Meta rimuove il profilo di un presentatore di Al Jazeera dopo una trasmissione critica nei confronti di Israele

Redazione di Al Jazeera

10 settembre 2023 – Al Jazeera

La puntata di Tip of the Iceberg ha analizzato come Facebook prende di mira contenuti palestinesi relativi a Israele.

Il profilo Facebook di Tamer Almisshal, presentatore arabo di Al Jazeera, è stato cancellato da Meta 24 ore dopo che il suo programma Tip of the Iceberg [Punta dell’iceberg] ha trasmesso The Locked Space [Lo Spazio Blindato], un’indagine sulla censura dei contenuti palestinesi attuata da Meta.

L’inchiesta del programma andato in onda venerdì includeva l’ammissione da parte di Eric Barbing, ex capo dei sistemi di cybersicurezza di Israele, che la sua organizzazione tenta di rintracciare i contenuti palestinesi secondo criteri come i “like” sotto una foto di un palestinese ucciso dall’esercito israeliano.

Poi l’agenzia si mette in contatto con Facebook sostenendo che quel contenuto dovrebbe essere rimosso.

Secondo Barbing di solito Facebook accoglie le richieste e gli apparati di sicurezza di Israele danno seguito al caso, anche avviando un’inchiesta giudiziaria.

Alle ammissioni di Barbing l’inchiesta faceva seguire interviste a vari esperti di diritti umani e digitali che concordavano sul fatto che c’è un’evidente disparità nel modo in cui sono limitati i contenuti palestinesi.

Nel programma si intervistava anche Julie Owono, che fa parte dell’organo di vigilanza di Facebook, che ha ammesso che c’è una discrepanza nel modo in cui le regole sono interpretate e applicate ai contenuti palestinesi, aggiungendo che sono state inviate a Facebook delle raccomandazioni per modificare la situazione.

Al Jazeera ha chiesto a Facebook il motivo della chiusura del profilo di Almisshal senza un preavviso o una spiegazione. Al momento della pubblicazione non ha ricevuto alcuna risposta.

Colpire un giornalista’

Almisshal afferma che il profilo rimosso è la sua pagina personale, che ha aperto nel 2006 ed è controllata. Ha almeno 700.000 follower.

Dopo l’enorme successo della puntata ho scoperto che il mio profilo personale Facebook era stato disabilitato senza spiegazioni,” dice ad Al Jazeera. “Sembra proprio una specie di vendetta per il programma. Non abbiamo ancora ricevuto una riposta da Facebook.”

La redazione del programma aveva iniziato un’inchiesta su quanto ampia sia la differenza fra i post palestinesi e quelli israeliani e su come i rispettivi materiali sono trattati da Facebook.

Per farlo si è ideato un esperimento costruendo due pagine differenti, una con un punto di vista filopalestinese e l’altra con uno filoisraeliano, e ha fatto delle prove. Il team ha concluso che in effetti c’era una notevole discrepanza su quanta attenzione veniva dedicata ai post delle due pagine e su come le regole vi erano applicate.

Non è chiaro perché Facebook abbia scelto di rimuovere la pagina di un singolo individuo in risposta a un programma.

Non ci sono state spiegazioni o avvertimento,” dice Almisshal. “Non ci sono mai stati problemi prima con nessuno dei contenuti della mia pagina. Nessun messaggio che dicesse che avevo infranto una regola.”

Almisshal difende il suo programma.

Lo scorso marzo Facebook aveva imposto delle limitazioni al mio account, ed era successo altre volte, ma normalmente la situazione veniva risolta,” conclude. “Questo era un progetto giornalisticamente valido e l’abbiamo comunicato a Meta per dar loro l’opportunità di parlare durante l’inchiesta.

Ma invece prendere di mira un singolo giornalista… non me lo sarei mai aspettato.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Human Rights Watch critica la censura di Facebook contro i palestinesi e chiede indagini

Redazione di Palestine Chronicle

8 ottobre 2021 –  Palestine Chronicle

In un rapporto (consultabile qui) pubblicato venerdì, Human Rights Watch ha dichiarato che Facebook ha “rimosso indebitamente” post di palestinesi e di attivisti pro-palestinesi.

Secondo l’ONG internazionale con sede a New York, Facebook ha rimosso ingiustamente i post che descrivevano le violazioni dei diritti umani commesse durante l’aggressione israeliana del maggio 2021.

“Facebook ha cancellato i contenuti pubblicati dai palestinesi e dai loro sostenitori che parlavano di questioni relative ai diritti umani in Israele e Palestina”, ha affermato Deborah Brown, ricercatrice senior per i diritti digitali e legale di HRW. “Con gli spazi dedicati a un tale sostegno a rischio in molte parti del mondo, la censura di Facebook minaccia di restringere una tribuna fondamentale per la conoscenza e l’impegno su quei problemi”.

Secondo il rapporto di HRW, diversi post sono stati rimossi anche da Instagram, il social network americano di condivisione di foto e video recentemente acquisito da Facebook. 

“In un caso, Instagram ha rimosso una schermata di titoli e foto da tre articoli di opinione del New York Times ai quali l’utente di Instagram ha aggiunto i suoi commenti che esortavano i palestinesi a ‘non cedere mai’ i loro diritti”, si legge nel rapporto.

HRW ha anche condannato la politica di Facebook di definire “pericolose” alcune organizzazioni limitando così la libertà di espressione.

“Facebook si basa, tra altre liste, sull’elenco delle organizzazioni che gli Stati Uniti hanno definito ‘organizzazione terroristica straniera’” afferma il rapporto di HRW. “Quell’elenco include movimenti politici che hanno anche un braccio armato, come il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e Hamas”.

Rimandando alle vaghe e generiche definizioni statunitensi, Facebook proibisce a leader, fondatori e membri di spicco dei principali movimenti politici palestinesi di utilizzare la sua piattaforma. Lo fa anche se, per quanto è reso pubblicamente noto, la legge statunitense non vieta ai gruppi nella lista di utilizzare piattaforme gratuite e liberamente disponibili come Facebook.

Nel suo rapporto, HRW ha chiesto un “controllo indipendente … (per) valutare la relazione di Facebook con la Cyber Unit del governo israeliano, che crea per il governo un sistema parallelo di procedure esecutive al fine di censurare contenuti senza ordini legali formali”.

Secondo HRW il gigante dei social media con sede in California non ha fornito spiegazioni esaurienti per giustificare il suo comportamento.

Facebook ha ammesso diversi problemi che interessano i palestinesi e i loro post, alcuni dei quali attribuiti a ‘problemi tecnici’ ed errori umani. Tuttavia, queste spiegazioni non giustificano lampiezza di restrizioni e rimozioni di contenuti che si è osservata”.

L’ONG ha infine chiesto un’indagine indipendente e ha esortato Facebook a garantire “che all’inizio dell’indagine gli inquirenti si confrontino attentamente con la società civile, in modo da riflettere le preoccupazioni più urgenti sui diritti umani di coloro che sono colpiti dalle sue politiche”.

Lo scorso aprile, HRW ha pubblicato un rapporto intitolato “Oltre la soglia: le autorità israeliane e i crimini di apartheid e persecuzione”, concludendo che Israele sta commettendo il crimine di “apartheid” cercando di mantenere il “controllo” ebraico sui palestinesi e sulla propria popolazione araba.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano




Attivisti di Palestine Action e di Extinction Rebellion bloccano una fabbrica di armi israeliana.  

Palestine Action      

 2 febbraio 2021 – Mondoweiss  

Otto attivisti di Extinction Rebellion North e Palestine Action sono stati arrestati ieri dopo avere sbarrato tre ingressi di una fabbrica di armi israeliana a Oldham, Gran Bretagna.

 

Nota dell’editore: il seguente comunicato stampa è stato rilasciato da Palestine Action il 2 febbraio 2021. Mondoweiss pubblica saltuariamente comunicati stampa e dichiarazioni di diverse organizzazioni con lo scopo di richiamare l’attenzione su temi altrimenti ignorati.

Ieri sono stati arrestati otto attivisti di Extinction Rebellion North [movimento ecologista internazionale, ndtr.] e Palestine Action per avere causato danni ammontanti a 20.000 sterline [circa 23.000 euro] dopo avere bloccato una fabbrica di armi israeliana a Oldham, Gran Bretagna. Gli attivisti hanno preso d’assalto la fabbrica nelle prime ore del mattino di lunedì 1^ febbraio – sei di loro hanno bloccato tre ingressi e altri due sono saliti sul tetto.

 

Lo stabilimento della Ferranti Technologies, proprietà di Elbit Systems, la maggiore industria bellica israeliana, è stata pitturata con vernice rossa, ha subito alcune finestre spaccate e la perdita dell’insegna “Cairo House”. L’azione ha riscosso ampi consensi, compresi quello di Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, e del gruppo nazionale di Extinction Rebellion.

 

Durante le sedici ore di occupazione della fabbrica la polizia ha impedito la presenza di osservatori legali, minacciando di multarli o arrestarli in base alle vigenti normative anti-Covid 19 se non avessero sgombrato il campo. Gli attivisti che hanno resistito più a lungo sono stati i due sul tetto, i quali, dopo essersi rifiutati di scendere dalla loro posizione, sono stati trascinati giù ed arrestati mentre, avvolti in bandiere palestinesi, urlavano “Palestina Libera”. Erano circa le 6 del pomeriggio, sedici ore dopo che la fabbrica era stata occupata e la produzione interrotta.

In seguito alla protesta, martedì 1^ febbraio la pagina Facebook di Palestine Action è stata rimossa, con il pretesto che il gruppo “viola le regole della nostra comunità”. Palestine Action ha accusato Facebook di prendere di mira in modo discriminatorio gli attivisti per i diritti umani in Palestina, visto che gli unici post pubblicati lunedì erano quelli dei video in streaming condivisi con la pagina di Extinction Rebellion North, che invece non ha subito conseguenze.

 

Gli otto attivisti si trovano tuttora in stato di fermo. L’assedio della fabbrica è stato il primo caso di collaborazione fra Extinction Rebellion e Palestine Action. I due gruppi di azione diretta si sono impegnati ad intensificare i propri interventi fino alla chiusura definitiva di Elbit Systems e all’eliminazione di ogni ingiustizia sistemica.

Commentando il blocco della fabbrica di Oldham e la censura operata da Facebook contro l’attivismo per i diritti umani in Palestina, un membro di Palestine Action ha dichiarato:

“L’azione di ieri è stata un grande successo e dimostra la forza derivante dall’alleanza fra diversi movimenti, specialmente quando l’umanità e il mondo in cui viviamo si trovano ad affrontare le peggiori sfide alla propria esistenza. Questo non è che l’inizio di tali azioni, onoreremo l’impegno di continuare ad intensificare le nostre attività insieme con Extinction Rebellion per chiudere per sempre Elbit.

Facebook ha sistematicamente censurato i nostri post, dicendo che incitiamo al male, quando invece promuoviamo azioni dirette contro una fabbrica di armi colpevole di estrema violenza in quanto testa le sue armi sui bambini palestinesi prima di esportarle ad altri regimi oppressivi nel resto del mondo. Facebook non riuscirà a zittirci né fermerà il nostro fondamentale lavoro finalizzato alla chiusura di Elbit”.


Parlando dal tetto della fabbrica ieri, gli attivisti di Extinction Rebellion North hanno denunciato la produzione da parte di Elbit di armi “illegali”, il ruolo dei droni nella videosorveglianza contro i profughi e la nefasta tecnologia di simulazione prodotta nella fabbrica ad Oldham, che insegna ai piloti a bombardare gli obiettivi usando simulazioni dei bombardamenti dell’esercito israeliano a Gaza.

La dichiarazione prosegue:

Questo non riguarda solo la Cisgiordania, questo non riguarda solo Gaza, questo riguarda tutte le vite innocenti, tutti i civili innocenti uccisi dall’impresa che gestisce questo edificio.

Pertanto siamo qui in quanto partecipiamo alla collaborazione fra queste due associazioni, e siamo consapevoli della necessità di lavorare insieme come movimento di azione diretta per combattere per il cambiamento e la giustizia sociale; questo include lottare contro il sistema che permette l’esistenza dei combustibili fossili e delle industrie di armamenti.”

  

Negli ultimi sedici anni Elbit Systems UK ha creato una vasta rete nel Regno Unito con l’apertura di dieci stabilimenti in Inghilterra e nel Galles, comprese quattro fabbriche di armi. Ferranti Technologies ad Oldham è stata acquisita da Elbit Systems per 15 milioni di sterline [circa 17 milioni di euro] nel 2007. Le componenti di armi prodotte da Elbit Ferranti includono sistemi di intercettazione per droni.

  

L’obiettivo di Palestine Action è fare chiudere le attività a Elbit UK; dal suo inizio nell’agosto 2020 la campagna ha colpito circa quaranta volte le sedi della ditta, oltre a quelle di LaSalle Investment Management, proprietaria dei siti. Fra queste azioni ricordiamo la chiusura per ben tre volte di UAV Engines a Shenstone (la più clamorosa delle quali sarebbe costata 145.000 sterline [circa 165.000 euro] alla compagnia) e una serie di proteste e occupazioni del quartier generale di Elbit a Londra.

  

Extinction Rebellion è una rete internazionale apolitica che attraverso l’utilizzo di azioni dirette nonviolente cerca di persuadere i governi ad affrontare in modo corretto ed efficace l’emergenza climatica ed ecologica. In generale la missione di Extinction Rebellion North è mobilitare il 3,5% della popolazione per conseguire un cambiamento di sistema. Il gruppo costituisce e collega in tutta la regione comunità resilienti che lavorano insieme e si sostengono reciprocamente, con l’obiettivo di creare un mondo accogliente per le future generazioni.

 

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)