Bruciate chiese e moschee in Israele

Fino a quando Israele permetterà che vengano bruciate le sue chiese e le sue moschee?

Israele deve trattare i mandanti dei crimini motivati d’odio, come quello commesso vicino a Tiberiade, con la stessa severità riservata a coloro che mandano le auto bomba nel centro delle città.

Editoriale di Haaretz 21 giugno 2015

L’incendio doloso di giovedì [18 giugno] della chiesa “Della Moltiplicazione dei Pani e dei Pesci” a Tabgha, vicino a Tiberiade, è il diciottesimo attacco incendiario a una chiesa o a una moschea negli ultimi quattro anni. Nessuno di questi casi è stato risolto, nessun responsabile è stato individuato e, naturalmente, nessun colpevole è stato accusato per gli attacchi, che sono parte di un’ampia serie di azioni, comprendenti scritte con lo spray sulle chiese e sulle moschee incitanti all’odio, sputi ai sacerdoti cristiani a Gerusalemme e la pubblicazione di editti di vari rabbini contro i “gentili”.

Danneggiare luoghi sacri non è solo un atto criminale o un o un crimine qualunque motivato dall’odio. Proteggere la libertà di culto è uno dei principi fondamentali universali previsti da tutti i trattati e dalle costituzioni di tutti i Paesi, in quanto costituisce l’aspetto principale dell’identità culturale. Persino nazioni che si costituiscono in base alla religione prevalente, come alcuni Stati islamici, considerano le istituzioni religiose di altre fedi come luoghi sacri, perseguendo e punendo coloro che le profanano.

Le leggi israeliane contro il danneggiamento dei luoghi sacri sono di una chiarezza cristallina, così come il discorso ufficiale apparentemente portato avanti dal governo. Se si considera la fedeltà nei confronti della definizione di Israele come Stato ebraico, il governo condanna vigorosamente tutti i casi in cui un luogo di culto non ebraico viene deturpato. Tuttavia è difficile prendere in seria considerazione le condanne espresse dal primo ministro, dai ministri e dagli esponenti della Knesset quando, nello stesso momento, fanno l’occhiolino a quelli che infrangono la sovranità dello Stato e intraprendono personali campagne religiose e culturali contro i cristiani e i musulmani.

Quale messaggio ha realmente trasmesso al pubblico il primo ministro Benjamin Netanyahu dopo l’ultimo attacco incendiario? Ha dato istruzioni al capo dei servizi di sicurezza Shin Bet [il servizio segreto interno n.d.t.] di accelerare l’inchiesta per trovare i colpevoli. Significa che deturpare le istituzioni religiose fino ad ora non era tra i compiti dello Shin Bet? Possiamo trarre la conclusione che individuare i colpevoli dei crimini motivati dall’odio contro gli arabi non è un fatto degno della loro attenzione?

È giusto dire che profanare luoghi di culto non è percepito come un atto “classico” di terrorismo che mette in pericolo la sicurezza nazionale. Tale interpretazione vale anche ovviamente per i colpevoli di delitti motivati dall’odio e per i fanatici religiosi. La loro continua libertà gli da un senso di impunità che gli permette di continuare nei loro crimini.

Il governo di Israele, giustamente, non avrebbe ignorato l’incendio di sinagoghe, la distruzione di tombe nei cimiteri ebraici o l’aggressione contro ebrei in altri Paesi se i governi [di questi Paesi] si fossero scarsamente impegnati nell’indagare simili crimini. Ora deve dimostrare determinazione nello sradicare analoghi crimini di incitamento all’odio dall’area sotto la sua giurisdizione, definendo i colpevoli come terroristi che minano la sicurezza d’Israele, né più né meno di quelli che mandano le auto bomba nel centro delle città.

 

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)