L’American Anthropological Association aderisce al boicottaggio accademico di Israele

Con il 71% dei voti i membri dell’American Anthropological Association hanno approvato a larga maggioranza una risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.

Michael Arria

24 luglio 2023 – Mondoweiss

 

I membri dell’American Anthropological Association [Associazione degli Antropologi Americani] (AAA) hanno approvato a larga maggioranza una risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane. Il 71% dei membri che hanno votato ha appoggiato l’iniziativa, mentre solo il 29% vi si è opposta.

“Questa è stata in effetti una questione controversa e le nostre differenze possono aver scatenato un aspro dibattito, ma abbiamo preso una decisione collettiva ed ora è nostro dovere andare avanti uniti nel nostro impegno per far progredire la conoscenza accademica, trovare soluzioni ai problemi umani e sociali e fungere da tutori dei diritti umani,” ha affermato in un comunicato la presidentessa di AAA Ramona Pérez. “Le politiche e le procedure per la votazione sono state seguite rigorosamente e senza eccezioni, e il risultato avrà tutto il peso dell’approvazione da parte dei membri dell’AAA.”

Una precedente iniziativa per il boicottaggio di Israele era stata entusiasticamente accolta da un incontro di lavoro dell’AAA nel 2015, ma terminò sconfitta in una votazione molto serrata l’anno successivo. Nel marzo 2023 oltre 200 membri dell’AAA hanno presentato una petizione al Comitato Esecutivo in cui si chiedeva un voto di tutti gli iscritti sulla questione. La votazione ha avuto luogo tra il 15 giugno e il 14 luglio.

“Lo Stato di Israele mette in atto un regime di apartheid dal fiume Giordano al mare Mediterraneo, anche nello Stato di Israele internazionalmente riconosciuto, nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania e la Convenzione Internazionale per la Soppressione e le Sanzioni contro il Crimine di Apartheid del 1973 e lo Statuto di Roma per la [creazione della] Corte Penale Internazionale (CPI) definiscono l’apartheid un crimine contro l’umanità,” si legge nella risoluzione.

“Le istituzioni accademiche israeliane sono complici del regime dello Stato israeliano di oppressione contro i palestinesi… anche fornendo ricerche e sviluppo delle tecnologie militari e di sorveglianza utilizzate contro i palestinesi,” continua. “… Le istituzioni accademiche israeliane non forniscono protezione alla libertà accademica, a discorsi nelle università a favore dei diritti umani e politici dei palestinesi né alla libertà di associazione degli studenti palestinesi nei loro campus.”

In base alla risoluzione le istituzioni accademiche israeliane non possono pubblicare nei materiali editi dall’AAA, fare promozione nelle pubblicazioni dell’AAA, utilizzare sale per le conferenze dell’AAA per incontri di lavoro, partecipare a eventi dell’AAA o riprendere articoli da pubblicazioni dell’AAA. La risoluzione si applica solo alle istituzioni, non agli studiosi e studenti ad esse collegati.

“Questa risoluzione è una significativa dimostrazione di solidarietà da parte di migliaia di studiosi che stanno dalla parte dei loro colleghi palestinesi, il cui lavoro e le cui vite sono quotidianamente condizionati dalle politiche razziste e discriminatorie e dal brutale dominio militare di Israele,” ha affermato Jessica Winegar, una docente di antropologia e membro del collettivo “Anthroboycott”, un’associazione che ha sostenuto l’iniziativa.

“Come studiosi con una lunga storia di studi sul colonialismo, gli antropologi conoscono fin troppo bene il danno devastante dell’oppressione e il furto di terra palestinese da parte di Israele. Questo voto è un’importante passo nel dimostrare che il sostegno ai diritti dei palestinesi è coerente con i valori a difesa di diritti umani per tutti dell’AAA.”

All’inizio dell’anno Alisse Waterston, docente di antropologia al John Jay College ed ex presidentessa dell’AAA aveva spiegato perché ha appoggiato la misura in un articolo per Mondoweiss.

“Riconosco che talvolta alcuni principi possono entrare in contraddizione. Se il boicottaggio da parte dell’AAA danneggia la libertà accademica, ciò deve essere valutato a fronte dei morti e delle case distrutte che sono la tragedia dei palestinesi. Se alcuni membri disdiranno la propria adesione e alcuni donatori si ritireranno, coloro che sostengono il boicottaggio dovranno impegnarsi a portare ognuno 1-2 nuovi membri e a offrire all’associazione un sostegno finanziario oltre alla quota di iscrizione. Ogni altra minaccia o danno all’AAA possono essere affrontati con l’impegno di prenderne le difese. Se il boicottaggio si dimostra inefficace, esso deve essere valutato considerando l’alternativa di essere complici del silenzio sulle condizioni dei palestinesi sotto l’apartheid, che li lascia isolati, soli e invisibili.”

 

(Traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 

 




Sono l’ex presidentessa dell’Associazione Americana di Antropologia e questo è il motivo per cui voto per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane

Alisse Waterston

14 giugno 2023 – Mondoweiss

A otto anni da quando l’Associazione Americana di Antropologia prese per la prima volta in considerazione il boicottaggio accademico di Israele, le condizioni dei palestinesi sono solo peggiorate e le istituzioni accademiche israeliane sono complici. Questo è il motivo per cui appoggio la nuova risoluzione per il boicottaggio.

In questo momento critico gli antropologi membri dell’Associazione Americana di Antropologia (AAA) affrontano una decisione epocale. La questione che devono affrontare è la risoluzione di boicottare le istituzioni accademiche israeliane, un atto nonviolento di resistenza, facendo causa comune con il popolo palestinese che soffre i crimini di apartheid e persecuzione. Il voto elettronico sulla risoluzione inizia il 15 giugno e si concluderà il 14 luglio.

Mi sono già trovata alle prese con questa decisione in precedenza. Il 20 novembre 2015, un numero record di 1400 membri presenziò all’annuale incontro dell’associazione. La lunga notte di discussione e dibattiti finì in modo chiaro: la mozione per sottoporre all’assemblea generale il voto sulla risoluzione per boicottare le istituzioni accademiche israeliane nella primavera successiva passò con un ampio margine. Con un risultato senza precedenti: la risoluzione non fu approvata con un margine ridotto. Votò un numero record del 51% dei membri: il boicottaggio fu respinto [dall’assemblea generale] con 2.423 voti contro e 2.384 a favore.

Lo so perché alla fine di quell’incontro mi venne dato il martelletto del presidente e diventai l’84esimo presidente dell’AAA. Dovendo affrontare la questione la mia sfida più difficile è stata separare me stessa come individuo (e come potessi agire e votare) dai miei doveri in quanto funzionaria dell’associazione, una sfida che ho risolto attenendomi ai processi democratici dell’organizzazione e facendo costantemente riferimento al suo statuto. Nel corso dei sei difficili mesi che hanno preceduto il voto io e altri dirigenti e dipendenti di AAA abbiamo ricevuto email e telefonate moleste e minacciose da persone estranee all’associazione che volevano che noi ritirassimo del tutto la risoluzione.

Durante quei sei mesi la mia missione fu di organizzare la votazione, incoraggiando i membri ad ascoltare e farsi guidare dalla propria coscienza e dando loro il necessario per prendere una decisione informata. Fra queste informazioni c’era la relazione della task force dell’AAA su Israele e Palestina e un’esauriente bibliografia sull’argomento. Nel frattempo ho riunito un gruppo di lavoro che ha prodotto otto misure concernenti Israele-Palestina approvate dalla commissione esecutiva a maggio del 2016. Tra queste c’era una dichiarazione di condanna di politiche e pratiche israeliane focalizzata principalmente sulla negazione della libertà accademica e di espressione nei confronti dei palestinesi che includeva l’appello ad abrogare leggi israeliane che criminalizzano il fatto di parlare pubblicamente a favore del boicottaggio.

Questa non è una questione di opinioni: le prove raccontano delle orrende condizioni che i palestinesi sopportano come diretto risultato di leggi, politiche e pratiche israeliane. Fra esse la legge fondamentale Israele, Stato Nazione del popolo ebraico, che stabilisce che lo Stato di Israele è “solo per il popolo ebraico.” Inoltre le istituzioni accademiche israeliane hanno una lunga e documentata storia di collaborazione alla promozione del programma militare e nazionalista del Paese, per espanderne l’avanzata nei territori occupati, trascurando la sorte dei palestinesi. Ecco un esempio: in una lettera che ho ricevuto nel dicembre 2015 dall’associazione di rettori di università di Israele, gli 8 firmatari, che rappresentavano sedici università israeliane, sottolineavano di percepire il BDS come “una campagna anti-israeliana aggressiva e globale [che] fa circolare malignamente vili calunnie e bugie … con il solo obiettivo di delegittimare lo Stato di Israele.” Non si citava il timore per le continue violazioni, la negazione di vita, sostentamento, libertà di parola e libertà accademica che danneggiavano i palestinesi.

La situazione, una volta descritta come un conflitto e l’azione dello Stato di Israele come “l’occupazione”, è ora definita apartheid da parecchie organizzazioni affidabili. Per esempio la ricerca e le analisi dei dati di Amnesty International l’hanno portata a concludere che l’apartheid di Israele, in violazione del diritto internazionale, è “un sistema crudele di dominio e un crimine contro l’umanità.” Queste sono parole astratte: la cruda realtà è che la morte e distruzione vissute dai palestinesi sono praticamente impossibili da cogliere. Io leggo i vari rapporti, il minimo che posso fare. Non si possono voltare le spalle davanti a fatti dolorosi.

Eppure gli Stati Uniti non guardano ai fatti. Dal 2014 vari Stati hanno cominciato ad approvare leggi e decreti esecutivi contro il boicottaggio di Israele: oggi ci sono 35 Stati con tali leggi in vigore. Invece di contestare la lunga pratica di confondere l’antisemitismo con le critiche contro Israele, un crescente numero di Stati e governi federali hanno preso in considerazione o lo stanno facendo di codificare questa fusione adottando la definizione dell’IHRA [International Holocaust Remembrance Alliance, Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto, organizzazione intergovernativa cui aderiscono 34 Paesi, per lo più europei, ndt.]. Secondo un rapporto del Servizio di ricerca del Congresso, a marzo di quest’anno Israele è il maggiore destinatario cumulativo di assistenza all’estero degli USA dalla seconda guerra mondiale, avendo ricevuto 158 miliardi di dollari in assistenza bilaterale e fondi per la difesa missilistica; quasi tutto l’aiuto bilaterale degli USA a Israele è militare. Non è fare polemica sostenere che i dollari dei contribuenti supportano un sistema crudele di dominio e di crimini contro l’umanità.

Avendo occupato una posizione apicale nell’associazione, conosco direttamente la difficoltà di rispondere ai vari punti di vista dei suoi membri, adeguando le decisioni ai valori fondanti e alla missione dell’organizzazione, fra cui la protezione della libertà accademica, preoccupandosi della sostenibilità dell’associazione e mantenendo una bussola morale rispetto ai temi umani e politici in oggetto. Sono anche consapevole del danno potenziale che potrebbe causare all’associazione: alcuni potrebbero ritirare la propria adesione, alcuni donatori potrebbero smettere di finanziarla e alcuni incontri annuali non potrebbero svolgersi in centri congressi pubblici negli Stati in cui vigono leggi anti-boicottaggio.

Tenendo a mente tutto ciò, la proposta di boicottaggio merita un’attenta analisi. Richiede all’AAA di impegnarsi in un boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane fino a quando queste istituzioni porranno fine alla loro complicità nel violare i diritti palestinesi stabiliti dal diritto internazionale; implementare questo boicottaggio d’accordo con le procedure di governance, statuti e missione dell’associazione; riconoscere che questo boicottaggio riguarda solo le istituzioni accademiche israeliane e non gli studiosi a livello individuale e che gli antropologi che sono membri dell’AAA sono liberi di stabilire se e come applicare il boicottaggio nella propria pratica professionale; sostenere i diritti di tutti gli studenti e accademici ovunque di intraprendere ricerche e interventi pubblici su Palestina e Israele e a favore del movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

Riconosco che talvolta certi principi possono entrare in contraddizione. Se il boicottaggio dell’AAA danneggia la libertà accademica, ciò deve essere valutato rispetto ai morti e alle case distrutte che sono la tragedia dei palestinesi. Se dei membri cancelleranno la propria sottoscrizione e alcuni donatori si ritireranno, coloro che sostengono il boicottaggio dovranno impegnarsi a portare ognuno 1-2 nuovi membri e a offrire all’associazione un sostegno finanziario oltre alla quota di iscrizione. Ogni altra minaccia o danno all’AAA possono essere affrontati con l’impegno di prenderne le difese. Se il boicottaggio si rivela inefficace, esso deve essere valutato considerando l’alternativa di complicità con il silenzio sulle condizioni dei palestinesi sotto l’apartheid che li lascia isolati, soli e invisibili.

Lottando con la necessità di prendere una decisione, sono consapevole del mio obbligo speciale da antropologa di considerare le sofferenze di altri. Comprendo anche che l’incolumità e la sicurezza possono solo giungere quando tutte le persone sono sicure e protette: militarismo, occupazione e apartheid sono controproducenti al raggiungimento di questo obiettivo. Sono consapevole delle strutture di potere che riproducono diseguaglianze e delle sofferenze sociali che ne risultano e portano a un senso di responsabilità e all’azione in nome di coloro che sono disumanizzati, spossessati e scacciati. Ho esaminato i dati e le posizioni e sono a conoscenza dei rischi che potrebbe correre l’associazione, considerando le minacce già ricevute e quelle che potrebbero continuare ad arrivare. Da ebrea ho cercato insegnamenti etici nel libro di preghiere di mia madre che mi aiutassero a guidarmi. Forse nessuno di essi è più importante o rilevante dell’imperativo di perseguire “giustizia, giustizia,” una parola scritta due volte per “insegnarci che dobbiamo praticare la giustizia sempre, sia per il nostro profitto che nel caso ci arrecasse una perdita e verso tutti gli uomini [sic], ebrei e non ebrei, allo stesso modo.”

In conclusione io voterò a favore della risoluzione per il boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane, l’unica decisione suggeritami dalla mia coscienza.

Le opinioni qui espresse sono dell’autrice e non rappresentano la posizione dell’American Anthropological Association o dei suoi dirigenti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele isola università palestinesi

Maureen Clare Murphy

11 luglio 2019 – Electronic Intifada

Israele sta isolando le università palestinesi per obbligare studiosi internazionali a lasciare i propri incarichi accademici nella Cisgiordania occupata.

Due gruppi palestinesi per i diritti umani, così come l’università di Birzeit, stanno chiedendo a Israele di togliere le restrizioni che impediscono ad accademici internazionali di lavorare in Cisgiordania e di rendere nota “una procedura chiara e legale per il rilascio di visti di ingresso e di lavoro.”

La politica di Israele di negare a stranieri l’ingresso in Cisgiordania, così come di negare e non trattare per tempo le richieste per l’estensione dei visti, ha colpito decine di studiosi che lavorano nelle università palestinesi.

Ranking a rischio

L’istituzione educativa e i gruppi per i diritti affermano che le restrizioni israeliane minacciano il ranking di Birzeit, inclusa nel 3% delle migliori università del mondo. La percentuale di docenti e studenti internazionali è un indicatore fondamentale per determinare il livello dell’università.

Impedendo a Birzeit di assumere corpo docente straniero, Israele sta ostacolando la sua possibilità di funzionare come un’università che risponda agli standard internazionali,” hanno affermato l’università e i gruppi per i diritti “Al-Haq” e “Adalah”.

Negli ultimi due anni quattro docenti a tempo pieno e tre a tempo parziale di Birzeit, la più antica università palestinese aperta in Cisgiordania, sono stati obbligati a lasciare il Paese e non hanno potuto continuare ad insegnare dopo che Israele ha rifiutato di rinnovare i loro visti.

Quest’anno Israele ha negato l’ingresso a due [docenti] stranieri con contratti a tempo pieno alla Birzeit. Sei membri del corpo docente sono attualmente senza visto valido e altri cinque, compreso un direttore di dipartimento, “sono all’estero senza chiare indicazioni se potranno tornare.”

Decine di membri del personale e docenti stranieri sono stati “colpiti durante gli ultimi due anni dalle restrizioni israeliane riguardo alle richieste di nuovi visti o di prolungamento del visto o dal rifiuto di consentire loro di entrare in Cisgiordania.”

Molti sono palestinesi con passaporto internazionale e la maggioranza proviene dagli USA e da Stati membri dell’Unione Europea.

La politica di Israele nei confronti degli accademici stranieri “viola la libertà delle università di espandere le aree di ricerca e di studio che offrono agli studenti sia palestinesi che stranieri. Di conseguenza Israele sta impedendo alla popolazione palestinese occupata di decidere da sé che tipo di educazione voglia avere.”

Un regolamento emanato dal COGAT, il braccio burocratico dell’occupazione militare israeliana, consente a “docenti ed esperti” stranieri di presentare domanda per un visto di soli tre mesi. Nel contempo le università israeliane “possono reclutare professori stranieri con una procedura separata che consente l’ingresso e il lavoro di stranieri per periodi fino a cinque anni.”

Regime dei permessi

Il regime dei permessi israeliani impedisce ai palestinesi di Gaza di studiare nelle università della Cisgiordania e viceversa.

Una volta gli studenti di Gaza rappresentavano il 35% degli iscritti nelle università della Cisgiordania. A causa del blocco israeliano che dura da più di 10 anni, lo scorso anno la disoccupazione tra i neolaureati ha raggiunto a Gaza circa l’80%.

Le associazioni internazionali di docenti, comprese l’“Associazione per gli Studi sul Medio Oriente”, con sede negli USA, “Docenti della California per la Libertà Accademica” e la “Società Britannica per gli Studi sul Medio Oriente”, hanno condannato le restrizioni israeliane sui docenti stranieri nelle università palestinesi. Nel contempo accademici e ricercatori europei hanno chiesto la fine dei finanziamenti dell’UE alle istituzioni accademiche israeliane con “stretti legami con l’industria militare israeliana.”

L’Unione Europea ha destinato più di 800 milioni di dollari ai ricercatori israeliani, soprattutto attraverso il suo programma di finanziamenti “Horizon 2020”.

Dal 2004 gruppi della società civile palestinese hanno chiesto un boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane.

L’appello al boicottaggio afferma che tali istituzioni “hanno contribuito direttamente a mantenere, difendere o comunque giustificare” l’oppressione dello Stato di Israele o “con il loro silenzio” sono state complici.

In quella che si dice sia la prima volta, un’associazione di studiosi della salute mentale ha appena annullato il progetto di tenere la sua conferenza del 2021 a Gerusalemme.

ENMESH” avrebbe preso la decisione dopo la reazione fortemente negativa di alcuni membri della direzione che non vogliono che l’organizzazione passi i prossimi due anni sotto pressione da parte di attivisti solidali con i palestinesi.

Secondo il giornale israeliano Haaretz, “è la prima volta che un’organizzazione di questo genere fa marcia indietro su sulla decisione già approvata di tenere un convegno in Israele, dimostrando il fatto che la campagna di boicottaggio delle istituzioni accademiche israeliane forse sta prendendo piede.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




Stephen Hawking e Hamas: come uno scienziato ha preso la parola a favore dei palestinesi

Redazione di MEE

mercoledì 14 marzo 2018,Middle East Eye

Nel 2006 il fisico, morto mercoledì, incontrò il primo ministro israeliano Ehud Olmert, ma auspicò colloqui tra Israele ed Hamas dopo la guerra contro Gaza del 2008-09

Mercoledì si sono resi omaggi al famoso fisico inglese Stephen Hawking – ricordandolo non solo per la genialità della sua mente come scienziato, ma anche come appassionato attivista che ha prestato la propria impareggiabile voce a cause come il diritto dei palestinesi a resistere e per chiedere la fine della guerra in Siria.

Hawking, morto mercoledì mattina a 76 anni, raggiunse la fama internazionale in seguito alla pubblicazione nel 1988 di “Una breve storia del tempo”, il suo libro sulla ricerca di fisica teorica per una teoria unitaria che permettesse di risolvere [la contraddizione tra] la relatività generale e la meccanica quantistica.

Il libro arrivò a vendere più di 10 milioni di copie e trasformò Hawking in uno dei più rinomati scienziati al mondo.

A quel tempo Hawking era costretto su una sedia a rotelle e in grado di parlare solo tramite il suo particolare sintetizzatore vocale, poiché all’età di 22 anni gli venne diagnosticata una patologia neuronale.

Tra quanti hanno postato sui social media omaggi alla sua memoria ci sono stati i militanti per i diritti dei palestinesi, che hanno ricordato il suo appoggio al movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS), che chiede il boicottaggio accademico di Israele.

Nel 2013 Hawking si è ritirato da una conferenza a Gerusalemme sul futuro di Israele, affermando di aver deciso di “rispettare il boicottaggio” in base al parere di accademici palestinesi.

Hawking è stato condannato da sostenitori di Israele ; un portavoce del ministero degli Esteri israeliano ha detto: “Mai uno scienziato di una tale importanza ha boicottato Israele.”

Israel Maimon, il presidente della conferenza, ha affermato: “Il boicottaggio accademico di Israele secondo noi è vergognoso e scorretto, sicuramente da parte di una persona per la quale lo spirito di libertà è alla base della propria missione umana e accademica.”

Nel gennaio 2009, parlando con Al Jaazera dell’invasione israeliana di Gaza, “Piombo fuso”, in cui vennero uccisi più di 1.000 palestinesi, Hawking disse: “Un popolo sotto occupazione continuerà a resistere in ogni modo possibile. Se Israele vuole la pace dovrà parlare con Hamas come la Gran Bretagna ha parlato con l’IRA (l’Irish Republican Army) [il gruppo armato degli indipendentisti irlandesi, ndt.].”

Hamas è il rappresentante democraticamente eletto del popolo palestinese e non può essere ignorato.”

In quel periodo la posizione di Hawking sulla Palestina sembrò essersi radicalizzata, dai tempi della visita di otto giorni in Israele nel 2006, quando si incontrò con l’allora primo ministro Ehud Olmert.

Durante quel viaggio Hawking tenne anche una lezione presso l’Università Ebraica di Gerusalemme e visitò l’università [palestinese] di Birzeit nella Cisgiordania illegalmente occupata.

Hawking ha anche utilizzato la sua pagina Facebook per appoggiare gli scienziati palestinesi, chiedendo lo scorso anno ai suoi followers di donare fondi per sostenere l’apertura di una seconda scuola palestinese di studi di fisica avanzata.

Nel 2014 Hawking ha anche fatto sentire la propria voce sulla guerra in Siria, come parte di una campagna di “Save the Children”, per ricordare quello che allora era il terzo anno del conflitto, dando voce alle esperienze dei bambini colpiti dagli scontri.

Hawking ha affermato: “Quello che sta avvenendo in Siria è un abominio che il mondo sta guardando impotente dall’esterno. Dobbiamo lavorare insieme per porre fine a questa guerra e per proteggere i bambini siriani.”

Nel 2003 Hawking si espresse anche contro l’invasione dell’Iraq guidata dagli USA.

Nel 2004, rivolgendosi ad un raduno contro la guerra, Hawking disse che la guerra era stata giustificata sulla base delle “due menzogne”, secondo cui l’Iraq possedeva ordigni di distruzione di massa e insinuazioni su legami tra il governo di Saddam Hussein e gli attacchi dell’11 settembre 2001 contro gli USA.

È stata una tragedia per tutte le famiglie. Se questo non è un crimine di guerra, che cos’è?” disse Hawking. “Mi scuso per la mia pronuncia. Il mio sintetizzatore vocale non è stato impostato per i nomi iracheni.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Pensiero critico sul boicottaggio culturale

Marguerite Dabaie

The Electronic Intifada, 11 Dicembre 2017

Assuming Boycott: Resistance, Agency, and Cultural Production edited by Kareem Estefan, Carin Kuoni and Laura Raicovich, OR Books (2017)

Assuming Boycott è una raccolta di saggi che derivano da presentazioni e seminari di diversi scrittori, studiosi e artisti che fanno attivismo usando boicottaggi culturali come un mezzo per (generare) il cambiamento. Tutti gli autori hanno partecipato o fatto esperienza di simili boicottaggi.

Il libro è diviso in quattro capitoli. Il primo contiene saggi che analizzano criticamente il boicottaggio culturale del Sud Africa durante l’apartheid. A questo segue un capitolo sul movimento a guida palestinese di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS).

Il terzo capitolo mette in discussione le dinamiche di potere dietro ai movimenti di boicottaggio chiedendosi se le diseguaglianze all’interno di questi movimenti determinino chi parla per chi. Il capitolo finale analizza i boicottaggi in base alla distanza – “geografica, politica, culturale, anche temporale”.

Nell’insieme Assuming Boycott prende in considerazione i passi che sono stati compiuti per iniziare i boicottaggi, e le ragioni dietro di essi, nonché i loro effetti, positivi e negativi.

Come suggerisce il titolo del libro, la raccolta comincia dall’assunto, come sostenuto nell’introduzione di uno dei curatori del libro, Kareem Estefan, che “l’arte non trascende le condizioni politiche in cui viene esibita, e che gli artisti stanno assumendo sempre più l’atteggiamento di chiedere che la loro arte sia esposta e circoli in accordo con la loro etica e la loro solidarietà.”

Il libro ha lo scopo di esporre i lati postivi e negativi dei movimento di boicottaggio, ma i curatori, giudicando dall’introduzione, sono decisamente a favore dell’utilizzo dei boicottaggi culturali come mezzo per [generare] il cambiamento.

Estefan argomenta che “le azioni di boicottaggio sono spesso inizi piuttosto che chiusure, che spesso generano discussioni critiche e produttive invece di chiudere il dialogo.”

    1. Ricordando l’apartheid

Cominciare il libro con il caso sudafricano è un’introduzione efficace sui movimenti di boicottaggio poiché – chiaramente – il paese è in una situazione di post-apartheid. Tuttavia, come sostenuto nell’introduzione a questa sezione, “c’è il pericolo che il boicottaggio del Sudafrica possa divenire storicamente chiuso in sé, ricordato solo come un evento concluso e passato.”

I saggi qui analizzano molteplici aspetti della resistenza culturale all’apartheid, inclusi quelli svolti tramite le arti visive, la musica, lo sport (con una nota sul fatto che il BDS finora non si è avvalso dei boicottaggi sportivi).

Sean Jacobs, professore associato di “Relazioni internazionali” alla ‘The New School’ a New York City, sostiene in “The Legacy of the Cultural Boycott Against South Africa” che il boicottaggio all’inizio ebbe successo – con artisti americani ed europei che si rifiutavano di andare in Sud Africa a esibirsi – a causa delle eventuali sanzioni internazionali che costringevano i sud-africani bianchi a smettere di considerarsi come “avamposto della civiltà occidentale.”

Hlonipha Mokoena, professoressa associata e ricercatrice a Witwatersrand, Johannensburg, tratta il boicottaggio nell’industria della musica in “Kwaito: The Revolution Was Not Televised; It Announced Itself In Song”, e nota: “C’era confusione su chi o cosa veniva boicottato.”

Mokoena sostiene che non c’era un’idea unica di cosa fosse esattamente il boicottaggio, e che ad alcuni artisti sudafricani – anche se erano contro l’apartheid – veniva impedito di esibirsi oltremare.

La consapevolezza di cosa ha funzionato o no in Sudafrica costituisce lo sfondo per il capitolo successivo sul movimento BDS. Joshua Simon, curatore dei musei di Bat Yam, situati in Israele, descrive il BDS come un mezzo efficace per contestare il neoliberismo su scala internazionale.

Simon sostiene, in Neoliberal Politics, Protective Edge, and BDS, che mettere in difficoltà investitori presenti e potenziali potrebbe “causare la crescita del debito estero, minando il valore del credito israeliano e incrementando fortemente gli interessi che [Israele] paga per il proprio debito.” Inoltre, egli aggiunge che “le sanzioni toccano la sovranità neoliberista dove fa più male.”

    1. Co-Resistenza

Ariella Azoulay – professoressa di studi dei media, editrice e regista di film documentari – sostiene, nel suo saggio “We, Palestinians and Jewish Israelis: The Right Not to Be a Perpetrator”, che l’appello al boicottaggio di Israele è positivo per gli ebrei israeliani in quanto dà loro modo di non essere “cittadini-colpevoli”, una cosa di cui essi sono privati per il fatto di vivere su terra palestinese.

Azoulay afferma che, anche se gli israeliani si rifiutano di servire nell’esercito, e viene imposto loro un periodo in carcere di conseguenza, essi rientreranno per forza di cose dentro all’oppressione quotidiana dei palestinesi una volta che vengono rilasciati.

Anche l’artista Yazan Khalili arriva a questa conclusione in “The Utopian Confict”: “Invece di boicottare Israele a sostegno dei soli palestinesi, non si potrebbe svolgere il boicottaggio anche a sostegno dell’emancipazione dei soggetti ebrei dallo Stato di Israele?”

Il BDS – scrive la professoressa di studi giuridici e avvocatessa per i diritti umani Noura Erekat in “The Case for BDS and the Path to Co-Resistance” – non può essere basato sulla collaborazione tra palestinesi ed israeliani, ma deve essere fondato [piuttosto] sulla resistenza contro Israele, perché “gli israeliani non sono vicini, e nemmeno occupanti, ma dominatori coloniali e beneficiari della rapina tutt’ora in corso nei confronti dei palestinesi.”

E’ vero che la maggior parte del libro si concentra sui boicottaggi culturali, ma ci sono anche alcuni saggi che si focalizzano sui boicottaggi accademici. L’enfasi qui è posta, per esempio, sull’idea che le università che aderiscono ai principi del BDS devono “divenire luoghi di co-resistenza e non, come spesso viene sostenuto, luoghi di divisione.”

Ciò è articolato in una conversazione intitolata “Extending Co-Resistance” [Estendere la Co-Resistenza] tra Eyal Weizman, direttore del Centre for Research Architecture a Goldsmith, Università di Londra, e il co-curatore del libro Kareem Estefan.

Weizman fa notare che il fatto che gli Stati Uniti e diversi Stati europei abbiano denunciato il BDS (in alcuni casi lo hanno criminalizzato) è un segnale che questi paesi hanno rinunciato all’idea di risolvere il conflitto.

Dopotutto, egli sostiene, i principi del movimento BDS dovrebbero essere incontestabili. Tuttavia, agli occhi di molti governi occidentali oggi tendenti alla destra, Israele sembra “un pioniere nella gestione dei rifugiati indesiderati, dei poveri e di coloro che sono espropriati di tutto” nel suo trattamento dei palestinesi, il che fa sembrare il movimento BDS basato sui diritti umani antitetico rispetto agli interessi di questi governi.

Consiglio sensato

Tania Bruguera, un’artista che ha assistito alla repressione della libertà di espressione cubana, ha descritto quanto ha appreso in quel periodo in “The Shifting Grounds of Censorship and Freedom of Expression”. Tra queste cose c’è la sua motivazione a creare arte pubblica, “in quanto gli artisti cubani… non sono abituati a vedere la sfera pubblica come un’opzione.” Gli artisti, sostiene, devono prendersi la responsabilità di andare “agli avamposti di una lotta e di raccontare storie per controbilanciare la propaganda ufficiale e lottare contro lo status quo.”

L’artista Naeem Mohaiemen partecipa con la sua esperienza di contestazione delle condizioni di lavoro dei lavoratori migranti durante la costruzione del Guggenheim sull’isola di Saadiyat, ad Abu Dhabi. La critica presentata come un’installazione artistica è ampiamente accettata, sostiene in “The Loneliness of the Long-Distance Campaign.” Tuttavia, quando gli artisti negoziano o protestano di fatto con gli amministratori, questo viene visto come atto di ribellione.

La raccolta di saggi fornisce una guida su come sostenere un boicottaggio accademico e, attraverso le sue caute parole, offre buoni consigli sulle sfide attuali e potenziali che minacciano di impedire i movimenti di boicottaggio.

Gli artisti potrebbero trovare il libro particolarmente utile dato che diversi artisti hanno condiviso i loro personali aneddoti e consigli per l’impegno nei boicottaggi culturali.

Tuttavia, forse a causa dell’ampio numero di scrittori e dei loro diversi punti di vista, la raccolta può sembrare disorganica. Questo è particolarmente evidente nell’ultimo capitolo, dove i saggi non sono coesi.

Nonostante questo, Assuming Boycott riporta attentamente (vari) racconti sul boicottaggio in un momento in cui i governi occidentali stanno penalizzando le persone per il fatto di esercitare il loro diritto a resistere. Per coloro che desiderano sapere di più sui movimenti di boicottaggio è una lettura molto utile.

Marguerite Dabaie è un’illustratrice palestinese-americana e una vignettista che vive a Brooklyn, New York. Il suo lavoro può essere visto su www.mdabaie.com.

(Traduzione di Tamara Taher)