A Gaza quasi ogni plotone dell’IDF [esercito israeliano, n.d.t.] usa uno scudo umano: un sotto-esercito di schiavi palestinesi

Anonimo

30 marzo 2025-Haaretz

I soldati costringono regolarmente palestinesi innocenti a entrare nelle case di Gaza per assicurarsi che non ci siano terroristi o esplosivi. Allora perché la divisione investigativa criminale della polizia militare dell’IDF sta aprendo solo sei indagini sull’uso di scudi umani?

A Gaza i soldati israeliani usano scudi umani almeno sei volte al giorno.

Ho prestato servizio a Gaza per nove mesi e mi sono imbattuto per la prima volta in queste procedure, chiamate “protocollo zanzara”, nel dicembre 2023. Erano passati solo due mesi dall’inizio dell’offensiva di terra, molto prima che ci fosse carenza di cani dell’unità cinofila dell’IDF, Oketz, che venivano usati per questo scopo. Questa divenne la folle scusa non ufficiale per questa dissennata procedura non ufficiale. Allora non mi rendevo conto di quanto sarebbe diventato onnipresente l’uso di scudi umani, che chiamavamo “shawish” [dal nome di una famiglia allargata araba che ha servito nella polizia del mandato britannico e possiede alcuni negozi nella Gerusalemme vecchia, n.d.t.].

Oggi quasi ogni plotone ha uno “shawish” e nessuna forza di fanteria entra in una casa prima che uno “shawish” la “liberi”. Ciò significa che ci sono quattro “shawish” in una compagnia, dodici in un battaglione e almeno 36 in una brigata. Gestiamo un sotto-esercito di schiavi. La procedura è semplice. Palestinesi innocenti sono costretti a entrare nelle case di Gaza e a “sgomberarle”, per assicurarsi che non ci siano terroristi o esplosivi.

Di recente ho visto che la Divisione investigativa criminale della polizia militare dell’IDF [la MPCID, n.d.t.] ha aperto sei indagini sull’uso di civili palestinesi come scudi umani e sono rimasto a bocca aperta. Ho già visto insabbiamenti in passato, ma qui si raggiunge un nuovo livello di infamità. Se la MPCID volesse fare seriamente il suo lavoro dovrebbe aprire ben più di mille indagini. Ma tutto ciò che la MPCID vuole è che possiamo dire a noi stessi e al mondo che stiamo indagando su noi stessi, quindi hanno trovato sei capri espiatori e stanno addossando loro la colpa.

Ero presente a una riunione in cui uno dei comandanti di brigata ha presentato il concetto di “zanzara” al comandante di divisione come un “necessario risultato operativo per portare a termine la missione”. Era tutto ritenuto così normale che ho pensato di avere delle allucinazioni.

Già nell’agosto del 2024, quando questa storia è scoppiata su Haaretz e nelle testimonianze raccolte da Breaking the Silence [ONG israeliana di veterani dell’esercito, che raccontano le esperienze nei territori occupati, ndtr.], una fonte di alto livello ha affermato che sia il Capo di Stato Maggiore delle IDF uscente sia il Capo del Comando Meridionale uscente erano a conoscenza della procedura. Non so cosa sia peggio: che non sappiano cosa sta succedendo nell’esercito che comandano, o che lo sanno e continuano a farlo nonostante tutto.

Sono passati più di sette mesi da quando è stata pubblicata quella storia e i soldati hanno continuato a trattenere i palestinesi e a costringerli a entrare nelle case e nei tunnel prima di loro. Mentre il Capo di Stato Maggiore e il Capo del Comando Meridionale continuavano a non dire e fare nulla al riguardo, il protocollo è diventato ancora più diffuso e normalizzato.

Il personale di grado più alto sul campo è a conoscenza dell’uso di scudi umani da più di un anno e nessuno ha cercato di fermarlo. Al contrario, è stato definito come una necessità operativa.

È importante notare che possiamo entrare nelle case senza usare scudi umani. Lo abbiamo fatto per mesi, secondo una corretta procedura di ingresso che includeva l’invio di un robot, un drone o un cane. Questa procedura ha dato i suoi frutti, ma ha richiesto tempo e il comando voleva risultati qui e ora.

In altre parole, abbiamo costretto i palestinesi a fungere da scudi umani non perché fosse più sicuro per le truppe dell’IDF, ma perché era più veloce. Ecco perché abbiamo messo a rischio la vita di palestinesi che non erano colpevoli di altro che essere nel posto sbagliato al momento sbagliato.

La faccenda non è andata avanti senza incontrare resistenza. Soldati e ufficiali hanno resistito. Io ho resistito. Ma è quello che succede quando al comando superiore non importa e ai politici ancora meno. È quello che succede quando sei veloce a premere il grilletto e operativamente sei completamente esausto. È quello che succede quando sei in una guerra senza fine che non riesce a riportare gli ostaggi vivi mese dopo mese. Perdi il giudizio morale. Un amico ufficiale dell’esercito mi ha raccontato di un incidente che hanno vissuto: hanno incontrato un terrorista in una casa che era già stata sgomberata da uno “shawish”. Lo “shawish” era un uomo anziano e quando si è reso conto di aver sbagliato, si è spaventato così tanto che si è sporcato addosso. Non so cosa gli sia successo. Avevo paura di chiedere.

Questo caso dimostra che le giustificazioni che ci hanno dato, ovvero che la procedura sia per motivi di “sicurezza”, non erano vere. Queste persone non sono combattenti professionisti; non sanno come perquisire una casa. I soldati non si fidano di loro perché non sono lì di loro spontanea volontà. A volte, gli “shawish” vengono mandati nelle case solo per darvi fuoco o farle saltare in aria. Non ha nulla a che fare con la sicurezza. Tremo al pensiero di cosa questo faccia alla psiche di chiunque debba entrare in una casa, terrorizzato, al posto di soldati armati. Tremo anche al pensiero di cosa questo faccia a noi israeliani.

Ogni madre che manda il figlio a combattere capisce che il figlio potrebbe ritrovarsi ad afferrare un palestinese dell’età di suo padre, o del fratello minore e costringerlo violentemente a correre davanti a lui, disarmato, in una casa o in un tunnel potenzialmente pieno di trappole esplosive? Non solo non siamo riusciti a proteggere le nostre truppe, ma abbiamo corrotto le loro anime e non c’è modo di sapere cosa questo farà a noi, come società, quando torneranno a casa dalla guerra.

Ecco perché l’inchiesta MPCID è così esasperante. Prima, i soldati sono costretti a usare i palestinesi come scudi umani, poi gli ufficiali usano soldati di grado inferiore come propri scudi umani, mentre noi stiamo ancora cercando disperatamente di riavere indietro gli ostaggi che sono trattenuti, in parte, per servire da scudi umani per Hamas.

Era ovvio che era solo questione di tempo prima che questa storia esplodesse, ma è troppo grande perché la MPCID possa gestirla. Solo una Commissione d’inchiesta statale indipendente potrebbe arrivare in fondo a questa storia.

Fino ad allora abbiamo tutte le ragioni per preoccuparci delle corti internazionali all’Aia perché questa procedura è un crimine, un crimine che persino l’esercito ora ammette. Accade quotidianamente ed è molto più comune di quanto venga detto al pubblico.

Questo articolo è stato scritto da un anonimo ufficiale superiore di una brigata di effettivi.

 

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




La disumanizzazione dei palestinesi da parte della società israeliana è ormai assoluta

Meron Rapoport

23 agosto 2024 – + 972 Magazine

In passato in Israele il dibattito etico in merito alle sue azioni militari poteva essere limitato e ipocrita, ma almeno esisteva. Non questa volta.

Alle 5:40 del mattino del 10 agosto il portavoce delle IDF ha inviato un messaggio ai giornalisti per informarli di un attacco aereo israeliano su un “quartier generale militare situato nel complesso scolastico di Al-Taba’een vicino a una moschea nell’area di Daraj [e] Tuffah, che funge da rifugio per degli abitanti di Gaza City”.

“Il quartier generale”, continuava il portavoce, “è stato utilizzato dai terroristi dell’organizzazione terroristica di Hamas per nascondersi e da lì hanno pianificato e promosso attacchi terroristici contro le forze delle IDF e i cittadini dello Stato di Israele. Prima dell’attacco sono state prese varie misure per ridurre possibili danni ai civili, tra cui l’uso di munizioni di precisione, equipaggiamento visivo e informazioni di intelligence”.

Poco dopo questo annuncio immagini scioccanti della scuola di Al-Taba’een hanno circolato in tutto il mondo, mostrando ammassi di carne smembrata e resti umani raccolti in sacchi di plastica. Le immagini sono state accompagnate da resoconti in base ai quali nell’attacco israeliano erano stati uccisi circa 100 palestinesi, e molti altri erano stati ricoverati in ospedale. La maggior parte delle vittime è stata uccisa durante il fajr, la preghiera dell’alba, in uno spazio apposito all’interno del complesso scolastico.

Come prevedibile, nelle ore e nei giorni successivi si è sviluppata una guerra di narrazioni sul numero di vittime civili. Il portavoce delle IDF ha pubblicato le foto e i nomi di 19 palestinesi che, a suo dire, erano “operativi” di Hamas o della Jihad islamica uccisi nell’attacco; a molti è stata data l’etichetta senza specificare la loro presunta posizione o grado.

Hamas ha negato le accuse. Anche l’Euro-Med Human Rights Monitor ha contestato le informazioni dell’esercito israeliano: la ONG ha scoperto che alcune delle persone sulla lista dell’esercito erano state in effetti uccise in precedenti attacchi a Gaza, che altre non erano mai state sostenitrici di Hamas e che alcune si opponevano addirittura al gruppo. L’esercito ha poi pubblicato un elenco aggiuntivo di altri 13 palestinesi che, a suo dire, erano operativi [di Hamas] uccisi nel bombardamento.

Mentre solo un’indagine indipendente può determinare in modo definitivo l’identità di tutte le vittime dell’attacco, la dichiarazione iniziale del portavoce delle IDF è indicativa del drammatico cambiamento che la società israeliana ha subito per quanto riguarda la vita dei palestinesi a Gaza.

L’annuncio delle IDF affermava esplicitamente che la scuola “serve come rifugio per gli abitanti di Gaza City”, il che significa che le IDF sapevano che i rifugiati erano fuggiti lì per paura dei bombardamenti dell’esercito. La dichiarazione non affermava che ci fossero stati attacchi con armi da fuoco o missili dalla scuola, ma che “i terroristi di Hamas … hanno pianificato e promosso … atti terroristici” da essa. Né affermava che i civili che si erano rifugiati nella scuola avevano ricevuto alcun avvertimento, solo che l’esercito aveva usato “armi di precisione” e “intelligence”. In altre parole, l’esercito ha bombardato un rifugio affollato conoscendo benissimo quali mortali conseguenze il suo assalto avrebbe inflitto.

Come se affamare milioni di persone fosse un hobby

Non dovrebbe sorprendere che i media israeliani abbiano appoggiato le affermazioni del portavoce delle IDF. Nel caso dei clamorosi fallimenti della sicurezza che hanno portato al 7 ottobre, ai media israeliani, e in particolare ai media di destra, è consentito essere critici e scettici nei confronti dell’esercito. Ma quando si tratta di uccidere i palestinesi, questo scetticismo viene buttato fuori dalla finestra: a Gaza, l’esercito ha sempre ragione.

“In guerra le scuole sono off limits”, ha scritto su Haaretz il prof. Yuli Tamir, ex ministro dell’Istruzione israeliano. “Non c’è un solo comandante che dirà: ‘Basta così’?” La risposta è un sonoro no. Ogni guerra comporta un certo livello di disumanizzazione del nemico. Ma sembra che nell’attuale guerra a Gaza la disumanizzazione dei palestinesi sia quasi assoluta.

Dopo ogni guerra combattuta dagli israeliani negli ultimi decenni ci sono state pubbliche manifestazioni di rimorso. Il che è stato spesso criticato come logica di “sparare e piangere”, ma almeno i soldati piangevano.

Dopo la Guerra dei Sei Giorni del 1967 è stato pubblicato il libro di enorme successo “The Seventh Day: Soldiers’ Talk about the Six-Day War” [Il Settimo Giorno: testimonianze dei soldati sulla Guerra dei Sei Giorni, ndt.] , contenente testimonianze di soldati che cercavano di confrontarsi con i dilemmi morali che avevano affrontato durante i combattimenti. Dopo i massacri di Sabra e Shatila del 1982 centinaia di migliaia di israeliani, tra cui molti che avevano prestato servizio nella guerra del Libano, scesero in piazza per protestare contro i crimini dell’esercito.

Durante la prima Intifada molti soldati denunciarono gli abusi sui palestinesi. La seconda Intifada diede vita alla ONG Breaking the Silence. Il discorso morale sull’occupazione potrebbe essere stato ristretto e ipocrita, ma esisteva.

Non questa volta. L’esercito israeliano ha ucciso a Gaza almeno 40.000 palestinesi, circa il 2% della popolazione della Striscia. Ha causato il caos totale, distruggendo sistematicamente quartieri residenziali, scuole, ospedali e università. Negli ultimi dieci mesi centinaia di migliaia di soldati israeliani hanno combattuto a Gaza, eppure il dibattito morale è quasi inesistente. Il numero di soldati che hanno parlato dei loro crimini o difficoltà morali con una seria riflessione o con rammarico, anche in forma anonima, può essere contato sulle dita di una mano.

Paradossalmente la distruzione insensata e gratuita che l’esercito sta causando a Gaza può essere vista attraverso le centinaia di video che i soldati israeliani hanno filmato e inviato ad amici, familiari o partner in segno di orgoglio per le loro azioni. È dalle loro riprese che abbiamo visto le truppe far saltare in aria le università di Gaza, sparare a caso contro le case e distruggere un impianto idrico a Rafah, per citare solo alcuni esempi.

Il generale di brigata Dan Goldfuss, comandante della 98a divisione, la cui lunga intervista nel momento in cui andava in pensione è stata presentata come esempio di comandante che sostiene i valori democratici, ha affermato: “Non provo pena per il nemico… non mi vedrete sul campo di battaglia provare pena per il nemico. O lo uccido o lo catturo”. Non una parola sulle migliaia di civili palestinesi uccisi dal fuoco dell’esercito, o sui dilemmi che hanno accompagnato tale massacro.

Allo stesso modo, il tenente colonnello A., comandante del 200° squadrone che gestisce la flotta di droni dell’aeronautica militare israeliana, all’inizio di questo mese ha rilasciato un’intervista a Ynet in cui ha affermato che durante la guerra la sua unità aveva ucciso “6.000 terroristi”. Quando gli è stato chiesto un commento sull’operazione di salvataggio per la liberazione a giugno di quattro ostaggi israeliani, che ha portato all’uccisione di oltre 270 palestinesi ha risposto: “Come si identifica un terrorista? Abbiamo portato l’attacco contro il lato della strada per allontanare i civili, e chiunque non fosse fuggito, anche se disarmato, per quanto ci riguardava era un terrorista. Tutti quelli che abbiamo ucciso dovevano essere uccisi”.

Questa disumanizzazione ha raggiunto nuovi vertici nelle ultime settimane con il dibattito sulla legittimità dello stupro dei prigionieri palestinesi. In una discussione sulla rete televisiva popolare Channel 12, Yehuda Shlezinger, un “commentatore” del quotidiano di destra Israel Hayom, ha chiesto di istituzionalizzare lo stupro dei prigionieri come parte della pratica militare. Almeno tre parlamentari del partito al governo Likud hanno anche sostenuto che ai soldati israeliani dovrebbe essere consentito di fare qualsiasi cosa, incluso lo stupro.

Ma il primato va al ministro delle Finanze e vice del ministero della Difesa di Israele, Bezalel Smotrich. Il mondo “non ci lascerà causare la morte di fame di 2 milioni di civili, anche se potrebbe essere giustificato e morale finché i nostri ostaggi non saranno restituiti”, si è lamentato in una conferenza a Israel Hayom all’inizio di questo mese.

Le osservazioni sono state fortemente condannate in tutto il mondo, ma in Israele sono state accolte con indifferenza, come se far morire di fame milioni di persone fosse solo un banale passatempo. Se i semi della disumanizzazione non fossero già stati piantati e ampiamente legittimati, Smotrich non avrebbe osato dire una cosa del genere pubblicamente. Dopotutto vede con quanta prontezza il governo e l’esercito israeliani abbiano abbracciato di fatto il suo “Piano Decisivo” per Gaza.

Finché li uccidiamo, meritano di morire”

Quando parliamo della corruzione morale portata dall’occupazione, spesso ricordiamo le parole del prof. Yeshayahu Leibowitz. Nell’aprile del 1968, prima che passasse un anno dall’inizio dell’occupazione israeliana della Cisgiordania e di Gaza, scrisse: “Lo Stato che governa una popolazione ostile di 1,4-2 milioni di stranieri diventerà necessariamente uno Stato Shin Bet [l’intelligence del ministero degli interni israeliano, ndt], con tutto ciò che questo implica riguardo al carattere dell’istruzione, della libertà di parola e di pensiero e della governance democratica. La corruzione, che è una caratteristica di tutti i regimi coloniali, contagerà anche lo Stato di Israele”.

Quando consideriamo l’abisso morale in cui si trova oggi la società israeliana è difficile non attribuire a Leibowitz una capacità profetica. Ma un esame attento delle sue parole rivela un quadro più complesso.

Si potrebbe sostenere che l’Israele del 1968 fosse ancora meno democratico di oggi. Era uno Stato monopartitico governato dal Mapai (il predecessore dell’attuale Partito Laburista), che escludeva non solo i suoi cittadini palestinesi, liberati da solo due anni dalla legge marziale israeliana, ma anche gli ebrei mizrahi dei Paesi arabi e musulmani, e teneva all’angolo gli ebrei religiosi e ultra-ortodossi. I media israeliani difficilmente criticavano il governo e i libri di testo scolastici da cui ho studiato negli anni ’60 e ’70 non erano particolarmente progressisti.

Al di qua della Linea Verde [confine degli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949, ndt.] Israele è molto più liberale oggi di quanto non lo fosse nel 1968. Sempre più donne occupano posizioni direttive, per non parlare delle persone LGBTQ+, la cui stessa esistenza era un crimine. Economicamente Israele è un Paese molto più libero rispetto all’economia statalista centralizzata degli anni ’60 (e le disuguaglianze sono cresciute di conseguenza), e il Paese è molto più connesso al resto del mondo.

Si potrebbe sostenere che questa non è una contraddizione, ma che si tratta piuttosto di processi complementari. L’occupazione non ha solo arricchito Israele (nel 2023, ad esempio, le esportazioni militari hanno raggiunto un record di 13 miliardi di dollari), ma lo ha aiutato a mantenere due sistemi di governo paralleli (colonialismo e apartheid nei territori occupati e democrazia liberale per gli ebrei all’interno della Linea Verde) e forse anche due sistemi morali paralleli. La sconnessione tra l’espansione dei diritti dei cittadini israeliani e la cancellazione dei diritti dei sudditi palestinesi è diventata una parte inscindibile dello Stato. “Villa nella giungla” non è solo un termine pittoresco, descrive l’essenza del regime israeliano.

L’attuale governo fascista ha sconvolto quello che un tempo era un equilibrio più delicato. Trasformando il “liberalismo” in un nemico, politici come Yariv Levin, Simcha Rothman e i loro soci stanno cercando di abbattere la barriera tra i mondi paralleli attraverso il loro colpo di stato giudiziario. Le posizioni di rilievo assegnate a razzisti e fascisti come Smotrich e Itamar Ben Gvir hanno contribuito a questo processo.

Di fronte alle atrocità inflitte da Hamas il 7 ottobre il discorso di questi fascisti israeliani rimane la voce principale nel dibattito pubblico, poiché il presunto Israele liberale, che ha ignorato l’occupazione per anni, non ha saputo collocare la violenza di Hamas in un contesto più ampio di oppressione strutturale e apartheid. È così che siamo arrivati ​​al punto in cui nella società israeliana dominante non c’è una vera opposizione alla totale disumanizzazione dei palestinesi.

La macchina per uccidere israeliana non sa come fermarsi, ha scritto Orly Noy di +972 e Local Call su Facebook dopo il bombardamento della scuola di Al-Tabaeen, perché agisce per inerzia e tautologia. Sta agendo per inerzia perché fermarla costringerebbe Israele a interiorizzare ciò che ha causato, quale atrocità dalla portata epocale è iscritta nel suo nome… Ed è qui che entra in gioco il ragionamento tautologico: finché uccidiamo, è ovvio che loro meritano comunque di morire”. Proprio come ha detto il comandante del 200° Squadrone qualche giorno dopo.

Tuttavia, all’interno della Linea Verde ci sono ancora una società civile e un campo liberale che detengono un potere considerevole, come si vede nelle manifestazioni settimanali contro il governo. La domanda è cosa succederà se si raggiungerà un cessate il fuoco e la “macchina di sterminio” israeliana sarà costretta a fermarsi. Parti della società israeliana si renderanno conto che la violenza sfrenata che Israele ha scatenato dal 7 ottobre, e le forze di disumanizzazione che la guidano, minacciano l’esistenza stessa dello Stato?

“Il silenzio è abietto”, ha scritto Ze’ev Jabotinsky nella poesia che è diventata l’inno del movimento sionista revisionista Beitar, il capostipite del Likud. Il fatto che Netanyahu e i suoi partner abbiano bisogno del rumore di una guerra incessante è chiaro. La domanda è perché il campo liberale stia zitto.

Meron Rapoport è un redattore di Local Call.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Soldato israelo-americano ha postato video che mostrano l’esplosione di case e moschee a Gaza

Alice Speri

3 agosto 2024 – The Guardian

I militari delle IDF hanno condiviso molti video sul loro comportamento a Gaza. Il soldato israelo-americano afferma che i suoi video sono stati “interpretati fuori contesto”.

Un israelo-americano schierato a Gaza con un’unità del genio militare delle forze armate israeliane ha postato in rete video che mostrano il fuoco indiscriminato contro un edificio distrutto e l’esplosione di case e di una moschea.

Uno dei video postati dall’uomo, Bram Settenbrino, e filmato dal punto di vista del tiratore, mostra decine di raffiche sparate contro le rovine di un edificio. Un altro video mostra quello che sembra essere il sistema di puntamento di un blindato che spara contro una moschea prima che sia rasa al suolo. Un altro raffigura l’esplosione di varie case mentre i soldati esultano.

Non è chiaro se Settembrino abbia filmato i video di persona o sia stato coinvolto negli atti che vi sono mostrati, ma le Forze di Difesa Israeliane (IDF) e Settembrino non mettono in discussione l’autenticità dei video. Recentemente sono diventati virali su X, attirando l’accusa di mostrare “crimini di guerra”. In un messaggio al Guardian Settembino ha scritto che i video sono stati “interpretati fuori contesto”, ma si è rifiutato di approfondire. “Non ho commesso assolutamente alcun crimine di guerra,” ha aggiunto.

Dopo che il Guardian ha contattato Settembrino e la sua famiglia, suo padre ha pubblicato una risposta attraverso Arutz Sheva, un sito di notizie legato alla destra dei coloni, attribuita a suo figlio. “Il fuoco della mitragliatrice del video in questione erano spari di copertura in una zona priva di civili dopo che la mia squadra è stata attaccata da terroristi di Hamas da quell’area. La moschea che è stata fatta saltare in aria era stata utilizzata per ospitare terroristi armati e depositi di armi e usata come base per attaccare i soldati delle IDF.

Il padre del soldato ha affermato che suo figlio ha “inviato un video di auguri dedicando l’esplosione per festeggiare il nuovo matrimonio di un amico”, e che da quando i video hanno iniziato a circolare l’azienda di famiglia ha ricevuto minacce.

Durante i 10 mesi di guerra i soldati israeliani hanno condiviso molti video che li mostrano mentre si prendono gioco dei palestinesi a Gaza e distruggono proprietà palestinesi. Alcuni sono stati utilizzati come prove nella denuncia per genocidio contro Israele di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia. Dall’inizio della guerra le forze israeliane hanno ucciso più di 39.000 palestinesi, cacciato la maggior parte dei 2.3 milioni di abitanti di Gaza e distrutto più di metà delle strutture della Striscia.

Con migliaia di americani che prestano servizio nelle IDF, potenziali condotte scorrette documentate dagli stessi soldati sollevano questioni scomode per i politici USA riguardo alla loro volontà di applicare le leggi federali contro cittadini che partecipano a una guerra all’estero finanziata e appoggiata dal governo USA.

Le vastissime distruzioni delle proprietà, quando “non giustificate da necessità militari e messe in atto illecitamente e arbitrariamente” sono una violazione delle leggi internazionali che regolano i conflitti e in base alle leggi USA un crimine di guerra.

Gli USA hanno l’obbligo di garantire il rispetto delle convenzioni di Ginevra, una serie di trattati internazionali che regolano i conflitti armati, afferma Brian Finucane, un ex consulente legale del Dipartimento di Stato USA. “Se cittadini statunitensi stanno violando le convenzioni di Ginevra o commettendo crimini in Israele e Palestina ciò coinvolge gli obblighi degli USA,” dice, aggiungendo che in base alla legge federale sui crimini di guerra gli USA hanno l’autorità di perseguire i responsabili di crimini di guerra quando la vittima o il colpevole siano cittadini USA o quando gli autori di qualunque nazionalità siano si trovino sul suolo statunitense.

Le IDF non hanno risposto a domande riguardanti il perché la moschea e le case presenti nei video di Settembrino siano stati presi di mira, ma ha abitualmente sostenuto che gli edifici che ha distrutto venivano usati da combattenti di Hamas. In genere i corpi del genio militare piazzano esplosivi negli edifici che identificano come bersagli e li fanno esplodere da remoto, una demolizione più controllata che bombardandoli dall’aria o con un carrarmato.

Il video che mostra la distruzione della moschea è datato 10 dicembre, all’incirca quando l’unità di Settembrino era schierata nel nord della Striscia. In marzo le fonti ufficiali palestinesi hanno detto che nella Striscia le forze israeliane hanno distrutto in parte o totalmente più di 500 moschee.

Associazioni per i diritti umani hanno chiesto all’amministrazione Biden di indagare i crimini commessi a Gaza come potenziali violazioni delle leggi USA. Prima del viaggio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu negli USA la scorsa settimana il Center for Constitutional Rights [Centro per i Diritti Costituzionali, organizzazione giuridica progressista statunitense, ndt.] ha sollecitato il Dipartimento della Giustizia USA a indagare su di lui e altri responsabili di gravi crimini commessi a Gaza, “compresi eventuali cittadini USA e con doppia cittadinanza.”

Brad Parker, direttore associato di politica del CCR afferma: “Le leggi penali federali vietano e puniscono, tra gli altri gravi crimini internazionali, il genocidio, i crimini di guerra e la tortura:

Politici e funzionari governativi statunitensi che approvano o agevolano il continuo trasferimento di armi a Israele e singoli cittadini USA che attualmente prestano servizio militare attivo nell’esercito israeliano dovrebbero senza dubbio essere preoccupati della loro responsabilità penale individuale.”

Dall’inizio della guerra a Gaza i tentativi statunitensi di prendere seri provvedimenti nei confronti delle violenze contro i palestinesi si sono concentrati sulla Cisgiordania, dove i politici hanno sanzionato un pugno di coloni, congelando beni che possiedono negli USA e vietando a singoli o istituzioni americane di fare affari con loro. Mentre le sanzioni includono anche un divieto di viaggiare negli USA, ciò non si estende a chi ha cittadinanza statunitense. “Ma ci sono altri strumenti a disposizione del governo USA,” afferma Finucane, notando che i cittadini che commettono reati all’estero potrebbero essere perseguiti da tribunali statunitensi.

Un numero stimato di 60.000 cittadini USA vive in colonie della Cisgiordania. Molti sono profondamente ideologizzati, si ispirano a figure estremiste come Baruch Goldstein, nato a Brooklyn, che nel 1994 massacrò 29 palestinesi a Hebron, e il rabbino Meri Kahane, il cui partito venne dichiarato gruppo terroristico sia negli USA che in Israele. Il Dipartimento di Giustizia non ha risposto a domande riguardo a se stia prendendo in considerazione qualche azione contro i coloni che sono cittadini statunitensi.

Americani nelle IDF

Secondo il Washington Post un numero stimato di 23.380 cittadini USA presta servizio nelle forze armate israeliane, una cifra che le IDF non hanno confermato ma che probabilmente include sia americani che sono andati in Israele con l’intento di servire nell’esercito e soldati nati e cresciuti in Israele ma che hanno la doppia cittadinanza.

Un portavoce del Dipartimento di Stato USA non ha risposto alle domande riguardanti Settembrino e gli obblighi degli USA e ha rinviato al Dipartimento di Giustizia le domande relative alle azioni dei suoi cittadini a Gaza. “Continuiamo a sottolineare che le IDF devono rispettare le leggi umanitarie internazionali,” ha scritto il portavoce. Il Dipartimento di Giustizia non risponde alle ripetute richieste di fornire un commento.

Un portavoce delle IDF si è rifiutato di commentare specificatamente il caso di Settembrino, citando preoccupazioni relative alla privacy, ma in una dichiarazione ha affermato che “le IDF esaminano avvenimenti di questo tipo così come informazioni di video caricati sulle reti sociali e li gestiscono con controllo e misure disciplinari.” Il portavoce si è rifiutato di dire se le IDF disciplinano l’uso delle reti sociali, ma ha affermato di ricorrere alla polizia militare per un’inchiesta sui casi di sospetti comportamenti criminali.

Il portavoce del Dipartimento di Stato non è stato in grado di confermare il numero di americani che prestano servizio nelle IDF, in quanto i cittadini non sono tenuti a comunicare il fatto di prestare servizio militare presso il governo USA.

Fin dall’inizio della guerra Settembrino è stato schierato a Gaza con l’Handasah Kravit, il genio militare delle IDF. Capo scout cresciuto in New Jersey, è andato in Israele da adolescente, diventando uno dei circa 600.000 cittadini USA che vivono lì. Prima si è unito al corpo cinofilo israeliano, un gruppo di civili che addestra e utilizza cani per la ricerca e il salvataggio, e in seguito si è arruolato nelle IDF.

Secondo suo padre, Randy Settembrino, che ha scritto su suo figlio in editoriali per pubblicazioni israeliane ed ebraiche, lo scorso anno questi ha ricevuto dalla sua divisione un premio come “Ottimo Soldato dell’anno”.

Distruggere case è un’attività quotidiana”

I video di Settembrino sono stati diffusi per la prima volta in luglio da un importante account di X sotto il nome di Younis Tirawi, che mette in circolazione video postati da militari. I soldati israeliani hanno condiviso anche video di se stessi che scherzano con giocattoli per bambini e indumenti intimi femminili, bruciano aiuti alimentari per i palestinesi e rastrellano e bendano civili. Un altro video recentemente condiviso da Tirawi, e originariamente postato da un membro dell’unità di Settembrino, mostra la distruzione deliberata di un impianto idrico a Rafah.

Il video di un soldato delle IDF che immortala una grande esplosione a Gaza City mentre il soldato afferma che “il quartiere di Shuja’iyya è sparito… pace a Shuja’iyya,” è stato mostrato in gennaio davanti alla CIG come parte della causa per genocidio intentata dal Sudafrica contro Israele, e altri sono stati citati durante il processo.

Ora tra i soldati c’è la tendenza a filmarsi mentre commettono atrocità contro i civili a Gaza, nella forma di “snuff” video [filmati amatoriali che riprendono fatti realmente accaduti, contenenti scene di violenza che possono contemplare anche la morte dei protagonisti, ndt.],” ha detto alla corte l’avvocato sudafricano Tembeka Ngcukaitobi. Ha citato esempi di soldati che si riprendono mentre distruggono case e dichiarano la propria intenzione di “cancellare Gaza” o “distruggere Khan Younis”, prove potenziali di intenzioni genocide.

Raramente questi video hanno comportato delle conseguenze. Il portavoce delle IDF ha affermato che quando inchieste militari stabiliscono che “l’espressione o il comportamento dei soldati nelle immagini è inappropriato […] ciò viene trattato in modo conseguente,” ma non ha fornito esempi.

Il grande numero di questi video in rete dimostra che i comandi militari non stanno neppure cercando di sanzionare le truppe,” afferma Joel Carmel, membro dell’organizzazione di veterani israeliani Breaking the Silence.

Aggiunge: “Cosa più importante, la questione riguarda meno i video in sé e più quello che dicono riguardo al modo in cui combattiamo a Gaza. Distruggere case e luoghi di culto a Gaza è un’attività quotidiana per i soldati, è l’opposto dei colpi ‘chirurgici’ contro obiettivi accuratamente scelti che ci raccontano le IDF.”

Se gli USA perseguiranno i cittadini americani che combattono per Israele è tanto una questione politica quanto giudiziaria.

Il governo USA potrebbe perseguire quei cittadini USA se partecipano a crimini di guerra,” ha detto al Guardian Oona Hathaway, direttrice del Center for Global Legal Challenges [Centro per le Sfide Giuridiche Globali] della facoltà di Legge di Yale. “Tuttavia, per ovvi motivi, ciò è politicamente improbabile.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele vuole riscrivere le leggi della guerra

Neve Gordon

15 luglio 2024 – Al Jazeera

Se il mondo accetta il modo in cui Israele ora interpreta il principio di proporzionalità, allora il genocidio finirà per essere giustificato.

La maggior parte delle persone probabilmente non lo sa, ma Wikipedia ha una pagina intitolataElenco degli omicidi israeliani”. Inizia nel luglio 1956 e si estende per oltre 68 anni fino ad oggi. La maggioranza sulla lista è palestinese; tra loro ci sono famosi leader palestinesi tra cui Ghassan Kanafani del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina; Khalil Ibrahim al-Wazir di Fatah – noto anche come Abu Jihad; Sheikh Ahmed Yassin di Hamas e Fathi Shaqaqi della Jihad islamica palestinese.

Osservando il lungo elenco è impossibile non notare che il numero degli omicidi e degli attentati compiuti da Israele nel corso degli anni è aumentato in modo esponenziale: da 14 negli anni 70 a ben oltre 150 nel primo decennio del nuovo millennio e 24 dal gennaio 2020.

Mi sono ricordato di questo elenco quando il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha convocato il 13 luglio una conferenza stampa per celebrare il tentativo di Israele di uccidere il comandante militare di Hamas Mohammed Deif a Gaza. Aerei da combattimento e droni israeliani avevano appena colpito il campo di al-Mawasi, che ora ospita circa 80.000 palestinesi sfollati che vivono in tende densamente popolate.

Nel giro di pochi minuti di bombardamento i piloti hanno massacrato almeno 90 palestinesi, tra cui decine di donne e minori, ferendo altre 300 persone. Tutto ciò è avvenuto in unarea che Israele aveva precedentemente designato come zona sicura”. Mentre immagini raccapriccianti di cadaveri carbonizzati e fatti a pezzi riempivano i social media, sono emerse notizie secondo cui Israele ha utilizzato diverse bombe telecomandate da mezza tonnellata prodotte negli Stati Uniti.

Nella sua conferenza stampa presso la sede del Ministero della Difesa a Tel Aviv, poche ore dopo questo bagno di sangue, Netanyahu ha ammesso di non essere assolutamente certo” che Deif fosse stato ucciso, ma ha sostenuto che è proprio il tentativo di assassinare i comandanti di Hamas trasmette un messaggio al mondo, che i giorni di Hamas sono contati”.

Eppure anche una rapida lettura della Lista degli omicidi israeliani” rende chiaro che Netanyahu stava parlando con una lingua biforcuta. Sa fin troppo bene che lassassinio da parte di Israele dei leader politici di Hamas Sheik Yassin e Abdel Aziz al-Rantisi o dei leader militari Yahya Ayyash e Salah Shehade ha fatto ben poco per indebolire il movimento e potrebbe averne aumentato il seguito.

Semmai, anni e anni di omicidi israeliani dimostrano che servono principalmente ai leader israeliani per assecondare e mobilitare i propri elettori. La recente conferenza stampa di Netanyahu non fa eccezione.

Ma per quanto macabra sia la lista di Wikipedia, i nomi in essa contenuti raccontano solo una storia parziale. Questo perché non vi è incluso il numero di civili uccisi durante ogni tentativo di omicidio riuscito o fallito.

Ad esempio, lattacco del 13 luglio è stato lottavo attentato alla vita di Deif, ed è difficile calcolare il numero totale di civili che Israele ha ucciso nel tentativo di assassinarlo. Lelenco di Wikipedia tralascia di registrare come laumento degli omicidi abbia portato a un aumento esponenziale delle morti di civili.

Ciò si chiarisce se confrontiamo lattuale politica di assassinio di Israele con la sua politica durante la Seconda Intifada palestinese. Quando nel 2002 Israele assassinò il capo delle Brigate Qassam di Hamas, Salah Shehade, furono uccise 15 persone tra cui Shehade, sua moglie, la figlia di 15 anni e altri otto minori.

Dopo lattacco ci fu una protesta pubblica in Israele per la perdita di vite civili, con 27 piloti israeliani che firmarono una lettera rifiutandosi di effettuare missioni assassine su Gaza. Quasi un decennio dopo una commissione dinchiesta israeliana scoprì che, a causa di un errore nella raccolta di informazioni”, i comandanti non sapevano che in quel momento cerano dei civili presenti negli edifici adiacenti, e se lo avessero saputo avrebbero annullato lattacco.

I risultati della commissione sono in linea con le leggi sui conflitti armati, che consentono, o almeno tollerano, l’uccisione di civili che non partecipano direttamente alle ostilità purché tali uccisioni non siano “eccessive” rispetto all’utile militare “concreto e diretto” che il belligerante si aspetta di ottenere dallattacco.

Questa regola, nota come principio di proporzionalità, è concepita per garantire che i fini di unoperazione militare giustifichino i mezzi, soppesando il vantaggio militare previsto rispetto al danno civile che ci si aspetta.

Oggi, tuttavia, siamo lontani anni luce dalle conclusioni della commissione sia per quanto riguarda lo spettro di violenze che Israele ha adottato sia per le giustificazioni legali che ora fornisce.

In primo luogo, le forme di guerra israeliane sono cambiate radicalmente dal 2002. Secondo lorganizzazione israeliana Breaking the Silence, composta da veterani militari, due dottrine hanno guidato gli assalti israeliani a Gaza dal 2008. La prima è “nessuna perdita”, e stabilisce che, per proteggere i soldati israeliani, i civili palestinesi possano essere uccisi impunemente; la seconda dottrina raccomanda di attaccare intenzionalmente i siti civili per scoraggiare Hamas.

Non sorprende che queste dottrine abbiano portato a stragi di massa che, secondo le leggi sui conflitti armati, costituiscono crimini di guerra e crimini contro lumanità. Di conseguenza, gli avvocati militari israeliani hanno dovuto modificare la loro interpretazione delle leggi sui conflitti armati in modo da allinearsi alle nuove strategie di guerra.

Se ventanni fa luccisione di 14 civili durante lassassinio di un leader di Hamas era considerata sproporzionata e quindi un crimine di guerra dalla commissione dinchiesta israeliana, nelle prime settimane dopo il 7 ottobre i militari hanno deciso che per ogni giovane agente di Hamas fosse consentito uccidere fino a 15 o 20 civili. Se l’obiettivo è un alto funzionario di Hamas, i militari autorizzano l’uccisione di più di 100 civili per l’assassinio di un solo comandante”.

Ciò potrebbe sembrare vergognoso ma un ufficiale del Dipartimento di Diritto Internazionale dellesercito israeliano in unintervista del 2009 per il quotidiano Haaretz è stato molto schietto riguardo a tali cambiamenti: Il nostro obiettivo militare è quello di non limitare lesercito, ma di dargli gli strumenti per vincere in modo lecito”.

Anche lex capo del dipartimento, il colonnello Daniel Reisner, ha dichiarato pubblicamente che questa strategia è stata perseguita attraverso una revisione del diritto internazionale”.

Se si fa qualcosa per un tempo sufficientemente lungo, il mondo lo accetterà”, ha detto, Lintero diritto internazionale è ora basato sul concetto che un’azione oggi proibita diventa ammissibile se eseguita da un numero sufficiente di Paesi”.

In altre parole, il modo in cui calcoliamo la proporzionalità non è determinato a priori da qualche decreto morale, ma piuttosto dalle norme e dai costumi creati dai militari quando adottano forme di guerra nuove e molto spesso più letali.

Ancora una volta Netanyahu lo sa fin troppo bene. Ha dichiarato di aver approvato personalmente l’attacco ad al-Mawasi dopo aver ricevuto informazioni soddisfacenti sui potenziali danni collaterali” e sul tipo di munizioni da utilizzare.

Ciò che risulta chiaro è che, mentre Israele decima Gaza e uccide decine di migliaia di persone, sta anche tentando di riformulare le norme della guerra e di trasformare in modo significativo le interpretazioni delle leggi sui conflitti armati.

Se Netanyahu e il suo governo riuscissero a rendere accettabile la versione israeliana della proporzionalità tra gli altri attori statali, allora le leggi sui conflitti armati finirebbero per giustificare, anziché impedire, la violenza genocida. In effetti, larchitettura stessa dellintero ordinamento giuridico internazionale è ora in bilico.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono allautore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon è professore di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra. È anche autore di Israel’s Occupation [ed. ital: L’occupazione israeliana, Diabasis 2016, ndt.] e coautore di The Human Right to Dominate [ed. ital.: Il diritto umano di dominare, Nottetempo 2016, ndt.].

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La continua sorveglianza israeliana dei palestinesi ha un ‘effetto dissuasivo’

Usaid Siddiqui

7 maggio 2023Al Jazeera

Attivisti palestinesi dicono che il nuovo programma israeliano di riconoscimento facciale, denunciato da Amnesty International, contribuisce a rafforzare ulteriormente l’occupazione

L’ultima rivelazione dell’organizzazione per i diritti umani Amnesty International sull’utilizzo sempre crescente della tecnologia di riconoscimento facciale da parte di Israele contro i palestinesi non è stata una sorpresa per l’attivista Issa Amro.

Lo vivo, lo sento, ne soffro, il mio popolo ne soffre,” dice ad Al Jazeera da Hebron.

Il 2 maggio Amnesty ha pubblicato un rapporto intitolato Automated Apartheid [Apartheid automatizzato], in cui si descrive nei dettagli il funzionamento del programma israeliano Red Wolf [Lupo Rosso], una tecnologia di riconoscimento facciale usata dall’anno scorso per tracciare i palestinesi e che sembrerebbe collegata a simili programmi precedenti, noti come Blue Wolf e Wolf Pack [Lupo blu, Branco di lupi].

La tecnologia è stata utilizzata ai posti di blocco nella città di Hebron e in altre parti della Cisgiordania occupata scansionando i volti dei palestinesi e confrontandoli con i database esistenti.

Amnesty ha rivelato che, se nei database esistenti non si trovano informazioni sull’individuo, lo si registra nel Red Wolf automaticamente e senza consenso e potrebbe persino essere negato il passaggio attraverso il checkpoint.

In una dichiarazione a The New York Times l’esercito israeliano ha detto che si eseguono “necessarie operazioni di sicurezza e intelligence, con sforzi notevoli per minimizzare i danni alle normali attività quotidiane della popolazione palestinese’’.

Lo scrittore palestinese Jalal Abukhater ha affermato che i sistemi di sorveglianza sono utilizzati per far capire ai palestinesi di non avere diritti.

La gente sente questo effetto dissuasivo, non socializza o non si sposta così liberamente come vorrebbe, non vive normalmente come vorrebbe,” ci ha detto Abukhater dalla Gerusalemme Est occupata.

Questa forma di sistema di sorveglianza è utilizzata proprio per rafforzare l’occupazione… vogliono preservare l’apartheid.”

Secondo Amnesty la rete di sorveglianza con riconoscimento facciale è stata rafforzata anche a Gerusalemme Est, anche nelle vicinanze di luoghi di interesse culturale come la Porta di Damasco, il più ampio ingresso alla Città Vecchia e luogo di frequenti proteste contro le forze di occupazione.

L’anno scorso a febbraio Amnesty ha detto che Israele sta imponendo l’apartheid contro i palestinesi, trattandoli come “un gruppo razziale inferiore”. Altre organizzazioni, fra cui Human Rights Watch, con sede negli USA, e l’associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, sono arrivate a conclusioni simili.

Hebron, occupata da Israele nel 1967, è divisa in due parti: H1, amministrata dall’Autorità Palestinese, e H2, amministrata da Israele in base all’accordo su Hebron del 1997.

Ci sono circa 200.000 palestinesi che vivono in entrambe le parti e parecchie centinaia di coloni israeliani che sono fortemente protetti dall’esercito israeliano.

I palestinesi sono regolarmente costretti a passare tramite i checkpoint e a loro viene impedito di servirsi di parecchie strade importanti e autostrade.

Un laboratorio’

L’attivista Amro dice che i palestinesi che vivono a Hebron sono diventati meri “oggetti” di quelli che lui chiama “esperimenti israeliani”.

Per le loro aziende per soluzioni di sicurezza Hebron è diventato un laboratorio per fare simulazioni, per identificare e risolvere problemi usandoci e commercializzare le loro tecnologie,” dice. “Noi non abbiamo voce in capitolo.”

Israele è annoverato fra i maggiori esportatori di tecnologie cibernetiche di monitoraggio di civili in vari Paesi, tra cui Colombia, India e Messico.

L’azienda di cibersicurezza israeliana NSO Group è stata molto criticata per Pegasus, il suo software di punta, un sistema di spionaggio usato da decine di Paesi per hackerare i telefonini.

Sono stati presi di mira centinaia di giornalisti, attivisti e persino capi di Stato.

Inoltre, aggiunge lo scrittore Abukhater, Israele ha bisogno dei programmi di cibersicurezza come Red Wolf per mantenere i suoi progetti di colonie illegali che si stanno espandendo nei territori occupati.

Tecnologie di sorveglianza come questa [riconoscimento facciale] sono importanti, specialmente dove Israele sta introducendo coloni nel cuore delle cittadine palestinesi. Il fatto che [le colonie] si addentrino profondamente nei quartieri palestinesi in posti come Gerusalemme Est e Hebron crea un sacco di problemi,” dice.

È [la tecnologia di sorveglianza] un modo per controllare i palestinesi e far sì che l’espansione delle colonie continui senza essere ostacolata dalla resistenza palestinese.”

Secondo le Nazioni Unite le colonie israeliane in Cisgiordania sono illegali e in “flagrante violazione” del diritto internazionale.

Sempre osservati’

Secondo Amro gli apparati di sorveglianza hanno avuto un effetto significativo sui movimenti quotidiani dei palestinesi, lui incluso.

Mi sento sempre osservato. Mi sento sempre monitorato … inclusi i miei social media, quando entro e esco da casa mia,” dice.

Delle donne mi hanno chiesto se loro possono vederle nelle camere da letto… è straziante sentire che le donne sono preoccupate per la loro intimità con i mariti, per i loro cari,” aggiunge.

Secondo l’ingegnere elettronico, 43enne, le famiglie sono state costrette ad andarsene da Hebron, massicciamente sorvegliata, in quartieri meno controllati.

Non ti sfrattano direttamente da casa tua. Ma ti rendono impossibile restarci… e molto dipende da queste tecnologie [di sorveglianza] e telecamere ovunque,” dice Amro.

Ori Givati, direttore di advocacy di Breaking The Silence [Rompere il Silenzio] un’organizzazione per i diritti umani di ex soldati israeliani e lui stesso un ex soldato israeliano, dice che i palestinesi “non hanno più spazio privato”.

Se nel passato alcuni pensavano che almeno le loro informazioni private erano sotto il loro controllo, noi abbiamo tolto loro anche quello.”

Per parecchi anni Amnesty ha invocato la proibizione dell’uso della tecnologia di riconoscimento facciale per la sorveglianza di massa, dicendo che era usata per “soffocare le proteste” e “tormentare le minoranze”.

Negli Stati Uniti il riconoscimento facciale ha finito per prendere ingiustamente di mira persone di razza mista. Molte città come Portland e San Francisco hanno proibito il suo utilizzo da parte delle forze di polizia locali, mentre altre stanno discutendo misure simili.

L’utilizzo del riconoscimento facciale ha accelerato il passo in India, dove le autorità l’hanno usato per monitorare raduni politici e proteste contro il partito di governo di estrema destra, il Bharatiya Janata Party, sollevando i timori di un giro di vite contro il dissenso e la libertà di espressione.

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




I coloni festeggiano Purim con altri attacchi contro i palestinesi

Ali Abunimah 

7 marzo 2023 – Electronic Intifada

Lunedì quattro palestinesi, tra cui una ragazza, sono stati portati in ospedale dopo che coloni israeliani li hanno aggrediti a colpi di pietre nel villaggio di Huwwara, nella Cisgiordania occupata.

Si tratta dello stesso villaggio che il mese scorso i coloni, appoggiati da soldati israeliani, hanno assaltato bruciando automobili, case e attività commerciali.

Durante il pogrom è stata uccisa una persona, il trentasettenne Sameh Aqtash, appena tornato dalla Turchia dove era andato volontario per aiutare le vittime del terremoto.

Dopo questo attacco il ministro israeliano delle Finanze Bezalel Smotrich ha rilasciato un appello genocida secondo cui Huwwara deve essere “spazzato via”.

Giovedì mi sono unito a Rania Khalek e Eugene Purvear su BreakThrough News [notiziario di controinformazione con sede negli USA, ndt.] per parlare dell’aggressione contro Huwwara e del contesto più generale dell’estremismo e della violenza israeliani in aumento, soprattutto delle sempre più frequenti incursioni letali nelle città e nei campi profughi palestinesi.

Si può vedere l’intervista completa nel video all’inizio di questo articolo [nella versione originale in inglese, ndt.].

Nonostante la condanna internazionale del primo attacco contro Huwwara, Israele non sta facendo niente per frenare i coloni.

I pogrom a Huwwara continuano anche come parte dei festeggiamenti per Purim dei coloni, appoggiati dal governo e senza che le autorità facciano rispettare la legge,” afferma l’Ong israeliana per i diritti umani Yesh Din.

Lunedì si sono visti coloni ballare e cantare per le strade del villaggio come parte dei festeggiamenti per la festa ebraica di Purim, un’esibizione che un giornalista ha definito uno “spettacolo di suprematismo ebraico”.

Spesso Purim viene festeggiato in maschera, ma per l’avanguardia dei coloni dello Stato israeliano è diventato da tempo un’occasione per sfoggiare il loro razzismo e la loro violenza.

Itamar Ben-Gvir, ora ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, è stato un partecipante entusiasta di questa orribile tradizione.

Nel 1995, da giovane adulto, Ben-Gvir si è travestito da Baruch Goldstein, il colono e medico ebreo americano che un anno prima aveva massacrato 29 palestinesi che stavano pregando nella moschea di Ibrahimi a Hebron per il Ramadan.

Il dottor Goldstein è il mio eroe”, dice Ben-Gvir a una televisione israeliana in un video.

Nonostante il suo odio violento contro i palestinesi sia rimasto immutato, ora Ben-Gvir recita la parte dello statista, celebrando Purim con una cerimonia religiosa solenne insieme al Primo Ministro Benjamin Netanyahu.

Ma nelle città palestinesi i coloni continuano a scatenarsi, con il totale appoggio dell’esercito israeliano.

Utilizzare Purim come scusa per la violenza è praticamente una tradizione” nella Cisgiordania occupata, osserva Breaking the Silence, un’associazione israeliana contro l’occupazione.

La scorsa notte a Huwwara coloni e soldati hanno ballato insieme con la musica di Purim mentre altri coloni aggredivano palestinesi,” aggiunge Breaking the Silence.

Sfortunatamente il resto dell’anno l’esercito israeliano e i coloni non si scomodano a inventare scuse per le continue violenze contro i palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Perché il pogrom di Huwwara era inevitabile

Maureen Clare Murphy

27 febbraio 2023 – The Electronic Intifada

All’inizio di gennaio, mentre Israele stava formando il suo governo più apertamente di estrema destra mai varato, Nadav Tamir, un ex diplomatico israeliano e attuale direttore di un’organizzazione lobbystica J Street,[ associazione sionista moderata, ndt.], ha dato un profetico avvertimento.

Tamir ha affermato che Zvika Fogel, una figura precedentemente poco conosciuta che ora presiede il Comitato per la sicurezza nazionale del parlamento israeliano, “esprime apertamente la velenosa verità” del partito Potere Ebraico di Itamar Ben-Gvir, un attore chiave nella coalizione di governo di Benjamin Netanyahu.

Tamir afferma che mentre Ben-Gvir potrebbe desiderare di mascherare i suoi obiettivi estremisti con un linguaggio moderato, Fogel “ha parlato con orgoglio tranquillamente e ad alta voce: vale la pena ascoltarlo”.

Fogel ha svolto quel ruolo lunedì, elogiando l’effetto “deterrente” dopo che centinaia di coloni hanno attaccato le comunità palestinesi nel nord della Cisgiordania, dando fuoco a case e veicoli palestinesi.

Un palestinese di 37 anni è stato ucciso durante questa furia durata ore, organizzata dai coloni dopo che due fratelli israeliani sono stati uccisi a colpi di arma da fuoco a Huwwara, l’epicentro della rabbia violenta della folla di giustizieri.

Mentre Netanyahu e Ben-Gvir facevano finta di invitare gli israeliani ad astenersi dal farsi giustizia da sé, Fogel ha intrapreso una campagna mediatica esprimendo la sua approvazione per la devastazione.

Fogel ha affermato: “Una Huwwara chiusa e bruciata – questo è quello che voglio vedere”. Ha spiegato: “Questo è l’unico modo per ottenere deterrenza. Dopo un omicidio come quello di ieri dobbiamo bruciare villaggi quando [l’esercito israeliano] non agisce”.

Fogel in seguito ha ritrattato i suoi commenti e si è contraddetto dicendo: “Ho detto che lo Stato è quello che dovrebbe agire per scoraggiare i terroristi, sicuramente non i civili”.

Ma a quel punto i seguaci del suo partito e gli aderenti all’ideologia suprematista che esso rappresenta avevano già ricevuto il messaggio, forte e chiaro.

Violenza autorizzata dallo Stato”

Anche se chiedere ai vendicatori “di non farsi giustizia da sé” lunedì era la linea del governo Netanyahu, essa è smentita da tutto ciò che la coalizione di governo ha detto e fatto fino ad ora.

Breaking the Silence, un gruppo di veterani [dell’esercito, ndt] israeliani che denunciano quanto avviene nei territori occupati, ha affermato lunedì che “il pogrom di Huwwara è stata una violenza autorizzata dallo Stato”.

Rappresentati ai massimi livelli del governo, “i coloni si sono scatenati impunemente perché sanno di avere lo Stato dalla loro parte”, ha aggiunto Breaking the Silence.

E questo include l’esercito israeliano, la cui funzione principale nella Cisgiordania occupata è proteggere i coloni che vivono in colonie per soli ebrei costruite in violazione del diritto internazionale.

B’Tselem,organizzazione israeliana per i diritti umani, ha sottolineato la “sinergia” della cooperazione: “I coloni effettuano l’attacco, i militari lo proteggono, i politici lo sostengono”.

Rifiutando le affermazioni che suggerivano che il governo israeliano avesse perso il controllo, B’Tselem ha affermato che “è proprio così che si manifesta il controllo israeliano” e ha aggiunto che “il pogrom di Huwwara è stata una manifestazione estrema di una politica israeliana di lunga data”.

Il precedente di Hebron

Per un altro tragico esempio di questa politica bisogna guardare alla città di Hebron, in Cisgiordania.

Un giorno, 29 anni prima del pogrom dei coloni a Huwwara, Baruch Goldstein, un colono ebreo nato negli Stati Uniti, sparò nella moschea di Ibrahimi, massacrando 29 uomini e ragazzi palestinesi.

Goldstein era un seguace del rabbino genocida Meir Kahane. Ben-Gvir, il ministro della Sicurezza Nazionale di Israele, definisce sé stesso come un “discepolo” di Kahane, come ha affermato The Times of Israel, e considera Goldstein un eroe.

Sulla scia del massacro di Goldstein, Israele intensificò le sue misure repressive contro i palestinesi e spartì la moschea Ibrahimi a favore dei coloni – un precedente che Israele potrebbe tentare di ripetere alla moschea al-Aqsa di Gerusalemme.

Da allora i coloni hanno sequestrato proprietà palestinesi nella Città Vecchia di Hebron, rendendo il suo ex cuore commerciale una città fantasma chiusa.

Lunedì, dopo che l’esercito israeliano ha chiuso i negozi palestinesi a Huwwara, agli osservatori non è sfuggito il parallelo con Hebron.

Lungi dal fatto che Israele non gradisca la violenza dei coloni, quest’ultima è un mezzo necessario per raggiungere l’obiettivo dello Stato di svuotare la Palestina della sua popolazione nativa in modo che possa essere sostituita da coloni stranieri.

La violenza dei coloni, compresi i massacri durante il periodo della fondazione di Israele nel 1948, è stata essenziale per la formazione e il mantenimento di uno Stato ebraico in Palestina.

La “guerra” di Ben-Gvir

Lunedì Ben-Gvir ha espresso un cenno di approvazione a questa prosecuzione della violenza che ha descritto come una necessità esistenziale per il progetto sionista in Palestina: “Questa non è una guerra iniziata ieri, non è una guerra che finirà in un giorno, ma è una guerra per la nostra casa, per le nostre vite”.

Ben-Gvir stava parlava con i coloni a Evyatar, un avamposto non autorizzato dal governo israeliano.

I coloni hanno fondato Evyatar nel maggio 2021 su un terreno appartenente alle comunità palestinesi di Beita, Qabalan e Yatma a Jabal Subeih, vicino alla città di Nablus, nel nord della Cisgiordania. Da allora diversi palestinesi sono stati uccisi durante le proteste contro l’insediamento o subito dopo.

Il governo di Netanyahu intende legalizzare Evyatar, che è stato co-fondato da Zvi Sukkot, un estremista di estrema destra del famigerato insediamento di Yitzhar che, dopo aver ottenuto il seggio lasciato da Smotrich [ministro delle Finanze in carica e che ha rilasciato dichiarazioni simili a quelle di Fogel, ndt.] e che è anche un parlamentare dell’attuale maggioranza del governo israeliano.

I coloni di Yitzhar, che si trova vicino a Huwwara ed è costruito in parte sulla terra del villaggio, sono noti per aver attaccato le vicine comunità palestinesi, con le guardie private di Yitzhar che hanno persino dato ordini ai soldati israeliani durante quegli attacchi.

Il leader dell’opposizione Benny Gantz ha dichiarato lunedì di sostenere il compromesso che il suo governo ha fatto per “legalizzare” Evyatar.

Gantz e il suo collega dell’opposizione Yair Lapid sono stati molto critici nei confronti del governo di estrema destra, affermando che ha “perso il controllo” e sta portando Israele a un “disastro della sicurezza”.

Ma a parte le critiche, Gantz e Lapid condividono la stessa visione di uno Stato suprematista ebraico in Palestina, anche se con una patina di democrazia liberale piuttosto che con la tendenza teocratica di Ben-Gvir e Smotrich.

Le fiamme che hanno avvolto Huwwara domenica sono la logica conclusione dell’ideologia suprematista di Israele.

Lo Stato è oggi guidato dagli aderenti più estremi al sionismo, che, secondo le parole del commentatore palestinese Muhammad Shehada, “non si fermeranno finché tutta la terra non sarà in fiamme”.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Zona militare chiusa agli attivisti di sinistra

Editoriale di Haaretz

4 dicembre 2022 – Haaretz

Venerdì circa 300 persone si sono recate a Hebron per un tour organizzato da 30 organizzazioni per i diritti umani, tra cui Breaking the Silence [organizzazione di ex-soldati israeliani contrari all’occupazione, ndt.], l’Associazione per i diritti civili in Israele, Peace Now [organizzazione sionista di sinistra contraria all’occupazione, ndt.] e B’Tselem [principale ong israeliana per i diritti umani, ndt.], sulla scia di diversi recenti episodi di violenza contro palestinesi e attivisti di sinistra in città. Ma le persone che hanno cercato di protestare contro la violenza sia nei loro confronti e dei palestinesi hanno scoperto che l’esercito aveva dichiarato Hebron zona militare chiusa.

“Sulla base della nostra valutazione della situazione, abbiamo deciso di dichiarare una zona militare chiusa in diverse parti della città di Hebron per evitare attriti in quelle aree”, hanno detto le Forze di Difesa Israeliane [IDF, l’esercito israeliano, ndt.] “In linea con questo ordine, è stato vietato l’ingresso ai civili che non vivono in questa zona “.

La decisione dell’IDF di dichiarare Hebron zona militare chiusa al fine di impedire un tour delle organizzazioni per i diritti umani invia un messaggio politico inequivocabile: gli attivisti di sinistra sono da condannare per la violenza dei soldati contro di loro. Nel mondo capovolto dei territori occupati la fonte della violenza sono le persone che protestano contro di essa. La linea di fondo è che le IDF hanno soddisfatto la richiesta espressa sui cartelli tenuti dai contromanifestanti di Im Tirtzu [organizzazione israeliana di estrema destra, ndt.]: “Il popolo di Israele chiede che gli anarchici siano tenuti fuori da Hebron”. Hanno chiesto e ottenuto soddisfazione.

Le IDF hanno ricordato solo tardivamente che conviene prevenire “attriti” e “disturbi della quiete pubblica” limitando l’ingresso in città di non residenti. Dov’era questa idea responsabile due settimane fa, quando l’esercito ha fatto entrare a Hebron decine di migliaia di israeliani per la celebrazione annuale della porzione [parashah] di Hayei Sarah Torah [La parashah racconta le storie delle trattative di Abramo per assicurare un luogo di sepoltura alla moglie Sarah e la missione del suo servo per garantire una moglie a Isacco, figlio di Abramo e Sarah Isacco, ndt], israeliani che hanno provocato disordini, distrutto proprietà, lanciato pietre contro le case, picchiato e insultato sia abitanti palestinesi che membri delle forze di sicurezza e hanno persino ferito una soldatessa? Non solo l’esercito non ha impedito loro di entrare in città, ma ha ordinato agli abitanti palestinesi di Hebron di entrare nelle loro case e ha proibito le attività commerciali.

La scorsa settimana un soldato della Brigata Givati ha picchiato un partecipante a un tour dell’organizzazione Bnei Avraham, e un altro è stato filmato mentre diceva a un secondo membro del gruppo che “Ben-Gvir [politico di estrema destra e futuro ministro della Sicurezza Interna, ndt.] imporrà l’ordine qui” e a un terzo attivista, “ti spaccherò ala faccia”. Certo, il soldato che ha minacciato è stato mandato in cella per 10 giorni, ma poi la sua pena è stata ridotta a quattro giorni.

E a chi l’esercito ha vietato l’ingresso a Hebron? A un attivista palestinese che vive in città, Issa Amro, che ha filmato i soldati della Brigata Givati. Il giudice militare lo ha escluso dal suo stesso quartiere, Tel Rumeida, per sei giorni, dopo che un rappresentante della polizia lo ha definito un “istigatore” perché accompagna i tour degli attivisti israeliani a Hebron e ha affermato che questi “creano tensione”.

La decisione dell’IDF di escludere dalla città gli attivisti di sinistra è stata una decisione politica che mette soldati e coloni da una parte e persone di sinistra e palestinesi dall’altra. Dà slancio alla violenza contro i palestinesi e la sinistra. Se è così che si comporta l’esercito ancor prima che Benjamin Netanyahu abbia formato un governo con Itamar Ben-Gvir, l’indicazione è chiara: il peggio deve ancora venire.

L’articolo di cui sopra è l’editoriale principale di Haaretz, pubblicato sul giornale in Israele sia in ebraico che in inglese.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




In prima linea nell’umiliare i palestinesi

Amira Hass

2 agosto 2022 – Haaretz opinion

Poco dopo le tre del mattino squilla il telefono nella sala operativa dell’Ufficio di Coordinamento e Collegamento per la Sicurezza palestinese. L’ufficiale in servizio ascolta assonnato la voce del suo omologo, un assonnato soldato dell’Amministrazione Civile israeliana, che annuncia che l’esercito sta per fare irruzione in questa o quella località palestinese. Ciò significa che tutti i poliziotti palestinesi devono rientrare immediatamente nei propri uffici. Nel gergo interno dell’Amministrazione Civile, questo compito è noto come “ripiegamento SHOPIM”, con SHOPIM che è l’acronimo ebraico di “poliziotti palestinesi”. L’avviso telefonico e il “ripiegamento” sono una routine che entrambe le parti si assicurano di rispettare, perché “nessuno vuole che una parte spari contro l’altra”, come ha detto ad Haaretz un ex soldato dell’unità.

Ricorda che il lasso di tempo concesso ai palestinesi per ripiegare” è di circa mezz’ora. Un’ex soldatessa dell’unità ricorda 45 minuti. Un altro veterano di sesso maschile ricorda come i palestinesi si sbrigassero ad obbedire; lei invece ricorda il loro tergiversare. Tutti ricordano il divieto di rivelare l’obiettivo e lo scopo (arresto, mappatura, ricerca di armi, confisca di fondi, dimostrazione di “autorevolezza”) dell’incursione.

Questi sono tre fra le decine di ex soldati che hanno prestato servizio nell’Amministrazione Civile e hanno testimoniato a proposito dell’unità militare a Breaking the Silence [ONG israeliana che raccoglie le testimonianze da parte di militari dell’esercito israeliano sulla quotidianità delle loro esperienze nei territori palestinesi occupati, ndt.] nel loro nuovo opuscolo, “Military Rule”, pubblicato lunedì. Questa organizzazione di protesta continua ad analizzare meticolosamente il regime militare sui palestinesi, smascherando la menzogna della “sicurezza” e la falsità della “moralità“.

I soldati in servizio non parlavano ai loro colleghi palestinesi di “ripiegamento di poliziotti” quanto piuttosto del fatto che c’era “un’attività” in corso. Nel gergo delle forze di sicurezza palestinesi, la sparizione dei poliziotti dalle strade a causa di un imminente incursione è chiamata zero-zero”. Una fonte della sicurezza palestinese non conosceva il termine “ripiegamento SHOPIM” e ha detto che era umiliante. Ma la realtà – il fatto cioè che i poliziotti palestinesi si affrettino a nascondersi nelle loro roccaforti poco prima che i soldati israeliani irrompano nella casa di una famiglia puntando fucili contro donne e bambini appena svegliati – è ancora più umiliante. Mortalmente umiliante è vietare alla sicurezza palestinese di difendere il proprio popolo non solo dai soldati, ma anche dai civili israeliani che lo attaccano nei loro campi e frutteti, a casa e quando sono fuori a pascolare le loro mandrie. E’ umiliante il rispetto di questo divieto da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Ed è umiliante anche il comportamento opposto rispetto al ripiegamento: quando la parte palestinese ha bisogno di chiedere l’approvazione israeliana affinché i suoi poliziotti si rechino da una determinata città a un villaggio vicino che si trova nell’Area B [sotto controllo congiunto israeliano e palestinese, ndt.], o perché si trovano su una strada che attraversa l’Area C [sotto controllo esclusivo israeliano, ndt.] Non fanno una mossa senza che glielo diciamo noi. … Anche se non ci sono coloni di mezzo, [anche se] vanno senza uniformi, senza armi, se devono indagare solo su un incidente d’auto: devono comunque coordinarsi con la squadra”, si afferma in una delle testimonianze del libretto.

Il fattore dell’umiliazione altro strumento del regime ostile di una giunta militare si ritrova sia nel contesto che tra le righe del libretto: nell’arabo stentato parlato dai soldati presso agli sportelli per i palestinesi, nel trattamento sprezzante anche verso coloro chi e hanno la stessa età dei loro nonni e nonne, nell’assegnare acqua ai coloni a spese di una comunità palestinese, nella revoca su larga scala dei permessi di movimento. L’umiliazione dell’altro è parte inseparabile della violenza burocratica assassina dell’anima, del tempo e della speranza che noi ebrei israeliani, espropriando un popolo della sua terra, abbiamo trasformato in una forma d’arte. Usiamo il potere degli editti che noi abbiamo scritto, le leggi, le procedure e le sentenze di onorevoli giudici per abusare continuamente delle altre persone. L’Amministrazione Civile non ha inventato il sistema, ma è la punta di diamante e l’arma di questa violenza burocratica.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele sta di nuovo usando i palestinesi come scudi umani

Robert Inlakesh

31 maggio 2022 – MiddleEastEye

Comune strategia militare israeliana in passato, nel 2005 la pratica è stata resa illegale alla luce del diritto internazionale. Eppure sempre più testimonianze dimostrano come Israele stia di nuovo facendo impunemente uso di scudi umani

Il 13 maggio una ragazza palestinese di 16 anni di nome Ahed Mohammad Rida Mereb è rimasta traumatizzata per essere stata usata dai soldati israeliani come scudo umano, secondo il rapporto di Defense for Children International Palestine (DCIP).

Mereb ha detto che durante l’incidente – avvenuto durante un raid israeliano nel quartiere al-Hadaf di Jenin – “Uno di loro [i soldati israeliani] mi ha ordinato in arabo attraverso un finestrino del mezzo militare: ‘Resta dove sei e non muoverti. Sei una terrorista. Stai ferma finché non dirai addio a tuo fratello'”.

Ha aggiunto: “Tremavo e piangevo e gridavo ai soldati di spostarrmi perché i proiettili mi passavano sopra la testa”.

Una settimana dopo le forze israeliane sono state nuovamente accusate di applicare la stessa tattica quando è comparsa una fotografia di soldati che usano un palestinese come scudo umano.

Per quanto scioccanti siano questi rapporti, non costituiscono una gran sorpresa per la maggior parte dei palestinesi i quali sanno, insieme a coloro che vi prestano attenzione da tempo, che usare scudi umani palestinesi è sempre stata normale pratica dell’esercito israeliano.

Secondo B’Tselem, la principale organizzazione israeliana per i diritti umani, l’esercito israeliano ha usato la tattica degli scudi umani sin da quando nel 1967 ha occupato la Cisgiordania, Gerusalemme est e la Striscia di Gaza.

“Procedura del vicino”

Nonostante frequenti affermazioni israeliane su combattenti palestinesi che userebbero i propri civili come scudi umani – segnatamente durante i conflitti tra Gaza e Israele – non ci sono prove che questo accada davvero.

Invece, sono i soldati israeliani ad aver impiegato tale strategia sui campi di battaglia in quella che è nota in Israele come la famigerata “procedura del vicino”, un modo gentile per definire la prassi dell’esercito israeliano di usare scudi umani.

Fino al 2005, l’uso di palestinesi come scudi umani da parte dei soldati israeliani era una pratica militare normale per l’esercito israeliano, legittima secondo la legge israeliana.

L’Alta Corte israeliana ha vietato la pratica solo dopo una battaglia legale durata tre anni promossa da sette gruppi israeliani e palestinesi per i diritti umani, che l’hanno contestata come violazione alle Convenzioni di Ginevra.

Pochi mesi dopo l’avvio del contenzioso legale, nel maggio 2002 il diciannovenne palestinese Nidal Abu Mukhsan è stato ucciso mentre veniva usato come scudo umano. La morte di Mukhsan, responsabilità di Israele secondo i gruppi per i diritti umani, ha dato alla causa contro la politica israeliana degli scudi umani la spinta che mancava.

Quando Israele alla fine ha messo fuori legge la pratica, l’esercito israeliano ha protestato, e l’allora ministro della Difesa israeliano, Shaul Mofaz, è comparso in tribunale portando argomenti per abrogare il divieto.

Il Ministero della Difesa israeliano ha specificamente sostenuto l’eventualità di esercitare questo metodo all’interno della Cisgiordania occupata, nonostante sia stata giudicata una violazione del diritto internazionale.

Da quando l’uso di scudi umani è stato bandito, l’esercito israeliano ha tentato più volte di appellarsi alla sentenza, sostenendo che esso fornisce una protezione essenziale ai soldati.

L’esercito israeliano accusa sistematicamente Hamas di usare scudi umani a Gaza, ma allo stesso tempo usa la stessa tattica e sostiene persino che dovrebbe tornare ad essere legale. Ex soldati israeliani, parlando all’associazione israeliana Breaking the Silence [ONG israeliana che dal 2004 permette ai militari israeliani di raccontare le loro esperienze nei Territori Occupati, ndtr.], hanno testimoniato di aver usato scudi umani anche dopo che la pratica era stata bandita.

Innumerevoli testimonianze

Nonostante le abbondanti prove che le forze israeliane abbiano continuato a usare i palestinesi come scudi umani anche dopo che la pratica è stata bandita, pochissimi soldati israeliani sono finiti in tribunale per le loro azioni.

L’ultima volta che dei soldati israeliani sono stati puniti per aver usato un palestinese come scudo umano è stato nel 2010, per un atto commesso durante l’incursione israeliana a Gaza del 2008-2009.

B’Tselem ha riassunto così l’accusa: “I due soldati in questione avevano ordinato a un bambino di nove anni, sotto la minaccia di una pistola, di aprire una borsa che sospettavano nascondesse dell’esplosivo. Nonostante la gravità della loro condotta – mettere a rischio un bambino – i due sono stati condannati a tre mesi con la condizionale e retrocessi da sergente maggiore a soldato semplice circa due anni dopo l’incidente. Nessuno dei loro ufficiali in comando è stato processato”.

Il numero di casi di uso israeliano di scudi umani registrato dai gruppi per i diritti umani, sia internazionali che nazionali, è in continua crescita.

Che questa pratica riemerga, soprattutto dopo l’uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh, dovrebbe rappresentare un punto di svolta e far capire al mondo intero chi sta veramente usando gli scudi umani.

Nessun organismo o organizzazione internazionale attendibile ha mai segnalato una consuetudine secondo cui i palestinesi usino la propria gente come scudi umani.

Invece l’esercito israeliano per decenni ha letteralmente inserito la tattica nei propri manuali – e i soldati israeliani continuano tutt’ora a impiegare tali metodi anche dopo che sono stati ufficialmente messi fuori legge.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Robert Inlakesh è un analista politico, giornalista e documentarista. Ha lavorato e vissuto nei territori palestinesi occupati e pubblicato su The New Arab, RT, Mint Press, MEMO, Quds News, TRT e l’edizione inglese di Al-Mayadeen.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)