Gli etiopi hanno l’opportunità di essere solidali con i palestinesi

Ashraf Ghandour – +972mag

Solomon Tekah è stato ucciso da un poliziotto israeliano perché era nero. I palestinesi che fanno notare che, in queste due forme di oppressione, l’oppressore è lo stesso hanno incontrato resistenza da parte della comunità etiope. Ma se questa prenderà coscienza della causa palestinese e del suo ruolo nel dramma di un popolo, potrà unirsi a un movimento trasversale

15 luglio 2019, Nena News – Da più di una settimana sto seguendo la battaglia, rumorosa e legittima, che gli etiopi israeliani stanno portando avanti contro il razzismo sistematico che li tiene sottomessi da 35 anni. Da palestinese, e da persona di colore, non posso che provare empatia per la loro sofferenza, oltre a uno strano senso di smarrimento perché noto che gli israeliani di ogni tipo non riescono a collegare la giusta lotta degli etiopi con quelle di altri gruppi oppressi da Israele.

Ma a Solomon Tekah hanno sparato perché era nero e, dato che io sono palestinese, non potevo che seguire la cosa molto attentamente.

Tekah, un etiope israeliano di 19 anni, è stato colpito la scorsa settimana, nel suo quartiere alla periferia di Haifa, da un poliziotto fuori servizio. Dopo gli spari, migliaia di persone della comunità etiope sono scese in strada per protestare contro il trattamento riservato alla loro gente dalle forze dell’ordine, nel tentativo di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’oppressione che gli israeliani di origine etiope devono affrontare da quando hanno iniziato a migrare in Israele, alla metà degli anni ’80.

Tuttavia, i media israeliani hanno scelto immediatamente di concentrarsi sulla violenza e sugli atti vandalici di alcuni manifestanti etiopi contro la polizia, disumanizzando i manifestanti con appellativi come “animali”. Gran parte della copertura mediatica si è concentrata molto più sulle conseguenze sofferte dai civili bianchi, dei disordini nelle strade principali di Israele che sulla drammatica situazione dei manifestanti stessi.

Ho sentito professori di origine etiope parlare a nome dei manifestanti, paragonando la loro battaglia a quella delle comunità nere in America, a migliaia di chilometri di distanza. Tuttavia, nella maggior parte dei casi, chi fa dichiarazioni pubbliche ignora apertamente il dramma di quattro milioni di palestinesi rinchiusi in Cisgiordania e Gaza, prigioni a cielo aperto, così come del milione e novecentomila palestinesi cittadini di Israele: sono il 20% della popolazione, ma rappresentano oltre la metà della popolazione carceraria.

I palestinesi che fanno notare che, in queste due forme di oppressione, l’oppressore è lo stesso, hanno incontrato resistenza da parte della comunità etiope, che preferisce mantenere le distanze da tali associazioni.

L’assassinio di Solomon e la reazione della maggior parte degli israeliani ricordano l’assassinio, da parte della polizia, di Michael Brown a Ferguson, Missouri, a cui sono seguite proteste di massa della comunità nera. Mentre crescevano le proteste, molti bianchi americani erano occupati a discutere sulla validità dell’uso della violenza da parte dei manifestanti neri, distogliendo l’attenzione dalla brutalità della polizia e dalla storia di un diciottenne assassinato, che sarebbe stato loro dovere proteggere.

Nel frattempo, i manifestanti di Ferguson imparavano via Twitter dagli abitanti di Gaza – che erano nel bel mezzo della guerra di Gaza del 2014 – come affrontare i lacrimogeni. È stato un momento politico che ha contribuito a rafforzare la solidarietà tra il movimento di solidarietà con la Palestina e il Black Lives Matter. Questo tipo di solidarietà, però, sembra essere totalmente svanito in coloro che hanno parlato a nome della comunità etiope in Israele la scorsa settimana.

I palestinesi non hanno bisogno di dimostrare competenza in Teoria Politica per sapere dove condurrà la battaglia degli etiopi. Siamo troppo abituati alla persecuzione, all’incarcerazione, alla disumanizzazione e alla mancanza di alleati israeliani veramente solidali con noi. Abbiamo visto la nostra condizione trasformarsi in una discussione annacquata sull’uso della violenza nelle proteste; abbiamo sentito la frase “perdi quando tiri la prima pietra”; siamo vittime a cui viene data la colpa, e ci mettono alle strette per farci condannare le azioni violente da parte di una manciata di manifestanti, il tutto mentre il nostro messaggio viene lentamente sepolto insieme alle vittime dell’occupazione e della crudeltà. Siamo stati gasati con i lacrimogeni, arrestati, e ci hanno sparato, e quando abbiamo visto il giovane manifestante etiope in piedi su una macchina in corsa, mentre batteva i pugni sul parabrezza, la sua frustrazione e la sua rabbia ci sono suonate anche troppo familiari.

Ma la distanza tra empatia e solidarietà è grande. Dopotutto, sono vostre le facce che vediamo, e vostre le mani sotto i nostri vestiti ai check-point. I vostri uomini armati, molti della stessa età di Solomon, vengono spediti a proteggere gli insediamenti e a fare irruzione a casa nostra, nei nostri campi profughi. Forse la vostra cecità verso la nostra situazione è il risultato della promessa di combattere un nemico comune.

Quando Mohammed Ali rifiutò di combattere in Vietnam, disse chiaramente che “non aveva niente contro i Vietcong”, piuttosto ce l’aveva con la guerra. Ora, ve lo devo chiedere: che problema avete con il popolo palestinese? Riuscite a passare al prossimo livello, a fare vostro il valore della giustizia per tutti e a rifiutarvi di partecipare alla prevaricazione di un intero popolo? Perché prendete le distanze da una battaglia contro la stessa supremazia bianca che ha distrutto villaggi palestinesi, rinchiuso gli arabi israeliani in campi profughi, sottratto i figli agli immigrati yemeniti e portato la disperazione nella vostra comunità?

C’è una via di uscita per tutto questo. Se prenderete coscienza della causa palestinese e del vostro ruolo nel dramma della popolazione palestinese, potrete unirvi a un movimento che è davvero trasversale e che incontra la solidarietà internazionale. Potrete unirvi a una voce sempre più forte che dà potere alle persone, non attraverso la repressione del prossimo, ma con l’abbattimento di sistemi di oppressione rivolti contro tutti coloro che non appartengono alla classe dominante.

In caso contrario, sarete condannati a vivere le vostre vite compiacendo i vostri alleati bianchi, che vi riserveranno condizioni di vita cui loro non si sottoporranno mai. Vi rivolgeranno un sorriso beffardo ogni volta che sarete troppo chiassosi, troppo violenti o troppo sensibili. Nel frattempo, continueranno a bombardare Gaza, ad arrestare bambini e a puntare la pistola contro il prossimo Solomon Tekah

(Traduzione di Elena Bellini) da NenaNews



Come gli attivisti di Durham hanno convinto la municipalità a vietare l’addestramento della polizia in Israele

Nora Barrows-Friedman 

19 aprile 2018, The Electronic Intifada  

Con voto unanime del consiglio comunale del 16 aprile, Durham, nella Carolina del Nord, è la prima città degli Stati Uniti a vietare i programmi di addestramento tra il dipartimento di polizia e le forze armate straniere, compresa quella di Israele.

La decisione del consiglio comunale è il risultato di continue campagne di cittadini guidate da 10 gruppi locali per i diritti civili e umani che compongono la coalizione “Demilitarize! Durham2Palestina”, sostenuta da circa 1.400 residenti e decine di esponenti di diverse religioni.

La coalizione è affiliata a Jewish Voice for Peace e in particolare alla campagna “Scambio mortale”, che cerca di abolire ufficialmente i rapporti di scambio tra i dipartimenti di polizia degli Stati Uniti e l’esercito e le forze di polizia israeliane.

MJ Edery, leader della sezione di New York della campagna Scambio Mortale, ha detto martedì a The Electronic Intifada che per porre fine a questi programmi il divieto di Durham sugli scambi di polizia “costituisce un esempio per altre città”. Attraverso un lavoro simile con i gruppi locali di base, gli attivisti stanno offrendo un’alternativa a quei programmi “costruendo sicurezza attraverso la solidarietà e la collettività e immaginando [soluzioni] alternative alle carceri, alla polizia, all’ICE [Il Dipartimento della Sicurezza degli Stati Uniti, responsabile del controllo delle frontiere e dell’immigrazione, ndt], ai confini e al militarismo”, ha aggiunto Edery.

Sotto la copertura dell’addestramento antiterrorismo, ufficiali di alto grado dei dipartimenti di polizia degli Stati Uniti e delle agenzie federali si sono recati in Israele per seguire corsi sulle tecniche di controllo delle forze di occupazione.

Ma questi scambi, sponsorizzati dai principali gruppi lobbistici israeliani tra cui l’Anti-Defamation League (ADL), l’American Jewish Committee e l’American Israel Education Foundation, una branca dell’AIPAC [American Israel Public Affairs Committee], sono qualcosa di più della semplice formazione; mirano anche a nutrire il multimiliardario mercato statunitense delle armi e l’industria della “sicurezza nazionale” di Israele, e rafforzano il sostegno ideologico a Israele tra le élite statunitensi.

In una lettera al consiglio comunale di Durham, l’ADL ha denigrato e respinto Jewish Voice for Peace ribadendo il proprio sostegno al programma di scambi fra le polizie.

L’ADL si vanta di aver dal 2004 inviato 200 “dirigenti delle forze dell’ordine” per essere addestrati dalle forze israeliane in tattiche di ” lotta intensiva al terrorismo”.

Il gruppo si è vantato anche del fatto che gli ufficiali che prendono parte ai corsi di formazione “tornano e sono diventati sionisti” – sostenitori dell’ideologia dello Stato di Israele.

L’ex capo della polizia di Durham ha preso parte al seminario nazionale antiterrorismo dell’ADL – come evidenziato nel materiale pubblicitario della società di consulenza sulla sicurezza per cui ora lavora che vanta un prestigioso elenco clienti incluse diverse importanti università.

Starbucks

Questa settimana l’ADL è stata invitata a cooperare con Starbucks alla produzione di materiale per l’addestramento del personale al fine di combattere i “pregiudizi impliciti”, dopo che l’arresto di due uomini di colore in una caffetteria Starbucks a Filadelfia ha suscitato un’indignazione nazionale.

Gli attivisti fanno notare come la pretesa di ADL di proporsi a modello della lotta ai pregiudizi presenti clamorose ed evidenti cadute, specialmente quando si tratta di afroamericani e palestinesi.

Oltre a celebrare il Dipartimento di Polizia Metropolitano di St. Louis per l’omicidio nel 2014 di Michael Brown, un adolescente nero disarmato a Ferguson, nel Missouri, l’ADL ha stigmatizzato gli attivisti di Black Lives Matter [movimento di protesta contro le uccisioni di afroamericani, ndt] per il loro sostegno ai diritti umani palestinesi.

Ha anche una lunga tradizione di islamofobia sui media più diffusi e di denigrazione delle organizzazioni delle comunità palestinese, musulmana e araba.

Formazione

“Non ha senso formare la nostra polizia – o addirittura lasciare che la nostra polizia sia formata – dall’esercito israeliano dopo le cose terribili cui hanno preso parte”, ha dichiarato Ahmad Amireh degli “Studenti per la Giustizia in Palestina” della Duke University a The Electronic Intifada Podcast.

Studenti per la Giustizia in Palestina della Duke University fa parte dell’associazione “Demilitarize! Durham2Palestina”.

Amireh ha detto di aver trascorso del tempo nella Cisgiordania occupata dopo la decisione in dicembre del presidente Donald Trump di riconoscere Gerusalemme come capitale israeliana, e durante una protesta ha visto le forze israeliane sparare a un uomo palestinese con una bandiera.

“Vedere ciò, affermare che un uomo non possa resistere all’occupazione cui è stato sottoposto tutta la vita senza che gli si spari, è una cosa che non ha alcun modo di affermarsi fra le comunità in America”, ha detto.

Amireh ha detto che, tornato a Durham, ha voluto contribuire a por fine a quel tipo di violenza di Stato e di approccio razzista che sia Israele sia le forze di polizia statunitensi portano avanti.

Con la campagna, gli attivisti hanno sottolineato l’urgenza di abbandonare la militarizzazione “e investire nelle comunità nere e meticce con abitazioni, posti di lavoro, istruzione, salari per vivere e assistenza sanitaria”, che soddisfino i bisogni fondamentali delle persone e rafforzino la sicurezza della comunità, ha dichiarato a The Electronic Intifada Podcast Ajamu Dillahunt, uno studente membro della sezione di Durham del Black Youth Project 100, anch’esso parte della coalizione Demilitarize! Durham2Palestine.

Dopo la vittoria al consiglio comunale, la coalizione continuerà i lavori per garantire che politiche analoghe possano essere approvate in altre città, “per por fine a qualsiasi genere di scambio fra Israele e le forze militari, e per mettere sul tavolo anche l’obbligo per la polizia di rispondere dei propri atti”, ha detto Dillahunt.

(Traduzione di Luciana Galliano)