Spari mortali a Tulkarem: soldati israeliani feriscono mortalmente con un colpo alla testa da 80 metri di distanza Muhammad Habali (22 anni)

B’Tselem

11 dicembre

Martedì 4 dicembre 2018 verso mezzanotte circa 100 soldati israeliani hanno invaso la città di Tulkarem, in Cisgiordania. Alcuni di loro sono entrati in quattro case in zone diverse della città ed hanno fatto una breve perquisizione. Pochi giovani palestinesi si sono recati dove c’erano i soldati e gli hanno lanciato pietre. Le truppe hanno risposto con proiettili ricoperti di gomma e lacrimogeni.

A un certo punto durante la notte circa 30 soldati sono arrivati nella zona di via a-Nuzha, una strada che va da est a ovest nella parte occidentale di Tulkarem. Alcuni di loro si sono distribuiti lungo la strada a gruppi di tre o quattro. Gli altri sono entrati nel vicolo che si trova di fronte alla scuola superiore maschile “al-Fadiliyah” e hanno fatto irruzione in una casa. Più in là lungo la via, a circa 50 metri dai soldati, alcuni abitanti stavano fermi all’ingresso del ristorante a-Sabah e sulla strada adiacente. Uno di loro era Muhammad Habali, un ventiduenne del campo di rifugiati di Tulkarem con problemi mentali. Habali camminava avanti e indietro attraversando da un lato all’altro la strada.

Le riprese di quattro videocamere di sicurezza sistemate su tre diversi edifici lungo la strada mostrano che quella zona era assolutamente tranquilla e che non erano in corso scontri con i soldati.

https://www.btselem.org/video/20181211_killing_of_muhammad_habali_in_tulkarm#full

Presi insieme l’inchiesta di B’Tselem e questi video indicano che alle 2.25 del mattino un ufficiale e due soldati si sono diretti verso il ristorante a-Sabah e si sono fermati a circa 80 metri di distanza. Pochi secondi dopo i soldati hanno sparato quattro o cinque colpi verso i giovani che si trovavano davanti al ristorante e questi sono scappati. Habali, che nel video si vede mentre impugna un lungo bastone di legno – che aveva raccolto pochi minuti prima degli spari –, è stato l’ultimo ad andarsene. Dopo che aveva fatto alcuni passi, è stato colpito alla nuca da una distanza di circa 80 metri. Un altro proiettile ha colpito a una gamba M.H., di Tulkarem. Circa un minuto dopo gli spari, si vedono i tre soldati che si riuniscono agli altri nella zona e se ne vanno, senza fornire ad Habali o a M.H. una qualunque assistenza medica. Poi si sentono altri spari. Habali è stato portato all’ospedale a Tulkarem, dove è arrivato in stato di incoscienza, senza respirare e senza pulsazioni. I tentativi di rianimarlo sono falliti e poco dopo è stato dichiarato morto. M.H. è stato portato in ospedale su un’altra macchina e la radiografia ha mostrato un proiettile nella sua gamba sinistra.

K.A. (25 anni), un abitante di Tulkarem, si trovava nel vicolo di fronte al ristorante a-Sabah e stava guardando la scena. In una testimonianza rilasciata il 9 dicembre 2018 ha raccontato:

Stavo lì in piedi con altri ragazzi, compreso Muhammad Habali. Lo conoscevo. Aveva un bastone di legno in mano. Sapevamo che c’erano soldati nella zona. Poi, verso le 2.20, abbiamo visto tre soldati venire verso di noi. Abbiamo chiesto a Muhammad, che tutti chiamavano Za’atar, di tornare indietro perché avevamo paura per lui, di quello che sarebbe potuto succedere con i soldati lì. Ha fatto quello che gli abbiamo chiesto e ha cominciato ad andarsene. Improvvisamente abbiamo sentito uno sparo. I soldati che stavano venendo verso di noi avevano sparato.

Quando gli spari sono iniziati, ero all’inizio del vicolo di fronte al ristorante a-Sabah. Ci sono stati quattro o cinque spari, e uno di questi ha colpito Muhammad Habali. L’ho visto cadere in avanti e allora sono corso nel vicolo insieme ad altre persone. Poi i colpi sono cessati.

Sono corso fuori sulla strada ed ho gridato agli altri ragazzi di andare a prendere una macchina per poter portare via Habali. Sono stato il primo ad arrivare da lui. La sua testa stava sanguinando molto. L’ho preso per le spalle e l’ho trascinato per tre o quattro metri nel vicolo – facendo in modo che la sua testa non strisciasse per terra – perché avevo paura che i soldati gli sparassero di nuovo.

Dopo i colpi che hanno colpito Habali, ho sentito che sparavano in aria, ma non ho visto i soldati che hanno sparato.”

M.H., colpito a una gamba, ha ricordato in una testimonianza che ha concesso al ricercatore sul campo di B’Tselem Abulkarim Sadi il 4 dicembre:

Circa alle 2.30 ho visto tre soldati dirigersi a est dall’ingresso della scuola ‘al-Fadiliyah’ verso il posto in cui stavo con alcuni ragazzi. Hanno aperto il fuoco ed io ed altri ragazzi che stavano nei pressi dei caffè e del ristorante a-Sabah abbiamo cercato di scappare verso est.

Ho corso per circa 10 o 15 metri e improvvisamente ho sentito che qualcosa aveva colpito la mia gamba sinistra. Ho cominciato a sanguinare e ad avere una sensazione di formicolio. Ho cercato di nascondermi in una traversa per non essere colpito di nuovo. Ho chiamato alcuni ragazzi che erano lì vicino e uno di loro è arrivato e mi ha aiutato ad andare fino a una piazza vicina. Un uomo che stava passando con la sua macchina mi ha preso e portato al pronto soccorso dell’ospedale Thabet Thabet. Mi hanno fatto una radiografia alla gamba ed hanno trovato un foro d’entrata di un proiettile, ma non quello d’uscita, sotto il mio ginocchio sinistro. Ora sto aspettando in ospedale che mi tolgano la pallottola.

H.F., abitante di Tulkarem, è arrivato al ristorante per mangiare un boccone attorno alle 2.15. In una testimonianza rilasciata al ricercatore di B’Tselem Abdulkarim Sadi il 6 dicembre 2018 ha ricordato quello che è avvenuto dopo:

Stavo fuori sulla strada insieme ad altre persone a guardare i soldati. A un certo punto sono entrato al ristorante per ordinare del cibo. L’ho fatto andando fino all’ingresso quando ho sentito colpi di arma da fuoco. Mi sono girato e ho visto Muhammad Habali, noto come Za’atar, steso con la faccia a terra. Doveva essere stato colpito alla testa da un proiettile. L’ho filmato con il mio cellulare ed ho iniziato a chiamare gli altri ragazzi perché mi aiutassero a toglierlo dalla strada e a portarlo nel vicolo di fronte al ristorante, perché avevo paura che gli spari continuassero o che un’auto di passaggio potesse investirlo.

Quando ho osato fare un passo fuori, ho guardato verso i soldati che erano di fronte alla scuola “al-Fadiliyah” e li ho visti retrocedere verso piazza Khaduri. Ho sentito una serie di spari in aria. Dopo che i ragazzi si sono assicurati che i soldati se n’erano andati, hanno messo Muhammad Habali su una macchina. Sono andato in ospedale con lui, e in pochi minuti abbiamo raggiunto il pronto soccorso. I medici hanno cercato di dargli i primi soccorsi e di rianimarlo, ma era morto.

Dal posto in cui mi trovavo non ho visto nessun lancio di pietre prima che iniziassero a sparare. La gente stava solo lì in piedi a guardare i soldati che erano nei pressi della scuola “al-Fadiliyah”. Non so cosa stesse succedendo in altre parti della strada. Per quanto ne so là dei giovani potrebbero aver lanciato pietre o gridato contro i soldati.

Quando l’incidente è stato reso pubblico, l’esercito ha risposto sostenendo che nella zona “si erano determinati violenti disordini”, che “decine di palestinesi stavano lanciando pietre” e che i soldati “hanno risposto con mezzi per il controllo della folla e poi con proiettili veri.” Le riprese e le testimonianze dirette raccolte da B’Tselem da parte di persone che si trovavano nei pressi di Habali non mostrano assolutamente nessun indizio di una qualche manifestazione violenta, del lancio di pietre o dell’uso di mezzi per controllare la folla. Al contrario: si vedono i soldati camminare senza fretta, i palestinesi che parlano tra loro e poi i soldati che colpiscono a morte Habali alla testa da una distanza considerevole. Il colpo mortale non è stato preceduto da avvertimenti, non era giustificato e costituisce una violazione della legge.

I mezzi di comunicazione hanno anche informato che l’esercito ha iniziato un’inchiesta dell’Unità Investigativa della Polizia Militare (MPIU) riguardo a quanto avvenuto. Però, nonostante il suo nome, il “sistema di applicazione delle leggi militari” non fa indagini su avvenimenti in cui i soldati abbiano ucciso palestinesi, con l’obiettivo di nascondere la verità. Non lavora in modo da chiedere conto alla catena di comando responsabile delle uccisioni o per evitare che questi casi si ripetano. Il sistema intende principalmente salvare le apparenze e far tacere le critiche, in modo che i soldati possano continuare ad usare una forza letale senza pagare nessun prezzo per le loro azioni.

(traduzione di Amedeo Rossi)




I palestinesi lottano contro lo sfratto dalle case di Silwan, Gerusalemme est

Mersiha Gadzo

7 dicembre 2018 Al Jazeera

L’occupazione di Batan al-Hawa a Gerusalemme Est da parte dei coloni è “il più esteso processo di espulsione” degli ultimi anni

Batan al-Hawa, Gerusalemme est occupata – Nel corso degli anni, i coloni israeliani hanno continuato ad offrire milioni di dollari a Zuheir Rajabi e ai suoi vicini per le loro modeste case accatastate sul pendio di Silwan a Batan al-Hawa, un quartiere nella Gerusalemme Est occupata.

Le case si trovano in quello che è noto come il Bacino Storico della Città Vecchia, in prossimità della sacra Moschea di Al-Aqsa, ciò che le rende possedimenti preziosi.

Un colono ebreo una volta offrì a Rajabi un assegno in bianco per la sua casa, chiedendogli di scrivere qualsiasi cifra volesse, da 3 a 30 milioni di shekel (da 800.000 a 8 milioni di dollari).

Ma per Rajabi e gli 700 altri residenti del quartiere – ora minacciati di sfratto – nessuna somma di denaro basterebbe a farli lasciare le loro case.

“Pensavano che in 30 giorni le persone avrebbero abbandonato le loro case”, ha detto Rajabi, dal terrazzo sul tetto del Centro di Comunità del quartiere, che domina la valle.

“La gente qui è molto semplice; hanno una cosa sola, l’onore. Non ci importa di vivere in povertà o in un ambiente malsano, non possiamo sopportare di perdere il nostro onore”, ha detto Rajabi, che è anche il portavoce del comitato Batan al-Hawa.

Gran parte dei residenti di Batan al-Hawa vi abita da oltre 70 anni, molti dopo essere stati espulsi dalle loro ataviche case quando si stava costituendo Israele.

I residenti ora affrontano un’altra espulsione, da parte dell’associazione di coloni ebrei Ateret Cohanim, che sta cercando di lanciare quella che Ir Amim, una ONG israeliana, definisce come la più grande occupazione di quartieri palestinesi a Gerusalemme Est da quando Israele l’ha occupata nella guerra arabo-israeliana del 1967.

La giudaizzazione di Gerusalemme Est

Ateret Cohanim, che ha come obiettivo la giudaizzazione di Gerusalemme est, sostiene che le case di Batan al-Hawa furono costruite su un terreno di proprietà del ‘Jewish Benvenisti Trust’ [cartello religioso ebraico, ndtr.] nel XIX secolo, che lo adibiva all’insediamento in zona degli ebrei yemeniti.

Nel 2002, il Ministero della Giustizia israeliano ha emesso un atto di proprietà del terreno, circa 5,5 dunams (1,4 acri), a favore del Benvenisti Trust, senza informarne i residenti. A quel punto, Ateret Cohanim ha assunto il controllo del Trust.

L’atto è stato utilizzato come fondamento per gli avvisi di sfratto ai residenti, come quello ricevuto dalla famiglia Rajabi nel 2015, che disponeva che le sette famiglie che abitano in quella casa se ne andassero.

Nel giugno di quest’anno, oltre un centinaio di residenti palestinesi in lotta contro gli sfratti ha presentato una petizione, sostenendo che il Trust Benvenisti possedeva solo gli edifici e non il terreno su cui si trovavano.

Dal momento che da allora gli edifici originali erano stati distrutti e ricostruiti, il Trust non poteva rivendicare la terra, sostenevano i residenti.

Lo stesso mese, il governo israeliano ha ammesso che il Ministero della Giustizia non aveva indagato sul Trust prima di emettere l’atto di proprietà.

Tuttavia, il mese scorso l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto l’appello dei residenti di annullare la decisione del 2002, consentendo in effetti ad Ateret Cohanim di proseguire con l’occupazione di Batan al-Hawa.

L’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha detto che la sentenza della Corte ha spianato la via alla pulizia etnica dei palestinesi di Silwan.

“La sentenza dimostra, ancora una volta, che l’Alta Corte israeliana dà il suo beneplacito a quasi tutte le violazioni dei diritti dei palestinesi da parte delle autorità israeliane”.

La “piovra” di Gerusalemme est

Ad oggi, Ateret Cohanim ha sfrattato 17 famiglie e possiede sei edifici nell’area.

Secondo l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari, il 45% di tutte le famiglie palestinesi minacciate di sfratto a Gerusalemme Est vive a Batan al-Hawa.

B’Tselem lo ha definito “il più esteso processo di espulsione” in città degli ultimi anni.

Rajabi ha detto che suo padre ha comprato il loro appezzamento di terra nel 1966 dopo che erano stati espulsi dai quartieri ebraici della Città Vecchia, senza alcun risarcimento.

“Sono nato qui, sono cresciuto qui, mi sono sposato qui, ho vissuto qui tutta la mia vita”, ha detto.

Amareggiato dalla sentenza della Corte, ha detto che la società israeliana si sta spostando verso la “estrema destra”.

Rajabi paragona Ateret Cohanim a una piovra i cui tentacoli stanno attanagliando la Città Vecchia e Silwan.

“Ateret Cohanim è un’organizzazione potente, non solo politicamente. Ha anche soldi”, ha detto Rajabi.

Secondo il quotidiano israeliano Haaretz, l’organizzazione usa diverse tattiche per costringere i palestinesi a vendere le loro proprietà, tra cui minacce a carattere sessuale e ricatti di vario tipo – come minacciare di rendere pubblica una vendita concordata in segreto così che il venditore, temendo per la propria vita, sarebbe costretto ad abbassare significativamente il prezzo per evitare l’ira della propria comunità.

[L’ONG israeliana] Ir Amim dice che il governo israeliano è stato direttamente coinvolto nell’agevolare gli insediamenti privati illegali nella città vecchia e nei quartieri palestinesi circostanti.

“Il governo ha agito tramite il Custode Generale e il Registro dei Trust (entrambi sotto il Ministero della Giustizia) per agevolare il sequestro di Batan al-Hawa, aumentando il budget per la sicurezza del 119 % per il periodo 2009-2016 in modo da garantire la protezione degli estremisti ebrei che si insediano nel cuore dei quartieri palestinesi a Gerusalemme Est”, ha affermato la ONG.

Consolidare il controllo ebraico

Secondo un rapporto di Ir Amim, l’obiettivo politico di gruppi come Ateret Cohanim è consolidare il controllo ebraico a Gerusalemme Est e contrastare la soluzione dei due stati.

Yacoub al-Rajabi, membro del comitato di Batan al-Hawa, ha affermato che i coloni stanno cercando di acquistare la sua casa dal 2003.

Un anno e mezzo fa, Ateret Cohanim gli ha offerto 2 milioni di dollari per vendere la sua casa e abbandonare la causa in tribunale, ma senza risultato.

“Se ci sfrattano dalle nostre case, costruiremo tende vicino alle case, non andremo da nessuna parte, ci rifiutiamo di andare altrove, rifiutiamo di essere trasferiti [per la terza volta]”, ha detto Yacoub.

Ha descritto il quartiere come una prigione dove i residenti si sentono intrappolati e sono regolarmente attaccati da coloni, polizia, esercito e istituzioni governative israeliane per spingerli ad andarsene.

Dice che, ad ogni festa ebraica, i residenti non possono lasciare le loro case e per ordine militare i bambini non possono andare a scuola.

“Non abbiamo altro che la nostra risolutezza. Cercheremo di difendere noi stessi e i nostri diritti … Abbiamo la proprietà di questa terra ed è nostra per legge”, ha detto.

L’ufficio di Rajabi si trova nel Centro della comunità costruito per i bambini – l’unico posto nel quartiere dove i bambini possano giocare in sicurezza. In un angolo del suo ufficio, uno schermo mostra i filmati dalle telecamere a circuito chiuso installate all’esterno.

Dall’altra parte della strada, una decina di telecamere controllano la sua casa. Le ha fatte installare per documentare gli attacchi dei coloni o delle autorità israeliane, dopo che suo padre è morto per l’inalazione di gas lacrimogeni sparati dalla polizia.

Rajabi afferma che le telecamere sono state estremamente utili a smentire le false affermazioni dei coloni e delle autorità israeliane.

Il destino delle loro case è ora presso la Pretura di Gerusalemme, che deve decidere se il Trust Benvenisti possiede solo gli edifici o anche la terra.

Ma Yacoub ha detto che c’è poca speranza che la giustizia possa essere difesa dai tribunali israeliani.

“Persino durante l’udienza la stessa giudice ha detto che ci sono alcuni problemi legali nel verdetto del tribunale”, ha detto Yacoub, aggiungendo che i residenti cercheranno con tutti i mezzi di rimanere nelle loro case, anche portando il caso alla Corte Penale Internazionale.

“Questa [sentenza del tribunale] non ci spezzerà, continueremo a lottare per i nostri diritti, continueremo a lottare per la nostra proprietà sulla terra e sulle nostre case”, ha affermato.

(traduzione di Luciana Galliano)




A Hebron i coloni israeliani attaccano palestinesi che raccolgono le olive

Ma’an News

31 ottobre 2018

Hebron (Ma’an) – Martedì un gruppo di coloni israeliani ha attaccato palestinesi che raccoglievano le olive nella zona di Tel Rumeida, nella città di Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata, ed ha cercato di impedire loro di raccogliere le olive nelle loro terre nei pressi dell’illegale colonia israeliana di Ramat Yishai.

Le terre sono di proprietà della locale famiglia di Muhammad Abu Haikal; il proprietario della terra, insieme ad attivisti locali ed internazionali, è entrato nel terreno nonostante le procedure militari israeliane.

I raccoglitori di olive hanno continuato [il lavoro] nonostante attacchi da parte di coloni israeliani in quanto hanno insistito sul fatto di essere sui propri terreni e di non lasciarli senza protezione.

La scorsa settimana a Tel Rumeida il gruppo “Youth against Settlement” [“Giovani contro le Colonie”, attivisti palestinesi di Hebron, ndtr.] ha lanciato una campagna per la raccolta delle olive, con la partecipazione di organizzazioni internazionali che lavorano per la pace e la giustizia.

Il coordinatore della campagna, Izzat al-Karaki, ha detto: “Stiamo lavorando per appoggiare la tenacia delle famiglie palestinesi che subiscono gli attacchi dei coloni israeliani e dell’esercito nelle aree chiuse della città di Hebron.”

Al-Karaki ha sottolineato che decine di attivisti internazionali e locali hanno partecipato alla raccolta delle olive.

L’agronomo Murad Amr, coordinatore del gruppo “Youth against Settlement”, ha detto che la campagna continua nelle zone ad alta tensione di Tel Rumeida e nelle aree adiacenti alla colonia di Kiryat Arba, ad Hebron.

Amr ha aggiunto che il suo gruppo ha anche formato un comitato di sorveglianza notturna per evitare che il raccolto di olive venga rubato dai coloni israeliani.

La zona di Tel Rumeida è da lungo tempo un punto caldo di tensione tra i palestinesi e i coloni e l’esercito israeliani, in quanto si trova nei pressi di colonie israeliane illegali i cui abitanti sono notoriamente aggressivi verso i palestinesi.

Tel Rumeida è all’interno dell’area della città denominata H2, una zona che occupa la maggior parte della Città Vecchia di Hebron, sotto totale controllo militare israeliano e il luogo in cui si trovano cinque colonie israeliane che si espandono continuamente nei vicini quartieri palestinesi.

L’area H2, controllata dagli israeliani, è abitata da 30.000 palestinesi e circa 800 coloni israeliani che vivono sotto la protezione delle forze israeliane.

Tra i 500.000 ed i 600.000 israeliani vivono nelle colonie di soli ebrei a Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupate in violazione delle leggi internazionali.

Il governo palestinese non ha giurisdizione sugli israeliani in Cisgiordania, e azioni poste in atto da coloni israeliani spesso avvengono in presenza delle forze militari israeliane che raramente intervengono per proteggere gli abitanti palestinesi.

La maggior parte dei furti commessi contro i palestinesi rimane impunita, e raramente gli israeliani pagano le conseguenze per tali furti.

Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani Yesh Din, solo l’1,9% delle denunce presentate dai palestinesi contro attacchi o furti da parte di coloni israeliani porta ad una condanna, mentre il 95,6% delle indagini per danni agli ulivi viene chiuso per inadempienza della polizia israeliana.

Secondo gruppi palestinesi e dei diritti umani il principale obiettivo di Israele, sia delle sue politiche nell’Area C, in cui più del 60% del territorio palestinese è sotto totale controllo israeliano, che dell’illegale colonizzazione israeliana, è spopolare la terra dei suoi abitanti palestinesi e sostituirli con comunità ebraiche israeliane per manipolare la situazione demografica in tutta la Palestina storica.

B’Tselem afferma che lo spostamento di coloni israeliani che hanno occupato la terra palestinese e poi cacciato la locale popolazione palestinese è stato una “costante” della politica israeliana fin dalla conquista della Cisgiordania e di Gerusalemme nel 1967, sottolineando che tutte le “istituzioni legislative, legali, di pianificazione, di finanziamento e di difesa israeliane” hanno giocato un ruolo attivo nella spoliazione dei palestinesi della loro terra.

B’Tselem sostiene anche che, spacciandola per “occupazione militare temporanea”, Israele ha “utilizzato la terra come se fosse sua: rubandola, sfruttando a proprio favore le risorse naturali della zona e fondando colonie permanenti,” stimando che Israele nel corso degli anni ha espropriato i palestinesi di circa 200.000 ettari di terre nei territori palestinesi occupati.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Nonostante il rinvio, Israele ha deciso di distruggere Khan al-Ahmar

Tamara Nassar

23 ottobre 2018,Electronic Intifada

Sabato Israele ha rimandato la demolizione e deportazione del villaggio palestinese di Khan al-Ahmar.

Secondo il quotidiano israeliano “Haaretz” il ritardo intende “finalizzare una proposta per l’evacuazione volontaria”.

Gli abitanti del villaggio si sono sistematicamente ed energicamente opposti al trasferimento forzato dalla loro terra, che non può essere in nessun caso “volontario” se avviene sotto minaccia.

Khan al-Ahmar sarà evacuato, è un verdetto della corte, è la nostra politica e sarà fatto,” ha detto domenica il primo ministro Benjamin Netanyahu in una conferenza stampa con il ministro del Tesoro USA Steven Mnuchin.

Netanyahu ha aggiunto che il ritardo sarà breve, finché gli abitanti daranno il loro “assenso” a sgomberare e distruggere il loro villaggio.

Alcuni ministri israeliani di Destra, tra cui il ministro dell’Educazione Naftali Bennett, la ministra della Giustizia Ayelet Shaked e il deputato Bezalel Smotrich, si sono opposti alla decisione di Netanyahu.

Tutti e tre sono membri del partito nazionalista di estrema destra “Casa Ebraica”.

Khan al-Ahmar deve essere distrutto. Dobbiamo opporci al mondo,” ha detto Smotrich lunedì da una collina che sovrasta il villaggio, secondo il giornale israeliano “The Jerusalem Post” [giornale israeliano di destra in lingua inglese, ndtr.].

Dobbiamo togliere di mezzo questa comunità dopo aver dato loro un’alternativa,” ha detto la vice-ministra Tzipi Hotovely sulla collina di mattina presto.

Il governo israeliano ha investito milioni per creare questa alternativa e penso che la comunità internazionale sarebbe molto più d’aiuto se non utilizzasse i beduini come strumento politico,” ha detto Hotovely.

Yehuda Glick, parlamentare dello stesso partito di Netanyahu, il Likud, e uno dei dirigenti del movimento estremista ebreo che intende distruggere la moschea di al-Aqsa a Gerusalemme, si è unito a Hotovely nella sua visita a Khan al-Ahmar.

La scelta tra spazzatura e liquami

Le alternative che Israele ha proposto non sono adeguate alla vita nomade dei beduini che vivono a Khan al-Ahmar.

Le alternative che Israele sta proponendo sono nei pressi di una discarica o dello scarico di una fogna,” ha detto all’israeliano “i24 News” [canale televisivo di informazioni in arabo, francese e inglese, ndtr.] Tawfique Jabareen, un avvocato che rappresenta gli abitanti di Khan al Ahmar.

Israele vuole obbligarli a spostarsi in una zona chiamata “al-Jabal ovest”, situata nei pressi della discarica del villaggio palestinese di Abu Dis. Israele ha anche proposto di spostare gli abitanti del villaggio in una zona vicina a un impianto di trattamento dei rifiuti nei pressi della colonia di Mitzpe, vicino alla città di Gerico, nella Cisgiordania occupata.

Jabareen ha aggiunto che gli abitanti hanno proposto all’Alta Corte israeliana di spostarsi di qualche centinaio di metri dalla loro attuale sistemazione, ma rimanendo ancora all’interno [della zona] di Khan al-Ahmar, un’idea che Israele ha rifiutato.

La Corte Penale Internazionale mette in guardia contro crimini di guerra

Il rinvio annunciato da Israele avviene dopo che la procuratrice generale della Corte Penale Internazionale Fatou Bensouda ha manifestato preoccupazione per la situazione a Khan al-Ahmar.

Una vasta distruzione di proprietà senza necessità di carattere militare e il trasferimento di popolazione in un territorio occupato costituiscono crimini di guerra,” ha affermato Bensouda il 17 ottobre.

Di conseguenza mi vedo obbligata a ricordare a tutte le parti che la situazione resta sotto esame preliminare da parte del mio ufficio.”

Secondo Haaretz alla polizia israeliana e all’amministrazione civile – la burocrazia militare che gestisce l’occupazione della Cisgiordania – non sia stato detto di lasciare la zona.

Nelle scorse settimane le autorità israeliane sono arrivate nel villaggio per preparare la demolizione, e talvolta hanno arrestato e ferito i manifestanti. Anche i coloni israeliani maltrattano regolarmente gli abitanti.

Durante la notte attivisti e giornalisti sono rimasti con loro nel villaggio per resistere all’invasione e all’imminente demolizione.

Khan al Ahmar si trova tra le colonie israeliane di Maaleh Adumim e Kfar Adumim.

Questa terra a est di Gerusalemme, la cosiddetta zona E1, si trova dove Israele pianifica di espandere la sua grande colonia di Maaleh Adumim, completando l’isolamento tra loro della parte nord da quella sud della Cisgiordania e circondando Gerusalemme di colonie.

In base alle leggi internazionali tutte le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata sono illegali.

Lunedì la Francia – uno dei numerosi Stati europei che si sono opposti al progetto di Israele di distruggere Khan al-Ahmar sulla base del fatto che in questo modo verrebbe compromessa la soluzione dei due Stati – ha detto di “prendere nota” del rinvio.

Chiediamo alle autorità israeliane di abbandonare definitivamente i progetti di demolire Khan al-Ahmar e di far cessare l’incertezza che circonda il destino di questo villaggio.”

Tuttavia, a parte l’opposizione verbale, gli Stati dell’UE non hanno espresso chiaramente le conseguenze per Israele se dovesse sfidare questi appelli.

Prendere il controllo di Hebron

Nel contempo, all’inizio di questo mese Israele ha approvato un progetto per espandere la colonia esclusivamente ebraica nel cuore della città di Hebron, nella Cisgiordania occupata.

Secondo Haaretz questa sarà la prima costruzione di una colonia nel cuore di Hebron in oltre un decennio.

L’edificazione del progetto da 6 milioni, che è destinato a includere 31 unità abitative, potrebbe iniziare in qualunque momento.

Parte del progetto riguarda una ex-base militare israeliana che, secondo Haaretz, “è stata costruita su terreni che erano di proprietà di ebrei.”

Quando Israele costruisce colonie in Cisgiordania spesso vengono presentate fittizie rivendicazioni di proprietà sul terreno [da edificare].

Incendiare la regione”

Il ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman ha festeggiato il nuovo insediamento.

Un nuovo quartiere ebraico a Hebron per la prima volta in 20 anni,” ha twittato.

Lieberman ha elogiato il governo per aver approvato il suo progetto per il quartiere, il cosiddetto quartiere “Hezekiah”, che ha definito “un’altra importante pietra miliare nell’estesa attività che stiamo conducendo per rafforzare l’insediamento in Giudea e Samaria.”

Ayman Odeh, capo della “Lista Araba Unita” [coalizione di tutti i partiti arabo-israeliani, ndtr.] nel parlamento israeliano, ha condannato l’iniziativa, accusando il governo di “infiammare continuamente la regione e poi gridare che non ci sono partner” per fare la pace, tutto a vantaggio di un “pugno di coloni estremisti.”

Più di 800 coloni vivono in un’area nel cuore di Hebron sotto totale controllo militare israeliano.

I coloni israeliani hanno preso il controllo della maggior parte della moschea di Abramo [o Tomba dei patriarchi, per gli ebrei, ndtr.] nella città, in seguito al massacro nel 1994 da parte di Baroch Goldstein, un colono americano, di 29 fedeli palestinesi nel sito.

A lungo i palestinesi hanno temuto che la divisione della moschea di Abramo potesse servire come modello per una presa di possesso totale o parziale da parte di Israele del complesso di al-Aqsa a Gerusalemme.

Coloni si aggirano liberamente nella zona di Hebron, sotto totale controllo militare israeliano, mentre i palestinesi sono sottoposti a severe restrizioni negli spostamenti, comprese strade segregate, e alle violenze e ai maltrattamenti dei soldati come dei coloni.

Demolizioni a Hebron

Nel frattempo le forze di occupazione israeliane hanno messo in atto demolizioni di case palestinesi nelle zone nei dintorni di Hebron e in altre parti della Cisgiordania occupata.

All’inizio di questo mese le forze israeliane hanno confiscato nel villaggio di Khirbet al-Halawa, sulle colline meridionali di Hebron, nella Cisgiordania occupata, una tenda di una famiglia composta da sei persone.

La famiglia include quattro bambini, che secondo B’Tselem [associazione israeliana per i diritti umani, ndtr.] sono rimasti senza casa.

Khirbet al-Halawa è una frazione dei villaggi chiamati Masafer Yatta.

Il 3 ottobre le forze israeliane sono arrivate a Khirbet al-Mufaqara, sempre a Masafer Yatta, ed hanno confiscato materiale edile per una casa prefabbricata.

Gli abitanti dei villaggi di Masafer Yatta hanno vissuto per vent’anni sotto minaccia di espulsione forzata.

B’Tselem ha affermato: “Dagli anni ’90 Israele ha sistematicamente tentato di cacciare gli abitanti palestinesi di Masafer Yatta dalle loro case.”

Sia Masafer Yatta che Khan al.-Ahmar si trovano nell’area C, che rappresenta il 60% della Cisgiordania occupata.

In base ai termini degli accordi di Oslo, firmati tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina negli anni ’90, l’area C resta sotto il totale controllo militare israeliano.

Israele ha negato praticamente a ogni palestinese il permesso edilizio nell’area C, obbligando i palestinesi a costruire senza permessi e a vivere con la continua paura che le loro case o comunità vengano demolite.

Martedì mattina le forze di occupazione israeliane hanno smantellato e confiscato roulotte utilizzate come aule scolastiche a Ibziq, un villaggio nel nord della valle del Giordano, nella Cisgiordania occupata.

Un video postato da attivisti mostra le forze israeliane che portano via le strutture su camion.

Pare che le roulotte siano state finanziate dall’Unione Europea e dalla Finlandia, che non hanno fatto niente per chiedere conto ad Israele della distruzione delle decine di milioni di dollari dei progetti per i palestinesi pagate dai contribuenti europei.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Israele rimanda l’evacuazione del villaggio palestinese di Khan al Ahmar in Cisgiordania

MEE e agenzie

sabato 20 ottobre 2018,Middle East Eye

Il governo israeliano ha affermato di averlo sospeso per portare a termine trattative e proposte ricevute da varie fonti

Sabato Israele ha detto che l’evacuazione forzata del villaggio di Khan al-Ahmar nella Cisgiordania occupata sarà rimandata fino a data da destinarsi.

Personale dell’ufficio del primo ministro Benjamin Netanyahu hanno detto ad Haaretz che il governo lo ha sospeso per portare a termine trattative e proposte ricevute da varie fonti

Haaretz sostiene che negli scorsi giorni le forze di sicurezza hanno detto di essere pronte ad evacuare il villaggio ed essere in attesa di istruzioni per farlo.

Regavim”, una Ong israeliana a favore dei coloni che dall’inizio ha spinto il progetto per l’espulsione dei beduini, ha emesso un comunicato in cui lamenta la decisione e la definisce una capitolazione di fronte all’Autorità Nazionale Palestinese.

Walid Assaf, capo del Comitato Nazionale di Resistenza al Muro e alle Colonie, parlando in una conferenza stampa nella tenda di protesta del villaggio ha detto: “Non ci fidiamo della decisione israeliana di congelare la demolizione di Khan al Ahmar e continueremo a protestare per proteggere la zona.”

Il 5 settembre l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha respinto una petizione presentata dagli abitanti del villaggio, aprendo la strada all’espulsione della comunità e alla sua totale demolizione.

Khan al-Ahmar si trova nella Cisgiordania occupata nei pressi della Route 1, che collega Gerusalemme est occupata alla valle del Giordano. Il villaggio è situato vicino alla colonia israeliana illegale di Kfar Adumim.

Gli abitanti di Khan al-Ahmar sono della tribù Jahalin, una famiglia [allargata] beduina espulsa dal deserto del Naqab – detto anche Negev – durante la guerra arabo-israeliana del 1948. Allora i Jahalin si insediarono sul versante orientale di Gerusalemme.

La comunità di Khan al-Ahmar comprende circa 35 famiglie le cui case e scuole precarie, per lo più fatte di lamiera ondulata e legno, sono state demolite dall’esercito israeliano molte volte negli scorsi anni.

Haaretz dice che il villaggio è stato costruito su terreni dello Stato e le sue case sono state edificate senza permesso.

In un comunicato dopo la sentenza della corte il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem ha affermato che “i palestinesi non possono costruire legalmente e sono esclusi dai meccanismi decisionali che definiscono le loro vite. Il sistema di pianificazione è inteso esclusivamente a beneficio dei coloni (israeliani). Questa sentenza dimostra ancora una volta che chi si trova sotto occupazione non può ottenere giustizia nei tribunali dell’occupante.”

In luglio Israele ha affermato di prevedere di ricollocare i 180 residenti di Khan al-Ahmar in una zona a circa 12 km di distanza, nei pressi del villaggio palestinese di Abu Dis. Ma il nuovo luogo è vicino a una discarica e i difensori dei diritti umani sostengono che un trasferimento forzato degli abitanti violerebbe le leggi internazionali che riguardano territori occupati.

Haaretz ha rilevato che i giudici della Corte Hanan Melcer, Yitzhak Amit e Anat Baron hanno affermato che il maggior problema in questo caso non è se si possa effettuare l’espulsione, ma dove verrebbero trasferiti gli abitanti.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Romano si sarebbe piazzato davanti a un bulldozer israeliano

Secondo la sua avvocatessa, dopo uno scontro in Cisgiordania Israele trattiene il professore franco-statunitense in base alla legge militare.

Redazione di Times of Israel e agenzie

15 Settembre 2018, Times of Israel

Il fermo di Frank Romano sarebbe stato prolungato grazie a una applicazione “straordinaria” delle leggi militari; l’avvocatessa non è in grado di confermare se il suo cliente abbia iniziato lo sciopero della fame.

Secondo la sua avvocatessa, il docente universitario franco-statunitense arrestato venerdì durante una protesta in un villaggio beduino in Cisgiordania in via di demolizione da parte di Israele, rimarrà agli arresti fino a lunedì.

Sabato Gaby Lasky ha detto che il suo cliente, Frank Romano, è stato portato in una prigione di Gerusalemme e la polizia avrebbe detto che comparirà lunedì davanti a un tribunale militare israeliano.

Con una procedura straordinaria la legislazione militare applicata in Cisgiordania è stata messa in pratica per Frank Romano, accusato di aver ostacolato l’azione della polizia e dei soldati israeliani, per cui il tempo massimo prima di comparire davanti al giudice è di 96 ore,” ha detto Lasky all’AFP [agenzia di stampa francese, ndtr.].

Ha aggiunto che la legge israeliana prevede che civili e turisti vengano portati davanti a un giudice entro le 24 ore e che chiederà a un giudice israeliano di intervenire in modo che il destino del suo cliente venga deciso in base alle leggi israeliane [non a quelle militari, ndtr.].

Secondo B’Tselem, una Ong israeliana che lavora in Cisgiordania, Romano ha iniziato uno sciopero della fame e continuerà “fino al ritiro” della decisione di radere al suolo il villaggio beduino.

Lasky ha detto all’AFP di non essere in grado di confermare lo sciopero della fame.

Romano era tra le decine di attivisti a Khan al-Ahmar che cercavano di bloccare la prevista demolizione dell’accampamento. L’azione programmta da Israele ha sollevato la condanna internazionale.

Venerdì sul posto sono scoppiati tafferugli tra le forze di sicurezza israeliane e i manifestanti filo-palestinesi. Gli attivisti hanno detto che Romano si è piazzato davanti a un bulldozer che stava rimuovendo le barricate messe per rallentare la demolizione.

La polizia israeliana ha confermato che venerdì tre persone sono state arrestate per aver provocato disordini a Khan al-Ahmar, ma non ha rilasciato dettagli sulle loro identità.

La scorsa settimana l’Alta Corte di Giustizia [israeliana] ha dato il via alla demolizione di Khan al-Ahmar respingendo un ultimo ricorso tra le crescenti proteste internazionali sul destino della comunità cisgiordana.

Israele afferma che Khan al-Ahmar, un villaggio di baracche di lamiera a est di Gerusalemme, era stato costruito illegalmente e ha proposto di risistemare gli abitanti a 12 km di distanza.

Chi si oppone alla demolizione sostiene che fa parte del tentativo di consentire l’ulteriore espansione della vicina colonia di Kfar Adumim e creare una zona di controllo israeliano da Gerusalemme fin quasi al Mar Morto, una mossa che secondo gli oppositori dividerebbe in due la Cisgiordania rendendo impossibile uno Stato palestinese con continuità territoriale.

Giovedì le forze israeliane hanno demolito cinque roulotte che erano state piazzate di recente fuori dal villaggio. Le roulotte, costituite da container da trasporto, erano state sistemate all’inizio della settimana come forma di protesta contro la prevista demolizione.

L’attivista Abdallah Abu Rahmeh ha detto che collocare le bianche strutture, su una delle quali sventola una bandiera palestinese, serviva come messaggio a Israele che “è nostro diritto costruire sulla nostra terra.”

Le Nazioni Unite e l’Unione Europea hanno ripetutamente avvertito Israele che distruggere Khan al-Ahmar avrebbe minacciato i tentativi di pace con i palestinesi e costituito una violazione delle leggi internazionali.

Giovedì il parlamento europeo ha approvato una risoluzione in cui si afferma che mettere in atto la sentenza rappresenterebbe un “precedente negativo” per le altre comunità beduine in Cisgiordania minacciate di demolizione.

In base alla Quarta Convenzione di Ginevra, Israele ha la responsabilità assoluta di fornire i servizi necessari, compresi l’istruzione, le cure mediche e i servizi sociali, alle persone che vivono sotto la sua occupazione,” recita la risoluzione.

Israele sostiene che le strutture, per lo più baracche e tende, sono state costruite senza permessi e rappresentano una minaccia per gli abitanti del villaggio a causa della loro vicinanza a un’autostrada.

Ma gli abitanti – che hanno vissuto in questo luogo, all’epoca controllato dalla Giordania, fin dagli anni ’50, dopo che lo Stato [di Israele] li aveva cacciati dalle loro case nel Negev – affermano che non hanno alternative se non costruire senza i permessi edilizi israeliani, in quanto i permessi non vengono praticamente mai rilasciati ai palestinesi per costruire in posti, come Khan al-Ahmar, nell’Area C della Cisgiordania, dove Israele ha il pieno controllo sulle questioni civili.

In base agli accordi di Oslo la Cisgiordania è stata divisa in tre aree: A, governata dall’ANP [Autorità Nazionale Palestinese]; B, sotto il controllo misto israeliano e dell’ANP; C, sotto totale controllo israeliano.

Il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem afferma che la demolizione è parte di un piano per ridurre al minimo la presenza palestinese nell’Area C, che rappresenta il 60% della Cisgiordania.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Alta Corte israeliana autorizza crimine di guerra

I giudici israeliani danno l’approvazione definitiva a un crimine di guerra a Khan al-Ahmar

The Electronic Intifada

Tamara Nassar – 5 settembre 2018

 

 

L’Alta Corte israeliana ha dato l’approvazione definitiva alla deportazione della comunità palestinese di Khan al-Ahmar, nella Cisgiordania occupata.

Il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem afferma che la decisione renderà i giudici complici di un crimine di guerra se la demolizione – che dovrebbe avvenire a giorni – avrà luogo.

Inizialmente la corte a maggio aveva approvato la demolizione dell’intero villaggio, ma l’azione era stata temporaneamente sospesa a luglio, dopo che gli avvocati dei circa 200 abitanti di Khan al-Ahmar avevano presentato due ricorsi all’Alta Corte.

I giudici hanno accettato uno dei ricorsi ed hanno tenuto un’udienza in agosto.

Mercoledì l’Alta Corte l’ha respinto, ha revocato la sospensione provvisoria e ha dato alle autorità israeliane il via libera per espellere gli abitanti entro una settimana.

Il giornale israeliano “Haaretz” [di centro sinistra, ndtr.] ha affermato che i giudici “hanno detto che il principale problema di questo caso non era se si dovesse portare a termine l’espulsione, ma dove sarebbero stati risistemati gli abitanti.”

Israele vuole deportare a forza gli abitanti di Khan al-Ahmar in una zona nei pressi di una discarica nota come al-Jabal ovest.

Uno dei giudici ha respinto la richiesta degli abitanti di sospendere l’evacuazione finché non avranno trovato un luogo alternativo per andare a vivere ed ha criticato il loro rifiuto di vivere nei pressi della discarica.

Molto prima della decisione della corte di mercoledì Israele ha iniziato i preparativi per la demolizione del villaggio.

 

Non c’è giustizia nei tribunali israeliani

Nella loro sentenza, i giudici dell’Alta Corte israeliana “hanno descritto un mondo immaginario con un sistema di pianificazione uguale per tutti che prende in considerazione le necessità dei palestinesi, come se non ci fosse mai stata un’occupazione,” ha detto mercoledì B’Tselem.

“La realtà è diametralmente opposta a questa fantasia: i palestinesi non possono costruire legalmente e sono esclusi dai meccanismi decisionali che determinano come saranno le loro vite,” ha aggiunto l’associazione. “I sistemi di pianificazione sono esclusivamente destinati a beneficiare i coloni.”

“Questa sentenza mostra ancora una volta che chi è sotto occupazione non può chiedere giustizia nei tribunali dell’occupante,” ha affermato B’Tselem.

 

I dirigenti israeliani festeggiano un crimine di guerra

I dirigenti israeliani hanno lodato i giudici per aver approvato la deportazione della comunità, che in base alle leggi internazionali è un crimine di guerra.

Secondo le leggi che governano un’occupazione militare, un occupante può spostare persone in caso di necessità militari. Ma Israele vuole espellere gli abitanti di Khan al-Ahmar dalla zona est di Gerusalemme, dove è impegnato in un’intensa colonizzazione – anche questa in violazione delle leggi internazionali.

Yuli Edelstein, il presidente del parlamento israeliano e membro del partito di governo Likud, si è vantato su twitter che “la pressione” da parte dell’Unione Europea non sia riuscita a bloccare la decisione della corte.

“In Israele c’è una legge e chiunque è uguale di fronte ad essa,” ha affermato Edelstein – l’esatto contrario della realtà.

Diplomatici europei hanno fatto visita a Khan al-Ahmar nello scorso anno per mostrare il proprio sostegno alla comunità, ma, a parte un tale atto simbolico, l’Unione Europea – che fornisce ad Israele notevoli somme in aiuti e commercio – non ha preso nessuna iniziativa per chiedere conto ad Israele.

Allo stesso modo l’UE non ha fatto niente quando Israele ha demolito o confiscato scuole o altri edifici per i palestinesi che essa o suoi Stati membri hanno finanziato.

Pare che diplomatici europei abbiano detto a media israeliani che continuare con la demolizione di Khan al-Ahmar “innescherebbe una reazione da parte di Stati membri dell’UE.”

Ma, visto il lungo elenco di mancate reazioni dell’UE, simili avvertimenti dovrebbero essere presi con una notevole dose di scetticismo.

Anche il ministro della Difesa Avigdor Lieberman si è rallegrato per la decisione della corte, twittando che “Khan al-Ahmar sarà evacuato.”

Ha lodato i giudici per “una decisione coraggiosa e necessaria di fronte ad una campagna ipocrita orchestrata da Abu Mazen (il capo dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas), dalla sinistra e dai Paesi europei.”

Fino a mercoledì sera i portavoce dell’UE non avevano ancora rilasciato una reazione alla decisione della corte.

 

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Israele vuole agire con ancora maggiore impunità vietando di filmare i suoi soldati assassini

Asa Winstanley

31 agosto 2018, Middle East Monitor

Uno dei più noti criminali israeliani degli ultimi tempi dovrebbe essere Elor Azaria. Nel 2016 a Hebron il soldato israeliano ha ucciso un giovane palestinese che era a terra gravemente ferito e sanguinante. Abd Al-Fattah Yusri Al-Sharif era già stato ferito dopo essere stato accusato di aver cercato di attaccare un altro soldato che controllava un checkpoint. Hebron è una città palestinese in Cisgiordania, occupata illegalmente da Israele. Una vasta area della città ha una presenza militare israeliana più pesante delle altre, a causa del fatto di essere stata occupata da un gruppo dei coloni sionisti più estremisti.

Questi fanatici religiosi spesso maltrattano, sputano addosso ai palestinesi e li aggrediscono solo per il fatto di essere arabi in quella che essi sostengono essere una “città ebraica”. I coloni di Hebron sono in procinto di cercare di occuparla totalmente, di casa in casa. Per di più, sono difesi ed aiutati dall’esercito israeliano.

Di solito le famiglie palestinesi sono cacciate senza tante cerimonie. Se tentano di resistere anche nel modo più pacifico, i soldati israeliani li buttano a terra e spesso li uccidono con totale impunità.

In una situazione così intollerabile non c’è da stupirsi che qualche singolo giovane palestinese si prenda la responsabilità di lottare contro l’occupazione militare brutale e razzista. Il diritto alla resistenza armata all’occupazione e alla colonizzazione è sancito dalle leggi internazionali, da risoluzioni ONU e dall’etica. Quindi resistere è assolutamente legittimo. Ciò detto, le accuse israeliane di “attacchi all’arma bianca” contro i suoi soldati a volte sono inventati. C’è almeno un caso ben documentato di soldati che hanno messo un coltello sul corpo di un palestinese che avevano già ucciso.

Nel video dell’uccisione di Abd Al-Fattah Yusri Al-Sharif da parte di Azaria si può vedere il religioso fascista Baruch Marzel [dirigente di gruppi di estrema destra religiosa, tra cui il partito Kach, messo fuorilegge per terrorismo in Israele e negli USA, ndtr.] che stringe la mano all’assassino. Il filmato è stato ripreso da un volontario palestinese di un’organizzazione per i diritti umani. Mostra chiaramente che né Azaria né alcun altro soldato con lui erano in pericolo al momento dell’uccisione. Si vede Azaria che chiede tranquillamente ordini al suo superiore prima di prendere in modo assolutamente deliberato la mira e sparare in testa ad Al-Sharif.

Il video è diventato virale sulle reti sociali e il mondo è rimasto scioccato di vedere la crudele e brutale situazione dell’occupazione israeliana. In Israele, tuttavia, Azaria è stato acclamato come eroe nazionale.

Ciononostante, in seguito a pressioni internazionali, egli è stato giudicato, riconosciuto colpevole di – incredibilmente – “omicidio colposo” e condannato solo a 18 mesi di carcere, di cui ne ha scontati 9 simbolici. Significativamente questa è stata più o meno la stessa condanna che l’eroina disarmata della resistenza palestinese Ahed Tamimi ha scontato per aver schiaffeggiato un soldato israeliano che era entrato in casa sua il giorno in cui un suo parente era stato colpito alla testa da un altro membro delle forze armate israeliane. Nell’Israele dell’apartheid, le vite dei palestinesi non valgono niente.

Azaria è stato liberato dalla prigione all’inizio di maggio, e recentemente si è sfacciatamente vantato sui media israeliani che avrebbe di nuovo fatto la stessa cosa. Ha ribadito di “non avere rimorso” per quello che ha fatto. La triste verità è che quello che è successo a Hebron in quel fatale giorno non era niente di straordinario. Al contrario, durante il processo ad Azaria il dirigente di una delle milizie dei coloni ha testimoniato che si tratta della procedura standard. Molti assassinii simili di palestinesi– spesso giovani – in Cisgiordania sono stati documentati e nessuno è stato chiamato a risponderne. L’unico aspetto inusuale del caso di Azaria è che sia stato ripreso dalla videocamera di un coraggioso operatore sul campo palestinese per “B’Tselem”, l’associazione israeliana per i diritti umani.

In seguito a ciò, il volontario ha ricevuto gravi e credibili minacce di morte da coloni israeliani. E ora, invece di rendere responsabili i suoi soldati assassini, la cosiddetta “unica democrazia del Medio Oriente” sta progettando di evitare che si ripeta l’imbarazzo provocato dal fatto che i suoi crimini vengano resi pubblici: Israele sta per vietare a chiunque di filmare i suoi soldati. Come specificato in un articolo di informazione politica del centro palestinese per le libertà in internet “7amleh” (Hamleh sta per “campagna” in arabo), una legge che attualmente sta seguendo il suo iter alla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] “punirebbe il fatto di filmare o fotografare l’esercito israeliano nel corso delle sue attività e proibirebbe la diffusione di foto o video che critichino l’esercito israeliano sulle reti sociali e sui principali mezzi di comunicazione.”

Il ministro israeliano della Difesa, l’estremista di destra Avigdor Lieberman [del partito ultranazionalista “Israele casa nostra”, ndtr.], è il promotore della legge. Il razzista antiarabo ha definito il fatto di filmare i suoi soldati un “fenomeno preoccupante” a cui Israele ha assistito per molti anni.

Quello che ciò realmente significa è che Israele vuole la libertà di torturare, mutilare, imprigionare e uccidere palestinesi con totale impunità e nel completo silenzio, senza neppure il minimo sussurro di inefficace “condanna” da parte dei suoi alleati nell’UE e negli USA. Il resto del mondo non può condannare quello che non vede.

La legge è parte di una serie di leggi israeliane simili denunciate da “7amleh”, che ridurranno la libertà su internet. Ciò include la proposta di istituire una nuova “Direzione Nazionale Informatica” che darà al primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu il potere di ordinare – senza nessuna supervisione giudiziaria – di violare computer e telefoni di chiunque egli ritenga una “minaccia per la sicurezza informatica di Israele.”

Considerando che attualmente Israele sostiene che l’attivismo popolare non violento per i diritti dei palestinesi in tutto il mondo costituisca “una minaccia strategica del massimo livello,” è tempo che i governi occidentali smettano di assecondare la fantasia che lo Stato [di Israele] sia una democrazia di qualunque genere. Devono far fronte alla minaccia che Israele rappresenta, non solo per i palestinesi, ma anche per ogni singolo individuo e istituzione al mondo, compresi i governi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Ufficiale israeliano in carcere per nove mesi per aver ucciso un adolescente palestinese

Chloé Benoist

mercoledì 25 aprile 2018,Middle East Eye

La famiglia di Nadim Nuwara dice che ricorrerà in appello contro Ben Deri, che ha sparato alla schiena al figlio di 17 anni durante la marcia del 2014 per commemorare la Nakba.

Un poliziotto di frontiera israeliano sarebbe stato condannato a nove mesi di prigione e multato con il corrispettivo di 13.955 dollari per aver ucciso nel 2014 il ragazzo palestinese Nadim Nuwara durante una manifestazione in commemorazione della Nakba.

Il giornale israeliano Haaretz ha riportato che mercoledì un giudice della corte distrettuale di Gerusalemme ha condannato Ben Deri, riscontrando un “significativo livello di negligenza” e ne ha chiesto l’incarcerazione, pur specificando che Deri è “un eccellente ufficiale di polizia rispettoso degli ordini.”

Siyam Nuwara, padre di Nadim, ha detto a Middle East Eye che la famiglia stava pensando di presentare appello contro il verdetto e ha chiesto alla comunità internazionale di intervenire sul caso.

Non c’è giustizia in Israele,” ha detto. “Abbiamo raccolto tutte le prove, ma non c’è giustizia.”

Nuwara aveva 17 anni quando venne colpito alla schiena fuori dalla prigione di Ofer, l’unica prigione israeliana situata all’interno della Cisgiordania occupata, durante una protesta per ricordare il 66° anniversario della Nakba, l’espulsione di 750.000 palestinesi durante la creazione di Israele.

Telecamere di sicurezza e troupe televisive ripresero il momento in cui Nadim fu ucciso.

Quel giorno anche un altro giovane palestinese, Mohammed Odeh Abu al-Thahir, venne colpito ed ucciso, tuttavia le autorità israeliane non hanno aperto nessuna inchiesta giudiziaria sulla sua morte.

Alcuni gruppi per i diritti umani, compreso Human Rights Watch, hanno affermato che il ragazzo non costituiva una minaccia imminente quando è stato ucciso, e HRW ha definito il caso “un evidente crimine di guerra”.

Inizialmente le forze israeliane negarono che quel giorno fossero stati sparati proiettili veri, mentre alcune fonti ufficiali israeliane, tra cui l’allora ambasciatore negli Stati Uniti, Michael Oren, sostennero che le morti di Nuwara e al-Thahir erano una messa in scena.

L’esame autoptico dimostrò che Nuwara era stato colpito al torace. Deri venne arrestato sei mesi dopo e in un primo tempo accusato di omicidio.

La difesa di Deri si è imperniata sulla versione secondo cui un proiettile vero era caduto “accidentalmente” nel caricatore dell’arma dell’ufficiale, mentre lo stava caricando con pallottole di acciaio ricoperto di gomma.

All’inizio del 2017 Deri ha accettato un patteggiamento che ha derubricato l’imputazione contro di lui a omicidio colposo per negligenza.

La famiglia di Nuwara ha contestato il patteggiamento di fronte al tribunale, sostenendo che era stato raggiunto senza che loro ne fossero a conoscenza e che quel giorno Deri aveva usato consapevolmente proiettili veri.

Il gruppo israeliano per i diritti umani B’tselem ha affermato in un comunicato: “Il processo a Ben Deri esemplifica come il sistema investigativo e legale di Israele insabbi le continue uccisioni di palestinesi.”

Persino in questo caso, inusuale in quanto le accuse sono state formulate e si è persino arrivati al processo, l’insabbiamento continua. Il giudizio è finito con una sentenza vergognosamente mite, che serve solo a sottolineare il solito messaggio: le vite dei palestinesi sono a perdere.

Israele sicuramente si vanterà di questo processo come un chiaro esempio della sua capacità di fare giustizia. Al diavolo i fatti, quello che conta è la propaganda.”

L’udienza di mercoledì si è tenuta mentre Israele affronta le critiche per la politica di fuoco indiscriminato nella Striscia di Gaza assediata, dove dal 30 marzo l’esercito israeliano ha ucciso 39 palestinesi e ferito altre migliaia di manifestanti che partecipavano alla “Grande Marcia del Ritorno.”

Le autorità israeliane raramente incriminano soldati che hanno ucciso palestinesi. Quando membri delle forze israeliane sono imputati per queste morti, le condanne sono spesso brevi – creando quello che l’ong israeliana per i diritti umani Yesh Din ha chiamato un contesto di “quasi impunità”.

Hanan Ashrawi, membro direttivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha denunciato il doppio standard del sistema giudiziario israeliano.

È ridicolo che la ragazzina palestinese Ahed Tamimi, che ha affrontato un soldato israeliano che stava invadendo casa sua nella Cisgiordania occupata, sia stata obbligata a scontare otto mesi in una cella di un carcere israeliano,” ha detto.

Nel contempo il poliziotto di frontiera israeliano Ben Deri…ha avuto una sentenza di soli nove mesi.”

Finché la comunità internazionale rimarrà in silenzio, l’ingiustizia e l’oppressione del popolo palestinese continueranno senza sosta. Israele deve essere chiamato a rendere conto della sua violenza incontenibile e delle gravi violazioni contro il popolo palestinese.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Parlamentari USA esortano i soldati israeliani a sfidare l’ordine di sparare ai manifestanti palestinesi

Ali Abunimah

13 Aprile 2018, Electronic Intifada


Giovedì alcuni attivisti hanno contestato Nikki Haley, ambasciatrice USA alle Nazioni Unite, perché il suo governo ha bloccato ogni inchiesta internazionale sulle uccisioni israeliane a Gaza.

Haley non ha trovato modo di rispondere, mentre i membri del gruppo contro la Guerra “CODEPINK” hanno affermato che “Israele merita di essere considerato responsabile esattamente come qualunque altro Paese” per “l’uccisione di manifestanti pacifici.”

Nel contempo cinque membri del Congresso USA hanno rotto quello che è stato un silenzio quasi totale.

Appoggiano l’appello di B’Tselem [organizzazione israeliana per i diritti umani, ndt.] ai soldati israeliani perché sfidino l’ordine illegale di aprire il fuoco contro palestinesi disarmati che partecipano alle proteste nella Striscia di Gaza occupata.

Elogiamo i gruppi israeliani per i diritti umani che stanno chiedendo ai soldati israeliani di resistere a questi ordini illegali dei loro superiori e stanno chiedendo alle forze dell’esercito israeliano di rispettare integralmente le leggi internazionali e di esercitare la massima moderazione nell’uso di una forza letale,” dicono i parlamentari alla vigilia del terzo venerdì dei raduni per la “Grande Marcia del Ritorno”.

Questi mezzi devono essere utilizzati solo come ultima risorsa per impedire un’imminente minaccia mortale.”

Profondamente turbati”

Durante gli ultimi due venerdì – 30 marzo e 6 aprile – le forze israeliane hanno perpetrato un massacro premeditato e calcolato di decine di manifestanti palestinesi che non rappresentavano nessuna minaccia di alcun genere, provocando un avvertimento senza precedenti da parte del pubblico ministero della Corte Penale Internazionale (CPI), secondo cui i dirigenti israeliani potrebbero essere incriminati.

Fino al pomeriggio di questo venerdì un palestinese è stato ucciso e centinaia sono stati feriti quando le forze israeliane hanno di nuovo aperto il fuoco oltre la frontiera contro migliaia di dimostranti riuniti per chiedere la fine del blocco israeliano di Gaza e il diritto dei rifugiati a tornare alle terre da cui Israele li ha espulsi e da cui li esclude in quanto non ebrei.

I cinque democratici del Congresso – Mark Pocan del Wisconsin, Pramila Jayapal di Washington, Keith Ellison del Minnesota, Barbara Lee della California e Henry “Hank” Johnson della Georgia – dichiarano: “Siamo profondamente turbati dalle tragiche morti delle ultime due settimane di proteste portate avanti all’interno del territorio di Gaza, con più di dieci palestinesi uccisi da cecchini – compreso un adolescente disarmato e uno stimato fotogiornalista – e molte altre centinaia feriti da proiettili letali.”

Infatti tre minori palestinesi – di 13, 15 e 17 anni – sono stati tra le decine di persone ferite dalle forze israeliane a Gaza nelle ultime due settimane.

I deputati affermano anche di “respingere fermamente la pericolosa affermazione” del ministro della Difesa israeliano Avigdor Lieberman “secondo cui ‘non ci sono persone innocenti nella Striscia di Gaza’,” così come gli ordini dati dai comandanti israeliani “in violazione delle leggi internazionali” di impiegare “il fuoco di cecchini contro abitanti di Gaza che siano arrivati a 300 metri dalla barriera di confine o siano coinvolti in altre azioni che non mettono a rischio la vita [dei soldati].”

Difendere i minori

Betty McCollum, una democratica del Minnesota che ha presentato una storica legge per proteggere i bambini palestinesi dall’arresto e dai maltrattamenti da parte dell’esercito israeliano, non ha firmato la dichiarazione.

Ma McCollum è stata una dei pochissimi deputati che hanno condannato il massacro di civili palestinesi dopo la prima manifestazione della “Grande Marcia del Ritorno”, il 30 marzo.

Ha dimostrato la propria volontà di continuare a pronunciarsi a favore dei diritti dei palestinesi tweettando la foto di un incontro che ha tenuto giovedì con il direttore di “B’Tselem” Hagai El-Ad.

Stiamo lavorando insieme per porre fine agli arresti, ai maltrattamenti e alle torture dei minori palestinesi da parte dell’esercito israeliano,” ha scritto McCollum.

Chi usa “scudi umani”?

E’ molto raro che membri del Congresso critichino apertamente Israele ed appoggino i diritti dei palestinesi.

Ma ciò che è altrettanto significativo è la quasi totale mancanza di parlamentari, repubblicani o democratici, che intendano difendere le uccisioni israeliane a Gaza.

L’AIPAC, il potente gruppo della lobby israeliana, è tuttavia riuscito a trovarne una manciata e li ha ritweettati sul suo tweetter ufficiale.

Il repubblicano dell’Indiana Jim Banks ha ripetuto l’argomento del governo israeliano secondo cui le manifestazioni a Gaza sono uno stratagemma di Hamas “che utilizza civili innocenti come scudi umani.”

Anche il repubblicano della Carolina del Sud Joe Wilson ha affermato che “Hamas ha usato deliberatamente una protesta di civili per fomentare la violenza e mettere a rischio vite innocenti.”

Entrambi i parlamentari sollecitano il Senato ad approvare la “Legge per la Prevenzione degli Scudi Umani di Hamas”, una legge promossa da Wilson.

La legge, approvata dalla Camera in febbraio, in apparenza chiede sanzioni contro i dirigenti di Hamas che avrebbero utilizzato questa prassi.

Da molto tempo Hamas è definita come organizzazione “terroristica” dagli Stati Uniti ed è già soggetta a dure sanzioni. La legge pertanto sembra essere poco più di un modo di mettersi in mostra per promuovere una sconclusionata narrazione israeliana che intende incolpare i palestinesi per i loro morti e feriti.

Un’inchiesta di Human Rights Watch sulle uccisioni del 30 marzo da parte di Israele non ha trovato “prove che i manifestanti abbiano usato armi da fuoco o che qualche soldato dell’IDF (l’esercito israeliano) affermi che ci sia stato l’uso di colpi di avvertimento con armi da fuoco nei confronti dei manifestanti.”

Benché, come ha riconosciuto Human Rights Watch, alcuni dimostranti – delle decine di migliaia che hanno partecipato alle manifestazioni – abbiano bruciato copertoni e lanciato pietre contro postazioni israeliane pesantemente protette, neppure un israeliano risulta essere stato ferito durante settimane di proteste in cui migliaia di palestinesi sono stati uccisi o feriti da proiettili mortali e gas lacrimogeni.

Mentre membri del Congresso come Banks e Wilson promuovono le false accuse israeliane secondo cui i palestinesi utilizzano “scudi umani”, essi ignorano le prove inconfutabili che le forze israeliane hanno fatto esattamente questo per anni, sia a Gaza che nella Cisgiordania occupata.

Gente di speranza”

Anche in Canada gli attivisti stanno denunciando il silenzio del loro governo sui massacri israeliani a Gaza.

Durante la lotta contro l’apartheid in Sud Africa è stata la società civile, compresi chiese, sindacati, iniziative di amministrazioni locali e attivisti studenteschi che hanno fatto pressione sugli USA e su altri governi perché ponessero fine alla loro complicità con il regime razzista bianco.

La lotta per la giustizia in Palestina sta seguendo un cammino simile: questa settimana il consiglio comunale di Dublino ne ha fatto la prima capitale europea che appoggia il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS).

E in seguito all’ultimo bagno di sangue a Gaza, 15 confessioni cristiane e gruppi religiosi degli USA hanno emesso quello che per molti di loro è forse il più duro comunicato in appoggio ai diritti dei palestinesi.

Le organizzazioni religiose sostengono l’avvertimento del pubblico ministero della CPI ai dirigenti israeliani, inoltre invitano i soldati israeliani a sfidare gli ordini illegali, esprimono pieno appoggio ai diritti dei rifugiati palestinesi, chiedono che gli USA considerino Israele responsabile per come utilizza i miliardi di dollari in aiuto militare e fanno appello perché venga tolto il blocco di Gaza.

Con le manifestazioni i palestinesi hanno cercato di portare l’attenzione del mondo sui propri diritti e di rivendicarli– in quanto rifugiati, di manifestare e di vivere in modo dignitoso,” affermano i gruppi cristiani. “Hanno incontrato un rifiuto immediato e terribile di questi diritti, ma, come persone di speranza e nel periodo di Pasqua, crediamo che questi diritti alla fine prevarranno.”

(traduzione di Amedeo Rossi)