I laureati si arrabattano per avere uno stipendio migliore

Jaclynn Ashly e Alaa Daraghmeh

9 gennaio 2020 – The Electronic Intifada

Neppure avere una laurea ha aiutato Fathi Taradi.

Taradi, 34 anni, ha cercato per un decennio di trovare lavoro come giornalista nella Cisgiordania occupata. Alla fine ha dovuto accontentarsi di un lavoro nell’edilizia a Gerusalemme. “I primi giorni di lavoro in Israele avevo il cuore a pezzi perché avevo rinunciato a tutti i miei sogni di diventare giornalista,” dice Taradi a The Electronic Intifada nella sua casa di Taffuh, a ovest di Hebron.

Taradi è uno dei molti laureati palestinesi obbligati a cercare un lavoro umile in Israele o nelle colonie della Cisgiordania e a Gerusalemme est dopo aver perso la speranza di trovare un lavoro nel proprio campo [di studi].

Ha passato molti anni nel tentativo di lavorare sottopagato in stazioni radio locali della Cisgiordania, finché, cinque anni fa, ha ricevuto un permesso di lavoro israeliano.

Non avrei mai pensato di lavorare in Israele,” dice. “Ho molte competenze. Pensavo che a questo punto sarei diventato un cameraman di successo.”

All’inizio Taradi ha dovuto alzarsi ogni giorno alle 3 del mattino per viaggiare fino al checkpoint 300, a nord di Betlemme, rimanendo a volte in piedi per ore con centinaia di altri palestinesi imprigionato tra pareti di cemento e sbarre di ferro in attesa che i soldati israeliani aprissero i tornelli e controllassero i permessi rilasciati da Israele che consentono loro di entrare a Gerusalemme. Vedeva raramente i suoi quattro figli.

All’inizio di quest’anno Israele ha “migliorato” il checkpoint 300, insieme a quello di Qalandiya, nei pressi di Ramallah, creando più corsie e installando porte automatiche a cui i palestinesi avvicinano i permessi di ingresso biometrici per passare.

Questo miglioramento ha consentito di attraversare il posto di controllo militare più rapidamente e con maggiore efficienza, riducendo a qualche minuto quello che portava via ore. Ma non ha fatto niente per modificare i fondamenti di un’occupazione militare che obbliga palestinesi con titoli di studio come Taradi a lottare per trovare delle opportunità di lavoro.

Non ho mai perso la mia passione per i media,” dice Taradi. “Se avessi una possibilità di tornare nei media lo farei. Amavo il mio lavoro di giornalista.”

É stato inutile”

Per Sabri Saidam, ministro dell’Istruzione dell’Autorità Nazionale Palestinese, l’economia palestinese non è in grado di assorbire i laureati perché Israele non consente “un serio sviluppo ed investimenti in Palestina.” La pluridecennale occupazione ha soffocato l’economia locale, dice al telefono Saidam a The Electronic Intifada.

Lo fa in molti modi, e l’annientamento dell’economia palestinese in conseguenza dell’occupazione israeliana è ben documentato.

Ovviamente l’occupazione israeliana e la sua colonizzazione della Cisgiordania hanno confiscato vaste aree di terreno, compreso più del 60% della Cisgiordania, nota come Area C, in cui lo sviluppo palestinese è in larga parte vietato ma le colonie israeliane si espandono in modo quasi incontrollato.

I circa 600.000 coloni israeliani in Cisgiordania usano sei volte più acqua dei 2,86 milioni di palestinesi che vi vivono. Secondo il gruppo di ricerca palestinese Al-Shabaka, i costi indiretti delle restrizioni israeliane all’accesso dei palestinesi all’acqua nella Valle del Giordano, che impediscono ai palestinesi di coltivare in modo corretto la propria terra, sono stati di 663 milioni di dollari, l’equivalente dell’8,2% del PIL palestinese nel 2010.

Nel contempo per molti gli stipendi in Cisgiordania sono troppo bassi per poter sopravvivere. Secondo il ministero dell’Istruzione, in Cisgiordania il salario minimo è di 420 dollari al mese. Ma nel settore privato molti ricevono ancora meno.

Anche se Taradi potesse ottenere un lavoro a tempo pieno in una stazione televisiva locale in Cisgiordania, spesso questa potrebbe offrirgli solo circa 650 dollari al mese, mentre il suo lavoro nell’edilizia a Gerusalemme gliene frutta circa 2.000.

Essere diventato un lavoratore nell’edilizia ha consentito a Taradi di sposarsi e di costruire una casa con tre camere da letto per la sua famiglia – una cosa che sarebbe stata difficile fare con uno stipendio in Cisgiordania. “Mi sento come se avessi perso tempo a studiare. Tutto è stato inutile,” afferma.

L’esperienza di Taradi è condivisa da molti palestinesi che pensano di aver ricavato poco dagli titoli universitari. Alcuni hanno ottenuto lauree all’estero solo per tornare in Cisgiordania e non riuscire a trovare un lavoro.

Suhair, la moglie di Taradi, è rimasta disoccupata per otto anni. La trentunenne ha ottenuto la sua laurea in chimica all’università di Hebron nel 2010 ed ha tentato di trovare un lavoro presso il ministero dell’Istruzione dell’ANP.

Non attribuisce il fatto di essere disoccupata solo alla mancanza di opportunità in Cisgiordania, ma anche alla mancanza di wasta – una parola araba che fa riferimento al nepotismo o ai rapporti clientelari che agevolano il cammino alle persone per garantirsi un lavoro o altre possibilità.

Amir, un abitante di Betlemme che parla a patto di rimanere anonimo, ha ottenuto la sua laurea in educazione sportiva all’università Al-Quds nel 2008. Dopo anni di difficoltà con uno stipendio basso in Cisgiordania, questo padre di quattro figli ha riconosciuto la sua sconfitta ed ha cercato lavoro nell’edilizia in Israele.

Anche Amir, 32 anni, ogni giorno attraversa il checkpoint 300.

É veramente penoso immaginare di passare anni della propria vita (per avere una formazione), solo per rimanere fermo a un checkpoint ogni mattina per andare al lavoro,” dice a The Electronic Intifada. “Ma queste sono le condizioni della nostra vita qui,” afferma. “Dobbiamo lavorare per dar da mangiare ai nostri figli.” Secondo l’Ufficio Centrale di Statistica Palestinese, nel 2018 127.000 palestinesi hanno lavorato in Israele e nelle colonie – 5.000 in più rispetto al 2017.

Più di metà –il 58% – dei palestinesi tra i 18 e i 29 anni che hanno ottenuto un “diploma di scuola secondaria e oltre” nel 2018 era disoccupato, rispetto al 41% di un decennio prima.

Secondo il ministero dell’Istruzione dell’ANP questi numeri sono ancora maggiori tra le donne laureate, il 73% delle quali era disoccupata, nonostante l’aumento del numero di donne laureate nell’ultimo decennio,

In seguito alla firma degli accordi di Oslo nel 1993 il numero di laureati palestinesi è costantemente aumentato. Le statistiche del ministero dell’Istruzione mostrano che nel 2017-18 circa il 94% dei maschi e il 71% delle femmine tra i 20 e i 24 anni si è iscritto [all’università] o ha ottenuto almeno un diploma. Un diploma significa una qualifica ottenuta dopo una scuola superiore ma non a livello universitario.

Nonostante questo incremento nel numero di laureati palestinesi, l’economia palestinese continua ad essere ostacolata dall’occupazione israeliana, lasciando i laureati senza opportunità di lavoro nel proprio campo. La mancanza di possibilità, insieme ai bassi salari in Cisgiordania, incentiva molti laureati palestinesi a cercare lavoro all’estero o in Israele e nelle sue colonie, una fuga di cervelli che secondo il ministro Saidam priva l’economia palestinese dei suoi cittadini più qualificati.

Vogliono che odiamo noi stessi”

Bahaa Salah, 30 anni, ha ottenuto la propria laurea in Giordania ed ha continuato gli studi in Malaysia, conseguendo un master in comunicazioni e pubbliche relazioni. Quando nel 2013 è tornato nella città natale di al-Eizariya, fuori da Gerusalemme, non ha trovato lavoro nel suo campo. Invece ha lavorato come commesso da Sbitany – un negozio di elettronica in Cisgiordania – e poi in una fabbrica di alluminio.

Poi Salah ha passato senza successo oltre un mese a Dubai alla ricerca di un lavoro, prima di trovare una possibilità di impiego come contabile in una fabbrica di spezie in Cisgiordania. Tuttavia lo stipendio, che afferma essere stato di 555 dollari al mese, era troppo basso per avere una vita decente.

Salah ha deciso di cercare lavoro nella zona industriale di Mishor Adumim, che fa parte di Maaleh Adumim, una grande colonia israeliana, dove lavorava già suo cugino. Nel 2014 ha trovato un impiego come addetto alle pulizie in un supermercato.

Quando Salah confronta la sua vita in Malaysia a quella in Cisgiordania, la sua reazione è viscerale: “Immagina di sperimentare la libertà per anni, e poi torni in patria e improvvisamente sei chiuso in gabbia,” afferma.

Le cose per Salah sono ulteriormente peggiorate a partire dall’ondata di violenze del 2015, nota anche come l’Intifada dei lupi solitari o dei coltelli. Prima, dice Salah, nella colonia le guardie di sicurezza israeliane “non erano così violente o cattive.”

Eravamo soliti attraversare il posto di controllo fuori da Mishor Adumim in macchina. Nessuno ci avrebbe fermati. Se hai un permesso di lavoro israeliano devi solo mostrarlo ed entrare in auto,” dice. Ora invece i palestinesi devono ottenere un permesso speciale per far entrare i loro veicoli nella colonia, sostiene.

Tutti devono scendere dall’auto, mettersi in fila e le guardie di sicurezza perquisiscono ogni persona, una alla volta,” dice Salah.

Penso che scelgano le persone più razziste per lavorare in (questo) posto di controllo,” sostiene. “Ti trattano in modo molto violento. Quindi immagina se qualcuno è di malumore ed è già razzista. Ovviamente non ti tratterà bene.”

Salah è diventato sempre più insicuro sul posto di lavoro quando ha notato un numero crescente di clienti israeliani con fucili a tracolla. Parecchi palestinesi sono stati uccisi da israeliani armati dopo veri o presunti attacchi in cui sarebbero rimasti coinvolti. Raramente questi israeliani hanno dovuto subire conseguenze legali.

Ero solito portarmi un cacciavite sul lavoro, ma ho iniziato a temere persino di prenderlo in mano perché loro (gli israeliani) erano spaventati. Quando ti guardavano, era come se stessero vedendo un fantasma o qualcosa del genere,” dice Salah.

Benché il suo permesso gli consenta di entrare sia nelle aree industriali che nella zona residenziale di Maaleh Adumim, le poche volte che il padrone lo manda alla colonia a prendere prodotti per il supermercato Salah si sente confuso e spaventato, perché le due zone hanno norme diverse per i palestinesi.

Secondo Salah ai palestinesi è consentito camminare nelle strade di Mishor Adumim, ma non a Maaleh Adumim. Possono solo entrare come passeggeri di un’auto israeliana.

Ciò significa che se la polizia mi trova a camminare, possono togliermi il permesso e mettermi in carcere – o almeno sulla lista nera e non potrò più ottenere un permesso,” afferma. “Vogliono che tu odi te stesso per il fatto di essere palestinese,” continua Salaha. “Devi attraversare questa linea, non quella. Devi camminare su questa strada, non su quell’altra. Ti fa sentire come uno straniero. Ti fa pensare: ‘Cosa c’è di sbagliato in me?’ Mi fa star male.”

Quindi perché lo sopporta? “Per i soldi.”

Salah dice che nella colonia a volte guadagna più del doppio di quello che potrebbe ottenere nell’economia palestinese. “Lavoro meno ore, meno giorni e sono pagato meglio,” afferma. Nonostante la mancanza di opportunità, tuttavia, Salah rifiuta di credere che i suoi studi siano stati una perdita di tempo.

Per me l’istruzione non riguarda solo avere un lavoro. È lo sviluppo di me stesso e il fatto di imparare di più,” dice. “Sono pur sempre un essere umano, per cui non posso fare a meno di confrontare la mia situazione con quella degli altri.” Per esempio, afferma, è più qualificato a gestire il negozio in cui lavora del suo padrone israeliano, ma sa che, in quanto palestinese con un documento d’identità della Cisgiordania, non potrà mai avere quella posizione.

Persino alcuni israeliani con cui lavoro che sentono la mia storia e sanno del mio livello di studi mi dicono: ‘Se solo tu avessi una carta d’identità diversa la tua vita qui sarebbe veramente buona.’ Ma questo è il mio destino,” sostiene Salah. “Non posso fare niente per cambiarlo.”

Jaclynn Ashly è una giornalista freelance che si occupa di problemi politici e di diritti umani nei territori palestinesi occupati e in Israele.

Alaa Daraghmeh è un giornalista che risiede in Cisgiordania.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 24 dicembre 2019 – 6 gennaio 2020

A Gaza, il 27 dicembre si è tenuta l’ultima dimostrazione (del 2019) della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR), registrando il minor numero di partecipanti e di feriti da quando, il 30 marzo 2018, la GMR è iniziata.

Secondo il Ministero della Salute palestinese a Gaza, sono rimasti feriti 50 palestinesi, tra cui 26 minori; 39 dei feriti sono stati ricoverati in ospedale. Fonti israeliane hanno riferito che, in alcune occasioni, manifestanti si sono avvicinati alla recinzione ed hanno lanciato ordigni esplosivi e bottiglie incendiarie contro le forze israeliane, senza provocare feriti. Nel corso del 2019, durante le proteste collegate alla GMR, le forze israeliane hanno ucciso 33 palestinesi, ferendone 11.523. Il totale di morti, dall’inizio delle manifestazioni, ammonta a 212, mentre i feriti sono stati 36.134.

Il 26 dicembre, il Comitato organizzatore della GMR ha annunciato che le manifestazioni settimanali si concluderanno il 30 marzo 2020, in corrispondenza del secondo anniversario delle proteste; dopo tale data proseguiranno con cadenza circa mensile e in ricorrenze particolari.

Un razzo, lanciato da Gaza verso Israele, e attacchi aerei israeliani su Gaza non hanno provocato vittime, né palestinesi né israeliane. Secondo fonti israeliane, il razzo, lanciato da Gaza il 25 dicembre, è stato intercettato in aria. A seguito di questo episodio, Israele ha effettuato una serie di attacchi aerei contro strutture militari a Gaza, secondo quanto riferito, appartenenti ad Hamas.

In almeno 15 occasioni, forze israeliane hanno aperto il fuoco in aree prossime [interne] alla recinzione perimetrale di Gaza e al largo della costa di Gaza; non sono stati segnalati feriti. Gli israeliani hanno effettuato cinque incursioni [nella Striscia] e operazioni di spianatura del terreno vicino alla recinzione perimetrale, nelle aree di Beit Hanoun, Beit Lahiya, Khan Younis e Rafah.

In Cisgiordania, durante numerosi scontri, sono stati feriti da forze israeliane 24 palestinesi, tra cui almeno due minori [segue dettaglio]. Di questi feriti, 13 si sono avuti nella città di Nablus e nel villaggio di Halhul (Hebron), durante scontri innescati dall’ingresso di gruppi di israeliani in visita a siti religiosi, accompagnati da soldati. Altri tre palestinesi sono rimasti feriti nel villaggio di Al Mughayyir (Ramallah), durante una protesta contro la violenza dei coloni e l’espansione degli insediamenti. Sei degli altri feriti sono stati registrati durante scontri verificatisi nella Città Vecchia di Gerusalemme, nel villaggio di Beit Ummar (Hebron) e vicino al checkpoint di Beit El / DCO (Ramallah). Nel 2019, durante proteste e scontri in Cisgiordania, le forze israeliane hanno ucciso 15 palestinesi e ne hanno feriti 3.162 (104 colpiti con armi da fuoco).

Le forze israeliane hanno sparato e ferito, e successivamente arrestato, un ragazzo palestinese di 17 anni; a quanto riferito, aveva brandito un coltello quando i soldati gli si erano avvicinati. Non sono stati riportati ferimenti di israeliani. L’episodio è avvenuto il 2 gennaio, vicino all’area dell’insediamento colonico di Gush Etzion (Betlemme).

In tutta la Cisgiordania, le forze israeliane hanno effettuato 117 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 140 palestinesi, tra cui dieci minori. La maggior parte delle operazioni è avvenuta nel governatorato di Hebron (35 operazioni), seguita dai governatorati di Gerusalemme (29) e Ramallah (14).

Il 28 dicembre, l’esercito israeliano ha interdetto ai veicoli, per cinque giorni, l’ingresso principale al Campo profughi di Al Fawwar (Hebron). La chiusura è conseguita a scontri con residenti, verificatisi nelle vicinanze del Campo. Di conseguenza, per circa 20.000 residenti del Campo e dei villaggi vicini è stato reso problematico l’accesso ai servizi e ai mezzi di sussistenza.

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato otto strutture, sfollando 26 persone e creando ripercussioni su altre 29. Cinque di queste strutture, di cui tre precedentemente fornite come assistenza umanitaria, sono state demolite o sequestrate in due Comunità di pastori situate in aree chiuse dalle autorità israeliane e destinate all’addestramento militare e ad “esercitazioni a fuoco”. Le altre tre strutture erano situate a Gerusalemme Est. Nel 2019, in Cisgiordania, sono state demolite o sequestrate 621 strutture palestinesi, la maggior parte per mancanza di permessi [edilizi israeliani], sfollando 914 palestinesi. Rispetto al 2018, questi numeri rappresentano rispettivamente un aumento del 35% (delle demolizioni o sequestri) e del 95% (delle persone sfollate).

Il 2 gennaio, nell’area di Massafer Yatta, nel sud di Hebron, le autorità israeliane hanno sequestrato un veicolo 4×4 utilizzato per il trasporto di personale medico e di attrezzature (presidio sanitario mobile). L’equipaggio del veicolo è stato trattenuto per alcune ore. Senza questo presidio mobile, i residenti sono costretti a percorrere lunghe distanze per accedere ai servizi di assistenza sanitaria di base. I motivi del sequestro del veicolo, fornito dal Ministero della Salute palestinese, rimangono poco chiari. Massafer Yatta è designata [da Israele] “zona per esercitazioni a fuoco” ed i suoi 1.300 residenti rischiano il trasferimento forzato.

Il 1° gennaio, nel villaggio di Al Jaba (Betlemme), le autorità israeliane hanno sradicato 147 ulivi, colpendo mezzi di sostentamento di otto famiglie palestinesi. Secondo le autorità israeliane, gli alberi, che avevano 25-30 anni, si trovavano in un’area designata [da Israele] “terra di stato”. Una delle famiglie colpite ha riferito che è ancora pendente una “opposizione allo sradicamento” presentata all’Amministrazione civile israeliana.

Il 5 gennaio, nella zona H2 della città di Hebron, controllata da Israele, coloni israeliani hanno fatto irruzione in una casa palestinese, dove hanno aggredito fisicamente e ferito un ragazzo palestinese di 17 anni. La casa (un appartamento) si trova in un edificio che è stato rilevato da coloni nel 2017. L’unica famiglia palestinese rimasta nell’edificio ha riferito di continue molestie.

Secondo fonti israeliane, su strade della Cisgiordania, una ragazza e un uomo israeliani sono rimasti feriti e almeno otto veicoli israeliani sono stati danneggiati da pietre e, in un caso, da una bottiglia incendiaria, lanciati da palestinesi. Secondo quanto riferito, l’episodio che ha provocato i due ferimenti, è avvenuto il 6 gennaio vicino al villaggio di Azzun (Qalqiliya).

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali. Il neretto è di OCHAoPt.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 10 – 23 dicembre 2019

Durante le manifestazioni della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR), tenute nei pressi della recinzione perimetrale che separa la Striscia di Gaza da Israele, 129 palestinesi, tra cui 44 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane.

Secondo il Ministero palestinese della Salute di Gaza, 60 persone sono state ricoverate in ospedale per ferite, mentre le rimanenti sono state curate sul campo. Fonti israeliane hanno riferito che, in diverse occasioni, i manifestanti si sono avvicinati alla recinzione ed hanno lanciato ordigni esplosivi, senza provocare feriti israeliani. Le proteste del 13 e del 20 dicembre hanno fatto registrare il più basso numero di ferimenti dal marzo 2018, data di inizio della GMR.

In alcune occasioni, fazioni armate di Gaza hanno lanciato missili contro Israele che, a sua volta, ha effettuato attacchi aerei su Gaza, prendendo di mira, a quanto riferito, strutture militari. Nessuno degli attacchi ha provocato vittime. A Gaza, circa 10 edifici residenziali, prossimi agli obiettivi citati sopra, hanno subito lievi danni.

Il 19 dicembre, secondo quanto riferito in risposta al lancio di un razzo, Israele ha ridotto da 15 a 10 miglia nautiche (NM) la zona di pesca consentita [ai palestinesi] al largo della costa meridionale di Gaza; il limite di 15 miglia è stato poi ripristinato il 23 dicembre. Sulla costa settentrionale rimangono immutate le restrizioni di pesca imposte da Israele; qui la distanza massima consentita dalla costa è di sei miglia nautiche. Durante il periodo in esame, al largo della costa di Gaza le forze israeliane hanno aperto il fuoco verso pescatori palestinesi in almeno sette occasioni; non risultano feriti, ma una barca è stata affondata.

L’esercito israeliano ha riferito che a Gaza, il 17 dicembre, ad est di Khan Younis, un palestinese 18enne armato è stato colpito e ucciso dalle forze israeliane mentre si stava avvicinando alla recinzione. Il giovane non è stato riconosciuto da alcuna fazione armata e il suo corpo è stato trattenuto dalle autorità israeliane. In un altro caso, le forze israeliane hanno sparato e ferito, e successivamente arrestato, un palestinese che era entrato in Israele attraverso la recinzione; secondo quanto riferito era in possesso di un coltello.

In almeno altre 15 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco [di avvertimento] allo scopo di far rispettare le restrizioni di accesso [imposte da Israele ai palestinesi] sulle aree [di Gaza] adiacenti alla recinzione perimetrale; non sono stati segnalati feriti. Le forze israeliane hanno effettuato una incursione [nella Striscia] ed hanno svolto una operazione di spianatura del terreno vicino alla recinzione. In due episodi separati, vicino alla recinzione perimetrale tra Gaza e Israele, sono stati arrestati quattro palestinesi, tra cui tre minori.

Il 22 dicembre, le autorità israeliane hanno annunciato che, in occasione delle festività natalizie, avrebbero agevolato l’accesso dei residenti cristiani di Gaza e della Cisgiordania ai luoghi sacri di Gerusalemme Est e Betlemme. Secondo lo stesso annuncio, i permessi per uscire da Gaza ed entrare in Gerusalemme Est (destinati ai titolari di documento di identità della Cisgiordania) consentiranno agli interessati di dover sostenere unicamente il controllo di sicurezza individuale, indipendentemente dalla loro età. Secondo la consueta politica israeliana nei confronti di Gaza, avrebbero invece ottenuto permessi di uscita solo palestinesi appartenenti a determinate categorie ben definite, fermo restando il controllo di sicurezza individuale.

In Cisgiordania, in diverse circostanze, sono stati feriti dalle forze israeliane 14 palestinesi, tra cui almeno tre minori [segue dettaglio]. Nella zona di Tulkarm, in tre diverse occasioni, le forze israeliane hanno sparato con armi da fuoco ed hanno ferito sei palestinesi; ne hanno aggredito fisicamente altri due che, a quanto riferito, per motivi di lavoro avevano tentato di entrare in Israele valicando la Barriera, senza permesso e attraverso aperture non autorizzate. Altri quattro ferimenti sono stati segnalati durante scontri avvenuti nel corso di operazioni di ricerca-arresto. Un altro palestinese di 16 anni è stato colpito e ferito con arma da fuoco sulla strada 60, vicino a Betlemme; a quanto riferito, stava per lanciare una bottiglia incendiaria contro veicoli israeliani; il ragazzo è stato successivamente arrestato.

In Cisgiordania, le forze israeliane hanno effettuato un totale di 154 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 146 palestinesi, tra cui almeno 17 minori. Il maggior numero di operazioni è stato registrato nel governatorato di Gerusalemme (41) (principalmente nel quartiere di Al ‘Isawiya a Gerusalemme Est), seguito dai governatorati di Ramallah (34) e Hebron (27).

In Area C e Gerusalemme est, citando la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o costretto le persone ad autodemolire 29 strutture, sfollando 45 persone e creando ripercussioni su altre 100. Dodici delle strutture prese di mira, di cui cinque precedentemente fornite come assistenza umanitaria, si trovavano nei governatorati di Tubas, Nablus e Gerico, presso tre Comunità di pastori situate in aree designate come “zone per esercitazioni a fuoco” e destinate [da Israele] all’addestramento militare. In Cisgiordania nel 2019, finora, sono state demolite o sequestrate 617 strutture, sfollando 898 palestinesi; queste cifre rappresentano rispettivamente un aumento del 35% (strutture) e del 92% (sfollati), rispetto al corrispondente periodo del 2018. Oltre il 20% di tutte le strutture prese di mira nel 2019 e circa il 40% di tutte le strutture di sostegno finanziate da donatori, si trovavano in “zone per esercitazioni a fuoco”; questa denominazione viene attribuita a circa il 30% dell’Area C.

Durante una delle demolizioni in una “zona per esercitazioni a fuoco” ad est di Nablus, le forze israeliane hanno sradicato o tagliato circa 2.500 alberi forestali e alberelli. Gli alberi facevano parte di un’area ricreativa (anche descritta dai palestinesi come una “riserva naturale”) fruibile da circa 14.000 residenti della vicina città di Beit Furik e della Comunità di pastori di Khirbet Tana. Quest’area era stata attivata con il sostegno del Ministero dell’Agricoltura palestinese e di una Organizzazione internazionale. In Area C, questa è la terza area ricreativa distrutta nel 2019.

Il 10 dicembre, circa 80 agricoltori palestinesi di tre villaggi del governatorato di Salfit hanno perso il diritto di accesso alla loro terra situata dietro la Barriera della Cisgiordania; infatti le autorità israeliane hanno confiscato i loro permessi di ingresso. L’episodio si è verificato al cancello della Barriera che porta ai terreni degli agricoltori, secondo i quali non è stata data loro alcuna motivazione. Il 5 dicembre, gli agricoltori di questi tre villaggi avevano presentato una petizione alla Corte Suprema di Israele contro la abituale trascuratezza delle autorità nell’apertura del cancello all’ora prevista.

In otto attacchi di coloni israeliani, quattro palestinesi sono rimasti feriti e circa 330 alberi di ulivo e sette veicoli sono stati danneggiati [segue dettaglio]. Nella Zona (H2) della città di Hebron, controllata da Israele, tre donne palestinesi sono state aggredite con spray al peperoncino e ferite. Nei pressi dell’insediamento colonico avamposto [cioé, non autorizzato da Israele] di Ibei Hanahal (Betlemme), un pastore palestinese che stava pascolando le sue pecore è stato attaccato e ferito da un cane sguinzagliato da coloni. Presso i villaggi di Al Khadr (Betlemme) e Al Mughayyir (Ramallah), assalitori (ritenuti coloni) hanno vandalizzato circa 330 alberi di ulivo; questo episodio si è verificato in un’area in cui i palestinesi, per accedere alla loro terra, devono richiedere una autorizzazione alle autorità israeliane. In altri due episodi verificatisi nel villaggio di Far’ata (Qalqiliya) e nella Zona H2 della città di Hebron, coloni israeliani hanno dato fuoco a due veicoli palestinesi, hanno forato le gomme di altri due ed hanno spruzzato scritte tipo “Questo è il prezzo da pagare”. Altri tre veicoli palestinesi, in transito su strade principali, sono stati colpiti da pietre e danneggiati.

Secondo resoconti di media israeliani, nel corso di sette episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi, verificatisi su strade prossime a Betlemme, Hebron, Gerusalemme e Ramallah, un israeliano è stato ferito e almeno otto veicoli sono stati danneggiati.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali. Il neretto è di OCHAoPt.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

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Rapporto OCHA del periodo 29 ottobre – 11 novembre 2019 (due settimane)

Il 2 novembre, un civile palestinese 27enne è stato ucciso ed un altro è rimasto ferito durante una serie di attacchi aerei israeliani contro siti militari ed aree non urbane della Striscia di Gaza.

I due uomini sono stati colpiti a sud-ovest di Khan Younis; si trovavano all’interno di una struttura agricola che, secondo fonti israeliane, veniva utilizzata a scopi militari. Nei due giorni precedenti, un gruppo armato palestinese aveva lanciato verso la regione meridionale di Israele diversi missili; uno di questi aveva colpito un edificio nella città di Sderot, provocando danni.

Vicino alla recinzione israeliana che perimetra la Striscia di Gaza, sono proseguite le manifestazioni della “Grande Marcia del Ritorno”, durante le quali le forze israeliane hanno ferito 396 palestinesi, tra cui 171 minori. Secondo il Ministero della Salute palestinese, 102 di loro, tra cui 39 minori, sono stati colpiti con armi da fuoco. Fonti israeliane hanno riferito che contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi improvvisati, bombe a mano e bottiglie incendiarie e che ci sono stati diversi tentativi di violare la recinzione; non sono state riportate vittime israeliane.

In almeno 30 occasioni, allo scopo di far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso, le forze israeliane hanno aperto il fuoco nelle aree della Striscia di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e, in mare, al largo della costa; non sono stati segnalati feriti. In un caso separato, due pescatori palestinesi sono stati arrestati e la loro barca è stata confiscata dalle forze navali israeliane. In un altro caso, le forze israeliane hanno arrestato un minore palestinese che avrebbe tentato di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale. Le forze israeliane hanno anche compiuto tre incursioni [nella Striscia], effettuando operazioni di spianatura del terreno vicino alla recinzione perimetrale.

L’11 novembre, durante scontri all’ingresso del campo profughi di Al ‘Arrub (Hebron), le forze israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese di 22 anni. Il Coordinatore Speciale delle Nazioni Unite, Nickolay Mladenov, ha dichiarato che le registrazioni video dell’uccisione mostrano che, al momento in cui gli hanno sparato, l’uomo ucciso non costituiva alcuna minaccia per le forze israeliane. Secondo resoconti di media israeliani, le autorità israeliane hanno avviato un’indagine penale sul caso. Gli scontri erano scoppiati durante una manifestazione che commemorava il 15° anniversario della morte del Presidente palestinese Yasser Arafat.

In Cisgiordania, durante molteplici proteste e scontri, 56 palestinesi, tra cui almeno 17 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane. Gli scontri più ampi sono stati registrati durante la summenzionata manifestazione nel campo di Al ‘Arrub; nel corso della protesta settimanale contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e durante una protesta nel villaggio di Surif (Hebron) contro la confisca della terra. Complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 84 operazioni simili, tre delle quali hanno portato a scontri e a feriti.

Inoltre, 285 scolari e 35 insegnanti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni: nella Zona (H2) della città di Hebron, controllata da Israele, in tre diverse circostanze, le forze israeliane avevano sparato gas lacrimogeni e bombe sonore nei cortili di due complessi scolastici. Secondo varie fonti palestinesi, solo uno dei tre casi (il 3 novembre) era stato preceduto dal lancio di pietre contro le forze israeliane da parte di minori palestinesi.

Nel quartiere Al Isawiya di Gerusalemme Est, le operazioni di polizia hanno sconvolto, quasi quotidianamente, la vita di circa 18.000 palestinesi; la maggior parte di queste operazioni ha provocato scontri e arresti. Il 2 novembre, per protestare contro la violenza della polizia, il Comitato dei genitori ha dichiarato uno sciopero di due giorni in tutte le scuole del quartiere. Sebbene non sia stato possibile accertare il numero delle persone ferite durante gli scontri di cui sopra, c’è particolare preoccupazione per un bambino di otto mesi e una donna incinta che hanno inalato gas lacrimogeno. Diciannove residenti, tra cui sette minori, sono stati arrestati. Ad Al Isawiya, dallo scorso giugno, si registrano alti livelli di tensione e violenze.

Due palestinesi, un ragazzo 15enne e una donna di 37 anni, sono stati feriti dalle forze israeliane in due episodi separati: secondo quanto riferito, avevano tentato di aggredire con un coltello le forze israeliane; nessun israeliano è rimasto ferito. I due episodi sono avvenuti il 28 e il 30 ottobre, rispettivamente nella Città Vecchia di Gerusalemme e nella zona H2 della città di Hebron. I due sospetti autori sono stati arrestati. Vicino al villaggio di Qaffin (Tulkarm), le forze israeliane hanno sparato e ferito un palestinese che aveva tentato di attraversare la Barriera senza permesso.

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, o costretto le persone a demolire, 19 strutture: 49 palestinesi sono stati sfollati mentre altri 61 hanno subìto ripercussioni di diversa entità [segue dettaglio]. Sei di queste strutture, di cui quattro precedentemente fornite come aiuti umanitari, si trovavano in Comunità di pastori situate in aree da Israele dichiarate chiuse e dedicate ad “addestramento a fuoco” delle forze armate israeliane. Altre tre strutture (tutte abitative) erano situate nelle Comunità beduine palestinesi ad est di Gerusalemme, vicino a un’area destinata all’espansione dell’insediamento colonico di Ma’ale Adummim (piano E1). Le rimanenti nove strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, inclusa una casa in Al Isawiya, auto-demolita dai proprietari. Dall’inizio dell’anno ad oggi [11 novembre], il numero di strutture demolite (513) indica un incremento di quasi il 33%, rispetto al corrispondente periodo del 2018.

In diverse aree della Cisgiordania la raccolta delle olive è stata sconvolta dalla violenza di coloni israeliani che hanno danneggiato almeno 1.050 alberi e rubato diverse tonnellate di olive. Nove episodi documentati hanno avuto luogo [su terreni palestinesi] vicino ad insediamenti colonici; l’accesso dei palestinesi a questi luoghi è limitato e regolato dalle autorità israeliane. Le Comunità colpite includevano Qaryut, Burin, Al Lubban ash Sharqiya e Deir al Hatab (tutte a Nablus), Kafr Qaddum (Qalqiliya), Mas-ha (Salfit) e Umm Safa (Ramallah). Altri sette episodi che hanno visto coloni come protagonisti sono stati segnalati nei villaggi di Yatma, Sawiya e Burin (Nablus), Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Yasuf (Salfit). La raccolta delle olive, che si svolge ogni anno tra ottobre e novembre, è un evento basilare per i palestinesi, sia da punto di vista economico che sociale e culturale.

Altri cinque attacchi di coloni hanno provocato ferimenti e danni a proprietà palestinesi. In tre di questi episodi, accaduti sulle strade della Cisgiordania, un palestinese è stato ferito e tre veicoli palestinesi hanno subito danni a seguito del lancio di pietre. In altri due casi, coloni israeliani hanno vandalizzato almeno 32 veicoli ed hanno spruzzato scritte tipo “Questo è il prezzo da pagare” su tre case nei villaggi di Tublas (Gerusalemme) e Qabalan (Nablus). A Qarawat Bani Hassan (Salfit), coloni israeliani avrebbero danneggiato una baracca e dato fuoco a 400 balle di fieno. Finora nel 2019, OCHA ha registrato 299 episodi in cui coloni israeliani hanno ucciso o ferito palestinesi o danneggiato loro proprietà; nei corrispondenti periodi dei due anni precedenti, gli episodi erano stati 213 nel 2018 e 124 nel 2017.

Media israeliani hanno riferito di sei episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli di coloni israeliani: due coloni sono rimasti feriti e diversi veicoli sono stati danneggiati. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 93 episodi in cui palestinesi hanno ucciso o ferito coloni o altri civili israeliani o danneggiato loro proprietà; quindi si registra un calo rispetto al numero di episodi verificatisi in periodi corrispondenti del 2018 (141 casi) e 2017 (211 casi).

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Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Nelle prime ore del 12 novembre, l’aeronautica israeliana ha preso di mira e ucciso un comandante dell’ala armata del gruppo palestinese della Jihad islamica (PIJ) e sua moglie, mentre dormivano nella loro casa. L’episodio ha innescato, per circa 48 ore, un crescendo di ostilità tra Israele e varie fazioni armate palestinesi; ne è rimasta estranea Hamas. Secondo il Ministero della Salute palestinese (MoH), a Gaza, durante questi attacchi sono state uccise 34 persone, di cui 23 uomini, otto minori e tre donne. Delle vittime fanno parte otto persone appartenenti alla stessa famiglia; stando a quanto riferito, sono rimaste uccise durante un attacco diretto contro un agente PIJ di alto livello. Il MoH ha anche riferito che 111 palestinesi sono rimasti feriti, tra cui almeno 41 minori e 13 donne. In Israele, sarebbero state ricoverate in ospedale, in stato di shock o ferite in vario modo, 77 persone, incluse donne e bambini. La mattina del 14 novembre, con la mediazione delle Nazioni Unite e dell’Egitto, è stato annunciato un cessate il fuoco informale che, al momento, pare tenere.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Il leader dei coloni in Cisgiordania da poco nominato promette di ottenere l’annessione

5 novembre 2019 – Middle East Monitor

Il Jerusalem Post [quotidiano israeliano di destra in lingua inglese, ndtr.] ha informato che il nuovo leader dalla popolazione di coloni israeliani nella Cisgiordania occupata ha promesso di lavorare per garantirsi l’annessione della maggior parte del territorio.

David ElHayani è stato eletto per guidare il consiglio di Yesha, dopo essere stato negli ultimi 11 anni a capo del consiglio regionale delle colonie, con sede nella Valle del Giordano.

Gli abitanti della Giudea e della Samaria (Cisgiordania) e della Valle del Giordano sono cittadini (israeliani) da tutti i punti di vista. Lavoriamo insieme, noi tutti, per mettere in pratica la sovranità su tutta l’Area C e nella Valle del Giordano [sotto totale ma temporaneo controllo di Israele in base agli accordi di Oslo, ndtr.] in Giudea e Samaria,” ha detto ElHayani dopo essere stato eletto.

Secondo l’articolo, “ElHayani ha anche approfittato dell’opportunità per invitare il primo ministro Benjamin Netanyahu e il capo del partito “Blu e Bianco” Benny Gantz [di centro destra e principale avversario di Netanyahu, ndtr.] a formare un governo di coalizione.

Da parte sua Netanyahu “ha telefonato a ElHayani per complimentarsi” ed ha promesso di lavorare insieme per promuovere la colonizzazione nella Cisgiordania occupata.

Tutte le colonie nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est sono illegali in base al diritto internazionale.

Il precedente capo del consiglio di Yesha, Hananel Durani, ha detto di “essere sicuro che ElHayani riuscirà ad ottenere la sovranità (annessione) e a raddoppiare il numero di coloni ebrei in Giudea e Samaria in modo da arrivare a 1.000.000 di ebrei.”

Nel contempo Sharren Haskel, deputata israeliana della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] per il Likud [partito di destra attualmente al potere, ndtr.], ha presentato un progetto di legge per chiedere che il versante est della regione della Valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata, venga formalmente annesso.

Secondo le informazioni, la proposta “permetterebbe agli abitanti palestinesi nel territorio di chiedere la cittadinanza israeliana entro dieci anni dalla sua messa in pratica, sempre che non siano stati accusati in passato di alcun delitto contro la sicurezza [di Israele] e non abbiano chiesto pubblicamente il boicottaggio contro Israele.”

Oggi esiste un ampio consenso riguardo a questa regione, in seguito al tanto sperato riconoscimento da parte del presidente statunitense della sovranità israeliana sulle Alture del Golan. È ora di fare altrettanto con la Valle del Giordano,” ha detto Haskel.

Domenica Ayelet Shaked, deputata della Knesset per il partito “Nuova Destra”, ha proposto un progetto di legge simile, focalizzato su una serie di importanti colonie in Cisgiordania.

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 1- 14 ottobre 2019 (due settimane)

Il 4 ottobre, ad est di Jabalia (Gaza nord), vicino alla recinzione israeliana di Gaza, un palestinese 28enne è stato ucciso dalle forze israeliane durante una manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno” (GMR).

Un altro palestinese, 20enne, è morto il 7 ottobre per le ferite riportate durante una protesta svolta nell’aprile 2019. Dal marzo 2018, data di inizio delle proteste GMR, sono stati complessivamente uccisi 210 palestinesi, tra cui 46 minori. Inoltre, nel corso delle proteste tenute durante il periodo di riferimento [1-14 ottobre], sono stati feriti dalle forze israeliane 261 palestinesi (di cui 127 minori); 48 di loro presentavano ferite di arma da fuoco. Fonti israeliane hanno riferito che contro le forze israeliane sono stati lanciati ordigni esplosivi improvvisati, bombe a mano e bottiglie incendiarie; inoltre ci sono stati diversi tentativi di forzare la recinzione: non sono state riportate vittime israeliane. Jamie McGoldrick, Coordinatore umanitario per i Territori palestinesi occupati, in una dichiarazione rilasciata prima della protesta dell’11 ottobre, organizzata sul tema “Our Child Martyrs”, ha invitato Israele e Hamas a proteggere i minori, ribadendo che “i minori non devono mai essere il bersaglio di violenza, né dovrebbero essere messi a rischio di subire violenza o essere incoraggiati a partecipare alla violenza”.

In almeno 18 occasioni non collegate alla GRM, allo scopo di far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi], le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso aree [interne] di Gaza adiacenti alla recinzione perimetrale e [in mare] al largo della costa; non sono state riportate vittime. In un’altra occasione, le forze israeliane hanno arrestato tre civili palestinesi, incluso un minore che, presumibilmente, avevano tentato di entrare illegalmente in Israele attraverso la recinzione.

In Cisgiordania, durante proteste e scontri, sono stati feriti dalle forze israeliane 37 palestinesi, tra cui almeno due minori. Tale numero [37] rappresenta una riduzione significativa rispetto alla media bisettimanale di ferimenti di palestinesi (129), registrata dall’inizio del 2019. 14 dei 37 ferimenti si sono verificati venerdì 4 e 11 ottobre a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante le proteste settimanali contro l’espansione degli insediamenti [colonici] e contro le restrizioni di accesso. Altre 10 persone sono rimaste ferite nei giorni 1 e 4 ottobre, vicino al checkpoint di Beit El / DCO (Ramallah), in due manifestazioni tenute in solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame. In un altro caso, avvenuto il 5 ottobre nel villaggio di Azzun (Qalqiliya), un bambino di un anno e una donna hanno subìto lesioni causate da inalazione di gas: la loro casa è parzialmente bruciata a causa di un incendio innescato da candelotti lacrimogeni lanciati dalle forze israeliane durante scontri con i residenti palestinesi. Complessivamente, quasi la metà dei feriti è stata curata per inalazione di gas lacrimogeno, il 38% per lesioni provocate da proiettili di gomma; i rimanenti erano stati aggrediti fisicamente o feriti con armi da fuoco.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 152 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 101 palestinesi, tra cui quattro minori. La maggior parte delle operazioni sono state condotte nel governatorato di Ramallah (42), seguita dai governatorati di Hebron (35) e Gerusalemme (33).

In Area C e Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito o costretto le persone ad autodemolire 31 strutture; come conseguenza, 52 persone sono state sfollate ed altre 98 hanno subito ripercussioni [segue dettaglio]. L’episodio più consistente si è verificato nel quartiere di Jabal al Mukabbir, a Gerusalemme Est, dove sono state prese di mira 13 strutture, tra cui una abitazione; rappresentanti delle famiglie colpite hanno riferito di non aver ricevuto ordini di demolizione, né alcun preavviso. Sempre a Gerusalemme Est, nel quartiere di Beit Hanina, palestinesi sono stati costretti ad autodemolire tre edifici abitativi, provocando lo sfollamento di sei famiglie di rifugiati. A Gerusalemme Est, oltre un quarto delle demolizioni di quest’anno (46 su 173 strutture) sono state eseguite dagli stessi proprietari palestinesi, principalmente per evitare di pagare al Comune il costo della demolizione. In Area C, una delle undici strutture demolite era un pannello solare finanziato da donatori, fornito come assistenza umanitaria in risposta a una precedente demolizione avvenuta nella Comunità di Shib al Harathat (Hebron). Ad oggi, il numero di strutture demolite quest’anno in Cisgiordania rappresenta un aumento di quasi il 40% rispetto al corrispondente periodo del 2018.

Durante il periodo di riferimento, in occasione delle festività ebraiche, le autorità israeliane hanno bloccato su larga scala, per cinque giorni, gli spostamenti tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania; il provvedimento ha colpito i titolari di permessi palestinesi, compresi i commercianti. Sono state fatte eccezioni per emergenze sanitarie e, in Cisgiordania, anche per studenti e impiegati palestinesi presso ONG internazionali e agenzie delle Nazioni Unite. Per israeliani e titolari di documenti di identità di Gerusalemme, coloni compresi, gli spostamenti tra Israele e la Cisgiordania sono proseguiti senza restrizioni. Inoltre, a Tulkarm e Jenin, a causa delle festività ebraiche, le autorità israeliane hanno rimandato fino al 23 ottobre l’apertura dei cancelli della Barriera della Cisgiordania, interrompendo l’accesso degli agricoltori alle loro terre per la raccolta delle olive.

La stagione della raccolta delle olive, iniziata ai primi di ottobre, è stata interrotta in diverse aree dalla violenza di coloni israeliani. Gli episodi includono l’aggressione fisica ed il ferimento di tre contadini palestinesi a Tell e Jit (entrambi a Nablus) e Al Jab’a (Betlemme). Includono inoltre l’incendio di circa 100 ulivi e sette furti di raccolti nei villaggi di Kafr ad Dik (Salfit) e Burin (Nablus). Per i palestinesi, la stagione della raccolta delle olive, che si svolge ogni anno tra ottobre e novembre, è un evento chiave, sia dal punto di vista economico che sociale e culturale.

Altri cinque attacchi di coloni hanno provocato ferimenti di palestinesi e danni alle proprietà. In due di questi attacchi, verificatesi nella zona della città di Hebron controllata da Israele e nella Comunità di Khirbet al Marajim, quattro palestinesi, tra cui un minore e una donna, sono stati aggrediti e feriti fisicamente da coloni israeliani. In altri due casi, avvenuti nei villaggi di Qira e Marda (entrambi a Salfit) oltre 20 veicoli e alcune abitazioni sono stati vandalizzati; in altri due casi separati due veicoli sono stati colpiti da pietre e danneggiati. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 243 episodi in cui coloni israeliani hanno ucciso o ferito palestinesi o danneggiato proprietà palestinesi. Questo numero indica un limitato aumento rispetto al corrispondente periodo del 2018 (213 casi), ma un numero di casi quasi doppio rispetto al 2017 (124).

Media israeliani hanno riportato tre episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte di palestinesi contro veicoli o case di coloni israeliani: non sono state segnalate vittime o danni. Finora, nel 2019, OCHA ha registrato 84 episodi in cui palestinesi hanno ucciso o ferito coloni o altri civili israeliani oppure danneggiato le loro proprietà: un declino rispetto al numero di episodi verificatisi nei corrispondenti periodi del 2018 (141 episodi) e 2017 (211 episodi).

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Israele approva 6.000 nuove case per coloni israeliani in Cisgiordania*

31 luglio 2018 – Al Jazeera

L’annuncio prima di una visita dell’inviato USA Jared Kushner in Israele per discutere di un piano di ‘pace’ tra israeliani e palestinesi

Israele ha approvato la costruzione di 6.000 nuove case per coloni israeliani e 700 per i palestinesi in una zona della Cisgiordania occupata su cui ha il controllo totale. L’annuncio da parte di un anonimo funzionario israeliano mercoledì è arrivato prima di una prevista visita in Israele dell’inviato degli Stati Uniti Jared Kushner per discutere di un piano della Casa Bianca per un accordo di pace israelo-palestinese.

L’approvazione riguarda l’Area C della Cisgiordania, di cui Israele controlla l’amministrazione civile e la sicurezza e dove si trovano le sue colonie. Corrisponde a più del 60% della Cisgiordania, il territorio palestinese che, in base alla cosiddetta soluzione dei due Stati, dovrebbe far parte di un futuro Stato palestinese.

Al momento non è ancora chiaro se tutte le case saranno nuove costruzioni o se alcune esistono già e stanno per ottenere un’approvazione retroattiva.

In base alle leggi internazionali le colonie sono illegali e sono i principali ostacoli per un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. Sono costruite su terra che i palestinesi considerano parte del loro futuro Stato.

Più di 600.000 israeliani vivono nelle colonie della Cisgiordania, compresa Gerusalemme est occupata, che sono viste come il maggiore ostacolo per la pace tra Israele e i palestinesi. Essi vivono accanto a circa tre milioni di palestinesi.

Piano di pace

Raramente Israele concede l’approvazione alle costruzioni dei palestinesi in quella zona.

Il piano per i palestinesi – benché relativamente ridotto e ampiamente compensato dalle nuove case per israeliani – potrebbe consentire al primo ministro Banjamin Netanyahu di sostenere che sta facendo sforzi per favorire il piano di pace a lungo atteso di Kushner.

Nel 2016 il governo israeliano approvò piani di costruzione per 5.000 unità abitative per palestinesi nella zona di Qalqilia, in Cisgiordania, ma la dura opposizione di politici di destra e dirigenti dei coloni bloccarono il progetto.

Gli USA hanno lasciato intendere che potrebbero appoggiare l’annessione a Israele di alcune colonie in base a un futuro accordo di pace.

Non sono ancora stati resi noti i dettagli della visita di Kushner, ma egli ha affermato che il suo piano non farà menzione della soluzione dei due Stati perché “ciò significa una cosa per gli israeliani e un’altra per i palestinesi.”

È previsto che questa settimana Kushner visiti anche altri cinque Paesi del Medio Oriente. Secondo il quotidiano israeliano “Yediot Ahronot”, la visita anticipa un vertice per la pace tra israeliani e palestinesi che l’amministrazione Trump intende ospitare a Camp David prima delle elezioni israeliane di settembre.

*Vedi su questo stesso argomento  anche l’ articolo di Umberto De Giovannangeli

(traduzione di Amedeo Rossi)




‘Muoiono e basta’: villaggio palestinese soffocato da discarica della colonia israeliana

Megan Giovannetti, Ramallah, Cisgiordania occupata
24 luglio 2019 –
Middle East Eye

Il flusso d’acqua fognaria vicino al villaggio di Bruqin ha avuto effetti devastanti sulla salute e sui mezzi di sussistenza dei palestinesi.

Seduti fuori dalla casa di Ahmed Abdulrahman nella valle di Al-Matwa, l’umidità dell’estate rende intollerabile l’odore di escrementi umani.

Le colonie israeliane e gli stabilimenti industriali sulle colline circondano tutta la vallata. Un flusso costante di acque fognarie scorre verso la valle.

Le zanzare non ci fanno dormire. Siamo preoccupati per il diffondersi di malattie, specialmente per i bambini”, commenta Adbulrahman, 62 anni, al Middle East Eye, la faccia cupa e stanca. Sua moglie è una dei tanti residenti a cui negli ultimi tre anni è stato diagnosticato un tumore.

Le valli di Matwa e al-Atrash – situate nel distretto di Salfit della Cisgiordania occupata, tra le città palestinesi di Ramallah e Nablus – raccolgono acqua di scarico non trattata sia dai residenti palestinesi di Salfit che da quelli israeliani delle colonie illegali di Ariel e Barkan.

Secondo una relazione del 2009 dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, i palestinesi che vivono nelle valli sono esposti ad “acque di scarico non depurate, contenenti virus, batteri, parassiti e metalli pesanti tossici dannosi per la salute di esseri umani e animali”.

Il flusso tossico ha avuto un effetto devastante sulla salute e sui mezzi di sostentamento dei palestinesi di quell’area – e mentre le autorità israeliane hanno negato ogni responsabilità, numerosi studi hanno denunciato con preoccupazione gli effetti a lungo termine di questo disastro ambientale e sanitario.

Muoiono e basta’

L’intero villaggio di Bruqin si estende attraverso la valle di Matwa, i versanti delle colline punteggiati di case.

Stando sulla cima, Murad Samara, impiegata comunale a Bruqin e volontaria per la Medical Relief Society, indica le case in cui qualcuno che conosce è malato o morto di una malattia presumibilmente correlata al flusso di scarico fognario.

Ci tiene a sottolineare la loro età: un uomo sui cinquanta in quella casa è morto di cancro cinque anni fa; una ragazza di quindici anni in quell’altra ha avuto un collasso nel cortile della sua scuola l’anno scorso e due mesi dopo è morta di un’altra forma di cancro in stato terminale.

Ogni giorno scopriamo che qualcuno che conosciamo è malato” dice Ammar Barakat, 37 anni, che ha vissuto da vicino l’impatto dell’inquinamento sulla sua famiglia e sulla comunità di Bruqin, uno dei villaggi più colpiti nel distretto di Salfit.

Suo fratello è deceduto due anni fa per un cancro diagnosticato troppo tardi. Il vicino di casa di Ammar, Farou Barakat, vive nella sua abitazione con 24 figli. La moglie di Farouq, Maye, è costantemente preoccupata per la salute dei suoi figli e figliastri.

Suo figlio più piccolo ha un anno e mezzo e soffre di problemi respiratori, mentre Rasha, che ha tre anni, è affetta da leucemia da quando ne aveva uno.

Qui è normale essere malati” dice Maye Barakat. “L’odore, l’acqua, qui tutto è cattivo”.

Se già solo la fogna non trattata ha un impatto notevole sulla salute pubblica, i rifiuti chimici tossici delle industrie circostanti che penetrano nella falda acquifera rappresentano una minaccia addirittura peggiore.

Nel 2017 B’Tselem ha denunciato lo sfruttamento delle terre palestinesi da parte dello Stato d’Israele riguardo al trattamento dei rifiuti prodotti non solo nelle colonie illegali ma anche all’interno della Linea Verde [il confine tra Israele e i Territori occupati, quindi all’interno di Israele, ndtr.].

Nella relazione si afferma che gli insediamenti di Ariel e Barkan contengono due dei 14 impianti di trattamento dei rifiuti a conduzione israeliana nel territorio occupato della Cisgiordania e Gerusalemme Est.

Le zone industriali di Ariel e Barkan trattano olio esausto e rifiuti elettronici considerati troppo pericolosi per essere trattati in Israele in base alle sue leggi di protezione ambientale, e vengono quindi trasferiti nel territorio palestinese occupato dove tali regolamentazioni non sono in vigore.

I tubi scoperti vicino a queste zone industriali sono sotto gli occhi di tutti, con le acque di scarico che si riversano nelle valli di Matwa e Atrash.

Osservando il miscuglio di liquami tossici che scorre accanto alla sua casa, Ammar Barakat commenta sconsolato: “Sul serio, viviamo all’inferno”.

Per Abdulrahman Tamimi, dottore dell’unico ospedale di Salfit, la correlazione è chiara:

Le persone di questi specifici villaggi [vicino agli stabilimenti industriali] hanno le stesse caratteristiche cliniche, le stesse malattie” spiega. “Se ne può dedurre facilmente che lì c’è qualche problema. Ultimamente vediamo molte persone entrare in ospedale con il cancro… che è una condizione davvero rara in giovane età, tra i 20 e i 25 anni”, continua Tamimi.

I casi che vede spaziano dal cancro ai polmoni a quello alle ossa, ma in ogni caso si tratta di forme molto aggressive. Per svariati motivi di carattere sociale ed economico, spesso Tamimi visita i pazienti quando ormai è troppo tardi.

Dopo la diagnosi vivono per tre mesi e poi muoiono. Muoiono e basta. Non vengono mai nei primi stadi della malattia”, racconta Tamimi al Middle East Eye.

Tre anni fa il comune di Bruqin ha costruito una tubatura per cercare di alleviare i problemi più palesi causati dal flusso fognario, come l’odore e le zanzare. Ma tali sforzi si sono dimostrati insufficienti.

Il villaggio di Bruqin si estende su un’area di 10 chilometri lungo la valle di Matwa, mentre la tubatura è lunga solo due chilometri. Inoltre, molto spesso i rifiuti solidi la intasano.

Le tubature non hanno risolto alcun problema perché si intasano e iniziano a perdere, creando un mare di liquami dannosi per la nostra terra”, dice Abdulrahman, il cittadino di Bruqin la cui moglie è affetta dal cancro.

Due mesi fa, la sua terra è stata sommersa da acque di scarico filtrate dai tubi intasati. Abdulrahman racconta che 22 dei suoi 50 ulivi sono morti o si sono ammalati in seguito all’inondazione, con i rami completamente spogli a due mesi dalla stagione di raccolta.

Temiamo che le olive che raccoglieremo quest’anno non siano commestibili perché le acque di scarico contengono anche i rifiuti chimici delle industrie”, dice Abdulrahman al Middle East Eye.

Stima che perderà all’incirca 2.000 shekels (circa 510 €) per i danni causati al raccolto di quest’anno – per non parlare del rischio a lungo termine di perdere circa metà del suo uliveto.

L’inondazione non rovina solo la sua terra, ma disgrega anche la sua famiglia. Le mogli dei suoi figli e vicini lasciano le case quando c’è un’esondazione, e portano i bambini altrove.

Se ne vanno un mese fin quando i liquami non vanno via, poi tornano” dice Abdulrahman, “ma dopo un mese le acque ritornano e loro se ne vanno di nuovo”.

Il problema principale è l’occupazione’

In una dichiarazione ufficiale al Middle East Eye, il comune di Ariel respinge ogni responsabilità dell’insediamento israeliano per la crisi ecologica e sanitaria nell’area di Salfit.

Tutto lo scarico fognario della città passa attraverso un impianto di depurazione e tutto ciò che si riversa da Ariel è acqua già trattata”, si legge nella dichiarazione.

Tuttavia, B’Tselem afferma che l’impianto di depurazione nella colonia di Ariel “ha cessato l’attività nel 2008”.

Il comune della colonia ha continuato a dare la colpa esclusivamente ai palestinesi – chiamati spesso semplicemente “arabi” dagli israeliani.

Sfortunatamente, le comunità arabe adiacenti non trattano i loro scarichi fognari, soprattutto nell’area di Salfit” prosegue la dichiarazione. “Le loro fogne scorrono direttamente nel Wadi [torrente, ndtr.] e penetrano nelle falde acquifere montane, contaminando l’acqua e attentando alla salute di tutti.”

Il problema principale è l’occupazione, perché non abbiamo alcun potere” sostiene sicura Samara, l’impiegata comunale.

Samara ci spiega che il comune e la città di Salfit hanno tentato di creare un impianto di depurazione delle acque reflue per servire il distretto sin dal 1989.

I due progetti del 2000 e del 2009, finanziati da fondi europei, fallirono perché le autorità israeliane si rifiutarono di rilasciare i permessi edilizi per costruire l’impianto sul territorio di Matwa, essendo esso situato nell’area C della Cisgiordania e dunque sotto il totale controllo militare israeliano.

Il progetto del 2009 fu accolto da un ultimatum di Israele, che avrebbe concesso i permessi per un impianto finanziato dalla Germania solo se esso avesse purificato anche gli scarichi di Ariel.

L’Autorità Nazionale Palestinese denunciò la proposta in quanto avrebbe rappresentato un riconoscimento de facto di Ariel come una colonia legittima, mentre per le leggi internazionali non lo è.

Benché un cartello nuovo di zecca sul territorio di Bruqin annunci un nuovo tentativo di costruire un depuratore finanziato dalla Cooperazione Finanziaria Bilaterale Tedesca entro il 2022, anche se i lavori venissero terminati entro la scadenza stabilita gli effetti di decenni di esposizione alle acque tossiche potrebbero essere irreversibili.

Danni irreversibili

Il dottor Mazin Qumsiyeh, professore di genetica e biologia molecolare all’Università di Betlemme nonché noto attivista, ha aperto la strada allo studio degli effetti a lungo termine e intergenerazionali dovuti all’esposizione ai rifiuti tossici.

Qumsiyeh e un team di dottorandi hanno raccolto campioni di sangue di un gruppo di controllo e di due gruppi di confronto in due studi separati – uno che analizza i palestinesi provenienti da Bruqin nel 2013 e uno del 2016 sui cittadini di Idhna, un altro villaggio palestinese pericolosamente vicino a una zona industriale israeliana.

I risultati mostrano un numero significativo casi di rottura cromosomica nelle cellule dei residenti vicini alle zone industriali rispetto al gruppo di controllo. La rottura cromosomica o altri danni al DNA aumentano le probabilità di infertilità, malformazioni congenite alla nascita e cancro.

Le prove sono schiaccianti, non si può trattare semplicemente di una differenza casuale tra i campioni (del gruppo di test e di controllo)”, dichiara Qumsiyeh a Middle East Eye.

Questa è una scoperta molto significativa che indica che la presenza di questi impianti industriali è ciò che causa questi danni.”

Anche se Qumsiyeh crede che “questa possa essere un’arma importante per affrontare Israele nei tribunali internazionali”, i residenti di Bruqin come i Barakat desiderano soluzioni più immediate.

Gran parte dei palestinesi pensa alla liberazione dall’occupazione”, sostiene Ammar Barakat. “Tutto ciò che chiedo io è aria pulita. Fino ad allora, non posso pensare a nient’altro.”

(Traduzione di Maria Monno)




Rapporto OCHA del periodo 2 – 15 luglio 2019 (due settimane)

Nella Striscia di Gaza, durante il periodo di riferimento, 359 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane in manifestazioni svolte nel contesto della “Grande Marcia di Ritorno”,

un calo significativo di feriti da quando, nel marzo 2018, iniziarono le dimostrazioni.

In almeno undici occasioni, non collegate alla “Grande Marcia di Ritorno”, le forze israeliane hanno aperto il fuoco [di avvertimento] verso agricoltori e pescatori, allo scopo di far rispettare le restrizioni di accesso ai terreni [della Striscia] prossimi alla recinzione perimetrale con Israele e, in mare, alle zone di pesca interdette [ai palestinesi]; non sono stati segnalati feriti. Due pescatori, di cui uno minorenne, sono stati arrestati e la loro barca confiscata; uno è stato rilasciato il giorno stesso. In un altra occasione, le forze israeliane sono entrate nella Striscia ed hanno svolto operazioni spianatura del terreno e di scavo in prossimità della recinzione. In un altro episodio, un palestinese è stato arrestato mentre tentava di infiltrarsi in Israele.

L’undici luglio, un 28enne palestinese, membro di Hamas, è stato ucciso con arma da fuoco dalle forze israeliane vicino alla recinzione perimetrale, ad est di Beit Hanoun, nel nord della Striscia. Secondo fonti dell’esercito israeliano, l’uomo è stato ucciso per una errata identificazione.

A Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la protesta settimanale contro l’espansione degli insediamenti colonici e le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi], le forze israeliane hanno colpito con arma da fuoco un ragazzo di 10 anni, ferendolo alla testa. Testimoni oculari palestinesi hanno dichiarato che il ragazzo non era coinvolto negli scontri quando è stato colpito. Complessivamente, durante proteste e scontri in Cisgiordania, le forze israeliane hanno ferito 18 palestinesi, tra cui almeno nove minorenni [di seguito il dettaglio]. Questi 18 ferimenti includono: quattro palestinesi feriti nella zona di Al Isawiya a Gerusalemme Est, durante scontri con forze israeliane che stavano rimuovendo un memoriale di un palestinese ivi ucciso da un poliziotto israeliano il 27 giugno; una madre ed il figlio 14enne, aggrediti fisicamente e feriti da forze israeliane nella zona di Ras al Amud, a Gerusalemme Est, mentre resistevano all’arresto del ragazzo per presunto lancio di pietre; tre palestinesi feriti a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante la dimostrazione settimanale; cinque palestinesi, tra cui quattro minori, sono stati feriti in scontri innescati da tre operazioni di ricerca e arresto (le forze israeliane hanno condotto 142 di tali operazioni, arrestando oltre 167 palestinesi, tra cui sei minori); due palestinesi sono rimasti feriti da forze israeliane negli scontri che hanno fatto seguito all’ingresso di israeliani in un sito religioso nella città di Nablus.

Il 6 luglio, cinque soldati israeliani di pattuglia nei pressi del checkpoint di Hizma (Gerusalemme), sono stati investiti e feriti da un veicolo guidato da un palestinese. Le forze israeliane hanno svolto operazioni di ricerca nella zona e, ad un checkpoint volante vicino a Gerusalemme, hanno arrestato la persona sospettata.

Il 10 luglio, dopo 24 anni di procedure legali, le autorità israeliane hanno sfrattato una madre e i suoi quattro figli adulti dalla loro casa nella zona di Wadi al Hilweh del quartiere di Silwan, a Gerusalemme Est. La casa è stata consegnata ad una organizzazione israeliana di coloni, Elad, che ne aveva rivendicato la proprietà.

Citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele (quasi impossibili da ottenere), le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato undici strutture di proprietà palestinese nella zona C e Gerusalemme Est; non ci sono stati sfollati, ma 1.270 persone hanno subìto ripercussioni di varia entità. Tre delle strutture prese di mira dal provvedimento erano cisterne per acqua finanziate da donatori e si trovavano in Area C, nelle comunità di Dkaika, Kashem al Karem ed An Najada. Circa 1.200 persone, tra cui 400 bambini, sono state colpite dalle demolizioni o sequestri delle cisterne. Dieci delle [11] strutture prese di mira si trovavano in otto diverse Comunità dell’Area C [di seguito il dettaglio]. Era inclusa una struttura commerciale nel villaggio di Idhna (Hebron), demolita poiché si trovava all’interno di un’area designata da Israele come “zona 309A per esercitazioni a fuoco”. Le restanti nove strutture interessate in Area C [delle 10 citate] includevano una residenza disabitata, quattro strutture di sostentamento e quattro strutture agricole. Altri due edifici in costruzione sono stati demoliti nella città di Az Zaayyem ed in As Sawahira ash Sharqiya, in aree situate all’interno della zona definita da Israele come municipalità di Gerusalemme.

In otto episodi, di cui sono stati autori coloni israeliani, sono stati feriti due palestinesi e danneggiati 200 ulivi di proprietà palestinese [segue dettaglio]. Due palestinesi, tra cui un minore, sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni in due diversi episodi avvenuti nella zona H2 della città di Hebron e vicino alla città di Hizma (Gerusalemme). In altri due episodi separati, fonti della Comunità locale palestinese hanno riferito che sospetti coloni israeliani hanno vandalizzato 200 ulivi e fichi e alberelli appartenenti a contadini dei villaggi di Susiya (Hebron) e dell’Area B di Turmus’ayya (Ramallah). In altri episodi, avvenuti nei villaggi di Deir Jarir (Ramallah) e Yanun (Nablus), è stato riferito che coloni hanno fatto pascolare le loro pecore su terreni agricoli palestinesi, vandalizzando circa 3,5 ha di terra coltivata a grano e orzo. In altri due episodi, coloni israeliani sono entrati nei villaggi di Awarta (Nablus) e Deir Qaddis (Ramallah), entrambi in Area B [cioé, con amministrazione palestinese e controllo israeliano per la sicurezza], hanno bucato le gomme di 25 veicoli palestinesi e spruzzato graffiti tipo “questo è il prezzo [che dovete pagare]” su quattro case, una scuola ed un asilo nido.

Media israeliani hanno riferito di nove episodi di lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli israeliani; due coloni sono rimasti feriti e diversi veicoli sono stati danneggiati.

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rapporto OCHA del periodo 18 giugno-1 luglio (due settimane)

Nella Striscia di Gaza, durante il periodo di riferimento, 494 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane nel corso delle manifestazioni tenute nel contesto della “Grande Marcia di Ritorno” che, dal 30 marzo 2018, si svolgono vicino alla recinzione perimetrale con Israele.

Oltre il 45% dei feriti è stato ricoverato in ospedale.

Sempre nella Striscia di Gaza, in almeno 12 occasioni non riconducibili alle manifestazioni della”Grande Marcia di Ritorno”, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi per far loro rispettare le restrizioni di accesso alle aree adiacenti alla recinzione perimetrale e al largo della costa; agricoltori e pescatori sono stati costretti a lasciare tali aree. Tre pescatori sono stati arrestati e un altro è rimasto ferito, oltre a danni causati a tre barche da pesca e alla confisca di reti da pesca. In due occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza (ad est di Beit Hanoun e di Khan Yunis) ed hanno effettuato operazioni di spianatura e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

Il 24 giugno, Israele, in risposta al lancio di palloncini incendiari da Gaza verso i propri territori, ha sospeso le consegne di carburante, costringendo la Centrale Elettrica di Gaza ad operare a potenza circa dimezzata, riducendo di conseguenza l’erogazione di energia elettrica nei giorni dal 25 al 28 giugno.

In Cisgiordania, il 27 giugno, durante scontri nel quartiere di Al Isawiya a Gerusalemme Est, un 21enne palestinese è stato ucciso con arma da fuoco, da un poliziotto israeliano. Secondo fonti della Comunità locale, l’uomo è stato colpito al petto da distanza ravvicinata ed è deceduto poco dopo il ricovero presso un ospedale israeliano. Il suo corpo è stato trattenuto dalle autorità israeliane fino al 1 luglio. Secondo fonti israeliane, quando gli hanno sparato, l’uomo era rivolto nella direzione di poliziotti israeliani e stava accendendo un petardo. Fonti palestinesi affermano che si trattava di un astante non coinvolto negli scontri. Dopo l’omicidio, nella zona di Al Isawiya, gli scontri tra palestinesi e forze israeliane sono proseguiti per diversi giorni, provocando decine di feriti palestinesi (vedi sotto).

Ancora in Cisgiordania, durante proteste e diversi scontri, le forze israeliane hanno ferito 168 palestinesi, tra cui almeno sei minori [di seguito il dettaglio]. 134 di questi 168, (tra cui almeno tre minori) sono stati feriti durante scontri con forze israeliane avvenuti a seguito dell’uccisione del 21enne palestinese il 27 giugno (vedi sopra): 124 [dei 134] in quattro diverse occasioni verificatesi ad Al Isawiya (Gerusalemme Est) e altri 10 [dei 134] vicino a Bab Az Zawiya (Hebron). Altri 22 feriti sono stati registrati in scontri scoppiati in due operazioni di ricerca-arresto nel villaggio di Kobar e nel Campo profughi di Al Am’ari (entrambi a Ramallah). I venerdì successivi (21 e 28 giugno) un totale di dodici persone, tra cui tre minori, sono stati feriti durante le manifestazioni settimanali, tenute nel villaggio di Kafr Qaddum (Qalqiliya), contro l’espansione degli insediamenti e la violenza dei coloni. Altre tre persone [non conteggiate nel totale], tra cui una donna, sono state ferite il 19 giugno, in una manifestazione svoltasi nella città di Al Isawiya a Gerusalemme Est, per protestare contro le ricorrenti operazioni di ricerca condotte [dalle forze israeliane] nella città. Nell’Area H2 della città di Hebron, due palestinesi, un uomo di 53 anni ed il figlio 14enne, mentre tentavano di accedere, tramite il checkpoint 56, alla loro casa nella via Ash Shuhada, sono stati aggrediti fisicamente e feriti da soldati israeliani [non conteggiati nel totale].

In Cisgiordania, le forze israeliane hanno condotto 155 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato almeno 168 palestinesi, tra cui 13 minori. Il governatorato di Gerusalemme ha registrato la più alta quota di operazioni (41) e di arresti (56).

Il 29 giugno, poliziotti israeliani di confine hanno fatto irruzione nell’ospedale Al Maqased a Gerusalemme Est, interrompendo le prestazioni mediche di emergenza e arrestando due palestinesi. Secondo quanto riferito, stavano ricercando manifestanti feriti negli scontri avvenuti nelle aree di Al Isawiya e At Tur di Gerusalemme Est.

Nella zona C e a Gerusalemme Est, citando la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele (quasi impossibili da ottenere) le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 27 strutture di proprietà palestinese. Di conseguenza, 52 persone, tra cui 35 minori, sono state sfollate e altre 5.074 hanno subìto ripercussioni di entità diverse [di seguito il dettaglio]. Tre delle strutture demolite o sequestrate erano state fornite come assistenza umanitaria in risposta a precedenti demolizioni nei villaggi di Qusra e Majdal Bani Fadil (entrambi a Nablus). Tra le strutture colpite, 24 si trovavano in nove Comunità dislocate in Area C. Tra queste, la Comunità di pastori di Zatara al Kurshan (Betlemme), dove, il 27 giugno, sei strutture sono state demolite, provocando lo sfollamento di 46 persone, tra cui 32 minori. Tale Comunità si trova all’interno di una zona designata da Israele come “area militare chiusa”. In un’altra “area militare chiusa”, nel sud di Hebron, le forze israeliane hanno demolito un’abitazione presso la Comunità di pastori di Umm Fagarah, sfollando cinque persone, tra cui tre minori. A Barta’a ash Sharqiya (Jenin), in Area C, per mancanza di un permesso di costruzione, è stata sequestrata una roulotte, parte di un progetto per la gestione dei rifiuti. Il provvedimento ha colpito l’attuazione del progetto pensato per servire l’intero villaggio dove vivono circa 4.950 persone. Le restanti 13 strutture dislocate in Area C comprendevano due strutture abitative, cinque di sostentamento e quattro strutture agricole, oltre a due serbatoi d’acqua. Inoltre, tre strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, inclusa una nell’area di Ras al ‘Amud, dove una famiglia palestinese di sei persone, tra cui quattro minori, è stata costretta ad auto-demolire un ampliamento della propria casa.

Diciotto episodi aggressivi, perpetrati da coloni israeliani, hanno provocato il ferimento di tre palestinesi e danni a proprietà palestinesi [di seguito il dettaglio]. In tre episodi separati, avvenuti nella zona H2 della città di Hebron, tre palestinesi, tra cui un minore, sono stati aggrediti fisicamente e feriti da coloni. In altri tre episodi distinti, in base a riprese video realizzate da una Organizzazione per i Diritti Umani e secondo testimoni oculari, coloni israeliani provenienti, a quanto riferito, dagli insediamenti di Homesh, Yitzhar e Beitar Illit, hanno incendiato decine di ettari di terreni appartenenti a contadini di Madama e Burin (entrambi a Nablus) e Wadi Fuqin (Betlemme), danneggiando almeno 287 ulivi. In un ulteriore episodio, riferito da fonti della Comunità locale palestinese, coloni hanno vandalizzato altri 37 ulivi e alberelli appartenenti al villaggio di Surif (Hebron). A Yasuf (Salfit), in un’area il cui accesso richiede un preliminare coordinamento con le autorità israeliane, risulta che coloni abbiano dato fuoco a circa 0,5 ettari di terra coltivata a grano e orzo. In due distinti casi, coloni hanno anche spianato circa 1,5 ettari di terra a Wadi Fukin (Betlemme) e Khirbet Samra (Tubas), danneggiando le colture. Dall’inizio del 2019, OCHA ha registrato le segnalazioni di azioni di sradicamento, di incendio o di vandalizzazione di oltre 4.100 alberi perpetrate da coloni israeliani. Sulla media mensile, ciò rappresenta un aumento del 126% rispetto al 2018 e del 37% rispetto al 2017. Gli episodi rimanenti includono la vandalizzazione di 35 veicoli e le scritte offensive spruzzate su muri di case di Deir Istiya (Salfit), Beitin e Sinjil (entrambi a Ramallah).

Secondo fonti israeliane, in Cisgiordania, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani in tre occasioni: vicino a Gerusalemme, Betlemme e Ramallah. Risultano danneggiati almeno tre veicoli.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it