé Benoist, “Salah Hammouri: A Case Study of the Occupation and Western Complacency”, Institute for Palestine Studies, 7 February 2023.

[24] Nimer Sultany, “The “Passive Virtues” of Israel’s “Activist” Supreme Court”, The Nakba Files, 17 November 2016.

[25] “Palestinian family in Jerusalem’s Silwan win Israeli Supreme Court battle to save home”, The New Arab, 4 April 2023.

[26] Nimer Sultany, “Activism and Legitimation in Israel’s Jurisprudence of Occupation”, Social & Legal Studies, Vol. 23(3), 325, 2014.

[27] Ibid, 333.

[28] Hassan Jabareen, “Transnational Lawyering and Legal Resistance in National Courts: Palestinian Cases before the Israeli Supreme Court,” Yale Human Rights & Development Law Journal, 13, no. 1, 240, 2010.

[29] David Kretzmer and Yaël Ronen, The Occupation of Justice: The Supreme Court of Israel and the Occupied Territories, Oxford University Press, 2, 2021.

[30] Michael Starr, “Dershowitz: High Court an ‘Iron Dome’ that protects IDF soldiers from ICC”, The Jerusalem Post, 12 January 2023.

[31] Lana Tatour, “The ‘Unity Intifada’ and ’48 Palestinians: Between the Liberal and the Decolonial”, Journal of Palestine Studies, 50:4, 84-89, 2021.

[32] “Israel kills 30 Palestinians in Gaza as violence escalates”, Al Jazeera English, 11 May 2023.