Il capo di stato maggiore delle IDF afferma che sono stati arrestati 1.500 palestinesi

Redazione di MEMO

6 settembre 2022 – Middle Est Monitor

Media locali hanno riferito che il capo di stato maggiore delle forze armate israeliane Aviv Kohavi ha dichiarato che circa 1500 ricercati palestinesi sono stati arrestati nella Cisgiordania occupata e centinaia di attacchi sono stati sventati finora come parte dell’operazione ‘Rompere l’onda’, che è stata iniziata alla fine di marzo.

Durante una riunione militare Kohavi ha aggiunto che l’incremento delle operazioni ha origine nella inefficacia dei meccanismi di sicurezza della Autorità Nazionale Palestinese (ANP) che causa la mancanza di controllo in certe aree della Cisgiordania.

Come sempre, anche di fronte a questo cambiamento della situazione, il nostro compito è proteggere i cittadini di Israele e la nostra missione è di contrastare il terrorismo. Raggiungeremo ogni città, quartiere, vicolo, casa o scantinato per quello scopo. La nostra attività continuerà e siamo preparati ad intensificarla secondo le necessità”, è stato citato dal Times of Israel.

La nostra attività continuerà e siamo preparati ad incremementarla in base alle necessità” ha aggiunto.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’iconica “Voce della Palestina” di Al Jazeera uccisa durante un raid israeliano

Ali Abunimah – 11 maggio 2022

ElectronicIntifada

Mercoledì mattina Shireen Abu Akleh , corrispondente di Al Jazeera, è stata colpita a morte da uno sparo durante un raid israeliano nella Cisgiordania occupata, provocando shock e rabbia in Palestina e in tutta la regione.

“Un crimine tragico e deliberato che viola tutte le leggi e le norme internazionali, le forze di occupazione israeliane hanno assassinato a sangue freddo la nostra corrispondente Shireen Abu Akleh”, ha affermato la rete con sede in Qatar.

Israele inizialmente ha incolpato i palestinesi della morte di Abu Akleh, ma in seguito ha ritrattato l’affermazione.

La sua morte è stata annunciata dal Ministero della Salute palestinese poco dopo la diffusione di video online che mostravano il suo corpo inerte mentre veniva caricato su un’auto e portato via.

Il sito web in lingua inglese della rete ha riferito che la corrispondente veterana “è stata colpita mercoledì da un proiettile mentre seguiva in diretta i raid israeliani nella città di Jenin ed è stata portata d’urgenza in ospedale in condizioni critiche, secondo il Ministero e i giornalisti di Al Jazeera”.

Quando è stata uccisa Abu Akleh, palestinese con cittadinanza statunitense, indossava il giubbotto della stampa e un casco. Aveva 51 anni.

Un altro giornalista, Ali Samoudi, è stato colpito alla schiena durante lo stesso scontro ed è stato riferito che si trova in condizioni stabili.

Nelle interviste rilasciate dal suo letto d’ospedale, Samoudi ha insistito sul fatto che i giornalisti fossero stati deliberatamente presi di mira dalle forze israeliane e che al momento non c’era nessuna azione di fuoco da parte dei palestinesi contro i soldati israeliani.

Samoudi ha detto che i giornalisti si trovavano in uno spazio aperto e dunque erano chiaramente visibili ai soldati. Ha detto che non c’era alcun palestinese combattente o civile nella zona, solo soldati israeliani.

“Stavamo per filmare l’operazione dell’esercito israeliano e all’improvviso ci hanno sparato senza chiederci di andarcene o interrompere le riprese”, ha detto Samoudi. “Il primo proiettile ha colpito me e il secondo proiettile ha colpito Shireen… non c’era alcuna resistenza militare palestinese sul posto”.

Anche Shatha Hanaysha, un’altra giornalista che si trovava proprio accanto ad Abu Akleh, ha affermato che non erano in corso scontri tra combattenti palestinesi ed esercito israeliano e ha affermato che i giornalisti sono stati intenzionalmente presi di mira.

“Eravamo quattro giornalisti, tutti indossavamo giubbotti, tutti indossavamo caschi”, ha detto Hanaysha ad Al Jazeera. “L’esercito di occupazione [israeliano] non ha smesso di sparare neanche quando si è accasciata. Non potevo nemmeno allungare il braccio per tirarla via a causa degli spari. Era evidente che l’esercito sparava per uccidere”.

Al Jazeera ha trasmesso il video di una persona con indosso un giubbotto antiproiettile con la scritta “Press” e un elmetto che giaceva immobile a terra, affermando che si tratta della scena finale dell’omicidio di Abu Akleh.

Si può vedere un’altra persona con indosso lo stesso abbigliamento accovacciata nelle vicinanze, mentre i palestinesi si avvicinano per prestare assistenza.

Israele si rimangia il tentativo di incolpare i palestinesi

Israele ha ammesso che i suoi soldati erano entrati nel campo profughi di Jenin alla ricerca di quelli che definisce “sospetti terroristi”.

I raid quasi quotidiani delle forze di occupazione israeliane in tutta la Cisgiordania provocano regolarmente feriti e morti tra i palestinesi.

Ma Tel Aviv è subito passata all’offensiva, negando la responsabilità per la morte di Abu Akleh.

Il primo ministro Naftali Bennett ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma: “Sembra probabile che dei palestinesi armati – che al momento stavano sparando indiscriminatamente – siano i responsabili della sfortunata morte della giornalista”.

Secondo il giornalista israeliano Barak Ravid, Bennett ha basato la sua affermazione su un video girato da palestinesi e condiviso sui social media.

Nel video si sente una voce che dice in arabo: “Hanno colpito un soldato, è sdraiato a terra”.

Il Ministero degli Esteri israeliano ha condiviso un’altra clip che mostra un uomo in uno stretto vicolo che spara con un’arma automatica. Il Ministero ha ribadito l’affermazione secondo cui i palestinesi “sparando indiscriminatamente avrebbero probabilmente colpito” Abu Akleh.

I sottotitoli nel video del Ministero degli Esteri non corrispondono al suo audio, e sembrano presi dal video condiviso da Ravid.

L’esercito israeliano ha condiviso lo stesso video.

Niente nei due video sembra collegato alla morte di Abu Akleh. L’obiettivo immediato di Israele sembra essere stato quello di sollevare abbastanza polvere da evitare titoli compromettenti e seminare dubbi su ciò che era realmente successo.

Il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem ha detto che il suo operatore sul campo a Jenin “ha documentato il luogo esatto in cui ha sparato il palestinese armato ripreso nel video diffuso dall’esercito israeliano, così come il luogo esatto in cui è stata uccisa la giornalista Shireen Abu Akleh. “

In base a questa indagine, il gruppo ha concluso che il video degli “spari palestinesi diffuso dall’esercito israeliano non può essere quello dello sparo che ha ucciso la giornalista Shireen Abu Akleh”.

Israele ha una lunga storia di utilizzo di video e immagini false o dati fuori contesto per eludere la responsabilità delle proprie azioni.

Israele in seguito ha ritirato le accuse contro i palestinesi, e il capo dell’esercito Aviv Kohavi ha affermato: “Al momento non è possibile determinare da quali proiettili sia stata uccisa Abu Akleh”.

Kohavi ha detto che l’esercito israeliano aprirà un’indagine interna per “chiarire i fatti e presentarli in toto il prima possibile”.

Nel frattempo Itamar Ben-Gvir, un deputato israeliano di estrema destra noto per aver elogiato la violenza contro i palestinesi, ha giustificato l’omicidio di Abu Akleh.

“Quando a Jenin i terroristi sparano sui nostri soldati, loro devono rispondere al fuoco con la massima forza, anche se nella zona ci sono ‘giornalisti’ di Al Jazeera che spesso stanno deliberatamente in mezzo alla battaglia e disturbano i soldati”, ha twittato Ben-Gvir.

“Secondo quanto riferito, è finita nel fuoco dei terroristi”, ha anche affermato Ben-Gvir, “E comunque pieno appoggio agli eroici soldati dell’esercito israeliano”.

Gli Stati Uniti chiedono un’indagine

L’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele Thomas Nides si è detto “molto triste nell’apprendere della morte della giornalista americana e palestinese” Abu Akleh.

“Incoraggio un’indagine approfondita sulle circostanze della sua morte e del ferimento di almeno un altro giornalista oggi a Jenin”, ha aggiunto Nides.

Il tono gentile contrasta con la reazione dei funzionari statunitensi quando a marzo in Ucraina è stato ucciso il regista americano Brent Renaud.

Sebbene le circostanze dell’omicidio di Renaud non fossero chiare, il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price aveva immediatamente denunciato quello che definiva un “raccapricciante esempio delle azioni indiscriminate del Cremlino”.

A febbraio, il Dipartimento di Stato aveva chiesto a Israele di condurre una “approfondita indagine penale” dopo che il mese precedente i soldati israeliani avevano attaccato Omar Assad, un anziano palestinese americano, lasciandolo senza vita.

Alla richiesta degli Stati Uniti di indagare sull’omicidio di Assad ha fatto seguito una rapida indagine interna israeliana che si era conclusa con un lieve rimprovero ai tre soldati coinvolti.

Washington, che fornisce a Israele miliardi di dollari di armi ogni anno, non ha mai dato seguito alle sue richieste con sanzioni che sanciscano la responsabilità di Israele.

Sistema di insabbiamento

“Non credo che l’abbiamo uccisa noi”, ha detto Ran Kochav, portavoce dell’esercito israeliano, all’emittente pubblica Kan.

Abbiamo proposto ai palestinesi di aprire una rapida indagine congiunta. Se l’abbiamo davvero uccisa, ci assumeremo la responsabilità, ma non sembra sia così”.

Va detto che le indagini interne di Israele nascondono sistematicamente i crimini dei soldati dell’occupazione contro i palestinesi.

Nel 2016, B’Tselem ha annunciato che avrebbe smesso di collaborare alle indagini militari israeliane, che ha definito un “sistema di insabbiamento”.

L’autorevole associazione israeliana per i diritti umani ha aggiunto che 25 anni di denunce infruttuose a nome dei palestinesi “ci hanno portato alla consapevolezza che non ha più senso perseguire la giustizia e difendere i diritti umani lavorando con un sistema la cui vera funzione consiste nella capacità di continuare a coprire con successo atti illegali e proteggere i colpevoli”.

Continui attacchi ai giornalisti

Alla notizia della sua morte molti utenti dei social media hanno pianto l’omicidio di Abu Akleh come il mettere a tacere la “Voce della Palestina”.

Abu Akleh lavorava ad Al Jazeera dal 1997. I suoi reportage sono noti a decine di milioni di persone in tutto il mondo arabo. Era molto rispettata tra i colleghi palestinesi e internazionali.

Nonostante ora neghi la propria responsabilità, Israele ha una lunga storia di ferimenti e uccisioni di giornalisti e operatori dei media.

Le forze israeliane hanno attaccato i giornalisti che seguivano la Grande Marcia del Ritorno, le proteste di massa disarmate a Gaza iniziate nel 2018.

Due giornalisti, Yaser Murtaja e Ahmad Abu Hussein, sono stati uccisi e altre decine sono stati feriti.

Durante la campagna di bombardamenti su Gaza l’anno scorso, Israele ha deliberatamente preso di mira gli edifici che ospitavano quasi tutti gli uffici dei media locali e internazionali.

Israele, che si vanta dell’abilità della sua intelligence, ha in seguito assurdamente affermato di non avere idea che nell’edificio fossero ospitate le principali organizzazioni dei media mondiali.

Quasi un anno fa, gli aerei da guerra israeliani hanno raso al suolo un edificio che ospitava gli uffici dell’Associated Press e di Al Jazeera.

Israele ha affermato che l’edificio era in uso all’intelligence militare di Hamas, ma non ha mai offerto alcuna prova.

Un raid aereo israeliano ha ucciso anche il giornalista Yousif Abu Hussein, 32 anni, nel suo appartamento a Gaza City. Era un popolare giornalista della radio Voice of Al-Aqsa.

Reporter senza frontiere lo scorso maggio ha dichiarato di “condannare l’uso sproporzionato della forza da parte di Israele contro i giornalisti, che in nessun caso dovrebbero essere trattati come parti del conflitto armato”.

E il mese scorso la Corte penale internazionale ha ricevuto una denuncia per presunti crimini di guerra contro giornalisti commessi dalle forze di occupazione israeliane.

Per la Federazione internazionale dei giornalisti la denuncia riguarda l’aver preso ” sistematicamente di mira” quattro operatori dei media palestinesi “uccisi o mutilati dai cecchini israeliani mentre seguivano le manifestazioni a Gaza”,.

Ali Abunimah è co-fondatore di The Electronic Intifada e autore di The Battle for Justice in Palestine [La battaglia per la giustizia in Palestina], appena uscito da Haymarket Books e di  One Country: A Bold-Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse [Un solo paese: una proposta coraggiosa per por fine all’impasse israelo-palestinese].

Tamara Nassar ha contribuito alla ricerca.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




L’esercito israeliano è pronto ad invadere Gaza

14 Marzo 2022 – Middle East Monitor

Ieri Arab48 ha riferito che il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano, Aviv Kohavi, ha affermato che il suo esercito è pronto ad invadere Gaza e altre città palestinesi più efficacemente di quanto accaduto a Jenin nel 2002.

Il canale televisivo israeliano Kan 11 ha riportato il discorso di Kohavi per il 20° anniversario dell’invasione nel 2002 di Jenin e di altre città della Cisgiordania nel tentativo di soffocare la Seconda Intifada.

Il tentativo dell’esercito israeliano di fermare l’Intifada fallì nonostante i massacri e i crimini di guerra che vennero compiuti. Allora il primo ministro israeliano, il defunto Ariel Sharon, ordinò la costruzione dell’illegale muro di separazione.

Kohavi ha affermato che il piano d’azione portato avanti a Jenin nel 2002, tagliando le comunicazioni, l’acqua e l’elettricità alla città, potrebbe essere ripetuto a Gaza nel 2022, “ma in un modo più efficace”.

Kohavi ha dichiarato che “la capacità dell’esercito israeliano di occupare le città palestinesi e di amministrarle ha dato alle leadership politica e militare israeliane e ugualmente ai comandanti sul campo dell’esercito israeliano ampia credibilità che l’esercito sia in grado di raggiungere qualunque luogo.”

L’ultima invasione israeliana di Gaza è stata nel 2014, quando lo Stato di Israele ha ucciso più di 2.200 palestinesi, inclusi 551 bambini. Da allora ha effettuato un certo numero di offensive contro la striscia, l’ultima delle quali è stata a maggio 2021, quando in 11 giorni sono stati uccisi 254 palestinesi. L’esercito di occupazione bombarda periodicamente Gaza, fa volare in cielo droni da ricognizione e danneggia i raccolti nell’enclave assediata.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)