Secondo un ministro Netanyahu appoggia il congelamento dei fondi per le aree arabe

Redazione di MEMO

8 agosto 2023 – Middle East Monitor

Il ministro delle Finanze israeliano Bezalel Smotrich [del partito di ultradestra dei coloni, ndt.] ha confermato oggi che il primo ministro Benjamin Netanyahu appoggia la sua decisione di sospendere un programma di istruzione superiore per Gerusalemme Est occupata, tra crescenti proteste dell’opinione pubblica e accuse di razzismo.

Smotrich ha ribadito che i fondi destinati allo sviluppo economico nelle città arabe nello Stato di apartheid non saranno trasferiti come inizialmente pianificato.

Egli ha affermato al canale pubblico Kan: “Mi sto coordinando con il primo ministro. L’ho incontrato e gli ho spiegato ed egli supporta questa posizione. Ho ricevuto il suo consenso”.

“La decisione è finale, lo stanziamento non sarà trasferito,” ha aggiunto Smotrich. “Se troviamo modalità per trasferire davvero denaro ai cittadini arabi di Israele, allora aiuteremo ove necessario.”

Il capo del partito Sionismo Religioso ha dichiarato che la sua decisione è stata presa per evitare che i fondi cadano sotto il controllo del crimine organizzato. Ha anche dichiarato che promuovere l’istruzione superiore tra i palestinesi a Gerusalemme Est favorisce l’estremismo e perciò non è in linea con gli interessi israeliani.

Il governo attuale, ha spiegato, “non è vincolato” ad una promessa fatta dal precedente ministro dell’Interno Ayelet Shaked [del partito di estrema destra Yamina, ndt.] al capo del partito Ra’am [arabo di orientamento religioso che faceva parte della precedente coalizione di governo, ndt.] Mansour Abbas.

In risposta, il capo dell’opposizione Yair Lapid questa mattina ha stroncato Smotrich su Twitter, affermando che “contrariamente alle sue bugie, gli stanziamenti congelati da Smotrich per le autorità locali arabe non sono relative ‘all’impegno del precedente governo’ nei confronti del settore arabo”.

“Smotrich maltratta i cittadini arabi solo perché sono arabi,” ha continuato, aggiungendo di “vergognarsi che il razzismo sia diventato una politica ufficiale dello Stato di Israele.”

Il congelamento dei fondi per l’istruzione dei palestinesi a Gerusalemme Est avviene nonostante funzionari per l’istruzione e per la sicurezza, incluso il capo dello Shin Bet [servizio di sicurezza interna, ndt.] e il consiglio di sicurezza nazionale israeliano, dicano che finanziare l’istruzione superiore per i palestinesi diminuirebbe il terrorismo.

Il ministro dell’intelligence israeliana Gila Gamliel ha criticato la decisione di Smotrich, sottolineando il fatto che l’inclusione della popolazione araba nelle università porta significativi benefici sociali, economici e di sicurezza.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Perché i pogrom dei coloni stanno squassando la Cisgiordania proprio ora

Menachem Klein 

26 giugno 2023 +972

Frustrati dalle reazioni armate ai loro pogrom, i coloni continueranno a propugnare la supremazia ebraica con ogni mezzo necessario.

A volte un evento è così estremo da strappare il paraocchi della deliberata ignoranza alla società ebraico-israeliana. Il pogrom di Huwara lo scorso febbraio in cui centinaia di coloni hanno incendiato la città palestinese nella Cisgiordania occupata è stato un evento del genere. I pogrom della scorsa settimana a Turmus Ayya, Urif e Umm Safa hanno aperto ulteriormente il quadro, costringendo molti israeliani a guardare in faccia a una realtà presente da tempo e che senza dubbio può peggiorare.

Il problema principale non è però nel sottoprodotto dell’occupazione – il terrorismo dei coloni ebrei – ma nell’attività di routine di Israele nei territori. In effetti, la decisione dei dirigenti della sicurezza israeliana di etichettare i pogrom come “terrorismo” indica che il paraocchi è stato levato solo in parte: semplicemente non vogliono che il terrorismo ebraico interferisca o metta in imbarazzo l’autorità di esercito, Shin Bet e polizia.

L’insediamento coloniale è di per sé un atto violento, che sia fatto in accordo con la legge israeliana o con una legge che lo legittima retroattivamente. È violento perché i coloni impongono la loro presenza agli abitanti autoctoni e li privano della terra, dell’acqua, della libertà di movimento e dei diritti umani fondamentali. È un sistema organizzato di violenza per conto dello Stato.

La simbiosi tra esercito e coloni non si limita alla violenza; esiste anche nella concezione che hanno della loro missione. I coloni definiscono esplicitamente la loro missione come l’ebraizzazione dell’area, e lo fanno in modo efficace e coerente. La missione dell’esercito non è garantire la sicurezza a tutti i residenti nei territori – come il diritto internazionale richiede alla potenza occupante – ma piuttosto proteggere i coloni dalle reazioni dei nativi palestinesi, ai quali non è permesso difendersi, né con l’aiuto delle forze di sicurezza palestinesi, né istituendo una propria guardia nazionale.

Il fattore che determina se la vita e la proprietà di un residente della Cisgiordania saranno protette è se è ebreo o meno.

Anche l’espansione delle colonie in risposta all’assassinio di israeliani – come alte cariche del governo si sono impegnate a fare la scorsa settimana – non è un’innocua azione civile. È una violenza senza immediato spargimento di sangue, ma che inevitabilmente genererà una resistenza palestinese seguita da una sanguinosa repressione dell’esercito.

I palestinesi sono tollerati solo se si annullano nel paesaggio, diventando oggetti inanimati che rinunciano alla loro identità collettiva. Ma finché mantengono quell’identità sono per definizione il nemico. L’esercito e lo Shin Bet continueranno a controllarli con dati biometrici ed elettromagnetici che tracciano la loro posizione, le loro azioni e i pensieri espressi nelle telefonate e sui social media. La completa dipendenza dei palestinesi da Israele per i permessi rende facile per le autorità israeliane raccogliere informazioni sulla loro famiglia e le condizioni mediche, le tendenze sessuali, le debolezze personali e l’inquadramento sociale e utilizzare tali informazioni come arma per costringerli a collaborare.

Il predominio ebraico è chiaro come il sole e il popolo palestinese sta sanguinando fisicamente e politicamente. Tuttavia, man mano che le colonie si espandono e l’esercito interviene aumenta l’attrito, e così anche la motivazione palestinese a reagire. Oggi la violenza palestinese ha poca speranza di liberare la Cisgiordania la disparità di potere tra le parti è fin troppo evidente. Piuttosto, intende far pagare un prezzo, un qualsiasi prezzo, ai colonizzatori.

Una frustrazione pericolosa

Questa reazione frustra i coloni. Com’è possibile che tutto il loro potere e la loro supremazia non abbiano ancora cancellato l’identità e la resistenza palestinese? Questa frustrazione è ciò che muove i pogrom, come quelli che abbiamo visto la scorsa settimana, che poi spingono l’esercito e il governo a usare ancora più forza nell’espandere il progetto di insediamento coloniale. Solo pochi giorni fa, il Col. (Forze di Riserva) Moshe Hagar, capo dell’accademia premilitare nella colonia di Beit Yatir, ha invocato la distruzione di una città o di un villaggio palestinesi per dare una lezione ai palestinesi. Nel frattempo Bezalel Smotrich che funge sia da Ministro delle Finanze che come Ministro incaricato degli Affari Civili in Cisgiordania, ha definito “sbagliato e pericoloso” qualsiasi paragone tra ciò che ha definito “terrore arabo” e le “contro-operazioni di civili”.

La loro frustrazione oggi è maggiore di quanto non fosse in passato. Negli anni ’80 e ’90 i coloni nei territori occupati si sono trasformati da movimento civile sostenuto dalla classe dirigente in classe dirigente essi stessi. Si sono fatti strada nei livelli esecutivi degli ambiti governativi di amministrazione e sicurezza che controllano la popolazione palestinese e la sua terra. Oggi, sotto l’attuale governo di estrema destra, hanno raggiunto l’apice del potere. Non pensano affatto a riconoscere dei limiti al proprio potere, perché la direzione delle loro ambizioni politiche è diretta e inequivocabile. Non devono ritrarsi.

L’idea di contenere il conflitto per non perdere il controllo – come sperano di fare esercito, Shin Bet e polizia – è per loro inaccettabile, poiché la loro frustrazione è pari al loro estremismo politico e teologico. I coloni stanno spingendo i dirigenti della sicurezza ad agire secondo la visione di Hagar. A differenza dell'”Operazione Scudo Difensivo” – quando l’esercito israeliano distrusse fisicamente e politicamente l’Autorità Nazionale Palestinese nel 2002 attraverso devastanti invasioni urbane – oggi non c’è più una leadership da decimare. L’ANP sotto il presidente Mahmoud Abbas l’ha già fatto per Israele. L’appello della destra israeliana a lanciare “Scudo Difensivo II” è invece un invito a porre i civili palestinesi come obiettivo centrale piuttosto che come semplice e accettabile effetto collaterale.

La fine del conflitto e la soluzione dei due Stati non sono più interessanti per l’opinione pubblica israeliana e per la comunità internazionale. In mancanza di una soluzione – o più precisamente, della volontà di perseguirne una – i governi stranieri, compresi gli Stati arabi, hanno permesso a Israele di creare un regime unico nell’intera area compresa tra il fiume e il mare senza dover dichiarare ufficialmente l’annessione.

Il fatto che due popoli diversi vivano sotto due sistemi di leggi e un unico potere significa che Israele sta attuando pratiche di apartheid, supremazia razziale e governo militare non come una questione di politica estera, ma piuttosto come politica interna.

Questo è il motivo per cui, ad esempio, il Ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben Gvir sta cercando di istituire una propria milizia privata, per avere il potere di sottoporre i cittadini palestinesi di Israele alla detenzione amministrativa e per approfondire la penetrazione dello Shin Bet nella vita dei cittadini palestinesi di Israele. E, sulla scia degli eventi del maggio 2021 [grave esplosione di violenza iniziata il 10 maggio 2021 e continuata fino all’entrata in vigore del cessate il fuoco il 21 maggio, ndt.] l’esercito israeliano ha ora elaborato piani per agire contro i cittadini palestinesi in caso di conflitto.

I dirigenti di Israele si stanno rendendo conto che devono piegare ulteriormente la legge alla loro volontà, altrimenti l’identità dell’intera area tra il fiume e il mare non sarà mai esclusivamente ebraica. E, sfortunatamente, la sinistra ebraica sionista non ha né la visione né il coraggio per impedire questa tendenza.

Menachem Klein è professore di Scienze Politiche all’Università Bar Ilan. È stato consigliere della delegazione israeliana nei negoziati con l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina nel 2000 ed è stato uno dei leader dell’Iniziativa di Ginevra. Il suo nuovo libro, Arafat e Abbas: Portraits of Leadership in a State Postponed [Arafat e Abbas: ritratti di leadership in uno Stato rinviato], è stato appena pubblicato da Hurst London e Oxford University Press New York.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




La furia dei coloni israeliani incendia le città palestinesi

Redazione di Middle East Eye

21 giugno 2023 – MiddleEastEye

Nella Cisgiordania occupata almeno 34 palestinesi sono stati feriti e più di 140 veicoli dati alle fiamme dai coloni inferociti

Martedì notte i coloni israeliani si sono scatenati in diverse città palestinesi della Cisgiordania incendiando auto, bruciando terreni agricoli e vandalizzando case – scene che ricordano il pogrom all’inizio di quest’anno nel villaggio di Huwwara.

Mercoledì i coloni hanno attaccato la città di Turmusaya, a sud di Huwwara, incendiando veicoli, case e terreni agricoli.

Martedì scorso i coloni sono calati su Luban a-Sharqiya, Huwwara, Beit Furik, Burin e su altre città a sud di Nablus bloccando le strade, lanciando sassi al traffico di passaggio e terrorizzando le comunità palestinesi.

Secondo i funzionari palestinesi almeno 34 palestinesi sono rimasti feriti e almeno 140 veicoli sono stati dati alle fiamme, inclusa un’ambulanza.

L’agenzia di stampa palestinese Wafa ha riferito casi di palestinesi derubati da coloni e di un ragazzo di 12 anni che è stato picchiato.

La casa di Ziyad Ghalib, abitante di Huwwara, era stata bruciata dai coloni durante il precedente pogrom di febbraio. Quella volta lui e la sua famiglia erano a casa quando gli israeliani hanno appiccato il fuoco, rischiando di morire soffocati dal fumo prima di scappare appena in tempo.

Secondo quanto ha detto a MEE, con l’assalto di martedì è la quarta volta che sono stati attaccati.

“Nessuno è venuto a controllare, c’è stata una modesta copertura mediatica ma a parte questo niente”, afferma.

Nessuno ci ha dato alcuna precedenza [nelle notizie, ndt] o importanza, le nostre vite sembrano prive di valore. La realtà è che a nessuno importa di noi, e non stiamo esagerando”.

Ghalib e la sua famiglia ora alloggiano in un’altra casa a Huwwara, che fortunatamente questa volta non era vicina agli attacchi dei coloni. Tuttavia, l’auto di un parente è stata incendiata.

Dice che non si sente più al sicuro a Huwwara.

Mia figlia di nove anni è terrorizzata. Non sappiamo cosa fare, possiamo solo affidarci a Dio”, ha detto.

Puoi andare normalmente in giro e un colono ti attacca o cerca di investirti con la macchina. È molto difficile vivere così”.

La furia dei coloni di martedì si è scatenata poche ore dopo che quattro coloni israeliani sono stati uccisi in una sparatoria nei pressi dell’insediamento israeliano illegale di Eli, nella Cisgiordania centrale.

Due uomini armati sono stati identificati dai media palestinesi come Muhannad Faleh Shehadeh e Khaled Mustafa Sabah, entrambi del villaggio di Orif a sud di Nablus.

Shehadeh è stato ucciso sul posto. Sabah è stato ucciso a colpi d’arma da fuoco nella vicina Toubas, ha riferito l’agenzia di sicurezza interna israeliana dello Shin Bet.

Le forze israeliane sono arrivate in alcune aree nel tentativo di reprimere la violenza dei coloni. Haaretz ha riferito che i coloni hanno attaccato anche alcuni soldati israeliani, costringendoli a sparare colpi di avvertimento in aria.

La polizia israeliana ha annunciato che avrebbe dispiegato più agenti sulle strade principali della Cisgiordania, con particolare attenzione alle “aree sensibili”.

L’attacco ai coloni israeliani era avvenuto dopo che lunedì le forze israeliane avevano ucciso almeno sette palestinesi, tra cui tre adolescenti, in un raid nella città di Jenin in Cisgiordania.

A Huwwara martedì una folla di coloni ha incendiato automobili e danneggiato proprietà palestinesi. Secondo Wafa alcuni hanno anche aperto il fuoco sui palestinesi.

A febbraio Huwwara e le aree circostanti sono state teatro di una terrificante furia da parte di coloni israeliani, che hanno ucciso un palestinese e ferito quasi altri 400.

Le auto bruciate dall’attacco dei coloni nella zona di Lubban al Gharbi

All’epoca il Ministro delle Finanze israeliano di estrema destra Bezalel Smotrich invitò l’esercito israeliano a “colpire le città palestinesi con carri armati ed elicotteri, senza pietà, in modo che si capisca che il padrone di casa è fuori di sé”.

Dopo il raid di lunedì a Jenin, Smotrich ha twittato: “È giunto il momento di sostituire le operazioni chirurgiche con una campagna ad ampio raggio per sradicare i nidi del terrore”.

Quest’anno l’esercito e i coloni israeliani hanno ucciso almeno 163 palestinesi, tra cui 27 minorenni. Un totale di 129 vittime sono state registrate in Cisgiordania e Gerusalemme Est e altre 34 nella Striscia di Gaza.

Nello stesso periodo i palestinesi hanno ucciso almeno 24 israeliani.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)

 




Il nuovo governatore dei coloni in Israele

Pietro Stefanini

10 aprile 2023 – Middle East Monitor

Nelle ultime settimane Bezalel Smotrich. il ministro delle Finanze israeliano, ha giustamente attirato grande attenzione per alcune delle sue dichiarazione pubbliche che si possono definire, senza voler esagerare, di carattere genocida. Per prima cosa, dopo che i coloni si sono scatenati violentemente nella Cisgiordania occupata, ha chiesto che la città palestinese di Huwara venisse “spazzata via”. Parlando poi a un evento in Francia, Smotrich ha di fatto rispolverato un vecchio mito sionista che nega l’esistenza dei palestinesi come popolo. Anche se al momento ci stiamo concentrando sulla ripresa della violenza israeliana contro i fedeli nella moschea di Al-Aqsa, è importante non perdere di vista dove probabilmente emergeranno i prossimi attacchi contro i palestinesi.

Smotrich, oltre al suo ruolo come ministro delle Finanze, occupa una posizione governativa cruciale che gli permette di mettere in pratica le sue parole. Infatti, con l’ultimo accordo di coalizione fra Sionismo Religioso [partito di estrema destra religiosa di Smotrich, ndt.] e il Likud di Netanyahu, a Smotrich era stato promesso il controllo su alcune funzioni chiave nell’amministrazione del COGAT (Coordinatore delle Attività Governative nei Territori), l’amministrazione militare-civile che governa sia i palestinesi non cittadini nei territori occupati che i coloni israeliani che abitano nell’Area C [sotto il pieno controllo israeliano, ndt.] della Cisgiordania.

Una di queste funzioni è la nomina del nuovo generale del COGAT, che normalmente ricade sotto l’autorità del capo di stato maggiore dell’esercito israeliano ed è poi approvata dal ministro della Difesa. L’accordo non solo scavalca il ministro della Difesa, Yoav Gallant, ma significa anche sottrarre parte dell’autorità all’esercito per darla invece a un ministro del governo.

Tuttavia il mese scorso, dopo una strenua opposizione da parte di Gallant, si è raggiunto un compromesso. Secondo i termini dell’accordo Smotrich avrà l’autorità di nominare un ” vicecapo civile” sottoposto al capo dell’Amministrazione Civile, un’importante unità militare nel COGAT responsabile di questioni civili che hanno enormi conseguenze sia per i palestinesi che per i coloni israeliani. Esse includono il catasto, la fondazione di colonie, demolizioni e progetti di infrastrutture. In altre parole, Smotrich, lui stesso un colono cisgiordano, nel suo nuovo ruolo supervisionerà l’implementazione del progetto coloniale israeliano in Cisgiordania e lo spossessamento continuo di milioni di palestinesi.

Il COGAT ha sempre giocato un ruolo centrale nel governo coloniale dei territori palestinesi occupati, abbinando la gestione della popolazione palestinese all’espansione per i coloni israeliani. Poco dopo la guerra dei Sei Giorni del 1967, Israele installò il COGAT per gestire la vita civile dei territori palestinesi appena conquistati. Israele doveva sviluppare un’amministrazione per governare una popolazione nativa indesiderabile dopo l’adozione di misure su larga scala riguardo agli assenti per espellere un gran numero di altri palestinesi, come già fatto nel 1948. Questa era la funzione iniziale del COGAT.

Dopo decenni di incremento delle funzioni amministrative, il COGAT e l’Amministrazione Civile sono diventati responsabili, fra altre cose, del controllo dell’importazione e dell’esportazione di beni, dell’allocazione di risorse naturali e della pianificazione e costruzione delle infrastrutture civili, accordando o negando ai palestinesi permessi per entrare in Israele per lavoro, per assistenza medica o per viaggiare all’estero. Queste sono alcune delle questioni principali che al momento i funzionari del COGAT concettualizzano come politiche “umanitarie” per i palestinesi che essi confinano in enclave simili a prigioni.

Dalle mie interviste con ex membri del COGAT emerge chiaramente che essi si vedono, in una certa misura, come il governo e i rappresentanti delle necessità dei palestinesi presso altri settori dell’esercito e dello Stato israeliano e [ritengono] che, senza di loro, i palestinesi “soffrirebbero di più.”

Storicamente, la narrazione egemonica a proposito di questa unità è che essa soddisfa le necessità dei palestinesi. Per esempio, l’attuale generale del COGAT, Ghasan Alyan, è un druso la cui presunta maggiore affinità con gli arabi palestinesi, stando ai colonialisti israeliani, è vista come più comprensiva e rappresentativa dei nativi sotto il loro dominio. Ora con Smotrich verosimilmente i coloni hanno uno dei loro vicino al centro del potere.

La nomina di Smotrich al COGAT segnala la volontà di calmare una base sempre più violenta di coloni espansionisti in Cisgiordania. In realtà i coloni e le loro ONG, come Regavim, di destra e di cui Smotrich fu uno dei fondatori, spesso protestano sostenendo che il COGAT violi i loro diritti e protegga troppo gli interessi dei palestinesi perché non fa progredire gli insediamenti coloniali nelle dimensioni e alla velocità che vorrebbero.

Allo stesso tempo i coloni della Cisgiordania si sentono stigmatizzati e non alla pari con i cittadini israeliani che abitano entro i confini della Linea Verde [il confine tra Israele e Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndt.] perché vivono in parte in un regime militare, quindi nominare un governatore civile in Cisgiordania significa anche migliorare il loro status. Smotrich progetta di incoraggiare ulteriormente il progetto coloniale poiché vuole “sottrarre l’Amministrazione Civile all’esercito e collocarla sotto controllo civile”, affinché i coloni “cessino di essere cittadini di seconda classe che vivono in un regime militare e inizino a ricevere la qualità dei servizi civili di cui godono tutti i cittadini di Israele.”

Con Itamar Ben-Gvir, il ministro della Sicurezza Nazionale, che recentemente si è accordato con Netanyahu per sospendere la riforma della giustizia in cambio della formazione di una sua milizia privata, i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde sono a maggior rischio di un’escalation repressiva.

Spostare i poteri civili del COGAT da un generale a un ministro del governo significa anche accelerare l’annessione de jure della Cisgiordania. Con un ministro del governo direttamente responsabile in campo civile, la distinzione già fittizia fra Israele e i suoi territori occupati militarmente viene ufficialmente cancellata. Ora Smotrich è responsabile dell’apparato amministrativo che può cacciare palestinesi dalle loro terre.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Crisi israeliana: non si tratta di democrazia, si tratta di supremazia liberale sionista

Sai Englert

28 marzo 2023 – Middle East Eye

Israele è uno Stato di apartheid basato sull’espropriazione palestinese, con metà delle persone che vivono sotto il suo dominio diretto private del diritto al voto. Altro che preziosa democrazia liberale dei manifestanti

Dopo tre mesi di mobilitazione in tutta la società israeliana, che ha visto centinaia di migliaia di manifestanti scendere in piazza, i blocchi ripetuti delle principali autostrade, il rifiuto di massa dei riservisti di presentarsi per il servizio militare e un insieme di azioni di sciopero e di serrate da parte dei datori di lavoro, il governo di Benjamin Netanyahu sembra – nel momento in cui scriviamo – essere stato costretto a cedere almeno in parte alle istanze del movimento di protesta sociale.

Lunedì sera Netanyahu ha annunciato che era in procinto di rinviare la controversa riforma dei tribunali nazionali da parte del suo governo.

“Per senso di responsabilità nazionale, per volontà di prevenire una spaccatura tra la nostra gente, ho deciso di sospendere la seconda e la terza lettura del disegno di legge”, ha dichiarato al parlamento.

Dopo aver licenziato il suo ministro della Difesa, Yoav Gallant, a causa degli appelli di quest’ultimo per la sospensione della riforma giudiziaria del governo, Netanyahu ha mostrato di aver perso il controllo su una situazione già caotica. Le organizzazioni dei datori di lavoro e l’Histadrut – la più grande federazione sindacale israeliana e pilastro storico del movimento coloniale sionista – hanno annunciato congiuntamente che avrebbero bloccato l’economia. Centri commerciali, università, ospedali e fabbriche, così come l’unico aeroporto di Israele, sono stati chiusi, insieme ad asili e scuole.

L’attuale crisi politica è emersa alla fine dello scorso anno, quando Netanyahu è stato rieletto primo ministro a capo di una coalizione di destra, che andava dal suo stesso partito Likud e dai suoi abituali alleati ultraortodossi all’organizzazione della destra più radicale dei coloni.

Aggressivamente anti-palestinese e favorevole a un’espansione ancora più rapida degli insediamenti coloniali a Gerusalemme Est e in Cisgiordania, la coalizione ha promesso un ulteriore giro di vite nei confronti dei palestinesi: violenze, furti e omicidi, ma all’ennesima potenza, da parte della colonizzazione israeliana.

Allo stesso tempo, la coalizione ha messo al centro della sua argomentazione l’idea che la sinistra israeliana avesse controllato per troppo tempo le leve del potere dello Stato e il proposito di porre fine a tutto ciò il più rapidamente possibile. Al centro di questo programma c’è una proposta di riforma giudiziaria che limiterebbe il potere dell’Alta Corte israeliana e la porrebbe sotto il controllo del parlamento, cioè della coalizione di governo.

Assalto a tutto campo alla democrazia

In base a queste riforme, la nomina dei giudici sarebbe di competenza parlamentare, mentre le decisioni prese dalla Corte potrebbero essere ribaltate da una maggioranza parlamentare. Questo, sostengono i critici della riforma, è un assalto a tutto campo alla democrazia israeliana e inaugurerebbe la fine di un tanto acclamato ordine democratico liberale israeliano.

Gettando benzina sul fuoco, il governo ha anche proposto e accelerato una serie di altre leggi che sono state ampiamente percepite – anche da commentatori di destra e da sostenitori del governo – come palesemente auto-centrate. Dalla legalizzazione dei “regali” ai dipendenti pubblici e dalla revoca del divieto di prestare servizio nel governo per i politici condannati, alla limitazione della possibilità per i giornalisti di pubblicare registrazioni di [discorsi] di politici, la lista dei desideri del governo ha fatto infuriare un’opposizione già ostile.

Il fiore all’occhiello di questo pacchetto di riforme è stato il disegno di legge approvato con successo la scorsa settimana che rende così difficile l’impeachment di un primo ministro in carica da concedere a Netanyahu l’immunità di fatto, proteggendolo dai potenziali esiti del suo processo per corruzione in corso.

Lo scenario era perfetto per uno scontro frontale nella società israeliana tra i campi pro e contro Netanyahu.

In effetti, i fronti pro e contro Netanyahu – o pro e anti-coalizione – costituiscono il modo migliore per comprendere l’attuale lotta in Israele. Le idee tradizionali di destra e sinistra non colgono del tutto le divisioni politiche in Israele in generale, e nel momento attuale in particolare.

Come accennato in precedenza, i principali protagonisti dell’opposizione alle riforme del governo sono state le organizzazioni dei datori di lavoro e i riservisti delle unità militari, considerati in Israele “d’élite”, cioè veterani.

Un ruolo centrale lo hanno avuto i piloti di caccia – gli stessi piloti che hanno acquisito una fama mondiale bombardando regolarmente a tappeto gli abitanti della Striscia di Gaza con le orrende conseguenze che sono così ben documentate.

Benny Gantz, leader dell’opposizione e figura chiave del movimento, ha costruito la sua carriera politica sulla scia del massacro di Gaza del 2014, che ha gestito come capo di stato maggiore dell’esercito israeliano. A febbraio ha detto ai manifestanti che dovevano difendere l’Alta Corte perché: “per decenni, io vi ho protetto. E mentre io vi proteggevo il tribunale proteggeva me”.

Nessuna di queste componenti può essere considerata di sinistra.

Orrore diffuso

Allo stesso modo, le organizzazioni tradizionali del movimento operaio israeliano, come l’Histadrut o il Partito laburista, sono state storicamente gli artefici chiave dell’espropriazione dei palestinesi.

Vale la pena ribadire, nel pieno dei dibattiti in corso, che è stato il movimento operaio israeliano – attraverso la sua federazione sindacale, i suoi kibbutz (fattorie collettive), le sue milizie e il suo partito politico – a battersi per l’esclusione dei palestinesi dallo Stato e dal mercato del lavoro, e ha imposto un regime militare ai cittadini palestinesi dello Stato fino al 1966 e ai palestinesi nei Territori occupati dopo il 1967.

Sono stati questi stessi attori che hanno espulso oltre 700.000 palestinesi dalle loro case, raso al suolo più di 500 villaggi e centri urbani e impedito a qualsiasi rifugiato di tornare successivamente alle proprie case, in diretta violazione del diritto internazionale. Ancora una volta è difficile considerare queste organizzazioni come particolarmente progressiste, figuriamoci come paladine della democrazia.

Questa tensione è stata resa ben chiara dal recente clamore che hanno suscitato le dichiarazioni di Bezalel Smotrich in una conferenza in Francia, in cui ha affermato: Non esiste una nazione palestinese. Non c’è una storia palestinese. Non esiste una lingua palestinese”.

Smotrich è l’attuale ministro delle Finanze, un colono in Cisgiordania e il primo politico civile (e non funzionario militare) ad essere stato incaricato del controllo illegale israeliano sui territori palestinesi occupati.

Le sue dichiarazioni hanno generato un orrore diffuso – come dovrebbero – per la loro palese negazione razzista anche del fatto più basilare dell’esistenza dei palestinesi. Anche gli Stati del Golfo, normalmente così felici di collaborare con Israele, hanno ritenuto necessario chiedere l’intervento degli Stati Uniti.

Democrazia – per chi?

Tuttavia, i sentimenti espressi da Smotrich non sono né nuovi né sorprendenti.

Anzi, sono l’ovvio presupposto ideologico per la colonizzazione in corso della Palestina da parte di Israele. Come diceva il vecchio slogan sionista: “Una terra senza popolo per un popolo senza terra”. L’episodio più famoso è quello in cui Golda Meir – una fedele sostenitrice dell’Histadrut e del partito laburista, che è stata la prima e unica primo ministro donna di Israele – dichiarò nel 1969 che “i palestinesi non esistono”.

Perciò riguardo a tutte le accuse nei confronti della destra israeliana, sarebbe bene ricordare che la sinistra israeliana ha sempre condiviso idee simili. Il problema, a quanto pare, è il sionismo.

Riaffermare questi fatti storici di base è importante perché ci permette di dare un senso alla composizione – e ai limiti – dell’attuale movimento sociale in Israele.

Mentre una parte della copertura internazionale riguardo alle riforme si è concentrata sui loro potenziali effetti per i palestinesi – ad esempio sul consenso alla legalizzazione degli avamposti dei coloni contro le sentenze dell’Alta Corte – queste stesse questioni sono state praticamente assenti sia nella protesta che nel dibattito pubblico.

Invece i manifestanti si sono drappeggiati con le bandiere israeliane e si sono presentati come difensori dello Stato e delle sue istituzioni contro intrusi illegittimi – le stesse istituzioni che hanno sviluppato e istituzionalizzato il regime di apartheid israeliano contro i palestinesi.

I pochi cittadini palestinesi dello Stato che hanno tentato, per convinzione ideologica, di intervenire nelle proteste, si sono trovati esclusi, messi a tacere o censurati. Reem Hazzan, ad esempio, è stata invitata a parlare a una manifestazione anti-Netanyahu ad Haifa. È stata costretta a presentare il suo discorso in anticipo agli organizzatori, che poi le hanno chiesto di modificarlo.

Hazzan aveva pianificato di dire ai manifestanti che esiste un collegamento diretto tra il ritiro delle istituzioni democratiche israeliane e l’occupazione militare pluridecennale in corso e la discriminazione razziale contro i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde [la linea di demarcazione stabilita negli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949 fra Israele e i Paesi arabi confinanti, ndt.]. Di questo, a quanto pare, la lotta del movimento per la “democrazia” non si occupa.

“Supremazia ebraica”

Hazzan non è sola. E’ talmente eclatante l’esclusione sistematica dei palestinesi, e così totale è il rifiuto di esaminare quale sia stata la realtà della “democrazia” israeliana per i milioni di palestinesi che vivono sotto il suo governo, o come cittadini di seconda classe o come sudditi del suo regime militare che il Tajammu (Balad), che un importante partito politico palestinese che opera all’interno di Israele ha rilasciato una dichiarazione che afferma:

Il mancato riconoscimento della stretta connessione tra la continua violazione dei diritti del popolo palestinese su entrambi i lati della Linea Verde e il colpo di stato giudiziario ci fanno capire che non è per una vera democrazia e una cittadinanza sostanziale che le masse stanno attualmente scendendo in piazza, ma per la conservazione dell’equazione ebraico e democratico”, che si concentra su una democrazia procedurale fondata sul concetto di supremazia ebraica… Pretendere che il popolo arabo-palestinese si mobiliti per questa lotta è più che infondato, è anche indice di sfrontatezza”.

L’esclusione dei palestinesi e delle loro richieste è tanto più eclatante dal momento che l’elezione del governo Netanyahu è stata interpretata – giustamente – dal settore militare e dei coloni come un’indicazione che essi hanno completa libertà d’azione in Cisgiordania. Dall’inizio dell’anno sono stati uccisi oltre 80 palestinesi con attacchi militari che si sono intensificati in frequenza e violenza, in particolare nelle città di Jenin e Nablus.

L’esempio più eclatante dell’accresciuto appoggio del governo ai coloni è stato il pogrom nella città di Huwwara, dove centinaia di coloni hanno imperversato per ore, attaccando gli abitanti, bruciando auto e distruggendo negozi e case.

Quasi 400 palestinesi sono stati feriti e uno ucciso. L’intero attacco si è svolto sotto l’occhio vigile dei militari. In risposta, Smotrich ha dichiarato: “Huwwara deve essere spazzata via. Penso che lo Stato di Israele dovrebbe farlo”.

È a dir poco inquietante che in un tale contesto centinaia di migliaia di persone scendano in piazza per salvare la separazione dei poteri rifiutandosi persino di ascoltare le vittime del regime “liberal democratico” di Israele.

Quale democrazia liberale?

L’attuale movimento di protesta in Israele non è un movimento per trasformare la politica israeliana. Non è nemmeno un movimento per la democrazia. È un movimento che lotta per mantenere lo status quo israeliano: una società costruita su una terra rubata e la continua esclusione dei palestinesi, che sancisce il suo dominio coloniale attraverso un sistema legale che solo lei riconosce.

Le organizzazioni sociali e le istituzioni che partecipano al movimento lo confermano ripetutamente, e lo confermano ulteriormente i rapporti di forza che ripropongono al suo interno. Sarebbe lecito chiedersi se una società coloniale che legalizza le sue politiche espansionistiche attraverso la sua Alta Corte sia migliore, o più democratica, nel vero senso della parola, di una che lo fa attraverso il suo parlamento.

Cosa significa parlare di Israele come di una democrazia liberale, quando le sue istituzioni mantengono il blocco mortale su Gaza, continuano ad espandere gli insediamenti coloniali in Cisgiordania, a Gerusalemme e sulle Alture del Golan e mantengono oltre 65 leggi che prendono di mira specificamente i palestinesi di entrambe le parti della Linea Verde?

Ha senso discutere di democrazia liberale a proposito di uno Stato che non solo ha espulso centinaia di migliaia di suoi futuri cittadini ma continua a rifiutare a loro e ai loro discendenti il diritto al ritorno? Che tipo di democrazia – liberale o meno – si basa sulla negazione del fondamentale diritto di voto a più o meno la metà della popolazione – circa sei milioni di persone – che vive sotto il suo dominio diretto?

Vale la pena ricordare che tutte queste decisioni sono state prese e messe in pratica sotto l’occhio vigile dell’Alta Corte israeliana.

La verità è che non può esserci democrazia sotto una supremazia razziale. Un regime di apartheid è per definizione illiberale. Un dominio coloniale richiede il solido dominio di un gruppo su un altro. La coalizione di Netanyahu potrebbe cadere. O potrebbe resistere alla tempesta.

In ogni caso, la democrazia non emergerà vittoriosa tra il fiume e il mare [Il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, ndt.].

Sarebbe necessario sfidare le idee più basilari del sionismo per raggiungere un tale risultato: che uno Stato democratico debba essere per e di tutti i suoi abitanti.

Questa battaglia non viene condotta nelle strade attorno alla Knesset [parlamento israeliano, ndt.] né portata avanti da sindacati, soldati e datori di lavoro israeliani. La sua vittoria dipende da sempre dal soddisfacimento delle richieste formulate tanto tempo fa dal movimento nazionale palestinese: liberazione e ritorno.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Sai Englert è docente di economia politica del Medio Oriente all’Università di Leida. È l’autore di Settler Colonialism: an Introduction [Colonialismo da insediamento: un’introduzione]. La sua ricerca si concentra sulle conseguenze del neoliberismo sul movimento operaio in Israele. È impegnato anche sul colonialismo di insediamento, sulla trasformazione del lavoro e sull’antisemitismo. È membro del comitato editoriale sia della rivista Historical Materialism [Materialismo Storico, ndt.] che di Notes from Below [Note a piè di pagina, ndt.].

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Smotrich smaschera il vero volto genocida di Israele

Ali Abunimah

20 marzo 2023 – The Electronic Intifada

Bezalel Smotrich, il ministro delle finanze israeliano di estrema destra, ha dichiarato domenica a Parigi che i palestinesi non esistono.

Non esistono “i palestinesi perché non esiste il popolo palestinese”, ha detto Smotrich.

Le sue osservazioni sono state “accolte con applausi e ovazioni dai partecipanti”, ha osservato The Times of Israel e come mostrano i video dell’evento.

Smotrich è andato oltre, dichiarando che lui – un colono della Cisgiordania – è un “vero” palestinese.

Appesa al podio di Smotrich c’era una bandiera che raffigurava l’intera Palestina storica, la Giordania e parti del Libano e della Siria come appartenenti allo Stato sionista, rivelando un desiderio di una ancora più grande espansione territoriale che anche altri funzionari israeliani hanno espresso di recente.

L’affermazione che i palestinesi non esistono o sono un “popolo inventato” è diffusa tra i sionisti.

Nel 2014 Sheldon Adelson, il defunto miliardario grande donatore a favore delle cause anti-palestinesi e del Partito Repubblicano, ha dichiarato allo stesso modo che “i palestinesi sono un popolo inventato”.

Adelson ha aggiunto: “Lo scopo dell’esistenza dei palestinesi è distruggere Israele”.

Due anni dopo Brooke Goldstein, un’importante attivista della lobby israeliana negli Stati Uniti, ha affermato che “non esiste un individuo palestinese”.

Ma forse il fatto più noto è la dichiarazione del 1969 del primo ministro israeliano Golda Meir secondo cui “non esistono palestinesi”.

Meir era uno dei pilastri dell’establishment del partito laburista di Israele che si pretendeva di sinistra.

L’ultimo commento di Smotrich arriva poche settimane dopo aver dichiarato che la città palestinese di Huwwara dovrebbe essere “spazzata via” dallo Stato di Israele.

Non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che Smotrich pensi davvero ciò che dice e, se gli fosse data l’opportunità, lui e il movimento politico in ascesa che rappresenta realizzerebbero questa opzione.

Inoltre, non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che ciò di cui Smotrich sta parlando e propagandando è il genocidio del popolo palestinese.

Né le osservazioni di Smotrich sono sfoghi sconsiderati; riflettono un pensiero profondo e attento e un’ideologia coerente.

Valori delle SS tedesche

Nel 2017, Smotrich elaborò un piano per costringere il popolo palestinese a lasciare la propria terra e per occupare una volta per tutte l’intero territorio.

All’epoca, Daniel Blatman, professore di studi sull’Olocausto all’Università Ebraica, scrisse che Smotrich aveva preso ispirazione per il suo piano dal libro biblico di Giosuè, che descrive il massacro totale di un popolo da parte dei “figli di Israele”.

Blatman definì Smotrich, che allora era vicepresidente del parlamento israeliano, la Knesset, “la più importante figura di governo fino ad oggi a dire sfacciatamente che l’opzione del genocidio è sul tavolo se i palestinesi non accettano i nostri termini”.

Secondo il piano di Smotrich, i palestinesi avrebbero dovuto sottomettersi completamente alla supremazia ebraica o essere costretti ad andarsene.

Oggi Smotrich non solo controlla il ministero delle finanze, ma gli sono stati conferiti poteri speciali sulla cosiddetta amministrazione civile, la burocrazia di occupazione militare israeliana che gestisce la vita di milioni di palestinesi, persone che Smotrich ritiene inesistenti.

“L’ammirazione di Smotrich per il genocida biblico Joshua bin Nun lo porta ad adottare valori che assomigliano a quelli delle SS tedesche”, ha aggiunto Blatman, un ex membro del Museo commemorativo dell’Olocausto degli Stati Uniti.

Va sottolineato che anche allora il primo ministro Benjamin Netanyahu era disposto a dare un implicito segno di approvazione alle idee di Smotrich.

“Sono stato felice di sentire che stai indirizzando la discussione dell’incontro al tema del futuro della Terra di Israele”, ha detto Netanyahu in un saluto registrato riprodotto durante l’incontro in cui Smotrich ha esposto il suo piano di genocidio.

Fino a non molti anni fa questo Paese era deserto e abbandonato, ma da quando siamo tornati a Sion, dopo generazioni di esilio, la Terra di Israele è fiorente”, ha affermato Netanyahu.

Tentativi “liberal” di mascheramento.

I sionisti “liberal” hanno già compiuto intensi sforzi per ritrarre personaggi del calibro di Smotrich e il ministro della sicurezza nazionale kahanista [seguace del defunto rabbino Kahan, ndt] israeliano Itamar Ben-Gvir come aberrazioni che in qualche modo non sono veri rappresentanti di Israele e del sionismo.

Possiamo aspettarci che questi sforzi di occultamento si intensifichino.

Ma non dovrebbero esserci dubbi sul fatto che Smotrich stia semplicemente articolando l’ideologia e la politica fondative di Israele.

Nel 2004, il quotidiano “liberal” israeliano Haaretz ha intervistato Benny Morris, uno dei “nuovi storici” israeliani che negli anni ’80 ha utilizzato fonti sioniste per convalidare i resoconti palestinesi della Nakba – la sistematica pulizia etnica della Palestina del 1948 durante la quale le milizie sioniste perpetrarono stupri, omicidi arbitrari e dozzine di massacri.

Morris ha spiegato che David Ben-Gurion, il primo ministro fondatore di Israele – come Meir un pilastro del Partito laburista di sinistra nominalmente laico – ha diretto personalmente il deliberato “trasferimento” del popolo palestinese da gran parte della sua patria.

“Ben-Gurion era favorevole al trasferimento”, ha spiegato Morris. “Ha capito che non poteva esistere uno Stato ebraico con una numerosa e ostile minoranza araba al suo interno. Non ci sarebbe stato un tale Stato. Non sarebbe stato in grado di esistere”.

“Non ti sento condannarlo”, ha detto a Morris l’intervistatore di Haaretz.

“Ben-Gurion aveva ragione”, ha risposto Morris. “Se non avesse fatto quello che ha fatto, uno Stato non sarebbe venuto in essere. Questo deve essere chiaro. È impossibile evitarlo. Senza lo sradicamento dei palestinesi, qui non sarebbe sorto uno Stato ebraico”.

Ma per Morris, l’errore di Ben-Gurion è che non ha fatto una sufficiente pulizia etnica.

Dato che lui [Ben-Gurion] era già impegnato nell’espulsione, forse avrebbe dovuto fare un lavoro completo”, ha affermato Morris.

“So che questo fa inorridire gli arabi, i “liberal” e i tipi politicamente corretti”, ha detto Morris. “Ma la mia sensazione è che questo posto sarebbe più tranquillo e conoscerebbe meno sofferenze se la questione fosse stata risolta una volta per tutte. Se Ben-Gurion avesse effettuato una grande espulsione e ripulito l’intero paese, l’intera Terra d’Israele, fino al fiume Giordano”.

“Potrebbe anche diventare evidente che questo è stato il suo errore fatale”, ha aggiunto Morris. “Se avesse effettuato un’espulsione totale – piuttosto che parziale – avrebbe stabilizzato lo Stato di Israele per generazioni”.

Nessuno che si definisca sionista, sia di “sinistra” che di estrema destra, può essere fondamentalmente in disaccordo con Morris.

Ecco perché nessuno che si definisce sionista sostiene il diritto al ritorno dei profughi palestinesi.

È per questo che i sionisti, anche della varietà “liberal”, si preoccupano costantemente della “minaccia demografica” derivante dalla nascita di bambini palestinesi.

Questo è genocidio

E se nessun sionista può essere fondamentalmente in disaccordo con Morris, allora non può nemmeno essere in disaccordo con Smotrich.

In effetti, lo stesso Smotrich ha fatto eco a Morris quasi alla lettera nel 2021, quando ha urlato ai legislatori palestinesi nel parlamento israeliano che “è stato un errore che Ben-Gurion non abbia finito il lavoro e non vi abbia buttati fuori nel 1948”.

Possono fingere shock e disgusto per il linguaggio di Smotrich, ma chiunque creda che Israele debba rimanere uno “Stato ebraico” con una maggioranza ebraica deve almeno sostenere la pulizia etnica dei palestinesi che Israele ha perpetrato fino ad oggi, indipendentemente dal fatto che sostenga o meno attivamente ulteriori espulsioni su vasta scala in futuro.

In effetti la posizione del numero sempre minore di “liberal” israeliani e di altri sostenitori della cosiddetta soluzione dei due Stati può essere riassunta come segue: sosteniamo tutta la pulizia etnica e il furto di terra che Israele ha già effettuato, ma pensiamo che le future espulsioni e sottrazioni di terre dovrebbero essere limitate, anche se è ampiamente aperto il dibattito sulla loro entità.

Mentre la posizione di Smotrich e compagnia è: noi, come voi, sosteniamo tutta la pulizia etnica e il furto di terra fino ad oggi, ma pensiamo che ce ne debba essere molto di più.

Moralmente e praticamente non c’è differenza perché entrambe le posizioni relegano milioni di palestinesi a vivere sotto il brutale dominio del suprematismo e dell’apartheid ebraico, o esiliati dalla loro patria, solo ed esclusivamente perché non sono ebrei.

Insieme alle frequenti affermazioni secondo cui i palestinesi non esistono e non sono mai esistiti come popolo, le espulsioni e i massacri di Israele trascendono il crimine già sufficientemente orribile della pulizia etnica ed entrano nel regno del genocidio: la completa cancellazione dei palestinesi come popolo.

Anche qui, la posizione di Smotrich secondo cui i palestinesi non hanno esistenza e tanto meno diritti come popolo non è un’aberrazione ma un riflesso del consenso israeliano.

Ricordiamo che nel 2018 Israele ha adottato la cosiddetta Legge sullo Stato-Nazione, uno strumento costituzionale che dichiara che “il diritto di esercitare l’autodeterminazione nazionale nello Stato di Israele è esclusivo del popolo ebraico”, negando così ai palestinesi qualsiasi diritto nazionale o esistenza.

E a dicembre, quando il nuovo governo di coalizione di Benjamin Netanyahu si è insediato, ha dichiarato come primi principi guida che “il popolo ebraico ha un diritto esclusivo e indiscutibile su tutte le aree della terra di Israele”.

Israele torna alle sue radici

Si dice spesso, comprensibilmente, che l’attuale governo israeliano sia il più apertamente razzista e di destra della storia.

Ciò può essere vero in termini di retorica, ma non c’è alcuna differenza pratica tra il fondatore “socialista” laico di Israele, David Ben-Gurion, e un sionista religioso di estrema destra come Smotrich.

Ma dopo decenni di soppressione del linguaggio apertamente genocida di Smotrich a favore della presentazione di un volto “liberal” e “democratico”, perché gli israeliani ora stanno abbracciando questa retorica?

Ciò dipende dal fatto che il “problema demografico” di Israele – l’esistenza di “troppi” palestinesi che vivono e respirano sul proprio suolo – sta diventando urgente.

Con gli ebrei ancora una volta una minoranza tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo, molti israeliani sentono chiaramente di non avere altra scelta che tornare pienamente alle radici genocide del loro paese.

Ecco perché l’ostracismo verso Smotrich – come hanno fatto i funzionari francesi rifiutandosi di incontrarlo durante la sua permanenza nel loro paese – è insufficiente e fuorviante perché ritrae falsamente un “estremista” come il problema.

Il problema è il sionismo stesso e l’incubo genocida e coloniale in corso che ha scatenato sul popolo palestinese e sulla sua terra.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)