Cibo o medicine? Una scelta tragica a Gaza.

Ola Mousa

14 aprile 2023-The Electronic Intifada

Amal Bahar ha dovuto aspettare tre mesi prima di poter vedere un medico nel reparto otorinolaringoiatria dell’ospedale al-Shifa di Gaza City.

Per tutto quel tempo ha avuto l’acufene.

“Ho un formicolio costante nell’orecchio”, ha detto. “A volte, il dolore diventa acuto e si trasforma in mal di testa.”

Il dolore, ha osservato, può essere particolarmente acuto la sera.

Poiché al-Shifa è un’istituzione pubblica, alla fine Amal ha potuto consultare un medico gratuitamente. Tuttavia, poiché le risorse dell’ospedale sono limitate e molto richieste, c’è voluto molto tempo prima che potesse ottenere un appuntamento.

Avrebbe potuto ricevere cure prima se avesse avuto un reddito più elevato. Tuttavia sia Amal, 50 anni, che suo marito Wael, 55 anni, sono disoccupati, e lei non può permettersi di pagare.

La coppia fa affidamento sul sussidio di invalidità che Wael riceve dall’Autorità nazionale palestinese. Ammonta a circa $ 110 al mese.

Lui ha avuto un incidente in un cantiere dove lavorava due anni fa. Di conseguenza, la sua gamba destra ha subito gravi lesioni.

Amal dovrebbe pagare circa $ 22 per un consulto con uno specialista in una clinica privata. Ha anche bisogno di acquistare medicine dalle farmacie, il che può costarle circa $ 40 a settimana.

Le loro terribili circostanze economiche hanno fatto sì che Wael, Amal e i loro quattro figli abbiano dovuto fare a meno di molte qualità di cibo. Non hanno mangiato carne negli ultimi 18 mesi.

La povertà sta distruggendo la mia famiglia”, dice Amal. “E la mia malattia e tutto lo stress della mia vita stanno distruggendo la mia salute.”

Il blocco totale di Gaza – imposto da Israele dal 2007 – ha causato grossi problemi al sistema sanitario.

Le scorte di medicinali essenziali sono da lungo tempo gravemente carenti.

E i farmaci disponibili possono essere “più cari rispetto ai paesi vicini”, ha osservato Hussam al-Ladgha, un farmacista locale. L’importazione di medicinali da Israele e dall’Egitto è onerosa e costosa, ha spiegato.

Si lotta per il cibo

Muhammad Salem, 49 anni, soffre di mal di schiena cronico. Negli ultimi sette mesi ha aspettato un’operazione.

Gli è stato consigliato un certo numero di medicinali per alleviare le sue condizioni. Il costo totale per i farmaci è di oltre $ 20 a settimana.

Disoccupato da sette anni, Salem non può permettersi quella cifra.

Inoltre non può pagare gli onorari richiesti da molti medici. Mentre i medici che può vedere gratuitamente negli ospedali pubblici di solito sono oberati di lavoro

A volte è arrivato in ospedale per appuntamenti la mattina presto, ma ha dovuto aspettare fino al pomeriggio prima che un medico potesse vederlo.

“Soffro molto ogni giorno”, ha detto. “E trovo difficile dormire. Sono sempre in ansia”.

Le vittime della brutalità di Israele spesso devono accontentarsi di un trattamento inadeguato.

Muhammad Diab, che ora ha 34 anni, è stato colpito alla gamba sinistra da un cecchino israeliano nel maggio 2018. Stava partecipando alla Grande Marcia del Ritorno – proteste per chiedere che ai palestinesi fosse permesso di realizzare i loro diritti umani fondamentali.

Diab ha subito una serie di operazioni. Ha subito varie complicazioni, inclusa un’infezione alla gamba.

Dato che avrebbe bisogno di una sostituzione della rotula, dovrebbe vedere i medici regolarmente. Tuttavia, poiché non può permettersi di pagare le spese mediche, può fare gli esami medici solo una volta ogni due mesi.

Afferma che gli antidolorifici che riceve non forniscono un sollievo efficace.

“Sono disoccupato e ho tre figli”, prosegue. “Prima del mio infortunio [nel 2018], ero un operaio edile. Oggi sono ferito e povero e devo contare sull’aiuto dei miei fratelli. Non posso pagare per le cure di cui ho bisogno”.

Secondo gli ultimi dati ufficiali circa il 44% delle persone di età pari o superiore a 15 anni a Gaza sono disoccupate. Circa l’80% dei due milioni di abitanti di Gaza dipende dagli aiuti umanitari.

Il dottor Shawqi al-Baba, un chirurgo ortopedico, rileva che molte persone a Gaza non ottengono dei controlli clinici adeguati per i loro problemi medici perché non possono pagare gli onorari. È noto che i problemi di salute peggiorano di conseguenza.

“Per i poveri di Gaza andare da un dottore è spesso l’ultima risorsa”, ha detto. “La lotta principale qui è per il cibo.”

Zuhair Saad, 50 anni, fa eco a questa affermazione. Ha il diabete e la pressione alta, ma raramente va dal dottore.

Afferma: “Sono disoccupato da 10 anni e ho tre figli disoccupati”. “Per i poveri di Gaza recarsi in cliniche e acquistare medicinali è un carico aggiuntivo. Già dobbiamo affrontare una battaglia quotidiana per trovare cibo”.

Ola Mousa è un’artista e scrittrice di Gaza.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Dall’ispirazione alla disperazione: un anno della Grande Marcia del Ritorno

Yara Hawari

30 marzo 2019 Middle East Eye

Come il sogno dei palestinesi di tornare a casa, Gaza è diventata sinonimo di guerra, morte e sofferenza

Lo scorso mese un quattordicenne palestinese di Gaza, Hasan Shalabi, è stato mortalmente colpito al petto da un cecchino israeliano. Stava cercando lavoro e cibo per la sua famiglia quando è diventato uno delle decine di ragazzini uccisi dall’esercito israeliano durante le proteste della Grande Marcia del Ritorno.

Le manifestazioni presso la barriera israeliana che rinchiude il territorio sono iniziate il 30 marzo 2018 per commemorare il Giorno della Terra, che ricorda un episodio del 1976, quando la polizia israeliana sparò e uccise sei cittadini palestinesi di Israele che stavano protestando contro l’esproprio di centinaia di ettari di terra palestinese.

Da allora la data è stata celebrata per sottolineare il rapporto tra la resistenza palestinese e la sua terra. Lo scorso anno a Gaza la data è stata anche utilizzata per evidenziare il diritto palestinese al ritorno.

Occupazione e assedio

La maggior parte dei due milioni di palestinesi di Gaza è composta da discendenti dei rifugiati espulsi dalle loro case nel 1948. Molti vivono a pochi chilometri dai loro villaggi d’origine. La Grande Marcia del Ritorno è iniziata dopo un appello della società civile di partecipare a una marcia di massa verso la barriera israeliana. Decine di migliaia di persone hanno risposto all’appello, marciando in nome del ritorno, ma anche in risposta a decenni di occupazione e di continuo assedio di Gaza.

Le immagini e i video di quel primo giorno sono state entusiasmanti, ricordavano altre marce del ritorno, quando i palestinesi hanno cercato di sfidare i confini coloniali. Una delle più importanti è stata nel maggio 2011, quando centinaia di palestinesi rifugiati in Siria marciarono verso la barriera che divide la Siria dalla città di Majdal Shams, sulle Alture del Golan, occupata da Israele.

Molti manifestanti oltrepassarono la barriera, ignorando gli avvertimenti sulla presenza di mine e riuscirono a rompere temporaneamente la loro forzata separazione. Un uomo, Hassan Hijazi di Giaffa, fece centinaia di chilometri fino alla città costiera prima di consegnarsi alle autorità israeliane. “Era il mio sogno arrivare a Giaffa perché è la mia città,” disse in seguito. “Ma pensavo che se fossi riuscito a farlo sarebbe stato con una marcia di un milione di persone.”

Un sogno collettivo

Questo sogno di rompere i confini coloniali di Israele ha dominato l’immaginazione di molti palestinesi. È un sogno di ritorno collettivo. Come ha chiesto l’organizzatore della Grande Marcia del Ritorno Ahmed Abu Artema: “E se 200.000 manifestanti marciassero pacificamente e attraversassero la barriera a est di Gaza ed entrassero per qualche chilometro nelle terre che sono nostre, portando le bandiere della Palestina e le chiavi del ritorno, accompagnati dai media internazionali, e poi vi piazzassero delle tende e costruissero una città lì?”

Sfortunatamente nel corso dell’anno passato alla domanda è stata data una risposta brutale, mentre le proteste nei pressi della barriera di Gaza sono continuate in modo costante. Più di 200 palestinesi sono stati uccisi e altre migliaia feriti dalle forze israeliane.

Un rapporto dell’ONU presentato a Ginevra questo mese ha accertato che “i soldati israeliani hanno commesso violazioni delle leggi per i diritti umani e umanitarie internazionali. Alcune di queste violazioni possono rappresentare crimini di guerra o crimini contro l’umanità.” Il rapporto dettaglia specifiche morti, ma anche esempi di ferite che hanno cambiato la vita [delle vittime], comprese molte amputazioni.

L’entità di quello che è stato inflitto a Gaza nello scorso anno è grande, soprattutto nel contesto del durissimo assedio israeliano – eppure il rapporto dell’ONU non ha fatto scalpore a livello internazionale. Gaza è diventata sinonimo di guerra, morte e sofferenza; la precarietà della vita lì è diventata un fatto accettato in tutto il mondo.

Inquadrare la violenza

In “Contesti di guerra” l’autrice, Judith Butler, lo spiega esaminando la “vita che può essere afflitta”, e sostiene che in certi contesti alcune vite non sono considerate perdute se fin dall’inizio non sono intese come vite. Le continue distruzioni e violenze inflitte a Gaza dal regime israeliano l’hanno a tal punto collocata in una simile cornice che la perdita della vita è stata normalizzata.

A un anno di distanza le proteste della Grande Marcia del Ritorno sono diventate una manifestazione di estrema disperazione. Gli effetti dell’assedio e dell’occupazione hanno ridotto più di metà dei palestinesi di Gaza a vivere in povertà estrema, molti in gravi condizioni di salute mentale e fisica. Com’è noto, un rapporto ONU ha stabilito che Gaza sarà invivibile entro il 2020, citando la distruzione di infrastrutture e la catastrofe ambientale in corso. Eppure, in base alla maggior parte dei parametri, Gaza è invivibile da molto tempo – una cosa che motiva molti dei manifestanti, nonostante le alte percentuali di ferite o di morte. Questa vita invivibile è ciò che ha portato Hasan Shalabi a protestare lo scorso mese.

Finché continuerà la disperazione a Gaza, lo farà anche il sogno di tornare a casa. Tuttavia l’anno che è passato ha dimostrato che i costi saranno alti – soprattutto se Israele continuerà a violare senza conseguenze i diritti dei palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Yara Hawari è esperta di politica palestinese per “Al-Shabaka, The Palestinian Policy Network.” In possesso di un dottorato in politica del Medio Oriente all’università di Exeter, scrive spesso per diversi organi di informazione.

(traduzione di Amedeo Rossi)