La Corte Penale Internazionale (CPI) continuerà a investigare i crimini di guerra israeliani nonostante gli accordi di Oslo

9 giugno 2020 – Palestine Chronicle

Il pubblico ministero Fatou Bensouda della Corte Penale Internazionale (CPI) ha annunciato ieri che continuerà le sue indagini sulle politiche di Israele relative ai palestinesi, nonostante l’ininterrotta applicazione degli accordi di Oslo del 1993, 

Questa dichiarazione è la risposta alla richiesta, presentata il 27 maggio, della Camera per il processo preliminare del CPI di chiarire l’attuale situazione degli accordi di Oslo e del loro impatto sull’inchiesta sui crimini di guerra israeliani.

Alcuni hanno messo in dubbio se la Corte internazionale possa investigare tali crimini dato che gli accordi di Oslo prevedono che Israele abbia la giurisdizione in materia penale nella Cisgiordania occupata, dimostrando così che non esiste lo Stato di Palestina e che quindi essa non possa presentare il caso alla CPI, come spiega il Jerusalem Post.

L’ANP ha detto che non sarebbe più legata dagli accordi di Oslo nel caso Israele procedesse il mese prossimo con la pianificata annessione della Cisgiordania occupata.

Bensouda ha espresso un’ulteriore preoccupazione circa l’impatto dell’annessione israeliana e ha affermato che una tale mossa da parte di Israele non avrebbe valore legale.

Se Israele procede con l’annessione, una violazione sostanziale degli accordi fra le due parti, si annullerebbero di conseguenza ciò che resta degli accordi di Oslo e tutti gli altri patti,” ha detto Riyad Al-Maliki, il ministro degli esteri palestinese.

Lo Stato di Palestina continuerà a cooperare con le istituzioni di diritto internazionale, inclusa la CPI, per combattere i crimini e punire chi commette gravi delitti contro i palestinesi per ottenere giustizia,” ha aggiunto Maliki.

Israele ha tempo fino al 24 giugno per rispondere alle osservazioni del pubblico ministero, ma, secondo il Jerusalem Post, potrebbe scegliere di non farlo per non dare legittimità alla CPI.

In dicembre l’ufficio del procuratore della CPI ha terminato un’inchiesta preliminare durata cinque anni sulla “situazione nello Stato di Palestina”, concludendo che ci sono fondati motivi per credere che nella Cisgiordania occupata siano stati o siano ancora commessi crimini di guerra.

Il 30 aprile, Fatou Bensouda, procuratrice capo della CPI, ha ripetuto che la Palestina è uno Stato e perciò la Corte ha giurisdizione legale per pronunciarsi su presunti crimini di guerra là commessi.

La dichiarazione è stata una risposta decisa all’intensa pressione esercitata da Israele e dai suoi sostenitori, specialmente la Germania, per delegittimare del tutto il procedimento nel suo complesso.

Comunque, la palla è ora alla Camera per il processo preliminare della CPI, da cui nelle prossime settimane si attende una risposta sui dubbi circa la giurisdizione.

(traduzione di Mirella Alessio)




‘È un crimine di guerra’: migliaia in piazza a Tel Aviv per protestare contro il piano di annessione di Netanyahu *

Jacob Magid

6 giugno 2020 – Times of Israel

Un deputato del Meretz e un leader della Lista Unita dichiarano che la decisione creerebbe ‘l’apartheid”. Sanders invia un videomessaggio; la polizia ha usato la forza con i fotogiornalisti presenti all’evento, arrestati 4 dimostranti.

*Nota redazionale: non condividiamo molte delle affermazioni riportate nell’articolo che segue: non consideriamo Blu e Bianco un partito di “centro-sinistra”, come affermato dal giornalista; non crediamo che l’apartheid in Israele sarebbe il risultato dell’annessione, ma sia già presente sia all’interno di Israele che nei territori occupati; non condividiamo le posizioni della cosiddetta “sinistra” sionista, che riteniamo sia un ossimoro. Tuttavia abbiamo deciso di tradurre questo articolo perché racconta di una manifestazione che nell’Israele attuale rappresenta comunque un avvenimento significativo.

Migliaia di israeliani si sono radunati sabato sera a Tel Aviv per protestare contro l’impegno del primo ministro Benjamin Netanyahu di iniziare il mese prossimo l’annessione di parti della Cisgiordania.

Inizialmente la polizia aveva cercato di bloccare la manifestazione, ma ha fatto marcia indietro venerdì, dopo l’incontro con gli organizzatori che hanno raccomandato ai partecipanti di indossare mascherine e di attenersi alle norme del distanziamento fisico.

Sono stati schierati decine di agenti per garantire la sicurezza della dimostrazione dopo che la polizia ha detto che si sarebbero limitate le presenze a 2000 persone, sebbene il quotidiano Haaretz ne abbia calcolate 6.000 in quella che è sembrata la più grande protesta nel Paese dall’inizio della pandemia da coronavirus.

La manifestazione è stata organizzata dal partito di sinistra Meretz e da Hadash, la fazione comunista della Lista Unita a maggioranza araba, insieme a parecchi altri gruppi di sinistra.

MK Nitzan Horowitz, il leader di Meretz, ha detto alla folla che l’annessione sarebbe un “crimine di guerra” e costerebbe milioni ad Israele in un momento in cui l’economia sta già vacillando a causa della pandemia.

Noi non possiamo sostituire un’occupazione di decine di anni con un’apartheid che durerà per sempre,” ha gridato un rauco Horowitz. “Sì ai due Stati per due popoli, no alla violenza e allo spargimento di sangue,” ha continuato. “No all’annessione, sì alla pace.”

Horowitz ha detto che “l’annessione è un crimine di guerra, un crimine contro la pace, un crimine contro l’umanità, un crimine che finirà in una strage.”

Ha chiamato in causa Benny Gantz, ministro della Difesa, Gabi Ashkenazi, ministro degli Esteri e Amir Peretz, ministro dell’Economia, accusandoli di “alzare le mani e di essersi inginocchiati alla fazione opposta [cioè alla destra, ndtr.].”

I tre legislatori di centro-sinistra avevano promesso che non avrebbero fatto parte di un governo con Netanyahu, citando le accuse di corruzione mosse al premier, ma dopo la terza elezione inconcludente a marzo hanno accettato di unirsi a lui in una coalizione.

L’accordo di coalizione firmato dal Likud di Netanyahu e dal Blu e Bianco di Gantz permette al primo ministro di cominciare a procedere con l’annessione il primo luglio. Le parti della Cisgiordania su cui Israele estenderà la sovranità sono quelle scelte dal piano di pace del presidente degli USA Donald Trump.

Voi non avete alcun mandato per approvare quest’apartheid. Voi non avete nessun mandato per seppellire la pace,” ha urlato Horowitz. Il leader di Meretz ha affermato che Netanyahu è stato spinto a portare avanti la controversa mossa dall’amministrazione “messianica” di Trump.

Fatevi sentire o tutti penseranno che siamo una manica di sfigati,” ha gridato l’oratore alla folla dopo il discorso di Horowitz.

La deputata della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] Tamar Zandberg, anche lei appartenente al Meretz, ha fatto a pezzi il piano di pace di Trump definendolo “un accordo maledetto fra un uomo che sta cercando di vincere un’elezione e un altro che sta cercando di evitare un processo per corruzione,” riferendosi rispettivamente al presidente americano e a Netanyahu.

Trump non è un amico di Israele. Bibi [Netanyahu] non è un bene per Israele,” ha detto, facendo il verso ironicamente ai leader dei coloni che si oppongono al piano USA perché sostiene uno Stato palestinese. “Questo accordo [di pace] non ha nulla a che fare con quello che è bene per noi, israeliani e palestinesi che viviamo qui in Medio Oriente.”

Ha continuato dicendo che l’accordo “trasformerà ufficialmente Israele in uno Stato con un regime di apartheid … (Esercitare) la sovranità (in Cisgiordania)] senza (concedere) la cittadinanza (ai palestinesi)] è apartheid,” ha asserito.

Anche Ayman Odeh, leader della Lista Unita, si è rivolto alla folla con un collegamento video, confinato in quarantena dopo che un membro del suo partito ha contratto il COVID-19. Odeh ha detto che tutti gli ebrei e gli arabi che sostengono pace e giustizia devono opporsi al piano di Netanyahu di imporre la sovranità israeliana su circa il 30% della Cisgiordania.

L’annessione è apartheid,” ha detto Odeh fra gli applausi dei manifestanti.

Odeh ha paragonato la protesta contro l’annessione al movimento di protesta delle “Quattro Madri” che, alla fine degli anni’ 90, spinse il governo al ritiro delle truppe israeliane dal Libano meridionale.

La laburista Merav Michaeli, che si è opposta alla decisione del suo partito di unirsi al nuovo governo, ha detto alla folla di essere andata in piazza Rabin come rappresentante di quanti nella sua fazione di centro-sinistra si oppongono all’annessione.

Michaeli ha detto che la mossa danneggerà le relazioni con la Giordania che, con l’Egitto è l’unico Paese arabo ad avere rapporti con Israele oltre ad avere stretti legami commerciali con l’Europa.

Ha anche criticato duramente Gantz per aver accettato di unirsi a un governo che avrebbe portato a termine una misura simile.

Bernie Sanders senatore del Vermont ed ex candidato del partito Democratico [USA] si è rivolto alla folla dagli Stati Uniti tramite un messaggio video.

Sono estremamente rincuorato vedendo cosi tante persone, arabi ed ebrei insieme, che si battono per pace, giustizia e democrazia,” ha detto il democratico che si autodefinisce socialista.

Ha aggiunto: “Bisogna fermare i piani per annettere qualsiasi parte della Cisgiordania. Si deve porre fine all’occupazione e dobbiamo lavorare insieme per un futuro di uguaglianza e dignità per tutti in Israele e in Palestina.”

Alcuni dei dimostranti sventolavano bandiere israeliane, palestinesi e comuniste, varie decine avevano foto di Iyad Halak, un palestinese affetto da autismo ucciso la settimana scorsa dalla polizia nella Città Vecchia a Gerusalemme. Gli agenti hanno detto che credevano avesse una pistola, in realtà era disarmato e aveva in mano un cellulare e a quanto pare non aveva capito gli ordini di fermarsi.

Imitando le proteste negli USA, Shaqued Morag di Peace Now [associazione israeliana contraria all’occupazione della Cisgiordania, ndtr.] ha detto ai dimostranti di inginocchiarsi “in memoria di George Floyd. In memoria di Iyad Halak. In memoria di tutte le vittime del conflitto israelo-palestinese.”

Quando le proteste sono finite, la polizia ha fatto sgombrare un gruppo che stava bloccando illegalmente via Ibn Gabirol, una strada di grande scorrimento che passa vicino a piazza Rabin.

La polizia ha detto che cinque dimostranti sono stati arrestati, incluso un fotografo del quotidiano Haaretz che stava riprendendo la protesta.

Un giornalista del giornale ha twittato che il fotografo si è identificato come giornalista, ma che è stato trattenuto con la forza dagli agenti.

Prima della manifestazione, Yair Lapid, leader dell’opposizione nella Knesset ha liquidato la promessa di annessione da parte di Netanyahu come “fuffa” intesa a distogliere l’attenzione della gente dal processo per corruzione in corso e dalla crisi economica causata dalla pandemia.

Io penso che sia una manovra diversiva da parte di Netanyahu, che sta cercando di distrarre l’attenzione dal collasso economico, incluso quello delle imprese private, e dal suo processo penale,” ha detto in un’intervista al telegiornale su Channel 12.

Io appoggio il piano di Trump. Mi oppongo all’annessione unilaterale,” ha aggiunto Lapid.

La protesta di sabato è arrivata in mezzo a un’ondata di critiche a livello regionale e internazionale nei confronti del programma israeliano di annessione di parti della Cisgiordania secondo il piano di pace proposto dall’amministrazione trumpiana negli USA.

Gran parte della comunità internazionale ha già espresso una forte opposizione alla decisione e anche gli USA recentemente hanno intimato a Israele di procedere più lentamente.

I palestinesi si oppongono apertamente al piano di Trump, che dà a Israele il via libera all’annessione delle colonie ebraiche nella Valle del Giordano, in quella che dovrebbe essere parte di un processo negoziale, ma che potrebbe procedere unilateralmente.

Alla stesura di questo articolo hanno contribuito la redazione di Times of Israel e di agenzie di stampa.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele rinnova la sua legge razzista sul matrimonio

Ali Abunimah 

3 giugno 2020 – Electronic Intifada

Questa settimana Israele ha rinnovato una delle più apertamente razziste tra le decine di leggi dei suoi codici giuridici che discriminano i palestinesi e i cittadini palestinesi residenti in Israele.

La “Legge sulla cittadinanza e sull’ingresso in Israele ” proibisce ai cittadini israeliani che sposino palestinesi della Cisgiordania occupata o della Striscia di Gaza o a quelli con nazionalità di parecchi altri Stati della regione di vivere in Israele con il marito/la moglie.

La legge colpisce decine di migliaia di famiglie palestinesi residenti fra Israele e la Cisgiordania, su entrambi i lati della Linea verde, e impedisce ai palestinesi di trasferirsi legalmente in Israele per il ricongiungimento familiare,” secondo quanto riportato da Adalah, un’associazione di assistenza legale per i palestinesi di Israele che ha inutilmente presentato dei ricorsi in tribunale.

La disposizione era stata originariamente approvata come misura di emergenza nel 2003, ma da allora è stata rinnovata ogni anno.

La legge fa parte degli sforzi di Israele per impedire l’aumento della popolazione palestinese, una misura sostanzialmente razzista giustificata dai suoi leader in quanto necessaria a mantenere la maggioranza ebraica.

Zvi Hauser, il capo del Comitato degli affari esteri e della difesa della Knesset, il parlamento di Israele, ha detto che il rinnovo è giustificato dalla legge dello Stato-Nazione del popolo ebraico di recente promulgata che, secondo il parere dei giuristi, viola i divieti internazionali contro l’apartheid.

La legge israeliana sulla cittadinanza non differisce, negli intenti e negli effetti, dalle leggi che esistevano nel Sud Africa dell’apartheid per prevenire i matrimoni misti, l’incrocio di persone di razze diverse e per controllare dove i neri potessero vivere – leggi come il Group Areas Act [che divideva la città in aree per bianchi e relegava i neri nelle baraccopoli, ndtr] e il Prohibition of Mixed Act [che vietava i matrimoni misti, ndtr.].

Anche se la legge israeliana non vieta esplicitamente i matrimoni, in effetti impedisce ai cittadini israeliani e palestinesi l’esercizio del loro diritto alla vita di famiglia.

Mira a ottenere esattamente lo stesso scopo, seppure con mezzi più subdoli di quelli impiegati dai suprematisti bianchi in Sud Africa, come spiego nel mio libro del 2014: The Battle for Justice in Palestine (La Lotta per la giustizia in Palestina).

Manipolazione dei collegi elettorali su base razziale

Inizialmente Israele ha giustificato la legge sul matrimonio sul piano della “sicurezza,” una scusa respinta da Human Rights Watch. [nota ong statunitense, ndtr.].

Human Rights Watch nel 2012 ha dichiarato che un “divieto assoluto” senza “valutare nel caso specifico se la persona in questione possa mettere in pericolo la sicurezza è ingiustificato” e “rappresenta un danno esageratamente sproporzionato del diritto dei palestinesi e dei cittadini israeliani di vivere con la propria famiglia.”

La discriminazione presente nella legge potrebbe essere misurata “in base alle conseguenze per i cittadini palestinesi di Israele rispetto a quelli ebrei,” ha aggiunto.

Ariel Sharon, all’epoca primo ministro israeliano, nel 2005 ammise qual era il vero scopo della legge.

Non c’è bisogno di nascondersi dietro la scusa della sicurezza” disse Sharon. “È necessaria per l’esistenza dello Stato ebraico.”

Suicidio nazionale”

Lo scopo demografico razzista della legge fu confermato nel 2012 quando la Corte suprema israeliana respinse il ricorso di Adalah.

I diritti umani non devono essere una ricetta per il suicidio della Nazione,” aveva scritto il giudice Asher Grunis nella sua motivazione al respingimento con una maggioranza di 6 a 5.

Approvando in pratica la manipolazione dei collegi elettorali su base razziale la sentenza della Corte aggiunse anche che “il diritto alla vita familiare non deve essere per forza esercitato entro i confini di Israele.”

Si noti la notevole somiglianza dei termini usati dalla Corte Suprema israeliana con le parole di Daniel Malan, il primo ministro del Sud Africa sotto il regime di apartheid, che disse nel 1953 che “l’uguaglianza… inevitabilmente significherebbe per i bianchi del Sud Africa nient’altro che il suicidio della Nazione.”

I palestinesi colpiti dal provvedimento hanno fatto una campagna per diffondere la conoscenza della legge razzista e delle difficoltà che crea all’“amore ai tempi dell’apartheid.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 12 maggio – 1 giugno 2020 (tre settimane)

Il 30 maggio, nella Città Vecchia di Gerusalemme, poliziotti di frontiera israeliani hanno aperto il fuoco, uccidendo un 31enne palestinese autistico che era fuggito all’intimazione dell’alt.

Le autorità israeliane hanno aperto un’inchiesta. In Cisgiordania, dall’inizio dell’anno, in circostanze diverse, sono stati uccisi 15 palestinesi e un soldato israeliano.

Nel corso di quattro separati attacchi palestinesi contro forze israeliane, due palestinesi sono stati uccisi, mentre altri due palestinesi e un soldato israeliano sono rimasti feriti [seguono dettagli]. Le due persone uccise, il 14 ed il 29 maggio, avevano guidato le loro auto contro soldati israeliani in servizio presso checkpoint vicini ai villaggi di Beit ‘Awwa (Hebron) e An Nabi Saleh (Ramallah). Il soldato israeliano [sopraccitato] è rimasto ferito nell’episodio avvenuto il 14 maggio. Gli altri due palestinesi sono stati colpiti e feriti in due distinti episodi avvenuti a Gerusalemme Est dove avevano tentato di accoltellare soldati israeliani: nei pressi di una torretta militare nel quartiere di Jabal al Mukkabir ed al checkpoint di Qalandiya; non ci sono stati feriti da parte israeliana.

Durante due diverse operazioni di ricerca-arresto, un ragazzo palestinese e un soldato israeliano sono stati uccisi; altri 18 palestinesi sono rimasti feriti [seguono dettagli]. Il 12 maggio, nel villaggio di Ya’bad (Jenin), durante un’operazione di ricerca-arresto, un soldato israeliano è morto, colpito al volto da un sasso lanciato da palestinesi da un tetto. Altri 14 palestinesi sono rimasti feriti durante scontri scoppiati nello stesso villaggio durante operazioni israeliane attuate a seguito di quanto sopra. In ulteriori scontri scoppiati il 13 maggio, durante un’operazione di ricerca-arresto nel Campo profughi di Al Fawwar (Hebron), le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un 15enne palestinese e ferendo altri quattro palestinesi.

In Cisgiordania, altri 45 palestinesi sono rimasti feriti in numerosi episodi e scontri con forze israeliane [seguono dettagli]. Ventitre sono stati feriti nel villaggio di As Sawiya (Nablus), nel corso di una manifestazione contro l’esproprio di terreni per l’espansione del vicino insediamento colonico [israeliano] di Rechalim. Cinque palestinesi sono rimasti feriti nel villaggio di Turmus’ayya, in scontri scoppiati dopo che agricoltori al lavoro sui loro terreni vicini al villaggio erano stati costretti da un colono israeliano ad andarsene dalla zona. Nel corso di scontri con forze israeliane tre palestinesi sono stati feriti con arma da fuoco nella città di Abu Dis (Gerusalemme) ed altri tre sono stati aggrediti fisicamente ad Huwwara (Nablus).

Complessivamente, in Cisgiordania, nel corso del periodo di riferimento (tre settimane), le forze israeliane hanno effettuato 145 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato circa 199 palestinesi. Di queste operazioni, 44 sono avvenute nei quartieri di Gerusalemme Est, 28 a Hebron, 19 nel governatorato di Ramallah e 15 a Jenin, prevalentemente nel villaggio di Ya’bad.

Nella Striscia di Gaza, per far rispettare le restrizioni di accesso alle aree [interne alla Striscia] prossime alla recinzione perimetrale israeliana ed al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 59 occasioni. In due casi separati, due pescatori sono rimasti feriti ed una barca e l’attrezzatura da pesca hanno subìto danni. Da aprile, in mare, c’è stato un notevole aumento del numero di aperture del fuoco di avvertimento. In quattro occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia, ad est di Gaza, di Beit Hanoun e del Campo Profughi di Al Bureij, ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

Nella Striscia di Gaza, a Beit Lahiya, un 14enne è morto per l’esplosione di un residuato bellico (ERW) trovato vicino a casa.

Il 12 maggio, il valico di Rafah con l’Egitto ha riaperto in una direzione per tre giorni consecutivi, per consentire il rientro a Gaza di 1.168 palestinesi. Dal 15 marzo, per impedire la diffusione di COVID-19, il valico era rimasto prevalentemente chiuso in entrambe le direzioni.

Una prima valutazione fa ritenere che la sospensione, da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese, di ogni coordinamento con le autorità israeliane abbia reso più difficile l’uscita dei palestinesi da Gaza. I titolari di permessi di uscita hanno avuto difficoltà a lasciare Gaza attraverso il valico di Erez, mentre l’Autorità Palestinese non ha ricevuto nuove richieste in tal senso. Questa misura era stata adottata in risposta all’annuncio del governo israeliano circa l’intenzione di annettere parti della Cisgiordania.

In Area C e Gerusalemme Est, a motivo della mancanza di permessi di costruzione, cinquantanove (59) strutture di proprietà palestinese sono state demolite o sequestrate dalle autorità israeliane, sfollando 37 persone e creando ripercussioni su altre 260 [seguono dettagli]. Quarantacinque [delle 59] strutture demolite in Area C hanno interessato 16 Comunità; sette di queste demolizioni sono state attuate in base all’Ordine Militare 1797, che prevede la rimozione accelerata di strutture senza licenza, in quanto ritenute “nuove”. Metà delle 14 strutture demolite a Gerusalemme Est si trovavano nel villaggio di Al Walaja, situato sul “lato Gerusalemme” della Barriera. Dal 4 marzo, queste sono state le prime demolizioni effettuate dalle autorità israeliane nell’area municipale di Gerusalemme. Le demolizioni delle restanti sette strutture in Gerusalemme Est, sono state effettuate dagli stessi proprietari. Durante il mese di Ramadan, conclusosi il 23 maggio, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 42 strutture; erano state 13 nel Ramadan del 2019, una nel 2018, nessuna nel 2017.

Il 25 maggio, l’Alta Corte di Giustizia israeliana ha accolto una petizione volta ad impedire la demolizione “punitiva” di un appartamento nel villaggio di Beit Kahil a Hebron. La casa, dove vivono una donna e tre minori, appartiene alla famiglia di un palestinese accusato di aver ucciso un israeliano, nell’agosto 2019, vicino all’insediamento colonico di Gush Etzion. La sentenza della Corte è la prima nel suo genere dal 2016.

Tredici palestinesi sono rimasti feriti e circa 480 ulivi sono stati vandalizzati da aggressori ritenuti coloni israeliani [seguono dettagli]. Cinque dei feriti erano minori e sono stati aggrediti fisicamente da coloni nella parte della città di Hebron controllata da Israele (Zona H2). Sei sono rimasti feriti durante le irruzione di coloni nei villaggi di Huwwara e Yatma (Nablus). Due sono stati aggrediti da coloni nei pressi di una sorgente vicina al villaggio di Deir Nidham (Ramallah). Coloni hanno fatto irruzione nei villaggi di Al Jab’a (Betlemme) e Beitin (Ramallah) e nel quartiere di Tel Rumeida nella città di Hebron, danneggiando case, muri e automobili. In due casi, i residenti hanno riferito che coloni hanno abbattuto oltre 50 ulivi appartenenti ai villaggi di Yatma e di Nahhalin, mentre altri 280 sono stati vandalizzati vicino al villaggio di Shufa (Tulkarm). Vicino al villaggio di Haris (Salfit), coloni hanno sradicato 150 alberi di ulivo. Nel sud di Hebron, in tre distinti episodi, assalitori ritenuti coloni hanno dato fuoco o hanno fatto pascolare le loro pecore su terreni di proprietà palestinese, causando danni ad alcuni ettari di terreno coltivati con colture stagionali.

Sono stati segnalati diversi episodi di lancio di pietre, bottiglie incendiarie e bottiglie contenenti vernici, da parte di palestinesi contro veicoli israeliani che viaggiavano su strade della Cisgiordania. Di conseguenza, secondo una ONG israeliana, un bambino di cinque anni è stato leggermente ferito e 18 veicoli hanno subìto danni.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Impunità e annessioni: “Israele vuole far man bassa”

Mersiha Gadzo,

3 giugno 2020 Al Jazeera

Secondo gli analisti, Israele gode di impunità per la mancanza di volontà della politica internazionale ad oobbligarlo ad assumersi le sue responsabilità

Il governo israeliano ha dichiarato che l’annessione degli insediamenti illegali ebraici nella Cisgiordania occupata, così come quelli nella fertile Valle del Giordano, potrebbe iniziare già a partire dal 1 luglio.

Mentre i dettagli del piano di annessione rimangono vaghi, il primo ministro Benjamin Netanyahu recentemente confermato aveva dichiarato l’intenzione di annettere la Valle del Giordano durante la campagna elettorale dello scorso anno.

Da allora, gli Stati Uniti han proposto il loro piano per la pace in Medio Oriente che prevede la sovranità israeliana sugli insediamenti nei Territori Occupati, illegali secondo il diritto internazionale, e Netanyahu ha da allora ribadito le sue promesse.

Molte nazioni, tra cui gli Stati Uniti e l’Unione Europea hanno sconsigliato tale mossa, facendo notare come un’annessione unilaterale violerebbe il diritto internazionale e sarebbe un colpo devastante per la prospettiva di una soluzione a due Stati al conflitto Israelo-Palestinese.

A maggio il responsabile della politica estera dell’Unione Europea ha detto che l’Unione userà “tutte le proprie facoltà diplomatiche” per cercare di dissuadere il governo Israeliano a procedere col suo piano.

L’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha rifiutato il progetto statunitense e ha recentemente dichiarato che considera nulli e privi di valore qualunque accordo precedentemente sottoscritto con Stati Uniti e Israele.

L’annessione unilaterale di un territorio è tassativamente vietata dal diritto internazionale, senza alcuna eccezione. Ma se l’Unione Europea è compatta nella sua opposizione all’annessione, rimane divisa su quali passi intraprendere, facendo sì che la sua risposta rimanga limitata alla retorica e alle condanne verbali.

Lezioni dalla storia

Uno scenario simile si verificò già nel 1980, quando Israele annetté Gerusalemme Est e poi nel 1981 le alture del Golan siriane.

Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU asserì che avrebbe implementato sanzioni economiche e politiche contro Israele, ma alle parole non seguirono i fatti.

Quattro decenni più tardi, la comunità internazionale continua a dibattere su come rispondere al piano israeliano di annettere circa un terzo dei Territori Occupati.

Non saremmo qui nel 2020 a discutere di questo se nel 1980 e nel 1981 si fossero tracciati dei confini certi” dichiara ad Al Jazeera Michael Lynk, inviato speciale dell’ONU per la situazione dei diritti umani nei Territori Occupati palestinesi.

Israele ha imparato una lezione irrefutabile per quanto concerne l’impunità – che la comunità internazionale farà passare risoluzioni contro l’annessione, adotterà risoluzioni sull’illegalità di costruire imprese coloniali, ma nonostante ciò la comunità internazionale non imporrà praticamente nessuna conseguenza ad Israele che quindi potrà, nei fatti, far man bassa” ha detto Lynk.

Israele è in violazione di più di 40 risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, e di circa 100 risoluzioni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Nel 2018 Lynk ha esortato la comunità internazionale ad agire per impedire l’imminente annessione della Cisgiordania occupata.

Nel rapporto annuale del 2019, Lynk ha ribadito che l’Assemblea Generale e la comunità internazionale hanno l’obbligo legale di assicurare che il diritto internazionale venga rispettato dai propri membri.

Ciononostante, Israele ha goduto di un regime di impunità per decenni, nonostante gravi violazioni del diritto internazionale, a causa di un’assenza di volontà politica ad addossargli “una qualunque forma significativa di responsabilità”, scrive Lynk.

Il Caso della Crimea

La comunità internazionale in passato ha dimostrato di essere capace di rispondere alle annessioni illegali, come quando ha rapidamente imposto sanzioni economiche e diplomatiche alla Russia quando ha occupato e annesso la Crimea dall’Ucraina nel 2014.

La Russia è stata espulsa dal G8, la sua domanda di partecipazione all’OECD [Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico ndtr.] bloccata, sono stati posti blocchi all’importazione e esportazione dei beni da e per la Crimea, e le persone coinvolte nell’annessione sono state oggetto di sanzioni diplomatiche e blocco dei beni.

Tali misure sono ancora in corso, e sono state estese fino a giugno 2020, pur essendo la Russia un importante partner commerciale e un attore chiave della politica internazionale.

Lynk fa notare come Israele abbia un impatto molto meno significativo sulle economie globale ed europea.

[L’UE] potrebbe effettivamente imporre misure diplomatiche di responsabilizzazione ad Israele per assicurarsi che receda dalla decisione di annessione o per far si che si renda conto che ci sarà un prezzo da pagare se proseguisse sul percorso dell’annessione”, ha dichiarato Lynk

Ciononostante, l’UE appare alquanto divisa al suo interno sui passi da intraprendere.”

Non ci sono differenze politiche o legali significative tra l’annessione della Crimea nel 2014 e quella progettata per il 2020 di considerevole parte della Cisgiordania.”, dice Lynk

Al contrario, le relazioni tra l’UE e Israele si sono solo rafforzate.

Il commercio tra i due ha raggiunto cifre record negli ultimi anni. Nel 2017, l’export israeliano di beni verso l’UE ha raggiunto il 34% dell’export totale di Israele.

Quasi il 40% degli import israeliani arriva dall’UE, suo principale partner commerciale.

Gli Stati Uniti hanno addirittura ampliato i loro aiuti a livelli record. Nel 2016, verso la fine del mandato presidenziale di Barack Obama, gli Stati Uniti hanno accordato a Israele 38 miliardi di dollari di aiuti militari per la decade successiva, somma che Netanyahu ha definito “storica”.

Diana Buttu, un’analista di Haifa, ha detto ad Al Jazeera che il piano di Israele per l’annessione viene visto come “la ciliegina sulla torta” visto che non ci sono state conseguenze per i comportamenti illegali degli ultimi 53 anni di occupazione, che includono l’espansione degli insediamenti israeliani illegali, l’implementazione di un doppio sistema legale, l’impedimento ai palestinesi dell’accesso alle risorse naturali e i bombardamenti sulla Striscia di Gaza.

Abbiamo visto negli anni come Israele acquisti sempre più supporto internazionale da paesi in tutte le parti del mondo.”, dice Buttu.

La risposta [internazionale] è stata nulla, e questo è esattamente quello su cui scommettono i coloni. È esattamente ciò che hanno previsto.”

Buttu dice che la ragione per cui la comunità internazionale ha deciso di ignorare quelle azioni è per via “del fatto che Israele è un progetto coloniale”.

Il mondo arabo non ha mai avuto l’autodeterminazione. Non è mai stata un’area dove non ci fosse un qualche tipo di potere coloniale”, prosegue Buttu.

È possibile imporre cambiamenti. La Russia è molto più potente di Israele. Ma non c’è la volontà politica di farlo, è questa la vera differenza.”

Perdere l’opportunità per l’annessione

La comunità internazionale ha fatto poco riguardo alla proposta d’annessione di Israele poiché Israele ha gestito “una campagnia internazionale estremamente scaltra” e ha un servzio diplomatico “solido”, secondo Lynk.

Ha, ovviamente, il supporto di importanti gruppi pro-Israele negli Stati Uniti, che hanno una significativa influenza a Washington e altrove”, dice Lynk.

È noto che l’amministrazione Trump ha forti legami col partito Likud di Netanyahu.

A maggio 2018 gli Stati Uniti han spostato la loro ambasciata da Tel Aviv a Gerusalemme, ribaltando una linea politica vecchia di decenni. A marzo 2019 hanno riconosciuto l’annessione israeliana delle alture del Golan siriane.

A giugno 2019, gli Stati Uniti hanno azzerato i loro contributi all’UNRWA, l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi e a febbraio hanno rifiutato di fornire finanziamenti all’Autorità Nazionale Palestinese, a quanto è stato detto in un tentativo di forzare Ramallah a modificare la sua posizione sul piano di annessione.

Uno stato internazionale, come gli Stati Uniti, ha il dovere di isolare coloro che violano i diritti umani, non di finire per favorirli” dice Lynk.

Quello che vediamo sono il governo israeliano e il Partito Repubblicano [americano ndtr.] farsi scaltri e realizzare che l’attuale amministrazione potrebbe non essere rieletta a novembre, e che quindi potrebbe andare persa l’opportunità di realizzare probabilmente il più grande regalo americano a Israele di sempre, cioè il sostegno all’annessione di parti della Cisgiordania e la protezione per Israele da qualsiasi ricaduta diplomatica.”

I critici han paragonato l’idea di Stato palestinese di Stati Uniti e Israele al Bantustan sudafricano durante il regime dell’apartheid.

Lynk descrive il piano come “una serie sconnessa di circa 165 isolette di territorio separate le une dalle altre” e la soluzione dei due Stati come “un cadavere che sta semplicemente aspettando il proprio funerale”.

Se Israele dovesse andare avanti con l’annessione, creerà uno stato con due livelli distinti di diritti economici, politici, sociali,e di proprietà, ovvero un regime di apartheid, dice Lynk.

Quando il polverone si sarà posato…il mondo realizzerà che c’è un solo Stato in funzione tra il Mediterraneo il fiume Giordano, e che quello Stato è Israele.”

[traduzione dall’Inglese di Giacomo Ortona]




Che cosa c’è dietro l’entusiastico appoggio alla soluzione dello Stato unico?

Saleh Al-Naami

2 giugno 2020 – Middle East Monitor

Parecchi organi di informazione, alcuni dei quali collegati all’Autorità Nazionale Palestinese, hanno deliberatamente minimizzato la decisione di Israele di annettere parti della Cisgiordania, ed hanno addirittura salutato con favore la proposta. Sostengono che la sua attuazione porterà ad una soluzione “di Stato unico”, che alla fine consentirà ai palestinesi di comandare in Israele, data la loro superiorità demografica. È una teoria piuttosto fantasiosa.

Le persone che sostengono ciò ritengono che Israele concederà la cittadinanza ai palestinesi dei territori annessi, in modo che essi potranno automaticamente godere degli stessi diritti politici dei sionisti. È una follia pensarla così, e coloro che hanno plaudito all’idea sono individui malvagi che lo fanno per scoraggiare i palestinesi dal contrastare i piani di annessione israeliani.

Inoltre queste dichiarazioni creano una situazione che consente alla leadership dell’ANP di non essere incisiva nel contrastare Israele sull’annessione e nel proseguire o meno il coordinamento per la sicurezza con l’entità sionista. Tel Aviv ha confermato che non è stato attuato alcun significativo cambiamento riguardo a tale coordinamento, nonostante che il presidente dell’ANP Mahmoud Abbas abbia annunciato che il suo governo ha annullato tutti gli accordi con Israele.

È chiaro che le voci palestinesi che si appigliano a questa fuorviante strategia riguardo alla questione dell’annessione sviliscono la consapevolezza collettiva del popolo, presentando una visione molto semplicistica che ignora del tutto la realtà.

Benché il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu abbia dichiarato a Israel Hayom che Israele non concederà la cittadinanza israeliana ai palestinesi delle aree annesse, coloro che sostengono che la forza potenziale dell’annessione possa essere utilizzata in positivo, nonostante la sua debolezza, perseverano ancora nella loro illusione. Pur se la leadership dell’ANP non ha adottato questa posizione pubblicamente, neppure la contrasta, né smaschera i suoi obbiettivi. “Lo Stato unico” non sarà condannato dall’ANP, in modo da evitare di dover prendere le misure necessarie per combattere l’annessione.

Le voci palestinesi che invocano l’utilizzo dell’annessione come una spinta verso una soluzione dello “Stato unico” insultano il popolo palestinese e la sua consapevolezza. La gente è perfettamente cosciente che il governo di estrema destra di Netanyahu andrà avanti con l’annessione per giudaizzare la terra palestinese e creare ulteriori situazioni di fatto. Non permetterà nulla che possa minacciare il carattere “ebreo” di Israele concedendo la cittadinanza israeliana ad altri palestinesi; ricordiamoci che gli arabo-palestinesi sono già il 20% degli israeliani.

Netanyahu ha reso il compito di queste posizioni molto difficile. Il suo rifiuto di concedere la cittadinanza israeliana ai palestinesi delle aree che saranno annesse significa che tale processo fornirà una cornice politica al regime di apartheid in Cisgiordania.

Ciò che solleva dei dubbi circa le ragioni che spingono le persone a fare appelli per lo “Stato unico”, in particolare coloro che sono legati all’ANP e ai suoi servizi di sicurezza, è il fatto che il lancio di tali idee avviene in un contesto in cui l’autorità di Ramallah manda messaggi rassicuranti allo Stato occupante riguardo alle sue reali motivazioni. Per esempio, i media sionisti hanno riferito che gli incontri per la cooperazione sulla sicurezza tra i leader dell’ANP e Israele sono tuttora in corso. Inoltre l’ANP sottolinea che non permetterà nessuno scoppio di “violenze”, intendendo le azioni di resistenza contro l’occupazione militare israeliana. È ovvio che contrastare azioni di resistenza richiede un qualche coordinamento di sicurezza con Israele.

Quindi questi messaggi ambigui stanno fondamentalmente invitando i palestinesi ad arrendersi e ad accettare l’annessione israeliana per consentire all’ANP di evitare un confronto che potrebbe costarle un prezzo molto alto. Devono essere fermati.

Questo articolo è stato pubblicato in arabo su ‘the New Khaleej’ il 1 giugno 2020

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Un cameraman palestinese è stato licenziato dall’Associated Press in seguito a un diverbio con l’Autorità Nazionale Palestinese

YUMNA PATEL  

29 maggio 2020 Mondoweiss

Il licenziamento di un cameraman da tempo in servizio alla AP (Associated Press) sta suscitando scalpore in Palestina per via delle accuse secondo cui l’ANP (Autorità Nazionale Palestinese) vi avrebbe avuto una parte.

Eyad Hamad, un giornalista di Betlemme che lavora con Associated Press da 20 anni, è stato licenziato dal suo incarico questa settimana dopo che la polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese avrebbe presentato una denuncia all’Associated Press accusando Hamad di “istigazione, maltrattamenti e minacce di violenza”.

Sebbene l’Autorità Nazionale Palestinese abbia negato pubblicamente qualsiasi coinvolgimento, l’agenzia ha addotto il reclamo dell’Autorità Nazionale Palestinese come la goccia che ha portato al licenziamento di Hamad.

Nella lettera inviata ad Hamad dall’agenzia di stampa, che Mondoweiss ha potuto vedere, Josef Federman, capo dell’ufficio di Associated Press per Israele e i territori palestinesi, elenca una serie di “violazioni” della politica aziendale commesse da Hamad nell’ultimo anno.

La maggior parte delle violazioni elencate da Federman riguardano post “inappropriati” di Hamad che commentano i leader politici palestinesi sui social media, e il suo coinvolgimento nelle proteste contro Israele e contro le violazioni dell’Autorità Nazionale Palestinese nei riguardi dei giornalisti palestinesi, tra cui la sua partecipazione a una manifestazione per il giornalista palestinese Muath Amarneth accecato all’occhio destro da una pallottola israeliana.

“Come sa, la Associated Press richiede ai suoi dipendenti di mostrare una rigorosa neutralità nel loro lavoro professionale e nell’attività pubblica”, recita la lettera.

“Tuttavia, nonostante i numerosi avvertimenti degli anni passati, lei ha continuato a violare questo principio di base del nostro lavoro”, scrive Federman.

Un litigio personale finito male

La lettera di Associated Press sostiene che il licenziamento sarebbe dovuto a svariati casi, tra cui uno in cui Hamad avrebbe minacciato uno dei suoi colleghi, ma Hamad e suoi colleghi giornalisti affermano che il motivo del licenziamento sia stato un litigio personale tra Hamad e il portavoce della polizia dell’Autorità Nazionale Palestinese Luay Irzeiqat .

Secondo numerosi giornalisti del posto, i problemi per Hamad sono iniziati quando ha escluso Irzeiqat da un gruppo Whatsapp di giornalisti di zona, presumibilmente a causa del fatto che Hamad non voleva funzionari governativi nel gruppo.

“Dopo essere stato escluso dal gruppo, Irzeiqat ha iniziato a minacciare Hamad, dicendo che avrebbe chiamato l’Associated Press per farlo licenziare” ha detto a Mondoweiss Thaer Fakhouri, 31 anni, giornalista freelance di Hebron e membro del gruppo Whatsapp in questione.

Nella stessa settimana, le autorità palestinesi hanno arrestato Anas Hawari, un giovane giornalista che ha lavorato con la rete di notizie Quds, affiliata ad Hamas.

La brutale detenzione di Hawari, che a quanto si dice è stato picchiato e ha dovuto essere ricoverato in ospedale a seguito del suo arresto, ha causato tumulti all’interno della comunità dei giornalisti in Cisgiordania, spesso oggetto di censura da parte dell’Autorità Nazionale Palestinese e di campagne di arresti se ritenuti critici nei confronti del governo di Mahmoud Abbas.

Alcune fonti sostengono che a seguito dell’arresto di Hawari, Hamad avrebbe inviato una serie di messaggi vocali ai funzionari della sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese, tra cui Irzeiqat, condannando le loro azioni e minacciando di bruciare pneumatici di fronte al tribunale locale per protestare contro la detenzione di Hawari.

Hamad ha poi partecipato a una manifestazione contro l’arresto di Hawari davanti ad un edificio governativo dell’Autorità Nazionale Palestinese, mostrando un poster con su scritto: “Presidente Mahmoud Abbas, chiedo protezione dalle agenzie di sicurezza [palestinesi]”.

Nella lettera di licenziamento inviata da Associated Press, Federman fa cenno al fatto che la denuncia dell’Autorità Nazionale Palestinese contro Hamad includesse la presunta minaccia di bruciare pneumatici. Federman rimprovera Hamad anche per il suo ruolo nella protesta e le sue accuse contro l’Autorità Nazionale Palestinese di corruzione “insinuando che siano dei collaborazionisti”.

“Eyad [Hamad] non stava cercando di porre in discussione solo l’arresto di Anas [Hawari], ma anche la violenza usata dalla polizia palestinese”, ha detto Fakhouri a Mondoweiss, aggiungendo che Hamad ha parlato a lungo delle violazioni dei diritti dei giornalisti palestinesi, sia da parte delle amministrazioni israeliane che di quelle palestinesi.

“La stessa cosa vale per Muath”, ha continuato Fakhouri, riferendosi al caso di Muath Amarneh. “Eyad non voleva difenderlo solo come giornalista, ma come un essere umano ingiustamente accecato”.

“Non credo che difendere i diritti umani, anche come giornalista, dovrebbe essere considerato un crimine. Soprattutto non tale da farti perdere il lavoro”, ha detto Fakhouri.

Due pesi e due misure

La risposta locale al licenziamento di Hamad è stata di rabbia e shock: sia nei confronti di Associated Press per aver licenziato Hamad in quelle che molti considerano circostanze ingiuste, sia per l’evidente coinvolgimento dei funzionari dell’Autorità Nazionale Palestinese.

Per quanto riguarda il licenziamento di Hamad, l’Associated Press ha dichiarato ai media che non avrebbe rilasciato dichiarazioni su “fatti personali”. Nel frattempo, l’Autorità Nazionale Palestinese ha continuato a negare di essere a conoscenza di una qualche denuncia presentata all’agenzia contro Hamad.

I giornalisti e gli attivisti locali si sono rivolti ai social media per chiedere che Hamad riavesse il suo posto, mentre il Sindacato Palestinese dei Giornalisti (PJS) ha condannato il “licenziamento arbitrario” di Hamad e ha invitato Associated Press a tornare indietro rispetto alla sua “decisione faziosa e ingiusta”.

“Come giornalista palestinese, sono preoccupato per le ripercussioni”, ha detto Fakhouri a Mondoweiss, affermando che molti dei suoi colleghi hanno espresso il timore che l’Autorità Nazionale Palestinese possa esercitare il proprio potere per indurre le agenzie di stampa locali e internazionali a licenziare chiunque la critichi apertamente.

“Sono stato arrestato sette volte dal governo palestinese a causa del mio lavoro con agenzie legate a fazioni politiche rivali”, ha detto Fakhouri.

Tutto ciò che vogliamo come giornalisti è di poter di mostrare al mondo ciò che sta accadendo qui sul campo senza paura di essere imprigionati dall’Autorità Nazionale Palestinese in Cisgiordania o da Hamas a Gaza.”

Un tema ricorrente nelle molte critiche alla decisione di Associated Press è stata la sensazione che se nella posizione di Hamad ci fosse stato un giornalista israeliano, la situazione sarebbe potuta andare diversamente.

Quando gli è stato chiesto se concordasse con quella sensazione, Fakhouri ha detto “Sì, credo che sarebbe stato diverso se non fosse stato un palestinese”.

“Molti giornalisti israeliani erano in precedenza soldati israeliani, che tutti i giorni sparavano e uccidevano i palestinesi”, ha detto Fakhouri, aggiungendo che “alcuni di loro servono ancora nelle riserve militari”.

“Come può essere che si faccia parte di un apparato militare che commette crimini di guerra ed essere un giornalista ‘imparziale’ come si vanta di essere l’Associated Press?” si chiede Fakhouri.

“Perché difendere i diritti umani e la libertà di stampa è motivo di licenziamento e le violazioni israeliane dei diritti umani no?”

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Gli attivisti palestinesi hanno 2 miliardi di opportunità per insistere sul disinvestimento

Asa Winstansley

30 maggio 2020 – Middle East Monitor

La campagna di solidarietà con la Palestina (PSC) ha pubblicato venerdì una nuova banca dati che documenta i molti modi in cui i contributi pensionistici degli impiegati delle amministrazioni locali sono impropriamente utilizzati in investimenti a favore dell’occupazione israeliana.

Il nuovo studio elenca una lunga lista di società israeliane e internazionali coinvolte nell’occupazione israeliana in cui sistemi pensionistici investono i propri capitali.

Sono incluse HSBC, la banca Barclays, General Electric, Microsoft e Serco [azienda di trasporti, controllo traffico aereo, prigioni, armi ecc. ndtr].

Il coinvolgimento di queste aziende nell’occupazione della Cisgiordania è ben documentato. Si può controllare il proprio fondo per vedere quali di queste ditte complici abbiano degli investimenti.

Il database è semplice da usare e offre dettagli chiari e concisi su quanto il fondo e le società siano complici.

Molti di questi fondi hanno “politiche di investimento etico” ma, come avviene spesso, si tratta semplicemente di un’operazione pubblicitaria e di facciata.

Ora gli attivisti hanno un’occasione d’oro per far pressione sui loro fondi affinché disinvestano.

Campagne di successo potrebbero facilmente condurre a lungo termine queste società al disinvestimento di queste società dall’occupazione israeliana.

Il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) ha avuto, nel corso degli anni, molte vittorie simili, un fenomeno così preoccupante che negli ultimi cinque anni il governo israeliano ha destinato un intero ministero (quello degli “Affari Strategici”) a una guerra globale semi-clandestina contro il movimento.

Il nuovo database della PSC fa seguito alla sua più recente vittoria. La Corte Suprema [della Gran Bretagna, ndtr.] ha deliberato in aprile contro il regolamento del governo conservatore del 2016 che vieta alle autorità locali di disinvestire da Israele (tecnicamente contro ogni governo estero, ma, in realtà, il provvedimento mirava a proteggere solo Israele).

Il movimento PSC aveva pubblicato a novembre un database simile relativo agli investimenti di università inglesi in società complici con l’occupazione israeliana.

Si ricordi che in base al diritto internazionale le colonie israeliane in Cisgiordania costituiscono un crimine di guerra.

Eppure i manager di università e fondi pensionistici inglesi sono felici di investire in istituzioni israeliane e internazionali fortemente coinvolte nell’edificare, attrezzare e finanziare questi insediamenti illegali costruiti su terra sottratta ai palestinesi.

Dopo questa recente vittoria, sostenitori e attivisti hanno ora una grande opportunità di far pressione su queste istituzioni.

Società senza etica (e spesso immorali) come HSBC, Microsoft e simili, molto raramente sostengono il sionismo, l’ideologia ufficiale dello Stato di Israele. Guidate da capitalisti senza scrupoli si preoccupano solo dei propri bilanci.

Con pressioni sufficienti e costanti da parte di attivisti si potrebbe arrivare a una vittoria, perché spesso non vogliono la scocciatura della pubblicità dannosa derivante dall’essere associati in regimi coinvolti in abusi dei diritti umani, specie quando sono una piccola parte del totale dei loro investimenti.

Sebbene le somme coinvolte siano notevoli, per le società miliardarie si tratta di briciole.

È così che si è giunti alla vittoria all’Università di Leeds nel 2018 quando un piccolo gruppo di attivisti, sostenuto da una rete più ampia, è riuscito a fare sufficientemente pressione da far sì che l’università cedesse e disinvestisse da tre su quattro delle aziende prese di mira.

Dopo, naturalmente, i dirigenti dell’università hanno negato di aver accolto le richieste del BDS, ma è quasi sempre così. Corporazioni e grandi istituzioni non amano creare il precedente di aver ceduto ad alcuna forma di potere del popolo.

Nonostante ciò, i fatti sono i fatti e gli obiettivi sono stati in gran parte raggiunti.

Queste vittorie concrete, strategiche e tattiche sono l’essenza dei successi del movimento BDS.

La portata degli investimenti dei fondi delle amministrazioni locali in aziende complici che sono coinvolte nell’occupazione israeliana potrebbe far paura, ma si dovrebbe invece vedere come un’opportunità, anzi due miliardi di opportunità, per ottenere risultati concreti per i palestinesi, proprio qui, nel ventre del mostro, del Paese le cui macchinazioni coloniali hanno portato alla spogliazione e, in ultimo, alla pulizia etnica dei palestinesi.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




In Palestina più di 100 violazioni da parte di Israele in una settimana

29 maggio 2020 – Middle East Monitor

Il Centro Palestinese per i Diritti Umani (PCHR) ha documentato più di 100 violazioni del diritto internazionale sui diritti umani perpetrate dalle forze di occupazione e dai coloni israeliani un una sola settimana nei Territori Palestinesi Occupati (TPO).

Secondo un rapporto del PCHR pubblicato ieri, è stato registrato complessivamente un totale di 106 violazioni di diritti umani da parte di Israele; tuttavia le restrizioni imposte dallo stato di emergenza hanno limitato la capacità della ONG di monitorare tutti gli incidenti nei TPO.

“Questa settimana, segnata dalla festa musulmana di Eid al-Fitr, che celebra la fine del mese di Ramadan, non è stata diversa, essendo continuati gli attacchi delle forze israeliane; inoltre i coloni hanno sparato, ferendoli, ad agricoltori palestinesi, hanno incendiato terreni e attaccato case”, ha dichiarato la ONG per i diritti umani.

Come segnalato dal PCHR, le forze israeliane hanno ucciso illegalmente cinque civili palestinesi, compreso un bambino che non costituiva una minaccia imminente per la vita, usando proiettili veri durante le incursioni militari israeliane a Ramallah e Tuba.

Inoltre Israele ha continuato ad ampliare le colonie illegali e le relative infrastrutture nella Cisgiordania occupata, compreso lo smantellamento di una roulotte e la demolizione di una casa ancora in costruzione nella zona centrale della Valle del Giordano, in quanto non disponeva del permesso necessario da parte delle autorità di occupazione israeliane.

Questi permessi sono quasi impossibili da ottenere da parte dei palestinesi. Si dice che tre palestinesi siano stati costretti a demolire essi stessi le proprie case.

Il PCHR ha dichiarato che le estese demolizioni hanno comportato anche l’uso di bulldozer nel sito archeologico di Sebastia e il furto di pietre antiche nei dintorni.

Attualmente vi sono circa 650.000 coloni ebrei che vivono nel territorio palestinese occupato, compresa Gerusalemme est. Tutte le colonie israeliane sono illegali in base al diritto internazionale. La Quarta Convenzione di Ginevra proibisce ad una potenza occupante di trasferire la propria popolazione sulla terra occupata.

(Traduzione dallo spagnolo di Cristiana Cavagna)




Annettere gli acquiferi: Israele e la crisi idrica nella Palestina occupata

Fareed Taamallah

28 maggio 2020 – Palestine Chronicle

La scorsa settimana la Palestinian Water Authority [Autorità Palestinese per l’Acqua] ha duramente criticato Israele per aver ridotto in modo significativo la quantità di acqua destinata alla Cisgiordania. “Stiamo affrontando questa crisi mentre sta cominciando l’estate, un periodo dell’anno in cui la gente in genere ha bisogno di più acqua, non di meno,” secondo una citazione di quanto ha detto il capo della PWA Mazen Ghneim.

Nel mio quartiere a Ramallah ogni anno durante i mesi estivi non abbiamo quasi mai acqua nelle tubature. L’acqua scorre solo un giorno alla settimana. Quindi tutte le famiglie devono fare attenzione all’orario di distribuzione dell’acqua per pianificare le attività domestiche come fare il bucato e pulire la casa. Alcune comunità palestinesi in Cisgiordania sono collegale a reti idriche “allacciate” che riforniscono gli illegali coloni israeliani. Durante i mesi secchi estivi le valvole dell’acqua che portano alle vicine comunità palestinesi vengono normalmente chiuse dalle autorità israeliane in modo che i coloni non soffrano per la mancanza di acqua.

Nei territori palestinesi la carenza di acqua non è una crisi di carattere naturale, ma piuttosto il risultato dell’occupazione israeliana che sfrutta oltre l’85% delle risorse idriche.

Fatti e dati

Israele controlla i tre principali acquiferi transfrontalieri nei territori palestinesi occupati. Il primo e più grande è l’acquifero (montano) della Cisgiordania, che è alimentato dalle piogge e genera 679 milioni di m3 di acqua all’anno. Il secondo è il fiume Giordano, che fornisce a Israele circa 450 milioni di m3 all’anno. Ai palestinesi viene negato l’accesso e la fornitura delle loro acque. Il terzo è l’acquifero costiero, che produce 450 milioni di m3 d’acqua a Israele e 55 milioni di m3 a Gaza.

La Palestina ha un buon livello di precipitazioni. Ramallah, per esempio, ha un livello medio di piogge annuali di 615 millimetri, che è quasi tanto quanto i 620 mm di Londra.

Secondo il rapporto della Palestinian Water Authority del 2012, si stima che circa 784 milioni di m3 di piogge abbiano ricaricato le falde freatiche in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. Tuttavia ai palestinesi vengono destinati solo 375 milioni di m3 di queste acque sotterranee, mentre Israele ne consuma annualmente 2.346 milioni di m3.

Gli accordi di Oslo

Il problema idrico è cominciato fin dall’inizio dell’occupazione israeliana della Palestina, ma è stato esacerbato nel 1995 dall’accordo provvisorio Oslo II tra l’OLP e il governo israeliano. Gli accordi di Oslo prevedevano “l’uso equo delle risorse idriche comuni da mettere in pratica durante e dopo il periodo transitorio.” Ma in realtà ciò non è mai avvenuto.

L’accordo che avrebbe dovuto essere di un periodo temporaneo di cinque anni limitò lo sviluppo delle risorse idriche palestinesi, e venne inquadrato nell’assunto che le necessità idriche palestinesi fossero di 70-80 milioni di m3 all’anno e che lo sviluppo provvisorio delle risorse idriche dovesse essere gestito da un meccanismo palestinese-israeliano. Gli argomenti riguardo agli “interessi comuni” (uno dei quali era l’acqua) sarebbero stati ulteriormente definiti in base ai negoziati per lo status permanente.

Il fallimento nel raggiungere un accordo definitivo ha significato l’iniqua distribuzione degli acquiferi della Cisgiordania, con il 15% destinato ai palestinesi e l’85% a Israele.

Come specificato negli accordi di Oslo, venne creata un Joint Water Committee [Comitato Congiunto per l’Acqua] (JWC) per sovrintendere a tutti i progetti relativi all’acqua e alle acque reflue in Cisgiordania. Il JWC è composto da un pari numero di rappresentanti rispettivamente di Israele e dell’Autorità Nazionale Palestinese, e le decisioni vengono prese di comune accordo. Ciò ha concesso ad Israele il potere di veto su tutti i progetti riguardanti le risorse idriche palestinesi e bloccato ogni richiesta dei palestinesi di scavare nuovi pozzi.

Pozzi costruiti o risistemati senza permessi rilasciati da Israele sono sistematicamente distrutti dalle forze di occupazione israeliane.

Apartheid idrico

Mentre le comunità palestinesi stanno affrontando la siccità e la carenza di acqua, le colonie israeliane – situate nella stessa area geografica – godono di abbondanti forniture idriche, consentendo ai coloni di riempire le loro piscine e di irrigare i loro prati e giardini. Il mancato accesso ad adeguate quantità d’acqua necessarie per l’allevamento di bestiame e per la produzione di alimenti rende beduini, allevatori e contadini particolarmente vulnerabili.

Le colonie agricole israeliane in Cisgiordania, soprattutto quelle della valle del Giordano, godono di una quantità di acqua fino a 6 volte superiore rispetto alle comunità palestinesi vicine. Nella città palestinese di Tubas il consumo quotidiano di acqua è di 30 litri a persona. Tuttavia secondo B’Tselem [associazione israeliana per i diritti umani, ndtr.] gli abitanti della vicina colonia illegale israeliana di Beda’ot consumano circa 401 litri al giorno.

Mentre la popolazione palestinese è raddoppiata, la disponibilità di acqua è diminuita. Secondo il rapporto 2018 della Banca Mondiale, “con una popolazione della Cisgiordania e di Gaza di circa 4,8 milioni, che aumenta a un tasso medio annuale del 2,8%, si prevede che la differenza di forniture per uso domestico sia rispettivamente circa di 152 e di 135 milioni di m3.”

L’egemonia idrica israeliana ha lasciato i palestinesi con un disavanzo nell’allocazione idrica. Per compensare questo deficit sono stati obbligati a procurarsi da Israele circa un quarto delle forniture di acqua per uso domestico.

Secondo l’Ufficio palestinese di statistica il consumo quotidiano di acqua pro capite è attorno agli 88 litri. In confronto il consumo quotidiano di acqua pro capite in Israele è di 257 litri. L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) raccomanda almeno 100 litri di acqua a persona al giorno. Il consumo palestinese è inferiore al minimo.

Nella Striscia di Gaza la situazione idrica è persino peggiore. La gravissima carenza di acqua provocata dal 2007 dal brutale blocco israeliano ha portato a un pesante ricorso alla parte dell’acquifero costiero sottostante come unica fonte di rifornimento idrico di Gaza.

I due milioni di abitanti hanno estratto circa 180 milioni di m3 nel 2017, ma questa quantità è ottenuta con il pompaggio non sicuro che danneggia l’eco-sostenibilità della falda acquifera, mentre il ricarico totale è solo di un terzo di quanto viene estratto. Le conseguenze dirette dell’eccessivo pompaggio sono l’infiltrazione di acqua di mare e l’affioramento dell’acqua salmastra profonda. Di conseguenza il 97% dell’acqua non è potabile e non risponde agli standard di qualità delle linee guida riconosciute dell’OMS per le sorgenti di acqua potabile.

Piano di annessione

Israele controlla le due principali fonti idriche palestinesi in Cisgiordania (il bacino del fiume Giordano a est e l’acquifero montano occidentale) che forniscono annualmente a Israele circa 900 milioni di m3 di acqua.

Attraverso l’annessione delle zone della Cisgiordania prevista quest’anno, Israele intende impossessarsi degli acquiferi della Cisgiordania al di là dei nuovi confini israeliani conservando il controllo dei blocchi di colonie adiacenti ai bacini, in particolare la valle del Giordano e l’area di Salfit, dove si trova la mia città di origine, Qira.

Questa annessione perpetuerà gli alti livelli di consumo dell’acqua da parte di Israele negando le necessità fondamentali dei palestinesi e obbligandoli a dipendere da Israele per l’acqua, preservando così lo status quo di una drammaticamente ingiusta divisione delle risorse idriche, spegnendo ogni speranza di uno Stato palestinese e di una pace sostenibili nella regione.

Fareed Taamallah è un giornalista, agricoltore e attivista politico palestinese che vive a Ramallah. Ha fornito questo articolo a The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)