Israele assassina a Gaza l’importante leader della Jihad Islamica Bahaa abul-Ata

Moatasim Dalloul da Gaza

12 Novembre 2019 – Middle East Eye

La Jihad Islamica ha anche annunciato che Akram al-Ajjouri, membro del suo ufficio politico, è sopravvissuto a un attacco israeliano contro la sua casa a Damasco.

All’alba di martedì [12 novembre 2019] l’esercito israeliano ha annunciato di aver assassinato

In un comunicato congiunto l’esercito israeliano e l’Agenzia per la Sicurezza Generale (Shin Bet), hanno affermato di aver effettuato un attacco aereo alle 4 del mattino prendendo di mira l’edificio in cui si trovavano abul-Ata e sua moglie.

Il comunicato afferma che al-Ata era il “capo supremo della Jihad Islamica” e che l’assassinio è stato approvato una settimana fa dal primo ministro israeliano e ministro per la Sicurezza, Benjamin Netanyahu.

In una dichiarazione la Jihad Islamica ha confermato la morte di abul-Ata, il comandante del gruppo nel nord della Striscia di Gaza, e di sua moglie Asmaa durante un attacco israeliano contro la loro casa a est di Gaza City. Il ministero della Salute palestinese ha affermato che nello stesso attacco aereo i fratelli e la sorella della coppia, Salim, Mohammed Layan e Fatima, insieme alla loro vicina Hanan Hellis, sono rimasti feriti e sono in condizioni stabili.

La Jihad Islamica ha anche annunciato che Akram al-Ajjouri, membro del suo ufficio politico, è sopravvissuto a un attacco israeliano nella sua casa di Damasco e che suo figlio e un certo numero di guardie del corpo sono stati uccisi.

Circa un’ora dopo le uccisioni a Gaza, parecchi allarmi per il lancio di razzi sono risuonati nella parte meridionale di Israele, comprese Ashdod, Beit Elazari, Ashkelon, Zikim, Karmia, e a nord fino a Holon e Rishon le Zion, alla periferia di Tel Aviv, segnalando che erano in corso rappresaglie della Jihad Islamica.

Secondo le informazioni della polizia, ad Ashdod non sono state riportate vittime, ma sono stati danneggiati alcuni veicoli.

Il quotidiano israeliano Haaretz [di centro sinistra, ndtr.] ha affermato che sono in corso preparativi per un’ulteriore escalation, con scuole e ogni attività non essenziale chiuse nella zona presa di mira, e le autorità locali stanno predisponendo rifugi.

In seguito alle ultime uccisioni a Gaza, Benny Gantz, il leader di “Blu e Bianco” [partito di centro destra di opposizione che ha vinto le ultime elezioni, ndtr.] attualmente incaricato di formare il futuro governo israeliano, ha detto su Twitter: “Stanotte i dirigenti politici e l’IDF (esercito israeliano) hanno preso la giusta decisione per la sicurezza dei cittadini di Israele e della gente del sud [di Israele]

Blu e Bianco’ sosterrà ogni giusta attività per la sicurezza di Israele e mette la sicurezza del popolo al di sopra della politica.”

Nuova guerra israeliana”

Parlando con Middle East Eye, Khalid al-Batch, membro dell’ufficio politico della Jihad Islamica, ha affermato: “Questi crimini sono l’annuncio di una nuova guerra israeliana contro il popolo palestinese e l’occupazione israeliana ne è responsabile.”

Riguardo al tempismo dell’assassinio, Batch ha detto: “L’occupazione israeliana sta scaricando le sue crisi interne sui palestinesi e sui loro gruppi della resistenza.”

A proposito del tentativo di assassinio di Ajjouri, ha affermato: “L’occupazione israeliana ha oltrepassato i confini per aggredire i palestinesi.

Ci deve essere una risposta massiccia che sia all’altezza dei crimini.”

Batch ha detto che il suo movimento e la sua ala militare sono pronti alla rappresaglia e a difendere il popolo palestinese a Gaza e ovunque.

Tutte le altre fazioni palestinesi, compresi Hamas, Fatah, il Fronte Popolare e il Fronte Democratico hanno condannato l’“aggressione” israeliana e hanno anche dato la colpa all’occupazione israeliana per ogni possibile escalation.

Il portavoce di Hamas Hazim Qasim ha detto a MEE: “L’occupazione sionista ha la colpa delle conseguenze di questo assassinio e di questa pericolosa escalation.

La resistenza contro l’occupazione israeliana continuerà e si accentuerà. Il criminale assassinio del dirigente della Jihad Islamica non rimarrà impunito.”

Qasim ha detto che i comandi congiunti delle ali militari delle fazioni palestinesi decideranno quanto grande e quanto lunga sarà la rappresaglia.

Ha detto che Hamas non prenderà mai da sola una decisione su qualunque problema palestinese, e che ogni misura deve essere discussa con altre fazioni palestinesi e una decisione collettiva verrà presa insieme a loro.

Netanyahu si prende il merito

Parlando con MEE l’analista politico Adnan abu-Amer ha detto che l’uccisione di abul-Ata è stato il primo assassinio di un importante leader della resistenza palestinese dal 2012, quando Israele uccise l’importante dirigente delle brigate Al-Qassam, l’ala militare di Hamas, Ahmed al-Jaabari.

Egli non esclude che l’uccisione possa portare a una più ampia escalation di violenza in quanto la Jihad Islamica sicuramente vendicherà l’uccisione dei suoi dirigenti.

Altre fazioni non rimarranno in silenzio, sopratutto Hamas, afferma, sostenendo che l’esercito israeliano ha detto di essere pronto per una serie di scontri che dureranno per un paio di giorni.

Abu-Amer afferma che il tempismo dell’assassinio di abul-Ata è legato alle conseguenze delle elezioni israeliane, in quanto Netanyahu ne ricaverà parecchi vantaggi.

Sostiene che Netanyahu sarebbe capace di rinviare la formazione di un governo di coalizione e spingere i politici israeliani ad accettare una coalizione d’emergenza guidata da lui.

Il primo ministro israeliano sarebbe anche in grado di rivendicare il risultato dell’uccisione di abul-Ata, in quanto ha intenzionalmente approvato l’operazione qualche ora prima di incaricare Naftali Bennett [leader del partito dei coloni “Nuova Destra”, ndtr.] alla guida del ministero della Difesa.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Benny Gantz di Israele: un principiante della politica che cerca di spodestare Netanyahu

22 ottobre 2019 – Al Jazeera

Se neanche l’ex capo di stato maggiore riesce a formare un governo entro i prossimi 28 giorni, Israele potrebbe andare a nuove elezioni

L’ex capo di stato maggiore dell’esercito Benny Gantz ha la possibilità di porre fine al mandato del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu che ha superato ogni record, ma ha di fronte una ardua battaglia.

Non riuscendo a formare un nuovo governo, Netanyahu ha subito una grave sconfitta nel suo tentativo di rimanere primo ministro.

Ora ci si aspetta che da parte del presidente Reuven Rivlin venga data a Gantz la possibilità di tentare di formare una coalizione, ma in seguito alle elezioni del 17 settembre rimane una situazione di stallo e non è da escludere un’ulteriore votazione.

Sarebbero le terze elezioni in un anno dopo che neanche dopo il voto di aprile Netanyahu è riuscito a formare una coalizione.

La decisione di Netanyahu di informare Rivlin lunedì notte di non essere assolutamente in grado di formare un governo ha segnato la fine del suo mandato come primo ministro di Israele per più lungo tempo.

Rimarrà primo ministro finché non si sarà formato un nuovo governo, e una serie di scenari potrebbe vederlo conservare il suo incarico, anche se nelle prossime settimane dovrà far fronte alla possibilità di essere accusato di corruzione.

Una delle poche cose che sono chiare nel pantano post-elettorale in Israele è che Netanyahu, che lunedì ha festeggiato il suo settantesimo compleanno, non si arrenderà.

Ma il suo annuncio è stato un momento storico nella politica israeliana, perché dal 2009 dopo ogni elezione Netanyahu ha ricevuto il mandato presidenziale per formare il governo.

Ostacolato”

Quando ha annunciato la sua decisione con un video sulle reti sociali, Netanyahu ha cercato di attribuire la colpa a Gantz, in quanto l’ex-capo di stato maggiore ha rifiutato di negoziare sulla base delle condizioni preferite dal primo ministro.

Martedì uno degli alleati più vicini a Netanyahu, il ministro dell’Energia Yuval Steinitz [dello stesso partito di destra di Netanyahu, il Likud, ndtr.], ha affermato che il primo ministro è stato “ostacolato” nei negoziati.

Il disaccordo non impedisce i negoziati,” ha detto alla radio militare israeliana. “Al contrario, si arriva al negoziato quando si inizia in disaccordo. Pertanto, se Benny Gantz offrisse a Netanyahu di sedersi con lui faccia a faccia, sono certo che Netanyahu lo farebbe.”

Martedì mattina alcuni giornalisti della televisione pubblica israeliana si sono incontrati con Gantz fuori dalla sua casa dopo un allenamento.

Siamo sempre ottimisti, è un modo di vivere,” ha detto al volante della sua macchina, vestito con pantaloncini e maglietta.

Un importante politico della sua alleanza di centro “Blu e Bianco” ha criticato pesantemente Netanyahu. “Cosa ne ha fatto Bibi (Netanyahu) del mandato di costituire un governo? Quattro settimane di niente,” ha detto su Twitter Ofer Shelah, usando il nomignolo di Netanyahu.

Ha fatto passare tempo per continuare come primo ministro ancora per un po’ …Bibi vuole le elezioni. È ovvio.”

Lunedì sera Rivlin ha detto di aver intenzione di chiedere a Gantz di cercare di formare un governo, ma può prendersi tre giorni per sentire i partiti eletti in parlamento prima di incaricarlo ufficialmente di farlo.

Il leader di “Blu e Bianco” non ha esperienza politica, prima di sfidare il primo ministro è stato capo di stato maggiore, ma ora si ritrova sulla soglia del potere.

Tuttavia, anche se può assumere l’incarico che Netanyahu ha ricoperto per un totale di più di 13 anni, è una sfida che potrebbe assillare anche il politico più esperto.

Da Gerusalemme, Harry Fawcett di Al Jazeera ha spiegato che Israele sta affrontando un periodo turbolento.

Le sue (di Gantz) prospettive di formare un governo di minoranza o di unità con il Likud scaricando Netanyahu sembrano entrambe molto improbabili. Potrebbe anche non riuscirci. Se ciò avviene, il mandato andrà alla Knesset. Se dopo tutto ciò non si forma un governo, allora Netanyahu potrebbe rimanere in carica finché non si terranno le terze elezioni. Ma ci potrebbe essere una questione giuridica in merito al dubbio se un primo ministro possa mantenere il potere mentre è sotto processo.”

Divisione nell’unità

Probabilmente il vicolo cieco dopo le elezioni del 17 settembre richiederà ulteriori concessioni o una decisione da parte dei membri del partito di destra di Netanyahu di abbandonarlo – ed entrambe queste opzioni per il momento sono molto remote.

Sia il Likud che “Blu e Bianco” affermano di volere un governo di unità, ma sono divisi sul come. Il Likud ha cercato di negoziare in base a un compromesso stabilito da Rivlin, che prende in considerazione la possibilità che il primo ministro venga accusato di corruzione nelle prossime settimane. Potrebbe rimanere primo ministro per il momento, ma mettersi da parte in seguito per difendersi dalle accuse.

In tale scenario Gantz assumerebbe l’incarico come primo ministro pro tempore.

Blu e Bianco” ha detto che in base a un qualunque accordo di rotazione Gantz dovrebbe essere capo del governo per primo, dato che il suo partito ha vinto più seggi, avendone ottenuti 33 rispetto ai 32 del Likud.

Gantz ha anche detto che “Blu e Bianco” non può partecipare a un governo con un primo ministro che deve affrontare gravi accuse.

Netanyahu ha aggiunto un’ulteriore complicazione ai colloqui per formare una coalizione.

Si è impegnato a non abbandonare i piccoli partiti di destra e religiosi che lo appoggiano in parlamento, affermando di rappresentare tutto il blocco [di destra] nei negoziati per una coalizione.

Neanche questa condizione è accettabile per Gantz, secondo cui ciò significherebbe che “Blu e Bianco” parteciperebbe a un governo Netanyahu come membro di minoranza.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché Israele si dibatte per venir fuori da uno stallo politico

Jonathan Cook 2 ottobre 2019 mondoweiss

Sarebbe un grave errore supporre che l’attuale fase di stallo politico in Israele – nella quale né il primo ministro in carica Benjamin Netanyahu né il suo principale rivale Benny Gantz sembrano in grado di mettere insieme un governo di coalizione – sia il segnale di un profonda frattura ideologica.

In termini politici, non esiste nessuna spaccatura in Israele. Nelle elezioni generali di questo mese, il 90 % degli ebrei israeliani ha votato per partiti o della destra militarista e anti-araba oppure dell’estrema destra religiosa anti-araba.

I due partiti che dichiarano di rappresentare il centro-sinistra – le versioni ribattezzate del Labour e di Meretz – hanno avuto solo 11 seggi in un parlamento composto da 120 membri.

Ancora più strano, i tre partiti che affermano di voler formare un “governo di grande coalizione” hanno avuto circa il 60% dei voti.

Il Likud di Netanyahu, il partito Blu e Bianco di Gantz guidato da ex generali, e l’ Yisrael Beiteinu dell’ex ministro della difesa Avigdor Lieberman si sono assicurati, insieme, 73 seggi – ben oltre i 61 necessari per la maggioranza.

Tutti e tre sostengono il rafforzamento dell’occupazione e l’annessione di parti della Cisgiordania; tutti e tre pensano che gli insediamenti siano giustificati e necessari; tutti chiedono che l’assedio di Gaza continui; tutti vedono la leadership palestinese come inaffidabile; e tutti vogliono che i vicini stati arabi si facciano piccoli per la paura.

Moshe Yaalon, generale collega di Gantz nel partito Blu e Bianco, era stato in passato una figura chiave nel Likud al fianco di Netanyahu. E Lieberman, prima di creare il suo partito, era il responsabile dell’ufficio di Netanyahu. Questi non sono nemici politici; sono stretti alleati sul piano ideologico.

Esiste una differenza significativa ma non del tutto insormontabile. Gantz pensa che sia importante mantenere il sostegno bipartisan degli Stati Uniti all’occupazione militare da parte di Israele, mentre Netanyahu ha preferito affidare la sorte di Israele a Donald Trump e alla destra religiosa cristiana.

Reuven Rivlin, presidente di Israele, ha sollecitato i tre partiti a lavorare insieme. Ha suggerito che Netanyahu e Gantz si alternino nel ruolo di primo ministro, una prassi già utilizzata in Israele in passato.

Ma dopo che la scorsa settimana Gantz ha posto un rifiuto, il presidente ha assegnato a Netanyahu il compito di cercare di formare un governo, sebbene la maggior parte degli osservatori ritenga che lo sforzo si rivelerà inutile. Dopo le elezioni non risolutive in aprile e settembre, Israele sembra quindi avviarsi verso un terzo turno elettorale.

Ma se lo stallo non è ideologico, quale ne è la causa?

In verità, la paralisi è stata determinata da due paure: una nel Likud, l’altra nel Blu e Bianco.

Gantz è felice di sedere in un governo di unità con il Likud. La sua difficoltà è allearsi con Netanyahu, i cui avvocati hanno iniziato questa settimana le udienze con il procuratore generale per molteplici accuse di frode e abuso d’ufficio. Netanyahu vuole restare al potere per poter imporre una legge che gli garantirebbe l’immunità dall’accusa.

Blu e Bianco è stato costituito per estromettere Netayahu perché è un corrotto e sta energicamente distruggendo ciò che resta delle istituzioni democratiche israeliane, anche attraverso il tentativo di denigrare i pubblici ministeri che lo indagano.

Per Blu and Bianco sostenere ora Netanyahu in un governo di coalizione rappresenterebbe un tradimento nei confronti dei propri elettori.

La soluzione per il Likud, quindi, dovrebbe essere ovvia: eliminare Netanyahu e condividere il potere con Blu e Bianco.

Ma il problema è che i membri del Likud sono assolutamente schiavi del loro leader. Il pensiero di perderlo li terrorizza. Il Likud ora sembra più un credo religioso verso un uomo che un partito politico.

Gantz, nel frattempo, è preda di un diverso tipo di paura.

Senza il Likud, l’unica soluzione per Gantz è chiedere appoggio altrove. Ma ciò lo legherebbe ai 13 seggi della Lista Comune, una coalizione di partiti che rappresenta la grande minoranza israeliana di cittadini palestinesi.

E lì è il problema. Blu e Bianco è un partito profondamente arabo-fobico, proprio come il Likud e l’Yisrael Beiteinu. Il suo unico leader civile, Yair Lapid, ha notoriamente rifiutato di lavorare con i partiti palestinesi dopo le elezioni del 2013 – prima che Netanyahu facesse dell’istigazione al razzismo il marchio della sua campagna elettorale.

Lapid ha dichiarato: “Non starò mai con gli Zoabi”, un riferimento al più importante dei legislatori palestinesi dell’epoca, Haneen Zoabi.

Allo stesso modo, Gantz ha più volte ribadito il suo rifiuto di sedere in Parlamento con la Lista Comune.

Tuttavia, il leader della Lista Comune Ayman Odeh la scorsa settimana ha fatto un gesto senza precedenti, offrendo a Gantz il contributo [elettorale] della maggior parte della sua corrente.

Non è stata una concessione facile, date le posizioni di Gantz e [dato] il suo ruolo nel 2014 nel condurre la distruzione di Gaza al comando dell’esercito. La mossa ha fatto arrabbiare molti palestinesi nei territori occupati.

Ma Odeh a settembre ha assistito, come risultato, ad un balzo in avanti del 10% dei votanti nella minoranza palestinese rispetto alle elezioni di aprile, tanto è disperato il desiderio dei suoi elettori di sbarazzarsi di Netanyahu.

I sondaggi segnalano anche una crescente frustrazione tra i cittadini palestinesi per la loro scarsa influenza politica. Sebbene i colloqui di pace siano fuori dall’agenda di Israele, alcuni in quella minoranza sperano di ottenere un po’ di sollievo per la loro comunità dopo decenni di aspre discriminazioni istituzionali.

In un articolo pubblicato sul New York Times la scorsa settimana, Odeh ha spiegato il suo sostegno a Gantz. Intenderebbe inviare “un chiaro messaggio, che l’unico futuro per questo paese sia un futuro condiviso e che non esista un futuro condiviso senza la piena ed equa partecipazione dei cittadini arabo palestinesi”.

Gantz sembra indifferente. Secondo un’indagine dei media israeliani, Netanyahu ha avuto per primo l’opportunità di formare un governo perché Gantz è impallidito all’idea.

Era preoccupato che se fosse stato colto in un negoziato con la Lista Comune, Netanyahu lo avrebbe nuovamente infangato – e danneggiato agli occhi degli elettori.

Netanyahu ha già dipinto le alternative in termini netti: o un governo di coalizione con lui a capo, o un governo Blu e Bianco sostenuto da coloro che “sostengono i terroristi”.

Il leader del Likud potrebbe ancora estrarre un coniglio dal suo cappello malconcio. Gantz o Lieberman potrebbero cedere, di fronte ad affermazioni provocatorie [tipo] che altrimenti “gli arabi” infilerebbero un piede nella porta. Oppure Netanyahu potrebbe dare il via ad uno stato di emergenza nazionale, persino a una guerra, per costringere i suoi rivali a sostenerlo.

Ma nel caso di una terza elezione, Netanyahu avrebbe ottime ragioni per assicurarsi, questa volta, un successo. E ciò richiederà senza dubbio il rapido ricorso a un’altro pericoloso ingranaggio contro la minoranza palestinese.

La realtà è che in Israele esiste una forte unità – nella condivisione di atteggiamenti profondamente violenti nei confronti dei palestinesi, siano essi cittadini o vittime dell’occupazione. Paradossalmente, l’unico ostacolo alla concretizzazione di tale unità è rappresentato dagli sforzi di Netanyahu di tenersi aggrappato al potere.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il principale sconfitto in queste elezioni: il sionismo liberale

Mairav Zonszein

26 settembre 2019 +972

Gli israeliani votano regolarmente contro l’idea di uno Stato ebreo e democratico israeliano accanto uno Stato palestinese. E’ ora impossibile capire come ciò possa mai essere realizzato.

Domenica Ayman Odeh, il presidente della Joint List (Lista Unita, alleanza politica dei principali partiti arabi in Israele, n.d.tr.), ha incontrato il presidente Reuven Rivlin per annunciare la decisione importante del suo partito di appoggiare Benny Gantz, presidente del partito “Blu e Bianco” [i colori della bandiera israeliana. Partito di centro che ha vinto le elezioni, n.d.tr.], per la sua elezione come primo ministro. Nel tentativo di contrastare un altro mandato di Netanyahu, Ayman Odeh ha fatto ciò che nessun altro politico israeliano sta facendo – ha definito una visione per il futuro del Paese: “Vogliamo vivere in un luogo pacifico che sia fondato sulla fine dell’occupazione, sulla creazione di uno Stato palestinese accanto allo Stato di Israele, su una vera uguaglianza, a livello civile e nazionale, su una giustizia sociale e certamente sulla democrazia per tutti “.

Questa non è una posizione nuova o radicale. Semmai, rappresenta l’anima dello schieramento israeliano a favore della pace degli anni ’90. È un caratteristico approccio sionista liberale, ma l’unico politico israeliano che lo esprima è un politico musulmano palestinese di Haifa. Odeh presiede il Partito socialista arabo-ebraico Hadash, che insieme ai tre partiti prevalentemente arabi costituisce la Joint List; avendo vinto 13 seggi dopo le elezioni della scorsa settimana, la Joint List è ora il terzo maggiore partito della Knesset.

L’opinione di Odeh pubblicata sul The New York Times domenicale [vedi su zeitun.info] ha tradotto per un pubblico americano ciò in cui credono molti cittadini palestinesi e una minoranza di cittadini ebrei: “Il solo futuro per questo paese è un futuro condiviso, e non c’è futuro condiviso senza piena ed equa partecipazione dei cittadini [israeliani] arabo-palestinesi ”.

Per chi sostiene la democrazia liberale, o anche solo per chi è realista, è difficile mettere in discussione questa affermazione, soprattutto da momento che i cittadini palestinesi costituiscono il 20% della popolazione israeliana. Tuttavia rimane non solo una posizione minoritaria in Israele, ma perseguitata e delegittimata. Con o senza Netanyahu, non vi è alcuna prospettiva realistica che la Joint List sia invitata a far parte di una coalizione di governo (dalla fondazione dello Stato, nessun partito palestinese-israeliano è stato al governo) o addirittura a dirigere l’opposizione. I cittadini palestinesi di Israele hanno dimostrato di avere abbastanza potere per esistere nel quadro politico, ma non abbastanza per cambiarla.

Dopo i risultati elettorali della scorsa settimana, Netanyahu ha parlato della necessità di un “governo sionista forte” (in codice: per soli ebrei) ed ha etichettato la Joint List come “anti-sionista”. Allo stesso modo, il Partito Blu e Bianco, come la maggior parte degli israeliani, sostiene che Israele è la casa patria del popolo ebraico in cui solo gli ebrei hanno diritto all’autodeterminazione. Blu e Bianco ha partecipato alle elezioni con un programma anti-Netanyahu; durante la sua campagna, il partito ha sostenuto il pluralismo e ha insistito sul fatto che avrebbe respinto la legge discriminatoria sullo Stato nazione ebraico.

Alla fine, tuttavia, lo Stato-nazione ebraico finisce per rappresentare esattamente ciò in cui credono. Sono emotivamente e ideologicamente attaccati all’idea che Israele debba essere uno Stato che privilegi i diritti degli ebrei rispetto a quelli dei cittadini non ebrei. Non importa quanto siano liberali o affermino di esserlo, questo dato di fatto prevale sempre sul tutto il resto, lasciando centinaia di migliaia di cittadini palestinesi intrinsecamente privati degli stessi diritti e negando loro la via per acquisirli.

Un recente sondaggio condotto dall’Israel Democracy Institute mostra che il 76% dei cittadini palestinesi è favorevole al fatto che la Joint List si unisca a una coalizione al potere e faccia in modo che i propri rappresentanti ricoprano nel governo la carica di ministri. Quasi la metà dei cittadini ebrei (49 per cento) si oppone all’idea. Ciò rende insignificante l’affermazione secondo cui i cittadini palestinesi sono anti-sionisti o che non riconoscono Israele, dal momento che stanno evidentemente prendendo parte attiva al processo politico.

Dopo due elezioni in un anno, entrambe non in grado di produrre una chiara maggioranza, il paese si trova in una condizione di stallo politico; la difficoltà riflette la condizione sia del modello liberale sionista che l’ostinazione del consenso israeliano. Un Stato etnico ebraico non può, per definizione, essere anche liberale e democratico, in particolare quando la sua popolazione comprende una grande minoranza autoctona con un’identità nazionale e culturale separata.

Dalla fondazione dello Stato, i leader politici israeliani sia di destra che di sinistra hanno dato la priorità all’appropriazione della terra e agli’insediamenti ebraici rispetto alla concessione degli stessi diritti civili a tutti i cittadini, indipendentemente dalla nazionalità o dalla religione. Questa politica è andata a scapito del raggiungimento di una soluzione politica – per non dire sostenibile – che riconosca i diritti e le aspirazioni di entrambi i popoli.

Blu and Bianco, Likud, Yisrael Beitenu [Israele Casa Nostra, partito di estrema destra laica, n.d.tr.] di Avigdor Lieberman, i partiti ortodossi e persino i partiti Unione Democratica e laburista-Gesher, di centro-sinistra, affrontano tutti la stessa crisi. Sostengono di essere liberali e insistono di essere democratici, ma non hanno ancora capito come trattare con i cittadini palestinesi di Israele, come oggi gli è stato chiarito da Ayman Odeh, o dal popolo palestinese in generale. È interessante, ad esempio, notare che il partito israeliano di centrosinistra è stato chiamato, nelle elezioni del 2015, Unione Sionista, mentre quest’anno abbiamo visto come la formazione della Unione Democratica (una coalizione di Meretz, Ehud Barak e Labor’s Stav Shaffir, entrambi laburisti), manifestasse la tensione tra il sionismo e la democrazia e come, da un giorno all’altro, ammettesse che per essere di sinistra in Israele, alla fine devi difendere l’uno o l’altra. Questo dice molto sullo stato attuale della politica israeliana.

Il principale sconfitto della seconda elezione israeliana del 2019 è il sionismo liberale. L’idea che Israele possa essere uno Stato ebraico e democratico con confini internazionalmente riconosciuti, che riconosca la sua minoranza nazionale palestinese e insieme raggiunga un accordo per costituire uno Stato palestinese, ha subito un colpo fatale. Gli israeliani hanno regolarmente votato contro questa idea; ora è impossibile capire come potrebbe mai essere realizzata.

Ayman Odeh è un leader valido ed efficace, con un’integrità. Insistendo nel suo articolo sul New York Times, sul fatto che “c’è abbastanza spazio per tutti noi nella nostra patria condivisa, abbastanza spazio per la poesia di Mahmoud Darwish e le storie dei nostri nonni, abbastanza spazio per tutti noi per far crescere le nostre famiglie in uguaglianza e pace”, egli sta sfidando gli israeliani liberali a guardarsi allo specchio e a trovare un modo per conciliare le loro opinioni politiche particolaristiche (il loro sionismo) con i loro valori. Possono farlo solo accettando che i palestinesi – cittadini, residenti o sotto occupazione senza uno Stato – non se ne vadano. La natura precisa della soluzione politica, che si tratti di uno o due Stati, è di secondaria importanza per conseguire una formula in base alla quale ebrei e arabi abbiano pari diritti e vivano in pace e dignità.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il miraggio di Benny Gantz

Jonathan Ofir

23 Settembre 2019 – Mondoweiss

“Il Paese ha scelto l’unità, il Paese ha scelto ‘prima Israele’” ha detto il leader del partito Blu e Bianco Benny Gantz giovedì, dopo che la stragrande maggioranza dei voti alle elezioni di Israele del 17 settembre ha dato al suo partito un leggero vantaggio sul Likud di Netanyahu (adesso 33 a 31, i risultati ufficiali ci saranno mercoledì) [il risultato definitivo è stato 33 a 32, ndtr.]. Nessuno dei due sembra poter creare un governo se non uno di coalizione che combini i loro due partiti, dal momento che Avigdor Lieberman lo esige con i suoi decisivi 8 seggi. Entrambi i partiti maggiori (destra e centro-sinistra) senza Lieberman restano sotto la soglia dei 61 seggi.

Oggi, se si dice ” prima l’America “, è chiaro cosa significhi. Significa supremazia bianca. Anche in Israele, quando dici “prima Israele”, sai cosa significa: significa supremazia ebraica, nota anche come sionismo. Ma in Israele, per qualche ragione, questa nozione è accettata come opinione prevalente. Il sionismo sopra ogni cosa non è considerato razzismo.

Ora di recente è successo un grande evento: la Joint List [Lista Unita], che rappresenta sostanzialmente i cittadini palestinesi ed è il terzo  ad aver ricevuto più voti con 13 seggi, ha sostenuto Benny Gantz come Primo Ministro.

All’inizio è stato detto che il blocco di centro-sinistra è in vantaggio con 57 seggi rispetto ai 55 del blocco di destra. Ma poi si è  scoperto che all’interno della Joint List non tutti sono d’accordo. Una delle quattro fazioni, Balad (che chiede uno Stato democratico laico) ha insistito sul fatto che “Gantz sta progettando di formare un governo con Lieberman e Likud”, e quindi “sostenerlo sarebbe sostenere un governo di unità, che è perfino peggio di uno di destra. ”

Ayman Odeh, capo della Joint List, nella sua apertura al presidente israeliano Reuven Rivlin, ha insistito che gli avrebbe portato il sostegno di tutti e 13 i suoi rappresentanti, ma la cosa non è certa. Secondo il Jerusalem Post, il supporto che Gantz può effettivamente ottenere è sceso a 54, un seggio sotto i 55 di Netanyahu.

Gli 8 seggi di Lieberman sono i più incerti. Quindi, ancora una volta, senza il supporto di Lieberman, nessuno dei due blocchi ce la farebbe – ma Lieberman non si alleerà con la Joint List, che chiama i “nemici”.

Quindi tutto punta al centro, quel centro sionista che in realtà è un blocco di centro-destra. Il presidente Rivlin ha sottolineato che “il popolo di Israele vuole un governo che sia stabile” e “un governo stabile non può essere un governo senza entrambi i due maggiori partiti”.

Il capo della delegazione Blu e Bianco che ha incontrato il presidente è Moshe Ya’alon, ex ministro della Difesa, terzo nella direzione del partito e zelante sostenitore del progetto israeliano di colonizzazione. Ya’alon ha detto che avrebbe accolto con favore “tutti i partiti sionisti” nella coalizione, il che significa non la Joint List, e la Joint List sa che sarebbe stata comunque all’opposizione.

Il presidente Rivlin deciderà al più presto mercoledì sera, quando i risultati finali saranno ufficiali, se affidare il primo tentativo di formazione di una coalizione di governo a Gantz o Netanyahu. Vi sono varie considerazioni che influenzano tale decisione. Uno è il numero di seggi del partito del leader. In questo caso Gantz sarebbe in testa ma solo di poco. Un’altra considerazione è la possibilità di formare una futura coalizione. In questo caso nessuno dei due ce l’ha senza Lieberman, che cerca di escludere entrambi i settori di destra e di sinistra: i 24 seggi dei partiti religiosi e di destra (Ebraismo della Torah Unita, Shas e il nazionalista religioso Yamina) e 24 seggi della sinistra sionista (Unione Democratica, Lavoro-Gesher) e Joint List. Quindi al momento Lieberman non sta sostenendo alcun candidato per la carica di Primo Ministro, ma sta cercando di unire il suo Yisrael Beitenu ai due partiti principali come “l’unica opzione”.

Rivlin è ansioso di raggiungere l’accordo. Dice che l’opinione pubblica israeliana è “disgustata” dalla prospettiva di una terza elezione (le elezioni di settembre sono state necessarie poiché le precedenti elezioni in aprile non sono riuscite a produrre un governo).

Ciò che ha guidato molti dei “sionisti liberali” è stata l’idea di “solo non Netanyahu”. Netanyahu è stato un bel regalo per queste persone, dal momento che potevano dire di essere contrari a Netanyahu ed ecco! sei un progressista! Bari Weiss, una degli opinionisti sionisti del New York Times, in un’intervista a Bill Maher, distingueva tra il sionismo e quello che lei chiama “bibiismo” (usando il soprannome di Benjamin Netanyahu, Bibi):

“Sono due cose molto diverse. Sono molto critica rispetto all’attuale Primo Ministro dello Stato di Israele. Credo che proprio come gli ebrei hanno un diritto alla terra, così anche i palestinesi, e se Israele vuole essere uno Stato democratico e liberale, ci devono essere due Stati.”

Be’, è semplicemente fantastico, ma quei “due Stati” non sono comunque sul tavolo di Gantz, che ha appena rimproverato Netanyahu di aver rubato la sua idea di annettere la Valle del Giordano. Dunque, Bari Weiss sta indicando davvero una reale alternativa? No, solo “non Bibi”.

E la Joint List, almeno la corrente che ha sostenuto Gantz, fa anch’essa parte di questo “solo non Bibi”. Ayman Odeh ha detto al presidente Rivlin: “Stiamo cercando il modo di impedire a Netanyahu di diventare primo ministro, ed è quello che vuole la maggior parte della gente.”.

Ma esiste un grave pericolo. È in pericolo la relativa legittimità che un governo di unità può ottenere per politiche che, sul fronte politico più critico nei confronti dei palestinesi, non sono diverse da quelle di un governo Likud. E così si capisce l’affermazione di Balad secondo cui un tale governo di unità è anche peggio di un governo di destra. Perché il governo di unità, specialmente se sarà guidato da Gantz, renderà più facile legittimare lo status quo israeliano dell’apartheid. Ed è quello che vuole la maggior parte degli israeliani.

A cui non dispiacerebbe che Gantz – il macellaio di Gaza, che si vanta di averla ridotta all’età della pietra e desidera ardentemente tornare ai giorni di gloria dei sistematici omicidi extragiudiziali– guidasse il paese, perché dopo tutto è così sionista. Ed è meno volgare di Netanyahu, e sicuramente anche meno corrotto, quindi ha una buona immagine. Le persone sono stanche di Netanyahu, cambiate l’immagine.

Deve essere un bel dilemma per un palestinese che ha diritto di voto in Israele. Tutto ciò che fai finisce per essere solo una limitazione del danno, qualunque cosa tu faccia finisce per essere “prima Israele ” – che significa “ultimi i palestinesi “.

 

Jonathan Ofir

Musicista, direttore d’orchestra e blogger / scrittore israeliano che risiede in Danimarca.

 

(traduzione di Luciana Galliano)




Le elezioni rivelano una profonda spaccatura nella destra israeliana.

Meron Rapoport

19 settembre 2019 + 972

Il potere politico del movimento dei coloni, una volta un’élite in ascesa, è ora in declino.

Mentre gli analisti politici si chiedono se siamo arrivati alla fine dell’era Netanyahu, si presta poca attenzione a un altro importante risultato di queste elezioni, cioè il declino del potere politico del movimento nazionalista religioso. Un tempo questi “signori della terra”, come si autodefiniscono, pensavano di essere sulla strada giusta per diventare la nuova élite politica e culturale di Israele. Ma i dati dimostrano che il loro influsso politico sta calando.

Il Likud è sempre stato al centro del blocco di destra. Negli ultimi decenni ha assorbito i partiti che rappresentano tre grandi gruppi demografici: gli ultraortodossi, gli immigrati dall’ex Unione Sovietica e il movimento nazionalista religioso o dei coloni. Netanyahu ha creato un blocco politico coerente che, ad ogni elezione, ha garantito una maggioranza praticamente automatica alla destra.

Netanyahu ha fatto del consolidamento del blocco dell’ala destra lo scopo della sua vita politica, basandosi sulla convinzione che fosse il modo migliore per evitare uno Stato palestinese. Quindi ha rafforzato i legami del Likud con il campo nazionalista religioso, poiché la loro lealtà alla Terra di Israele era indiscussa, a differenza di quella della vecchia base del Likud, più interessata al libertarismo che all’espansionismo territoriale. Questo è uno dei motivi per cui Netanyahu si è circondato di gente che indossa lo yarmulke [tipico copricapo degli ebrei osservanti, ndtr.] all’uncinetto, preferito dai coloni nazionalisti religiosi.

Le elezioni di aprile hanno creato una spaccatura nel blocco di destra, che ha visto i partiti che rappresentano gli ultraortodossi e gli elettori dall’ex Unione Sovietica distanziarsi dagli ideologi nazionalisti religiosi, di cui non condividono la visione del mondo. Infatti non sono mai stati particolarmente interessati né all’idea di controllare la Grande Terra Biblica di Israele, né al progetto delle colonie.

Lieberman non ha dovuto faticare molto per convincere i falchi della sua base secolare proveniente dall’ex Unione Sovietica che gli ultraortodossi erano il loro più grande nemico. Gli ultraortodossi sono quelli che mettono in discussione la loro identità ebraica e che cercano di imporre il loro stile di vita religioso, con il rifiuto di permettere i trasporti pubblici di sabato e i tentativi di controllare la vendita di cibi non kosher.  Gli ultraortodossi hanno reagito.

Alle elezioni del 17 settembre, entrambi i gruppi sono cresciuti, Lieberman ha fatto crescere il suo partito da cinque a otto seggi e gli ultra-ortodossi sono saliti da 16 a 17. Ma ci sono poche possibilità che i partiti di destra si uniscano di nuovo per ricostruire un’alleanza forte come in passato.

Ancora più interessante è la sorte dei partiti nazionalisti religiosi, che hanno legato il proprio destino al Likud. Ad aprile avevano vinto 44 seggi (35 per il Likud, 4 per Kahlon [leader del partito di centro Kulanu, ndtr.] e 5 per l’Unione dei partiti di destra), più 4 dal partito New Right [Nuova Destra, partito dei coloni, ndtr] di Bennett e Shaked e altri 3 dal partito Jewish Leadership [Dirigenza Ebraica, partito sionista libertario, ndtr.] di Moshe Feiglin. Complessivamente, 51 seggi sono andati al blocco di destra.

Queste elezioni hanno visto affievolirsi il potere del movimento religioso nazionalista. Il Likud ha conquistato solo 31 seggi, un calo rispetto ai 35 di aprile. Netanyahu ha ottenuto solo 38 seggi per il suo blocco, nonostante quelli vinti con i voti dei sostenitori di Kahlon, Feiglin, Smotrich, Rafi Peretz, Shaked e Bennett. La lista kahanista di Otzma Yehudit (Jewish Power) non ha superato la soglia, ma anche se lo avesse fatto, avrebbe portato solo quattro seggi in più, arrivando a 41, mentre il minimo necessario per un governo di coalizione è di 61 seggi.

L’equilibrio di potere nella destra politica è ora scosso, con implicazioni cruciali. Se i partiti ultra-ortodossi vedranno che collaborare con il blocco dell’ala destra non garantisce loro un incarico nel governo, rivaluteranno la loro alleanza. Se gli elettori dell’ex Unione Sovietica vedranno che scontrarsi con gli ultraortodossi ne fa l’ago della bilancia nell’arena politica israeliana, non si affretteranno a rientrare nel blocco di Netanyahu.

Il movimento nazionalista religioso pagherà il prezzo politico più alto per una tale ridistribuzione dell’equilibrio del potere. Nonostante la loro percezione di sé come signori della terra, non sono mai riusciti ad entrare in politica come partito indipendente. Invece di diventare la “nuova élite”, il movimento dei coloni starebbe per diventare un peso politico, proprio come il movimento dei kibbutz, ormai quasi dimenticato, che divenne praticamente irrilevante nel 1977 quando Menachem Begin guidò il Likud alla vittoria. Non siamo ancora arrivati a quel punto, ma ci siamo più vicini di quanto chiunque avesse potuto pensare sei mesi fa.

(traduzione  di Mirella Alessio)




ISRAELE. Gantz, nemico di Netanyahu non delle sue politiche

Michele Giorgio

20 settembre Nena News

Il vincitore, di misura, delle elezioni del 17 settembre, in politica estera e nei confronti di Iran e dei palestinesi non è lontano dalle posizioni del premier sconfitto.

Benyamin “Benny” Gantz in politica interna prenderà, in parte, le distanze dalla linea di Benyamin Netanyahu e promuoverà la «serenità sociale» tra ebrei laici e religiosi. Ma non farà alcuna rivoluzione nei rapporti tra gli israeliani ebrei e i cittadini di serie B, gli arabi, i palestinesi d’Israele. E in politica estera non marcherà una differenza sostanziale da quella svolta dal leader della che ha sconfitto il 17 settembre. Userà il pugno di ferro, come Netanyahu, con l’Iran e i suoi alleati – che alla Conferenza di sicurezza di Monaco dello scorso febbraio ha indicato Tehran come una delle principali sfide all’Occidente – e non rinuncerà all’abbraccio di Donald Trump. Il presidente Usa mercoledì sera ha segnalato che lui ha rapporti non solo con Netanyahu ma con tutto lo Stato di Israele. Se Netanyahu è, come sembra, avviato sul viale del tramonto, ciò non vuole dire che la fine della sua lunga era politica genererà una svolta.

Nato 60 anni fa, sposato, quattro figli, una vita trascorsa nelle forze armate, conclusa con il grado di generale e l’incarico di capo di stato maggiore, Gantz solo in apparenza è un uomo di centro. Il programma del suo partito “Resilienza” – che ha fondato lo scorso dicembre e ha poi unito ad altre formazioni dando vita a “Blu e Bianco” – si avvicina molto a quello della destra quando sul tavolo ci sono questioni come l’Iran, il mondo arabo e i territori palestinesi occupati. Gantz non rientra nel solco del sionismo religioso, che ha ispirato Netanyahu e ora domina nella società israeliana, ma non è riconducibile ideologicamente neppure al sionismo di marca laburista (tramontato da tempo). Semplicemente è un sionista laico fautore delle politiche israeliane di sicurezza e di mantenimento dell’ occupazione.

In questa campagna elettorale, e in quella per il voto del 9 aprile, l’ex capo di stato maggiore non ha fatto mai riferimento alla soluzione a “Due Stati”, Israele e Palestina. Il sito progressista, +972, sostiene che a Gantz piace lo status quo, l’occupazione, con Israele che controlla tutto il territorio della Palestina storica senza però annettere ufficialmente la Cisgiordania come vorrebbe fare Netanyahu. Gantz si era recato a fine luglio nella Valle del Giordano dichiarando che quel territorio palestinese rimarrà sotto Israele in qualsiasi futuro accordo. Pochi giorni dopo, il 6 agosto, si presentò nelle comunità israeliane di confine di Gaza promettendo «azioni incisive per abbattere i leader di Hamas». In pratica una nuova guerra. D’altronde da comandante delle forze armate ha guidato due offensive contro Gaza, nel 2012 e nel 2014, che hanno provocato oltre duemila morti palestinesi, migliaia di feriti e distruzioni immense. La scorsa primavera Gantz, per recuperare voti a destra, si vantava di aver ridotto in macerie Gaza. Nena News




Elezioni Israeliane:Benjamin Netanyahu: mandarlo via o no?

Sylvain Cypel

16 settembre 2019 – Orient XXI

Poche divergenze separano il Likud dai suoi avversari del partito Blu e Bianco sulla maggior parte delle questioni. Ma la vera – la sola? – posta in gioco delle elezioni israeliane è il futuro del primo ministro Benjamin Netanyahu

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu non è mai sembrato così vicino ad andarsene di quanto lo sia oggi, e mai una campagna elettorale è sembrata altrettanto vuota di contenuti di quella che dovrebbe portare, martedì 17 settembre, all’elezione del prossimo parlamento israeliano, la Knesset. Queste elezioni dovrebbero definire il futuro dell’uomo che ha governato Israele senza interruzione dal 2009 e la cui influenza su questo Paese è stata di gran lunga la più significativa dall’inizio di questo secolo. A tre giorni dal voto, i sondaggi, stabili dall’inizio della campagna, danno un vantaggio molto netto alla destra e all’estrema destra israeliana dei coloni (otterrebbero la metà dei voti, senza contare i loro alleati religiosi ortodossi). Ma, date le sue divisioni, la sua prevalenza non le garantisce necessariamente di riuscire a mettere insieme una maggioranza assoluta di 61 seggi su 120 per governare.

Le elezioni dell’aprile 2019, da cui la destra era uscita vincitrice, avevano così dato luogo a una paralisi politica, in quanto il partito di estrema destra nazionalista laica “Israele Casa Nostra”, guidata da Avigdor Lieberman, aveva rifiutato di allearsi con i partiti religiosi senza la garanzia dell’approvazione di una legge sulla partecipazione dei giovani “uomini in nero” (i “timorati di dio”, chiamati anche religiosi ultra-ortodossi) al servizio militare, o a un servizio civile obbligatorio. Questa situazione si potrebbe ripetere martedì.

Dieci anni, ora basta!

Potrebbe essere così soprattutto se Lieberman ottenesse, come gli attribuiscono i sondaggi, una decina di deputati, incrementando la sua possibilità di danneggiare il Likud, il principale partito della destra guidato da Netanyahu, e se il Likud non riuscisse a superare il suo principale rivale, un’alleanza ibrida di centro destra denominata “Blu e Bianco” (i colori della bandiera) che unisce diversi ex-capi di stato maggiore a una formazione laica di centro. Secondo i sondaggi, questa alleanza pareggerebbe con il Likud. Ha fatto campagna elettorale avendo come solo programma “mandarlo a casa”, sulla posizione “Netanyahu, dieci anni, ora basta”. Niente sul futuro dei palestinesi, niente sulle questioni economiche e sociali, vaghezza sulle sfide della società (in particolare sul posto della religione); l’elemento più significativo della sua campagna elettorale è stata l’assenza di un qualunque programma definito del leader di questa alleanza, il generale Benny Gantz.

La semplice ostilità nei confronti di Netanyahu non pare sufficiente a permettere ai blu e bianchi di superarlo. Ma, per la prima volta, l’uomo che ha unificato la destra e l’estrema destra sotto la sua bandiera, ormai invischiato in molti casi di conflitto d’interesse e di arricchimento personale, sembra dare segni evidenti di affanno, accompagnati dalla sensazione che la sua aura si sgretoli. Benny Begin, figlio dello storico dirigente della destra nazionalista israeliana Menachem Begin, ha annunciato che, per la prima volta nella sua vita, non voterà per il Likud, proprio a causa della “corruzione” dell’uomo che lo dirige. Ormai è la sua stessa persona che rischia di ostacolare la rielezione di Netanyahu.

I quattro scenari

Nell’attuale situazione si possono individuare quattro alternative principali, a seconda dei risultati del voto:

– Netanyahu vince di nuovo, e questa volta con una maggioranza che gli permette di prescindere dal sostegno dell’estrema destra laica per formare un governo. Sarebbe una vittoria imprevista. É possibile, ma improbabile;

– Netanyahu vince ma non a sufficienza per formare un governo senza il sostegno di Lieberman, che si nega. Ma i blu e bianchi sono ancor meno in condizione di governare. È la paralisi. Ciò fa immaginare che nel Likud emerga un’opposizione che tenti di uscirne liberandosi della tutela divenuta ingombrante di Netanyahu. La principale probabilità sarebbe un governo di unità nazionale, probabilmente senza Netanyahu. Si aprirebbe la via per processare l’ex-primo ministro per corruzione, concussione, frode e abuso di fiducia. Altra possibilità, poco probabile ma da non escludere, Netanyahu propone un governo di unità con i blu e bianchi. Questi hanno lasciato intendere che rifiuterebbero, ma potrebbero cambiare opinione;

– I blu e bianchi vincono di poco. Non potrebbero governare che formando un governo di unità nazionale con il Likud o costituendo una coalizione con i partiti religiosi ortodossi in cui questi non avrebbero nessuna obiezione ad inserire anche l’estrema destra laica. Certamente, rimangiarsi gli impegni ha una lunga tradizione nella politica israeliana, ma questa possibilità resta tuttavia molto aleatoria;

– Né il Likud né i blu e bianchi sono in condizioni di formare una coalizione e non si accordano per un governo di coalizione. Israele entra in un’epoca d’instabilità istituzionale. Poco probabile ma non da escludere.

“Un attacco terroristico contro la democrazia”

Nell’attesa, durante la campagna elettorale Netanyahu ha mostrato dei segni di debolezza e di agitazione non abituali. Non che abbia modificato il suo metodo usuale per convincere l’elettorato ad avere fiducia in lui. Come nel 2015, quando aveva fatto appello su Facebook ai suoi elettori il giorno stesso del voto perché si mobilitassero per opporsi alla “sinistra” che “portava delle orde di arabi a votare in massa” e di andare ai seggi per impedirne il successo, questa volta si è ripetuto facendo della sinistra (nella quale include illecitamente i suoi avversari blu e bianchi) e ancor più dei media  l’oggetto di attacchi incessanti, seguendo una linea in cui si riconosce la mano del maestro Trump (“Essi” non imporranno la loro volontà al popolo). Quando la catena televisiva Canale 12 ha proposto un programma sui “casi” di Netanyahu, questi ha invocato “un attacco terroristico contro la democrazia”.

E, naturalmente, ancora una volta ha lusingato le tendenze più razziste del suo elettorato, inventando letteralmente notizie false secondo le quali “gli arabi” avevano commesso brogli nelle urne durante le elezioni dell’aprile 2019, esigendo che il suo partito fosse autorizzato a installare delle telecamere nei seggi arabi. L’obiettivo era, evidentemente, di fare pressione sugli elettori arabi per farli votare il meno possibile. Netanyahu non è riuscito in questa operazione (l’inchiesta della polizia ha trovato ben pochi casi di sospetta frode elettorale nella “zona araba”, il caso più inoppugnabile è stato a favore…del Likud). Ma può sperare che questo fallimento gli sia in parte favorevole, perché compatta il suo elettorato su base razzista nella sensazione di essere ingiustamente vessato.

Lo spettro di un dialogo tra Teheran e Washington

Peraltro queste operazioni nascondono male il fatto che Netanyahu non riesce a convincere che la sua alleanza con Donald Trump resti altrettanto solida di quanto l’ha rivendicata fin dall’inizio della sua campagna. Il primo ministro israeliano ha fatto fin da subito di questa alleanza la base della sua rielezione. Perché potrebbe legittimamente rivendicare una vicinanza simbiotica con il presidente americano, e che Trump è stato letteralmente plebiscitato dall’opinione pubblica ebraica israeliana. Tuttavia questa volta il presidente americano non ha risposto, a dir poco, alle sue aspettative. Finora aveva periodicamente offerto a Netanyahu dei “regali” molto utili: nel dicembre 2017 il riconoscimento di Gerusalemme come capitale di Israele, nel maggio 2018 l’uscita americana dall’accordo con l’Iran sul nucleare, infine il riconoscimento dell’annessione israeliana del Golan siriano nel marzo 2019, alla vigilia delle precedenti elezioni politiche in Israele. Ma questa volta non ha offerto nessun appiglio spettacolare a Netanyahu, e il vago riferimento a un trattato israelo-americano di mutua difesa fatto dal presidente americano tre giorni prima delle elezioni non cambia niente, dato che un trattato simile è stato da sempre considerato con molta reticenza dal sistema militare israeliano.  In compenso l’atteggiamento che Trump ha tenuto sulla questione iraniana – che si è concluso con la destituzione da parte del presidente americano, il 10 settembre, del suo consigliere alla sicurezza nazionale John Bolton, l’uomo politicamente più vicino alle idee di Netanyahu – ha posto il primo ministro israeliano in conflitto con il presidente americano,

Perché, in uno dei momenti che gli sono consueti, l’8 settembre 2019 Donald Trump ha dichiarato di non escludere di incontrare prossimamente il presidente iraniano Hassan Rohani, lasciando intravedere che spera di raggiungere un nuovo accordo con la repubblica islamica. Nel dibattito che oppone nella Casa Bianca i nazionalisti aggressivi (John Bolton, Mike Pompeo.. .) favorevoli a un’offensiva militare contro Teheran a quelli che le sono ostili e cercano un’uscita dalla crisi, Trump ha scelto. Siccome le sue minacce di guerra non hanno portato Teheran al pentimento e le sanzioni hanno avuto un impatto reale sul regime iraniano, ma insufficiente a piegarlo, il nuovo atteggiamento della Casa Bianca indica che Trump ha fatto la sua scelta. Non è favorevole alla linea israelo-saudita. E Bolton, che ne era il pilastro, era “troppo radicale”, secondo Trump. Ormai, a quanto dice il quotidiano [israeliano di centro sinistra, ndtr.] Haaretz, l’organizzazione di un futuro vertice Trump-Rohani “è una questione certa, secondo gli ambienti militari israeliani” e la prima conseguenza potrebbe essere che Israele venga obbligato a “moderarsi contro Hezbollah e l’Iran sulla frontiera nord”, cioè nei massicci attacchi aerei che conduce da molti mesi contro le forze iraniane in Siria e anche, di recente, in Iraq, a cui finora Teheran non ha reagito.

Quello che i dirigenti israeliani temono di più è che Trump si impegni in un’operazione diplomatica simile a quella che ha condotto riguardo alla Corea del Nord. In altri termini, che dopo aver alzato la voce e mostrato i denti, finisca per firmare un accordo lungi da tutto quello per cui si era impegnato, presentandolo come un successo eccezionale. In tal ipotetico caso, ritengono molti commentatori israeliani, dopo aver definito Trump come il presidente più filo-israeliano della storia, Israele avrebbe dei problemi ad opporsi.

Il Likud e l’opposizione centrista uniti contro l’Iran

Netanyahu ha immediatamente reagito con nuovi bombardamenti contro le truppe iraniane in Siria e spiegando che non era il momento di “allentare la pressione” su Teheran. Su questo terreno ha ricevuto l’appoggio di Moshe Yaalon, un ex-capo di stato maggiore che è stato anche ministro della Difesa e che oggi si trova al terzo posto della … lista dei blu e bianchi. “Il problema è il rifiuto degli americani ad affrontare la situazione. E quando non lo si fa, si dimostra la propria debolezza,” ha dichiarato il 9 settembre durante una conferenza all’Istituto internazionale di antiterrorismo.

Come si vede, sul tema di cui Israele ha fatto il proprio principale problema regionale, cioè il rapporto con il regime iraniano, Netanyahu e il suo oppositore si uniscono (d’altronde una parte dei dirigenti dei blu e bianchi sogna di vincere e di mettere in piedi un governo di unità con il Likud). Ma quando, in risposta all’atteggiamento di Trump, Netanyahu ha fatto uscire delle nuove “informazioni” ottenute dal Mossad [servizi segreti israeliani, ndtr.] per mostrare che Teheran viola i suoi impegni a non rilanciare il suo programma nucleare militare, questa operazione ha avuto una scarsa eco negli Stati Uniti. Bisogna dire che le sue “prove” risalivano a prima dell’accordo internazionale del 2015 con l’Iran e riguardavano un sito… poi distrutto da Teheran! Quanto ai dirigenti dei blu e bianchi, hanno accusato Netanyahu di utilizzare “delle informazioni sensibili relative alla sicurezza per fini elettorali.”

Appello all’odio contro gli arabi

Per la felicità di Netanyahu, Trump domani può di nuovo cambiare opinione sull’Iran, come in Afghanistan ha dichiarato “morto” un accordo con i talebani che sembrava già raggiunto. E l’attacco contro le installazioni petrolifere saudite del 14 settembre potrebbe servire come pretesto. Nell’attesa, per la prima volta, il primo ministro israeliano è apparso non allineato con quello che ha trasformato nel suo mentore esclusivo. Un fatto che non l’ha aiutato a convincere gli elettori che solo il suo ritorno al potere potrebbe garantire loro il sostengo senza incertezze del padrino americano, come lo definisce da tre anni.

A qualche giorno dalla scadenza, Netanyahu ha moltiplicato le promesse nei confronti della sua base, tra cui quella di annettere immediatamente la valle del Giordano se vincerà. Potrebbe sperare in un nuovo “regalo” di Trump dell’ultimo minuto. O tirare fuori dal suo cappello un’ultima provocazione per mobilitare un elettorato di destra più apatico del solito. Questi ultimi giorni, in un’atmosfera d’isteria frenetica, Netanyahu ha condotto “la campagna più razzista e disgustosa mai fatta” in Israele (a parte i kahanisti [sostenitori del partito razzista Kach, messo fuori legge ed ora riammesso alle elezioni, ndtr.]), descritta dal cronista politico di Haaretz. Il suo partito, il Likud, ha moltiplicato gli incitamenti all’odio in tutte le direzioni, focalizzati in prevalenza contro “gli arabi” – che “ci vogliono annichilire tutti, donne, bambini e uomini, e permetterebbero all’Iran di sterminarci”, diffuse sulla sua pagina Facebook prima di ritrattarle. Questi “incitamenti all’odio sono diventati così frequenti che l’opinione pubblica sembra apatica di fronte alle sue nuove manifestazioni,” ha notato un editoriale dello stesso quotidiano. Si noti che, se i palestinesi d’Israele sono stati i principali bersagli, non sono stati gli unici; gli intellettuali, i laici, i media liberi, i giudici e tutti i sostenitori di un pensiero liberale sono allo stesso modo stati vittime di campagne d’odio della destra.

I principali vantaggi di Netanayhu restano tuttavia il fatto di non aver contro di sé alcun avversario in condizioni di contestare il suo peso politico e di continuare ad incarnare indubbiamente nel modo più totale l’evoluzione politica della società israeliana da due decenni. Ma, a volte, il desiderio di cambiare è più forte di tutto.

Sylvain Cypel

Ha fatto parte della direzione redazionale di Le Monde e in precedenza è stato direttore della redazione del “Corriere internazionale”. É autore di “Les emmurés. La société israélienne dans l’impasse” [I murati. La società israeliana bloccata, ndtr.], La Découverte, 2006.

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)




Alexandria Ocasio-Cortez ha ragione riguardo all’aiuto ad Israele

Branko Marcetic

19 aprile 2019 , Jacobin Magazine

Israele viola costantemente i diritti umani, uccide giornalisti e ora sta diventando parte dell’alleanza mondiale di estrema destra. Il taglio degli aiuti al Paese dovrebbe essere – a dir poco – “preso in esame”

Alexandria Ocasio-Cortez dice che il taglio degli aiuti a Israele dovrebbe essere “preso in esame” e “può essere discusso”. In realtà questa è una posizione moderata.

Per prima cosa l’aiuto militare USA a Israele sarebbe già da considerarsi illegale in base alle cosiddette “leggi Leahy”. Queste leggi vietano al governo USA di fornire addestramento, equipaggiamento e altre forme di assistenza a qualunque forza di sicurezza straniera commetta “gravi violazioni dei diritti umani”, che includono torture ed uccisioni extragiudiziarie.

Ci sono abbondanti prove che l’esercito israeliano uccide regolarmente manifestanti, compresi adolescenti e medici – spesso da postazioni di cecchini a centinaia di metri di distanza – nonostante la grande quantità di possibilità non letali ed altamente tecnologiche per respingere dimostranti. Si potrebbe andare indietro nel tempo e citare il bombardamento indiscriminato di Gaza, o le frequenti notizie di torture, documentate dalle Nazioni Unite e da altre organizzazioni, a danno di palestinesi. Ma sono sufficienti anche solo le recenti uccisioni da parte di cecchini.

Ma lasciamo perdere quello che stabilisce la legge. Persino in base agli standard morali distorti di Washington Israele ha superato la linea rossa, in quanto lo scorso febbraio l’ONU ha stabilito che durante le proteste dello scorso anno a Gaza le forze israeliano hanno ucciso e ferito giornalisti e medici chiaramente identificabili. L’anno scorso l’uccisione da parte dell’Arabia Saudita di un solo giornalista è stata considerata talmente sconvolgente e vergognosa che il suo governo ha ricevuto per mesi condanne ben meritate, anche da parte di molti che in precedenza sono stati entusiastici sostenitori del regno, portando allo storico tentativo del Congresso di porre fine all’appoggio USA alla guerra del Paese in Yemen. A meno che si sostenga che l’Arabia Saudita sarebbe stata giustificata se avesse semplicemente ucciso Jamal Khashoggi con il tiro di un cecchino, si tratta di doppia morale.

Poi c’è l’elemento politico. Persino un convinto sionista liberal dovrebbe ammettere che l’orientamento delle politiche israeliane sta ora entrando in un nuovo terreno terrificante. Per vincere le ultime elezioni, in primo ministro Benjamin Netanyahu si è alleato a ultranazionalisti di estrema destra che sono talmente dannosi che persino l’AIPAC [il più importante gruppo di pressione Usa a favore di Israele, ndt.] – l’AIPAC!! – ha condannato l’alleanza e si è rifiutata di incontrarli. Netanyahu ha passato gli ultimi anni a ingraziarsi governi di estrema destra e razzisti in Europa, promuovendo il razzismo in patria e cercando di concentrare [su di sè] il potere. Persino Beto O’Rourke, che sembra patologicamente restio ad articolare una posizione politica e ad essere coerente con essa, lo ha chiamato “razzista”.

Non c’è neppure da citare la critica principale a Israele: la sua pluridecennale oppressione del popolo palestinese, il suo spregio nei confronti del processo di pace internazionale e la sua costante violazione delle leggi internazionali riguardo al conflitto.

Se gli americani sono allarmati dalle azioni israeliane – che si tratti dell’uccisione e dei maltrattamenti di persone innocenti, del fatto di prendere di mira giornalisti, dell’avvicinamento all’estrema destra internazionale o del trattamento riservato ai palestinesi – essi hanno una cosa relativamente diretta su cui far leva che possono utilizzare per cercare di modificare il suo comportamento: i miliardi di dollari di aiuti militari ed economici che il governo USA invia ogni anno a Israele, che hanno reso il Paese il maggior beneficiario complessivo dell’assistenza degli USA all’estero dalla Seconda Guerra Mondiale e rappresenta circa un quinto del bilancio nazionale per la difesa. Non c’è nessun altro Paese al mondo che abbia questo tipo di accordo, ancora meno uno Stato di apartheid che ambisce apertamente a diventare membro dell’alleanza internazionale autoritaria e di estrema destra.

Uno dei momenti più patetici della storia della leadership statunitense si è svolto nel 2016. Dopo che Netanyahu ha passato anni ad ignorare le richieste di Obama di bloccare le colonie illegali, ha cercato silenziosamente di far eleggere il suo avversario nel 2012 e ha fatto un discorso senza precedenti e universalmente criticato al Congresso, che non si è mai preoccupato di chiarire con il presidente, nel tentativo di far fallire la sua politica estera, Obama ha punito Israele…negoziando con il Paese il più grande accordo di aiuti militari nella storia degli USA. Perché mai Israele dovrebbe voler cambiare il suo comportamento quando i suoi dirigenti sono stati abituati a capire che non saranno sanzionati da nessun membro della classe politica USA e al contrario saranno ricompensati?

Per cui sì, tagliare o addirittura ritirare l’aiuto a Israele dovrebbe essere – a dir poco – “preso in esame”. Decenni di appoggio finanziario incondizionato ad Israele indipendentemente da quali atrocità abbia commesso o regole violato hanno determinato nei suoi dirigenti la convinzione assolutamente corretta che possono fare tutto quello che vogliono senza conseguenze. È ora di dimostrare loro che si sbagliano.

Sull’autore

Branko Marcetic è un giornalista di Jacobin. Vive a Toronto, Canada.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Netanyahu vuole espellere gli osservatori internazionali da Hebron

MEE e agenzie

lunedì 28 gennaio 2019, Middle East Eye

Benjamin Netanyahu afferma che non rinnoverà il mandato degli osservatori TIPH dall’infiammabile città della Cisgiordania.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha deciso di espellere un posto di osservazione internazionale inteso a garantire i palestinesi di Hebron, una città nella Cisgiordania occupata, accusando la missione di attività anti-israeliane.

Non consentiremo la continuità di una forza internazionale che agisce contro di noi,” ha affermato lunedì Netanyahu in una dichiarazione riguardo alla Temporary International Presence in Hebron [Presenza Internazionale Temporanea ad Hebron, ndtr.] (TIPH).

Netanyahu non ha specificato il presunto comportamento scorretto della TIPH, che schiera personale da Norvegia, Italia, Svezia, Svizzera e Turchia, né ha detto quando pensa di espellerla.

L’accordo per il dispiegamento di osservatori della TIPH ad Hebron venne raggiunto tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese nel 1994, dopo che un colono israeliano aveva ucciso 29 fedeli nella moschea di Ibrahim, un luogo santo sia per i musulmani che per gli ebrei, che la definiscono la “Tomba dei Patriarchi”.

Tuttavia il gruppo non iniziò il proprio lavoro in città fino al 1998, dopo che l’esercito israeliano rifiutò di lasciare Hebron in seguito alla fondazione di una colonia israeliana illegale nel cuore della città.

Lunedì il giornale israeliano Haaretz ha informato che l’ultimo mandato della TIPH – schierata per un tempo di sei mesi rinnovabili – dovrebbe terminare il 31 gennaio

Il gruppo non ha ancora commentato la decisione di Netanyahu.

Violazioni dei diritti umani da parte israeliana a Hebron

Associazioni per i diritti umani hanno a lungo criticato le politiche israeliane ad Hebron, una città nel sud della Cisgiordania che ha sia zone sotto il controllo dell’ANP che parti controllate dall’esercito israeliano.

Da quando coloni israeliani hanno fondato un insediamento nel centro della città in seguito al massacro dei fedeli 35 anni fa, Israele ha sottoposto i palestinesi di Hebron a gravi restrizioni negli spostamenti, costruito una serie di posti di controllo militarizzati e ha di fatto paralizzato quello che una volta era un florido centro di attività commerciali.

Il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem afferma che a Hebron Israele “ha imposto una segregazione fisica e giuridica tra le centinaia di coloni e le migliaia di abitanti palestinesi.”

Ciò, insieme alla violenza dei coloni e delle forze di sicurezza, ha reso la vita intollerabile ai palestinesi, portando ad un esodo di massa e al collasso economico della zona centrale.” Da quando è stata attivata, la TIPH ha “osservato e registrato violazioni degli accordi e delle leggi umanitarie internazionali e di quelle per i diritti umani,” sostiene l’associazione nel suo sito in rete.

Lunedì i palestinesi hanno denunciato la decisione di Netanyahu di espellere gli osservatori internazionali.

La decisione del governo israeliano significa che ha abbandonato l’applicazione degli accordi firmati sotto garanzia internazionale ed è venuto meno ai propri impegni in base a questi accordi,” ha detto alla Reuters [agenzia di stampa britannica, ndtr.] Nabil Abu Rudeineh, portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Lo scorso mese Haaretz ha informato che un’inchiesta della TIPH con “rapporti su 40.000 incidenti” ha mostrato che Israele ha violato le leggi internazionali limitando i movimenti dei palestinesi in città.

Le colonie israeliane in Cisgiordania sono illegali in base alle leggi internazionali.

Tuttavia Netanyahu ha giocato le sue credenziali a favore dei coloni in quanto cerca di essere rieletto nelle votazioni del 9 aprile.

Sempre lunedì il primo ministro israeliano ha visitato Gush Etzion, una striscia di colonie e avamposti nel sud della Cisgiordania e si è impegnato a continuare il sostegno del suo governo ai coloni israeliani che vi vivono.

Ci vogliono sradicare da qui. Non ci riusciranno,” ha detto Netanyahu, come riferito dall’ufficio stampa del governo.

C’è una linea di pensiero che afferma che il modo per raggiungere la pace con gli arabi è essere cacciati dalla nostra terra. Questo è il cammino sicuro per raggiungere il contrario di questo sogno.”

(traduzione di Amedeo Rossi)