L’opposizione in Israele è solo per gli ebrei

Editoriale Haaretz

14 marzo 2023 Haaretz

I capi dei partiti ebraici di opposizione non perdono mai l’opportunità di ripetere l’errore di aderire ad una politica separatista che potrebbe davvero tenerli per sempre all’opposizione.

Questa settimana hanno orgogliosamente annunciato che se le leggi del golpe giudiziario verranno portate in parlamento per la votazione finale essi boicotteranno il voto. Questa è certamente un’importante e meritevole dichiarazione. Ma nella dichiarazione congiunta emessa dal capo di Yesh Atid Yair Lapid, dal capo del National Unity Party Benny Gantz, dal capo di Yisrael Beiteinu Avigdor Lieberman e dalla capa del Labor Party Merav Michaeli, si notava l’assenza di due persone – i capi dei due partiti arabi dell’opposizione, Hadash-Ta-al e la Lista Araba Unita (UAL).

I quattro leader ebrei dell’opposizione hanno mostrato unità nel dichiarare che faranno ogni cosa in loro potere per bloccare ciò che definiscono “un insano insieme di leggi”. Hanno sottolineato che “l’unità nazionale inizia con un dialogo sincero e fin quando la legislazione non sia bloccata resta una mera illusione.”

Ma quanto vale questa unità se esiste solo tra gli ebrei? E che forma assume la battaglia contro questa “insana” legislazione se esclude dalle sue fila i rappresentanti eletti dei cittadini arabi israeliani – la minoranza contro la quale è diretto il golpe, la prima minoranza che ne subirà i danni e, in larga misura, la sua principale vittima?

Lapid, il capo dell’opposizione, purtroppo sceglie di incitare contro gli arabi, come è sua abitudine, piuttosto che porgere ad essi una mano per costruire un’alleanza civile abbastanza ampia perché ebrei e arabi marcino insieme.

Il golpe giudiziario di Israele

Interrogato sul perché i leader dell’opposizione araba fossero assenti dall’incontro dei capi dell’opposizione ebrei, ha risposto che il capo della UAL Mansour Abbas è stato invitato ma non si è presentato, mentre il capo di Hadash- Ta’al Ayman Odeh “collabora con il Likud”, il partito del Primo Ministro Benjamin Netanyahu.

Questa risposta non è che demagogica, del genere usato da Netanyahu. A differenza di Lapid, Lieberman e Gantz, Odeh non ha mai lavorato con Netanyahu e di sicuro non “lavora con il Likud.” E’ anche ragionevole ritenere che non abbia intenzione di lavorare con Netanyahu in futuro, sia a breve che a lungo termine.

Da uno che pensa di guidare l’opposizione, di opporsi ad una destra guidata da Netanyahu, Bezalel Smotrich e Itamar Ben-Gvir e di lottare in nome della democrazia liberale, non ci si aspetta che dica cose del genere.

Di fatto ha il dovere di creare un’alleanza con la minoranza araba, di impegnare tutta la sua forza politica per porre le fondamenta di una sincera e solida collaborazione tra ebrei e arabi, di abbattere i muri della paura e dell’odio e di superare gli ostacoli ad una simile collaborazione. Perché solo insieme ci può essere una motivazione o una possibilità di sostituire il governo.

Un’opposizione fatta da soli ebrei non ha diritto di esistere in un’alleanza per la democrazia. L’opposizione a questo governo “totalmente di destra” deve essere totalmente democratica. E non può esserlo senza i cittadini arabi di Israele.

Questo articolo è il principale editoriale di Haaretz, pubblicato sui giornali ebraici e inglesi in Israele.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




L’ennesima elezione in Israele: perché ai palestinesi non interessa?

Mohamad Kadan

30 ottobre 2022-Aljazeera

Molti palestinesi con cittadinanza israeliana non voteranno il 1° novembre, sentendosi delusi dai loro politici.

Quando il 1° novembre Israele terrà la sua quinta elezione in meno di quattro anni, la maggior parte del mondo lo vedrà come un altro segno di divisione nella politica israeliana. La lotta dell’ex primo ministro Benjamin Netanyahu per mantenere il potere e sfuggire all’accusa di corruzione ha incoraggiato la frammentazione politica e ha prodotto una serie di governi instabili.

Ma mentre in superficie la politica israeliana può sembrare afflitta da instabilità, c’è un notevole consenso politico su questioni chiave in materia di sicurezza, politica economica ed estera. Invece una reale divisione ha regnato nella comunità palestinese in Israele.

In effetti prima del voto l’umore tra noi, palestinesi con cittadinanza israeliana, è piuttosto pessimista. Secondo un recente sondaggio non più del 39% dei palestinesi che hanno diritto di voto in Israele si presenterà alle urne. Ciò potrebbe avere un grave effetto sui risultati, portando potenzialmente i voti dei partiti palestinesi al di sotto della soglia necessaria per entrare alla Knesset.

Allora perché noi palestinesi siamo così riluttanti ad andare alle urne in Israele? Molto ha a che fare con le strategie dei nostri partiti che non sono riuscite a produrre alcun cambiamento significativo nella situazione precaria in cui ci troviamo.

Un cambio di direzione

I palestinesi con cittadinanza israeliana hanno avuto il diritto di votare alle elezioni israeliane sin dalla fondazione dello Stato nel 1948.

I partiti palestinesi, anche quando si sono frammentati, sono rimasti ideologicamente vicini l’uno all’altro e fedeli al loro ruolo di portavoce della comunità palestinese, per richiamare l’attenzione sulle ingiustizie che ha dovuto affrontare e opporsi ai governi israeliani di qualsiasi orientamento politico e alle loro politiche sioniste.

È stato così fino al 2015, quando è stata formata da una coalizione di partiti palestinesi la Joint List [Lista Unita]. Ayman Odeh, il leader della nuova formazione, immaginava che la presenza palestinese alla Knesset avrebbe potuto giocare un ruolo nella costruzione di una grande base liberaldemocratica in Israele. Quell’anno ha vinto 13 seggi alla Knesset ed è riuscita a mobilitare circa il 63% degli elettori palestinesi aventi diritto, 10 punti percentuali in più rispetto alle elezioni precedenti.

Nelle elezioni del settembre 2019, la Joint List ha vinto nuovamente 13 seggi, diventando la terza forza dell’organo legislativo. Il successo dell’alleanza è arrivato mentre Netanyahu ha condotto una campagna tossica e anti-palestinese, sperando di mantenere il potere.

Odeh si sentiva fiducioso dopo questi risultati e ha deciso di schierarsi contro Netanyahu e con il suo avversario, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz. Di conseguenza, dopo le elezioni ha annunciato che la Joint List avrebbe sostenuto Gantz per la carica di primo ministro – [sarebbe stata] la prima volta che un partito palestinese avrebbe fatto parte della maggioranza di un premier sionista.

Gantz non solo non è riuscito a formare un governo, ma ha respinto con arroganza il sostegno della Joint List. Dopo le elezioni del marzo 2020, in cui la Joint List ha ottenuto 15 seggi, la Knesset è stata nuovamente bloccata e ancora una volta la coalizione dei partiti palestinesi ha appoggiato l’ex capo di stato maggiore contro Netanyahu. Questa volta il “tradimento” di Gantz è stato ancora più eclatante: ha deciso di formare un governo di unità nazionale con il suo avversario [cioè Netanyahu, ndt.].

Un anno dopo, Mansour Abbas, capo del partito Ra’am, ha deciso di fare un passo avanti nella strategia di Odeh. Il suo partito è uscito dalla coalizione Joint List prima delle elezioni del marzo 2021 e ha iniziato a dialogare ancora di più con i partiti israeliani.

Non voglio far parte di nessun blocco, di destra o di sinistra. Rappresento qui un altro blocco che mi ha eletto per servire il mio popolo e mi ha incaricato di presentare le richieste dell’opinione pubblica araba”, ha detto dopo le elezioni in cui il suo partito ha ottenuto quattro seggi.

L’argomento avanzato da Abbas era che i palestinesi devono uscire dal loro autoisolamento politico ed essere più coinvolti nella formazione del governo israeliano, indipendentemente dalla sua ideologia. Ciò avrebbe consentito loro una maggiore influenza politica e l’opportunità di difendere i propri interessi a livello di governo.

Tuttavia nella sua collaborazione con i partiti politici israeliani Abbas ha rilasciato una serie di dichiarazioni problematiche. Ha affermato che “Israele è uno Stato ebraico e tale rimarrà” e ha rifiutato di descrivere i coloni israeliani come “violenti”. Inoltre ha sostenuto di non accettare di chiamare Israele uno “Stato di apartheid”.

Strategia fallita

Il cambio di strategia è stato disastroso per la Joint List. Ha profondamente deluso molti elettori palestinesi che hanno toccato con mano che i partiti palestinesi non dovrebbero sostenere un primo ministro sionista, tanto meno uno accusato di crimini di guerra contro i palestinesi. Ciò si è riflesso nelle elezioni israeliane del 2021, quando [la Joint List] ha ottenuto solo sei seggi.

In apparenza la strategia di Abbas poteva sembrare aver più successo, ma in realtà non è stato così. La frammentazione della Knesset e la sua volontà di impegnarsi con i partiti israeliani lo [Abbas] hanno reso l’ago della bilancia nel complicato processo di formazione del governo nel 2021. Ha raggiunto un accordo con la coalizione israeliana, che ha formato il governo, per garantire maggiori finanziamenti per le comunità palestinesi in Israele, una sospensione delle demolizione delle case palestinesi e il riconoscimento delle città beduine palestinesi.

Tre villaggi sono stati effettivamente “legalizzati”, ma ciò è avvenuto in cambio dell’accordo di Abbas e del suo partito alla creazione di nuovi insediamenti israeliani nel deserto del Naqab [Negev in ebraico, ndt]. Le case palestinesi continuano a essere demolite dagli israeliani e non si è visto nessun cambiamento significativo nei settori dell’istruzione, della salute, delle infrastrutture e altro nelle comunità palestinesi

Secondo molti palestinesi Abbas ha rinunciato a troppo per troppo poco. In cambio di un miglioramento temporaneo invece che di soluzioni strutturali ai grandi problemi che la comunità deve affrontare, ha rinnegato le posizioni palestinesi di lunga data contro l’occupazione israeliana e l’apartheid.

Le sue posizioni controverse hanno anche minato la posizione palestinese nella politica israeliana, legando la legittimità delle richieste dei palestinesi alla loro accettazione del sionismo piuttosto che ai loro diritti come comunità che vive su questa terra da secoli.

Sia le strategie di Abbas che quelle di Odeh sono state criticate, anche da ex colleghi della loro coalizione. Sami Abou Shehadeh, dell’Assemblea Nazionale Democratica (Al-Tajammu’), ha suggerito che i partiti palestinesi dovrebbero tornare alla loro posizione di opposizione.

Ma quella strategia è stata inefficace anche perché funziona all’interno dei limiti dello spazio politico israeliano, che è appunto quello dell’apartheid. Per più di sette decenni votare e avere membri palestinesi alla Knesset non ha fermato l’espropriazione israeliana dei palestinesi, la violenza contro i palestinesi o l’approvazione di leggi anti-palestinesi.

Le comunità palestinesi in Israele sono estremamente povere, prive di risorse, sottosviluppate e trascurate. Le infrastrutture si stanno sgretolando, i tassi di criminalità sono alti, la disoccupazione è schiacciante e la povertà è molto diffusa.

Noi palestinesi sappiamo che non c’è speranza di cambiamento con ciò che i nostri politici offrono in questo momento. Mentre si avvicina il voto del primo novembre, io, come molti palestinesi, mi chiedo: perché votare e agire come se avessimo diritti o pari cittadinanza?

Sarò uno dei tanti palestinesi che non voteranno. La mia speranza è che la bassa affluenza alle urne sia un campanello d’allarme per la classe politica palestinese e inneschi un importante dibattito aperto all’interno della comunità sulla strada da seguire.

Se per noi negli ultimi 70 anni nulla è cambiato e la situazione sta solo peggiorando, è evidente che abbiamo bisogno di una revisione radicale della politica palestinese in Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo sono proprie dell’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Al Jazeera.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele: cinque morti nella sparatoria alla periferia di Tel Aviv

Lubna Masarwa, Huthifa Fayyad

29 marzo 2022 – Middle East Eye

Dopo l’attacco di un palestinese armato proveniente dalla Cisgiordania occupata Israele alza il livello di allerta al livello più alto da maggio dello scorso anno

Martedì un uomo armato ha ucciso cinque persone nel corso di una sparatoria nella periferia della città israeliana di Tel Aviv, pochi giorni dopo che due attacchi simili hanno provocato la morte di sei persone e diversi feriti.

L’assalitore, identificato come Diya Hamarshah, 27 anni, è stato successivamente colpito a morte dalla polizia.

I media locali hanno riferito che Hamarshah era un ex prigioniero palestinese della città occupata di Yabad, in Cisgiordania, vicino a Jenin.

La sparatoria sarebbe avvenuta in due posti diversi a Bnei Brak, un’area ebraica ultra-ortodossa.

Haaretz ha riferito che l’aggressore ha colpito un giovane in un minimarket con un fucile d’assalto, prima di sparare a un’altra persona in bicicletta e poi a un’auto di passaggio.

Un’abitante di Bnei Brak, che vive vicino al luogo dell’attacco e ha preferito non dire il suo nome, ha detto a Middle East Eye che la sparatoria l’ha lasciata “spaventata e triste”.

“Mi sento in pericolo. Non posso credere che sia successo così vicino a noi. Sono sempre scioccata nel vedere incidenti come questo, ma quando è così vicino ha un effetto diverso”, afferma.

“Non credo ci sia un futuro in Israele. Le lancette dell’orologio stanno tornando indietro. Non ho nessuna speranza”.

Alle 22:00 ora locale il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha tenuto una riunione con il ministro della Difesa Benny Gantz e altri funzionari della difesa per valutare la situazione della sicurezza.

La polizia ha annunciato di aver alzato il livello di allerta al livello più alto da maggio dello scorso anno.

Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas si è affrettato a condannare l’attacco, affermando che “l’uccisione di civili palestinesi e israeliani porterà solo a un deterioramento della situazione in un momento in cui stiamo cercando di raggiungere una stabilizzazione alla vigilia del mese di Ramadan.”

Ha condannato l’attacco anche Ayman Odeh, capo della Lista Comune, alleanza politica palestinese in Israele.

“Oggi cinque civili sono stati uccisi – ognuno un mondo a sé stante. Si uniscono ai 51 palestinesi uccisi dall’inizio dell’anno – ognuno un mondo a sé“, ha detto Odeh.

Condanno fermamente qualsiasi danno nei confronti di civili, sia palestinesi che israeliani, insieme a qualsiasi offesa a persone innocenti”, ha aggiunto.

È tempo di porre fine alla fonte dell’odio che consiste nella maledetta occupazione e di stabilire una pace che porti sicurezza e vita normale a entrambi i popoli”

“Israele deve incolpare sé stesso

L’assalto di martedì arriva pochi giorni dopo due attacchi simili da parte di cittadini palestinesi di Israele a Beersheba e Hadera, che hanno provocato la morte di un totale di sei persone, inclusi due agenti di polizia. Tutti e tre gli assalitori sono stati uccisi.

L’assalto arriva anche un giorno prima del 46° anniversario del primo Land Day. I palestinesi celebrano la Giornata della Terra ogni 30 marzo dal 1976, quando i cittadini palestinesi di Israele protestarono contro la politica israeliana di furto della terra e discriminazione.

L’analista israeliano Meron Rapoport ha detto a MEE che gli assalti probabilmente porranno il governo israeliano in una situazione molto difficile.

“Israele è molto sconcertato di fronte a questa situazione perché non ha nessuno contro cui combattere. Non è possibile occupare città palestinesi come nel 2002 perché sono già occupate, né può “occupare” Umm al-Fahm [nel Distretto di Haifa, con 45.000 abitanti quasi tutti palestinesi, ndtr.] perché sono cittadini israeliani”, afferma Rapoport.

“Israele potrebbe essere soddisfatto che l’Occidente e gli Stati arabi abbiano cessato di interessarsi alla causa palestinese, e il vertice del Negev [incontro sul Medio Oriente organizzato da Israele il 27 marzo 2022 a Sde Boker, nel Negev, con Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco, con lobiettivo di dare vita a unarchitettura di sicurezza regionale, ndtr.] avrebbe dovuto esserne una prova. Ma – come ha detto il professor Menachem Klein [docente della facoltà di Scienze Politiche dell’Università israeliana di Bar-Ilan, ndtr.] nel corso di una conversazione personale – la questione palestinese è stata trasformata in una mera questione interna israeliana, ed è esattamente ciò che sta accadendo ora. Israele può incolpare solo se stesso”.

La violenza sarà tuttavia sfruttata dall’estrema destra israeliana, avverte Rapoport.

Poco dopo l’attacco decine di israeliani si sono radunati sulla scena dove si potevano sentire cantare slogan anti-palestinesi, tra cui “morte agli arabi”. Alcuni chiedevano le dimissioni di Bennett.

Negli ultimi anni è cresciuta l’influenza dell’estrema destra all’interno delle forze di polizia e in generale nella politica israeliane.

Quelle forze, spiega Rapoport, ora useranno questi eventi per smantellare il governo, che è una fragile alleanza di compagini di destra, sinistra e centro, oltre che di rappresentanze palestinesi.

“L’estrema destra ha paura che Israele diventi una vera democrazia, quindi vuole rimuovere i palestinesi dalla vita politica”.

Tensioni nel Ramadan

A Yabad, citata come città natale di Hamarshah, dopo l’attacco la folla è scesa in piazza per mostrare solidarietà alla famiglia in vista delle scontate incursioni dell’esercito.

Raed Bakr, un abitante di Yabad, ha detto a MEE che dopo l’attacco è stato chiuso il posto di blocco di Dotan, situato a sud di Yabad, sulla strada che collega Jenin a Tulkarm.

“I giovani, in previsione delle incursioni israeliane, hanno bloccato l’ingresso di Yabad usando massi e bidoni della spazzatura”, dice Bakr.

“Al momento tutto è calmo ma la gente si aspetta da un momento all’altro incursioni dell’esercito”.

Aouni al-Mashni, un’importante figura politica palestinese di Betlemme, ha detto a MEE che i recenti eventi sono una prevedibile reazione alle continue aggressioni israeliane contro i palestinesi.

“La violenza usata da Israele, uno Stato razzista, contro i palestinesi in Cisgiordania e all’interno di Israele, avrà come ovvia contropartita una risposta violenta da parte dei palestinesi”, ha detto al-Mashni a MEE in un’intervista telefonica.

“L’espulsione dei residenti del Naqab [estesa zona desertica meridionale chiamata in ebraico Negev, ndtr.] la ebraificazione di Gerusalemme, gli attacchi a Sheikh Jarrah, le provocazioni alla moschea di al-Aqsa, le uccisioni quotidiane in Cisgiordania – tutto questo porta naturalmente alla contro-violenza. Questa violenza è esclusiva responsabilità di Israele”, ha aggiunto.

“E’ presto per arguire che stiamo entrando in una nuova fase, ma ci troviamo certamente in una fase caratterizzata da violenza e deterioramento”.

La tensione è aumentata nelle ultime settimane in vista del primo anniversario dell’offensiva di 11 giorni di Israele su Gaza [dal 10 al 20 maggio 2021, ndtr.].

Le violenze sono scoppiate lo scorso Ramadan quando Israele ha cercato di espellere delle famiglie palestinesi dal quartiere occupato di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est per far posto ai coloni israeliani.

Ciò ha provocato proteste diffuse in tutta la Cisgiordania occupata e nella comunità palestinese all’interno di Israele, scatenando nel maggio 2021 l’operazione militare su vasta scala di Israele sulla Striscia di Gaza assediata.

Secondo Axios [organo di informazione online israeliano in lingua inglese, ndtr.], i funzionari statunitensi si sono adoperati per mantenere la calma a Gerusalemme, in vista dell’anniversario del conflitto in cui più di 260 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, 29 nella Cisgiordania occupata e 13 persone in Israele.

“I leader arabi sono avulsi dalla realtà

All’inizio di questa settimana, i ministri degli Esteri di Marocco, Egitto, Bahrain, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Stati Uniti si sono incontrati in Israele per un vertice di due giorni a Naqab (Negev) per discutere di questioni regionali.

Nel frattempo, il re di Giordania Abdullah ha incontrato lunedì a Ramallah il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Mahmoud Abbas.

La serie di incontri ad alto livello tra leader regionali nelle ultime settimane è stata vista come un tentativo di allentare le tensioni in vista del mese sacro del Ramadan, che dovrebbe iniziare la prossima settimana.

“I leader palestinesi e arabi sono chiaramente avulsi dalla realtà. Sono avulsi dalla lotta del popolo palestinese e dal fatto che le relazioni israelo-palestinesi si sono deteriorate”, ha affermato al-Mashni [figura politica palestinese, attivista del partito Fatah, ndtr.], riferendosi agli incontri regionali.

Nonostante gli sforzi per ridurre le tensioni i coloni israeliani hanno continuato a prendere d’assalto la moschea di al-Aqsa. Sono previste altre marce dei coloni ad al-Aqsa il prossimo Ramadan, che si sovrapporrà alle festività ebraiche.

Israele ha occupato Gerusalemme Est, dove si trova la Moschea di al-Aqsa, durante la guerra del 1967. Ha annesso l’intera città nel 1980 con una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale.

La Giordania è stata la custode dei luoghi santi musulmani di Gerusalemme dagli anni ’20. La moschea, che si trova su un altopiano alberato nella Città Vecchia, è venerata anche dagli ebrei che la chiamano Monte del Tempio.

Gli attivisti israeliani di estrema destra hanno ripetutamente spinto per una maggiore presenza ebraica nel sito e alcuni hanno sostenuto la distruzione della moschea di al-Aqsa per far posto a un Terzo Tempio.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Perché i cittadini palestinesi si tengono fuori dalle proteste contro Netanyahu?

Yaser Abu Areesha

24 luglio 2020 – +972

Gli ebrei israeliani si stanno rendendo conto solo adesso dell’abbandono e del razzismo che hanno a lungo caratterizzato la nostra situazione.

Martedì scorso ho viaggiato fino a Gerusalemme con un amico per l’ultima di una serie di manifestazioni contro il primo ministro Benjamin Netanyahu, il governo e il sistema economico. Insieme a migliaia di dimostranti che rappresentavano un’ampia gamma di obiettivi, abbiamo camminato dalla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] alla residenza del primo ministro in via Balfour. Nonostante tutti i diversi gruppi presenti, tra i manifestanti non ho individuato nessun cittadino palestinese oltre a me, il giornalista della radiotelevisione pubblica Suleiman Maswadeh e il capo della Lista Unita [coalizione di partiti arabo-israeliani, ndtr.] Ayman Odeh.

In un mondo diverso ci saremmo aspettati di vedere una maggiore partecipazione di palestinesi in Israele a una protesta contro la fallimentare risposta del governo alla crisi del coronavirus. Dopotutto la nostra società ha subito un forte impatto dall’epidemia. Secondo i dati resi noti dal Servizio per l’Impiego israeliano, i cittadini palestinesi sono stati duramente colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia, ed hanno costituito il 20% dell’approssimativamente 1 milione di cittadini che hanno fatto domanda di disoccupazione in marzo e aprile.

Quindi perché una lotta contro l’ingiustizia istituzionale, portata avanti da una coalizione di gruppi, non attira quelli che sono storicamente stati danneggiati da quelle stesse istituzioni? La risposta risiede nella lotta per la sopravvivenza della comunità palestinese in quanto è una minoranza nazionale marginalizzata e discriminata.

I palestinesi in Israele sono in una situazione diversa rispetto alle persone che partecipano alle attuali proteste. Dalla nostra prospettiva questa è una lotta per un cambiamento che non ci include e per cui quindi noi abbiamo scarso interesse. Di conseguenza, benché noi abbiamo un evidente interesse a spodestare Netanyahu, il nostro entusiasmo e la nostra speranza per quello che ne seguirebbe sono molto scarsi – e ci risulta indifferente chi guiderà il prossimo governo.

La storia ci ha insegnato che nessuno vuole realmente i cittadini palestinesi al tavolo di governo. La raccomandazione totalmente inutile della Lista Unita a favore di Benny Gantz, il capo del partito Blu e Bianco, perché formasse una coalizione di governo al posto di Netanyahu dimostra che il nostro status nella società israeliana non è ancora cambiato e che non facciamo parte del gioco politico.

C’è una qualche possibilità che le cose possano essere diverse? Odeh, della Lista Unita, ha diffuso immagini della protesta di martedì ed ha invitato i cittadini palestinesi a partecipare. Ma dubito che possa fare la differenza – il cambiamento avverrà solo quando saranno modificate le regole del gioco, e quando il resto dell’opinione pubblica degli ebrei israeliani riconoscerà che la società palestinese ha le proprie sofferenze e necessità. La mobilitazione deve essere basata sulla comprensione e sulla buona volontà.

Siamo una popolazione ferita. Nel corso di molti decenni, fin dalla fondazione dello Stato, le politiche governative hanno frammentato dall’interno la nostra collettività. Stiamo andando verso la catastrofe a causa dell’abbandono, del razzismo e delle discriminazioni che hanno caratterizzato la nostra situazione ben prima che la popolazione ebraica si rendesse conto che il sistema stava ingannando tutti e giocando con il futuro di tutti noi.

Tre palestinesi sono stati colpiti a morte nell’arco di 12 ore tra sabato e domenica: uno a Kufr Qasim, uno a Kufr Ibtin e uno a Tira. Anche altre due persone sono state uccise da colpi di arma da fuoco martedì. La violenza armata è diventata molto frequente.

L’uso di armi sta aumentando senza alcun controllo intorno a noi, senza che se ne veda la fine. Il sistema politico, che da molto tempo ci ha abbandonati, non sta facendo abbastanza per opporsi a questa devastante violenza e per migliorare le infrastrutture, l’economia e l’educazione nella comunità palestinese. Sentiamo spesso di spettacolari operazioni poliziesche per cercare armi e droga, ma queste notizie sono inevitabilmente seguite da un altro assassinio, da un’altra sparatoria e da ulteriore violenza, soprattutto contro le donne.

Abbiamo bisogno di un ascolto attento e di un impegno collettivo che affrontino i problemi sia a breve che a lungo termine. Abbiamo bisogno di un pensiero condiviso che prospetti un futuro per le prossime generazioni. Ma sappiamo già che nessuno nel sistema sta dando la priorità alla popolazione palestinese, non da ultimo a causa della pandemia. Chi ha il tempo per parlare di uguaglianza civile e di diritti umani?

Eppure la popolazione ebraica ha un evidente interesse nello sviluppo della comunità palestinese. I cittadini di Umm al-Fahem devono avere gli stessi diritti e le stesse opportunità dei cittadini di Herzliya [ricca città israeliana abitata quasi esclusivamente da ebrei, ndtr.]. La produttività e la prosperità dipendono dalla diversità, non dalla discriminazione.

Se i manifestanti di oggi stanno veramente pensando in prospettiva futura, allora uno sforzo congiunto è possibile. Ogni cambiamento deve andare oltre chi governa il Paese e mettere al centro le persone, costruendo un sistema che non escluda i cittadini palestinesi.

E chissà, forse le proteste di via Balfour potrebbero essere l’inizio di qualcosa di nuovo.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘È un crimine di guerra’: migliaia in piazza a Tel Aviv per protestare contro il piano di annessione di Netanyahu *

Jacob Magid

6 giugno 2020 – Times of Israel

Un deputato del Meretz e un leader della Lista Unita dichiarano che la decisione creerebbe ‘l’apartheid”. Sanders invia un videomessaggio; la polizia ha usato la forza con i fotogiornalisti presenti all’evento, arrestati 4 dimostranti.

*Nota redazionale: non condividiamo molte delle affermazioni riportate nell’articolo che segue: non consideriamo Blu e Bianco un partito di “centro-sinistra”, come affermato dal giornalista; non crediamo che l’apartheid in Israele sarebbe il risultato dell’annessione, ma sia già presente sia all’interno di Israele che nei territori occupati; non condividiamo le posizioni della cosiddetta “sinistra” sionista, che riteniamo sia un ossimoro. Tuttavia abbiamo deciso di tradurre questo articolo perché racconta di una manifestazione che nell’Israele attuale rappresenta comunque un avvenimento significativo.

Migliaia di israeliani si sono radunati sabato sera a Tel Aviv per protestare contro l’impegno del primo ministro Benjamin Netanyahu di iniziare il mese prossimo l’annessione di parti della Cisgiordania.

Inizialmente la polizia aveva cercato di bloccare la manifestazione, ma ha fatto marcia indietro venerdì, dopo l’incontro con gli organizzatori che hanno raccomandato ai partecipanti di indossare mascherine e di attenersi alle norme del distanziamento fisico.

Sono stati schierati decine di agenti per garantire la sicurezza della dimostrazione dopo che la polizia ha detto che si sarebbero limitate le presenze a 2000 persone, sebbene il quotidiano Haaretz ne abbia calcolate 6.000 in quella che è sembrata la più grande protesta nel Paese dall’inizio della pandemia da coronavirus.

La manifestazione è stata organizzata dal partito di sinistra Meretz e da Hadash, la fazione comunista della Lista Unita a maggioranza araba, insieme a parecchi altri gruppi di sinistra.

MK Nitzan Horowitz, il leader di Meretz, ha detto alla folla che l’annessione sarebbe un “crimine di guerra” e costerebbe milioni ad Israele in un momento in cui l’economia sta già vacillando a causa della pandemia.

Noi non possiamo sostituire un’occupazione di decine di anni con un’apartheid che durerà per sempre,” ha gridato un rauco Horowitz. “Sì ai due Stati per due popoli, no alla violenza e allo spargimento di sangue,” ha continuato. “No all’annessione, sì alla pace.”

Horowitz ha detto che “l’annessione è un crimine di guerra, un crimine contro la pace, un crimine contro l’umanità, un crimine che finirà in una strage.”

Ha chiamato in causa Benny Gantz, ministro della Difesa, Gabi Ashkenazi, ministro degli Esteri e Amir Peretz, ministro dell’Economia, accusandoli di “alzare le mani e di essersi inginocchiati alla fazione opposta [cioè alla destra, ndtr.].”

I tre legislatori di centro-sinistra avevano promesso che non avrebbero fatto parte di un governo con Netanyahu, citando le accuse di corruzione mosse al premier, ma dopo la terza elezione inconcludente a marzo hanno accettato di unirsi a lui in una coalizione.

L’accordo di coalizione firmato dal Likud di Netanyahu e dal Blu e Bianco di Gantz permette al primo ministro di cominciare a procedere con l’annessione il primo luglio. Le parti della Cisgiordania su cui Israele estenderà la sovranità sono quelle scelte dal piano di pace del presidente degli USA Donald Trump.

Voi non avete alcun mandato per approvare quest’apartheid. Voi non avete nessun mandato per seppellire la pace,” ha urlato Horowitz. Il leader di Meretz ha affermato che Netanyahu è stato spinto a portare avanti la controversa mossa dall’amministrazione “messianica” di Trump.

Fatevi sentire o tutti penseranno che siamo una manica di sfigati,” ha gridato l’oratore alla folla dopo il discorso di Horowitz.

La deputata della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] Tamar Zandberg, anche lei appartenente al Meretz, ha fatto a pezzi il piano di pace di Trump definendolo “un accordo maledetto fra un uomo che sta cercando di vincere un’elezione e un altro che sta cercando di evitare un processo per corruzione,” riferendosi rispettivamente al presidente americano e a Netanyahu.

Trump non è un amico di Israele. Bibi [Netanyahu] non è un bene per Israele,” ha detto, facendo il verso ironicamente ai leader dei coloni che si oppongono al piano USA perché sostiene uno Stato palestinese. “Questo accordo [di pace] non ha nulla a che fare con quello che è bene per noi, israeliani e palestinesi che viviamo qui in Medio Oriente.”

Ha continuato dicendo che l’accordo “trasformerà ufficialmente Israele in uno Stato con un regime di apartheid … (Esercitare) la sovranità (in Cisgiordania)] senza (concedere) la cittadinanza (ai palestinesi)] è apartheid,” ha asserito.

Anche Ayman Odeh, leader della Lista Unita, si è rivolto alla folla con un collegamento video, confinato in quarantena dopo che un membro del suo partito ha contratto il COVID-19. Odeh ha detto che tutti gli ebrei e gli arabi che sostengono pace e giustizia devono opporsi al piano di Netanyahu di imporre la sovranità israeliana su circa il 30% della Cisgiordania.

L’annessione è apartheid,” ha detto Odeh fra gli applausi dei manifestanti.

Odeh ha paragonato la protesta contro l’annessione al movimento di protesta delle “Quattro Madri” che, alla fine degli anni’ 90, spinse il governo al ritiro delle truppe israeliane dal Libano meridionale.

La laburista Merav Michaeli, che si è opposta alla decisione del suo partito di unirsi al nuovo governo, ha detto alla folla di essere andata in piazza Rabin come rappresentante di quanti nella sua fazione di centro-sinistra si oppongono all’annessione.

Michaeli ha detto che la mossa danneggerà le relazioni con la Giordania che, con l’Egitto è l’unico Paese arabo ad avere rapporti con Israele oltre ad avere stretti legami commerciali con l’Europa.

Ha anche criticato duramente Gantz per aver accettato di unirsi a un governo che avrebbe portato a termine una misura simile.

Bernie Sanders senatore del Vermont ed ex candidato del partito Democratico [USA] si è rivolto alla folla dagli Stati Uniti tramite un messaggio video.

Sono estremamente rincuorato vedendo cosi tante persone, arabi ed ebrei insieme, che si battono per pace, giustizia e democrazia,” ha detto il democratico che si autodefinisce socialista.

Ha aggiunto: “Bisogna fermare i piani per annettere qualsiasi parte della Cisgiordania. Si deve porre fine all’occupazione e dobbiamo lavorare insieme per un futuro di uguaglianza e dignità per tutti in Israele e in Palestina.”

Alcuni dei dimostranti sventolavano bandiere israeliane, palestinesi e comuniste, varie decine avevano foto di Iyad Halak, un palestinese affetto da autismo ucciso la settimana scorsa dalla polizia nella Città Vecchia a Gerusalemme. Gli agenti hanno detto che credevano avesse una pistola, in realtà era disarmato e aveva in mano un cellulare e a quanto pare non aveva capito gli ordini di fermarsi.

Imitando le proteste negli USA, Shaqued Morag di Peace Now [associazione israeliana contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndtr.] ha detto ai dimostranti di inginocchiarsi “in memoria di George Floyd. In memoria di Iyad Halak. In memoria di tutte le vittime del conflitto israelo-palestinese.”

Quando le proteste sono finite, la polizia ha fatto sgombrare un gruppo che stava bloccando illegalmente via Ibn Gabirol, una strada di grande scorrimento che passa vicino a piazza Rabin.

La polizia ha detto che cinque dimostranti sono stati arrestati, incluso un fotografo del quotidiano Haaretz che stava riprendendo la protesta.

Un giornalista del giornale ha twittato che il fotografo si è identificato come giornalista, ma che è stato trattenuto con la forza dagli agenti.

Prima della manifestazione, Yair Lapid, leader dell’opposizione nella Knesset ha liquidato la promessa di annessione da parte di Netanyahu come “fuffa” intesa a distogliere l’attenzione della gente dal processo per corruzione in corso e dalla crisi economica causata dalla pandemia.

Io penso che sia una manovra diversiva da parte di Netanyahu, che sta cercando di distrarre l’attenzione dal collasso economico, incluso quello delle imprese private, e dal suo processo penale,” ha detto in un’intervista al telegiornale su Channel 12.

Io appoggio il piano di Trump. Mi oppongo all’annessione unilaterale,” ha aggiunto Lapid.

La protesta di sabato è arrivata in mezzo a un’ondata di critiche a livello regionale e internazionale nei confronti del programma israeliano di annessione di parti della Cisgiordania secondo il piano di pace proposto dall’amministrazione trumpiana negli USA.

Gran parte della comunità internazionale ha già espresso una forte opposizione alla decisione e anche gli USA recentemente hanno intimato a Israele di procedere più lentamente.

I palestinesi si oppongono apertamente al piano di Trump, che dà a Israele il via libera all’annessione delle colonie ebraiche nella Valle del Giordano, in quella che dovrebbe essere parte di un processo negoziale, ma che potrebbe procedere unilateralmente.

Alla stesura di questo articolo hanno contribuito la redazione di Times of Israel e di agenzie di stampa.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il nuovo governo israeliano è pronto per un’annessione a luglio – e i leader palestinesi giurano di opporvisi

Philip Weiss  

20 Aprile 2020 Mondoweiss

Oggi ci sono grandi novità da Israele. Benny Gantz, l’uomo che per tre elezioni ha cercato di archiviare Netanyahu, si è arreso. Benjamin Netanyahu sarà primo ministro per i prossimi 18 mesi, durante i quali ci sarà il processo per corruzione; dopo di ciò Gantz diventerà primo ministro e l’accordo sulla divisione del potere prevede l’OK a partire da luglio per l’annessione di grandi parti della Cisgiordania occupata.

Barak Ravid dell’israeliana Channel 13 [canale della televisione israeliana, ndtr.] spiega l’accordo sull’annessione. La politica israeliana è semplicemente troppo a destra perché Gantz potesse mantenere la posizione. Questo è il “lascito” di Netanyahu e deve essere implementato mentre Trump è al potere:

L’accordo di coalizione tra Netanyahu e Gantz dice che Netanyahu può portare ‘le intese con l’amministrazione Trump’ sull’annessione di parti della Cisgiordania a una discussione di governo e a un voto o del governo o in parlamento a partire dal 1 luglio … Il desiderio di Netanyahu di annettere la Valle del Giordano e altre parti della Cisgiordania occupata è stato uno dei principali punti critici nei negoziati sul nuovo governo. Gantz ha rinunciato alla sua pretesa di avere potere di veto su qualsiasi decisione di annessione.”

Secondo l’accordo, Netanyahu e Gantz lavoreranno “in pieno accordo con gli Stati Uniti” per quanto riguarda il piano di Trump, incluso il punto di mappare quali parti in Cisgiordania gli Stati Uniti sono pronti a riconoscere come parte di Israele.

Netanyahu considera l’annessione di parti della Cisgiordania la sua principale eredità. Secondo i suoi collaboratori, vuole realizzarla abbastanza presto nel timore che alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti Trump possa perdere e con Joe Biden alla Casa Bianca la mossa sia resa impossibile…

L’accordo ha suscitato grida angosciate da parte dei sionisti liberali, e probabilmente resisterà allopposizione dei principali politici palestinesi della Lista Unita. Aida Touma-Sliman [giornalista e politica arabo-israeliana, ndtr.] scrive:

Il prossimo governo israeliano sarà pericolosamente di destra. Gantz è sceso in campo sperando di sostituire Netanyahu e ha finito per rafforzare la politica razzista e antidemocratica di quest’ultimo. Faremo opposizione a questo governo di annessione – durante la crisi di Covid e dopo.”

I politici palestinesi sono stati i grandi vincitori delle ultime elezioni, e sono rafforzati dalle ultime notizie. Ayman Odeh, responsabile della Lista Unita, scrive su Twitter [in ebraico, traduzione automatica]:

La resa di Gantz è uno schiaffo in faccia ai cittadini recatisi ripetutamente alle urne per estromettere Netanyahu. Gantz non ha avuto abbastanza coraggio per vincere e ha scelto di legalizzare l’annessione, il razzismo e la corruzione.”

Ahmad Tibi, deputato della Lista Unita e medico:

Blu e bianco [il partito di Gantz] ha sventolato la bandiera bianca. Si è arreso a tutti i dettami politici (l’annessione a luglio) e nella sfera civile si è arreso alla legge dello Stato Nazionale, alla legge di Kaminitz [che limita i permessi di costruzione palestinesi] … Vediamo nella lotta contro un governo di 52 ministri e vice ministri una sfida e una missione. Avverto la sconfitta di milioni di cittadini che volevano il cambiamento.”

L’annessione interessa circa il 30 % della Cisgiordania, compresi la valle del Giordano e gli insediamenti ebraici di oltre 620.000 coloni.

Il lobbista israeliano Martin Indyk afferma che Trump si schiererà con l’annessione per soddisfare la destra americana cristiana:

Coronavirus o no … questo è molto chiaro: Trump darà il via libera all’annessione per assicurarsi la base evangelica alle elezioni.”

Indyk esclude la Florida dal gioco di Trump: gli elettori ebrei potrebbero essere cruciali in quello stato altalenante.

L’opinione diffusa è che questo accordo sarà un test per le organizzazioni liberali sioniste negli Stati Uniti, se si opporranno all’annessione ora e coinvolgeranno i politici democratici contro di essa. Si noti che la scorsa settimana tale iniziativa ha portato 11 deputati a scrivere una lettera di opposizione all’annessione. Non esattamente una marea. Ma J Street [gruppo liberale statunitense filoisraeliano per la pace e la democrazia, ndtr.] ha recentemente appoggiato Joe Biden che ha accolto con favore il sostegno; è certo che prenderà posizione contro l’annessione.

Le organizzazioni liberali sioniste dovranno lavorare con i politici palestinesi se mirano a bloccare l’annessione.

Tamara Cofman Wittes, che sostiene Israele, dichiara di sperare che gli eventi in campo non sposteranno nulla verso un governo Biden …

L’approvazione di Trump non mette fine alla questione. Il riconoscimento presidenziale delle rivendicazioni territoriali è una cosa che dipende dalle decisioni dell’esecutivo e può essere immediatamente annullata da una nuova amministrazione.”

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




La Lista Araba Unita questa volta c’è cascata e ha sbagliato a sostenere Benny Gantz?

Dahlia Scheindlin

27 marzo 2020 – +972

Basato sulla collaborazione tra arabi ed ebrei, l’impatto della Lista Unita sulla società israeliana risiede ben al di là di come sembra il prossimo governo.

In presenza di un disastro sanitario globale e di una crisi costituzionale in Israele, Benny Ganz, il leader di Blu e Bianco, ha infranto giovedì l’impegno preso con gli elettori da un anno a questa parte accettando di entrare in un “governo di emergenza nazionale” guidato da Benjamin Netanyahu, primo ministro di Israele da molto, molto tempo.

I dettagli del governo non sono ancora definitivi, ma la decisione ha scosso Israele come un terremoto. Ha generato il caos politico fra i sostenitori di Gantz e diviso il suo partito a metà.

La fazione di Gantz, Resilienza per Israele, si unirà a un governo guidato dal Likud insieme al blocco dei partiti fedeli a Netanyahu, Shas, Yemina e Giudaismo Unito nella Torah. Le due fazioni rimanenti di Blu e Bianco, Yesh Atid [C’è un futuro, di centro-destra, ndtr.] di Yair Lapid e Telem [Movimento per il Rinnovamento Nazionale, di destra, ndtr.], fondato da Moshe “Bogie” Ya’alon prima delle elezioni dell’aprile 2019, si uniranno all’opposizione. Blu e Bianco perciò è la prima vittima del nuovo governo e ha cessato di esistere.

Secondo alcuni la seconda vittima è la Lista Unita, un amalgama di partiti a maggioranza arabo-palestinese. Ayman Odeh, il leader del partito, infrangendo una tradizione decennale, aveva indicato per due volte Gantz come presidente del futuro governo, con il risultato che Gantz ha riconsegnato Israele nelle mani di Netanyahu. La Lista Unita è stata presa in giro?

È una domanda legittima. Odeh aveva raccomandato Gantz la prima volta dopo le elezioni di settembre nel 2019 e i loro due partiti avevano persino avuto dei colloqui pre-coalizione. Ma Gantz non era riuscito a formare un governo e Odeh aveva finito per diffidare delle sue motivazioni. A gennaio, Odeh aveva detto ad Haaretz che Gantz probabilmente l’aveva usato per contribuire a estromettere Netanyahu, ma che avrebbe poi comunque finito con il formare un governo di unità con il Likud. Odeh si era sentito trattato “come un’amante.”

Eppure dopo le elezioni di marzo, le terze nell’arco di un anno, i partiti di opposizione avevano ottenuto la maggioranza dei voti e finalmente un vero cambiamento sembrava a portata di mano. Nonostante le profonde divisioni interne sulla questione, incluse le minacce pre-elettorali di ritirare tale appoggio, i leader della Lista Unita avevano deciso di dare un’altra possibilità a Blu e Bianco. La Lista Unita si era persino schierata con il suo nemico storico, l’ultra-nazionalista Avigdor Liberman, per unirsi e sostenere Gantz.

A marzo la Lista Unita aveva conquistato 15 seggi, il risultato migliore mai ottenuto. Questa volta persino Balad, una fazione che aveva negato il suo sostegno dopo le elezioni di settembre, si è unita agli sforzi per cacciare Netanyahu. Questi erano passi rivoluzionari per i leader arabi in Israele che, per molto tempo, avevano manifestato la propria ambivalenza circa il sostegno al potere esecutivo israeliano, date le politiche nei confronti dei cittadini palestinesi e nell’ambito più generale della continua occupazione di Israele in aggiunta ai maggiori conflitti arabo-israeliani del passato.

Il miglior risultato possibile per la Lista Unita e tutti i partiti di opposizione sarebbe stato se Gantz avesse formato un governo di minoranza per porre fine al regno di Netanyahu. Non era mai esistita alcuna possibilità che Blu e Bianco invitasse la Lista Unita a diventare partner in una coalizione, dato che in Israele nessun partito arabo indipendente era mai entrato in un’alleanza di governo. Ma la Lista Unita avrebbe potuto appoggiare un voto di fiducia per il governo di minoranza senza farne parte. La società israeliana avrebbe visto i cittadini arabo-palestinesi giocare un ruolo chiave nel tanto atteso passaggio di potere. Lo scenario sarebbe stato rivoluzionario.

Gantz ha distrutto quelle speranze, ma la Lista Unita non ha commesso un errore.

La Lista Unita non può misurare il proprio successo o fallimento basandosi sulla composizione del prossimo governo. Il suo significato risiede nel percorso storico di più ampio respiro della società israeliana.

In Israele le coalizioni hanno una storia di breve periodo di intrighi politici e governi dalla vita corta. Il Blu e Bianco, come la maggior parte dei partiti di centro in Israele, era destinato a scomparire dopo alcune tornate elettorali. Accettando l’incarico di ministro in un governo Netanyahu Gantz non è solo venuto meno a una promessa di coalizione, ma ha rotto con la ragione d’essere del partito. Da qui il suo scioglimento immediato.

La Lista Unita segue tutt’altra via. I cittadini palestinesi in Israele stanno facendo un viaggio e le azioni del partito hanno innescato la tappa successiva: un impegno politico rinnovato è il carburante per il futuro. Quando nel 2015 è stata fondata, la Lista Unita aveva galvanizzato la partecipazione dell’elettorato arabo, dopo quasi 15 anni di affluenza alle urne significativamente più bassa di quella dei cittadini ebrei. I cittadini arabo-palestinesi si erano stancati di partiti piccoli e privi di potere e, nonostante gli attacchi sempre più razzisti da parte dei governi nazionalisti di estrema destra, si erano sentiti sollevati dalla formazione di questa alleanza politica.

Già allora, gli elettori entusiasti avevano fatto aumentare l’affluenza, portando la lista unita a 13 seggi, mentre nelle precedenti votazioni i partiti, separatamente, ne avevano ottenuti 10. Nelle elezioni dell’aprile 2019 i diverbi politici li hanno divisi, l’affluenza alle urne è crollata, per poi risalire a settembre, quando i partiti arabo-palestinesi in Israele si sono riuniti, portando la partecipazione araba al 65%, il livello più alto dal 1999.

In seguito, sotto la leadership di Odeh, il partito si è prefissato una meta. La sua visione è basata sull’idea di una partnership ebraico-araba, su una solidarietà sociale in generale e sul rifiuto di politiche razziste e nazionaliste. I partiti arabi delle generazioni precedenti erano più interessati ad affermare l’identità e i diritti arabo-palestinesi, rendendoli partiti “di nicchia ”. Ma l’idea di una maggiore uguaglianza e collaborazione fra cittadini ha chiaramente intercettato le opinioni dei cittadini arabo-palestinesi.

Secondo un sondaggio condotto nell’aprile 2019 da Local Call [sito di notizie e analisi israeliano in ebraico, ndtr.], i cittadini palestinesi erano a favore, con percentuali molto alte, di parternariati civici fra ebrei e arabi e l’87% degli arabi che hanno risposto credeva che un partito arabo avrebbe dovuto unirsi immediatamente alla coalizione governativa. Le azioni della Lista Unita, contribuendo allo sforzo comune per cacciare i governi di estrema destra, sono fortemente in sintonia con i sentimenti integrazionisti di questi cittadini. Secondo l’Israel Democracy Institute [istituto di ricerche israeliano indipendente, ndtr.], a marzo l’87% degli elettori arabi ha votato per la Lista Unita, invece che per altri partiti, un altro record storico.

Inoltre, l’influenza della Lista Unita va ben oltre la popolazione arabo-palestinese, e il suo impatto sui partiti ebraici e sionisti tradizionali in Israele è stato molto forte, forse irreversibile. Un anno fa sarebbe stato impossibile immaginare che Moshe “Bogie” Ya’alon, l’ex ministro della Difesa di estrema destra sotto Netanyahu, sarebbe stato una delle due figure di Blu e Bianco più impegnate a evitare un governo di unità con Netanyahu, il che significa automaticamente che preferisce insediare un governo di minoranza con i voti della Lista Unita. Un sondaggio che ho condotto per il gruppo della società civile “The Democratic Voice” ha rilevato che anche una maggioranza, non meno dell’81% dei sostenitori di Blu e Bianco, sosteneva questa possibilità.

I cittadini ebrei non possono più ignorare la Lista Unita, o i cittadini arabo-palestinesi in generale, come fattore che contribuisce a far parte del potere esecutivo in Israele. Cominceranno a rendere normale l’idea che un partito arabo si unisca a un simile governo, cosa che io ho sostenuto, sarebbe dovuta succedere anni fa.

Alcuni ebrei israeliani vedono già in modo diverso il futuro politico: secondo la maggioranza delle analisi i voti ebrei per la Lista Unita sono raddoppiati rispetto alle tornate precedenti. Aneddoticamente, molti di questi ebrei mi hanno detto che non avevano mai votato prima per un partito arabo-ebraico o palestinese. Per loro la Lista Unita non era più settoriale, ma rappresentava la solidarietà e la collaborazione che loro desiderano per Israele in futuro.

Negli ultimi anni la sinistra ebraica in Israele ha sempre di più rivolto la propria attenzione a coltivare la collaborazione civile e politica fra ebrei e arabi in Israele. Sono nati nuovi movimenti ebraici-arabi. Meron Rapoport [scrittore e giornalista israeliano indipendente, ndtr.] ne ha analizzato le ragioni in profondità. Forse questi tentativi stanno riempiendo un vuoto lasciato dal defunto processo di pace con i palestinesi. Forse sono arrivati alla conclusione che la collaborazione fra ebrei e arabi potrebbe far anche avanzare uguaglianza e autodeterminazione per i palestinesi sotto occupazione.

La visione della Lista Unita e le decisioni politiche sono valide per entrambi. Il partito sta tracciando una nuova via, che i cittadini ebrei e palestinesi potrebbero, un giorno, percorrere insieme.

Dahlia Scheindlin è un’analista di fama internazionale degli orientamenti dell’opinione pubblica e una consulente strategica, specializzata in cause progressiste, in campagne politiche e sociali in oltre una dozzina di Paesi, incluse democrazie nuove/in transizione e nella ricerca su pace/conflitto in Israele, con esperienze nell’Europa orientale e nei Balcani. Lavora per un grande numero di organizzazioni locali e internazionali che si occupano dei temi del conflitto israelo-palestinese, di diritti umani, processi di pace, democrazia, identità religiosa e problemi sociali interni. Ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze politiche alla TAU, l’università di Tel Aviv, e co-presenta il podcast The Tel Aviv Review.

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele. Il “centrismo” della lista Bianco Blu:”la cultura araba è la giungla”

 Jonathan Ofir

17 febbraio 2020 – Mondoweiss

E’ ciò che pensa e ha affermato senza esitazioni in una intervista il deputato Yoaz Hendel, un alto dirigente del partito, presunto centrista, guidato dall’ex capo di stato maggiore Benny Gantz che il 2 marzo potrebbe superare il Likud di Netanyahu e vincere le elezioni israeliane

 Nena News – “Penso che la cultura araba intorno a noi sia la giungla.” Questo è ciò che sostiene Yoaz Hendel in un’intervista rilasciata venerdì al giornalista di Haaretz Ravit Hecht. Hendel è tra i primi dieci leader del partito Blu-Bianco di Benny Gantz, che ha 33 seggi nel parlamento israeliano. Il partito dovrebbe fungere da opposizione di centro al Likud di Netanyahu, e secondo molti sondaggi potrebbe superare il Likud di un paio di seggi alle prossime elezioni di marzo.

L’intervista è sconvolgente. Hendel commenta generalmente in modo derisorio la cultura araba:“C’è gente venuta qui da Paesi di ogni tipo: alcuni arrivano con la mentalità da concerto a Vienna, altri con la mentalità da darbuka”, ha dichiarato a Hecht, facendo riferimento a un tipo di tamburo molto popolare in Medio Oriente.

Non è la prima volta che Hendel fa propaganda razzista. Nel 2017, la sua rubrica settimanale su Yediot Aharonot ha descritto un immaginario di vendetta in cui i Palestinesi avevano il ruolo dei nazisti. In una “manifestazione per la democrazia” orientalista, organizzata dal partito Blu-Bianco l’anno scorso, Hendel ha boicottato l’evento perché, all’ultimo momento, era stato annunciato un intervento di Ayman Odeh, leader della Lista unita dei partiti palestinesi in Israele.

Hendel è passato al partito Blu-Bianco dal Likud, come membro della fazione Telem, insieme a Moshe Ya’alon, che è il numero tre nella lista Blu-Bianca. Anche Ya’alon è un ex membro del Likud, è stato Ministro della Difesa e ha anche lui precedenti di razzismo anti-palestinese, avendo paragonato la “minaccia palestinese” a un “cancro”, contro il quale applica la “chemioterapia” (era il 2002, e lui era Capo di Stato Maggiore dell’esercito). Hendel era il Responsabile della Comunicazione e dell’Hasbara (‘diplomazia pubblica’) di Netanyahu nel 2011-2012.

La dichiarazione secondo cui “la cultura araba intorno a noi è la giungla” non nasce dal nulla. L’idea di Israele come “villa in mezzo alla giungla” viene, infatti, attribuita al leader “di sinistra” Ehud Barak, che la pronunciò in un discorso ufficiale nel 1996. Barak si è anche congratulato con Trump per il suo monito razzista secondo cui “Mohammed” potrebbe diventare Primo Ministro, e reputa che “loro (i palestinesi, e soprattutto Arafat) sono il prodotto di una cultura in cui mentire… non crea dissenso… Per loro dire bugie non è un problema, come invece è nella cultura giudaico-cristiana”.

Ecco qualche altro passo dell’intervista:

Hecht: “Lei ha detto in passato che Israele è una villa nella giungla. Oggi, qui, ribadisce che il nostro vantaggio sui palestinesi è la moralità. Pensa che la cultura araba sia la giungla?”

Hendel: “Sì, certo, penso che la cultura araba che ci circonda sia la giungla. C‘è una palese violazione di ogni singolo diritto umano che noi, nel mondo occidentale, riconosciamo. Lì questi diritti devono ancora vedere la luce del sole. Loro non hanno raggiunto lo stadio evolutivo in cui si hanno dei diritti umani. Non esistono i diritti delle donne, né i diritti LGBT, né quelli delle minoranze, e non c’è educazione. Molti Stati arabi sono dittature mancate, il che spiega perché i trattati di pace che sigliamo qui sono limitati alla leadership. Non esiste la pace tra popoli perché non esiste educazione alla pace e alla tolleranza.”

Hecht contesta Hendel:

Hecht: “Anche in Israele l’odio verso gli arabi è la norma.”

Hendel: “C’è il razzismo e bisogna occuparsene, ma ogni volta che vedo, in ‘A Star is Born’ o a ‘Masterchef’, che gli israeliani votano per un concorrente arabo, o quando giro per gli ospedali per via di mia moglie (è una ginecologa, ndr), ho l’impressione che, finalmente, la vita qui sia priva di razzismo.”

Questa è un’osservazione veramente terribile e paradossale. Hendel cerca di applicare la classica Hasbara quando fa riferimento agli “arabi israeliani” come prova della presunta fiorente democrazia. Ma l’osservazione sugli ospedali! Hendel forse non ha seguito la questione della dilagante e sistematica segregazione razziale delle madri nei reparti maternità israeliani? Non ricorda le parole del parlamentare di estrema destra Bezalel Smotrich, che ha twittato “Subito dopo il parto, mia moglie voleva riposare e non fare una festa come fanno le donne arabe”, e che “È naturale che mia moglie non voglia stendersi vicino a qualcuno che ha appena partorito un bambino che, tra 20 anni, potrebbe voler uccidere il suo”?

Hecht contesta di nuovo le espressioni razziste di Hendel: “Potrai anche votare per un concorrente arabo a ‘Masterchef’, ma dichiari senza esitazione che ‘La mia cultura è superiore e non voglio assomigliare a un arabo’. Anche questa è una forma di razzismo.”

Hendel: “Per come la vedo io, non ho nulla di razzista (sic). Da un punto di vista cognitivo, prima di tutto mi prendo cura della mia gente, delle mie tradizioni e della mia storia. E questo è quanto. Non provo odio verso nessuno e ho legami personali con palestinesi, perché vivo vicino a Gush Etzion (blocco di insediamenti coloniali, ndr).”

Queste espressioni del “colonialista illuminato” che dice “alcuni dei miei amici sono palestinesi” hanno indotto il presidente di B’tselem Hagai El-Ad a paragonare Hendel al Primo Ministro dell’Apartheid sudafricana Hendrik Verwoerd, che dichiarò: “La nostra politica è quella che viene chiamata…‘apartheid’, e io temo che venga spesso fraintesa. Potrebbe essere più semplicemente, e forse meglio, descritta come una politica di buon vicinato.”

Anche Ahmed Tibi, parlamentare della Lista unita araba, è stato particolarmente drastico nel criticare il razzismo di Hendel, sottolineando come gli accenni alla musica araba colpiscano anche gli ebrei arabi: “Un razzista bianco contro arabi e Mizrahim allo stesso modo. Hendel non è Tarzan: Hendel è la giungla. Io amo [il cantante libanese] Fairuz e la darbuka nelle canzoni di Umm Kulthum [compianta cantante egiziana], e quasi sicuramente Hendel ascolta Wagner ogni volta che lo stivale dell’occupazione calpesta i palestinesi privi di diritti umani a causa di quella cultura occidentale che incoraggia gli insediamenti, l‘espropriazione e l’annessione. Detesto la sua visione del mondo e quella di alcuni amici suoi che credono nella supremazia ebraica.”

Il leader della Lista unita araba Ayman Odeh ha detto che “la teoria di Hendel sulla supremazia europea” è stata smentita dall’ “ignoranza e dalla mancanza di cultura che ha dimostrato nella sua intervista a Haaretz”.

Il palese razzismo di Hendel è troppo anche per molti membri del partito Blu-Bianco. Ofer Shelah (anche lui tra i primi 10 leader del Blu-Bianco, più in alto di Hendel), ha dichiarato che “le affermazioni di Yoaz Hendel sono esternazioni infelici che sarebbe stato meglio evitare, e che non rispecchiano lo spirito del partito Blu-Bianco”. La parlamentare Orna Barbivai (posizionata appena dopo Hendel) è stata più leggera nella sua critica: “Penso che tutti nasciamo uguali e non siamo qui per giudicare”. Definendo “superflui” i commenti di Hendel, ha detto “Io sono favorevole alle darbukas. Ma dedurre da questo che Hendel è un razzista sarebbe esagerato”.

Il fatto che Hendel abbia, in un certo senso, equiparato i Mizrahim ad una presunta degenerazione araba l’ha portato ad essere criticato anche dall’estrema destra. Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha ritwittato una dichiarazione del Likud secondo cui Hendel dovrebbe vergognarsi di se stesso. Dimenticatevi tutte le dichiarazioni razziste di Netanyahu sugli arabi, adesso ci sono facili consensi da raccogliere contro il suo rivale.

 Perfino il Ministro dell’Educazione Rafi Peretz, del partito di estrema destra Yamina, ha detto di essere “orgoglioso di far parte della cultura delle dabukas”. Il parlamentare di Shas (partito ultraortodosso Mizrahi) Ya’akov Margi ha condannato la “boria” di Hendel e ha detto che gli ebrei Mizrahi vengono da una grande tradizione che include ‘Maimonide, scienza e medicina’. I sionisti cercano, per lo più, di barcamenarsi per non inimicarsi i Mizrahim. Quando però il razzismo è così plateale e disgustoso come nel caso di Hendel, si scivola.

H/t Ronit Lentin, Edith Breslauer

Jonathan Ofir è un musicista israeliano, direttore d’orchestra e blogger/giornalista. Vive in Danimarca.

(Traduzione di Elena Bellini)
Nena news




La Giornata della collera palestinese contro lo “Stato dei coloni”

Umberto De Giovannangeli

26 novembre 2019 Huffington Post

Negozi chiusi, come le scuole e gli uffici pubblici. Manifestazioni e scontri a Gerusalemme Est e in varie località della Cisgiordania (decine i feriti). È la “Giornata della rabbia” dei palestinesi. Una rabbia indirizzata contro le dichiarazioni del segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, sulla legalità degli insediamenti palestinesi.

 

Fine dalle prime ore dell’alba, le Forze di difesa israeliane (Idf) hanno rafforzato la loro presenza nella Cisgiordania e lungo la barriera difensiva con la Striscia di Gaza. “Abbiamo dichiarato una Giornata della rabbia per rifiutare questa dichiarazione del segretario di Stato – afferma Wasel Abu Yousef, membro della Commissione politica dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) – Condanniamo completamente questo sforzo statunitense di legittimare gli insediamenti”.

Gran parte della comunità internazionale considera illegali gli insediamenti, sulla base della Quarta convenzione di Ginevra, che impedisce a una potenza occupante di trasferire parte della propria popolazione civile nei territori occupati. Da parte sua, Israele non considera la Cisgiordania un territorio occupato, ma conteso a causa dell’esito della guerra del 1967, quando fu sottratta al Giordania. Mahmoud al-Aloul, vice presidente di Fatah – la maggiore delle componenti dell’Olp – citato dalla Wafa, ha attaccato l’amministrazione Usa guidata da Trump ed Israele responsabili di “molti crimini” contro il popolo palestinese. Stanno veramente sbattendo le porte in faccia al diritto internazionale e spalancando quelle dell’estremismo, del terrorismo, della violenza, della corruzione, dello spargimento di sangue – ribadisce ad HuffPost il segretario generale dell’Olp Saeb Erekat – Costringono i popoli a convincersi che l’unico modo di risolvere i problemi sia attraverso la violenza e non con i mezzi pacifici”. E aggiunge: “La comunità internazionale deve prendere tutte le misure necessarie per rispondere a fare da deterrente a questo comportamento irresponsabile degli Usa che rappresenta una minaccia alla sicurezza globale e alla pace”.

Durissima è anche la presa di posizione dei partiti arabi israeliani: “Netanyahu usa l’improvvida sortita americana per riproporre una visione colonialista ed etnocentrica d’Israele – ci dice Ayman Odeh, presidente della Joint List (La Lista araba unita, 13 seggi, terza forza parlamentare, ndr), incluso dalla Rivista Time tra le 100 ‘stelle nascenti’ a livello mondale della politica – Per Netanyahu annettere la Giudea e Samaria (i nomi biblici della West Bank, ndr) è come realizzare una missione divina, oltre che una spregiudicata manovra politica per garantirsi il sostegno dei falchi legati al movimento dei coloni. Siamo al fondamentalismo che si fa politica. E costui pretenderebbe di continuare a fare danni in un nuovo governo!”

In una nota, diffusa ieri, il Comitato esecutivo del Consiglio mondiale delle Chiese (Wcc) riafferma “la sua opposizione alla creazione e all’espansione degli insediamenti israeliani nei Territori palestinesi occupati dal 1967″. In risposta alla decisione del Governo Usa, del 18 novembre scorso, di considerare “non illegali” gli insediamenti civili israeliani in Cisgiordania, il Wcc ribadisce che “tale annuncio ribalta la politica statunitense finora applicata e si pone in netta contrapposizione con quella della comunità internazionale e delle Nazioni Unite”. Il Wcc “respinge questa posizione sbagliata nella legge e contraria al perseguimento di una pace giusta sia per i palestinesi che per gli israeliani” e “riafferma il diritto dello Stato di Israele di vivere in pace e sicurezza all’interno dei confini riconosciuti dalla comunità internazionale, e allo stesso tempo riconosce e sostiene lo stesso diritto per il popolo palestinese”.

“Siamo alla legalizzazione dello ‘Stato dei coloni’, in spregio alla legalità internazionale e alle risoluzioni delle Nazioni Unite”, incalza Hanan Ashrawi, già portavoce della delegazione palestinese ai negoziati di Washington, più volte ministra palestinese.

In questo clima di odio e di rabbia che crescono le giovani generazioni palestinesi. E nella “Giornata della rabbia”, vale come testimonianza diretta di una situazione drammatica, quanto scrive su Internazionale Amira Hass, firma storica di Haaretz, la giornalista israeliana che meglio conosce, avendola raccontata da anni, la realtà palestinese: “Vivo in Cisgiordania da abbastanza tempo per capire l’odio e il disgusto dei palestinesi, che assume contorni sempre più personali man mano che si allontana la speranza di ottenere la libertà. Negli ultimi venticinque anni Israele ha fatto tutto quello che era in suo potere per dimostrare le proprie ambizioni colonialiste, sfruttando nel modo più astuto il processo di negoziazione per strappare sempre più terre ai palestinesi e per smembrare ancora di più la loro collettività. Per contrastare questa politica sono stati usati tutti i mezzi possibili: manifestazioni individuali e di massa, post su Facebook e video, lancio di pietre, ordigni esplosivi e razzi da Gaza, appelli alle star della musica statunitense affinché non si esibissero in Israele, petizioni sui giornali, concerti di raccolta fondi e votazioni all’Onu.  Tutti questi mezzi hanno fallito. Lo Stato israeliano va avanti per la sua strada. Il mondo gli permette di comportarsi come se fosse al di sopra della legge, mentre i palestinesi vengono vivisezionati per ogni parola e ogni slogan che pronunciano, per ogni colpo che sparano…”. Due pesi e due misure. La speranza di pace si spegne anche così.




Bollando gli arabi come una ‘minaccia esistenziale’ Bibi evoca una spaventosa storia di violenza etnica

Dahlia Scheindlin

18 novembre 2019 – +972

Domenica notte Netanyahu ha convocato un incontro di emergenza del Likud, in cui ha accusato i cittadini palestinesi in Israele di sostenere il terrorismo. Noi sappiamo fin troppo bene come questo tipo di cose può andare a finire.

Il Primo Ministro Benjamin Netanyahu, nella sua accanita battaglia per impedire al suo avversario di formare un governo con l’appoggio della Lista Unita, coalizione a prevalenza araba, ha nuovamente accusato i leader del partito arabo di rappresentare una minaccia esistenziale per Israele. Domenica notte il presidente [della Lista Unita]Ayman Odeh ha risposto facendo circolare sui social una sua foto in pigiama mentre legge delle favole ai suoi tre affettuosissimi bambini. “Alla fine di una lunga giornata devo far addormentare queste minacce esistenziali!” ha scritto, contribuendo al divertimento virale dei lettori.

Anche se può essere una soddisfazione vedere come Odeh abbia fatto a pezzi Netanyahu con l’umorismo, le parole del primo ministro costituiscono in se stesse un grande pericolo.

Le deliranti diatribe anti-arabe di Netanyahu stanno accelerando in velocità e gravità. Nel 2015 aveva messo in guardia che i cittadini arabi stavano andando a votare “a frotte.” In vista delle elezioni di settembre la sua pagina Facebook dichiarava che “i politici arabi ci vogliono distruggere tutti.” (Netanyahu ha detto che si è trattato di un errore di un impiegato della campagna elettorale.)

Domenica Netanyahu ha tenuto un incontro di “emergenza” dei membri del Likud (l’emergenza non era una pioggia di razzi, ma l’eventualità di una coalizione di minoranza sostenuta dalla Lista Unita). In quell’occasione aveva tuonato che Blu e Bianco, il partito rivale, stava negoziando con i parlamentari arabi e che, ha continuato, “sostiene le organizzazioni terroristiche e vuole distruggere lo Stato.”

Non potendo trovare delle prove che la leadership della Lista Comune, formata da politici di lungo corso e attivisti della società civile, abbia il desiderio o le possibilità di distruggere Israele, ha citato invece Khamenei, l’ayatollah iraniano, che recentemente ha invocato la distruzione di Israele. Queste sono parole esecrabili, ma non riescono a trasformare l’ayatollah in un politico arabo in Israele.

Ancora più preoccupante è che fare della “minaccia esistenziale” dell’Iran una cosa sola con i cittadini arabo-palestinesi imita la retorica ideologica che sta dietro alle peggiori violenze etniche del mondo.

Un’analisi attenta delle origini di queste atrocità mostra che i responsabili avevano un’immagine distorta di una imminente distruzione che li aveva portati a commettere violenze estreme contro una collettività “altra” , giustificandole con la difesa nazionale. I leader e le élite spesso mettono insieme un reale trauma storico collettivo con una sfida politica del momento, o un’offesa, come prova di distruzione incombente.

Nei primi anni ’90, i miliziani serbi non si sono svegliati un mattino e hanno deciso di terrorizzare, stuprare e commettere un genocidio contro i loro vicini non-serbi. Secondo Stuart Kaufman, uno studioso di conflitti etnici, sebbene il collasso della Jugoslavia avesse naturalmente comportato violenze da parecchie parti, per molti anni i leader e gli intellettuali hanno sottolineato l’idea che le minoranze serbe delle ex-repubbliche della Jugoslavia si trovassero ad affrontare una “estinzione etnica”. Accademici di fama pubblicarono un memorandum, affermando che in Kosovo gli abitanti stavano cospirando per commettere un genocidio della popolazione serba locale. Il nazionalismo albanese in Kosovo stava infatti crescendo e molti, come nelle altre repubbliche, rivendicavano l’indipendenza.

L’influente documento sottolineava che i serbi non erano mai stati in un tale immediato pericolo dagli anni degli ustascia, quando il regime croato fantoccio dei nazisti aveva terrorizzato e massacrato circa mezzo milione di serbi. I serbi avevano fatto circolare voci di stupri commessi da albanesi e di un traffico croato di organi di combattenti serbi morti. Slobodan Milosevic aveva anche lui denunciato che i kosovari albanesi stavano progettando un “genocidio demografico.” Alla fine furono i serbi bosniaci ad essere condannati per il genocidio.

In Ruanda nel 1994 il regime dominato dagli hutu mobilitò la partecipazione di massa a un genocidio contro la minoranza dei tutsi che uccise circa 800.000 persone in circa 100 giorni. Il ruolo della propaganda e l’incitamento attraverso i media sono ben documentati. Ma in realtà che cosa affermava l’incitamento allo sterminio? Un rapporto di Human Rights Watch [associazione statunitense per la difesa dei diritti umani, ndtr.] ha riscontrato il seguente messaggio:

I tutsi costituivano una minaccia per gli hutu che erano sempre le vittime, sia che si trattasse del potere militare dei tutsi o della loro furbizia (usare le donne per sedurre gli hutu, usare i loro soldi per comprare gli hutu) e così gli hutu avevano il diritto di difendersi.”

Il rapporto di Human Rights Watch continua: “In particolare fu l’ultima idea, cioè che gli hutu fossero in pericolo e che dovessero difendersi, ad aver avuto il successo maggiore nel mobilitare gli attacchi contro i tutsi dal 1990 fino al genocidio del 1994.”

Anche qui il pericolo imminente era attribuito alle sofferenze storiche e recenti degli hutu per mano dei tutsi. Nel vicino Burundi, gli hutu erano vissuti sotto il dominio tutsi per decenni. Quando il primo governo a guida hutu salì al potere nel 1993, il leader fu assassinato in un colpo di stato tutsi e le violenze reciproche uccisero centinaia di migliaia di persone. La distruzione si potrebbe considerare come la continuazione della storica dominazione di una monarchia a guida tutsi in Ruanda durante il colonialismo, prima di un colpo di stato nel 1959.

Mescolare dei torti veri con la ripetizione ossessiva di minacce esistenziali imminenti dovrebbe far paura a chiunque.

A suo modo le fantasie di Netanyahu sono persino più vergognose. Mancano di ogni base di un danno causato dai cittadini arabo-palestinesi in Israele, nel passato o nel presente. Questi gruppi non sono mai stati coinvolti in terrorismo organizzato e anche gli incidenti singoli sono estremamente rari. La comunità non ha tendenze secessioniste, ha partecipato al processo politico in Israele per decenni e dichiara ripetutamente il suo desiderio di una maggiore integrazione politica, civile ed economica. L’unica richiesta che sfida gli ebrei israeliani è simbolica: la conservazione della loro bistrattata identità palestinese. La principale richiesta politica, associata a quella dell’identità, è di porre fine all’occupazione militare dei territori palestinesi durata 50 anni e di riconoscere loro l’indipendenza.

Trasformare i cittadini arabo-palestinesi in una minaccia esistenziale di reale distruzione è un falso a livello di quello di una calunnia che provoca spargimento di sangue e questo è qualcosa che gli ebrei dovrebbero capire.

Dahlia Scheindlin è un’analista di fama internazionale degli orientamenti dell’opinione pubblica e una consulente strategica, specializzata in cause progressiste, in campagne politiche e sociali in oltre una dozzina di Paesi, incluse democrazie nuove/in transizione e nella ricerca su pace/conflitto in Israele, con esperienze nell’Europa orientale e nei Balcani. Lavora per un grande numero di organizzazioni locali e internazionali che si occupano dei temi del conflitto israelo-palestinese, diritti umani, processi di pace, democrazia, identità religiosa e problemi sociali interni. Ha conseguito un dottorato di ricerca in scienze politiche alla TAU, l’università di Tel Aviv e co-presenta il podcast The Tel Aviv Review.

(Traduzione di Mirella Alessio)