Guerra Israele-Palestina: funzionari del Dipartimento di Stato preparano dispacci di dissenso contro l’assalto a Gaza

Azad Essa, New York e Umar A Farooq, Washington

25 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha insediato l’Amministrazione più diversificata della storia, ma diversi funzionari ritengono di aver avuto solo incarichi simbolici.

Middle East Eye è a conoscenza del fatto che lo staff del Dipartimento di Stato americano sta preparando urgenti messaggi di dissenso sul sostegno di Washington all’incessante campagna di bombardamenti israeliani su Gaza.

Diverse fonti hanno riferito a MEE che allinterno del dipartimento le tensioni sono al culmine poiché i funzionari sono sempre più frustrati dallaperto sostegno dellamministrazione Biden a ciò che gli attivisti per i diritti umani chiamano crimini di guerra contro i palestinesi all’interno della Striscia di Gaza assediata.

MEE è venuta a conoscenza che diversi diplomatici sono combattuti tra restare al lavoro per cercare di influenzare la politica o andarsene per protestare contro il sostegno incondizionato di Biden ai bombardamenti israeliani e allimminente invasione di terra.

Da quando Israele ha iniziato il bombardamento aereo di Gaza in seguito allattacco del 7 ottobre da parte dei combattenti palestinesi provenienti da Gaza sono stati uccisi più di 6.000 palestinesi tra cui 2.000 minorenni.

Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno sfondato la barriera che separa la Striscia di Gaza assediata da Israele sono stati uccisi circa 1.400 israeliani.

IIn una bozza di dissenso visionata da MEE i diplomatici scrivono che l’attacco di Hamas contro Israele non può essere usato come giustificazione per portare Israele a compiere l’uccisione indiscriminata di persone innocenti a Gaza.

La bozza chiede la cessazione immediata delle ostilità in Israele, a Gaza e nella Cisgiordania occupata e supplica Washington di promuovere messaggi pubblici veritieri ed equilibrati verso la risoluzione della crisi che sta lentamente andando fuori controllo.

“Fino a quando i funzionari israeliani non faranno distinzione tra Hamas e i civili di Gaza e gli attacchi prenderanno di mira o minacceranno istituzioni civili come luoghi di culto, scuole o strutture mediche – Israele dovrà lavorare il doppio per rientrare nella adesione alle norme internazionali che tanto orgogliosamente, e giustamente, predichiamo ad altre nazioni”, dice il messaggio.

Il messaggio di dissenso è un documento presentato attraverso un canale interno che consente ai diplomatici di sollevare preoccupazioni o questioni contro le dannose decisioni di politica estera degli Stati Uniti e fa seguito alle voci secondo cui all’interno del Dipartimento di Stato si sta preparando “un ammutinamento” a causa del fermo sostegno pubblico di Biden alle azioni di Israele a Gaza.

Contattato per un commento un portavoce del Dipartimento di Stato ha detto a MEE: “Come pratica generale, non commentiamo i resoconti delle comunicazioni interne del Dipartimento”.

“In linea generale il canale del dissenso è stato a disposizione dei dipendenti fin dalla guerra del Vietnam e siamo orgogliosi che il Dipartimento abbia una procedura consolidata che consente ai dipendenti di articolare i disaccordi politici direttamente all’attenzione dei principali dirigenti del Dipartimento senza timore di ritorsioni.”

“L’ultima chance prima delle dimissioni”

Un diplomatico del Dipartimento di Stato ha detto a MEE che c’è la sensazione che i normali metodi di elaborazione delle politiche nel dipartimento abbiano fallito.

Nonostante le proteste dei nostri stessi funzionari, le denunce provenienti dal territorio, dalle organizzazioni internazionali e dall’opinione pubblica americana, non c’è stato alcun cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti con Israele se non quello di aumentare il sostegno e i finanziamenti per continuare a uccidere civili palestinesi innocenti,” riferisce la fonte chiedendo di parlare sotto anonimato.

“Un messaggio di dissenso è una delle nostre ultime chance, a parte le dimissioni, per informare il Segretario della gravità di questa situazione e far sapere al Dipartimento di Stato e alla leadership della Casa Bianca che chiediamo con decisione un cessate il fuoco immediato.

“Per lo meno verrà ufficialmente registrato che ci sono e ci sono stati tentativi da parte di funzionari del Dipartimento di Stato di fermare il genocidio in modo che le generazioni future possano assicurarsi che ciò non si ripeta mai più”, aggiunge la fonte.

La settimana scorsa diversi funzionari hanno riferito all’HuffPost che c’era una frustrazione diffusa per il rifiuto del segretario di Stato americano Antony Blinken di prestare ascolto a critiche e preoccupazioni.

Un altro funzionario dellamministrazione Biden, che ha parlato anche lui a condizione di anonimato, ha affermato che i vari messaggi sono stati presi in considerazione separatamente piuttosto che come un grande messaggio unitario di dissenso.

“Sembra davvero che ci siano molteplici iniziative diffuse e ciò è piuttosto raro. Per quello che posso dire non circola un’istanza organizzativa unitaria”, afferma il funzionario.

“Ci sono molte persone che non sono d’accordo con l’attuale politica stabilita dai vertici.”

Solo voci simboliche

Alcuni giorni dopo l’attacco a Israele, Blinken è volato per offrire le sue condoglianze al popolo israeliano. Durante la sua visita, ha equiparato Hamas all’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS), una mossa che secondo gli osservatori è stato interpretata come un via libera a Israele per ritorsioni con ogni mezzo necessario.

Lunedì Blinken ha tenuto un’audizione con rappresentanti di organizzazioni palestinesi e arabo-americane durante la quale si è discusso della loro crescente rabbia nei confronti di Biden per la sua gestione della guerra Israele-Gaza, ha riferito una fonte a The National.

Un articolo di Politico pubblicato martedì afferma che lamministrazione ha anche tenuto un’audizione con dipendenti musulmani, arabi e palestinesi.

Un funzionario ha detto a MEE che negli ultimi giorni c’è stato un maggior coinvolgimento tra i livelli più alti dellamministrazione e altri funzionari, compresi gli incaricati musulmani, più di 100 nellattuale amministrazione.

In precedenza Biden aveva pubblicizzato la sua amministrazione come la più diversificata nella storia degli Stati Uniti. Ma finora lamministrazione ha fatto ben poco per modificare il suo pieno sostegno agli sforzi bellici di Israele. Ha chiesto una pausa umanitaria per consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza, ma ha detto che non sosterrà un cessate il fuoco.

Il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby ha detto martedì che Washington non sosterrà un cessate il fuoco e che “in futuro civili innocenti verranno colpiti” a Gaza.

“Ciò contro cui io e molti dei miei colleghi ci scontriamo è il fatto che queste persone vengono coinvolte per poter sentire le loro varie voci. Ma se non ti sforzi di ascoltarle, sono solo dei gesti simbolici“, sostiene il funzionario, aggiungendo che molti dei dipendenti hanno in mente di dimettersi.

“So che alcuni di loro sono alla ricerca di un altro impiego perché attualmente non si sentono a proprio agio nel rappresentare l’amministrazione”, dice il funzionario.

Le voci dissenzienti sono la maggioranza

Secondo il funzionario uno dei motivi è che alcuni individui che non sono d’accordo con la politica dell’amministrazione e cercano di esprimere la loro opposizione “non vengono presi in considerazione”.

Finora solo un funzionario si è dimesso affermando di non poter sostenere moralmente il sostegno incondizionato di Washington alle azioni militari di Israele.

“Vorrei essere chiaro: l’attacco di Hamas a Israele non è stato solo una mostruosità ma la peggiore delle mostruosità”, ha scritto in una nota Josh Paul che ha lavorato per più di un decennio presso l’Ufficio per gli affari politico-militari del Dipartimento di Stato.

“Ma credo nel profondo della mia anima che la risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta che allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiori e più profonde sia per gli israeliani che per il popolo palestinese, e questo non va nella direzione degli interessi americani”.

Inoltre lapproccio dellamministrazione Biden non sembra corrispondere alla visione della guerra da parte dell’opinione pubblica americana. Secondo un recente sondaggio condotto dallorganizzazione progressista Data for Progress, il 66% di tutti i probabili elettori sostiene un cessate il fuoco e una riduzione del conflitto.

Penso che le manifestazioni di dissenso siano importanti in questi tempi, soprattutto per quelle persone che sono al servizio di questa amministrazione”, ha detto a MEE Ahmad Abuznaid, direttore esecutivo della Campagna Statunitense per i Diritti dei Palestinesi.

“Ma ciò che mi colpisce è che sembra che questa volta in realtà sia la maggioranza a dissentire e che il presidente stia operando sulla base di una posizione sostenuta in effetti da una piccola minoranza di persone”, aggiunge.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Ebrei israeliani chiedono: Basta con l’apartheid israeliano. Lettera aperta alla comunità internazionale

#IsraelisAgainstApartheid

Agosto 2021

Noi, ebrei israeliani, ci opponiamo alle azioni del governo israeliano e quindi dichiariamo il nostro impegno ad agire contro di esse. Ci rifiutiamo di accettare il regime suprematista ebraico e chiediamo alla comunità internazionale di intervenire immediatamente in difesa dei palestinesi a Gaza, in Cisgiordania, a Gerusalemme, in Galilea, nel Negev, a Lydda, Giaffa, Ramleh, Haifa e in tutta la Palestina storica.

Il suprematismo ebraico è la pietra angolare del regime israeliano e il suo coerente obiettivo è espellere e cancellare il popolo palestinese, la sua storia e la sua identità nazionale. Questo obiettivo si manifesta in continui atti di pulizia etnica mediante sfratti e demolizioni di case, brutale occupazione militare, negazione dei diritti civili e umani ed emanazione di una serie di leggi razziste culminate nella legge Stato-Nazione, che definisce lo Stato come “lo Stato Nazione del popolo ebraico ”, e solo di quest’ultimo.

Tutto ciò costituisce di fatto un regime di apartheid che crea aree simili a bantustan e ghetti per le comunità native palestinesi. Crediamo che il sionismo sia un principio di governo non etico che porta intrinsecamente a un regime di apartheid razzista che per oltre settanta anni ha commesso crimini di guerra e negato ai palestinesi i diritti umani fondamentali. Tali crimini e violazioni includono: la distruzione di centinaia di città e villaggi e il loro spopolamento di 750.000 palestinesi nel 1948, impedendo nel contempo attivamente il ritorno dei rifugiati; l’espropriazione sistematica delle terre dei palestinesi e il loro trasferimento a proprietari ebrei sotto gli auspici dello Stato; l’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza e delle alture del Golan e la messa in pratica di un regime militare colonizzatore, che governa su milioni di palestinesi; la graduale annessione dei territori occupati nel 1967 con una violenta operazione di ingegneria demografica; l’assedio in corso contro la Striscia di Gaza e i persistenti massacri della popolazione di Gaza da parte dell’aviazione israeliana; la persecuzione politica dei palestinesi in tutta la Palestina e l’incitamento in corso contro la leadership politica e la società in generale. Tutte queste atrocità hanno luogo a causa dell’impunità di cui Israele gode da parte della comunità internazionale e in particolare degli Stati Uniti.

Nelle ultime settimane, il governo israeliano ha aumentato i suoi tentativi di impossessarsi di case palestinesi a Gerusalemme Est (specialmente nel quartiere di Sheikh Jarrah) e ospitarvi coloni ebrei con l’obiettivo di completare l’ebraizzazione della città iniziata nel 1967. Durante il mese di Ramadan le forze israeliane hanno intensificato il loro violento assalto al complesso della moschea di Al Aqsa, dando ai coloni il via libera per vandalizzare e aggredire fisicamente i palestinesi in Cisgiordania, Gerusalemme e in tutti i territori del ’48. Folle di coloni agiscono sotto l’egida della polizia israeliana e in coordinamento con essa. I media israeliani stanno partecipando alla sfrenata istigazione contro i cittadini arabi di Israele. Di conseguenza, le bande di ebrei godono dell’impunità per la loro violenza, mentre centinaia di cittadini palestinesi di Israele vengono arrestati per aver protetto le proprie case e comunità, o semplicemente per essere stati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

Di tanto in tanto Israele commette un ulteriore massacro contro la popolazione del ghetto di Gaza, rifiutando iniziative e proposte di cessate il fuoco con le organizzazioni palestinesi nella Striscia di Gaza e continuando con la distruzione di quartieri residenziali nella Striscia di Gaza e con il brutale assedio imposto contro circa due milioni di persone.

Come individui che si trovano dalla parte dell’oppressore e che hanno cercato per anni di spostare l’opinione pubblica in Israele al fine di cambiare dalle fondamenta l’attuale regime, siamo da molto tempo giunti alla conclusione che è impossibile cambiare il regime suprematista ebraico senza un intervento esterno.

Chiediamo alla comunità internazionale di intervenire immediatamente per fermare le attuali aggressioni israeliane, di accogliere le richieste del movimento palestinese per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni, di agire per l’attuazione del diritto al ritorno dei palestinesi e per realizzare la giustizia storica, di raggiungere una soluzione giusta e democratica per tutti, basata sulla decolonizzazione della regione e sulla fondazione di uno Stato di tutti i suoi cittadini.

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

#IsraelisAgainstApartheid

  1. Ruchama Marton

  2. Reuven Abergel

  3. Anat Matar

  4. Orly Noy

  5. Yehouda Shenhav

  6. Ilan Pappe

  7. Moshé Machover 

  8. Rela Mazali

  9. Prof. Emmanuel Farjoun

  10. Ronit Lentin

  11. Marcelo Svirsky

  12. Hannah Safran

  13. Michel Warshawski

  14. Jeff Halper

  15. Hanna Zohar

  16. Eyal Sivan

  17. Melissa Danz

  18. Tal Dor

  19. Aya Kaniuk

  20. Shiri Eisner

  21. Shaul Tcherikover

  22. Rana Saba

  23. Esther Rapoport

  24. Yossef Mekyton

  25. Revital Sella

  26. Haley Firkser

  27. Michal Raz

  28. Avi Liberman

  29. Amitai Ben-Abba

  30. Shlomo Owen

  31. Shmuel Merzel

  32. Maayan Geva

  33. Hillel Garmi

  34. Zohar Atai

  35. Dina Hecht

  36. Naama Farjoun

  37. Ehud Shem Tov

  38. Daniel Roe

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  40. Guy Avni

  41. Daniella Cramer

  42. Yonatan Shapira

  43. Einat Weizman

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  47. Ofer Neiman

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  79. Kobi Snitz

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  101. Ofra Yeshua-Lyth

  102. Moshe Eliraz

  103. Elfrea Lockley

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  105. Oriana Weich

  106. Reut Ben-Yaakov

  107. Doaa Abunasa

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  109. Tia Levi

  110. Bosmat Gal

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  112. Udi Raz

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  124. Vered Bitan

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  131. Nadav Franckovich

  132. Irit Segoli

  133. Maya Reggev

  134. Yam Nir-Bejerano

  135. Abey Mizrahi

  136. Hadas Leonov

  137. Tair Borchardt

  138. Yehudith Harel

  139. Yael Politi

  140. Itamar Shapira

  141. Regev Nathansohn

  142. Liad Kantorowicz

  143. David Benarroch

  144. Uri Gordon

  145. Zohar Efron

  146. Reuben Klein

  147. Yisrael Puterman

  148. Erica Melzer

  149. Yaara Benger Alaluf

  150. Anat Guthman

  151. Erella Grassiani

  152. Daniel Palanker Chas

  153. Einat Podjarny

  154. Yael Lerer

  155. Ya’ara Peretz

  156. Shirli Nadav

  157. Lihi Joffe

  158. Danielle Parsay

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  161. Tslil Ushpiz

  162. Ella Janatovsky

  163. Nily Gorin

  164. Ora Slonim

  165. Rachel Hagigi

  166. Nahed Ghanayem

  167. Maayan Ashash

  168. Ruth Rosenthal

  169. Debby Farber

  170. Nicole Schwartz

  171. Sahar Vardi

  172. Hilla Dayan

  173. Rana Sawalha

  174. Galit Saporta

  175. 0-Michaela Reisin

  176. Adi Golan Bikhnafo

  177. Sharon Avraham

  178. Noa Roei

  179. Elliot Beck

  180. Jair Straschnow

  181. Haim Bresheeth-Zabner

  182. Amir Vudka

  183. Alma Ganihar

  184. Atalia Israeli Nevo

  185. Itamar Liebergall

  186. Jonathan Pollak

  187. Livnat Konopny Decleve

  188. Yanai Himelfarb

  189. Sigal Ronen

  190. Merav Devere

  191. Shiri Wilk Nader

  192. Dror K Levi

  193. Yael Perlman

  194. Laurent Schuman

  195. Ferial Himel

  196. Ester Nili Fisher

  197. Abo Kouder Gaber

  198. Ur Shlonsky

  199. Rachel Giora

  200. Judit Druks

  201. Miri Michaeli

  202. Tal(y) Wozner

  203. Meir Amor

  204. Souraya Abeid

  205. Alon Benach

  206. Roni Gechtman

  207. Rahel Wachs

  208. Anat Rosenblum

  209. Yoav Beirach

  210. Dorit Naaman

  211. Noa Vidman

  212. Dror Dayan

  213. Ruthie Pliskin

  214. Yaara Shaham

  215. Inbar Tamari

  216. Herzl Schubert

  217. Assif Am-David

  218. Nadia Cohen

  219. Rachel Yagil

  220. Rani Nader Wilk

  221. Gony Halevi

  222. Tamar Katz

  223. Chagit Lyssy

  224. Sam Shtein

  225. Michal Baror

  226. Doron Ben David

  227. Miki Fischer

  228. Zhava Grinfeld

  229. Aviya Atai

  230. Nimrod Ronen

  231. Judith Tamir

  232. Yotam Ben-David

  233. Alex Cohn

  234. Avital Barak

  235. Maayan Vaknin

  236. Tamar Yaron

  237. Orit Ben David

  238. Maia Bendersky

  239. Oran Nissim

  240. Roni Tzoreff

  241. Udi Adiv

  242. Lilach Ben David

  243. Ayelet Yonah Adelman

  244. Tal Berglas

  245. Ronit Milano

  246. Terry Greenblat

  247. Mie Shamir

  248. Oren Lamm

  249. Ayelet Politi

  250. Udi Aloni

  251. Hava Ortman

  252. Liat Hasenfratz

  253. Marie Berry

  254. Revital Elkayam

  255. Asaf Calderon

  256. Nitza Aminov

  257. Isaac Johnston

  258. Amos Brison

  259. Michael Treiger

  260. Hadas Binyamini

  261. Sirli Bahar

  262. Ron Naiweld

  263. Maria Chekhanovich

  264. Yehonatan Chekhanovich

  265. Lisa Kronberg Chitayat

  266. Moriah Lavey

  267. Guy Yadin Evron

  268. Eran Efrati

  269. Zohar Weiss

  270. Orit Zacks

  271. Arielle Bareket

  272. Sarah Raanan

  273. Dana Dahdal

  274. Zvi Gaster

  275. Raz BDV

  276. Emad Housary

  277. Mika Zacks

  278. Dorit Argo

  279. Lorraine Evrard

  280. Micha Kaplan Chetrit

  281. Hadar Kleiman

  282. Talma Bar-Din

  283. Orit Friedland

  284. Tali keren

  285. Oded Carmi

  286. Hadas Rivera-Weiss

  287. Avi Blecherman

  288. Lior wachtel

  289. Avi Greenman

  290. Dina Leibermann

  291. Zurqab Razaq

  292. Tamir Sorek

  293. Oded Jacob

  294. Itamar Avraham Cohen Scali

  295. Chen Israel

  296. Rand Warren Aronov

  297. Gila Avni

  298. Bekah Wolf

  299. Alon Lapid

  300. Ehud Kotegro

  301. Entissar kharoub

  302. Lotem Zabinski

  303. Shai Carmeli Pollak

  304. Yael Admoni

  305. Hen Levi

  306. Shahar Tsameret

  307. Elik Nir

  308. Nir Nader

  309. Zoe Gutzeit

  310. Ossi Ron

  311. Raanan Alexandrowicz

  312. Sima Sason

  313. Ehud Sivosh

  314. Elías Deik Halabi

  315. Ben Gershovitz

  316. David Kortwa

  317. Gina Ben David

  318. Liel Green

  319. Evyatar shamir

  320. Tom Mosek

  321. Yael rozanes

  322. Anna Fox

  323. Ruhama Weiss

  324. Tirtza Tauber

  325. David Nir

  326. Coral Cohen

  327. Ayoub mohareb

  328. Daniel Roth

  329. Oz Shelach

  330. Rona Even Merrill

  331. Anat Biletzki

  332. Shachaf Polakow

  333. Michael Kaminer

  334. Yaffit Windler

  335. Maya Wind

  336. Max Somerstein

  337. Hillel Barak

  338. Yaron Ben-Haim

  339. Ori Goldberg

  340. Milan Shiff

  341. Sivan Ben-Hayun

  342. Elana Wesley

  343. Tali Baram

  344. Hannah Goldman

  345. Ronen Meshulam

  346. Rotem Bahat

  347. Toviel Rose

  348. Miriam Meir

  349. Sivan Tal

  350. Naama Golan

  351. Ruth Lackner Hiller

  352. Afia Begum

  353. Gaia Beirak

  354. Assa Doron

  355. Ze’ev Ionis

  356. Mira Khazzam

  357. Matan S. Cohen

  358. Smadar Carmon

  359. Amira Tasse

  360. Shelly Yosha

  361. Tal Frieden

  362. Shai Shabtai

  363. Leah Even Chorev

  364. Reva Damir

  365. Iris Stern Levi

  366. Wael Sayej

  367. Ronit Marian Kadishay

  368. Freda Guttman

  369. Diana Dolev

  370. Annelien Kisch-Kroon

  371. Debbie Eylon

  372. Galit Eilat

  373. Daniel Gagarin

  374. Eyal Mazor

  375. Yael Messer

  376. Omri Goren

  377. Rachel Hayut

  378. Daphne Banai

  379. Nadav Harari

  380. Kamal Manzur

  381. Meital Yaniv

  382. Yudit Yahav

  383. Elisheva Gavra

  384. Dalia Sachs

  385. Angela Godfrey-Goldstein

  386. Shlomo Perets

  387. Idit Nathan

  388. Haim Yacobi

  389. Edna Gorney

  390. Hilla Kerner

  391. Naomi Raz

  392. Nir Lutati

  393. Daniel Ayzenberg

  394. Hava halevi

  395. Rona Sela

  396. Racheli Bar-Or

  397. Ruti Kantor

  398. Ayelet ophir

  399. Noki Olchovski

  400. Nina Jawitz

  401. Ma’ayan Levi

  402. Effi Ziv

  403. Reshef Agam-Segal

  404. Rami Heled

  405. Dalit Fresco

  406. Mirit Barashi

  407. Ido Even Paz

  408. Yoel Lion

  409. Michal Margaliot

  410. Tali Bromberg

  411. Sharon Cohen

  412. Hilla Bar-om

  413. Yuval Tenenbaum

  414. Lilit Bartana

  415. Gilad Nir

  416. Yael Gvirtz

  417. Namer Golan

  418. Ofir Shahar

  419. Maya Herman

  420. Guy Ronen

  421. Gidon Raz

  422. Ron Barkai

  423. Assaf Rotman

  424. Aaron Turgeman

  425. Asaf Ronel

  426. Nurit Peled-Elhanan

  427. Mia Perelmuter

  428. Sarit Tamura

  429. Or Glicklich

  430. Roni Meyerstein

  431. Ofra Hoffman

  432. Eran Razgour

  433. Shai Gortler

  434. Jacob Katriel

  435. Ofer Shinar Levanon

  436. Heidi Stern

  437. Orly Dumitrescu

  438. Rotem Levin

  439. Atalia Omer

  440. Yossi Shabo

  441. Michal Schwartz

  442. Itay Snir

  443. Roy Wagner

  444. Ella Gur

  445. Hadar Solomon

  446. Esther Bar Nathan

  447. Jonathan Preminger

  448. Moria Rabbani

  449. Yeela Lahav Raz

  450. Miriam Turmalin

  451. Tuly Flint

  452. Ori Ben Shalom

  453. Rom Yan

  454. Naftali Orner

  455. Maya Ron Levinger

  456. Aaron Paz

  457. Liat Bar-oz

  458. Adili Liberman

  459. Barak Heymann

  460. Miki Levy

  461. Noam Keim

  462. Ruth Varon

  463. Tamir Erlich

  464. Amjad Darwish

  465. Annie Ohayon

  466. Noga Wolff

  467. Nadav David

  468. Dr Moshe Behar

  469. Hila Rubinstein

  470. Anna Waisman

  471. Yehonatan Ben Yisrael

  472. Mazal Etedgi

  473. Yuval Naor

  474. Rotem Marty

  475. Maya Paz

  476. Yael Meron

  477. Danae Elon

  478. Gali Schell

  479. Anna Kleiman

  480. Or Shloman

  481. Gili Sercarz

  482. Natali Kalnitski

  483. Ohad Bracha

  484. Moriel Ram

  485. Eliezer Moav

  486. O-Ren Horowitz

  487. Ilana Bernstein

  488. Tamar Aviyah

  489. Hugit Rubinstein

  490. Dafna Kaplan

  491. Yakov Pipman

  492. Netta Toledano

  493. Daphna Levit

  494. Noa Bar Hain

  495. Yuval Graff

  496. Amit Ben Haim

  497. Noga Eilon

  498. Alma Katz

  499. Yom Omer

  500. Moshe Yamo

  501. Noga Hurvitz

  502. Arie Finkelstein

  503. Tali Rabin

  504. Romi Marcia Bencke

  505. Ilana Machover

  506. Michal Cohen

  507. Sigal Primor

  508. Michal Gabay

  509. Lea Pipman Dotan

  510. Yotam Ben Meir

  511. Kochav Shachar

  512. Haim Scortariu

  513. Dotan Moreno

  514. Gaya Feldheim Schorr

  515. Ariel Koren

  516. Layla Natour

  517. Maayan Iyar Averbuch

  518. Gilad Ben David

  519. Maya Eshel

  520. Itai Vonshak

  521. Matan Sandler Tadmor

  522. Hagit Borer

  523. Sharon Shmuel

  524. Yosefa Loshitzky

  525. Noga Emuna Avisar

  526. Aya Kook

  527. Gabriel Schubiner

  528. Elham Rokni

  529. Tamar Goldschmidt

  530. Avigail y. Zeleke

  531. Ofer Tisser

  532. Revital Madar

  533. Elana Lakh

  534. Zohar Regev

  535. Elana Summers

  536. Chava Finkler

  537. Sharon Orshalimy

  538. Guy Elhanan

  539. Michal Schendar

  540. Shir Darwin Regev

  541. N.Nur Zahor

  542. Ori Rom

  543. Noa Schwartz

  544. Anita S. Maroun

  545. Hani Abramson

  546. Glick Moshe

  547. Ortal Mizrahi

  548. Noam Schechter

  549. Yulie Cohen

  550. Eviatar Bach

  551. Amnon Keren

  552. Ella Levenbach

  553. Omer Shokron

  554. Shira Shvadron

  555. Gadi Schnitzer

  556. Natalie Rothman

  557. Ron Cohen

  558. Michal Halevy

  559. Shelly Mehari

  560. Andrea Koverman

  561. Ira Perelson

  562. Aviv Liplis

  563. Syed Fatima Hossain

  564. Yoav haas

  565. Vardit Goldner

  566. Nitzan Lebovic

  567. Nomi Drory

  568. Sivan Barak

  569. Gabriela Vollick

  570. Avi Incisiker Cohen

  571. Raya Fidel

  572. Maya Ober

  573. Itamar Feigenbaum

  574. Agan Tsabari

  575. Ronit Milo

  576. Lenny Lapon

  577. Alon Stotter

  578. Yael Kahn

  579. Moran Barir

  580. Omri Haven

  581. Felix Laub

  582. Daniella Aperlev

  583. Sarah Shapiro

  584. Yvonne Deutsch

  585. Itamar Stamler

  586. Lia Tarachansky

  587. Naava Weiner

  588. Daniella Krishevsky

  589. Efrat Levy

  590. Howard Cohen

  591. Daniel Flexer

  592. Victor Herstigg

  593. Julie Weinberg-Connors

  594. David L. Mandel

  595. Hanan Offner

  596. Ayelet Ben-Yishai

  597. Itay Sapir

  598. Nizan Weisman

  599. Bryan Atinsky

  600. Naama Or

  601. Talia Krevsky

  602. Mali Assaf

  603. Tom Sela

  604. Maya Mukamel

  605. Sigal Oppenhaim Shachar

  606. Elizabet Freund

  607. Yossi Cohen

  608. Itzik Gil

  609. Nomi Shir

  610. Haitham Salim

  611. Simma Chester

  612. Omri Cohen

  613. Gil Mualem-Doron

  614. Erez Moshe Amit

  615. Ehud Tamuz

  616. Tom Koren

  617. Rachel Milstein

  618. Gil Freund

  619. Yael Shein

  620. Rechavia Berman

  621. Shoshana Kahn

  622. Tania Jones

  623. Christoph Bugel

  624. Gaby Ron

  625. Mieka Polanco

  626. Naomi Lyth

  627. Ruth Noemi Pragier

  628. Tali Harkavi

  629. Danielle zini

  630. Mohammed Patel

  631. Yam-Nir Bejerano

  632. Sara Almog

  633. Susan Ettinger

  634. David Miller

  635. Michal David

  636. Yana Knopova

  637. Omer Shamir

  638. Simeon S. Jacob

  639. Ruth Sevack

  640. Lee Hemminger

  641. Jonatan Israel

  642. Nora Gottlieb

  643. Roni Roseman

  644. Omer Sharir

  645. Mijal Kimel

  646. Ilya Ziblat Shay

  647. Lian Malki-Schubert

  648. Aviv Nitsan

  649. Valerie Malki

  650. Omar Mahmoud

  651. Oz Malul

  652. Yael Edri

  653. Amir Zloof

  654. Sirah Foighel

  655. Keren Manor

  656. Eli Aminov

  657. Abigail Yanow

  658. Hagit Zohara M

  659. Daphna Thier

  660. Maya Lerman

  661. Yuula Benivolski

  662. Shlomit Altman

  663. Ivy Sichel

  664. Anael Resnick

  665. Tamar Sarfatti

  666. Irit Halperin

  667. Yaar Koren

  668. Ada Bilu

  669. Julieta Kriger

  670. Jackie Yarosky

  671. Uri Rodberg

  672. Mohammedi Fatima

  673. Maayan Priel

  674. Hadas Kedar

  675. Michal Peleg

  676. Hava Lerman

  677. Tal Nitzan

  678. Einat Amir

  679. Mia Kerner

  680. Gil Schneider

  681. Tzvia Thier

  682. Marina Ergas

  683. Irit Halavy

  684. Shahar Shnitzer

  685. Ibrahim Hawash

  686. Avishay Halavy

  687. Raphael Cohney

  688. Eran Stoler

  689. Dafi Cramer

  690. Or Gerlitz

  691. Anat Natasha Camran

  692. Hadas Thier

  693. Shachar Camran

  694. Dr. Ariela Bairey Ben Ishay

  695. Sr. Mary Beth Orr

  696. Oren Yehosha

  697. Rebecca Maria Goldschmidt

  698. Ohal Grietzer

  699. Mauricio Calderón F

  700. Nir Harel

  701. Yahav Erez

  702. Oz Marinov

  703. Zohar Alon

  704. Yiskah Bashevis

  705. Ilan Blumberg

  706. Amit Perelson

  707. Sarah Shartal Levinthal

  708. Simcha Stecklov

  709. Noga Elhassid

  710. Elia Koutavas

  711. Esther Kingston-Mann

  712. Mohd Isa Maaroff

  713. David Pollack

  714. Rina King

  715. Batya Gil Margalit

  716. Tamar Verete

  717. Tami Gold

  718. Khalil Toama

  719. Aviva Wexler

  720. Tamar Dover

  721. Hester Eisenstein

  722. Hamutal Fishman

  723. Shlomit Yerushalmi

  724. Dina Afek

  725. Avigail Yanow

  726. Dani Wachsmann

  727. Vered Keasar

  728. Ahmad Awad

  729. Adi Raz

  730. Shimrit Karni

  731. Lilach Ram Chupak

  732. Tamar Zamir

  733. B.H. Yael

  734. Dr. Amir Locker-Biletzki

  735. Jessica Falstein

  736. Yael Vishnizki-Levi

  737. Mela Itzhaki

  738. Shira Bitan

  739. Shir Hever

  740. Orna Meir

  741. Noa Moguillansky

  742. David Gilad

  743. Syeda Afia Sarah Hossein

  744. Hen Magen

  745. Shelli Ben Shachar

  746. Noa Poliakin Dotan

  747. Yossi Farjoun

  748. Uzi Nitsan

  749. Maya Azran

  750. Rotem Anna Diamant

  751. Rotem Linial

  752. David Cohen

  753. Shahar Zaken

  754. Yael Ben-Chaim

  755. Netanel Ben Yarden

  756. Bar Maor Neeman

  757. Ayelet Desta

  758. Ari Gold

  759. Ofra Ben Artzi

  760. Gioia Morris

  761. Layla Klinger

  762. Adi Savran

  763. Ari Gutman

  764. Sarah kashlan

  765. Sahar Khalil

  766. Gabriela Zappi

  767. Rann Bar-On

  768. Eitan Bronstein

  769. Michal Shalva

  770. Safeyah Levy

  771. Shiraz Grinbaum

  772. Sigal Kook Avivi

  773. Nizan Shaked

  774. Elimelech Dror

  775. Pnina Grietzer

  776. Dror Feiler

  777. David Tsinovoy

  778. Asma Daragmeh

  779. Imad Sayeed

  780. Yasmin Eran-Bardi

  781. Yael Plat

  782. Tal Gilad

  783. Omer Krieger

  784. Ofer Engel

  785. Omri Eran Vardi

  786. Shelley Sella

  787. Gili Lavy

  788. Gadi Cohen

  789. Alisa Klein

  790. Eden Mitsenmacher

  791. Meshulam Plaves

  792. Noa Assido

  793. Rubén Kotler

  794. Oreet Ashery

  795. Sigal Flint

  796. Yonah Gabbai

  797. Shira Inbar

  798. Orit Levy

  799. Roee Rosen

  800. Alma Ben Yossef

  801. Karen Russo

  802. Ilan Dadon

  803. Hadar Ben-Simon

  804. Ofer Gazit

  805. Michal Zak

  806. Dori Tal

  807. Maytal Strul

  808. Alma Halpern

  809. Ophir Gilad

  810. Udi Pladott

  811. Daniel Shaya

  812. Shlomo Regev

  813. Arie David Plat

  814. Zehava Greenfeld

  815. Sharon Mantel

  816. Shlomi Fogel

  817. Daniela Ma-yafit

  818. Anka Schneidermann

  819. Tal Iungman

  820. Maya Guttmann

  821. Naomi Kallner

  822. Osama Zatar

  823. Adi Ben Yaccov

  824. Carmit Wolberg

  825. Liat Fassberg

  826. Merav Amir

  827. Keren Samuel Dalach

  828. Noga inbar

  829. Yeheli Cialic

  830. Einat Walter

  831. Rivka Warshwsky

  832. Nait Rosenfelder

  833. Adi Maoz

  834. Michal Ben-Gera

  835. Irit Reinheimer

  836. Debby Lerman

  837. Lillian Rosengarten

  838. Aviva Konforty

  839. Tai Shani

  840. Hannah Kessler

  841. Henry Lowi

  842. Yoram Gelman

  843. Noa Farbstein

  844. Yael Tal-Barzilai

  845. James Marks

  846. Miriam Marmur

  847. Daniel Alexander Machover

  848. Yaar Peretz

  849. Marc Volovic

  850. Nufar Shimony

  851. Elana Golden 

  852. Tamir Lederberg

  853. Omer Katz

  854. Abe Hayeem

  855. Michael Schell

  856. Adam Shulman

  857. Sagi Raveh

  858. Tamar Gordon

  859. Orit Loyter

  860. Guy Oron

  861. Bracha Flicoteaux

  862. Roni Wang

  863. Nina Sodin

  864. Irit Sela

  865. Dalia Hager

  866. Hili Razinsky

  867. Alex Nissen

  868. Rivka Vitenberg

  869. Sarah Magen

  870. Shelly Nativ

  871. Yehudit Yinhar

  872. Gal Lugassi

  873. Matan Prezma

  874. Nomi Erteschik-Shir

  875. Elya Kravtsov

  876. Rachel Freudenthal

  877. Sophie Paulay

  878. Edna Kadman

  879. Michal Kaiser-Livne

  880. Elinor Azari

  881. Adi Shechter

  882. Anna Aharon

  883. Roni Sharabi

  884. Nora Bendersky

  885. Lior Elefant

  886. Avshalom Rov

  887. Daniel Shoshan

  888. Nir Falah

  889. Rachel Algazi

  890. Yara Agbaria

  891. Raz Weiner

  892. Nadia Jona

  893. Noga Spector

  894. Ofek Taragan

  895. Varda Heled

  896. Avi-ram Tzoreff

  897. Ronen Skaletzky

  898. Ron-Ethan Melamed

  899. Tal Marom

  900. Erella Shadmi

  901. Iftach Starik

  902. Sine Gadot

  903. Matan Golan

  904. Pepe Goldman

  905. Nabil Alfayoumi

  906. Gilad Paz

  907. Amit Salomon

  908. Iftach Shavit

  909. Batel Glor

  910. Yael Koren

  911. Mordechai Shilo

  912. Daphna Shochat

  913. Zuraya Hadad

  914. Yael Shoham

  915. Aharon Michael Keiser

  916. Daniel Avi Schneider

  917. Nitzan Marinov

  918. Rachel Barlow

  919. Gilad Ben Ari

  920. Talia Zohar

  921. Noga Kadman

  922. Ruben Serroussi

  923. Dafna Lichtmam

  924. Alma Itzhaky

  925. Ira Avneri

  926. Naor Ben Yehoyada

  927. Tamar Katriel

  928. Dochy Lichtensztajn

  929. Noa Shuval

  930. Ree Levin

  931. Ilana Zabari

  932. Jonathan Ofir

  933. Ayelet Chen

  934. Dov Caller

  935. Maya Goldman

  936. Ophir Hodel

  937. Rivka Pearl Etkin

  938. Rona Sela

  939. Tamar Fortuna

  940. Yifat Susskind

  941. David Opp

  942. Aviad Albert

  943. Cindy Goldstein

  944. Elhanan Lax

  945. Aryeh Shomron

  946. Shlomit Altman

  947. Nirit Sommerfeld

  948. Rotem Sudman

  949. Dror Dayan

  950. Dorit Shippin

  951. Veronica Hamutal

  952. Eyal Vexler

  953. Adi Lustigman

  954. Tally Gur

  955. Ofira Henig

  956. Shmuel Binyamin

  957. Diego Lewin

  958. Taliah Pollack

  959. Dror Sprung

  960. Inbar Birak

  961. Ben Ronen

  962. Daniel Solomon

  963. Alison Carmel

  964. Vardit Goldner

  965. Racheli Said

  966. Omri Najad

  967. Maya Eshet

  968. Nurit Dreamer

  969. Ofra Danon

  970. Tomer Avrahami

  971. Shimon Azulay

  972. Einav Kaplan Raz

  973. Noam Ben Chorin

  974. Eyal Hareuveni

  975. Shaked Kaufmann

  976. Irena Shofaniyeh 

  977. Iddo Naiss

  978. Asaf Bass

  979. Hillel David Greenwald

  980. Maayan Levi

  981. Asher Fried

  982. Asia Weksler

  983. Nadia Jona

  984. Itai Feitelson

  985. Hedva Isachar

  986. Ruth Erez

  987. Yossi Zabari

  988. Rina Goren

  989. Tali Bromberg

  990. Hillai Peli

  991. Goni Raz

  992. Shai Tal

  993. Guy Sapirstein

  994. Shahar Or

  995. Odelia Toder

  996. Neria Biala

  997. Ilana Meystelman

  998. Naor Urian

  999. Asaf Achai

  1000. Lior Kariel

  1001. Talia Vekshtein

  1002. Efrat Noy

  1003. Ruthie Ginsburg

  1004. Haya Livne

  1005. Daphna Ganor

  1006. Nama Landau

  1007. Daniela Darvasi

  1008. Mati Kroin

  1009. Ofir Sovan

  1010. Doron Orr

  1011. Alona Amram

  1012. Yuval Tirosh

  1013. Ron Amit

  1014. Emmanuel Jakob Auerbach

  1015. Yuval Benari

  1016. Dafna Saporta

  1017. Maayan Shtendel

  1018. Hila Amar

  1019. Oded Zinger

  1020. Shirli Tepper

  1021. Daniella Kaufman

  1022. Zohar Peled

  1023. Liane Rosenthal

  1024. Eitan Shaag

  1025. Daniel Jacobowitz

  1026. Guy Meltzer

  1027. Nirit Haviv

  1028. Oren Elbaz

  1029. Efrat Bella Levy

  1030. Sabi Yafffa

  1031. Eddie Saar

  1032. Maya Rizov

  1033. Galia Chai

  1034. Addi Ilan

  1035. Tammy Avichail

  1036. Diana Gilon

  1037. Tamara Pratt

  1038. Erin Toledano Farajov

  1039. Dora Lavie

  1040. Fanny Prizant

  1041. Yakov Horn




Il ruolo del Quartetto è di minare la democrazia palestinese

Motasem A. Dalloul*

13 aprile 2021 – Monitor de Oriente

Il 23 marzo ho ricevuto una mail da Murad Bakri, responsabile della comunicazione strategica e dell’informazione pubblica dell’Ufficio del Coordinatore Speciale ONU per il Processo di Pace in Medio Oriente. Bakri voleva farci sapere che il “Quartetto per il Medio Oriente” continua ad esistere ed è disposto a riprendere la sua mediazione per la pace tra Israele e i palestinesi.

Gli inviati del Quartetto per il Medio Oriente dell’Unione Europea, della Federazione Russa, degli Stati Uniti e delle Nazioni Unite si sono riuniti da remoto per discutere il ritorno a negoziati significativi che portino a una soluzione dei due Stati, compresi passi concreti per migliorare la libertà, la sicurezza e la prosperità di palestinesi e israeliani, cosa che di per sé è importante,” afferma il comunicato ufficiale.

Ricordo le riunioni infinite tra il Quartetto e i funzionari israeliani e palestinesi dal 2002, quando venne creato, al 2014, quando i colloqui di pace fallirono. Durante quel periodo il Quartetto si sforzò in apparenza di raggiungere una soluzione, che significava fondamentalmente la creazione di uno Stato palestinese disarmato e con frontiere permanenti accanto a Israele.

In realtà non si ottenne niente, e il Quartetto rilasciò la sua ultima dichiarazione il 22 luglio 2017. Un anno prima, il 7 luglio 2016, aveva pubblicato un rapporto che affrontava le minacce al processo di pace e formulava raccomandazioni per progredire nella soluzione a due Stati. Il rapporto accusava i palestinesi di continuare con la violenza rappresentata dalla messa in pratica di “atti di terrorismo contro gli israeliani e istigazione alla violenza.”

Il rapporto non citava le migliaia di palestinesi assassinati dagli israeliani dalla formazione del Quartetto (e, di fatto, dalla creazione di Israele stesso) né l’uso di forza letale da parte di Israele contro i civili palestinesi. Non citava neppure le migliaia di palestinesi, tra cui minorenni, che subivano dure condizioni nelle carceri israeliane né le centinaia di palestinesi che sono detenuti per mesi e anni senza accuse né processo. Prima della lunga ibernazione, il Quartetto disse che Israele doveva fermare l’espansione delle colonie e togliere le restrizioni imposte alla Striscia di Gaza assediata. Accusò anche Israele del mancato sviluppo adeguato nei territori occupati.

Benché il Quartetto abbia segnalato il COVID-19 per giustificare la propria resurrezione, credo che la vera ragione sia agire in nome di Israele e degli Stati Uniti per sabotare la democrazia palestinese, il suo principale obiettivo da quando esiste. Nathalie Tocci, politologa italiana esperta in relazioni internazionali specializzata nel ruolo dell’Unione Europea nelle questioni internazionali e nel mantenimento della pace, ha detto in uno studio pubblicato nel 2011: “Tutte le iniziative del Quartetto… sono state risposte a stimoli provenienti da USA e Israele.”

Il Quartetto venne creato quando la Seconda Intifada palestinese – rivolta popolare contro l’occupazione israeliana – era diventata più feroce. Il gruppo spacciò la “roadmap verso la pace” degli Stati Uniti nel tentativo di coinvolgere i palestinesi nelle conversazioni di pace e far loro cambiare idea riguardo al loro diritto alla resistenza, legittimato dalle leggi e convenzioni internazionali. Era chiaro che il Quartetto non era altro che uno strumento di Washington al servizio di Israele, un sofisticato randello con cui colpire i nemici di Israele.

“Disgraziatamente le attività (del Quartetto) hanno rispecchiato i tentativi infruttuosi dell’UE di inquadrare le iniziative statunitensi in un contesto multilaterale oppure i tentativi fruttuosi degli Stati Uniti di dare una copertura multilaterale alle azioni unilaterali,” spiega Tocci. Ciò chiarisce il ruolo del Quartetto.

Possiamo dire con convinzione che le posizioni degli Stati Uniti sulla Palestina in genere riflettono quelle di Israele. Prendiamo per esempio la posizione di Washington su Hamas, la principale fazione palestinese. Nel suo rapporto aggiornato al mese scorso il Servizio Ricerche del Congresso [USA] dice: “Storicamente gli Stati Uniti hanno cercato di rafforzare il presidente dell’OLP e dell’ANP Mahmoud Abbas contro Hamas.” Il rapporto afferma che, in seguito alle elezioni parlamentari del 2006 vinte da Hamas, “Israele, gli Stati Uniti e altri membri della comunità internazionale hanno cercato di neutralizzare o marginalizzare Hamas.” In base alle conclusioni di Tocci, il Quartetto deve aver adottato questo punto di vista, e in effetti è ciò che è accaduto.

Hugh Lovatt, del Consiglio Europeo degli Affari Esteri, il mese scorso ha affermato che L’UE e gli Stati Uniti furono all’inizio strenui difensori della democrazia palestinese, e furono una forza che promosse le ultime elezioni parlamentari palestinesi che si tennero nel 2006, incitando Hamas e Al Fatah a partecipare in modo costruttivo al processo elettorale. “L’UE e gli Stati Uniti si mostrarono meno a loro agio quando, in seguito alla vittoria di Hamas, il risultato democratico fu contrario ai loro interessi,” aggiunge.

“Secondo tutti gli indicatori le elezioni del 2006 furono libere e giuste,” afferma Lovatt, e la UE definì il voto “una pietra miliare nella costruzione delle istituzioni democratiche.” La UE disse anche: “Queste elezioni hanno visto l’impressionante partecipazione degli elettori in un processo elettorale aperto e corretto che è stato organizzato efficacemente da una Commissione Elettorale Centrale Palestinese professionale e indipendente.”

Tuttavia Lovatt evidenzia: “Essendosi aspettati che le elezioni dessero più potere ad Abbas e ad Al Fatah, gli Stati Uniti risposero alla vittoria elettorale di Hamas in modo avventato, spingendo rapidamente per l’isolamento internazionale e la pressione sul governo di Haniyeh [Hamas]”. Gli Stati Uniti hanno portato avanti la loro politica attraverso le condizioni imposte ai palestinesi dal Quartetto.”

Secondo Tocci “immediatamente dopo la schiacciante vittoria elettorale di Hamas, il 30 gennaio, il Quartetto ribadì la sua posizione.” Una dichiarazione rilasciata in seguito alla vittoria del movimento nel 2006 diceva che “il Quartetto considera che tutti i membri di un futuro governo palestinese dovranno impegnarsi alla nonviolenza, al riconoscimento di Israele e all’accettazione degli accordi e obblighi precedenti.”

Queste sono in realtà le condizioni degli Stati Uniti per una soluzione permanente del conflitto israelo-palestinese. Queste condizioni alimentarono il conflitto interno palestinese, che nel 2007 provocò una divisione interna che continua tuttora. Lovatt descrive quanto avvenuto: “Le forze di Hamas cacciarono dalla Striscia di Gaza le forze di sicurezza dell’ANP controllate da Fatah anticipando lo stesso piano di Al Fatah, appoggiato dagli Stati Uniti, per spodestare Hamas.” In altre parole, un colpo di Stato sostenuto dagli Stati Uniti.

Con i palestinesi impegnati in elezioni politiche che si dovrebbero tenere il prossimo mese, gli Stati Uniti e Israele hanno risuscitato il Quartetto perché si opponga a una possibile vittoria di Hamas. “È probabile che il ricordo storico della sorprendente vittoria di Hamas nelle ultime elezioni dell’ANP che si sono celebrate – quelle del 2006 – influisca nei calcoli dei diversi partiti… Alla luce delle conseguenze delle elezioni del 2006 l’amministrazione [USA] sta procedendo con cautela riguardo alle elezioni dell’ANP,” ha evidenziato nel suo rapporto il Servizio Ricerche del Congresso degli Stati Uniti.

Il Segretario di Stato statunitense Antony Blinken e il suo omologo israeliano Gabi Ashkenazi hanno condiviso chiaramente la loro preoccupazione per la possibile vittoria di Hamas nelle prossime elezioni palestinesi. Il Dipartimento di Stato ha reiterato le condizioni del Quartetto secondo cui chi partecipa a qualunque elezione palestinese “deve rinunciare alla violenza, riconoscere Israele e rispettare gli accordi precedenti.”

Quindi è abbastanza ovvio che l’affermazione del Quartetto per il Medio Oriente secondo cui si sta preparando a tornare a “negoziati significativi” è semplicemente una premessa alla ripetizione dello stesso gioco giocato dopo le elezioni palestinesi del 2006. Minò la democrazia palestinese e l’opzione elettorale del popolo allora e si prepara a fare altrettanto adesso.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Monitor de Oriente.

* [Motasem A. Dalloul è un giornalista palestinese che vive a Gaza, ndtr.].

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




PALESTINA. Si è spento il nostro caro amico Ali

25 settembre 2020, Nena News

  Redazione Abbiamo appreso qualche ora fa della scomparsa del nostro amico e compagno Alì Oraney. Alì se n’è andato come se ne sono andate oltre 35.000 persone da fine febbraio nel nostro Paese. Se n’è andato solo in una stanza di ospedale di Napoli lontano migliaia di chilometri dalla sua Terra, la Palestina. Di Alì la nostra redazione ricorda con dolore la sua bontà d’animo, la sua voglia irrefrenabile di riportare con forza al centro del dibattito politico la questione palestinese. Perché Alì amava sinceramente la sua terra e ha combattuto per la giustizia del suo popolo fino alla fine dei suoi giorni. Lo vogliamo ricordare ripubblicando un suo articolo di analisi che aveva scritto per noi: negli ultimi anni, infatti, aveva contribuito con i suoi preziosi contributi ad approfondire quanto accadeva in Palestina. Ci stringiamo al dolore della famiglia e degli amici che in queste ore piangono la sua scomparsa. Che la terra ti sia lieve caro Ali

Attese domani a Napoli le imbarcazioni della Freedom Flotilla diretta a Gaza. Due milioni di palestinesi sono soggetti a una punizione collettiva e a una crescente e spaventosa crisi umanitaria, scrive Ali Oraney

 

di Ali Oraney

Napoli, 10 luglio 2018, Nena News – Da mercoledì 11 luglio  sono previste a  Napoli una serie di iniziative a sostegno delle imbarcazioni della Freedom  Flotilla attraccata al porto, la flotta promossa da un movimento internazionale (Freedom Flotilla Coalition, FFC)  che dal 2008 organizza iniziative per portare aiuti alla popolazione palestinese  della Striscia di Gaza oramai stremata da 11 anni di assedio e per sollevare l’attenzione dell’opinione pubblica e della comunità internazionale sulle condizioni di vita di circa  2 milioni  di persone, di cui quasi la metà bambini, rinchiusi in un fazzoletto di terra di 363 km quadrati, oramai considerato la più grande prigione a cielo aperto della terra dalla quale è impossibile non solo uscire ma anche  entrare.

L’iniziativa della Freedom Flotilla è molto importante e delicata, è come il lavoro del mare che ha bisogno di pazienza e resistenza e la magia del suo equipaggio   sta nel fare durare il suo viaggio alla volta di Gaza il più possibile,  per raccontare la storia dell’assedio in più porti possibili presentando la vera faccia dell’occupante suscitando ovunque così momenti riflessione sul comportamento brutale di Israele e contribuendo a creare un movimento di pressione sullo stato di Israele.

Per questo  sicuramente Napoli, città aperta e solidale , farà  una grande accoglienza all’equipaggio della Freedom Flotilla per incoraggiarlo e stimolarlo ad andare avanti

Quest’anno le imbarcazioni della Freedom Flotilla, salpate dalla Norvegia e dalla Svezia,  dopo aver fatto tappa nel Mediterraneo a Cagliari ed Aiaccio, si fermeranno a Napoli dall’ 11 al 15 luglio, quindi  andranno a Palermo e a Messina per poi rimettersi in mare alla volta di Gaza sperando di riuscire a rompere l’assedio e rifornire la stremata popolazione degli aiuti umanitari raccolti, ma per chi rompe o semplicemente cerca di rompere il blocco è previsto l’arresto e la detenzione nelle carceri israeliane se non viene sparato prima.

Ma ciò nonostante la Freedom Flotilla è più che mai determinata a cercare di forzare il blocco. Si tratta di un blocco illegale che sottopone 2 milioni di abitanti a una punizione collettiva ed una crescente e spaventosa crisi umanitaria. Infatti,  il blocco totale (aereo marino e terrestre) imposto da Israele da 11 anni priva la popolazione civile di Gaza della quasi totalità dei beni di prima necessità ma anche di materiali da costruzione, di farmaci e presidi sanitari mentre l’acqua e l’energia elettrica vengono razionate per poche ore al giorno. L’ economia è oramai al collasso con un tasso di disoccupazione  che supera il 50% e secondo un rapporto delle Nazioni Unite (UNSCO 2017) la Striscia di Gaza rischia di divenire invivibile entro il 2020 se non si pone fine all’assedio.

Con le tappe nel Mediterraneo e negli altri porti la Freedom Flotilla vuole accendere i riflettori non solo su un assedio che dura da 11 anni a danno della popolazione civile di Gaza in violazione delle norme del diritto internazionale ma più in generale sulla lotta del popolo palestinese contro l’occupazione israeliana. Sono 70 anni che il popolo palestinese lotta contro l’occupazione della sua terra e per la sua libertà nonostante la violenta repressione israeliana con morti e feriti, arresti indiscriminati anche di donne e bambini, con quotidiane distruzioni  rapine e limitazioni alla libertà di movimento. Sono 70 anni che il popolo palestinese lotta contro la politica di occupazione israeliana  nonostante sia sempre più sostenuta dagli Stati Uniti che hanno riconosciuto Gerusalemme capitale d’Israele e il 14 maggio vi hanno trasferito la propria ambasciata. Ma nonostante tutto questo  il popolo palestinese non rinuncia  ai suoi diritti, non rinuncia al diritto al ritorno dai quei territori dai quali fu cacciato 70 anni fa.

Infatti, il popolo palestinese oggi è più che mai determinato a portare avanti la sua lotta come lo testimoniano le tante manifestazioni in Cisgiordania di questi giorni (a Ramallah, Nablus…..) e le marce di ritorno che dal 30 marzo ogni venerdì vengono organizzate a Gaza nonostante oltre 137 morti e 15.800 feriti

Nel caso specifico di Gaza non si può accettare l’obiezione sollevata da alcuni in base alla quale non si possa parlare di assedio dal momento che Israele si sarebbe ritirata da Gaza dal 2005 in quanto si può parlare di occupazione anche senza la presenza  militare se c’è un controllo reale del territorio ed Israele controlla il mare, la terra,  lo spazio aereo, insomma tutti i punti di passaggio da e per Gaza. Quindi, anche nei confronti di Gaza, Israele si configura come potenza occupante e come tale ha, in base al diritto internazionale, dei precisi obblighi nei confronti della popolazione a cui dovrebbe garantire i mezzi necessari per vivere e non colpire i civili. Israele non rispettando questi obblighi ed impedendo  a chiunque di portare aiuti alla popolazione  si macchia così di un doppio crimine.

Tutto ciò costituirà materia di riflessione nelle tante iniziative organizzate dal Comitato di Accoglienza alla Freedom Flotilla di Napoli , fra queste mercoledì 11 la conferenza stampa di presentazione  presso la Biblioteca Autogestita Gramasci Dax  della facoltà di Lettere e Filosofia in Via Porta di Massa (ore 11,00) e l’accoglienza al porto della Freedom Flotilla con la cittadinanza ed artisti di strada (ore 18,30); giovedì 12 dalle 19,00 nello splendido scenario offerto dal Castello del Maschio Angioino “Gli  Artisti Napoletani a sostegno della Palestina” daranno vita ad un concerto con l’esibizione appunto di artisti e gruppi tra i più noti nel panorama musicale partenopeo; venerdì  13 sarà organizzata una cena sociale presso la mensa Occupata di via Mezzocannone , mentre l’intera giornata di sabato  14 sarà destinata ad una assemblea nazionale  organizzata presso il complesso di Santa Fede Liberata in Via S. Giovanni Maggiore Pignatelli a sostegno della resistenza palestinese.

Gli organizzatori si augurano che a questa assemblea ci sia una grande partecipazione di associazioni, comitati, attivisti ma anche di semplici cittadini, tutti indignati per comportamento criminale di Israele che da 11 anni  ha imposto un blocco disumano, economicamente e socialmente paralizzante a 2 milioni di persone,  che occupa i territori palestinesi negando al popolo palestinese  i suoi più elementari diritti e libertà. L’obiettivo di questa assemblea nazionale  è di parlare di Palestina nella speranza di creare una rete a livello nazionale capace di esprimere una solidarietà solo annunciata ma anche soprattutto praticata,  che faccia sentire la sua voce per porre fine all’assedio di Gaza e che sostenga concretamente il popolo palestinese nella sua lotta per la libertà. Nena News




A Gaza il sistema sanitario è a rischio mentre da una settimana continuano gli attacchi aerei israeliani

Yumna Patel

21 agosto 2020- Mondoweiss

È già successo tante di quelle volte,” ha detto a Mondoweiss il giornalista palestinese Omar Ghraieb, 33 anni, “ma adesso con una pandemia globale e l’intero mondo che sta andando a pezzi, senza elettricità né acqua è più dura.”

Israele bombarda Gaza ininterrottamente da otto giorni (dal 13 agosto, ndtr.), secondo Israele come parte della risposta al lancio di palloni incendiari da Gaza sul territorio israeliano. 

Ogni notte, da oltre una settimana, il cielo notturno di Gaza si accende di rosso e arancione, giovedì è stata l’ottava notte consecutiva di raid aerei israeliani. 

Nonostante si parli di tentativi da parte di alcuni funzionari egiziani di mediare un cessate il fuoco, non sembra che le tensioni ai confini finiranno tanto presto, stando alla dichiarazione rilasciata dal movimento Hamas secondo cui “non esiterà a combattere” le forze israeliane, “se continuano l’escalation, i bombardamenti e l’assedio (di Gaza).”

L’esercito israeliano sostiene che i bombardamenti sono diretti su avamposti che appartengono all’ala militare di Hamas che, secondo Israele, è responsabile dei “lanci di palloni esplosivi e incendiari dalla Striscia di Gaza verso Israele”.

I media locali palestinesi nell’ultima settimana hanno riportato vari episodi in cui i bombardamenti israeliani hanno causato danni a strutture residenziali e non legate ad Hamas e che, in alcuni casi, hanno ferito dei civili. 

All’inizio di questa settimana, Wafa, l’agenzia stampa (palestinese), ha sostenuto che in seguito a un attacco aereo su Bureij, il campo profughi situato nella zona centrale della Striscia di Gaza, una bambina di 3 anni, un ragazzo di 11 e una donna sono stati ricoverati in ospedale dopo essere stati gravemente feriti. Sono anche stati riportati “danni seri” a case nella zona. 

Un’altra donna è stata ricoverata in seguito un attacco aereo separato contro la cittadina di Beit Hanoun, nel nord di Gaza. 

Domenica i media palestinesi hanno riferito che un palestinese di 35 anni è stato gravemente ferito a causa dello scoppio di un ordigno israeliano inesploso nei dintorni di al-Zaytoun, nel sud della Striscia. 

Ci siamo passati migliaia di volte,” dice a Mondoweiss Omar Ghraieb, 33 anni,

riferendosi a bombardamenti e attacchi israeliani contro Gaza, che nel passato sono andati avanti ogni volta per settimane. 

Ma adesso con una pandemia globale e l’intero mondo che sta andando a pezzi, è più dura senza elettricità né acqua,” afferma. 

Ghraieb sottolinea che, sebbene gli abitanti di Gaza siano “abituati a cose terribili e traumi,” situazioni come queste “non miglioreranno mai.” 

È semplicemente troppo .”

Interruzioni di corrente elettrica mentre salgono i casi di COVID-19

I recenti bombardamenti arrivano in un momento difficile per i 2 milioni di abitanti di Gaza che soffrono per i problemi quotidiani con acqua, elettricità, crescita della disoccupazione e, più recentemente, a causa della pandemia da coronavirus. 

Anche se Gaza ha avuto successo nel mantenere il tasso di contagi da coronavirus straordinariamente basso, rispetto a Cisgiordania e Gerusalemme Est occupate, il ministero della Salute ha riportato ora nove nuovi casi, arrivando mercoledì a un totale di 18. 

Oltre alla costante minaccia del COVID-19, all’inizio di questa settimana l’unica centrale elettrica di Gaza ha chiuso e interrotto le attività a causa del blocco israeliano di importazioni di gasolio nel territorio.

Il divieto è una punizione di Israele, anche in risposta ai palloncini incendiari che sono stati la ragione dell’ultima serie di attacchi aerei. 

Da anni gli abitanti subiscono interruzioni di corrente e ore di blackout, ma adesso dicono che le cose sono più difficili per via del COVID-19. 

Abbiamo subito interruzioni giornaliere di elettricità per oltre dieci anni,” dice Ghraieb. “[Ma] in estate, con una pandemia globale e gli attacchi israeliani, è più difficile restare in contatto con il mondo e condividere l’inferno in cui stiamo vivendo senza luce o Internet.”

Uno si sente isolato e condannato a vivere in un inferno in fiamme,” dice. 

Martedì il CIRC [Comitato internazionale della Croce Rossa, ndtr.] ha espresso preoccupazione per la carenza di energia elettrica a Gaza, segnalando che i recenti blackout potrebbero colpire in maniera sproporzionata il già fatiscente settore sanitario, dato che le otto ore di elettricità al giorno sono state ridotte ad appena tre o quattro.

Quando gli abbiamo chiesto che messaggio avesse per la comunità internazionale circa i recenti attacchi, Ghraieb ha detto a Mondoweiss di “non avere un messaggio per un mondo che ci ha delusi per decenni e che ci vede vittime di violenze, occupazione, apartheid e pulizia etnica da parte degli israeliani. Al mondo non importa niente di noi e io non imploro giustizia,” afferma Ghraieb. “Ma prima o poi giustizia sarà fatta.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Come i lobbysti israeliani si sono impossessati dell’eredità di Mandela

Nkosi Zwelivelile Mandela

21 luglio 2020 – Middle East Monitor

I tentativi di chi difende Israele di presentare mio nonno come un pacifista moderato è un travisamento della sua eredità

Dov’è il Mandela palestinese?” è la domanda che ho sentito spesso fare dai sostenitori di Israele. Quello che in realtà chiedono è dov’è l’equivalente palestinese di Nelson Mandela – un uomo che, secondo quello che credono, offrì solo ramoscelli d’ulivo e dialogo. Dov’è la versione palestinese di Mandela che – nella loro immaginazione – adorava tanto il proprio oppressore da essere disposto a riconciliarsi con lui condizionatamente?

I gruppi di pressione di Israele – sia in Sudafrica come nel resto del mondo – hanno risuscitato mio nonno come pacifista moderato che ha fatto la pace con i suoi nemici in modo benevolo. Ridurre la vita di Rolihlahla (secondo nome di Nelson Mandela, che significa “quello che sradica”) a pacificatoria e riconciliatrice è una deliberata distorsione della sua eredità.

Il presidente Mandela fu all’altezza del suo secondo nome. Fu un rivoluzionario, intellettuale e combattente per la libertà. La sua vita fu dedicata a resistere all’oppressione e a riconquistare la dignità. La forma di resistenza che difendeva era definita dall’oppressore. “ E’ assolutamente inutile che continuiamo a parlare di pace e nonviolenza contro un governo che risponde solo con brutali aggressioni,” affermò Mandela nel maggio 1961, sette mesi prima di diventare il primo comandante del neonato braccio armato del Congresso Nazionale Africano, chiamato uMkhonto we Sizwe [Lancia della Nazione].

Tuttavia quando i sostenitori di Israele parlano di Nelson Mandela si concentrano esclusivamente nel suo messaggio di dialogo e riconciliazione. Di conseguenza la storia della transizione di Madiba e del Sudafrica alla democrazia si riduce a un raccontino per bambini del perdono, invece che una lunga e dura – a volte rabbiosa – cronaca di giustizia e libertà. Il dialogo, il perdono e la riconciliazione debbono tornare ad essere inseriti nel contesto e nel luogo come meritano nella storia di Mandela e del Sudafrica.

La causa di Mandela non era pace e riconciliazione, ma giustizia e liberazione. La riconciliazione e il perdono sono arrivati dopo che si è ottenuta la liberazione. Prima Nelson Mandela considerava qualunque forma di “riconciliazione” con l’oppressore come una sottomissione e uno strumento di cooptazione per ingabbiare il movimento di liberazione.

Né gli alleati del Sudafrica nel movimento mondiale contro l’apartheid ci hanno mai chiesto di fare la pace con i nostri oppressori prima di ottenere la liberazione. Chiedere ai sudafricani di dialogare con il governo dell’apartheid nel contesto del brutale stato di polizia caratterizzato dalla spoliazione implacabile, dalle restrizioni contro la libertà di movimento, dalla repressione violenta delle proteste e dalla detenzione senza processo, avrebbe significato chiederci di collaborare con i nostri oppressori. Il mondo non ci ha mai chiesto né si è aspettato questo dai sudafricani, ma lo chiede ai palestinesi che vivono la stessa, se non peggiore, condizione.

Il Mandela che perdona è adorato in particolare dai gruppi di pressione israeliani. Si dilettano a raccontare di come si conquistò la fiducia dei suoi nemici, o prese il tè con Betsie Verwoerd, la vedova dell’architetto dell’apartheid, Hendrik Verwoerd. Gli apologeti di Israele vogliono che il mondo creda che, appena Nelson Rolihlahla Mandela venne liberato, abbandonò la lotta armata ed iniziò tranquillamente negoziati con il governo dell’apartheid, senza prerequisiti né precondizioni.

Persino dopo 27 anni di prigione, quando venne liberato, Mandela offrì dialogo, non violenza,” dice lo scrittore sudafricano [israeliano di origini sudafricane, ndtr.] Benjamin Pogrund. Non è vero.

Il giorno in cui venne liberato dalla prigione, Nelson Mandela disse: “I fattori che hanno reso necessaria la lotta armata continuano tuttora ad esistere. Non abbiamo altra opzione che continuare. Manifestiamo la speranza che presto si determini un clima propizio per un accordo negoziato, in modo che la lotta armata non sia più necessaria.”

Mandela non iniziò negoziati mentre i negri sudafricani erano ancora spogliati e perseguitati violentemente, o mentre i dirigenti della nostra liberazione erano in carcere, torturati ed assassinati. “La continuazione dei negoziati e la retorica sulla pace mentre contemporaneamente il governo sta portando avanti una guerra contro di noi è una posizione che non possiamo accettare,” dichiarò Madiba nel settembre 1990 davanti all’allora Organizzazione dell’Unità Africana (OUA).

Prima che Mandela iniziasse i negoziati c’erano condizioni fondamentali che dovevano essere rispettate. Esse includevano la fine della spoliazione e della violenza organizzate dallo Stato contro i negri sudafricani, la liberazione dei prigionieri politici e il ritorno degli esiliati. Quando i palestinesi chiedono le stesse condizioni prima di iniziare trattative vengono definiti irragionevoli e cocciuti.

I difensori di Israele sono convinti che i palestinesi siano il contrario di quello che rappresentava Mandela. Quando i palestinesi resistono ad essere cooptati da Israele, gli si dice che Madiba non si sarebbe mai comportato così.

Secondo loro Mandela, a differenza di Yasser Arafat, avrebbe accettato i posti di controllo, la costruzione di colonie illegali e sette anni di negoziati infruttuosi durante gli accordi di Oslo e Camp David.

Nella loro immaginazione Nelson Mandela, a differenza di Mamhoud Abbas, avrebbe accettato l’accordo segreto del 2008 di Ehud Olmert del bantustan [territori che nel Sudafrica dell’apartheid erano autonomi e gestiti da “governi” dei neri sudafricani, ndtr.] palestinese, abbozzato in fretta e furia su un tovagliolo. I Madiba che hanno creato non avrebbero mai rifiutato l’“accordo epocale” di Israele per uno Stato palestinese smilitarizzato con i suoi principali centri abitati separati tra loro e con Israele che avrebbe controllato gli spostamenti tra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, lo spazio aereo palestinese, la sua politica economica ed estera, le risorse idriche e le frontiere.

Il Mandela che hanno in testa i sostenitori di Israele sarebbe sempre stato disponibile ad arrivare a compromessi sulla giustizia e la dignità. In vero Mandela, tuttavia, rifiutò varie “offerte generose” del governo dell’apartheid, tra cui l’immediata liberazione se avesse rinunciato alla lotta armata, ai diritti del suo popolo e si fosse limitato al Bantustan Traskei.

I sostenitori di Mandela il Perdonatore dimenticano che Madiba non cedette mai su nessun argomento che compromettesse il suo obiettivo finale: la liberazione dei sudafricani. Durante i negoziati lui e i suoi compagni, come i palestinesi, spesso preferirono non arrivare ad alcun accordo che non rispettasse almeno la dignità e i diritti umani.

Negli ultimi vent’anni Israele non ha mai avviato conversazioni di pace per negoziare realmente con i palestinesi. Ha utilizzato il processo di pace come un giochetto per tenere occupati (letteralmente e in senso figurato) i palestinesi, mentre rafforzava con la violenza l’occupazione della Cisgiordania e intensificava l’assedio di Gaza. Però, finché il “processo di pace” continua, Israele può mettere a tacere gli appelli al boicottaggio. Ciò sarà più difficile da fare ora che i dirigenti israeliani discutono apertamente dell’annessione, ammettendo che non ci sarà mai uno Stato palestinese.

In Palestina – Israele c’è più che mai bisogno dell’eredità di Nelson Mandela, non per predicare perdono e riconciliazione, ma per elaborare soluzioni politiche radicate nella giustizia e nella dignità. La principale lezione che Israele e i suoi sostenitori possono imparare dalla vita di Nelson Mandela è che la pace, il perdono e la riconciliazione si otterranno solo quando tutti godranno della giustizia, della libertà e della dignità.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

Nkosi Zwelivelile Mandela è un deputato sudafricano e nipote di Nelson Mandela.

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




Paura e ansia mentre Gaza sotto assedio conferma i primi 2 casi di coronavirus

Farah Najjar e Maram Humaid

22 marzo 2020 – Al Jazeera

Le autorità dell’enclave costiera hanno chiuso ristoranti e caffè, mentre sono state sospese anche le preghiere del venerdì.

Funzionari palestinesi hanno annunciato i primi due casi di COVID-19, la malattia causata dal nuovo coronavirus, nella Striscia di Gaza assediata.

Il vice ministro della Sanità Youssef Abulreesh ha dichiarato sabato scorso che i due pazienti palestinesi sono tornati dal Pakistan attraverso il varco di Rafah tra Gaza e il vicino Egitto.

Durante una conferenza stampa Abulreesh ha detto che la coppia mostrava i sintomi della malattia, che comprendono tosse secca e febbre alta.

Ha aggiunto che al loro arrivo i due sono stati messi in quarantena e che ora si trovano in un ospedale da campo nella città di confine di Rafah, nella parte meridionale della Striscia di Gaza.

Abulreesh ha esortato i quasi due milioni di residenti di Gaza a prendere misure precauzionali e a mettere in atto il distanziamento sociale rimanendo a casa, nel tentativo di arrestare la potenziale diffusione del virus.

Le autorità di Gaza, che è governata dall’organizzazione di Hamas, hanno deciso di chiudere i ristoranti, i caffè e le sale di ricevimento dell’enclave. Anche le preghiere del venerdì nelle moschee sono state sospese fino a nuovo avviso.

Nel frattempo il Coordinamento delle attività governative nei territori (COGAT), un’unità militare israeliana responsabile per le questioni civili nei territori occupati, ha annunciato che domenica, tutti i punti di accesso verso Israele da Gaza e dalla Cisgiordania occupata sono stati chiusi.

“I commercianti, i lavoratori e gli altri titolari di permesso non potranno entrare attraverso i valichi fino a nuovo avviso”, ha detto il COGAT sulla sua pagina Twitter, aggiungendo che alcune eccezioni possono applicarsi a infermieri e operatori sanitari, nonché in caso di situazioni sanitarie eccezionali.

I palestinesi sostengono che i permessi di accesso sono difficili da ottenere, anche per coloro che hanno un motivo sanitario o umanitario, poiché ogni domanda è accompagnata da un lungo processo burocratico, di solito con il pretesto del nulla osta da parte della sicurezza.

‘Abbiamo molta paura’

Il 15 marzo le autorità di Gaza hanno introdotto misure per collocare gli abitanti in arrivo nei centri di quarantena.

Ad oggi, secondo un rapporto pubblicato sabato dal ministero della salute dell’Autorità Nazionale Palestinese, ci sono 20 strutture apposite nel sud di Gaza, tra cui scuole, hotel e strutture mediche, che ospitano più di 1.200 persone.

I centri per la quarantena si trovano a Rafah, Deir al-Balah e nella città meridionale di Khan Younis. Secondo il rapporto, almeno altri 2.000 rimpatriati si sono auto-isolati nelle proprie case, prima che venissero implementate, la scorsa settimana, le procedure di quarantena obbligatoria.

Um Mohammed Khalil è tra coloro che sono stati messi in quarantena a Rafah.

La 49 enne, tornata da una breve visita in Egitto la scorsa settimana, era tra le 50 persone trasportate in autobus in una scuola con “bassi standard di igiene”, dove le camere singole condivise da sette persone.

Khalil racconta ad Al Jazeera che la notizia dei primi due casi positivi ha suscitato paura e ansia tra coloro che si trovano in quarantena nella scuola.

“Avevamo paura che tra noi ci fossero persone affette dal contagio”, afferma, “motivo per cui, soprattutto, abbiamo chiesto un miglioramento delle condizioni di quarantena”.

” Da questa mattina le nostre famiglie sono in contatto con noi e anche loro sono seriamente preoccupate. Gaza ha subito molte guerre e crisi, ma come può sostenere questa pandemia?” dice. “Abbiamo molta paura”.

Gaza sotto assedio

Il sistema sanitario di Gaza è in rovina e i suoi abitanti, martoriati dalla guerra, sono particolarmente vulnerabili poiché hanno vissuto sotto un assedio israelo-egiziano per quasi 13 anni.

Il blocco aereo, terrestre e marittimo ha limitato l’ingresso di risorse essenziali come attrezzature sanitarie, medicinali e materiali da costruzione.

Dal 2007 Gaza ha subito tre attacchi israeliani che hanno provocato la distruzione di infrastrutture civili, tra cui strutture sanitarie e una centrale elettrica.

Le case, gli uffici e gli ospedali di Gaza ricevono una media di 4-6 ore di elettricità al giorno.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha avvertito che il sistema sanitario di Gaza non sarebbe in grado di affrontare un’epidemia, dato che gli ospedali della Striscia sono sovraffollati e con risorse insufficienti.

Ayman al-Halabi, un medico dei laboratori gestiti dal ministero della Salute di Gaza, fa parte di un team di medici responsabili dei test sui campioni in arrivo.

“La routine di due settimane fa”, dice al-Halabi ad Al Jazeera, “consisteva nella raccolta dei campioni dai rimpatriati al confine di Rafah, sottoposti a un test basato sulla reazione a catena della polimerasi (PCR), il test di scelta utilizzato per diagnosticare COVID-19”.

Al Halabi aggiunge che attualmente vengono sottoposte al test altre centinaia di campioni di persone che potrebbero essere venute a contatto con i primi due pazienti.

Riferendosi alle limitate risorse di Gaza, al-Halabi dichiara: “Affrontare questa pandemia sarà estremamente impegnativo.

Se stanno avendo difficoltà i Paesi più grandi e potenti, in che modo Gaza dovrebbe farcela?”

‘La fine del mondo’

Secondo i dati raccolti dalla Johns Hopkins University, negli Stati Uniti, a livello mondiale sono risultate positive alla malattia altamente infettiva oltre 300.000 persone. Più di 13.000 persone sono morte a causa del virus, mentre circa 92.000 sono guarite.

Con l’incombente minaccia di un focolaio, molti sostengono che il virus potrebbe essere l’ultima goccia per gli esausti abitanti di Gaza.

Amira al-Dremly sapeva che sarebbe stata solo una questione di tempo prima che il virus raggiungesse Gaza.

Ma la notizia che sabato due persone sono risultate positive è stato percepita come “la fine del mondo”, afferma al-Dremly ad Al Jazeera.

“La più grande paura”, sostiene la 34enne “è che le risorse disponibili a Gaza non bastino ad opporre una resistenza temporanea [nei confronti della diffusione del virus]”.

“Ho molta paura per i miei figli. Sto prendendo misure per educarli sulla sterilizzazione e li ho ammoniti a non uscire di casa”, dice questa madre di quattro figli.

“Ma gli effetti psicologici sono pesanti, la mia famiglia e tutti intorno a me sono molto disorientati da questa notizia”, aggiunge.

Gaza, una delle aree più densamente popolate del mondo, ospita alcuni dei più grandi campi profughi palestinesi e al-Dremly fa notare che il distanziamento sociale è qualcosa che è “più facile a dirsi che a farsi”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Come dovremmo interpretare la partecipazione di Hamas al funerale del generale iraniano?

Ahmed Al-Burai

11 gennaio 2020 – Middle East Monitor

Il comandante militare iraniano assassinato, Qasem Soleimani, è stato portato al suo ultimo riposo sulle spalle di un’enorme folla che ha riempito le strade di Teheran, la capitale iraniana. Gli oratori hanno salutato il generale come eroe nazionale iraniano e “martire di Gerusalemme”.

È stato Ismail Haniyeh, ex primo ministro palestinese e leader del movimento di resistenza islamica Hamas, a chiamare il generale ucciso “martire di Gerusalemme”. Nel suo discorso agli iraniani che partecipavano al funerale, il leader palestinese ha promesso che i palestinesi seguiranno le orme di Soleimani: “Contrastare il progetto sionista e l’influenza degli Stati Uniti”.

Il suo discorso ha fatto infuriare siriani, iracheni e persino gli attivisti palestinesi, che annoverano l’Iran fra i nemici e considerano il generale defunto il braccio armato che ha gettato nel caos sia l’Iraq che la Siria, uccidendo e cacciando senza pietà milioni di persone.

Eroe nazionale o sostenitore dei tiranni?

Qualcuno ha considerato il discorso di Haniyeh ipocrita e piuttosto offensivo per i sentimenti di milioni di siriani e iracheni, che considerano Soleimani un assassino, sostenitore sia del regime siriano che di quello iracheno nello spietato assassinio della propria gente.

Per loro, Soleimani è persino più sanguinario dell’occupazione israeliana. Sostengono che Israele può anche aver ucciso migliaia di palestinesi ed esiliati milioni, ma i regimi e le milizie sostenuti dall’Iran hanno ucciso centinaia di migliaia di persone ed espulso decine di milioni, torturandone altre decine di migliaia.

Questo gruppo di persone manifesta tolleranza zero nei confronti della glorificazione e venerazione professata da Haniyeh per il generale iraniano, che secondo loro non merita la medaglia di “martire di Gerusalemme” sul petto. Considerano che dargli un tale onore sia una provocazione per i sentimenti di milioni di musulmani e arabi in Nazioni che hanno subito le politiche oppressive del regime iraniano e dei suoi vassalli in Siria, Iraq, Yemen e Libano.

Né il pragmatismo politico, né l’isolamento regionale e internazionale del gruppo di resistenza palestinese danno ai suoi leader la scusa o il diritto di assolvere il generale ucciso, sostengono i critici del discorso di Haniyeh.

All’opposto di questa opinione c’è un gruppo che considera Hamas una fazione apostata, che non ha il diritto di rivendicare l’appartenenza al fronte sunnita. Questo gruppo è guidato da studiosi dell’Arabia Saudita e degli Emirati Arabi Uniti, che sono non solo espliciti nel loro antagonismo e animosità nei confronti di Hamas, ma anche nella loro amicizia e vicinanza con Israele.

Altri considerano la mossa di Hamas politicamente ottusa, in quanto irrita le Nazioni sunnite e le sposta da professare simpatia per la causa palestinese a maledirne i rappresentanti, che si sarebbero rivelati persone senza scrupoli con indosso maschere “islamiche”.

Tuttavia, c’è un terzo gruppo che considera i rapporti di Hamas con l’Iran tattici e preventivi, poiché derivano da condizioni senza alternative. Questo gruppo sostiene che la maggior parte dei Paesi sunniti non solo ha abbandonato la causa palestinese, ma è piuttosto coinvolta e complice nelle cospirazioni per liquidarla e negare i diritti dei palestinesi.

Relazioni in prospettiva

Per mettere le cose in prospettiva, dobbiamo tornare indietro nel tempo, agli attacchi dell’11 settembre 2001. All’indomani del discorso di George W. Bush, “O con noi o con i terroristi”, quasi tutti i Paesi che sostenevano il popolo palestinese furono terrorizzati all’idea di essere etichettati come sostenitori del terrorismo, in particolare l’Arabia Saudita, che aveva 19 cittadini tra i dirottatori e gli autori dell’attacco terroristico. Di conseguenza, tutte le organizzazioni di beneficenza che inondavano i territori palestinesi di aiuti umanitari si bloccarono e cessarono tutte le attività. Più tardi, quando Hamas vinse le elezioni del 2006, le cose peggiorarono e l’assedio e il boicottaggio raddoppiarono.

L’unico Paese che non si umiliò né si vergognò di sostenere la causa palestinese fu l’Iran, che continuò ad appoggiare apertamente dal punto di vista finanziario e logistico i gruppi palestinesi. Tuttavia, quando scoppiò la rivoluzione siriana nel marzo 2011, si scatenò un grave conflitto tra Hamas e l’Iran. Hamas considerava la rivolta siriana un’estensione dell’ondata delle “Primavere arabe”, scatenate dalla rivoluzione tunisina dei gelsomini, un’ondata di proteste pubbliche contro le deplorevoli condizioni di vita.

Si disse che la leadership di Hamas esortasse il regime siriano ad arginare le proteste negoziando le richieste del popolo, senza fare ricorso alla violenza. Tuttavia, sia il regime siriano che i suoi principali sostenitori a Teheran considerarono le richieste del popolo come una cospirazione di USA e Israele per rovesciare il regime siriano e distruggere il cosiddetto “asse della resistenza” che raggruppa sciiti iracheni, Siria, Libano e il movimento di resistenza a Gaza.

Questi punti di vista divergenti deteriorarono le relazioni tra Hamas e l’Iran. Alla fine, la leadership di Hamas lasciò la Siria alla fine del 2012 e si trasferì in Qatar. Con l’ascesa dei Fratelli Musulmani in Egitto, l’Iran e il regime siriano pensarono che Hamas si fosse completamente allontanato dalla loro orbita, per trovare una potenza sunnita al Cairo e ad Istanbul che li sostituisse. Da allora le relazioni politiche tra le due parti non sono state particolarmente buone.

Nel maggio 2017, in seguito all’elezione dell’attuale leadership di Hamas, le relazioni sono nuovamente migliorate. Ciò è coinciso con la crisi diplomatica del Qatar, iniziata nel giugno 2017. L’Arabia Saudita ha intrapreso una severa repressione dei sostenitori di Hamas in Arabia Saudita, arrestando decine di medici, ingegneri e commercianti palestinesi in tutto il Paese, con il pretesto del riavvicinamento di Hamas all’Iran, rivale regionale di lunga data di Riyad. Hamas ha affermato che i prigionieri stavano raccogliendo donazioni per enti di beneficenza palestinesi e non erano stati accusati di attentare alla sicurezza.

Matrimonio avventato o collaborazione strategica?

La leadership di Hamas ribadisce pubblicamente che l’Iran è tra i pochi Paesi che hanno continuato a sostenere la resistenza palestinese e che Hamas difenderà gli interessi dell’Iran. Queste dichiarazioni potrebbero aver alimentato i timori dell’Arabia Saudita rispetto alla lealtà di Hamas nei confronti dell’asse iraniano.

Hamas sembra pensare che l’Iran abbia inequivocabilmente sostenuto la causa palestinese, indipendentemente dalle sue motivazioni, e meriti di essere ripagato con fedeltà e gratitudine per il suo sostegno.

Si potrebbe accusare l’Iran di sfruttare Hamas in quanto sunnita, per pubblicizzare la politica non discriminatoria dell’Iran. In un certo senso, l’Iran si presenta come se non sostenesse esclusivamente i gruppi sciiti, ma anche un gruppo sunnita a Gaza, ciò che apparentemente smentirebbe qualsiasi accusa allIran di fanatismo settario sciita.

I leader di Hamas non sono mai stati daccordo con la politica iraniana in Siria o Iraq – politica decisamente catastrofica e gravemente dannosa in misura proporzionale per tutte le parti. Tuttavia non sarebbe politicamente prudente criticare in continuo tale politica, quando è chiaro il punto di vista di base e di principio.

La posizione di Hamas rispetto all’Iran è molto più delicata e complicata di quella turca, che si sta muovendo con equilibrio e una strategia di successo nelle sue relazioni con l’Iran e la Russia.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(traduzione dallinglese di Luciana Galliano)




Sulla via di Gaza: La Freedom Flotilla salperà ancora

Ramzy Baroud

23 dicembre 2019 – Middle East Monitor

Che cosa è Gaza per noi se non un missile israeliano, un razzo rudimentale, una casa demolita, un bambino ferito che viene portato via dai suoi coetanei sotto una grandinata di pallottole? Ogni giorno, Gaza ci viene presentata sotto forma di un’immagine di sangue o un video drammatico, nessuno dei quali può davvero cogliere la realtà quotidiana della Striscia – la sua formidabile risolutezza, gli atti quotidiani di resistenza e il genere di sofferenza che non potrebbe mai essere realmente compreso attraverso un’abituale occhiata ad un post dei social media.

Finalmente la procuratrice capo della Corte Penale Internazionale (CPI) Fatou Bensouda, ha dichiarato la propria “convinzione” che “in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e nella Striscia di Gaza sono stati commessi, o vengono commessi, crimini di guerra”. Appena è stata fatta la dichiarazione della CPI il 20 dicembre, le organizzazioni filo palestinesi hanno vissuto un raro momento di gioia. Alla fine Israele verrà messo sotto accusa, pagando potenzialmente per i continui bagni di sangue nella isolata ed assediata Striscia di Gaza, per l’occupazione militare e l’apartheid in Cisgiordania e per molto altro ancora.

Però potrebbero volerci anni perché la CPI inizi le sue procedure legali ed emetta la sentenza. Inoltre non ci sono garanzie politiche che una sentenza della CPI che incrimina Israele sarà mai rispettata, tanto meno applicata.

Nel frattempo l’assedio di Gaza continua, per essere interrotto solo da una guerra massiccia, come quella del 2014, o da una meno devastante, simile all’ultimo attacco di Israele in novembre. E ad ogni guerra vengono prodotte ulteriori terribili statistiche, altre vite vengono stroncate ed altre storie dolorose vengono nuovamente raccontate.

Per anni le associazioni della società civile in tutto il mondo hanno faticosamente lavorato per destabilizzare questo orrendo status quo. Hanno organizzato e svolto veglie, scritto lettere ai propri rappresentanti politici e via dicendo. Non è servito a niente. Frustrato dall’inazione dei governi, nell’agosto 2008 un piccolo gruppo di attivisti è salpato per Gaza su una piccola imbarcazione, riuscendo in ciò che le Nazioni Unite non sono riuscite a fare: hanno spezzato, seppur fugacemente, l’assedio israeliano dell’impoverita Striscia.

Questa azione simbolica del movimento ‘Liberare Gaza’ ha avuto un enorme impatto. Ha inviato un chiaro messaggio ai palestinesi nella Palestina occupata: che il loro destino non è determinato solo dal governo israeliano e dalla macchina militare; che ci sono altri soggetti capaci di sfidare il tremendo silenzio della comunità internazionale; che non tutti gli occidentali sono complici come i propri governi delle interminabili sofferenze del popolo palestinese.

Da allora molte altre missioni di solidarietà hanno tentato di seguire questo esempio, giungendo attraverso il mare a bordo di flottiglie o attraverso il deserto del Sinai con grandi convogli. Alcune sono riuscite a raggiungere Gaza, distribuendo medicinali ed altri prodotti. Tuttavia in maggioranza sono state respinte o hanno avuto le loro navi sequestrate in acque internazionali da parte della marina israeliana.

Il risultato di tutto ciò è stato aver scritto un nuovo capitolo della solidarietà con il popolo palestinese che è andato oltre le occasionali manifestazioni e le classiche firme su una petizione.

La seconda Intifada palestinese, la rivolta del 2002, aveva già ridefinito il ruolo dell’“attivista” in Palestina. La creazione dell’“International Solidarity Movement” (ISM) ha permesso a migliaia di attivisti internazionali da tutto il mondo di partecipare all’“azione diretta” in Palestina – ricoprendo così, seppur simbolicamente, il ruolo tipicamente svolto da una forza di protezione delle Nazioni Unite.

Gli attivisti dell’ISM tuttavia usavano i mezzi non violenti di testimonianza del rifiuto della società civile dell’occupazione israeliana. Prevedibilmente, Israele non ha rispettato il fatto che molti di questi attivisti provenissero da Paesi considerati “amici” in base agli standard di Tel Aviv. Le uccisioni di cittadini come l’americana Rachel Corrie e il britannico Tom Hurndall a Gaza, rispettivamente nel 2003 e 2004, è stata solo un prodromo della violenza israeliana che sarebbe seguita.

Nel maggio 2010 la marina israeliana ha attaccato la Freedom Flotilla formata dalla nave di proprietà turca ‘MV Mavi Marmara’ ed altre, uccidendo dieci operatori umanitari disarmati e ferendone almeno altri 50. Come nei casi di Rachel e Tom, non vi è stata una vera attribuzione di responsabilità per l’attacco israeliano alle navi della solidarietà.

Occorre capire che la violenza israeliana non è casuale né è solo un riflesso del noto disprezzo israeliano per il diritto internazionale ed umanitario. Con ogni episodio di violenza Israele spera di dissuadere i soggetti esterni dall’occuparsi degli “affari israeliani”. Eppure, di volta in volta il movimento di solidarietà ritorna con un messaggio di sfida, ribadendo che nessun Paese, nemmeno Israele, ha il diritto di commettere impunemente crimini di guerra.

Dopo un recente incontro nella città olandese di Rotterdam, la coalizione internazionale della Freedom Flotilla, che consta di molti gruppi internazionali, ha deciso di salpare ancora una volta per Gaza. La missione di solidarietà è prevista per l’estate del 2020 e, come nella maggior parte dei 35 tentativi precedenti, è probabile che la Flotilla venga intercettata dalla marina israeliana. Ma probabilmente seguirà un altro tentativo, ed altri ancora, fino a quando l’assedio di Gaza sarà completamente tolto. È diventato chiaro che lo scopo di queste missioni umanitarie non è di consegnare un po’ di farmaci ai circa due milioni di gazawi sotto assedio, ma di sfidare la narrazione israeliana che ha riportato l’occupazione e l’isolamento dei palestinesi allo status quo precedente, cioè un “affare israeliano”.

Secondo l’ufficio delle Nazioni Unite nella Palestina occupata, il tasso di povertà a Gaza sembra si stia incrementando alla velocità allarmante del 2% all’anno. Alla fine del 2017 il 53% della popolazione di Gaza viveva in stato di povertà, e due terzi di essa in “povertà assoluta”. Questo terribile dato include oltre 400.000 bambini.

Una fotografia, un video, un grafico o un post sui social media non potranno mai trasmettere la sofferenza di 400.000 bambini che soffrono la fame ogni giorno della loro vita, affinché il governo israeliano possa soddisfare i suoi scopi militari e politici a Gaza. Certo, Gaza non è soltanto un missile israeliano, una casa demolita ed un bimbo ferito. È una nazione intera che sta soffrendo e resistendo, nel quasi totale isolamento dal resto del mondo.

La vera solidarietà dovrebbe avere l’obbiettivo di costringere Israele a porre fine alla protratta occupazione e all’assedio del popolo palestinese, navigando in alto mare, se necessario. Per fortuna i bravi attivisti della Freedom Flotilla stanno facendo proprio questo.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Gaza 2020: com’è facile per il mondo cancellare la sofferenza dei palestinesi

David Hearst

13 dicembre 2019 – Middle East Eye

Nel 2012 le Nazioni Unite hanno dichiarato che Gaza sarebbe divenuta invivibile entro il 2020. Israele ha contribuito volontariamente a ciò.

Vorrei che voi faceste una verifica. Cercate su Google le parole “uccisa famiglia di otto persone” e vi verranno fornite diverse alternative: una a Sonora, in Messico, un’altra a Pike, nell’Ohio, un’altra nella Contea di Mendocino, in California.

Ma la sconfinata memoria di Google sembra essere stata colpita da amnesia riguardo a quanto è successo solo un mese fa a Deir al-Baba, a Gaza.

Ricapitolando, perché anche voi potreste aver dimenticato: il 14 novembre un pilota israeliano ha lanciato una bomba JDAM [Joint Direct Attact Munition [bombe munite di un sistema di guida sull’obiettivo, ndtr.] da una tonnellata su un edificio in cui dormivano otto membri di una famiglia. Cinque di loro erano minori, due dei quali neonati.

Inizialmente, l’esercito israeliano ha cercato con la menzogna di liberarsi della responsabilità per l’uccisione della famiglia di al-Sawarka (un altro membro della famiglia è morto in seguito a causa delle ferite, portando il totale a nove). Il suo portavoce in lingua araba ha sostenuto che l’edificio era una postazione di comando nel centro della Striscia di Gaza per un’unità di lancio di missili della Jihad islamica.

Tuttavia, come ha rivelato Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndtr.], il bersaglio era stato considerato tale almeno un anno fa. Le informazioni erano fondate su delle voci e nessuno si era preso la briga di verificare chi vivesse all’interno di quell’edificio: ma hanno lanciato lo stesso la bomba.

L’intelligence militare in grado di identificare e colpire obiettivi in movimento come Bahaa Abu al-Atta, il comandante della Jihad islamica nella Striscia di Gaza settentrionale – o di attentare alla vita di Akram al-Ajouri, un membro del suo ufficio politico a Damasco – è contemporaneamente incapace di aggiornare la banca dati dei suoi obiettivi, risalente ad un anno fa.

L’esercito israeliano non aveva necessità di mentire. Nessuno ci ha fatto caso. Né lo scambio di lanci di razzi né l’uccisione della famiglia Sawarka hanno riempito le prime pagine del Guardian [quotidiano inglese di centro sinistra, ndtr.], del New York Times o del Washington Post.

Piano dietetico israeliano per Gaza

Questo è Gaza ora: un brutale assedio di una popolazione dimenticata che sopravvive in condizioni che le Nazioni Unite hanno previsto come invivibili entro il 2020, un anno che è solo a poche settimane di distanza.

È inesatto affermare che le morti della famiglia Sawarka abbiano riscontrato indifferenza in Israele.

L’unico rivale di Benjamin Netanyahu per la leadership è Benny Gantz. Chiunque nelle capitali occidentali scambi Gantz per un pacifista, semplicemente perché sta sfidando Netanyahu, dovrebbe guardare una serie di video della campagna elettorale che l’ex capo dell’esercito israeliano ha recentemente diffuso riguardo a Gaza.

Uno di questi inizia con una sorta di sequenze che avrebbe potuto realizzare un drone russo dopo il bombardamento di Aleppo Est. La devastazione è come [quella di] Dresda o Nagasaki. Ci vogliono alcuni secondi inquietanti per rendersi conto che queste orribili riprese da parte di un drone non sono una denuncia ma una esaltazione della distruzione.

Il suo messaggio in ebraico è chiaramente ciò che nel diritto internazionale è considerato un crimine di guerra. “Parti di Gaza sono state riportate all’età della pietra … 6.231 bersagli distrutti … 1.364 terroristi uccisi … 3.5 anni di quiete … Solo i forti vincono”.

Indifferenza non è la parola giusta. Assomiglia di più ad un’esultanza.

Il soffocamento di Gaza da parte di Israele precede l’assedio iniziato quando Hamas prese il potere nel 2007. Come ha detto lo scrittore israeliano Meron Rapoport, i leader israeliani hanno a lungo nutrito pensieri genocidi su cosa fare con l’enclave in cui hanno cacciato tutti quei rifugiati dopo il 1948.

Nel 1967, l’ex primo ministro israeliano Levi Eshkol istituì un’unità operativa rivolta a incoraggiare i palestinesi ad emigrare.

“Proprio perché si trovano là soffocati e imprigionati, forse gli arabi si sposteranno dalla Striscia di Gaza … Forse se non diamo loro abbastanza acqua non avranno scelta, perché gli orti ingialliranno e appassiranno”, egli ipotizzava, secondo i verbali declassificati delle riunioni del governo declassificati nel 2017.

Nel 2006, Dov Weisglass, consigliere del governo, dichiarò: “L’idea è di mettere i palestinesi a dieta, ma non di farli morire di fame”.

Il valico di Rafah come valvola di sicurezza

Il passare del tempo non ha intaccato né modificato queste intenzioni.

La differenza oggi è che i leader israeliani non sentono più il bisogno di mascherare le proprie opinioni su Gaza. Come ha fatto Gantz, dicono ad alta voce ciò che in precedenza avevano detto o pensato in privato.

In privato, i primi ministri israeliani non hanno mai smesso di comunicare con Hamas attraverso intermediari, principalmente riguardo agli scambi di prigionieri.

Tony Blair, ex inviato del Medio Oriente per il Quartetto [gruppo composto da ONU, USA, UE e Russia, costituitosi a Madrid nel 2002 al fine di mediare sul processo di pace tra Israele e Palestina, ndtr.] si impegnò sul piano diplomatico offrendo ad Hamas un porto marittimo e un aeroporto in cambio della fine del conflitto con Israele. Non ottenne niente.

Hamas ha offerto autonomamente una hudna [tregua in arabo, ndtr.] o un cessate il fuoco a lungo termine ed ha modificato il proprio statuto per rispecchiare un accordo basato sui confini palestinesi del giugno 1967 [cioè prima della guerra dei Sei Giorni e l’occupazione di Cisgiordania e Gaza, ndtr.]. Ma ha rifiutato di smantellare o trasferire le sue forze militari. Fatah e l’OLP hanno intrapreso un percorso di declino e di perdita di rilevanza politica nel momento in cui hanno riconosciuto l’esistenza di Israele. Ciò non costituisce un grande incentivo per Hamas e gli altri gruppi della resistenza armata a Gaza.

Nel frattempo, sono emerse anche le oscillazioni tra colloqui e guerra, e gli interessi di altre parti nell’assedio di Gaza. A volte, queste parti sono state più realiste del re riguardo al desiderio di vedere Gaza e Hamas sottomesse.

Uno di questi è l’Egitto sotto il governo guidato da Abdel Fattah al-Sisi.

Nel 2012, sotto il governo del presidente Mohamed Morsi, una media di 34.000 persone attraversava ogni mese il valico di Rafah. Nel 2014, dopo l’arrivo al potere di al-Sisi, il confine con l’Egitto è rimasto chiuso per 241 giorni. Nel 2015 è stato chiuso per 346 giorni – e aperto solo per 19 giorni. Al-Sisi ha gestito il valico di frontiera di Rafah esattamente come Israele.

Il valico è un [come] un rubinetto. Lo chiudi e fai pressione politica su Hamas negando l’accesso dei malati terminali a cure mediche adeguate. Lo apri e alleggerisci la pressione sui detenuti di questa gigantesca prigione.

Un terzo complice dell’assedio è la stessa Autorità Palestinese. Secondo Hamas, dall’aprile 2007 l’ANP ha ridotto gli stipendi dei suoi dipendenti a Gaza, costretto alla pensione anticipata 30.000 dipendenti pubblici, ridotto il numero di permessi medici per ricevere cure all’estero, tagliato medicine e forniture mediche. I tagli agli stipendi sono in gran parte indiscutibili.

Un esperimento disumano

L’effetto a lungo termine dell’assedio sull’enclave è devastante, come riportato da MEE questa settimana.

Immaginate come reagirebbe la comunità internazionale se a Hong Kong o a New York, altri due territori altrettanto densamente abitati, la disoccupazione fosse del 47%, il tasso di povertà del 53%, il numero medio [degli alunni] in una classe fosse di 39 e il tasso di mortalità infantile al 10,5 per 1.000 nati.

La comunità internazionale si è assuefatta ad assolvere Israele da ogni responsabilità per le punizioni collettive e le gravi violazioni dei diritti umani.

Ma sicuramente il punto ora è che Gaza deve essere considerata una vergogna umana sulla coscienza del mondo.

Per negligenza o per omissione, tutti i governi occidentali hanno contribuito attivamente alla sua sofferenza. Tutti sono profondamente complici di un esperimento disumano: come mantenere oltre 2 milioni di persone a un livello di sussistenza considerato intollerabile e invivibile dalle Nazioni Unite, senza spingerle verso un’estinzione di massa.

Cosa deve succedere perché questo cambi? Per quanto ancora cancelleremo, come sembra fare Google, Gaza, i suoi rifugiati, la sua sofferenza quotidiana dalla coscienza collettiva del mondo?

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst

David Hearst è caporedattore del Middle East Eye. Ha lasciato l’incarico di caporedattore esteri di The Guardian. In 29 anni di carriera di ha scritto sulla bomba di Brighton [il 12 ottobre 1984 una bomba dell’IRA esplode al Grand Hotel di Brighton, dove si sta svolgendo il congresso del partito Conservatore alla presenza di Margaret Thatcher, causando la morte di 5 persone (tra cui un parlamentare), ndtr.], sullo sciopero dei minatori, sulla reazione dei lealisti in seguito all’accordo anglo-irlandese nell’Irlanda del Nord, sui primi conflitti dopo la separazione dalla ex-Jugoslavia di Slovenia e Croazia, sulla fine dell’Unione Sovietica, sulla Cecenia e i sui conflitti connessi. Ha descritto il declino morale e fisico di Boris Eltsin e le condizioni che hanno creato l’ascesa di Putin. Dopo l’Irlanda, è stato nominato corrispondente dell’Europa per The Guardian Europe, poi è entrato a far parte della redazione di Mosca nel 1992, prima di diventare capo redattore nel 1994. Ha lasciato la Russia nel 1997 per unirsi alla redazione esteri [in GB, ndtr.], è diventato caporedattore per l’Europa e quindi caporedattore associato per gli esteri. È giunto a The Guardian da The Scotsman, dove ha lavorato come corrispondente sulle questioni educative.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)