Carrefour fa affari nelle colonie israeliane

Jean Stern

23 novembre 2022 – Orient XXI

In società con un partner israeliano il gigante francese della distribuzione lancia una nuova catena di supermercati in Israele e in diverse colonie dei territori palestinesi occupati. Una scelta cinica contraria al diritto internazionale, della quale il Primo Ministro israeliano uscente si è detto felice.

Sono ormai più di 200 le colonie israeliane in Cisgiordania e variano da qualche famiglia a parecchie decine di migliaia di abitanti. Le due colonie più importanti, Maale Adumin vicina a Gerusalemme e Ariel non lontana da Nablus, sono diventate vere e proprie città, rispettivamente con oltre 40.000 e oltre 20.000 abitanti. Ariel inoltre ospita un’università inserita nel sistema universitario israeliano. Le colonie, installate il più delle volte su alture o posizioni dominanti, ricoprono e rimodellano la Cisgiordania.

Costituiscono dei mondi chiusi, recintati da filo spinato, turni di guardia, tralicci luminosi e camminamenti di ronda e sono serviti da strade quasi sempre vietate ai veicoli palestinesi. Quando i coloni escono dai loro universi chiusi e dalle loro strade messe in sicurezza è per attaccare i palestinesi. La recrudescenza della violenza dei coloni nei loro confronti vede una crescita esponenziale e drammatica dall’inizio del 2022.

I supermercati al centro della vita sociale

Tre luoghi sono determinanti per la vita sociale di queste colonie che hanno poche attività industriali ed economiche, ad eccezione delle colonie agricole della Valle del Giordano e del nord della Cisgiordania. La maggior parte dei coloni lavora a Gerusalemme o nell’area urbana di Tel Aviv, e spesso deve passare tre o quattro ore al giorno in viaggio. In questi spazi urbani paranoici e sinistri i tre luoghi centrali sono la sinagoga, il campo sportivo e il supermercato, a lungo la sola attività commerciale della zona, tranne alcuni servizi a domicilio, per esempio parrucchieri.

In questi supermercati, generalmente molto modesti, di un centinaio di m2, si trova di tutto, come si usa dire, e queste attività di prossimità sono essenziali al corretto funzionamento delle zone illegali rispetto al diritto internazionale. I prezzi sono molto alti, ancor più che nei negozi di alimentari in Israele, dove d’altronde la vita è molto cara. In diverse colonie dove la popolazione di origine russa è molto numerosa ho visto rivendite di alcolici particolarmente ben fornite, da fare invidia ad un negozio notturno di Parigi, ovviamente con delle bottiglie di vodka per tutti i gusti e per tutti i prezzi.

Una popolazione rinchiusa e in espansione, l’assenza di vera concorrenza: la scelta del gruppo francese Carrefour, uno dei giganti mondiali del commercio con più di 12.000 rivendite in 39 Paesi, è stata quella di insediarsi nelle colonie dei territori palestinesi occupati. Citata in un rapporto pubblicato il 17 novembre 2022 dall’Associazione di Solidarietà Francia-Palestina (AFPS) insieme alla CGT [sindacato francese, ndt.], Solidaires, Lega dei Diritti Umani (LDH), Piattaforma delle ONG per la Palestina e Al-Haq, questa decisione è quindi tutt’altro che casuale.

Un accordo sottoscritto per 20 anni

Si tratta di un accordo di franchising firmato a inizio marzo 2022 tra Carrefour e Yenot Bitan, filiale del gruppo israeliano Elco. Della durata di 20 anni, l’accordo consentirà ai negozi Yenot Bitan, per ora 150, di vendere una certa quantità di prodotti di marchio Carrefour. Questi negozi saranno anzitutto rinominati “Super”, ma non è escluso che alla fine il marchio Carrefour si installi con proprio nome in Israele e nei territori palestinesi. Il partner israeliano di Carrefour, il gruppo Elco, ed una delle sue filiali, Electra Consumer Products, sono inoltre coinvolti in vario modo nell’economia delle colonie (costruzione di alloggi e lavori pubblici, climatizzazione di edifici, generatori elettrici…). È quindi difficile che Carrefour possa dire di non aver saputo niente nella scelta dei suoi alleati commerciali. Tanto più che le Nazioni Unite hanno pubblicato nel 2013 un elenco di dieci “attività suscettibili di rendere le imprese israeliane o multinazionali complici di violazioni dei diritti umani in relazione alla colonizzazione del territorio palestinese”, precisa il rapporto, di cui fa parte “l’offerta di servizi e prestazioni che contribuiscono al mantenimento e all’esistenza delle colonie di insediamento.” Non si potrebbe essere più chiari.

Attualmente Yenot Bitan possiede tre supermercati nelle colonie, uno a Alfei Menashe, non lontano da Tulkarem e che conta 8.000 abitanti e due nelle “mega-colonie” che formano Maale Adumin e Ariel. In queste due colonie questi supermercati completano l’offerta commerciale dei grandi centri commerciali dove alcuni marchi internazionali come Castro hanno dei negozi.

Il Primo Ministro israeliano uscente, Yair Lapid, a luglio si è chiaramente felicitato di questo accordo, che a suo parere consentirà ad altre imprese della distribuzione di “seguirne le orme”. Inoltre anche il gruppo olandese Spar prevede di aprire filiali in Israele e sicuramente nei territori occupati. La scelta di Carrefour di installarsi nella Cisgiordania occupata contribuisce dunque alla banalizzazione della colonizzazione, perché occultare gli abusi che essa comporta è l’obbiettivo principale della propaganda israeliana.

La ripresa della campagna #stopcolonie

I governi israeliani, e certamente ancor di più quello che sta predisponendo Benjamin Netanyahu, vogliono infatti che gli alleati internazionali di Israele, soprattutto la Francia e l’Unione Europea (UE), non facciano più della colonizzazione un casus belli. Per parte loro l’AFPS (Associazione Francia-Palestina) e i suoi alleati ritengono che si tratti di complicità diretta di Carrefour con la colonizzazione. “Se Carrefour intende conformarsi a principi etici che peraltro pone come prioritari, deve recedere da questo accordo”, afferma Bertrand Heilbronn, presidente della AFPS. “Quando diciamo che la colonizzazione è un crimine di guerra, non è un’affermazione retorica.”

Dopo la pubblicazione del rapporto il 17 novembre, alla fine il presidente dell’AFPS ha incontrato, insieme ai rappresentanti della Piattaforma delle ONG per la Palestina e della LDH, una delegazione del settore “responsabilità sociale delle imprese” di Carrefour. Si trattava di evidenziare le contraddizioni dell’impresa che assicura nei suoi “principi etici” che “la promozione dei diritti umani è fondamentale per condurre le proprie attività in modo responsabile e duraturo.” L’inquietante investimento nei supermercati delle colonie dimostra bene, se ci fosse qualche dubbio, che si tratta di parole al vento…tipiche del cinismo delle grandi imprese globalizzate.

Non hanno chiuso la porta”, precisa uno dei partecipanti all’incontro, “ma neppure rinunciano”. Dato che l’impresa non recede dalla sua scelta di investire nelle colonie, i firmatari del rapporto lanceranno una campagna che fa appello all’opinione pubblica, in particolare nei confronti dei (numerosi) clienti francesi dei diversi supermercati Carrefour. Si tratta anche di proseguire la campagna #stopcolonie lanciata da qualche mese proprio per porre fine al commercio con le colonie. Oltre ai firmatari del rapporto su Carrefour, questa campagna è sostenuta da diversi partiti di sinistra, in particolare dagli ecologisti di ‘Europe Ecologie Les Verts’ [Europa Ecologia-I Verdi] (EELV) e dal PCF [partito comunista francese, ndt.], e anche dalla Confederazione degli agricoltori e dalla Confederazione Francese Democratica del Lavoro (CFDT). Il loro impegno deve superare la fase simbolica, dato che i francesi hanno dimostrato in varie circostanze che, contrariamente ai dirigenti del gruppo Carrefour, non dimenticano la Palestina. “Partecipiamo con molta convinzione”, dice un responsabile della Piattaforma delle ONG per la Palestina. Di fronte all’inganno di Carrefour e di alcune altre società francesi, non si può che rallegrarsene. Sempre che duri….

Jean Stern

Storico collaboratore di Liberation, La Tribune e La Chronique d’ Amnesty International. Ha pubblicato nel 2012 “Les patrons de la presse nationale, tous mauvais” [I padroni della stampa nazionale, tutti cattivi], per La Fabrique; per le edizioni Libertalia: nel 2017 “Mirage gay à Tel Aviv” [Miraggio gay a Tel Aviv] e nel 2020 “Canicule” [Canicola].

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Carrefour si unisce a chi trae profitto dalle colonie israeliane

Ali Abunimah

14 marzo 2022 – Electronic Intifada

Durante il fine settimana l’hashtag #boycottcarrefour ha fatto tendenza sulle reti sociali francesi. È stato suggerito da notizie secondo cui il gigante della distribuzione ha deciso di ritirare prodotti russi dai suoi punti vendita per protestare contro l’invasione dell’Ucraina.

Una foto che ha avuto ampia circolazione su Twitter mostra chiaramente un cartello presso un supermercato Carrefour a Nizza. Vi si legge: “Cari consumatori, in seguito agli attuali avvenimenti ogni prodotto russo è stato ritirato dai nostri scaffali per appoggiare l’Ucraina.”

Molti utenti delle reti sociali hanno manifestato rabbia nei confronti di Carrefour, in quanto da anni i sostenitori dei diritti dei palestinesi hanno avviato una campagna perché la catena commerciale smetta di vendere prodotti israeliani, tra cui quelli provenienti da colonie nella Cisgiordania occupata.

In Francia alcuni attivisti sono stati persino perseguitati penalmente per aver chiesto il boicottaggio dei prodotti israeliani in quanto questo appello sarebbe razzista.

Nel 2020 la Corte Europea dei Diritti Umani ha annullato la condanna di 11 attivisti che avevano protestato in negozi Carrefour chiedendo il boicottaggio di prodotti israeliani. I giudici hanno stabilito all’unanimità che le condanne violavano i diritti politici degli attivisti e il diritto di espressione.

Tuttavia né sui suoi account nelle reti sociali né sulle pagine di notizie dell’impresa la francese Carrefour sembra aver annunciato alcun bando nei confronti dei prodotti russi.

È possibile che il ritiro dei prodotti russi in alcuni negozi di Carrefour sia stata un’iniziativa locale, benché in tutta Europa alcuni supermercati lo stiano facendo come politica aziendale.

Ciò avviene nel bel mezzo della frenesia a stigmatizzare qualunque cosa sia russa che va molto oltre il tipo di boicottaggio mirato di prodotti israeliani e di istituzioni complici che i palestinesi hanno sollecitato per anni.

Rifornire l’esercito israeliano

Ma, con l’attenzione concentrata sulla guerra in Ucraina, la scorsa settimana Carrefour ha fatto un annuncio che è passato inosservato.

Carrefour gestisce migliaia di supermercati e minimarket in tutto il mondo, ma finora non in Israele.

Ciò cambierà, in quanto il gigante della distribuzione sta iniziando una collaborazione con l’impresa israeliana Electra Consumer Products e la catena di supermercati che essa gestisce, Yenot Bitan.

“Questa collaborazione vedrà insegne di Carrefour in Israele prima della fine del 2022 e consentirà a tutti i negozi di Yenot Bitan, al momento più di 150, di aver accesso ai prodotti Carrefour prima dell’estate,” ha affermato Carrefour.

In base all’accordo Carrefour aprirà in Israele anche “negozi in franchigia”.

Ciò significa che Carrefour si assocerà a imprese che sono direttamente coinvolte nell’occupazione israeliana e nella colonizzazione della Cisgiordania – crimini di guerra.

Yenot Bitan gestisce negozi all’interno di colonie nella Cisgiordania occupata, comprese i grandi insediamenti di Ariel e Maaleh Adumim.

In base agli annunci di Carrefour, prima della fine di quest’anno l’impresa francese trarrà quindi profitto dalla vendita dei suoi prodotti all’interno di colonie.

Electra Consumer Products, proprietaria di Yenot Bitan, è parte di un consorzio di imprese che utilizza il marchio Electra in Israele. Esse condividono la stessa società madre, ELCO.

I marchi Electra sono profondamente coinvolti nella colonizzazione israeliana della terra palestinese occupata.

Secondo Who Profits, un’associazione che monitora le aziende complici della colonizzazione israeliana, Electra Consumer Products “ha installato condizionatori in edifici pubblici nelle colonie di Modiin Illit, Maaleh Adumim e Givat Zeev, in Cisgiordania.”

Varie altre aziende di Electra sono ancor più coinvolte nella costruzione di colonie, delle loro infrastrutture e nell’assistenza all’esercito israeliano.

Per esempio una consociata, FK Electra, ha fornito generatori almeno a un posto di controllo israeliano nella Cisgiordania occupata e, afferma Who Profits, “generatori all’esercito israeliano durante l’attacco militare contro Gaza del 2014 [Operazione “Margine protettivo”, ndtr.]”.

In seguito a ciò Electra è stata inserita nella banca dati dell’ONU delle imprese coinvolte nelle colonie all’interno dei territori palestinesi.

Parole vuote

Come altri membri dell’Unione Europea, la Francia sostiene di opporsi all’occupazione israeliana della Cisgiordania e ritiene che le colonie israeliane lì siano illegali.

Il governo francese mette persino in guardia: “Transazioni finanziare, investimenti, acquisti, approvvigionamenti e altre attività economiche nelle colonie o che favoriscano le colonie implicano rischi giudiziari ed economici legati al fatto che, in base alle leggi internazionali, le colonie israeliane sono state costruite su territori occupati e non sono riconosciute come parte del territorio di Israele.

Come minimo Carrefour approvvigionerà le colonie e ne beneficerà quando i prodotti del suo marchio arriveranno nei negozi di Yenot Bitan nelle colonie.

Che una grande azienda internazionale come Carrefour abbia preso la decisione non solo di associarsi con aziende che traggono profitto dalle colonie, ma di fare una qualunque attività commerciale in uno Stato di apartheid è un indicatore dell’impunità di cui godono Israele e i suoi complici.

Di fatto, guidati dalla Francia, che attualmente detiene la presidenza di turno della UE, gli Stati europei stanno cercando sempre più “opportunità di cooperazione” con Israele.

In questo contesto i dirigenti di Carrefour sanno sicuramente che, qualunque cosa dicano il governo francese o la UE a proposito delle colonie, sono solo parole vuote.

Mentre i cosiddetti oligarchi russi sono privati dei loro beni in base al semplice sospetto di legami con il presidente Vladimir Putin, gli oligarchi francesi possono godere della loro redditizia collaborazione con quanti sono coinvolti in crimini di guerra contro i palestinesi.

Ma il tempo dirà se i festeggiamenti di Carrefour sono giustificati.

Grazie agli sforzi degli attivisti solidali con la Palestina in tutto il mondo negli ultimi anni altre importanti imprese francesi, in particolare Orange [impresa di telecomunicazioni, ndtr.] e Veolia [multinazionale che opera nei settori dell’acqua, dei rifiuti e dell’energia, ndtr.], sono state obbligate a porre fine alla loro complicità con i crimini israeliani.

Gli attivisti prenderanno sicuramente in considerazione la decisione di Carrefour di trarre profitti dalla colonizzazione e dall’apartheid israeliani.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)