Israele: cinque morti nella sparatoria alla periferia di Tel Aviv

Lubna Masarwa, Huthifa Fayyad

29 marzo 2022 – Middle East Eye

Dopo l’attacco di un palestinese armato proveniente dalla Cisgiordania occupata Israele alza il livello di allerta al livello più alto da maggio dello scorso anno

Martedì un uomo armato ha ucciso cinque persone nel corso di una sparatoria nella periferia della città israeliana di Tel Aviv, pochi giorni dopo che due attacchi simili hanno provocato la morte di sei persone e diversi feriti.

L’assalitore, identificato come Diya Hamarshah, 27 anni, è stato successivamente colpito a morte dalla polizia.

I media locali hanno riferito che Hamarshah era un ex prigioniero palestinese della città occupata di Yabad, in Cisgiordania, vicino a Jenin.

La sparatoria sarebbe avvenuta in due posti diversi a Bnei Brak, un’area ebraica ultra-ortodossa.

Haaretz ha riferito che l’aggressore ha colpito un giovane in un minimarket con un fucile d’assalto, prima di sparare a un’altra persona in bicicletta e poi a un’auto di passaggio.

Un’abitante di Bnei Brak, che vive vicino al luogo dell’attacco e ha preferito non dire il suo nome, ha detto a Middle East Eye che la sparatoria l’ha lasciata “spaventata e triste”.

“Mi sento in pericolo. Non posso credere che sia successo così vicino a noi. Sono sempre scioccata nel vedere incidenti come questo, ma quando è così vicino ha un effetto diverso”, afferma.

“Non credo ci sia un futuro in Israele. Le lancette dell’orologio stanno tornando indietro. Non ho nessuna speranza”.

Alle 22:00 ora locale il primo ministro israeliano Naftali Bennett ha tenuto una riunione con il ministro della Difesa Benny Gantz e altri funzionari della difesa per valutare la situazione della sicurezza.

La polizia ha annunciato di aver alzato il livello di allerta al livello più alto da maggio dello scorso anno.

Il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas si è affrettato a condannare l’attacco, affermando che “l’uccisione di civili palestinesi e israeliani porterà solo a un deterioramento della situazione in un momento in cui stiamo cercando di raggiungere una stabilizzazione alla vigilia del mese di Ramadan.”

Ha condannato l’attacco anche Ayman Odeh, capo della Lista Comune, alleanza politica palestinese in Israele.

“Oggi cinque civili sono stati uccisi – ognuno un mondo a sé stante. Si uniscono ai 51 palestinesi uccisi dall’inizio dell’anno – ognuno un mondo a sé“, ha detto Odeh.

Condanno fermamente qualsiasi danno nei confronti di civili, sia palestinesi che israeliani, insieme a qualsiasi offesa a persone innocenti”, ha aggiunto.

È tempo di porre fine alla fonte dell’odio che consiste nella maledetta occupazione e di stabilire una pace che porti sicurezza e vita normale a entrambi i popoli”

“Israele deve incolpare sé stesso

L’assalto di martedì arriva pochi giorni dopo due attacchi simili da parte di cittadini palestinesi di Israele a Beersheba e Hadera, che hanno provocato la morte di un totale di sei persone, inclusi due agenti di polizia. Tutti e tre gli assalitori sono stati uccisi.

L’assalto arriva anche un giorno prima del 46° anniversario del primo Land Day. I palestinesi celebrano la Giornata della Terra ogni 30 marzo dal 1976, quando i cittadini palestinesi di Israele protestarono contro la politica israeliana di furto della terra e discriminazione.

L’analista israeliano Meron Rapoport ha detto a MEE che gli assalti probabilmente porranno il governo israeliano in una situazione molto difficile.

“Israele è molto sconcertato di fronte a questa situazione perché non ha nessuno contro cui combattere. Non è possibile occupare città palestinesi come nel 2002 perché sono già occupate, né può “occupare” Umm al-Fahm [nel Distretto di Haifa, con 45.000 abitanti quasi tutti palestinesi, ndtr.] perché sono cittadini israeliani”, afferma Rapoport.

“Israele potrebbe essere soddisfatto che l’Occidente e gli Stati arabi abbiano cessato di interessarsi alla causa palestinese, e il vertice del Negev [incontro sul Medio Oriente organizzato da Israele il 27 marzo 2022 a Sde Boker, nel Negev, con Egitto, Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Marocco, con lobiettivo di dare vita a unarchitettura di sicurezza regionale, ndtr.] avrebbe dovuto esserne una prova. Ma – come ha detto il professor Menachem Klein [docente della facoltà di Scienze Politiche dell’Università israeliana di Bar-Ilan, ndtr.] nel corso di una conversazione personale – la questione palestinese è stata trasformata in una mera questione interna israeliana, ed è esattamente ciò che sta accadendo ora. Israele può incolpare solo se stesso”.

La violenza sarà tuttavia sfruttata dall’estrema destra israeliana, avverte Rapoport.

Poco dopo l’attacco decine di israeliani si sono radunati sulla scena dove si potevano sentire cantare slogan anti-palestinesi, tra cui “morte agli arabi”. Alcuni chiedevano le dimissioni di Bennett.

Negli ultimi anni è cresciuta l’influenza dell’estrema destra all’interno delle forze di polizia e in generale nella politica israeliane.

Quelle forze, spiega Rapoport, ora useranno questi eventi per smantellare il governo, che è una fragile alleanza di compagini di destra, sinistra e centro, oltre che di rappresentanze palestinesi.

“L’estrema destra ha paura che Israele diventi una vera democrazia, quindi vuole rimuovere i palestinesi dalla vita politica”.

Tensioni nel Ramadan

A Yabad, citata come città natale di Hamarshah, dopo l’attacco la folla è scesa in piazza per mostrare solidarietà alla famiglia in vista delle scontate incursioni dell’esercito.

Raed Bakr, un abitante di Yabad, ha detto a MEE che dopo l’attacco è stato chiuso il posto di blocco di Dotan, situato a sud di Yabad, sulla strada che collega Jenin a Tulkarm.

“I giovani, in previsione delle incursioni israeliane, hanno bloccato l’ingresso di Yabad usando massi e bidoni della spazzatura”, dice Bakr.

“Al momento tutto è calmo ma la gente si aspetta da un momento all’altro incursioni dell’esercito”.

Aouni al-Mashni, un’importante figura politica palestinese di Betlemme, ha detto a MEE che i recenti eventi sono una prevedibile reazione alle continue aggressioni israeliane contro i palestinesi.

“La violenza usata da Israele, uno Stato razzista, contro i palestinesi in Cisgiordania e all’interno di Israele, avrà come ovvia contropartita una risposta violenta da parte dei palestinesi”, ha detto al-Mashni a MEE in un’intervista telefonica.

“L’espulsione dei residenti del Naqab [estesa zona desertica meridionale chiamata in ebraico Negev, ndtr.] la ebraificazione di Gerusalemme, gli attacchi a Sheikh Jarrah, le provocazioni alla moschea di al-Aqsa, le uccisioni quotidiane in Cisgiordania – tutto questo porta naturalmente alla contro-violenza. Questa violenza è esclusiva responsabilità di Israele”, ha aggiunto.

“E’ presto per arguire che stiamo entrando in una nuova fase, ma ci troviamo certamente in una fase caratterizzata da violenza e deterioramento”.

La tensione è aumentata nelle ultime settimane in vista del primo anniversario dell’offensiva di 11 giorni di Israele su Gaza [dal 10 al 20 maggio 2021, ndtr.].

Le violenze sono scoppiate lo scorso Ramadan quando Israele ha cercato di espellere delle famiglie palestinesi dal quartiere occupato di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est per far posto ai coloni israeliani.

Ciò ha provocato proteste diffuse in tutta la Cisgiordania occupata e nella comunità palestinese all’interno di Israele, scatenando nel maggio 2021 l’operazione militare su vasta scala di Israele sulla Striscia di Gaza assediata.

Secondo Axios [organo di informazione online israeliano in lingua inglese, ndtr.], i funzionari statunitensi si sono adoperati per mantenere la calma a Gerusalemme, in vista dell’anniversario del conflitto in cui più di 260 palestinesi sono stati uccisi a Gaza, 29 nella Cisgiordania occupata e 13 persone in Israele.

“I leader arabi sono avulsi dalla realtà

All’inizio di questa settimana, i ministri degli Esteri di Marocco, Egitto, Bahrain, Emirati Arabi Uniti (EAU) e Stati Uniti si sono incontrati in Israele per un vertice di due giorni a Naqab (Negev) per discutere di questioni regionali.

Nel frattempo, il re di Giordania Abdullah ha incontrato lunedì a Ramallah il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) Mahmoud Abbas.

La serie di incontri ad alto livello tra leader regionali nelle ultime settimane è stata vista come un tentativo di allentare le tensioni in vista del mese sacro del Ramadan, che dovrebbe iniziare la prossima settimana.

“I leader palestinesi e arabi sono chiaramente avulsi dalla realtà. Sono avulsi dalla lotta del popolo palestinese e dal fatto che le relazioni israelo-palestinesi si sono deteriorate”, ha affermato al-Mashni [figura politica palestinese, attivista del partito Fatah, ndtr.], riferendosi agli incontri regionali.

Nonostante gli sforzi per ridurre le tensioni i coloni israeliani hanno continuato a prendere d’assalto la moschea di al-Aqsa. Sono previste altre marce dei coloni ad al-Aqsa il prossimo Ramadan, che si sovrapporrà alle festività ebraiche.

Israele ha occupato Gerusalemme Est, dove si trova la Moschea di al-Aqsa, durante la guerra del 1967. Ha annesso l’intera città nel 1980 con una mossa mai riconosciuta dalla comunità internazionale.

La Giordania è stata la custode dei luoghi santi musulmani di Gerusalemme dagli anni ’20. La moschea, che si trova su un altopiano alberato nella Città Vecchia, è venerata anche dagli ebrei che la chiamano Monte del Tempio.

Gli attivisti israeliani di estrema destra hanno ripetutamente spinto per una maggiore presenza ebraica nel sito e alcuni hanno sostenuto la distruzione della moschea di al-Aqsa per far posto a un Terzo Tempio.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Mahmoud Abbas si è recato a casa del ministro della Difesa israeliano per colloqui

Redazione di MEE e agenzie

29 dicembre 2021 – Middle East Eye

La riunione nella residenza di Benny Gantz a Rosh HaAyin è stata il primo incontro formale in Israele del presidente palestinese dal 2010.

Martedì [28 dicembre] il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas ha fatto una inusuale visita in Israele, che secondo gli israeliani ha riguardato la sicurezza e questioni civili, per colloqui con il ministro della Difesa Benny Gantz.

I media israeliani hanno informato che l’incontro ha avuto luogo nell’abitazione di Gantz nella città di Rosh HaAyin, che si trova nella zona centrale del Paese, e segna il primo incontro formale di Abbas in Israele dal 2010.

Il giornale israeliano Haaretz ha informato che inizialmente la riunione si sarebbe dovuta tenere la scorsa settimana, ma Abbas ha chiesto chiarimenti a Israele sulla violenza dei coloni e sul fatto che alcune Ong palestinesi sono state messe fuorilegge. Gantz ha detto ad Abbas che intende “continuare a promuovere azioni per rafforzare la fiducia sul piano economico e civile, come stabilito durante i loro ultimi incontri,” ha affermato un comunicato del ministero della Difesa israeliano.

I due uomini hanno discusso di sicurezza e questioni civili,” ha aggiunto.

Il ministero afferma che Gantz ha approvato l’iscrizione all’anagrafe come residenti in Cisgiordania di circa 6.000 persone che abitavano irregolarmente in quel territorio, occupato da Israele dalla guerra del 1967.

Il ministero sostiene che anche altre 3.500 persone di Gaza riceveranno i documenti di residenti. Inoltre il ministero ha annunciato una serie di quelle che ha descritto come “misure per costruire la fiducia”, che faciliteranno l’ingresso di centinaia di uomini d’affari palestinesi tra la Cisgiordania e Israele. Secondo Haaretz si è convenuto che a importanti funzionari dell’ANP verranno concesse decine di cosiddetti permessi per VIP.

Il giornale afferma che Israele ha anche accettato di consegnare all’ANP 100 milioni di shekel (circa 28 milioni di euro) come anticipo sulle tasse che Israele riscuote in sua vece.

Dopo la riunione Gantz ha twittato: “Abbiamo discusso della messa in pratica di misure economiche e civili e sottolineato l’importanza di approfondire la collaborazione sulla sicurezza e prevenire il terrorismo e la violenza, per il benessere sia degli israeliani che dei palestinesi.”

L’incontro di Gantz con Abbas segue una visita nella regione del consigliere per la sicurezza nazionale USA Jake Sullivan.

Il Likud e Hamas condannano l’incontro

A fine agosto Gantz aveva visitato il quartier generale dell’ANP a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, per colloqui con Abbas, il primo incontro ufficiale a un tale livello da parecchi anni.

Ma dopo quelle riunioni il primo ministro israeliano Naftali Bennett aveva sottolineato che non c’era in corso “e che non ci sarà in futuro” alcun processo di pace con i palestinesi.

Mercoledì il ministro palestinese delle Questioni Civili Hussein al-Sheikh ha twittato: “La riunione (di martedì) ha riguardato l’importanza di creare un orizzonte politico che porti a una soluzione politica in base alle risoluzioni internazionali.”

I due hanno anche discusso “della pesante situazione sul terreno a causa delle azioni dei coloni”, così come di “molte questioni relative a sicurezza, economiche e umanitarie.”

Il partito israeliano di opposizione di destra Likud ha condannato l’ultimo incontro, affermando che “concessioni pericolose per la sicurezza di Israele sono solo questione di tempo.”

Il Likud ha aggiunto un riferimento sprezzante alla coalizione di governo di Bennett, che include Raam, un partito che rappresenta parte dei cittadini palestinesi di Israele. “Il governo israeliano-palestinese ha ridato priorità ai palestinesi e ad Abbas… ciò è pericoloso per Israele,” ha sostenuto il Likud.

Hamas, il movimento che governa la Striscia di Gaza assediata ed è rivale del Fatah di Abbas, ha affermato che la visita del presidente dell’ANP è andata contro lo “spirito nazionale del nostro popolo palestinese”.

Questo comportamento da parte della dirigenza dell’Autorità Nazionale Palestinese approfondisce le differenze politiche, complica la situazione palestinese, incoraggia quanti nella regione vogliono normalizzare i rapporti con l’occupante e indebolisce il rifiuto palestinese della normalizzazione,” ha affermato il portavoce di Hamas Hazem Qassem.

Qassem alludeva al Bahrein e agli Emirati Arabi Uniti, così come a Marocco e Sudan, che all’inizio di quest’anno hanno firmato con Israele accordi di normalizzazione mediati dagli USA durante la presidenza di Donald Trump.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Un tribunale olandese conferma l’immunità per crimini di guerra dell’israeliano Benny Gantz

Adri Nieuwhof

7 dicembre 2021 The electronic intifada

I giudici olandesi hanno stabilito martedì che due alti comandanti militari israeliani non possono essere citati in giudizio per aver ucciso una famiglia palestinese nella Striscia di Gaza.

La corte d’appello dell’Aia ha deciso che i comandanti godono di “immunità funzionale” perché agivano per conto dello Stato israeliano.

La decisione è uno schiaffo in faccia per Ismail Ziada e per tutti i palestinesi che ancora una volta trovano impedito il loro cammino verso la giustizia.

Parlando con i suoi sostenitori fuori dal tribunale, Ziada ha definito la decisione “vergognosa” e “vigliacca”.

“Oggi non è facile per me perché a Gaza subiamo un massacro dal punto di vista militare, mentre all’Aja il massacro è quello legale”, ha aggiunto Ziada.

È solo perché si tratta di Israele. Nient’altro. Non si tratta di giustizia”, ​​ha detto Ziada a proposito della sentenza.

Il cittadino olandese-palestinese ha citato in giudizio Benny Gantz, all’epoca capo dell’esercito israeliano, e Amir Eshel, allora capo dell’aviazione, per la decisione di bombardare la casa della sua famiglia durante l’assalto israeliano del 2014 a Gaza.

Gantz è attualmente ministro della difesa e vice primo ministro israeliano.

Ziada chiede centinaia di migliaia di dollari di danni ai comandanti israeliani.

L’attacco israeliano ha completamente distrutto l’edificio di tre piani nel campo profughi di al-Bureij. Ha ucciso la madre settantenne di Ziada, Muftia, i suoi fratelli Jamil, Yousif e Omar, la cognata Bayan e il nipote di 12 anni Shaban, nonché una settima persona in visita alla famiglia.

Non c’è posto per la giustizia

Nel gennaio 2020, il tribunale distrettuale dell’Aja ha concesso l’immunità a Gantz ed Eshel.

La decisione di martedì è arrivata dopo l’appello di Ziada alla sentenza del tribunale di grado inferiore.

L’avvocato per i diritti umani Liesbeth Zegveld aveva sostenuto nell’appello che concedere l’immunità ai due comandanti militari israeliani non era giustificabile.

Israele ha tolto ai palestinesi di Gaza ogni possibilità di accesso alla giustizia, dichiarando l’enclave costiera una “entità nemica” e i suoi residenti “sudditi nemici”, ha affermato Zegveld.

Inoltre, la legge israeliana proibisce ai cittadini “nemici” di avanzare richieste di risarcimento contro lo Stato nei tribunali israeliani.

Nella sentenza di martedì, la corte d’appello olandese ha respinto tali argomenti. Ha accettato che, quando si tratta di responsabilità penale per crimini di guerra, i funzionari statali non hanno alcuna garanzia di immunità.

Ma i giudici hanno concluso che quando si tratta di diritto civile, i funzionari di governi stranieri non possono essere citati in giudizio per i loro atti ufficiali nei tribunali di un’altra nazione a causa del principio consuetudinario dell’immunità statale.

La sentenza tiene conto di tutti i precedenti che confermano questa immunità e respinge tutti gli argomenti e i precedenti addotti da Ziada  a favore della tesi che chi è accusato di crimini di guerra o crimini contro l’umanità dovrebbe anche affrontare un giudizio di responsabilità civile.

In un caso del 2012 citato da Ziada il tribunale distrettuale dell’Aia aveva autorizzato una causa civile per tortura contro 12 funzionari libici anonimi. Lo aveva fatto in base a una disposizione della legge olandese che, secondo una sintesi del caso, “consente ai tribunali olandesi di esercitare la giurisdizione su cause civili laddove sia impossibile intentare tali cause al di fuori dei Paesi Bassi per ragioni legali o pratiche”.

Al querelante – un medico palestinese che aveva vissuto in Libia – è stata concessa una condanna in contumacia contro i funzionari libici condannati a pagare un milione di euro.

Nella sentenza di martedì, la corte d’appello olandese ha respinto quel precedente senza una spiegazione coerente del perché la stessa logica – la impossibilità per Ziada di chiedere un risarcimento in un diverso tribunale – non si applicasse.

Di altissimo grado”

La decisione nel caso di Ziada sottolinea l’urgenza di indagini della Corte penale internazionale sui crimini di guerra nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

L’CPI è un tribunale di ultima istanza, che interviene quando i tribunali nazionali non possono o non vogliono agire, come è chiaramente il caso delle violazioni dei diritti dei palestinesi da parte di Israele.

La corte non è cieca rispetto alla sofferenza di [Ziada]. Né la corte è cieca di fronte agli sviluppi del diritto penale per quanto riguarda l’immunità dalla giurisdizione funzionale”, affermano comunque i giudici olandesi.

Riconoscono che in una recente decisione in Germania si afferma che un soldato afghano di basso rango potrebbe affrontare un processo penale in un tribunale tedesco per crimini di guerra.

Nella misura in cui vi sia una qualche ragione per estendere questo sviluppo al diritto civile”, ciò non si applicherebbe nel caso di Ziada, “in cui è coinvolto personale militare di altissimo grado”, affermano i giudici olandesi.

In altre parole, il tribunale olandese sta dicendo che, anche se avesse deciso di rimuovere l’immunità di funzionari stranieri citati civilmente per crimini di guerra, non potrebbe comunque farlo nel caso di Gantz ed Eshel, proprio a causa del loro alto grado.

Ciò sembra andare contro qualsiasi nozione naturale di giustizia, in cui coloro che hanno maggiori responsabilità dovrebbero portare il peso della massima responsabilità.

Anzi, in effetti la sentenza riconosce che, a causa delle alte posizioni ricoperte da Gantz ed Eshel, “un giudizio sulla loro condotta sarebbe necessariamente anche un giudizio sulla condotta dello Stato di Israele”.

Durante l’udienza sul suo appello a settembre, Ziada aveva invitato i giudici a “non venir meno alla giustizia”. Ma per lui è esattamente quello che hanno fatto.

“La mia causa legale non riguardava me o la famiglia Ziada”, ha detto martedì. “Non voglio che nessuno su questa terra soffra quello che abbiamo sofferto e stiamo ancora soffrendo”.

“Questo è vostro caso tanto quanto il mio”, ha detto Ziada, rivolgendosi ai sostenitori di tutto il mondo. “Senza di voi non sarei stato in grado di fare nulla di quello che abbiamo fatto fino ad ora.”

Ha aggiunto che avrebbe discusso i prossimi passi con i suoi avvocati, ma avrebbe “continuato la lotta”.

“Mia madre mi dà la forza per andare avanti”, ha detto Ziada. “Lei è dentro di me e mi dà lo spirito necessario per combattere. Non lasceremo che questi giudici codardi ci impediscano di combattere per la Palestina”.

Ali Abunimah ha contribuito alla ricerca.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




L’ultima esecuzione extragiudiziale conferma il ferreo sostegno israeliano all’assassinio di palestinesi

Jonathan Ofir

6 dicembre 2021 – Mondoweiss

Nel 2016, quando Elor Azarya sparò in testa ad un palestinese inerme, vi fu effettivamente una discussione su questa azione tra i politici israeliani. Non vi è stato un analogo dissenso questo weekend, dopo l’ultima esecuzione extragiudiziale di Israele.

Sabato scorso un uomo palestinese ha accoltellato un ebreo israeliano vicino alla Porta di Damasco a Gerusalemme, procurandogli ferite lievi. L’uomo, identificato come il 23enne Mohammed Shawkat Salameh della città di Salfit in Cisgiordania, è poi corso verso gli agenti di polizia di frontiera, che gli hanno sparato diverse volte – in particolare due volte mentre già giaceva a terra, immobilizzato, da una distanza di circa 5 metri. Haaretz ha riportato ampiamente sia l’azione che le reazioni.

Il video di quella sparatoria è stato filmato ed è circolato sui social media. 

Soltanto pochi politici in Israele lo hanno criticato. 

Ahmad Tibi, della Lista Unita che rappresenta i palestinesi [con cittadinanza israeliana, ndtr.]:Neutralizzazione” è un eufemismo. Questa è un’esecuzione a sangue freddo, la riprova dell’uccisione di una persona ferita che giace a terra e non minaccia nessuno. Per di più gli sono state negate le prime cure mediche finché è morto, nonostante vi fosse un’equipe medica sul luogo. E’ un atto criminale che richiede un’indagine.”

Ofer Cassif, anch’egli della Lista Unita, ha definito gli spari una “esecuzione sommaria” ed un altro membro della Lista Unita, Aida Touma-Sliman, ha affermato: “Uccidere un uomo che non costituisce più una minaccia è un crimine orrendo. Questa è la realtà creata dall’occupazione.” Anche Esawi Freige, del partito di sinistra [sionista, ndtr.] Meretz, ha detto che sparare dovrebbe servire solo “a salvare vite e non a togliere la vita ad aggressori che non costituiscono più un pericolo.” Lo ha definito “un atto che mostra indifferenza verso la vita umana.”

Fin qui tutto bene – sembra esserci qualche decenza umana nella politica israeliana, che chiama le cose col loro nome. Ma è solo una sottile frangia dello spettro politico. Spostandosi un po’ più a destra, verso il partito Laburista, si trova già sostegno all’assassinio. Il Ministro della Pubblica Sicurezza Omer Bar-Lev: Quando c’è un dubbio, non si indugia.”

Ha detto che gli agenti avevano “un secondo o due” dopo il primo sparo per “decidere se il terrorista che era stato colpito stesse per azionare una cintura esplosiva.”

Ma erano sicuri che ci fosse una cintura esplosiva? L’aggressore indossava una maglietta stretta e non c’era assolutamente traccia di ciò. Negli attacchi col coltello non sono mai state usate cinture esplosive, perché sarebbero state controproducenti rispetto all’obiettivo. Comunque sono passati più di 5 anni dall’ultimo attacco suicida (su un autobus di Gerusalemme) e nessuno di tali attacchi si svolge così. In base alla logica di Bar-Lev, se c’è un minimo dubbio che un palestinese abbia una cintura esplosiva sotto il vestito, è sicuramente meglio sparargli e accertarsi della morte, piuttosto che rischiare – e riguardo ai palestinesi il dubbio c’è sempre.

Più di cinque anni fa, nel caso di Elor Azarya, il paramedico militare che sparò in testa ad un palestinese inerme a bruciapelo, anche Azarya si appellò al fatto di temere una cintura esplosiva. Ma il tribunale respinse questa argomentazione, poiché nessuno lì vicino sembrava preoccupato e la motivazione conclamata di Azarya per lo sparo fu che “doveva morire”.

L’aggressore di sabato scorso non è stato colpito perché fosse sospettato di avere un esplosivo. È stato colpito e lasciato a morire dissanguato perché gli agenti della polizia di frontiera hanno ritenuto che dovesse morire.

E così i politici di tutto il principale arco politico hanno acclamato l’assassinio.

Anche il Ministro degli Esteri, il centrista Yair Lapid, ha detto di “appoggiare in pieno i nostri combattenti. Non lasceremo che i terroristi scorrazzino selvaggiamente a Gerusalemme o in qualunque altra parte del Paese.” Il Ministro della Difesa Benny Gantz ha affermato che gli agenti hanno fatto la cosa “ovvia”, sottolineando che hanno il suo sostegno. Il Primo Ministro Naftali Bennett ha detto di “sostenere pienamente” gli agenti che hanno sparato all’aggressore palestinese, affermando che “hanno agito come ci si aspetta da agenti israeliani.”

E’ interessante che nel caso di Azarya vi fu realmente un notevole dibattito riguardo al fatto, che era essenzialmente identico. Allora il Capo di Stato maggiore Gadi Eisenkot disse che Azarya aveva “sbagliato”. Persino il bellicoso Ministro della Difesa del Likud, Moshe Ya’alon, condannò l’azione: Noi non spariamo semplicemente alle persone, neppure se sono terroristi, neppure ad un altro soldato che ti ha appena sparato ma che poi si è arreso ed è stato neutralizzato, noi non spariamo e basta…Era chiaro ai comandanti che non è ciò che si fa.”[ vedi l’articolo di Gideon Levy sul processo Azarya su zeitun.info]

Ma adesso è qualcosa che si fa. Non c’è dubbio.

Come è accaduto questo slittamento dell’opinione politica egemone? Può essere parte dell’ “effetto Azarya”. Molti in Israele furono sbigottiti dal senso di limitazione che il caso Azarya rappresentava. Azarya rilevò che tali esecuzioni venivano fatte “un sacco di volte”, ma che ora lui veniva usato come capro espiatorio.

E noi abbiamo visto indicatori che certo, questo è stato fatto un sacco di volte dopo il caso di Azarya. L’esecuzione extragiudiziale da parte della polizia del cittadino beduino Yaqub abu al-Qia’an a Umm al Hiran nel 2017 (ci si rese conto in seguito che non era un terrorista e non stava affatto tentando di speronare un’auto) e l’esecuzione da parte della polizia di Ahmed Erekat nel 2020. Questi casi sono chiare esecuzioni, compreso lo stesso diniego di cure mediche, e le analisi di Architettura Forense relative ad entrambi i casi contraddicono esplicitamente l’asserzione che si trattasse di speronamenti deliberati. Nel caso di Al-Qia’an, l’insegnante israeliano, sembra che in seguito molti si siano convinti della sua innocenza. Nonostante ciò, nel caso del palestinese sotto occupazione Erekat, non viene accordato tale beneficio del dubbio e addirittura l’Alta Corte israeliana ha sentenziato che il corpo di Erekat – il suo corpo! – non fosse restituito alla famiglia.

Israele ha deciso di costruire un muro di ferro di negazioni relativamente alla sua politica criminale di esecuzioni extragiudiziali.

Una volta di più, è un motivo per cui è necessaria la CPI [Corte Penale Internazionale, ndtr.]. È un Paese senza legge, che persevera nei crimini di guerra.

Jonathan Ofir

Musicista israeliano, conduttore e blogger/scrittore, che vive in Danimarca.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)





L’inserimento di Hamas nelle liste delle organizzazioni terroristiche è un’ulteriore tradimento dei palestinesi da parte del Regno Unito

Avi Shlaim

30 novembre 2021 – Middle East Eye

Finché i suoi oppositori politici vengono definiti “terroristi”, Israele viene esonerato dalla necessità di negoziare ed ha via libera dai suoi alleati per continuare a far ricorso alla forza bruta militare

La ministra dell’Interno britannica Priti Patel ha dichiarato l’intenzione di mettere al bando tutto Hamas – il movimento islamico di resistenza che governa la Striscia di Gaza – in quanto organizzazione terroristica.

L’ala militare dell’organizzazione venne messa fuorilegge nel Regno Unito nel marzo 2001. Vent’anni dopo la ministra dell’Interno propone di estendere il bando all’ala politica, affermando che la distinzione tra le due strutture non è più sostenibile. La verità a riguardo è che la distinzione era valida nel 2001 e lo è anche oggi. Anzi, si tratta di una distinzione fondamentale.

L’annuncio di Patel è giunto poco dopo che il ministro israeliano della Difesa Benny Gantz aveva definito organizzazioni terroristiche sei ong della società civile palestinese. Questa designazione è arrivata subito dopo la decisione della Corte Penale Internazionale (CPI) di iniziare un’indagine su vasta scala di possibili crimini di guerra commessi nei territori palestinesi occupati.

Gantz è stato capo di stato maggiore delle Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndtr.] durante l’attacco contro Gaza del luglio 2014, in cui vennero uccisi almeno 2.256 palestinesi, 1.462 dei quali civili, compresi 551 minorenni. Ciò rende Gantz il principale sospettato nell’inchiesta per crimini di guerra della CPI. Hamas ha accettato di collaborare con l’indagine della CPI, Israele ha rifiutato.

Alcune delle organizzazioni palestinesi inserite nella lista israeliana dei terroristi stanno collaborando con l’inchiesta della CPI. Benché le prove presentate da Israele siano state considerate insufficienti dall’Unione Europea e dal governo statunitense, l’etichetta di terroriste ha ottenuto il suo obiettivo di stigmatizzare le ong, riducendo la loro possibilità di ottenere finanziamenti e sconvolgendo le loro attività. L’iniziativa israeliana è stata ampiamente condannata come un attacco ai diritti umani. La ministra degli Interni britannica non è stata tra quanti hanno protestato.

Patel condivide con il primo ministro britannico Boris Johnson una visione manichea della lotta in Medio Oriente, in cui Israele rappresenta le forze della luce e la palestinese Hamas le forze delle tenebre. La realtà è molto più complessa.

I legami israeliani con i conservatori

Come prevedibile le reazioni all’annuncio di Patel sono state polarizzate. Un funzionario di Hamas ha affermato che ciò dimostra “una totale faziosità nei confronti dell’occupazione israeliana e sudditanza ai ricatti e alle imposizioni di Israele.” Ha accusato il Regno Unito di appoggiare “gli aggressori a danno delle vittime.” Il Board of Deputies of British Jews [Consiglio dei Rappresentanti degli Ebrei Britannici] ha accolto calorosamente l’iniziativa. Nei media israeliani la decisione britannica è stata acclamata come un trionfo della diplomazia israeliana.

A livello più profondo lo spostamento della politica britannica è stato il prodotto degli stretti rapporti tra Israele e il partito Conservatore. Da tempo Israele e la sua potente lobby hanno fatto pressioni sul governo britannico riguardo a questo problema. Il primo ministro Naftali Bennett ha invitato Boris Johnson a mettere fuorilegge tutto Hamas quando l’ha incontrato il mese scorso alla conferenza ONU per il clima a Glasgow.

Patel non aveva bisogno di suggerimenti per fare ciò che chiede Israele. Nel 2017, come ministra per lo Sviluppo Internazionale, partecipò a un viaggio in Israele senza informare l’allora prima ministra Theresa May né Boris Johnson, all’epoca ministro degli Esteri. Pur affermando che si trattava di una vacanza privata, Patel ebbe una serie di incontri segreti con politici israeliani di alto livello, tra cui l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu. Lord Polak, presidente onorario degli Amici Conservatori di Israele, organizzò personalmente dodici di questi incontri.

Al suo ritorno Patel chiese ai suoi funzionari di verificare la possibilità di spostare parte del bilancio degli aiuti internazionali per consentire all’esercito israeliano di svolgere lavoro umanitario nelle Alture del Golan occupate. Venne obbligata a dare le dimissioni ed ammise che le sue azioni “erano cadute al di sotto degli alti standard che ci si aspetta da un ministro.”

Gli stretti contatti con politici israeliani e lobbysti a favore di Israele nel Regno Unito, così come la sua stessa visione di destra, l’hanno portata a introiettare la narrazione israeliana su Hamas. Questa narrazione è notevolmente distorta e palesemente strumentale. Ecco peraltro alcuni fatti rilevanti.

Hamas è nata nel 1988, all’inizio della Prima Intifada (rivolta) palestinese contro l’occupazione israeliana in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. In origine aveva il duplice obiettivo di portare avanti la lotta armata contro Israele e di gestire progetti di assistenza sociale.

Il suo statuto definiva la Palestina storica, compreso l’attuale Israele, come terra esclusivamente islamica ed escludeva qualunque pace permanente con lo Stato ebraico. Negli anni ’90 Hamas iniziò la lotta armata contro l’occupazione. Inizialmente essa prese la forma del lancio di razzi dalla Striscia di Gaza contro le città e centri abitati israeliani. Hamas venne messa in rapporto con gli attentati suicidi realizzati all’interno di Israele.

Il termine “attentati suicidi” divenne agli occhi dell’opinione pubblica una forma di guerra particolarmente orribile. In fin dei conti gli attentati suicidi sono un mezzo per portare le bombe a destinatazione. Giudicate esclusivamente in base ai loro risultati, non sono più orripilanti di una bomba da una tonnellata sganciata da un F-16 israeliano a Gaza su un complesso residenziale.

Indipendentemente dal vettore, l’uccisione di civili è sbagliata. Punto. Nel 2004 la dirigenza politica di Hamas prese la decisione strategica di porre fine agli attentati suicidi.

Hamas e Fatah

In seguito al ritiro unilaterale di Israele da Gaza nell’agosto 2005, Hamas iniziò a impegnarsi nel processo politico interno palestinese, partecipando alle elezioni contro il principale partito, Fatah, che dominava l’Autorità Nazionale Palestinese. Dalla sua sede a Ramallah l’ANP governava sia sulla Cisgiordania che sulla Striscia di Gaza.

Fatah venne generalmente percepito come corrotto e un subappaltante della sicurezza di Israele nei territori occupati. Hamas, di contro, aveva la reputazione di probità nella vita pubblica così come una provata esperienza di resistenza concreta all’occupazione israeliana. 

Nel gennaio 2006, dopo aver vinto la maggioranza assoluta in elezioni regolari, Hamas formò un nuovo governo. Israele, USA e Gran Bretagna si rifiutarono di riconoscerlo. In teoria essi erano a favore della democrazia, ma quando il popolo votò per il partito politico sbagliato Israele e i suoi alleati occidentali ripristinarono pensanti sanzioni diplomatiche ed economiche per minarlo.

Nel marzo 2007 Hamas formò un governo di unità nazionale con l’arci-nemico Fatah. Questo governo propose colloqui diretti con Israele e un cessate il fuoco a lungo termine. Israele rifiutò i negoziati, cospirando invece per cacciare Hamas dal potere e sostituirlo con un regime collaborazionista di Fatah. Dettagli del piano sono contenuti nei “Palestinian Paper”, il dossier segreto di 1.600 documenti diplomatici fatti filtrare ad Al Jazeera e al Guardian.

Hamas prevenne questo colpo di stato con la conquista violenta del potere a Gaza nel giugno 2007, cacciando le forze favorevoli a Fatah. Israele reagì imponendo alla Striscia di Gaza un blocco tuttora in atto dopo 14 anni. Il blocco ha provocato il collasso dell’economia, alti livelli di disoccupazione, grave mancanza d’acqua, di cibo e di medicine e terribili sofferenze ai due milioni di abitanti della sovrappopolata Striscia. Un blocco è una forma di punizione collettiva vietata dalle leggi internazionali, eppure la comunità internazionale non ha chiamato Israele a risponderne.

Dal 2008 ci sono stati quattro grandi attacchi militari israeliani contro Gaza, che hanno incluso morte e distruzione per la popolazione civile. Tra Israele e Hamas ci sono stati anche parecchi cessate il fuoco mediati dall’Egitto, ognuno dei quali è stato rispettato da Hamas e violato da Israele quando non rispondeva più ai suoi obiettivi.

Operazione Piombo Fuso

Nel dicembre 2008 l’esercito israeliano ha lanciato il primo di questi attacchi, l’operazione Piombo Fuso. Nel corso di questa operazione militare le truppe israeliane hanno commesso una serie di crimini di guerra documentati nel dettaglio dal rapporto Goldstone, che ha riconosciuto anche Hamas responsabile, ma che ha rivolto le critiche più dure a Israele.

Israele presentò l’operazione Piombo Fuso come una misura difensiva per proteggere i suoi civili contro i razzi lanciati da Gaza. Ma se questo fosse stato l’intento, tutto ciò che Israele avrebbe dovuto fare sarebbe stato seguire l’esempio di Hamas e rispettare il cessate il fuoco. Hamas non solo l’aveva fatto, ma si era attivato per imporlo ai gruppi più radicali che operano nella Striscia di Gaza, come la Jihad Islamica. Di fatto la maggior parte della potenza di fuoco delle IDF venne diretta contro quartieri residenziali.

Il rapporto concluse che “ciò che avvenne in sole tre settimane tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009 fu un attacco deliberatamente sproporzionato inteso a punire, umiliare e terrorizzare una popolazione civile…e a imporle una ancor più accentuata sensazione di dipendenza e vulnerabilità.”

L’affermazione secondo cui l’operazione era destinata a “terrorizzare una popolazione civile” è ormai evidente. Il terrorismo è l’uso della forza contro civili per scopi politici. In base a questa definizione l’operazione Piombo Fuso fu un atto di terrorismo di Stato. Così è stato per gli attacchi israeliani del 2012, del 2014 e del 2021.

Nel 2017 Hamas rese pubblico un documento politico che ammorbidì le sue precedenti posizioni politiche contro Israele e fece ricorso a un linguaggio più misurato riguardo al popolo ebraico. Non arrivò fino al riconoscimento ufficiale di Israele, ma accettò formalmente uno Stato palestinese nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania con Gerusalemme est come capitale.

In altre parole accettò uno Stato palestinese vicino a Israele invece che al posto di Israele. Il documento sottolineò anche che la lotta di Hamas non era contro gli ebrei ma contro gli “aggressori sionisti occupanti.”

Quindi perché il governo britannico sceglie questo momento per mettere fuorilegge l’ala politica di Hamas, dopo aver definito criminale quella militare 20 anni fa? Parte della risposta è che ciò è stato fatto in conseguenza delle pressioni della lobby israeliana. Lo Stato di Israele ha il diritto e anzi il dovere di difendere i suoi civili dagli attacchi palestinesi. Il modo più semplice e sicuro per farlo è attraverso accordi di cessate il fuoco a lungo termine con la dirigenza politica di Hamas.

Etichettando i suoi oppositori politici come terroristi, Israele si autoassolve dalla necessità di parlare con loro ed ottiene il via libera dai suoi alleati occidentali per far ricorso al modus operandi a cui è abituato: la forza bruta militare. Chi paga il prezzo sono i civili di entrambe le parti, e soprattutto gli indifesi abitanti di Gaza, la più grande prigione a cielo aperto del mondo.

Una serie di tradimenti britannici

I veri amici non assecondano la tossicodipendenza dei propri amici, ma cercano di disintossicarli. Boris Johnson non potrebbe essere più indulgente. La sua parzialità arriva fino ad opporsi ad ogni tentativo di chiamare Israele a rispondere delle sue azioni aggressive e dei suoi comportamenti illeciti. Per esempio si è opposto all’indagine della Corte Penale Internazionale su possibili crimini di guerra nei territori palestinesi occupati.

In una lettera agli Amici Conservatori di Israele egli ha affermato che il suo governo, pur rispettando l’indipendenza della Corte, si oppone a questa particolare inchiesta. “Questa indagine dà l’impressione di essere un attacco di parte e preconcetto contro un amico e alleato del Regno Unito,” ha scritto. La logica perversa della dichiarazione è che il fatto di essere amico e alleato del Regno Unito colloca Israele al di sopra delle leggi internazionali.

Una domanda conclusiva: perché quest’ultima svolta politica antipalestinese è stata annunciata dal ministro degli Interni invece che da quello degli Esteri? Patel sostiene che indicare tutta Hamas come un’organizzazione terroristica dovrebbe essere vista attraverso una lente di politica interna: aiuterà a proteggere gli ebrei di questo Paese. Ciò è pretestuoso: in base alle leggi internazionali Hamas esercita il proprio diritto di resistere all’occupazione israeliana, la più lunga e brutale occupazione militare dei tempi moderni. Diffondere il panico e criminalizzare l’ala politica di Hamas non renderà affatto più sicuri gli ebrei britannici.

In maggio, con un uso assolutamente sproporzionato della forza, Israele ha portato avanti un bombardamento aereo di Gaza che ha provocato la morte di 256 palestinesi, tra cui 66 minorenni. Il Community Security Trust, un’associazione benefica che si occupa della sicurezza degli ebrei in Gran Bretagna, ha registrato durante quel mese un’“orribile aumento” degli attacchi razzisti che “ha superato qualunque cosa abbiamo visto in precedenza.”

Se realmente il governo britannico voleva fare in modo che gli ebrei di questo Paese si sentissero più sicuri avrebbe dovuto smettere di accusare le vittime palestinesi della loro stessa sventura. Dovrebbe esortare il suo alleato israeliano a rispettare le leggi umanitarie internazionali, ad attenersi agli accordi di cessate il fuoco, a ridurre l’uso della forza militare e a parlare con la dirigenza politica di Hamas.

L’ultima mossa di Patel servirà solo ad evidenziare la totale bancarotta della politica del governo conservatore nei confronti di Israele-Palestina. Il governo sostiene di appoggiare la soluzione a due Stati del conflitto. Eppure, nonostante ripetuti voti del parlamento a favore del riconoscimento della Palestina, il governo rifiuta di cambiare idea.

Quando era ministro degli Esteri Boris Johnson ha detto alla Camera dei Comuni che il governo conservatore avrebbe riconosciuto la Palestina a tempo debito. Ma per il governo che ora egli guida quel tempo non sarà mai arrivato. Il tempo è solo una scusa per rimandare continuando contemporaneamente a compiacere Israele.

Di sicuro il riconoscimento britannico della Palestina non riequilibrerà l’enorme asimmetria di potere tra le due parti, ma darà ai palestinesi parità di trattamento. É il meno che la Gran Bretagna possa fare oggi per i palestinesi, dati i suoi lunghi precedenti di tradimenti che risalgono alla dichiarazione Balfour, oltre un secolo fa.

Nel suo libro del 2014 “The Churchill Factor” [Il fattore Churchill] Johnson ha scritto che la dichiarazione Balfour fu “stravagante”, “un documento tragicamente incoerente” e “una pregevole opera di intollerabile politica estera.”

Oggi dalla sua posizione di potere Johnson ha un’opportunità unica di modificare questo enorme errore storico. Criminalizzare Hamas può compiacere Israele e la destra del suo partito, ma non farà che infangare ulteriormente la già oscura serie di tradimenti britannici del popolo palestinese.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Avi Shlaim è professore emerito in Relazioni internazionali all’università di Oxford e autore di The Iron Wall: Israel and the Arab World (2014) [ed. italiana: “Il muro di ferro: Israele e il mondo arabo”, Il Ponte editrice] e di Israel and Palestine: Reappraisals, Revisions, Refutations (2009) [“Israele e Palestina: riesami, revisioni, confutazioni”].

(traduzione di Amedeo Rossi)




Le star di Hollywood denunciano la designazione da parte di Israele di alcune associazioni palestinesi quali ‘gruppi terroristi’

Redazione di MEE, Washington

17 novembre 2021  Middle East Eye

Richard Gere, Mark Ruffalo, Tilda Swinton, Susan Sarandon e Simon Pegg fra i firmatari di una lettera che chiede ad Israele di revocare la messa al bando di sei associazioni palestinesi

Oltre cento attori, registi, autori e musicisti di Hollywood hanno sottoscritto una lettera aperta mercoledì per contestare la decisione israeliana di designare sei organizzazioni di spicco della società civile palestinese quali organizzazioni terroriste.

La lettera descrive la recente mossa israeliana come “un attacco indiscriminato senza precedenti contro i difensori dei diritti umani palestinesi”, e chiede al Paese di revocare quella designazione.

Ciò che Israele tenta di bloccare è esattamente il lavoro fondamentale svolto da queste sei organizzazioni per proteggere e rafforzare i palestinesi e per denunciare le responsabilità di Israele per le sue gravi violazioni dei diritti umani e per il suo regime di apartheid e di discriminazione razziale istituzionalizzata,” si afferma nella lettera.

Fra i firmatari si trovano le star hollywoodiane Richard Gere, Mark Ruffalo, Tilda Swinton, Susan Sarandon e Simon Pegg; il regista Ken Loach, il musicista Jarvis Cocker, il gruppo musicale Massive Attack e gli autori Rashid Khalidi e Naomi Klein.

Ruffalo è dichiaratamente critico nei confronti di Israele e sostenitore dei diritti palestinesi. In passato ha condiviso una petizione che richiedeva ai leader internazionali di imporre sanzioni contro i settori chiave dell’industria israeliana “fino a quando non vengano garantiti ai palestinesi pieni e pari diritti civili”.

Quanto a Sarandon, attrice ed attivista di lungo corso, durante l’offensiva israeliana di maggio contro Gaza, ha pubblicato diversi tweet sulle tensioni, in uno dei quali affermava che i palestinesi si trovavano ad affrontare la nuova forma di colonialismo imposta da Israele.

Questa lettera non è che l’ultima di una serie di condanne della mossa israeliana – dall’ONU a fondazioni filantropiche e associazioni di attivisti fino a parlamentari USA. 

Lo scorso ottobre il ministro della difesa israeliano Benny Gantz ha bollato come organizzazioni terroriste sei ONG palestinesi: Addameer, al-Haq, Comitati del Sindacato per il Lavoro Agricolo, Centro “Bisan” per la Ricerca e lo Sviluppo, Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi e Difesa dei Bambini Palestinesi.

Il ministero di Gantz ha accusato le associazioni di essere collegate a gruppi armati, ma la misura ha suscitato ampie critiche da parte dell’ONU, oltre che di note organizzazioni per la difesa dei diritti umani, quali Human Rights Watch e Amnesty International. 

In seguito, un’inchiesta da parte di Frontline Defenders [ONG che protegge gli attivisti per i diritti umani a rischio, ndtr] ha rivelato che i cellulari di diversi palestinesi membri di quelle associazioni erano stati hackerati.

La minaccia di ritorsioni è concreta e mette a repentaglio non solo le associazioni in questione, ma anche l’intera società civile palestinese e le decine di migliaia di palestinesi che esse assistono quotidianamente,” afferma la lettera.

La lettera è uscita mercoledì, esattamente un giorno dopo che oltre cento fra fondazioni filantropiche e donatori avevano firmato un’altra lettera aperta in solidarietà con le associazioni della società civile palestinese.

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)




Attivisti per i diritti umani palestinesi attaccati con con un sistema di spionaggio elettronico israeliano

Attivisti per i diritti umani palestinesi attaccati con con un sistema di spionaggio elettronico israeliano

Un rapporto di Frontline Defenders rivela che sei attivisti, appartenenti alle sei associazioni della società civile recentemente bollate quali “organizzazioni terroriste” da parte del ministro della Difesa Benny Gantz, sono stati bersaglio del sistema di spionaggio militare Pegasus.

Yumna Patel

8 novembre 2021 –   Mondoweiss

 

Un nuovo rapporto ha rivelato lunedì scorso che sei attivisti per i diritti umani palestinesi sono stati presi di mira con un sistema di spionaggio informatico dell’azienda di sorveglianza israeliana NSO, il primo caso segnalato di attivisti palestinesi nel mirino della compagnia di sorveglianza.

Il rapporto di Frontline Defenders (FLD) [ONG che protegge gli attivisti per i diritti umani a rischio, ndtr.] rivela che sei attivisti, appartenenti alle sei associazioni della società civile recentemente bollate dal ministro della Difesa israeliano Benny Gantz come “organizzazioni terroriste”, sono stati bersaglio dello spyware di tipo militare Pegasus.

Secondo FLD, dopo che l’associazione era stata contattata da Al-Haq, organizzazione per i diritti umani di Ramallah, una delle sei prese di mira[dal governo israeliano, ndtr], temendo che il telefono di uno di loro fosse stato infettato da uno spyware aveva fatto esaminare 75 iPhone.

Le rilevazioni di FLD, confermate da Citizen Lab [laboratorio specializzato in sicurezza del web dell’Università di Toronto, ndtr] e dal laboratorio di sicurezza di Amnesty International, hanno scoperto che sei cellulari erano stati hackerati con uno spyware.

Fra le vittime dell’attacco informatico figurano Ghassan Halaika, ricercatore di Al-Haq, Ubai Al-Aboudi, cittadino palestinese-statunitense che è direttore esecutivo del centro Bisan per la Ricerca & lo Sviluppo, e Salah Hammouri, avvocato franco-palestinese che lavora per il gruppo in difesa dei diritti dei detenuti Addameer.

Il mese scorso Hammouri, originario di Gerusalemme, ha ricevuto una notifica dal ministero degli interni israeliano che il suo status di residente permanente della città è stato revocato per presunta “violazione della fedeltà alla nazione”. Salah Hammouri è cittadino francese.

Secondo FLD le altre tre vittime dell’attacco informatico preferiscono rimanere anonime.

In base al rapporto tracce dello spyware nel telefono di Halaika, così come in quello del “difensore dei diritti umani n. 6”, come viene chiamato nel rapporto, mostravano segni di spyware Pegasus risalenti al 2020, mentre i dispositivi degli altri quattro attivisti colpiti mostravano prove di attività di Pegasus nel periodo fra febbraio e aprile 2021.

Il rapporto riscontra che alcune delle procedure usate per hackerare i cellulari dei sei attivisti palestinesi sono le stesse usate contro altri difensori dei diritti umani e giornalisti di altri Paesi.

Il rapporto evidenzia che quando Pegasus viene installato sul telefono di qualcuno, l’intruso ottiene “l’accesso completo” a messaggi, mail, contenuti, microfono, fotocamera, passwords, messaggi vocali sulle app di messaggistica, dati di localizzazione, chiamate e contatti.

Pegasus è anche in grado di attivare da remoto fotocamera e microfono sul dispositivo infettato per permettere all’hacker di spiare le chiamate e le attività della vittima.

“In questo modo lo spyware consente di sorvegliare non soltanto la vittima, ma anche chiunque entri in contatto con lei tramite quel dispositivo,” osserva FLD. “Questo significa che, oltre a prendere di mira i palestinesi, compresi quelli con doppia cittadinanza, anche i non-palestinesi (compresi stranieri e diplomatici) con cui queste vittime sono state in contatto, cittadini israeliani inclusi, potrebbero essere stati sottoposti a tale sorveglianza, il che, nel caso dei cittadini israeliani, equivarrebbe ad una violazione della legge israeliana.”

Quindi FLD prosegue ricordando che la ditta NSO ha negato che lo spyware Pegasus sia utilizzato nella sorveglianza di massa dei difensori dei diritti umani, in quanto “esso è destinato ad essere utilizzato solo dai servizi segreti governativi e dalle forze dell’ordine con lo scopo di combattere il terrorismo e il crimine.”

“In questo modo, il fatto che Israele abbia designato “terroriste” queste organizzazioni dopo che sono state scoperte tracce di Pegasus, ma pochi giorni prima della rivelazione di questa indagine, sembra essere uno sforzo evidente di nascondere le proprie azioni e non mostra alcun collegamento a prove che porterebbero discredito a tali organizzazioni,” afferma FLD.

“I difensori dei diritti umani non sono terroristi,” dichiara il gruppo. “Questo sviluppo segna una grave  estensione delle politiche e pratiche sistematiche di Israele intese a zittire i difensori dei diritti umani palestinesi che perseguono la giustizia e  l’accertamento delle responsabilità per la violazione dei diritti umani dei palestinesi.”

“Arbitraria, oppressiva, angosciante”

In seguito alla pubblicazione del rapporto FLD, le sei organizzazioni della società civile coinvolte hanno rilasciato un comunicato congiunto per condannare le “rivelazioni di una massiccia operazione di sorveglianza arbitraria, oppressiva, angosciante e per sollecitare una risposta ferma, che comprenda azioni concrete, da parte della comunità internazionale.”

“La violazione e il controllo dei dispositivi di difensori dei diritti umani viola non soltanto il diritto alla privacy dei difensori dei diritti umani e dei loro legali, ma anche delle tante vittime che hanno avuto qualche tipo di comunicazione con loro,” affermano le associazioni.

Nel loro comunicato le associazioni fanno notare che, malgrado gli accordi intercorsi fra l’azienda NSO con USA e Francia per escludere la sorveglianza dei cittadini di quei Paesi, nel caso di Ubai Al-Aboudi e Salah Hammouri “la compagnia ha in seguito infranto tali accordi”.

“Il parallelismo nei tempi fra l’inchiesta di FLD e la classificazione delle organizzazioni della società civile da parte del ministero della difesa israeliano a poca distanza dall’inizio di tale indagine potrebbe non essere altro che il tentativo preventivo di nascondere le prove della sorveglianza e di insabbiare le operazioni clandestine condotte mediante lo spyware.”

“La sorveglianza dei difensori dei diritti umani palestinesi si unisce ad un’inaccettabile serie infinita di azioni coordinate da parte delle istituzioni governative israeliane e dei loro affiliati volte a istigare e compiere campagne sistematiche e organizzate di calunnie, intimidazioni e persecuzioni contro la società civile palestinese. Negli ultimi decenni tali tecniche hanno comportato campagne di diffamazione tese a bollare i difensori dei diritti umani come “terroristi”, di istigazione all’odio razziale e violenza, discorsi d’odio, arresti arbitrari, torture e maltrattamenti, minacce di morte, divieti di viaggiare, revoche di residenza e deportazioni,” afferma il comunicato.

Diverse altre organizzazioni per i diritti umani, fra cui Access Now, Human Rights Watch, Masaar – Technology and Law Community, Red Line for Gulf, 7amleh- The Arab Center for the Advancement of Social Media, SMEX, e INSM Network for Digital Rights- Iraq, hanno condannato l’hackeraggio dei telefoni degli attivisti.

Le associazioni hanno diffuso un comunicato congiunto in cui condannano l’attacco informatico che viola il diritto alla privacy degli attivisti, affermando che l’hackeraggio “mina la loro libertà di espressione e di associazione e minaccia la loro sicurezza personale e le loro vite.”

“Non pregiudica solo chi viene direttamente colpito, ma ha anche un effetto dannoso su sostenitori e giornalisti, che potrebbero auto-censurarsi per paura di una potenziale sorveglianza,” afferma il comunicato.

Le associazioni si sono anche appellate agli Stati affinché “mettano in atto un’immediata moratoria di vendite, trasferimento ed uso delle tecnologie di sorveglianza finché non vengano adottate adeguate tutele in materia di diritti umani”, e agli esperti dell’ONU affinché “adottino misure urgenti per denunciare le violazioni dei diritti umani da parte degli Stati agevolate dall’uso del sistema di spionaggio informatico Pegasus dell’azienda NSO e forniscano un sostegno immediato e determinante ad indagini imparziali e trasparenti sugli abusi.”

Anche la Campagna USA per i Diritti dei Palestinesi ha condannato l’attacco informatico con la dichiarazione del suo direttore esecutivo Ahmad Abuznaid: “Sappiamo riconoscere la repressione quando la vediamo.”

“Calunniare i difensori dei diritti umani e fare propaganda per delegittimare il loro lavoro. Sorvegliare attivisti e giornalisti che osano dire la verità. Tutto mentre continuano a commettere violazioni dei diritti umani giorno dopo giorno. Il regime israeliano è uno Stato di apartheid di separazione e disuguaglianza che impiega ogni tattica autoritaria a sua disposizione, ma noi conosciamo la verità: la liberazione è in arrivo e la Palestina sarà libera,” dice Abuznaid.

L’esercito adotta la designazione di “terrorismo” di Gantz

La rivelazione dell’attacco informatico segue immediatamente l’adozione da parte del complesso militare israeliano della precedente ordinanza del ministro della difesa Benny Gantz che definiva come “organizzazioni terroriste” le sei associazioni per i diritti umani palestinesi.

Lo scorso tre novembre il comando militare israeliano in Cisgiordania ha emesso cinque ordinanze militari separate per dichiarare “illegali” le organizzazioni, con l’effetto di mettere fuori legge le  attività delle organizzazioni in Cisgiordania, dove hanno sede e dove lavora la maggior parte del loro personale.

Se ad ottobre la designazione di Gantz spianava la strada alla criminalizzazione del lavoro delle organizzazioni all’interno di Israele, le ordinanze militari consentono la chiusura dei loro uffici e il sequestro di ciò che contengono.

Questo mette anche a rischio imminente di arresti e carcerazioni arbitrarie il personale di tali organizzazioni, con la motivazione che lavora”, secondo la designazione, per una “organizzazione terrorista”.

“In pratica, la designazione attribuita alle organizzazioni palestinesi dà facoltà ad Israele di chiuderne gli uffici, sequestrarne le proprietà, conti bancari compresi, oltre ad arrestarne e trattenerne il personale,“ affermano in una dichiarazione le organizzazioni.

“Rappresenta inoltre un allarmante tentativo di criminalizzare e minare i loro sforzi di promuovere i diritti umani dei palestinesi e il perseguimento delle responsabilità tramite procedure internazionali, screditandone il fondamentale lavoro, isolandole dalla comunità internazionale, eliminandone da ultimo le fonti di finanziamento.”

Le ordinanze militari sono state emanate alcuni giorni dopo la rivelazione di +972 Magazine e di The Intercept [rivista web USA creata dal fondatore di Ebay, ndtr.] secondo cui un dossier segreto israeliano di cui erano entrati in possesso non forniva alcuna vera prova che giustificasse la designazione delle associazioni quali organizzazioni terroriste.

Le 74 pagine del documento secretato sarebbero state usate dallo Shin Bet, il servizio di intelligence interno israeliano, per cercare di convincere i governi europei ad interrompere il finanziamento delle organizzazioni per i diritti palestinesi.

“Alti funzionari di almeno cinque Paesi europei hanno detto che il dossier non contiene alcuna ‘prova concreta’ e hanno così deciso di mantenere il sostegno finanziario alle organizzazioni,” afferma l’articolo di +972.

Israele rafforza la sorveglianza dei palestinesi con il programma di riconoscimento facciale

Martedì, poche ore prima che venisse rivelato l’attacco informatico della NSO contro i sei attivisti palestinesi, un servizio del Washington Post ha rivelato che l’esercito israeliano sta effettuando una “vasta operazione di controllo” nella Cisgiordania occupata mediante l’uso di tecniche di riconoscimento facciale.

Il Washington Post ha riferito che da due anni l’esercito sta usando una tecnologia per smartphone chiamata “Blue Wolf”, [lupo azzurro, ndtr] che “cattura foto dei volti dei palestinesi e li confronta con un database di immagini così esteso che un ex soldato lo ha definito un ‘Facebook per palestinesi’ segreto dell’esercito”, afferma il servizio.

Secondo il reportage, i soldati israeliani di stanza in Cisgiordania “l’anno scorso hanno fatto a gara per fotografare i palestinesi, vecchi e bambini compresi, e le unità che raccoglievano più foto venivano premiate.”

Il servizio stima che il numero minimo delle persone fotografate per il programma di sorveglianza “è stato dell’ordine di diverse migliaia.”

L’articolo afferma che, oltre alla tecnologia Blue Wolf, le autorità militari israeliane hanno installato fotocamere per la scansione facciale nella città di Hebron nel sud della Cisgiordania “per aiutare i soldati dei posti di blocco ad identificare i palestinesi  ancor prima che esibiscano i documenti di identità.”

“Una rete ancora più grande di telecamere a circuito chiuso, denominata “Smart City Hebron”, monitora in tempo reale la popolazione cittadina e a volte riesce a vedere all’interno delle case”, ha affermato un ex soldato citato nel servizio.

Hebron è un delicato punto nevralgico all’interno della Cisgiordania, e spesso gli attivisti lo hanno definito un “microcosmo” dell’occupazione israeliana.

La città è divisa fra circa 40.000 autoctoni palestinesi e un gruppo di coloni israeliani tristemente noti per la loro violenza ideologica che vivono nel cuore della Città Vecchia. In seguito al massacro di dozzine di palestinesi per mano di un colono israeliano nel 1994, la città vecchia venne divisa fra aree controllate dai palestinesi e dagli israeliani note come aree H1 e H2, la seconda dove vivono in maggioranza coloni.

I 40.000 palestinesi che vivono nell’area H2 sono perennemente circondati dagli oltre 1.000 soldati israeliani di stanza nell’area e da 20 posti di blocco militari che ne limitano qualsiasi movimento.

L’alta concentrazione di soldati e di coloni armati israeliani ha trasformato la città in uno dei principali luoghi della violenza coloniale e militare in Cisgiordania, dove le violazioni dei diritti umani sono all’ordine del giorno.

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)

 

 

 

 

 




Israele confisca barrette di cioccolata palestinese, sostenendo che finanzierebbero Hamas.

Rayhan Uddin

17 agosto 2021 Middle East Eye

Le autorità israeliane collegano le vendite di dolciumi al terrorismo, e sui social media si prendono in giro “i cattivi dei cartoni che rubano dolcetti”

La decisione israeliana di confiscare 23 tonnellate di tavolette di cioccolato destinate a Gaza con la motivazione che sarebbero state usate per finanziare le operazioni militari di Hamas ha scatenato un’ondata di scherno online.

Secondo quanto segnalato da Times of Israel lunedì, le forze di sicurezza hanno intercettato un carico di dolciumi in transito dall’Egitto verso Israele al valico di confine di Nitzana.

Dopo un’indagine congiunta dell’intelligence militare israeliana, l’ufficio nazionale per il finanziamento dell’antiterrorismo e il centro nazionale dell’autorità fiscale per il controllo merci, la conclusione è stata che i prodotti erano destinati a Gaza e Hamas li avrebbe presumibilmente venduti per trarne profitto.

L’indagine ha collegato le tavolette di cioccolato a due ditte di Gaza, la al-Mutahidun Currency Exchange e Arab al-Sin, che Israele ha classificato come organizzazioni terroristiche sulla base di presunti finanziamenti ad Hamas.

I funzionari israeliani hanno dichiarato alla stampa che il sequestro delle tavolette di cioccolato faceva seguito ad un ordine di confisca firmato dal ministro della difesa Benny Gantz.

Israele continuerà ad agire per impedire il rafforzamento di Hamas, che pensa solo ad aumentare la propria capacità militare anziché occuparsi della popolazione della Striscia [di Gaza] che sta crollando sotto il peso delle difficoltà economiche,” dice Gantz.

Continueremo a dare la caccia alle reti che finanziano il terrorismo, qualsiasi siano i metodi da loro impiegati.”

Cattivi dei cartoni che rubano i dolcetti”

Sui social media molti hanno schernito l’accusa che Hamas si finanziasse con la vendita di cioccolatini.

Ah già, la famigerata fonte di finanziamento di Hamas, la stessa dei gruppi scolastici e delle squadrette di baseball di periferia,” ha scherzato un utente in rete.

Un altro si è limitato a postare la bandiera bianca e verde di Hamas accanto al logo ufficiale delle ragazze scout USA, che utilizza gli stessi colori.

James Zogby, fondatore dell’Arab American Institute [associazione con sede a Washington DC che si concentra sulle questioni e sugli interessi degli arabi-americani, ndtr], ha dichiarato che la confisca è la prova che Israele controlla Gaza “come la polizia penitenziaria controlla una prigione”, per quanto Israele neghi di occupare l’enclave.

Israele ha sequestrato la cioccolata dicendo che serviva a finanziare Hamas e che, poiché Hamas è un gruppo terroristico, ha tutto il diritto di tagliarne i finanziamenti,” scrive [Zogby].

Ma anche Israele è colpevole di crimini di guerra contro i civili palestinesi – ne ha uccisi impunemente a migliaia nel corso degli anni.”

Israele fa il diavolo a quattro accusando di antisemitismo chiunque lo boicotti e gli USA hanno leggi che penalizzano chiunque lo faccia. Contemporaneamente Israele impone ogni tipo di sanzione e di boicottaggio sui palestinesi e per questo viene premiato dal Congresso a suon di miliardi. Dove sta la giustizia in tutto questo?”

Negli ultimi mesi i due milioni di palestinesi che vivono a Gaza sono stati sottoposti ad un inasprimento delle restrizioni israeliane sulle merci in ingresso nell’enclave assediata, il che ha causato una grave recessione economica.

Si pensa che le restrizioni abbiano a che vedere con le pressioni esercitate da Israele su Hamas perché restituisca quattro cittadini israeliani, due dei quali morti, che sembra siano detenuti a Gaza.

La scorsa settimana alcuni imprenditori palestinesi hanno dichiarato a Middle East Eye che si trovavano costretti a licenziare dei lavoratori per potere rimanere a galla, dopo le distruzioni causate dagli ultimi attacchi israeliani di maggio.

Si stima che circa 1.500 imprese economiche di Gaza siano state distrutte o danneggiate durante la campagna di bombardamenti israeliani, e alcuni funzionari dichiarano che le perdite ammonterebbero a 479 milioni di dollari.

Questo articolo è disponibile in francese sull’edizione francese di Middle East Eye.

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)




Quanti palestinesi morti sono troppi?

Zvi Bar’el

10 agosto 2021 – Haaretz

Secondo un articolo di Yaniv Kubovich su Haaretz di martedì, “il capo di stato maggiore [israeliano] Aviv Kochavi ha chiesto agli alti gradi del Comando Centrale [uno dei quattro comandi regionali, stanziato in Cisgiordania, ndtr.] di intervenire per ridurre i casi di uso di armi da fuoco contro palestinesi in Cisgiordania”. Presumibilmente non ci potrebbe essere una smentita più clamorosa delle affermazioni del giornalista Gideon Levy riguardo a Kochavi, secondo le quali “il comandante di un esercito che non abbia niente da dire riguardo a queste metodiche uccisioni contribuisce ancor di più alla degenerazione dell’esercito.”

Qui c’è un capo di stato maggiore che dedica attenzione ai sentimenti della gente, che comprende che gli omicidi perpetrati in suo nome in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non vengono accolti facilmente dall’opinione pubblica, anche se solo da una piccola parte di essa. Si erge come un leone per porre fine al crimine e “chiede” ai suoi ufficiali superiori di tenere sotto controllo i comportamenti indisciplinati.

Non fa assolutamente nessuna differenza se Kochavi sia rimasto impressionato oppure no da quello che è stato scritto sui media o dalle critiche della “dirigenza politica” e dell’establishment della difesa riguardo alla condotta del capo del comando centrale Tamir Yadai, secondo le quali gli ufficiali del Comando Centrale hanno operato in modo suscettibile di incendiare la Cisgiordania.

Quello che è importante è come mettere in pratica sul terreno la richiesta di Kochavi. Quanti palestinesi innocenti ci viene permesso di uccidere prima che ciò inneschi un incendio? Ogni brigata o compagnia riceverà una quota mensile o annuale di morti che non dovrà essere superata?

Possiamo già sentire le grida di dolore dei dirigenti dei coloni secondo cui il capo di stato maggiore non permette alle IDF [l’esercito israeliano, ndtr.] di vincere. Possono smettere di preoccuparsi, Kochavi chiede solo di abbassare il fuoco, non di spegnerlo. Lo ha chiesto solo agli ufficiali delle IDF, non a loro. I coloni non sono affatto sottoposti a lui, e le loro armi, comprese quelle dei soldati che essi a volte usano, sono libere da ogni restrizione.

La cosa realmente sorprendente è la richiesta di Kochavi di coinvolgere un maggior numero di ufficiali superiori sul terreno e di fare in modo che più decisioni siano prese dai gradi più alti. Ecco il dilemma: chi sono questi ufficiali superiori che saranno considerati responsabili? Nell’operazione “Margine protettivo”, la guerra a Gaza del 2014, quando comandava la brigata Givati il tenente colonnello Ofer Winter spiegò ai suoi soldati che “la storia ci ha scelti per essere l’avanguardia nella lotta contro i nemici terroristi di Gaza, che insultano e scherniscono il dio delle campagne di Israele.”

Oggi il generale di brigata Winter comanda l’Utzbat Ha’esh, una divisione d’élite dei paracadutisti sottoposta al Comando Centrale, che è guidata dal generale Yadai, l’ufficiale più alto in grado responsabile del fuoco mortale contro i palestinesi. Lo “spirito di comando” di Winter è cambiato da allora? E perché dovrebbe cambiare, quando lo stesso ministro della Difesa Benny Gantz indossa sul bavero della divisa la medaglia per l’uccisione in massa di cui è stato responsabile, come capo di stato maggiore delle IDF, durante quella stessa campagna?

Questo mese si è scoperto che lo stesso spirito è rimasto in vigore nelle campagne che sono seguite. Nell’operazione “Guardiano delle mura” uno dei bombardamenti delle IDF contro Gaza ha colpito delle strutture precarie nei pressi di Beit Lahia. Sei persone sono state uccise: un neonato di 9 mesi, una diciassettenne, tre donne e un uomo. Le IDF si sono premurate di nascondere l’incidente, e la sua risposta banale ha dimostrato quanto profonda sia la loro indifferenza.

Le IDF hanno imparato la lezione e l’hanno insegnata all’unità combattente, ha borbottato il portavoce delle IDF. Nessun ufficiale superiore ha perso il posto. È stato solo a quella stessa unità che è stata impartita la lezione o il messaggio è stato inviato anche ad altre unità, e soprattutto agli ufficiali superiori del Comando Centrale? Sono questi i pompieri che d’ora in avanti controlleranno l’“altezza delle fiamme”? E chi ha alimentato le fiamme finora?

Da maggio in Cisgiordania sono stati uccisi oltre 40 palestinesi. Ora quello che ci manca è che il portavoce delle IDF presenti con orgoglio il suo risultato come prova che “la lezione è stata appresa”. Senza questo, potrebbe sostenere, sarebbero stati uccisi 80, o forse 100, palestinesi.

Questo non è più solo lo “spirito del comandante”, una cosa che dipende dalla personalità e dai valori di un comandante dell’esercito o del capo di un comando regionale. Al contrario qui vediamo una cultura di occupazione militare che non cambia per un qualche ordine. Ormai è una questione di tradizione operativa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Ultimissime sulle elezioni israeliane: ‘Gli israeliani’ e la propaganda del corona

Jonathan Ofir

4 gennaio 2021 – Mondoweiss

Ron Huldai, da vent’anni sindaco di Tel Aviv, ha formato un nuovo partito, “Gli israeliani”, per abbattere definitivamente Netanyahu. Ma Netanyahu ha ancora una carta da giocarsi: il vaccino contro il coronavirus.

Israele si sta avviando verso la quarta tornata elettorale in due anni, questa volta con la scusa di non essere riusciti ad approvare il bilancio 2020. Benny Gantz, il cavaliere bianco liberale, ex generale entrato in politica due anni fa vantandosi di aver riportato Gaza “all’età della pietra”, si è dimostrato un perdente incapace di costituire una reale minaccia per Netanyahu. Lui non vedrà arrivare il suo ‘turno’ [come primo ministro, ndtr.], proprio come la maggioranza degli israeliani si aspettava fin dall’inizio, e secondo i sondaggi i resti del suo partito Blu e Bianco si aggirano appena intorno alla soglia di sbarramento di 4 seggi.

Dal Likud, lo stesso partito di Netanyahu, proviene Gideon Sa’ar, un altro cavaliere bianco con politiche probabilmente ancora più a destra di Netanyahu stesso. Lui salverà Israele con il suo partito “New Hope – Unity for Israel”, [Nuova Speranza – Unità per Israele] difendendo la supremazia ebraica dei “diritti naturali e storici del popolo ebraico sulla terra di Israele”, sostenendo i “valori dello Stato nazionale del popolo ebraico”. Sa’ar, il Netanyahu senza champagne e sigari, negli ultimi sondaggi si aggira sui 17 seggi, rispetto ai 22 previsti una settimana fa, (in Israele, per creare una coalizione di governo, c’è bisogno di una maggioranza di 61 seggi sui 120 del parlamento).

Nessun altro cavaliere bianco?

Ron Huldai, da lungo tempo sindaco di Tel Aviv, ha appena annunciato il suo nuovo partito. Tenetevi forte: ‘Gli Israeliani’. Dovete ammetterlo, un nome originale. E arrogante: noi siamo i ‘veri’ israeliani. In che senso? Huldai rappresenta la vecchia ideologia laburista israeliana, liberale se paragonata alla destra, ma elitaria nel suo sionismo militante, ovviamente. Perciò, Huldai come prima fra le sue credenziali ha scelto di dire che è stato un pilota da guerra. Sai, è una di quelle cose che questi israeliani fanno. Se hai la qualifica di pilota di aerei da combattimento la tiri fuori per prima. Poi ci sono anche quelle di educatore e sindaco. Huldai cerca di riaccendere la speranza del partito laburista israeliano, anche se il partito è appena finito nel dimenticatoio e si dubita che riesca a superare la soglia di sbarramento. Huldai ha dalla sua Amir Peretz, leader del Labor che ha appena lasciato vacante il suo posto, nel caso ci sia qualcuno che veramente lo voglia.

Gli Israeliani’ sembra essere andato bene nel primo sondaggio, attorno agli 8 seggi. Potrebbe piacere ad alcuni fra gli elettori di sinistra che erano andati verso il centro con Blu e Bianco, ma sono rimasti delusi. Ofer Shelah, uno dei suoi leader, ha appena cercato di formare un suo partito per suscitare un maggiore interesse a sinistra, ma i sondaggi lo danno vicino allo zero. Avi Nissenkorn, uno dei ministri di spicco di Gantz (fino ad ora ministro della Giustizia), è passato a Huldai.

Ancora una volta, come è stato pe le tre precedenti elezioni, qui non c’è un blocco assolutamente chiaro per la creazione di un governo. Il Likud ha perso un numero considerevole di voti a causa della scissione di Sa’ar e si aggira ora attorno ai 26 seggi (dai 36 dell’ultima elezione a marzo); ciononostante è di gran lunga il maggior partito e Netanyahu di gran lunga il candidato premier più popolare, più del doppio rispetto a Sa’ar.

E il blocco di Netanyahu? Consisterebbe di quelli che non sono nel campo di chi dice ‘ Purché non sia Netanyahu’, che include i partiti religiosi Shas [partito sefardita, ndtr.] e United Torah Judaism [Giudaismo unito nella Torah, ebrei haredim ultraortodossi ashkenaziti, ndtr.] (insieme raggiungono un consistente numero di 15-16 seggi) e Yamina, il partito nazionalista di destra di Naftali Bennett, ora, stando ai sondaggi, con circa 13 seggi. Yamina è salito fino a 19 all’inizio del mese, ma Sa’ar potrebbe avergli portato via i più moderati. Quindi se aggiungiamo i 26 seggi del Likud si arriva appena a 55. Ma neanche i blocchi rivali, da destra a sinistra, vanno oltre.

È chiaro che dal punto di vista di Netanyahu il sogno sarebbe semplicemente di ampliare i votanti del Likud per riprendersi quei circa 6 seggi e continuare a governare per sempre.

Ma c’è bisogno di un cambio di passo. Qualcuno ha delle idee?

Ma ovvio: il coronavirus.

La propaganda del Corona

Netanyahu ha adocchiato da tempo l’opportunità di essere il ‘re del corona’ e di battere la minaccia del COVID-19 al punto da diventare famoso come il padre della Nazione che la proteggerà come nessun altro. Gli accordi tanto strombazzati sotto il re Trump con gli EAU, Bahrain, Sudan, Marocco sono stati un bel lavoro, ma non decisivi. Dopotutto, le decine di migliaia di turisti israeliani che vanno a Dubai, molti dei quali turisti sessuali, non porteranno così tanti seggi. Ora in Israele c’è il terzo lockdown e la gente vuole uscire, non necessariamente per andare a Dubai, basterebbe uscire di casa.

Perciò Netanyahu sta lavorando freneticamente per assicurarsi un’enorme quantità di dosi di vaccino per gli israeliani, ma, cosa importante, non per i palestinesi sotto occupazione. Si è vantato di chiamare l’amministratore generale di Pfizer alle due di notte. È stato riportato che la Germania avrebbe cambiato le regole sulla condivisione europea del vaccino per dare a Israele parte della quota destinata alla UE per via della ‘relazione speciale’ [con Israele, ndtr.]. Un funzionario dell’ambasciata israeliana ha detto che “ la Germania vede Israele come parte dell’Europa quando si tratta di procurarsi il vaccino e perciò ne permetterà l’invio in Israele quando sarà approvato.” 

Il Likud di Netanyahu continua a tirar fuori il vaccino quando si tratta di rispondere agli sfidanti. “Auguriamo a Gantz e Huldai buona fortuna mentre il primo ministro Netanyahu porta in Israele milioni di vaccini, traghetta Israele fuori dalla crisi da coronavirus e ci dà la vita,” ha ribattuto in risposta al recente annuncio di Huldai di correre alle elezioni.

Netanyahu ha fatto il suo atteso spettacolino della vaccinazione in pubblico il 19 dicembre e Israele è entrato nella corsa per vaccinare gli israeliani ventiquattr’ore su ventiquattro. Ora si vantano di essere i primi al mondo, avendo vaccinato circa il 7% della popolazione (con la prima dose). Per esempio, questo video da hasbara [propaganda israeliana] trasmesso sul canale 4IL: “La Nazione start-up è diventata la VacciNazione! Con il 7% della popolazione già vaccinata, oltre 600.000 vaccini somministrati Israele è al #1 posto al mondo per le vaccinazioni.”

Nel video si vaccina persino un ‘arabo’, un druso [popolazione araba che collabora con Israele, ndtr.]. Naturalmente è per far scena. Se Israele veramente adempisse i suoi obblighi di potenza occupante, allora dovrebbe vaccinare molti ‘arabi’(palestinesi) in più.

No, quello che adesso è importante per Netanyahu è la corsa contro il tempo per inoculare una consistente quantità di israeliani, soprattutto tutti i coloni dei territori palestinesi occupati, entro il 23 marzo, data delle elezioni. Netanyahu ha affermato che Israele sarà in salvo “entro poche settimane”. Vuole che su questo Israele sia #1. Ci aveva già provato prima, lo scorso anno quando aveva detto che in primavera Israele sarebbe stato il posto più sicuro, ma poi in estate era diventato il posto più insicuro. Ma ora sembra più probabile che la popolazione israeliana ebraica possa essere convinta della sua abilità di portarle la salvezza. Pare che Israele stia somministrando circa 150.000 dosi al giorno, quindi in un mese potrebbe vaccinare circa metà dei suoi cittadini.

Netanyahu la vede come una guerra da cui potrebbe uscire vincitore. E bisogna tener conto dell’aspetto: “cosa c’è di meglio?” I più vogliono vaccinarsi, certamente vogliono la fine del COVID-19, almeno per loro. E chi se ne importa dei palestinesi.

In questo modo, Netanyahu entrerebbe nelle vene degli israeliani. Capirebbero quanto profondamente ci tiene a loro. E in quei momenti di beatitudine, potrebbero ridargli quei seggi che quelli del ‘purché non sia Netanyahu’ gli hanno tolto. Netanyahu farà vedere a tutti che è lui quello di cui hanno veramente bisogno ‘gli israeliani.’     

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)