Politici britannici chiedono sanzioni contro Israele per i piani di annessione della Cisgiordania

Redazione MEE

2 maggio 2020 – Middle East Eye

La lettera firmata da 127 da parlamentari ed ex parlamentari sollecita il governo britannico a “prendere l’iniziativa” per il rispetto del diritto internazionale

Decine di politici britannici appartenenti a tutto lo schieramento politico hanno chiesto al Primo Ministro Boris Johnson di imporre delle sanzioni ad Israele nel caso in cui proceda con il progetto di l’annessione di parti della Cisgiordania occupata.

In una lettera rilasciata venerdì 127 tra parlamentari ed ex-parlamentari, compresi membri del Partito Conservatore, hanno invitato Johnson a chiarire che l’annessione sarebbe illegale ai sensi del diritto internazionale e “avrebbe gravi conseguenze, tra cui le sanzioni”.

“Il diritto internazionale è chiarissimo. È vietata l’annessione di territori attraverso la guerra”, si legge nel documento.

Il Council for Arab-British Understanding (Caabu) [ONG britannica impegnata nel sostegno dei diritti umani sulla base delle leggi internazionali, ndtr.], che ha stilato la lettera, ha dichiarato che si tratta di un’ “iniziativa senza precedenti”.

“I politici, compresi ex membri del gabinetto, ministri e alti diplomatici, chiedono azioni e non parole per contrastare qualsiasi annessione da parte di Israele”, ha detto l’associazione in una nota.

La lettera mette in guardia sul fatto che l’annessione sarebbe un “colpo mortale” per gli sforzi per la pace e la soluzione dei due Stati. Equipara la messa in pratica da parte di Israele di una sua sovranità sulla terra palestinese all’annessione della Crimea ucraina da parte della Russia nel 2014.

“La Gran Bretagna ha giustamente reagito a queste azioni con misure adeguate, comprese sanzioni severe,” afferma.

Johnson ha criticato duramente le azioni della Russia in Crimea.

“La sicurezza di ogni Nazione dipende dal principio essenziale secondo il quale i Paesi non devono cambiare i confini o acquisire territori con la forza. Ecco perché il destino della Crimea è importante per tutti noi”, ha scritto nel 2018 quando era ministro degli Esteri.

“Tutti abbiamo l’obbligo di opporci alla Russia in modo proporzionato e risoluto”.

‘Il Regno Unito deve prendere l’iniziativa’

Israele occupò la Cisgiordania, Gerusalemme est e le alture del Golan siriane nella guerra del 1967 contro i suoi vicini arabi.

La lettera di venerdì afferma che la comunità internazionale ha “il dovere” di proteggere i palestinesi sotto occupazione.

“Se vogliamo impedire ad altri Stati con ambizioni territoriali di imitare l’illegale comportamento israeliano, il Regno Unito deve prendere l’iniziativa di opporsi a questa aggressione,” si legge.

I politici accusano inoltre Israele di approfittare della diffusione del coronavirus per “attuare questo piano vergognoso”.

Tra i firmatari, Lord Chris Patten, ex presidente del Partito Conservatore; Sir Edward Davey, leader dei liberal democratici, e la baronessa Helena Kennedy, membro laburista della Camera dei Lord.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha ripetutamente annunciato di voler annettere ampie zone della Cisgiordania in violazione del diritto internazionale.

In aprile ha raggiunto un accordo con il suo principale rivale, Benny Gantz, per formare un governo di coalizione che farà passi avanti verso una legge di annessione.

Washington ha fatto sapere che sosterrà il progetto israeliano, ma l’Unione Europea e le Nazioni Unite hanno denunciato il piano.

L’anno scorso, il Regno Unito si è unito a Francia, Germania, Italia e Spagna per mettere in guardia contro i programmi di annessione da parte di Israele.

“Se attuato, ciò costituirebbe una grave violazione del diritto internazionale,” hanno affermato in una nota i Paesi europei.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 14 – 27 aprile 2020

Il 22 aprile, due speronamenti con auto, effettuati da palestinesi contro checkpoint israeliani, hanno provocato il ferimento di tre israeliani; uno degli attentatori è stato ucciso.

In uno dei due casi, verificatosi presso il checkpoint di Wadi an Nar (Gerusalemme), che controlla tutto il traffico palestinese tra nord e sud della Cisgiordania, un 25enne palestinese ha investito con la sua auto un ufficiale della Polizia di Frontiera, ferendolo. L’attentatore è uscito dal veicolo e, prima di essere colpito e ucciso dalle forze israeliane, ha tentato di pugnalare l’ufficiale. Nel secondo caso, riportato da giornali israeliani, un’auto con targa palestinese è stata lanciata contro un checkpoint temporaneo allestito presso l’insediamento [colonico] israeliano di Ateret (Ramallah): un altro ufficiale della Polizia di Frontiera e un civile israeliano sono rimasti feriti; il guidatore è riuscito ad allontanarsi con l’auto.

In Cisgiordania, nel corso di numerosi scontri con forze israeliane, 39 palestinesi sono rimasti feriti [segue dettaglio]. Venti di questi feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, otto per lesioni causate da proiettili di gomma, tre per ferite di arma da fuoco, mentre otto palestinesi sono stati aggrediti fisicamente. Gli scontri più gravi, che hanno provocato 15 feriti, sono stati registrati ad Ar Rihiya (Hebron) in seguito all’ingresso di una jeep militare israeliana nel villaggio. Altri sette palestinesi sono rimasti feriti durante un’operazione di ricerca-arresto effettuata [da forze israeliane] nel villaggio di As Sawahira as Sharqiya (Gerusalemme) a seguito dell’aggressione compiuta da un palestinese presso il checkpoint di Wadi an Nar [vedi paragrafo precedente]. Due, dei tre colpiti con armi da fuoco, pare che stessero tentando di infiltrarsi in Israele attraverso la Barriera, nei pressi di Qalqiliya; il terzo è stato colpito durante scontri vicino al villaggio di Kobar (Ramallah). I rimanenti ferimenti sono stati registrati in scontri spontanei nel Campo Profughi di Qalandiya (Gerusalemme), al checkpoint di Za’tara (Nablus), vicino ai villaggi di Tuwani (Hebron) e Qusra (Nablus) e durante le manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya).

Nel complesso, in Cisgiordania, le forze israeliane hanno effettuato 99 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato oltre 100 palestinesi. La maggior parte delle operazioni (45) e degli arresti (55) è avvenuta in Gerusalemme Est, 18 nel governatorato di Hebron e 14 nel governatorato di Ramallah.

Il 22 aprile, un palestinese di 23 anni è morto in una prigione israeliana, in circostanze non chiare. Il Comitato dei Prigionieri Palestinesi ha affermato che la morte è da attribuire a negligenza medica. Secondo media israeliani, il Servizio Penitenziario Israeliano ha avviato un’indagine.

Al fine di far rispettare le restrizioni di accesso alle aree prossime alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa di Gaza [zone dichiarate da Israele come “Aree ad Accesso Riservato”], in almeno 48 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento. Un pescatore è stato ferito alla testa da un proiettile di gomma e due barche sono state danneggiate. In due occasioni, ad est di Jabaliya e di Rafah, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

In quattro Comunità dislocate in Area C della Cisgiordania, a motivo della mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito nove strutture di proprietà palestinese, sfollando una famiglia di otto persone e causando ripercussioni su altre 19. Lo sfollamento ha avuto luogo nella Comunità beduina di Ein ad Duyuk at Tahta (Gerico), dove le autorità hanno demolito una roulotte abitata che era stata fornita come assistenza umanitaria. Altre cinque strutture di aiuto, tra cui tende residenziali (disabitate) e ricoveri per animali, sono state demolite nella vicina Comunità di Deir al Qilt. A Gerusalemme Est, da metà marzo, non sono state effettuate demolizioni. Il Coordinatore Umanitario, Jamie McGoldrick, ha chiesto alle autorità israeliane di fermare le demolizioni, in particolare durante la crisi per il COVID-19 e nel mese del Ramadan.

Cinque palestinesi sono stati feriti e circa 470 ulivi e alberelli di proprietà palestinese sono stati danneggiati da coloni israeliani [segue dettaglio]. Quattro dei cinque ferimenti sono stati causati da aggressioni fisiche avvenute nella città Hebron, nell’Area H2 controllata da Israele, nei villaggi At Tuwani (Hebron) e Jibiya (Ramallah), mentre il quinto [ferimento] è stato causato, ancora in Area H2, dal lancio di pietre. Circa 200 ulivi appartenenti agli agricoltori dei villaggi di Turmus’ayya e Al Mughayyir (Ramallah) sono stati vandalizzati, a quanto riferito, da coloni del vicino insediamento avamposto [non autorizzato] di Adei Ad. La maggior parte di questi alberi si trovano su un terreno il cui accesso, per i palestinesi, è regolato da un sistema di “coordinamento preventivo”. Assalitori, che si ritiene provengano dallo stesso avamposto, hanno anche smantellato una recinzione attorno a un altro appezzamento di terreno ed hanno rubato decine di pali di legno. 120 alberi circa sono stati abbattuti nei villaggi di Ras Karkar (Ramallah), Kafr Qaddum (Qalqiliya), As Sawiya e Qaryut (entrambi a Nablus). Vicino al villaggio di Fuqeiqis (Hebron), coloni hanno sradicato circa 1.000 piantine di ortaggi stagionali e 150 alberelli di ulivo mentre, nel villaggio di Khirbet Samra (Tubas), hanno pascolato il loro bestiame su 10 ettari di terra coltivata a verdure di stagione, danneggiando le colture. Dall’inizio di marzo, la violenza dei coloni è in aumento: la media settimanale di episodi comportanti ferimenti o danni a proprietà è aumentata di oltre l’80% rispetto a gennaio-febbraio.

Sono stati segnalati diversi episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte di palestinesi contro veicoli israeliani in viaggio lungo strade della Cisgiordania. Non ci sono stati feriti, ma, secondo una ONG israeliana, nei governatorati di Gerusalemme, Hebron e Ramallah, nove veicoli hanno subìto danni.

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Covid-19 in Palestina : la duplice lotta dei palestinesi contro l’epidemia e l’apartheid

Samah Jabr

26 aprile 2020Chronique de Palestine

Ho scritto questo articolo in una giornata che ha visto la conferma di un aumento improvviso e in controtendenza dei casi di Covid-19 tra i palestinesi del piccolo quartiere di Silwan, a Gerusalemme est.

In quello stesso giorno dei soldati israeliani al posto di controllo di Qalandia mi hanno negato l’accesso al mio luogo di lavoro a Ramallah, nonostante gli avessi mostrato il mio documento di responsabile ufficiale d’urgenza del Ministero della Salute palestinese – che è stato ignorato dai soldati con queste parole: “Noi non riconosciamo un simile documento.”

Nella Palestina occupata la pandemia di Covid-19 ha già colpito le diverse comunità palestinesi, ciascuna delle quali dispone di un sistema sanitario fragile, non integrato nel sistema nazionale. Al tempo stesso è documentato il fatto che i palestinesi di Gerusalemme e quelli del 1948 [cioè con cittadinanza israeliana, ndtr.], che sono in carico al sistema sanitario israeliano, soffrono da tempo di disuguaglianze nelle cure.

Tali disuguaglianze hanno già un impatto sulle patologie croniche, sulla speranza di vita e sui tassi di mortalità. La risposta del sistema sanitario israeliano al Covid-19 ha accentuato il divario tra la maggioranza ebrea (80% della popolazione) e la minoranza palestinese (20%), servite dallo stesso sistema.

Nonostante che la minoranza palestinese sia sovra-rappresentata tra gli operatori sanitari all’interno del sistema sanitario israeliano, le loro comunità sono state tuttavia insufficientemente servite durante questa pandemia. Le forniture di materiale informativo in lingua araba sono state tardive, l’accesso ai servizi Covid-19 nelle città arabe è stato difficoltoso. Non vi è stata una rappresentanza araba nel Comitato di salute d’ emergenza e vi è stata una enorme carenza nei test.

Tutti questi elementi hanno contribuito all’aumento dei casi che attualmente osserviamo nelle comunità arabe. Mentre mobilitava la maggioranza ebrea per affrontare la pandemia, il Primo Ministro israeliano si è impegnato in una odiosa campagna discriminatoria contro la partecipazione araba nel governo ed ha criticato ingiustamente i palestinesi affermando che non rispettavano le regole di isolamento – forse per fornire in anticipo una falsa spiegazione nel caso di un aumento del numero di palestinesi contagiati.

In realtà i quartieri palestinesi hanno aderito alle regole relative alla pandemia più scrupolosamente di quelli ebrei, benché fossero trattati peggio. Il sovrintendente della polizia Yaniv Miller, incaricato di assistere le pattuglie nelle zone ebraiche che non rispettavano l’isolamento, ha dichiarato alle reclute dell’esercito: “Vi ricordo, ragazzi, che non ci troviamo nei territori (occupati) della Cisgiordania, né sul confine. Un poliziotto ci mette molto a sparare. Un poliziotto spara solo come ultima risorsa dopo che hanno sparato su di lui,” (riportato da Haaretz il 3 aprile 2020).

Con un altro tentativo di mascherare le ineguaglianze nella prestazione di servizi sanitari, la ministra israeliana della Cultura Miri Regev [del partito di destra Likud, ndtr.] è persino riuscita a scovare due cittadini arabi, Ahmad Balawneh, un infermiere, e Yasmine Mazzawi, un’ addetta alle ambulanze, per far loro accettare il suo invito ad accendere una torcia durante le commemorazioni del Giorno dell’Indipendenza [israeliana] il 29 aprile, che è anche il giorno della Nakba [lett. catastrofe, la pulizia etnica operata dalle milizie sioniste, ndtr.] palestinese…Un insulto collettivo, camuffato da premio!

La situazione in Cisgiordania e a Gaza riflette i differenti livelli di oppressione politica cui sono sottoposte le due regioni. Recentemente ho descritto le misure prese dal Ministero della Salute in Cisgiordania in un’intervista, che spiega che le rigide misure riguardo all’isolamento, con tutti i loro devastanti effetti economici, sono la miglior linea di condotta che l’Autorità Nazionale Palestinese potesse adottare, stante la nostra mancanza di risorse a livello di cure sanitarie specialistiche e l’assenza di sovranità sui nostri confini.

Gaza è ancor meno preparata e più svantaggiata: lì la situazione potrebbe essere molto pericolosa a causa dell’impatto assai negativo dell’assedio e delle condizioni socio-economiche devastanti. La popolazione di Gaza sopravvive con una densità di 5.000 abitanti per km2 e una forte incidenza di anemia, malnutrizione e insicurezza alimentare.

Gli abitanti di Gaza soffrono di una serie altrettanto rilevante di patologie croniche e di problemi di salute mentale; sono alla mercé di una vasta gamma di poteri oppressivi che decidono su qualunque cosa e su chiunque entri e fugga dalla sua gabbia. L’interruzione degli aiuti americani – una punizione politica – ha compromesso l’UNRWA (agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ndtr.), gli ospedali palestinesi di Gerusalemme e molti altri ambiti del sistema sanitario in Palestina.

Malgrado questa realtà, Israele intende vantarsi del suo sostegno, della sua generosità e del suo aiuto all’Autorità Nazionale Palestinese. Le Nazioni Unite hanno lodato Israele per la sua “eccellente” collaborazione con l’Autorità Nazionale Palestinese nella lotta contro il Covid-19 attraverso diverse fasi: il trasferimento di 25 milioni di dollari all’Autorità Nazionale Palestinese (a partire dai soldi delle imposte precedentemente trattenuti!), l’invio di attrezzature mediche in Cisgiordania e a Gaza – tra cui 20 apparecchi respiratori da aggiungersi agli 80 già esistenti – , 300 kit per i test e 50.000 mascherine.

Israele ha lasciato passare verso i territori palestinesi i materiali ordinati dall’OMS ed ha consentito a Gaza di ricevere denaro dal Qatar. Quelli che sono impressionati dalla bontà di Israele sembrano ignorare l’articolo 56 dellaquarta Convenzione di Ginevra che stabilisce: “Con tutti i mezzi di cui dispone, la potenza occupante ha il dovere di assicurare e  di mantenere, con la collaborazione delle autorità nazionali e locali, i presidi e i servizi medici e ospedalieri, la sanità pubblica e l’igiene nel territorio occupato, in particolare per ciò che riguarda l’adozione e l’applicazione delle misure profilattiche e preventive necessarie a lottare contro la diffusione delle malattie contagiose e delle epidemie. Il personale medico di tutte le categorie è autorizzato a svolgere le proprie funzioni.”

Coloro che fanno gli elogi di Israele sembrano anche ignorare che l’epidemia dell’occupazione continua ad infierire come sempre, con le demolizioni di case – mentre tutti sono esortati a “restare a casa” – le uccisioni e gli arresti, mentre si pianifica l’annessione della Valle del Giordano.

Passa inosservata l’unica prescrizione specifica per la pandemia: che i soldati israeliani devono indossare un equipaggiamento di protezione individuale quando entrano a Betlemme per arrestare delle persone. E passa inosservato il fatto che le forze israeliane letteralmente scaricano gli operai palestinesi ai posti di controllo della Cisgiordania ogni volta che sospettano che questi lavoratori siano contagiati.

Non si nota neanche il tentativo del governo israeliano di scambiare prigionieri israeliani con gli aiuti sanitari a Gaza! La verità è che Israele è responsabile della malattia dei palestinesi e del deterioramento del loro benessere, cosa che avrà ripercussioni sulla nostra epigenetica (*) per le future generazioni.

In queste circostanze i palestinesi si uniscono a tutti coloro che oggi sulla Terra lottano contro la pandemia. Facendolo, intendiamo affermare il nostro desiderio di sovranità e ci sentiamo anche meglio preparati ad affrontare la chiusura e l’incertezza di molte altre comunità in cui si litiga per acquistare armi da fuoco o stoccare le merci dei supermercati, o procurarsi materiale sanitario al mercato nero.

In Palestina cerchiamo di accettare questa sfida con spirito di collaborazione sociale e di altruismo. I nostri risultati ci permettono di dire che “fin qui va tutto bene” e ci rendiamo conto che questa non è la tappa più difficile nella nostra lunga lotta per l’autodeterminazione e per la libertà.

L’urgenza dovuta alla pandemia infatti contribuisce a rafforzare la fiducia dei palestinesi nelle nostre capacità di essere indipendenti e non ci sentiamo soli in questa battaglia. Al di là di ciò, crescono le nostre speranze di poter utilizzare l’ambito della medicina come una forma di diplomazia in tempi di crisi, creando dei canali per collaborare con altri Paesi che ci avevano lasciati soli nella nostra lotta nazionale….

L’attuale crisi non deve impedirci di lavorare per i nostri obbiettivi a lungo termine. È ora più urgente che mai mettere fine all’assedio di Gaza e al sistema di apartheid che riduce la Palestina ad un incubatore di epidemie sanitarie e sociali.

Nota :

(*) Meccanismo che modifica la fisionomia dei geni.

La dottoressa Samah Jabr è una psichiatra che lavora a Gerusalemme est e in Cisgiordania. Attualmente è responsabile dell’Unità di salute mentale del Ministero della Sanità palestinese. Ha insegnato in università palestinesi e internazionali. La dottoressa Jabr funge spesso da consulente delle organizzazioni internazionali in materia di sviluppo della salute mentale. È anche una prolifica scrittrice. Il suo ultimo libro è stato tradotto in francese: ‘Dietro i fronti – cronache di una psichiatra psicoterapeuta palestinese sotto occupazione’ [ed. italiana: “Dietro i fronti”, Sensibili alle foglie, 2019].

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)

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Come Israele sta usando l’emergenza da coronavirus per annettere la Cisgiordania

Fareed Taamallah

24 aprile 2020 – Middle East Eye

La formazione della coalizione governativa Gantz-Netanyahu non ha nulla a che fare con la pandemia, è una mossa puramente politica

Benjamin Netanyahu, il primo ministro di Israele, e Benny Gantz, il suo principale rivale, hanno firmato questa settimana un accordo per formare un governo di unità nazionale di “emergenza”. 

Secondo i media israeliani, il Likud, il partito di Netanyahu, e il Blu e Bianco, l’alleanza guidata da Gantz, si sono accordati per l’alternanza del premier. Inizialmente Netanyahu resterà primo ministro e Gantz sarà il suo vice e, dopo 18 mesi, si scambieranno i ruoli.

La prima reazione dall’amministrazione statunitense è arrivata mercoledì dal segretario di stato Mike Pompeo che ha detto che annettere parti della Cisgiordania ” spetta in ultima istanza a Israele”.  Questa brutale dichiarazione riflette la parzialità dell’amministrazione americana verso Israele. 

Da palestinese, nel corso dell’occupazione, ho assistito alla formazione di parecchi governi israeliani nessuno dei quali seriamente interessato a una soluzione pacifica del conflitto o a porre fine agli insediamenti illegali in Cisgiordania. 

Fissare la data per l’annessione

Quest’ultima coalizione non fa eccezione. La differenza è che per la prima volta un governo israeliano ha ufficialmente e sfrontatamente fissato una data precisa per l’annessione. 

Sulla base dell’accordo del secolo dell’amministrazione Trump, il primo luglio la Knesset potrà votare l’annessione di parti della Cisgiordania. Tale accordo era stato respinto preventivamente dai palestinesi perché dà ad Israele il totale controllo militare su di loro, sulla gran parte delle loro terre, sull’intera Gerusalemme e su tutti gli insediamenti israeliani.

L’accordo stabilisce che la votazione debba tenersi “il prima possibile”, senza ritardi in commissione. Sebbene i membri della coalizione possano votare come ritengono opportuno, è probabile che il fronte della Knesset a favore dell’annessione avrà la maggioranza.

Il cosiddetto governo di unità nazionale di “emergenza”, che durerà 36 mesi, è stato legittimato a gestire la pandemia in Israele. Ma perché l’implementazione dell’accordo del secolo deve essere considerata un’emergenza? 

Già prima di formare il nuovo governo. Netanyahu aveva dichiarato molte volte di voler annettere la Valle del Giordano e gli insediamenti della Cisgiordania. Gli americani e gli israeliani hanno già redatto mappe dei territori che hanno pianificato di annettere. 

Alcuni esperti predicono che Israele ingloberà almeno il 30% della Cisgiordania. Inutile dire che l’annessione non avverrà nel quadro di negoziati o di uno scambio concordato di territori, ma sarà piuttosto una decisione unilaterale che mina un futuro Stato palestinese, ponendo fine alla dottrina della “soluzione dei due Stati” per arrivare a un’entità palestinese segregata come bantustan in Sud Africa. 

Mossa propagandistica

Questa annessione avrebbe un impatto disastroso sulle aspirazioni di auto-determinazione del nostro popolo e su di me personalmente, un contadino palestinese che possiede della terra nell’Area C [sotto totale controllo israeliano e che in parte dovrebbe essere annessa, ndtr.].

Se il governo israeliano seguisse la mappa disegnata dai consiglieri di Trump, parte di Qira, il villaggio da dove vengo, situato nella zona cisgiordana di Salfit, e forse persino la mia fattoria verrebbero incorporate dall’insediamento coloniale illegale di Ariel.   

Il presidente palestinese Mahmoud Abbas ha diffidato gli USA e i governi israeliani dall’annettere una qualsiasi parte dei territori palestinesi. “Non pensiate che, a causa del coronavirus, ci siamo dimenticati dell’annessione, delle misure di Netanyahu o dell’accordo del secolo,” ha detto questo mese, aggiungendo che i leader palestinesi avrebbero continuato a lavorare contro questi piani.

È chiaro che la formazione del governo di coalizione non ha niente a che fare con l’emergenza da pandemia, ma ha invece delle mire politiche. Netanyahu e ora anche Gantz vogliono approfittarne per implementare l’accordo trumpiano e annettere parti della Cisgiordania, mentre il mondo e i palestinesi sono esausti per la lotta contro il virus. 

Le elezioni presidenziali negli USA sono fissate per novembre e questa sarebbe anche una buona mossa propagandistica per facilitare la rielezione di Trump.

L’establishment politico israeliano si è unito su un programma permanente di colonizzazione e annessione, sfruttando la straordinaria situazione locale e internazionale per imporre lo status quo come realtà nei territori, con il pieno appoggio e sostegno da parte dell’amministrazione statunitense.

La necessità dell’unità palestinese

Secondo Hanan Ashrawi che fa parte del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina, l’accordo di unità “rivela i partiti politici israeliani per quello che sono e prova, al di là di ogni ragionevole dubbio, la morte in Israele della cosiddetta sinistra”. Sono d’accordo e vorrei aggiungere che il governo di unità evoca più che mai la necessità di porre fine alla divisione fra la Cisgiordania e Gaza per cercare invece la riconciliazione fra tutte le fazioni politiche.

I palestinesi devono adottare una strategia nuova, chiara e più determinata per affrontare l’annessione della propria terra, dato che Israele e gli USA non hanno lasciato loro altra alternativa che resistere. 

È ora che i palestinesi smettano di inseguire la futile illusione dei “due Stati” e inizino a cercare una soluzione realistica di “uno Stato democratico” che offra, a tutti quelli che vivono fra il fiume Giordano e il mar Mediterraneo [cioè nella Palestina storica, che comprende l’attuale Israele, la Cisgiordania e Gaza, ndtr.], gli stessi diritti e obblighi in qualità di cittadini uguali indipendentemente dalla loro religione o razza.

Questa resta l’unica soluzione fattibile del conflitto del secolo.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Fareed Taamallah

Fareed Taamallah è un agricoltore palestinese e un attivista politico.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Il piano di annessione di Netanyahu è una minaccia alla sicurezza nazionale di Israele

 Ami Ayalon, Tamir Pardo, Gadi Shamni

23 aprile 2020– Foreing Policy

L’annessione della Cisgiordania incrinerebbe i trattati di pace di Israele con l’Egitto e la Giordania, susciterebbe la rabbia degli alleati nel Golfo, minerebbe l’Autorità Nazionale Palestinese e metterebbe in pericolo Israele come democrazia ebraica.

Quattro giorni dopo che la Casa Bianca ha ribadito la decisione di perseguire l'”accordo del secolo” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la lunga instabilità politica di Israele si è conclusa lunedì con un accordo di coalizione che potrebbe mettere tragicamente fine a qualunque prospettiva di israeliani e palestinesi di tornare al tavolo dei negoziati.

L’ accordo tra il partito Likud di Benjamin Netanyahu e il Blu e Bianco di Benny Gantz fissa il 1 ° luglio come data in cui mettere in atto l’annessione unilaterale israeliana di grandi porzioni del territorio della Cisgiordania, importante elemento del piano Trump. Se il governo congiunto procederà conformemente, le altre caratteristiche del piano diverranno irrilevanti. Questo sta accadendo nonostante 220 generali, ammiragli ed ex dirigenti israeliani di Mossad, Shin Bet e polizia, membri di Commanders for Israel’s Security (CIS) [movimento di ex alti funzionari fondato nel 2014, ndtr.], abbiano firmato una lettera aperta a tutta pagina sui giornali israeliani il 3 aprile esortando i loro ex colleghi nel governo – in particolare Gantz e Gabi Ashkenazi, entrambi ex capi di stato maggiore dell’esercito israeliano – a chiedere di bloccare l’annessione unilaterale dei territori della Cisgiordania. Pochi giorni dopo, 149 eminenti leader ebrei americani si sono uniti a Israel Policy Forum [organizzazione ebraica americana che lavora per una soluzione negoziata a due Stati, ndtr.] in un appello simile, e subito dopo, 11 membri del Congresso degli Stati Uniti hanno espresso un altro monito sulle conseguenze negative di una tale mossa.

A prescindere dalle loro – e nostre – serie riserve riguardo a molti elementi del piano Trump, tutti e tre quei gruppi hanno concordato sugli effetti negativi dell’annessione sulla prospettiva di un’eventuale soluzione a due Stati israeliano e palestinese, e sul rischio di minare un altro pilastro fondamentale della strategia degli Stati Uniti nella regione: i trattati di pace di Israele con Egitto e Giordania.

L’Egitto è un importante attore nella regione e funge da principale intermediario tra Israele e Hamas nel prevenire episodi di violenza o nel porvi fine una volta scoppiati. Il Cairo è anche un partner importante di Israele nella lotta contro lo Stato Islamico, gli affiliati di al Qaeda e altri terroristi che operano nella e dalla penisola del Sinai; l’annessione della Cisgiordania potrebbe scatenare proteste di popolo in Egitto che potrebbero costringere l’amministrazione di Abdel Fattah al-Sisi a riconsiderare quelle relazioni.

La situazione è ancora più precaria in Giordania. Il regno si trova appena oltre il fiume Giordano rispetto alla Cisgiordania e ha una consistente popolazione palestinese. Pertanto, è sempre stato molto sensibile a sviluppi sfavorevoli in Cisgiordania. Per decenni il confine di Israele con la Giordania è stato più sicuro di altre frontiere. Inoltre, il vasto territorio del regno ha fornito a Israele uno spazio strategico insostituibile per la deterrenza, il rilevamento e l’intercettazione – per terra e per aria – di forze ostili, principalmente dall’Iran.

A seguito di un’annessione unilaterale potrebbe fallire un altro obiettivo del piano Trump: la speranza di consolidare i primi risultati dell’amministrazione nell’incoraggiare una maggiore cooperazione tra Israele e i partner regionali statunitensi nel Golfo e altrove. Proprio come la pandemia di coronavirus e il crollo dei prezzi del petrolio hanno contribuito alle preoccupazioni sulla stabilità interna delle monarchie del Golfo, questi regimi saranno anche costretti a prevenire la rabbia popolare reagendo pubblicamente all’annessione israeliana nel timore che i loro avversari, principalmente Iran e Turchia, utilizzino la loro inazione per minarne la legittimità popolare.

Non ha senso rischiare tutto ciò per annettere un territorio su cui Israele ha già il pieno controllo riguardo alla sicurezza. Sia Israele che gli Stati Uniti devono riconsiderare la cosa prima che il danno sia fatto.

Questa mossa sconsiderata non avrebbe solo conseguenze negative per la sicurezza di Israele, ma anche ripercussioni sul futuro di Israele come democrazia ebraica.

I leader ebrei statunitensi e i membri del Congresso hanno sottolineato che sarebbe in pericolo il supporto bipartisan dagli Stati Uniti di cui Israele ha a lungo goduto, un altro importante pilastro nell’equilibrio della sua sicurezza nazionale.

Come la maggior parte degli israeliani, molti politici e opinionisti statunitensi non erano consapevoli, come è risultato dalle nostre discussioni, del rapido passaggio dell’annessione unilaterale da capriccio di una trascurabile minoranza messianica di destra a elemento d’azione fondamentale nell’agenda di Netanyahu nel governo di coalizione che è appena riuscito a formare. Ora ogni dubbio è cancellato.

Il drammatico appello pubblico dei 220 alti funzionari della sicurezza israeliani in pensione era stato pensato per rafforzare l’opposizione all’annessione da parte degli aspiranti partner nella coalizione di Netanyahu guidati da Gantz, proprio nel momento in cui Netanyahu era pressato dagli irriducibili sostenitori dell’annessione (o ne orchestrava la pressione) perché non cedesse in merito ad essa.

Prevedendo tale pressione, per oltre due anni il CIS ha condiviso i risultati riguardanti le molteplici conseguenze dell’annessione unilaterale con i membri della Knesset e il gabinetto israeliani, nonché con la popolazione israeliana. Inoltre è stato spesso chiamato a informare funzionari della Casa Bianca, membri del Congresso, diplomatici statunitensi e leader ebrei statunitensi.

In breve, questo passo irreversibile, una volta fatto, probabilmente scatenerà una reazione a catena fuori controllo in Israele. Il punto di svolta potrebbe essere la fine del coordinamento palestinese della sicurezza con Israele. Già accolte come simbolo delle aspirazioni ad uno Stato, le agenzie di sicurezza palestinesi hanno perso il sostegno popolare poiché lo Stato appariva sempre meno probabile. Peggio ancora, sia gli ufficiali giovani che quelli più anziani riferiscono di aver ricevuto accuse di tradimento, di non essere più al servizio delle aspirazioni nazionali palestinesi ma solo dell’occupazione israeliana.

Durante i momenti di tensione, con una crescente pressione popolare, l’assenteismo dal servizio nelle agenzie si avvicinava al 30%. È nostra opinione (così come di centinaia di altri generali in pensione) che un voto della Knesset sull’annessione potrebbe ridurre la residua legittimità del coordinamento per la sicurezza.

Potrebbe essere irrilevante se la stessa Autorità Nazionale Palestinese (ANP) sopravviverà o meno a questo, o se la sua leadership vorrà ancora che il coordinamento della sicurezza continui. Se quelli che attualmente prestano servizio nelle agenzie di sicurezza si rifiutano di presentarsi al lavoro, si può solo sperare che non partecipino armati alle proteste di massa contro l’annessione.

Se il coordinamento per la sicurezza da parte dei palestinesi cessasse di essere efficace, e con Hamas ben organizzato e pronto a sfruttare il conseguente vuoto nella sicurezza, Israele non avrà altra scelta che rioccupare l’intera Cisgiordania, compresi tutti i centri abitati dalla popolazione palestinese attualmente sotto l’amministrazione dell’ANP. Se questo scenario si materializzasse in Cisgiordania, si può presumere che sia improbabile che Hamas rispetti le sue intese sul cessate il fuoco con Israele a Gaza. Se Hamas dovesse entrare nello scontro, Israele potrebbe non avere altra scelta se non quella di rioccupare anche la Striscia di Gaza.

Di conseguenza, ciò che inizierebbe il 1° luglio con una votazione della Knesset per l’annessione parziale potrebbe presto sfuggire al controllo e portare a una completa acquisizione israeliana della Cisgiordania e di Gaza, il che significa che l’esercito israeliano sarebbe l’unica entità che controlla milioni di palestinesi – senza una strategia per risolvere il problema.

In una situazione del genere svanirebbe ogni speranza che il team di Trump potrebbe aver avuto che il suo ” accordo del secolo” unisse israeliani e palestinesi. Allo stesso modo, nessun altro sforzo diplomatico potrebbe riesumare la prospettiva di un accordo a due Stati. Salvare Israele dall’impossibile dilemma, tra rinunciare alla sua identità ebraica garantendo ai palestinesi annessi pari diritti o rinunciare alla sua democrazia privandoli di quei diritti, potrebbe rivelarsi una missione impossibile.

La presa di coscienza di molti qui in Israele e di alcuni negli Stati Uniti dell’imminenza di questo pericolo offre qualche speranza che nelle prossime 10 settimane si possano prendere provvedimenti in tempo per prevenire questo terribile risultato.

L’abbandono dell’annessione unilaterale è sia urgente che essenziale. Coloro che hanno a cuore il futuro di Israele come democrazia ebraica sicura, che sostiene i valori sanciti nella sua dichiarazione di indipendenza, devono agire ora.

Ami Ayalon, ammiraglio in pensione, è un ex direttore della Shin Bet, ex comandante in capo della Marina israeliana e autore del libro di prossima uscita Friendly Fire [Fuoco Amirco]. È membro del CIS.

Tamir Pardo è un ex direttore del Mossad. È membro del CIS.

Gadi Shamni, generale maggiore in pensione, è un ex comandante del comando centrale delle Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndtr.], segretario militare dell’ex primo ministro Ariel Sharon e ex addetto militare [di Israele] negli Stati Uniti. È membro del CIS.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Rapporto sulla situazione di emergenza da COVID-19 (14-20 aprile 2020)

Punti salienti

  • Prima morte per COVID-19 registrata a Gerusalemme est.

  • I primi nuovi casi da COVID-19 segnalati a Gaza in quasi due settimane.

  • Il piano di risposta coordinato tra le agenzie per la crisi COVID-19 è attualmente in fase di revisione al fine di includere le necessità emergenti.

  • https://www.ochaopt.org/content/covid-19-emergency-situation-report-5

Riassunto della situazione

Si dà conferma che fino al 21 aprile un totale di 329 palestinesi ha contratto il COVID-19 nei TPO [Territori Palestinesi Occupati, ndtr.], esclusa Gerusalemme Est: 314 in Cisgiordania e 15 nella Striscia di Gaza. Due persone sono morte e 69 sono guarite. Secondo il Ministero della Salute palestinese (MoH) è stato esaminato un totale di 22.800 campioni.

La prima vittima a Gerusalemme est, una donna di 78 anni di Al Issawiya, è stata registrata il 18 aprile: secondo quanto riferito, ma non ancora confermato, una seconda donna è morta a causa del virus nell’ospedale di Hadassah nella notte del 20 aprile. Il MoH palestinese ha riferito che alla data del 20 aprile, a Gerusalemme est, 120 palestinesi risultavano positivi. Secondo l’OMS, la situazione riguardante il COVID-19 è gestita a Gerusalemme Est dalle autorità israeliane e i pazienti vengono trattati dalla East Jerusalem Hospital Network (EJHN) e dagli ospedali israeliani.

Il 20 aprile, a fine giornata, il primo ministro palestinese, il dott. Mohammad Shtayyeh, ha annunciato una serie di allentamenti dello stato di emergenza, che è in vigore in tutti i territori occupati dal 5 marzo. Pur mantenendo alcune restrizioni sugli spostamenti e sul distanziamento fisico, queste misure di allentamento mirano a “garantire la graduale ripresa dei meccanismi economici nei percorsi produttivi”. Nessuna data è stata indicata per l’inizio degli allentamenti, che potrebbero anche essere cancellati se “venisse rilevata una diffusione del virus”.

Nei governatorati con poche, o nessuna, infezioni registrate, inclusa la Striscia di Gaza, “le attività economiche che impiegano meno di tre lavoratori, tra cui agricoltura, cibo, laboratori di costruzione, garage e professioni individuali, sono autorizzate a svolgersi dalle 10 alle 17”, mentre altre attività possono aprire il venerdì e il sabato. Nei governatorati più colpiti, tra cui Ramallah e Betlemme, alcune aziende potrebbero aprire “domenica, martedì e giovedì, con non più di tre persone in ciascun luogo di lavoro”. Tutti i governatorati rimarranno isolati gli uni dagli altri, “ad eccezione dei movimenti commerciali, delle merci agricole e alimentari e delle medicine”.

Moschee, chiese e altri luoghi pubblici rimarranno chiusi e le celebrazioni, compresi gli incontri del Ramadan, sono proibite. Anche i luoghi di istruzione rimarranno chiusi ma l’esame finale di scuola, il Tawjihi, avrà luogo il 30 maggio. Ci sarà anche una riapertura parziale di banche, assicurazioni e borsa.

In base al fatto che la maggior parte dei palestinesi che hanno contratto il COVID-19 sono lavoratori in Israele o persone che sono state con loro a contatto, “gli spostamenti dei lavoratori tra i loro posti di lavoro all’interno di Israele e le loro case è vietato fino a nuovo avviso”. E’ anche severamente proibito lavorare negli insediamenti coloniali.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Netanyahu ha formato un “governo di salvezza personale”

Akiva Eldar

23 aprile 2020 – Al Jazeera

Il governo di emergenza nazionale di Israele è stato formato non per sconfiggere il Covid-19, ma per tenere fuori di prigione Netanyahu.

A differenza dell’Olocausto, questa volta abbiamo identificato il pericolo in tempo”, ha detto il 20 aprile il Primo Ministro ad interim (per ora) Benjamin Netanyahu, dandosi da solo una pacca sulla spalla in una dichiarazione registrata in occasione del Giorno della Memoria dell’Olocausto.

Abbiamo preso importanti decisioni, come la chiusura dei confini”, ha proseguito Netanyahu, rivolgendosi alla telecamera. “Abbiamo mobilitato tutti i sistemi dello Stato per la guerra contro il coronavirus.”

Il distorto sfruttamento da parte di Netanyahu di questo giorno della memoria dedicato ai sei milioni di ebrei massacrati dai nazisti al fine di ostentare le proprie presunte capacità di “individuazione tempestiva” [del virus], è qualcosa che ricorda la sua “rivelazione”, nel 2015, del fatto che il Muftì di Gerusalemme, Haj Amin al-Husseini, fu colui che ideò il piano per lo sterminio del popolo ebraico.

Ci sono molti dubbi che Netanyahu abbia profeticamente identificato la minaccia del coronavirus, ma è certo che ha identificato la sua potenzialità di essere un vaccino contro la propria personale rovina, quella di traslocare dall’ufficio di Primo Ministro alla cella di un carcere.

Il nome ufficiale di questo vaccino è “governo di emergenza nazionale”. Ma la denominazione più appropriata per questo governo, le cui linee guida e composizione sono state definite e messe nero su bianco il 20 aprile, sarebbe “governo di salvezza personale”.

Poco dopo che è stato trasmesso il suo messaggio alla Nazione sull’Olocausto, Netanyahu ha firmato un accordo di 14 pagine sulla condivisione del potere con il suo principale rivale politico, il leader dell’alleanza Blu e Bianco Benny Gantz, che sancisce il governo di Israele più affollato di sempre – con 36 ministri e 16 viceministri.

In base all’accordo, Netanyahu sarà Primo Ministro per i primi 18 mesi del mandato di 3 anni, mentre Gantz ricoprirà la carica appena creata di “Primo Ministro supplente”. Netanyahu consegnerà il potere a Gantz una volta scaduto il termine e per la seconda parte del mandato fungerà lui da Primo Ministro “supplente”.

Ho promesso al popolo di Israele un governo di emergenza che salverà le vite e i mezzi di sussistenza”, ha scritto Netanyahu sulla sua pagina Facebook. “Continuerò a fare qualunque cosa per il vostro bene, cittadini di Israele.”

L’accordo di condivisione del potere è stato firmato dopo settimane di febbrili negoziati. Ma la questione che ha rallentato la firma del documento non riguardava il conflitto israelo-palestinese, né il regime di apartheid in Cisgiordania o il blocco di Gaza.

L’unico accenno nel documento alla malattia cronica nota come occupazione si può trovare nella sezione relativa al piano del presidente USA Donald Trump per la pace israelo-palestinese, che stabilisce che alla data del 1 luglio di quest’anno il primo ministro potrebbe chiedere al governo e alla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] di approvare l’accordo raggiunto con gli USA in base al piano Trump sull’imposizione della sovranità sulle colonie israeliane in Cisgiordania.

Secondo l’accordo, anche Gantz sarà invitato a partecipare alle consultazioni con il primo ministro su questo paragrafo del patto, che praticamente rende esplicito l’abbandono della soluzione dei due Stati.

La questione che ha rallentato l’accordo tra le due parti non era neanche legata alla ‘raison d’etre’ ufficiale di un governo di emergenza – alleviare la crisi del coronavirus. Di fatto, l’accordo a malapena menziona la questione, ma lascia al suo posto il Ministro della Sanità in carica, Yaakov Litzman, anche se ciò comporta cambiamenti di ruolo o destituzioni per la maggior parte degli altri ministri dell’attuale coalizione.

Questo è l’uomo che all’inizio della crisi non poteva nemmeno pronunciare la parola “coronavirus”, che ha egli stesso contratto la malattia quando ha pregato in un gruppo contravvenendo alle istruzioni del suo stesso Ministero ed ha speso la maggior parte del tempo dall’inizio della pandemia favorendo gli interessi del suo elettorato ultra-ortodosso.

Con Litzman al proprio posto, Netanyahu continuerà a guidare di fatto il ministero, come ha fatto finora. Inoltre sostituirà il capo della commissione speciale della Knesset per la crisi del coronavirus con uno dei suoi fedelissimi, facilitandosi il compito di mascherare i tanti insuccessi del suo governo nella gestione della pandemia, che sono già stati palesati.

Se dovesse essere istituita una commissione per esaminare la gestione della crisi da parte dello Stato, troverebbe pane per i suoi denti nella relazione provvisoria resa pubblica il 7 aprile dal comitato di sorveglianza della Knesset, alla cui guida si trovava all’epoca il deputato di opposizione Ofer Shelach [del partito di centro tuttora all’opposizione Yesh Atid, ndtr.].

La relazione ha rilevato, tra le varie cose, che le ripercussioni sociali e sanitarie della stretta economica imposta dal governo erano ormai diventate una minaccia reale e grave quanto il virus. Il prezzo politico di queste severe ripercussioni economiche e sociali verrà ora diviso equamente tra tutti i componenti del nuovo governo di coalizione.

La firma dell’accordo era stata bloccata a causa di un articolo che riguardava solo l’unico israeliano il cui processo per corruzione è previsto iniziare il 24 maggio e dispone una deroga per lui, un fatto senza precedenti nella storia politica di Israele.

Il contorto linguaggio di questo articolo in sostanza stabilisce che, se delle circostanze, come per esempio una sentenza della Corte Suprema, impedissero a Netanyahu e/o a Gantz di ricoprire la carica di primo ministro e di primo ministro “supplente”, i partiti Likud [di Netanyahu, ndtr,] e Blu e Bianco [di Gantz, ndtr.] non proporrebbero nessun altro per questi incarichi, scioglierebbero invece congiuntamente la Knesset e indirebbero nuove elezioni.

Se Netanyahu non avesse categoricamente rifiutato di dimettersi dopo essere stato incriminato per corruzione, Israele non sarebbe stato trascinato in tre consecutive e inconcludenti elezioni nell’arco di un anno e con la minaccia di un’incombente quarta turnata elettorale se non si fosse raggiunto un accordo su un nuovo governo.

Fin dall’inizio la leadership di Blu e Bianco ha espresso la propria preferenza per un governo di unità con il Likud. La sua principale, se non unica, condizione era la sostituzione di Netanyahu con un altro membro del suo partito, il Likud. Se lui avesse davvero voluto “fare qualunque cosa” in suo potere per il bene dei cittadini di Israele, come ha dichiarato questa settimana nel suo discorso per commemorare l’Olocausto, Israele non avrebbe avuto bisogno di un governo di emergenza. Quel che doveva fare era dimettersi, anche temporaneamente, e passare il suo tempo in modo accurato a convincere i tribunali della sua innocenza.

La codardia di altri personaggi di spicco del Likud ha lasciato Gantz e i suoi amici tra l’incudine e il martello. Sono stati costretti a scegliere tra far parte di un governo guidato da Netanyahu, contro il volere della maggioranza dei loro elettori che hanno dato a Gantz e alla sua coalizione una maggioranza in parlamento di 62 seggi, e favorire una quarta tornata elettorale all’ombra di una profonda crisi economica e sociale.

La decisione di Blu e Bianco e dei suoi alleati del partito laburista di ignorare il loro principale impegno elettorale di non entrare in una coalizione di governo con Netanyahu è destinata ad abbreviare la loro carriera politica. Dovranno faticare molto per convincere gli elettori che non avevano altra scelta che allearsi a Netanyahu in un governo di più di 40 tra ministri e vice ministri, solo per affrontare l’epidemia.

La palla è ora alla Corte Suprema, cui sono state sottoposte diverse petizioni che chiedono di annullare l’accordo di coalizione, tra cui un appello di decine di ex funzionari della sicurezza, accademici e uomini d’affari contro la nomina di un primo ministro incriminato.

In una lettera a Netanyahu pubblicata il 20 aprile sul quotidiano israeliano Haaretz, l’ex consulente giuridica della Knesset e avvocatessa Nurit Elstein ha scritto: “Alla luce delle sue incriminazioni per corruzione, che comprendono violazione dell’integrità o, più precisamente, condotta immorale, la Corte potrebbe decidere che lei non è adatto ad essere primo ministro Nessuno statuto giuridico le fornirà una completa protezione o, fino a quando Israele sarà una democrazia, darà legittimità ad una questione che è fondamentalmente disonesta.” Considerato il modo in cui è stato costituito il governo designato e le sue linee guida, l’accento andrebbe posto sulle parole “fino a quando”.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera

Akiva Eldar è un analista israeliano

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Paradosso nell’era del corona virus: il muro israeliano “protetto” dai palestinesi!

Suha Arraf

16 aprile 2020 +972 Magazine

Palestina Cultura è Libertà

È una storia che persino uno sceneggiatore avrebbe difficoltà a inventare: temendo che i palestinesi che lavorano all’interno della Linea Verde possano portare il nuovo coronavirus in Cisgiordania, i palestinesi stanno segnalando le rotture della barriera di separazione che divide Israele dai territori occupati. I membri dei Comitati popolari, che negli ultimi due decenni hanno promosso manifestazioni non violente contro il muro di cemento e le recinzioni metalliche che compongono la barriera, stanno cercando di ripararne i buchi.

Funzionari palestinesi affermano che il governo israeliano non riesce a mantenere adeguatamente la barriera, permettendo così ai lavoratori palestinesi di entrare liberamente Israele attraverso varchi aperti nella recinzione metallica e nei canali di drenaggio, e di tornare senza alcun tipo di controllo medico. Secondo i media israeliani, quasi i due terzi di tutti i casi confermati di COVID-19 nei Territori Occupati possono essere fatti risalire ai lavoratori palestinesi di ritorno da Israele.
Con una strana giravolta, alcuni hanno persino iniziato a vedere la barriera come una misura protettiva, sostenendo che ha contribuito a prevenire la più ampia diffusione di COVID-19 in Cisgiordania e ha permesso all’Autorità Palestinese di tenere sotto controllo il numero di casi .

Rafaa Rawajbeh, il governatore di Qalqilya nella Cisgiordania settentrionale, accusa Israele di aver intenzionalmente cercato di diffondere il coronavirus nei territori occupati. “È una cospirazione deliberata da parte di Israele”, afferma. “Perché adesso, per la prima volta, stanno aprendo cancelli e canali di drenaggio senza schierare soldati? È un chiaro tentativo di danneggiare noi e i nostri sforzi [per fermare la diffusione] in modo che ci sia un focolaio di malattia.

Rawajbeh non è l’unico a fare questa affermazione, che Israele ha negato con forza, definendolo “incitamento razzista”. Un funzionario della difesa israeliano ha minacciato di ridurre la libertà di movimento per il personale di sicurezza palestinese se la “campagna di incitamento” dovesse continuare – gli stessi ufficiali palestinesi che hanno stazionato ai posti di blocco in Cisgiordania per settimane per cercare di prevenire un’ulteriore diffusione della malattia. In altre parole, se l’Autorità Palestinese non smette di accusare Israele di consentire la diffusione del virus, Israele interverrà sulla capacità dell’AP di combattere quel virus.

Il governatore di Jenin Akram Rajoub rifiuta l’ affermazione di una cospirazione israeliana volta a peggiorare l’epidemia di coronavirus. “Se il virus si diffonde nei territori occupati”, dice, “anche Israele ne risentirà”.
Tuttavia, ritiene che Israele “voglia mettere in imbarazzo” l’AP. “Non possono tollerare l’idea che siamo riusciti a far acquisire credito all’Autorità palestinese”, afferma Rajoub. “Vogliono che sembriamo deboli di fronte alla nostra gente, perché incapaci di adempiere ai nostri obblighi”.

Oltre a indebolire l’AP, che finora ha avuto un relativo successo nel prevenire la diffusione del virus (al momento in cui scrivo, ci sono 308 casi confermati di COVID-19 e due decessi in aree controllate dall’AP, rispetto a 11.868 casi e 117 morti in Israele), Rajoub ritiene che l’altro obiettivo principale di Israele sia quello di risparmiare danni alla propria economia. Questo, dice, è il motivo per cui il governo sta prendendo “ogni misura possibile” per garantire che i lavoratori palestinesi siano in grado di raggiungere il loro posto di lavoro all’interno della Linea Verde.

Rajoub afferma di aver visto personalmente soldati israeliani in piedi pigramente mentre i lavoratori palestinesi entravano in Israele attraverso le rotture nel recinto di separazione. Questa settimana, dice che ha visitato Anin, un villaggio palestinese nella Cisgiordania settentrionale, insieme a membri del Comitato di emergenza, istituito per servire i villaggi e le comunità lungo la barriera. Lì, gli è stato detto da un membro del Coordinamento Palestinese e del Quartier Generale di collegamento che le Autorità israeliane hanno avvertito che avrebbero sparato a chiunque si fosse avvicinato alla recinzione. Eppure ha visto tre palestinesi attraversare la barriera pienamente visibili a una jeep dell’esercito israeliano, mentre i soldati osservavano senza reagire.

“Vogliono che i lavoratori si infiltrino in Israele e stanno impedendo al Comitato di Emergenza e ai funzionari della sicurezza palestinese di raggiungere [la barriera] per fermarli”, afferma Rajoub.
La recinzione metallica nell’area di Jenin in Cisgiordania è “piena di brecce”, continua Rajoub. “Questo stava già accadendo prima del corona [virus], ma non ci preoccupavamo delle violazioni perché era nel nostro interesse che i lavoratori entrassero in Israele. Ma dal momento in cui è scoppiato il coronavirus, fa paura” aggiunge.

Israele sapeva esattamente dove era stata aperta la barriera anche prima della crisi del coronavirus, secondo Rajoub. Tuttavia, funzionari israeliani gli hanno detto che non hanno il budget per riparare il danno o forze di sicurezza sufficienti per proteggere la barriera. “Potrebbero fare qualcosa, ma non vogliono”, dice.

L’AP ha inviato le sue forze a Jenin e attraverso la Cisgiordania per impedire ai lavoratori palestinesi di avvicinarsi alla barriera per entrare in Israele, in coordinamento con i volontari del Comitato di emergenza. Le forze dell’AP hanno anche istituito posti di blocco all’interno della Cisgiordania per far rispettare le istruzioni del Ministero della Sanità palestinese e anche per monitorare il movimento dei lavoratori. Il primo ministro Mohammed Shtayyeh, conoscendo la sensibilità dei palestinesi nei confronti dei checkpoint, ha proposto di chiamarli “Love Checkpoint” o “Compassion Checkpoint”.

Il governatore di Qalqilya Rawajbeh dipinge un quadro simile a Rajoub. “Nella sola area di Qalqilya, ci sono più di 50 aperture in 54 chilometri [di recinzione]”, afferma. Analogamente a quanto testimoniato da Rajoub, Rawajbeh descrive come i canali di drenaggio di solito sigillati da griglie di ferro – messi in atto per impedire ai palestinesi di attraversare la Linea Verde – siano stati aperti giovedì scorso dai soldati israeliani, che hanno poi lasciato i canali incustoditi.

“I lavoratori sono passati [in Israele] attraverso questi canali e non c’erano soldati israeliani dall’altra parte”, dice Rawajbeh. Una troupe televisiva palestinese che filmava in quel sito giovedì ha usato uno di questi canali per andare in Israele; nel loro filmato, il reporter è visto in piedi sul lato israeliano della recinzione, senza nessun altro in giro.
“La loro scusa è che pioveva, motivo per cui hanno aperto le griglie”, dice. “Ma pioveva ben poco, mentono. “

Secondo Rawajbeh, le precedenti richieste dei palestinesi di aprire i canali al fine di prevenire le inondazioni, erano state accolte solo dopo colloqui formali e coordinamento con l’amministrazione civile, il governo militare israeliano in Cisgiordania. Ma anche allora, la griglia è stata aperta per 2-3 ore al massimo, sotto la costante sorveglianza dei soldati israeliani dall’altra parte.
Giovedì, dice Rawajbeh, Israele ha ritardato la richiesta dei palestinesi di chiudere la griglia, il che significa che i lavoratori palestinesi sono stati in grado di attraversare liberamente dentro e fuori Israele, senza alcun tipo di controllo medico o di sicurezza al loro ritorno. Domenica, tuttavia, le griglie sono state chiuse nuovamente.

Riad Abu Hamdeh, 55 anni, residente nel villaggio di Hableh a sud di Qalqilya e direttore di una società per la sicurezza, si è offerto volontario durante la notte, con i Comitati popolari, per cercare di impedire ai lavoratori palestinesi di entrare in Israele. “Mi prendo cura del mio villaggio e della mia gente”, dice. “I paesi grandi e potenti stanno crollando a causa del coronavirus; l’Autorità [palestinese] ha poche risorse e Dio vieta che il virus si diffonda qui. “

Ci sono quattro brecce nel recinto attorno al suo villaggio e il cancello è aperto, dice Abu Hamdeh. I volontari lavorano in tre turni vicino alla recinzione, pattugliandone la lunghezza a una distanza di 50 metri da ogni breccia. Se si avvicinano, dice, i soldati apriranno il fuoco contro di loro.

“Non appena vediamo i lavoratori, proviamo a convincerli a tornare a casa”, spiega Abu Hamdeh. “Alcuni di loro si convincono; altri iniziano a discutere con noi, dicendo che non andranno in Israele solo se pagheremo loro il salario.
“Ci coordiniamo pienamente con le forze di sicurezza palestinesi”, continua. “Quando un lavoratore entra da Israele, arriva un’ambulanza e [l’equipaggio] effettua un controllo. Se cerca di andare in Israele, lo portano a casa. Durante il mio turno, siamo riusciti a rimandare indietro circa 20 lavoratori che stavano cercando di entrare in Israele. “

Abu Hamdeh afferma di aver visto come i soldati hanno aperto le cosiddette “porte agricole” nella recinzione. Queste porte consentono agli agricoltori palestinesi di raggiungere rapidamente la loro terra che è stata lasciata sul lato “israeliano” del muro, dopo l’ esame dei loro permessi di ingresso.
“Ho visto con i miei occhi come i soldati aprono le porte e se ne tengono alla larga”, dice. “Una volta abbiamo persino chiuso il cancello noi stessi. I soldati ci hanno visto e ci hanno urlato di tornare indietro. Non abbiamo le chiavi del cancello o alcun modo per chiuderlo, quindi lo chiudiamo con un filo di ferro, una corda o qualsiasi cosa abbiamo a disposizione. “

Poi Abu Hamdeh racconta di aver visto i soldati israeliani guardare mentre i lavoratori palestinesi attraversavano. “Hanno posto loro una domanda e non li hanno controllati”, afferma. “Questo è un nuovo fenomeno. Solo ai tempi del coronavirus. Prima del coronavirus chi avrebbe osato avvicinarsi alla recinzione? Gli avrebbero immediatamente sparato. “
“Prima del coronavirus, c’erano sempre due tre jeep militari che pattugliavano il recinto”, continua. “Oggi ce n’è solo una.”

Ma al di là dello strano comportamento dei soldati e del fatto che i palestinesi sono ora diventati i protettori della barriera, rimane la questione dell’Autorità Palestinese. “Onestamente si può dire che l’AP ha affrontato la crisi del coronavirus meglio degli israeliani”, afferma Rajoub, governatore di Jenin. Con le mani legate e con scarse risorse, l’AP ha fatto un lavoro migliore di Israele, che si considera una superpotenza in materia di scienza e medicina e l’unica democrazia in Medio Oriente, dice. “Abbiamo imbarazzato Israele. Abbiamo ottenuto risultati che Israele non ha ottenuto. Questo è ciò che ha causato la tensione e i problemi “.

Non si tratta affatto di gelosia, dice il sindaco. “Il loro interesse è politico. Il loro obiettivo è presentarci come deboli, sottomessi e sotto il controllo israeliano, il nostro custode. Stanno cercando di dirci: “Siamo i vostri benefattori, siamo quelli istruiti, siamo quelli con i mezzi e le capacità e voi non siete niente”.

Dato che la reputazione dell’AP sembra migliorare tra i palestinesi della Cisgiordania, afferma Rajoub, Israele è più determinato a indebolirla. “La crisi del coronavirus ha notevolmente rafforzato la posizione dell’Autorità tra il popolo palestinese”, afferma. “Questa è la prima volta da Oslo che io, in quanto membro del governo, sento che il popolo palestinese sta lodando le forze di sicurezza e il governo palestinese. [Israele] vuole indebolire l’AP e minare il morale e la fiducia del popolo palestinese nella sua leadership politica e di sicurezza “.

In risposta alle accuse secondo cui ha aperto i canali di drenaggio, il Coordinamento delle attività governative nei territori (COGAT), che sovrintende alla politica israeliana in Cisgiordania, ha espresso rammarico per il fatto che “mentre lo Stato di Israele sta aiutando l’Autorità palestinese a gestire meglio la lotta globale contro lo scoppio del coronavirus, il governatore di Qalqilya sceglie di parlare contro Israele. “

COGAT ha inoltre affermato che, in previsione della pioggia, le autorità hanno aperto i canali di drenaggio nell’area di Qalqilya per prevenire inondazioni “per il benessere dei palestinesi che vivono nell’area”. L’affermazione secondo cui i canali erano stati aperti per l’ingresso dei lavoratori senza controlli, è “falsa e sganciata dalla realtà”, ha aggiunto, questo tipo di procedura è comune durante il tempo piovoso e nota alle autorità palestinesi.

COGAT non ha risposto alla richiesta di riparare le aperture nella recinzione.
Per quanto riguarda le accuse secondo cui l’esercito israeliano non controlla i canali aperti e le aperture nella recinzione, consentendo così ai lavoratori di passare, il portavoce dell’IDF ha dichiarato che “contrariamente alle accuse, l’impegno difensivo continua come al solito”.

Una versione di questo articolo è stata pubblicata per la prima volta in ebraico su Local Call.

Traduzione di Alessandra Mecozzi




Mancano meno di dieci giorni al Ramadan e le strade della Palestina sono irriconoscibili

Yumna Patel

16 aprile 2020 – Mondoweiss

Ogni anno i palestinesi di Gaza, Israele, Gerusalemme e della Cisgiordania si uniscono a milioni di musulmani di tutto il mondo nel celebrare il sacro mese islamico del Ramadan.

Per i palestinesi, questo periodo è non solo un intenso momento di devozione e preghiera, ma anche il momento per riunirsi con amici e familiari e osservare varie tradizioni.

Ma nel periodo in cui normalmente affollerebbero i mercati per fare la spesa e appenderebbero luminarie festose e altre decorazioni davanti alle loro case, le strade sono vuote e la solita frenesia in vista del Ramadan è stata sostituita da un’atmosfera triste.

Come in gran parte del resto del mondo, i palestinesi sono ancora in lockdown a causa del coronavirus che ha continuato a diffondersi in Israele e nei territori occupati costringendo la gente alla quarantena e al distanziamento sociale.

Dato che il Ramadan si incentra sulle riunioni, nelle moschee per pregare e intorno alla tavola per condividere il cibo con amici e familiari, i palestinesi e tutti i musulmani si trovano a far fronte ad un ennesimo problema a causa della pandemia.

Il sentimento che in questo momento provo io, e con me tutti i palestinesi, è di grande tristezza” dice a Mondoweiss Sheikh Abed al-Majid Amarna, 62anni, il muftì [autorità religiosa, ndtr.] del governatorato di Betlemme.

Quest’anno il Ramadan sarà molto diverso per tutti noi” sostiene Amarna. “Quindi dovremo trovare modi nuovi per adeguarci e celebrarlo comunque.”

I luoghi di preghiera restano chiusi

Quando agli inizi di marzo è iniziato il contagio a Betlemme, decine di moschee e chiese in città sono state chiuse, molte per la prima volta in decenni.

Finora tenere la gente lontana dalle moschee è stato relativamente facile, ma il mese del Ramadan di solito vede grande affluenza di devoti che vanno alle moschee a pregare insieme, dato che il Corano dice che la preghiera collettiva vale di più di quella fatta da soli.

La gente è molto triste per il fatto che il Ramadan stia per arrivare e che le moschee siano ancora chiuse” sostiene Amarna, aggiungendo di aver ricevuto negli ultimi giorni decine di chiamate dai fedeli che volevano sapere se la moschea sarebbe stata aperta durante il mese sacro.

Sono molto dispiaciuto, ma devo dir loro che probabilmente le moschee resteranno chiuse” afferma Amarna, aggiungendo che esse non sono solo luoghi di preghiera, ma anche posti dove la gente va per socializzare e passare del tempo insieme.”

Dall’altra parte del muro, nel territorio occupato di Gerusalemme est, Alaa Daya, 23 anni, studentessa di cinema, che vive nella Città Vecchia, si lamenta del fatto che la moschea di Al-Aqsa, il terzo luogo sacro per i musulmani che attrae migliaia di fedeli ogni giorno, ma specialmente durante il Ramadan, resterà invece chiusa.

Questa è la prima volta nella mia vita che la vedo chiusa ” dice Daya a Mondoweiss. “Spezza veramente il cuore.”

Questo è il momento dell’anno durante il quale le strade della Città Vecchia sono normalmente affollate di palestinesi provenienti da tutto il Paese e da altri musulmani di tutto il mondo che vengono qui, in questo luogo sacro, a passare il loro Ramadan, ” sostiene. “Ma ora sembra una città spettrale.”

Oltre a perdere le preghiere che attirano decine di migliaia di fedeli, Daya dice che lei e i suoi amici non vedevano l’ora di ritrovarsi insieme nel vasto cortile e negli spazi che circondano la moschea.

Le nostre case nella Città Vecchia sono veramente piccole e attaccate una all’altra, e così noi spesso ci ritroviamo intorno ad Al-Aqsa e passiamo del tempo insieme dopo le preghiere della sera” afferma. “Ma ora, per via del coronavirus, non potremo farlo. È veramente triste.”

Trovare modi nuovi per pregare

Nonostante le difficoltà causate dal lockdown, Sheikh Amarna e altri leader religiosi a Betlemme e in Palestina stanno cercando di adattarsi in modi nuovi per osservare anche quest’anno il Ramadan.

Stiamo facendo del nostro meglio per trovare modi nuovi e creativi per far sì che la gente senta comunque che sta vivendo al meglio questo mese,” dice Amarna a Mondoweiss.

Fra le nuove misure che i leader adotteranno ci sono le lezioni di storia islamica e di spiritualità, tradizionali durante il Ramadan, che verranno trasmesse sui canali televisivi e in streaming sui social.

Abbiamo aperto le nostre linee telefoniche e i canali social alla gente in modo che, se hanno domande durante questo mese o vogliono saperne di più dell’Islam, possono farlo guardando la TV e tramite i loro telefonini invece di andare in moschea.” dice Amarna.

Amarna ha anche incoraggiato i fedeli a recitare a casa e con le loro famiglie le preghiere rituali supplementari di tarawih che i musulmani recitano prima dell’alba e dopo quelle di isha [quinta preghiera giornaliera dei musulmani, ndtr.] solo durante il Ramadan.

Possono riunirsi con le loro famiglie, uno di loro può guidare la preghiera e ciò impartirà loro la stessa benedizione che avrebbero se pregassero in una moschea.” dice Amarna.

Si possono notare le differenze’

Oltre a trovare nuovi modi di devozione, i palestinesi saranno anche costretti ad adattare le loro abitudini culturali e sociali durante il Ramadan.

Waleed Da’na, 53 anni, un panettiere di Betlemme racconta a Mondoweiss che avrebbe potuto dire che quest’anno il Ramadan sarebbe stato diverso perché la gente non faceva o acquistava i qatayef, pancake ripieni di panna o noci speziate, dolci tipici del Ramadan.

Di solito in questo periodo dell’anno, poco prima del Ramadan, si poteva sentire il profumo di qatayef aleggiare per le strade. Ma dato che tutti sono chiusi in casa, abbiamo avuto solo pochissimi clienti.” afferma, aggiungendo che sia musulmani che cristiani aspettano tutto l’anno per godersi questi dolcetti tipici.

Il Ramadan ha qualcosa di speciale nel modo in cui facciamo le cose in Palestina,” dice Da’na.  “Si può veramente notare che quest’anno è diverso.”

Il Ramadan non è solo preghiera e celebrazioni, ma è anche un momento per riunirsi, condividere pasti e storie tutti insieme e riallacciare i rapporti. ” continua. “È veramente un momento speciale affinché le famiglie e i vicini si ritrovino.“

Da’na, Sheikh Amarna e Alaa Daya sperano che le famiglie approfittino del mese stando insieme, cercando di gustarselo per quanto possibile, date le difficili circostanze.

Anche se la gente celebra da sola nelle proprie case, spero che trascorrano un Ramadan felice e benedetto.”

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 31 marzo – 13 aprile 2020

Il 1° aprile, un palestinese di 22 anni è morto per le ferite riportate l’11 marzo scorso, quando venne colpito dalle forze israeliane durante una manifestazione nel villaggio di Beita, a sud di Nablus [vedere Rapporto precedente].

In questo villaggio [situato in Area B], da fine febbraio sono in corso manifestazioni contro ripetuti tentativi, da parte di coloni israeliani, di appropriarsi di una vicina collina. Alle manifestazioni di protesta hanno fatto seguito intensi scontri con le forze israeliane che [ad oggi] hanno provocato due vittime palestinesi, tra cui un minore, e oltre 380 feriti. Non è stato segnalato alcun ferito israeliano.

In Cisgiordania, in scontri con forze israeliane, sono rimasti feriti dodici palestinesi, tra cui quattro minori [segue dettaglio]. Otto [dei 12] feriti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno, due sono stati colpiti con proiettili di arma da fuoco e due sono stati aggrediti fisicamente. Cinque di questi feriti (tra cui un bimbo piccolo e un bambino di tre anni, che hanno inalato gas lacrimogeno) sono stati registrati nel quartiere di Silwan a Gerusalemme Est, nel corso di due distinti episodi: durante un’operazione di ricerca-arresto e durante un’azione della polizia finalizzata ad imporre le restrizioni di movimento legate al COVID-19. Altri sei palestinesi sono rimasti feriti nel villaggio di Burin (Nablus), durante scontri con le forze israeliane in pattugliamento e a Kafr Qaddum (Qalqiliya), durante le manifestazioni settimanali contro l’espansione degli insediamenti [colonici] e contro le restrizioni di accesso. Dall’inizio di marzo, la frequenza degli scontri e dei relativi ferimenti è fortemente diminuita, come conseguenza delle restrizioni ai movimenti imposte dalle autorità palestinesi per contenere la diffusione di COVID-19 e per la riduzione della frequenza delle operazioni israeliane di ricerca-arresto.

In Cisgiordania, le forze israeliane hanno effettuato 53 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 45 palestinesi. La metà di queste operazioni, e circa il 60% degli arresti, sono stati registrati a Gerusalemme Est, dieci in Hebron, nell’area controllata da Israele (H2) e nove nel governatorato di Ramallah. Ciò rappresenta un calo di oltre il 50%, rispetto alla media quindicinale di tali operazioni registrata nel primo trimestre di quest’anno.

Al fine di far rispettare le restrizioni di accesso alle aree [di Gaza] prossime alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa di Gaza, in almeno 56 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento: tre pescatori palestinesi sono rimasti feriti e una barca da pesca è stata danneggiata. In cinque occasioni, le forze israeliane sono entrate in Gaza, nei pressi di Khan Younis e nelle aree settentrionali, ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale. Nel contesto della crisi COVID-19, sono state annullate le dimostrazioni, previste [nella Striscia di Gaza] per il 31 marzo, in commemorazione del secondo anniversario della “Grande Marcia del Ritorno” e della “Giornata della Terra”.

Secondo agricoltori palestinesi, il 6 aprile, ad est della città di Gaza, aerei israeliani hanno irrorato erbicidi su terreni agricoli prossimi alla recinzione perimetrale. È il terzo episodio di questo tipo segnalato quest’anno, con conseguenti danni alle colture.

Per consentire il ritorno di migliaia di palestinesi bloccati in Egitto, dal 13 aprile, per quattro giorni, è stato riaperto (solo verso Gaza) il valico di Rafah, a controllo egiziano. Le autorità di Gaza hanno lanciato una piattaforma online per registrare i palestinesi che intendono rientrare, in modo da poter organizzare la loro sistemazione in centri di quarantena obbligatori. Dal 15 marzo il valico era stato chiuso in entrambe le direzioni per impedire la diffusione del COVID-19. Anche per i titolari di permesso, rimane bloccato l’ingresso in Israele attraverso il valico di Erez (a controllo israeliano); fanno eccezione i casi sanitari urgenti ed i malati di cancro. Decine di palestinesi rientravano quotidianamente in Gaza attraverso questo valico .

Nell’Area C della Cisgiordania, citando la mancanza di permessi di costruzione, sono state demolite, sequestrate o smantellate 18 strutture di proprietà palestinese e 1.200 alberi sono stati sradicati, in quanto piantati su “terra di stato” [segue dettaglio]. In seguito alla epidemia di COVID-19, le autorità israeliane hanno fermato in gran parte la demolizione delle abitazioni, ma hanno continuato a prendere di mira strutture di sostentamento e di servizio. Preoccupa, in modo particolare, il ripetersi di demolizioni di strutture idriche ed igieniche; ciò potrebbe minare gli sforzi per contenere la diffusione del virus. [Infatti,] durante il periodo in esame, le autorità israeliane hanno requisito due latrine mobili ed hanno danneggiato due serbatoi d’acqua nella Comunità di pastori di At Taybe (Hebron), mentre, nel villaggio di Kafr Ni’ma (Ramallah), hanno demolito tre cisterne per la raccolta dell’acqua. Durante quest’ultimo episodio, le forze israeliane hanno anche sradicato circa 1.200 alberi, con la motivazione che erano piantati su terra dichiarata [da Israele] “terra di stato”. Da metà marzo, a Gerusalemme Est, non sono state effettuate demolizioni.

Otto palestinesi sono rimasti feriti e un gran numero di proprietà [palestinesi], tra cui oltre 670 alberi, sono state vandalizzate da aggressori ritenuti coloni israeliani [segue dettaglio]. I ferimenti sono avvenuti in tre distinti episodi: nell’Area H2 della città di Hebron, controllata da Israele, due uomini (uno dei quali disabile mentale) sono stati spruzzati con liquido al peperoncino; vicino al villaggio di Kobar (Ramallah), tre contadini sono stati picchiati con i fucili mentre lavoravano la loro terra; e, infine, nell’insediamento di Ramat Eshkol a Gerusalemme Est, tre lavoratori palestinesi sono stati aggrediti fisicamente e uno di essi è stato accoltellato e ferito gravemente. Altri quattro casi sono avvenuti ad At Tuwani (Hebron), Turmus’ayya (Ramallah) e Al Khader (Betlemme), dove sono stati sradicati o vandalizzati oltre 670 alberelli di ulivo e altri alberi. In quest’ultimo villaggio (Al Khader), dall’inizio dell’anno sono stati vandalizzati circa 1.450 alberi appartenenti ad agricoltori del luogo. I residenti della Comunità di pastori di Umm al Kheir hanno riferito che coloni hanno avvelenato oltre 20 mandorli. Nel villaggio di Ein Qiniya (Ramallah), coloni sono passati con motociclette su terreni coltivati a cetrioli, mentre a Yanun (Nablus) e Al Jab’a (Betlemme), hanno fatto pascolare le loro pecore su coltivazioni, danneggiandole. In altri due casi, coloni hanno fatto irruzione nella periferia dei villaggi di Qusra (Nablus) e Al Mazra’a al Qibliya (Ramallah), vandalizzando proprietà. Dall’inizio di marzo, la media settimanale di aggressioni condotte da coloni verso palestinesi, comportanti ferimenti o danni a loro proprietà (9 casi), risulta aumentata dell’80% rispetto alla media settimanale del periodo gennaio-febbraio (5 casi).

Sono stati segnalati numerosi episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie, ad opera di palestinesi, contro veicoli israeliani che transitavano lungo le strade della Cisgiordania. Non ci sono stati feriti, ma, secondo una ONG israeliana, in Ramallah e nella Valle del Giordano, tre veicoli hanno subìto danni.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali. Il neretto è di OCHAoPt.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it