Rapporto OCHA del periodo 12 – 25 settembre 2017 (due settimane)

Nei territori palestinesi occupati [Cisgiordania e Striscia di Gaza], in scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 48 palestinesi, tra cui dieci minori e sei donne.

Quattro i feriti nella Striscia di Gaza, durante le proteste presso la recinzione perimetrale, i rimanenti in Cisgiordania. Il numero più elevato di feriti (33) è stato registrato nel governatorato di Qalqiliya: nel villaggio di Azzun, durante un’operazione di ricerca-arresto e a Kafr Qaddum, durante la manifestazione settimanale contro le restrizioni di accesso. Inoltre, vicino al villaggio di Kiryat Arba (Hebron), le forze israeliane hanno colpito, ferito e successivamente arrestato un quindicenne palestinese che, a quanto riportato, aveva tentato di accoltellare un israeliano.

Complessivamente, in Cisgiordania, le forze israeliane hanno condotto 123 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 152 palestinesi, di cui 20 minori. La maggior parte delle operazioni sono state svolte nei governatorati di Hebron e di Gerusalemme (37 ciascuno).

Il 20 settembre, nel villaggio di Kafr Qaddum (Qalqiliya), un bambino palestinese di 11 anni è stato ferito dalla detonazione di un ordigno inesploso.

Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno dieci casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco in direzione di civili palestinesi; un pescatore è stato ferito e la sua barca confiscata. Inoltre, è stato riferito che al valico di Erez un commerciante è stato arrestato dalle forze israeliane. In due occasioni le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza presso Khan Younis ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo lungo la recinzione perimetrale.

Il 13 settembre, nella città di Yatta (Hebron), durante uno scontro a fuoco avvenuto nel contesto di un’operazione di ordine pubblico, le forze di sicurezza palestinesi hanno ucciso un 34enne palestinese e ne hanno ferito un altro.

In Area C e Gerusalemme Est, per la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito 21 strutture, sfollando 29 persone, di cui 16 minori, e compromettendo i mezzi di sostentamento di altre 40. La demolizione più ampia è avvenuta in Area C, nella comunità di Istaih, vicino alla città di Jericho dove le autorità israeliane hanno demolito 16 strutture, tutte, tranne una, in fase di costruzione. A Gerusalemme Est sono state demolite quattro strutture: un impianto di lavaggio auto, un riparo per animali e il secondo piano di un edificio a due piani. La demolizione di quest’ultimo ha gravemente danneggiato l’intero edificio.

Nella comunità pastorale di Umm al Oborin, nella valle del Giordano settentrionale, le forze israeliane hanno sequestrato due mucche e 50 barili per la conservazione dell’acqua. Il sequestro ha compromesso il sostentamento di 14 persone, di cui quattro minori. La Comunità si trova all’interno di un’area che Israele ha dichiarato “zona per esercitazioni a fuoco” e riserva naturale. Inoltre, in due distinti episodi che hanno interessato i villaggi di Beit Furik (Nablus) e Kafr Qaddum (Qalqiliya), le autorità israeliane hanno sequestrato tre bulldozer di proprietà palestinese, adducendo la motivazione che gli stessi erano impiegati per costruzione illegale in Area C.

Militari israeliani, presentatisi presso la comunità di Khan al-Ahmar / Abu al Helu (Gerusalemme), in Area C, hanno reiterato ai leader locali l’ordine di lasciare l’area per trasferirsi in un sito di rilocalizzazione a loro destinato. Secondo i resoconti dei media, il Procuratore di Stato israeliano ha informato la Corte di Giustizia israeliana della sua intenzione di trasferire la Comunità entro la metà del 2018. Questa è una delle 46 comunità beduine palestinesi della Cisgiordania centrale, in cui vivono complessivamente circa 8.100 persone, a rischio di trasferimento forzato e gravate da un contesto coercitivo prodotto da una serie di politiche israeliane (demolizioni incluse) e da un piano di rilocalizzazione [stilato da Israele].

Il 13 settembre, secondo quanto riferito, coloni israeliani hanno dato fuoco a circa 400 ulivi appartenenti a 19 agricoltori palestinesi di Burin (Nablus). L’area presa di mira è adiacente all’insediamento colonico di Yitzhar e, per accedervi, ai palestinesi è richiesto un coordinamento preventivo con le autorità israeliane. Dall’inizio dell’anno sono stati vandalizzati circa 2.800 alberi di proprietà palestinese; lo scorso anno furono 1.650.

Secondo i rapporti dei media israeliani, sulle strade principali dei governatori di Ramallah e Hebron, almeno cinque episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani hanno causato il ferimento di due coloni israeliani, tra cui un minore, e danni ad almeno quattro veicoli.

Durante il periodo di riferimento, il valico egiziano di Rafah è stato aperto per tre giorni in una sola direzione, consentendo a 2.083 pellegrini palestinesi di fare ritorno nella Striscia di Gaza. Nel corso del 2017 il valico è stato parzialmente aperto per soli 29 giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 20.000 persone, tra cui casi umanitari, sono registrati e in attesa di attraversare.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 26 settembre, nei pressi del villaggio di Har Hadar (governatorato di Gerusalemme), un palestinese ha ucciso, con arma da fuoco, due guardie di sicurezza israeliane e un poliziotto di frontiera che erano in servizio presso un attraversamento della Barriera; l’aggressore è stato colpito e ucciso.

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Nonostante l’opposizione di Netanyahu, la riconciliazione dei palestinesi è nell’interesse di Israele

Amira Hass

4 ottobre 2017,Haaretz

Israele ha molte ragioni per opporsi ai colloqui tra Hamas e l’Autorità Nazionale Palestinese, ma il disastro umanitario ed ambientale di Gaza gli fornisce ragioni per appoggiarli.

Martedì Israele non ha cercato di impedire che importanti funzionari dell’Autorità Nazionale Palestinese entrassero nella Striscia di Gaza, viaggiando su auto che portavano targhe palestinesi. Se fossimo stati cinici avremmo detto che Israele ha deciso di non impedire questa mossa – che compromette la sua strategia a lungo termine, che risale al 1991, di isolare la popolazione di Gaza da quella della Cisgiordania – perché è un film già visto.

In altre parole, il profondo disaccordo tra i due partiti rivali al potere, Fatah e Hamas – soprattutto sulle armi e sui servizi di sicurezza – farà il lavoro per lui, e in fin dei conti impedisce che la frattura interna palestinese venga sanata. Quindi, perché Israele dovrebbe recitare la parte del cattivo?

In realtà il primo ministro Benjamin Netanyahu ha espresso pubblicamente opposizione alla riconciliazione solo dopo che il posto di controllo di Erez era stato aperto alla numerosa delegazione proveniente dalla Cisgiordania. Allo stesso modo il ministro della Difesa Avigdor Lieberman [del partito di estrema destra “Israele è casa nostra”, ndt.] ha evitato di ordinare all’amministrazione di contatto [tra Israele e l’ANP, ndt.] dell’esercito di fare quello che fa così bene – rimandare il rilascio dei permessi di uscita dalla Cisgiordania.

Ma si può sempre sperare che qualcuno in Israele comunque capisca che la priorità assoluta ora sia evitare che Gaza precipiti in un disastro ambientale ed umanitario ancora peggiore di quello in cui già si trova. E ciò è possibile solo alle seguenti condizioni: Israele deve porre fine alle restrizioni sull’importazione di materiali da costruzione e di materie prime; il meccanismo per la ricostruzione delle infrastrutture, che richiede un complesso coordinamento con le forze di sicurezza israeliane e con gli Stati donatori, deve essere semplificato e snellito; le lotte interne palestinesi sulla riscossione delle imposte e sulle fatture dell’elettricità devono finire.

Tutto ciò è possibile solo se i palestinesi hanno un governo unico, e solo se questo governo è accettato – e non solo in parte o nel solito modo riluttante – da Israele, dagli Stati donatori e dalle organizzazioni dell’aiuto internazionale, innanzitutto dalle Nazioni Unite. E questo governo può essere solo l’Autorità Nazionale Palestinese.

Nonostante lo neghi, su Israele ricade la principale responsabilità per la disastrosa situazione di Gaza. Ma adesso non importa. Adesso è necessario andare oltre i soliti cliché sul “finanziamento del terrorismo” e sul presidente palestinese Mahmoud Abbas che “si unisce a un’organizzazione terroristica assassina,” come ha detto martedì il ministro dell’Educazione Naftali Bennet [del partito di estrema destra dei coloni “Casa Ebraica”, ndt.]. Adesso è necessario agire.

Non c’è più tempo, la fornitura di energia a Gaza deve essere immediatamente aumentata, e in misura superiore a quella che era prima dei tagli della fornitura da parte di Israele su richiesta di Abbas. Israele deve fornire a Gaza altre decine di milioni di metri cubi d’acqua.

Non è solo nell’interesse dei palestinesi. Anche Israele ha interesse che le acque reflue di Gaza vengano trattate invece di essere scaricate in mare, che l’acquifero di Gaza non collassi e che i suoi residenti abbiano cure mediche adeguate. Anche Israele ha interesse nella prevenzione di epidemie a Gaza.

Per Hamas, come movimento politico che vede se stesso come il vero rappresentante di tutti i palestinesi (a Gaza, in Cisgiordania e nella diaspora), cedere il controllo di Gaza è nei suoi stessi interessi, anche se perdesse i centri di potere e il controllo che si era abituato ad avere nell’ultimo decennio. I dirigenti di Hamas Yahya Sinwar e Ismail Haniyeh sono entrambi nati a Gaza e ci vivono ancora, per cui hanno fatto esperienza diretta del suo disastro umano ed ambientale. Sanno che la loro organizzazione non può continuare a condurre i propri esperimenti di gestione a spese del benessere del suo popolo.

Le iniziative punitive che Israele ed i Paesi occidentali hanno preso contro il governo eletto di Hamas immediatamente dopo la sua costituzione 11 anni fa consentono all’organizzazione di cedere le chiavi del potere senza ammettere pubblicamente la sconfitta. In Cisgiordania e nella diaspora – anche se, per ovvie ragioni, non a Gaza – in effetti i palestinesi ammirano la sua scelta di armarsi e di affrontare militarmente Israele. Questo potrebbe essere sufficiente perché Israele si opponga alla riconciliazione, se la minacciosa previsione dell’ONU secondo cui Gaza entro il 2020 sarà inabitabile non incombesse sulle nostre teste.

Perché l’ANP e il suo partito di governo Fatah vogliono prendersi l’ingrato compito di governare la crisi di Gaza? Finora sembra abbiano dei problemi a dimostrare che lo stiano facendo per senso di responsabilità nazionale piuttosto che per ragioni personali o di fazione. Alcuni abitanti di Gaza hanno detto che la delegazione di Ramallah [sede del governo dell’ANP, ndt.] è entrata come se si trattasse di vittoriosi conquistatori.

Abbas ha già cercato di rovinare l’atmosfera con i suoi modi riluttanti e le precondizioni che ha posto ad Hamas in un’intervista televisiva lunedì, compreso il disarmo e la fine del coinvolgimento del Qatar a Gaza. I gazawi credono che avrebbe potuto fare le cose in modo diverso, lasciando le condizioni a dopo l’inizio dei negoziati. Abbas sta facendo dubitare la gente che Fatah, o almeno lui stesso, voglia veramente consentire la riconciliazione e togliere le sanzioni che ha imposto a Gaza.

Evitare che Gaza precipiti in un disastro peggiore è una ragione per cui l’ANP ha intenzione di riconciliarsi. Un’altra possibile spiegazione è un rinnovato tentativo diplomatico di ottenere che lo “Stato di Palestina” venga accolto come membro a pieno titolo dell’ONU.

Facendo richieste alla comunità internazionale, comprese richieste di fare pressione su Israele, Abbas e i suoi successori devono dimostrare di rappresentare tutto il popolo dei territori occupati nel 1967. Rinunciare a Gaza, anche se è più conveniente dal punto di vista finanziario, indebolisce la sua posizione di apertura diplomatica.

Il palese coinvolgimento dell’Egitto nel processo di riconciliazione fornisce il vento in poppa all’ANP e invia un segnale ad Israele: come in passato, e a dispetto dei desideri di Israele, l’Egitto non ha intenzione di lasciare che Gaza venga annessa ad esso o staccata dal resto della popolazione palestinese.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 

 




L’ambasciatore di Trump in Israele esce dai ranghi

Maureen Clare Murphy

29 settembre 2017,Electronic Intifada

Qual’è la politica di Donald Trump riguardo ad Israele e i palestinesi? Nessuno all’interno dell’amministrazione del presidente sembra in grado di dirlo.

In un’intervista ad un sito di informazioni israeliano, David Friedman, ambasciatore di Trump a Tel Aviv, ha avanzato ipotesi in contraddizione con decenni di politica statunitense e con le posizioni sostenute dall’amministrazione.

La risposta del Dipartimento di Stato ai suoi commenti dà ulteriormente l’impressione di una politica estera in totale confusione.

Alla domanda sulle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, Friedman ha risposto a ‘Walla! News’[portale di notizie israeliano legato al gruppo editoriale di Haaretz, ndt.]:

Penso che le colonie siano parte di Israele. Penso che ci si aspettasse questo quando fu adottata la risoluzione 242 nel 1967.”

Friedman, a lungo avvocato fallimentare di Trump, si riferiva ad una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che, di fatto, sottolinea “l’inammissibilità dell’acquisizione di territori con la guerra” e chiede il ritiro di Israele dal territorio occupato nella guerra del 1967.

L’interpretazione di Friedman contraddice direttamente diverse successive risoluzioni che riaffermano esplicitamente l’illegalità delle colonie israeliane in Cisgiordania.

Il trasferimento da parte di Israele della sua popolazione civile in un territorio che occupa è una violazione della Quarta Convenzione di Ginevra e quindi è un crimine di guerra.

Friedman, tra l’altro, è un importante finanziatore di una di quelle colonie.

Cambiamento radicale

L’ambasciatore ha minimizzato l’importanza delle colonie, affermando: “Voglio dire, stanno semplicemente occupando il 2% della Cisgiordania.”

Era totalmente fuori strada.

La realtà è che Israele dispone di un massiccio sistema di colonie da insediamento in tutta la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est. Più della metà della Cisgiordania è stata confiscata per le colonie o interdetta in altro modo ai palestinesi.

Per decenni la politica USA è stata di considerare le colonie come un ostacolo ad uno Stato palestinese indipendente in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza. E lo scorso dicembre gli USA hanno permesso che il Consiglio di Sicurezza approvasse una risoluzione che riaffermava l’illegalità di tutte le colonie.

Ma l’opposizione a parole degli Stati Uniti alle colonie non ha mai coinciso con i fatti: le diverse amministrazioni hanno continuato a staccare assegni in bianco ad Israele, mentre gli insediamenti continuavano ad espandersi. I commenti di Friedman rappresentano un cambiamento radicale di quella politica, per quanto inefficace possa essere stata.

Alla domanda di ‘Walla!’ se sarebbe mai arrivato a pronunciare forte e chiaro le parole “soluzione dei due Stati”, Friedman ha detto che l’espressione ha perso ogni significato perché “significa cose differenti per gente diversa.”

Quanto al significato che ha per lui, ha glissato. “Non ha significato, non ho certezze. Per quanto mi riguarda, non mi interessano le etichette, mi interessano le soluzioni”, ha detto.

E’ uscito dai ranghi?”

Nella conferenza stampa di giovedì la portavoce del Dipartimento di Stato Heather Nauert ha faticosamente cercato di riconciliare quanto detto da Friedman con la politica dell’amministrazione che rappresenta.

Le sue affermazioni – e intendo essere estremamente chiara su questo punto – non devono essere lette come un modo per pregiudicare l’esito di qualunque negoziato che gli Stati Uniti possano avere con israeliani e palestinesi. Non devono neanche segnalare un mutamento nella politica USA”, afferma Nauer.

E’ uscito dai ranghi?”, chiede un giornalista.

E’ almeno la seconda volta che da questa tribuna lei ha dovuto in qualche modo smentire le notazioni dell’ambasciatore Friedman, quando ha tirato fuori la ‘presunta occupazione’”, dice un altro giornalista, riferendosi ad un recente commento di Friedman al giornale di destra Jerusalem Post, in cui insinuava che gli Stati Uniti non considerano Cisgiordania e Gaza occupate da Israele.

E aggiunge: “Anche se non si tratta di un cambio di posizione, la sensazione che l’ambasciatore in Israele sia di parte relativamente a questo conflitto sta creando problemi agli USA?”.

Abbiamo alcuni dirigenti e rappresentanti del governo USA molto efficienti, compresi Jason Greenblatt e Mr. Kushner, che dedicano un’enorme quantità di tempo alla regione”, risponde Nauert, riferendosi a due dei consiglieri di Trump.

Il giornalista dell’Associated Press Matt Lee sottolinea che “il problema nasce dal fatto che Friedman è l’ambasciatore confermato dal Senato. Né Greenblatt né Kushner lo sono…

Si presume che gli ambasciatori in qualunque Paese parlino in nome e con l’autorità del presidente degli Stati Uniti. Non pensa che questo generi confusione?”

Ambasciatore di chi?

Bella domanda. Durante l’intervista Friedman si è comportato come se fosse l’ambasciatore di Israele negli USA, invece che l’ambasciatore degli USA in Israele.

Ha ribadito che l’amministrazione Trump trasferirà l’ambasciata USA da Tel Aviv a Gerusalemme – un’altra rottura rispetto a decenni di politica statunitense e consenso internazionale. Si trattava di una promessa fatta durante la campagna elettorale di Trump, ma su cui poi egli ha fatto marcia indietro, una volta entrato in carica.

Alla domanda se l’ambasciata verrà trasferita nel corso della presidenza Trump, Friedman ha risposto: “Sicuramente lo spero. Questo era uno degli impegni del presidente e lui è un uomo che mantiene la parola…La questione non è se, ma quando.”

Friedman ha affermato che un accordo di pace potrebbe essere raggiunto entro alcuni mesi, ma che non avrebbe fornito alcun dettaglio sui criteri dei presunti negoziati di pace.

Riguardo alla sfiducia da parte palestinese a causa dei suoi finanziamenti alle colonie, l’ambasciatore si è vantato di aver incontrato Majid Faraj, il capo della polizia segreta del leader dell’ANP Mahmoud Abbas, ed il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat.

Penso che comprendano il mio punto di vista,” ha detto Friedman, aggiungendo: “Non credo sia un problema di diffidenza, credo che abbiano avuto a che fare in precedenza con persone che hanno quelle idee.”

Benché dica che è Trump che prende le decisioni nella sua cerchia ristretta, il riferimento di Friedman al “mio punto di vista” suggerisce che l’ambasciatore stia lavorando a briglia sciolta. Ma si comporta ancora come avvocato di Trump.

Sulla questione posta da Walla! circa la molto criticata difesa da parte di Trump di una mobilitazione di nazionalisti bianchi a Charlottesville il mese scorso, che ha causato la morte di una contro-manifestante, Friedman ha detto: “Non ho dubbi che lui non sia minimamente in nessun modo ed in nessuna forma, razzista, misogino, antisemita, omofobo, o qualunque altro aggettivo possiate inventare. Quello non è lui.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 

 




Israele pianifica crimini di guerra contro le famiglie di Khan al-Ahmar

Tamara Nassar

26 settembre  2017,Electronic Intifada

Gruppi per i diritti umani avvertono che l’espulsione pianificata da Israele degli abitanti di Khan al-Ahmar e la distruzione del loro villaggio nella Cisgiordania occupata è un crimine di guerra. All’inizio di questo mese le autorità israeliane dell’occupazione hanno informato membri della comunità che sarebbero stati spostati in un altro luogo, benché siano in corso procedimenti giudiziari nei tribunali israeliani.

Ciò ha sollevato tra i funzionari ONU timori che l’espulsione possa avvenire a giorni. B’Tselem [associazione israeliana per i diritti umani, ndt.] ha messo in guardia il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed altre personalità politiche israeliane che potrebbero essere considerati personalmente responsabili di crimini di guerra se continuassero con la demolizione di Khan al-Ahmar e di Susiya, un secondo villaggio, per fare spazio a colonie israeliane.

La demolizione di intere comunità nei territori occupati è praticamente senza precedenti dal 1967 [data d’inizio dell’occupazione israeliana, ndt.],” ha aggiunto il gruppo israeliano per i diritti umani.

Espandere le colonie

Khan al-Ahmar si trova tra le colonie israeliane di Maaleh Adumim e Kfar Adumim, nella cosiddetta area E1 della Cisgiordania occupata.

Su questa terra a est di Gerusalemme Israele prevede di estendere la sua grande colonia di Maaleh Adumim, per completare la separazione della parte nord da quella sud della Cisgiordania.

Tutte le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata sono illegali in base al diritto internazionale.

A Khan al-Ahmar vivono i membri della tribù Jahalin, che comprende 32 famiglie beduine, e conta approssimativamente 173 persone.

E’ una delle 12 comunità palestinesi, per un totale di circa 1.400 abitanti, che devono far fronte all’espulsione da parte israeliana nella zona ad est di Gerusalemme.

Gli abitanti palestinesi di Khan al-Ahmar hanno in precedenza presentato un ricorso all’alta corte israeliana per bloccare gli ordini di demolizione che riguardano tutte le strutture del villaggio.

L’alta corte ha anche ricevuto un ricorso della colonia di Kfar Adumim, che chiede che l’unica scuola di Khan al-Ahmar venga demolita, insieme a più di 250 altri edifici palestinesi nella zona.

Le autorità israeliane hanno anche chiesto l’approvazione per completare la deportazione entro l’aprile 2018.

La corte ha annullato un’udienza che era stata fissata per lunedì per la discussione del caso, in attesa di ulteriore documentazione.

Deportazione

Israele vuole obbligare gli abitanti di Khan al-Ahmar a spostarsi in un’area chiamata “al-Jabal ovest,” situata nei pressi della discarica del villaggio palestinese di Abu Dis. E’ una zona in cui Israele ha già deportato famiglie Jahalin negli anni ’90 per far posto a Maaleh Adumim.

Se l’espulsione pianificata verrà messa in atto, sarebbe la seconda volta che la comunità di Khan al-Ahmar viene deportata. Negli anni ’50 le famiglie furono inizialmente cacciate dalla regione del Naqab [Negev in arabo, ndt.] dall’esercito israeliano.

Questa settimana B’Tselem ha affermato che, se Israele demolisce la scuola di Khan al-Ahmar o caccia a forza gli abitanti, anche rendendo le loro condizioni di vita insopportabili, “ciò violerebbe il divieto di trasferimento forzato stabilito dalle leggi umanitarie internazionali.”

B’Tselem ha aggiunto: “Una simile violazione costituisce un crimine di guerra, e ogni persona coinvolta nella sua messa in pratica ne dovrà rendere conto personalmente – compresi il primo ministro, i principali membri del governo, il capo di stato maggiore e il capo dell’Amministrazione Civile [governo militare nei territori palestinesi occupati, ndt.] – il sistema amministrativo dell’occupazione israeliana.

Israele ha cercato di distrarre l’attenzione dalla deportazione sostenendo che lo spostamento avvantaggerà gli abitanti di Khan al-Ahmar.

Ma i gruppi per i diritti umani, compreso Bimkom [Ong di architetti e urbanisti che sostiene una pianificazione condivisa con le comunità locali, ndt.] israeliano, sottolineano che la deportazione è vietata indipendentemente dalle sue ragioni. Danneggerebbe anche lo stile di vita rurale e la sopravvivenza delle comunità già impoverite.

Gli abitanti del villaggio dipendono per il loro modo di vita dai pascoli e dalla vicinanza ad altre tribù di beduini. Israele ha in precedenza tentato di spostare le famiglie in terre confiscate ad altre comunità palestinesi, una proposta rifiutata da tutti quelli che sarebbero stati coinvolti.

Continui soprusi

Khan al-Ahmar e Susiya, un villaggio sulle colline meridionali della zona di Hebron in Cisgiordania, si trovano entrambi nell’area C.

Si tratta di circa il 60% della Cisgiordania che rimane sotto completo controllo militare israeliano in base agli accordi di Oslo firmati tra Israele e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina all’inizio degli anni ’90.

Israele rifiuta di consentire praticamente ogni costruzione palestinese nell’area C, obbligando i palestinesi a costruire senza permesso e a vivere con il timore costante che le loro case siano demolite.

La scuola di Khan al-Ahmar è stata edificata nel 2009 usando copertoni e fango, nel tentativo di superare le restrizioni israeliane sull’uso di cemento da parte dei palestinesi per scopi edilizi.

Ma Israele ha trovato un’altra scusa per ordinare la demolizione della scuola, sostenendo che era troppo vicina alla strada principale.

La scuola era stata costruita con i finanziamenti dell’Unione europea e di altri donatori europei, che non hanno fatto niente per rendere Israele responsabile della demolizione di progetti che hanno appoggiato per decine di milioni di dollari.

Lo scorso mese Israele ha distrutto due scuole finanziate dagli europei in Cisgiordania.

Qui per rimanere per sempre”

Oltre alle demolizioni, Israele cerca di cacciare i palestinesi dalle loro case rendendo le loro condizioni di vita insopportabili.

Israele ha smantellato e confiscato pannelli solari di Khan al-Ahmar, bloccato l’accesso diretto tra il villaggio e la strada principale e l’ha privato di servizi essenziali come l’acqua, le fognature, l’elettricità e la disponibilità di mezzi di trasporto.

Il rinnovato impegno di Israele per la demolizione di Khan al-Ahmar arriva solo poche settimane dopo che Netanyahu ha partecipato nel nord della Cisgiordania ad una cerimonia per i 50 anni della colonizzazione israeliana.

Siamo qui per rimanere per sempre,” ha detto Netanyahu alla folla. “Non ci saranno più smantellamenti di colonie nella terra di Israele.”

Questa settimana i media israeliani hanno informato che il governo israeliano sta portando avanti progetti per altre 2.000 unità immobiliari delle colonie nella Cisgiordania occupata.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Un attacco a mano armata in una colonia illegale lascia un bilancio di un palestinese e tre israeliani morti

Ma’an News

26 settembre 2017

Betlemme (Ma’an) – Martedì mattina le forze israeliane hanno ucciso un palestinese dopo che il trentasettenne aveva sparato all’ingresso della colonia israeliana illegale di Har Adar nella Cisgiordania occupata, uccidendo due guardie della sicurezza e un ufficiale della polizia di frontiera.

Secondo il portavoce della polizia israeliana Micky Rosenfeld, l’attacco è stato perpetrato da un palestinese del villaggio di Beit Surik, nel distretto di Gerusalemme della Cisgiordania, in seguito identificato come Nimr Mahmoud Ahmed Jamal.

Luba al-Samri, portavoce in arabo della polizia israeliana, ha aggiunto che Jamal era arrivato alla colonia insieme a un gruppo di lavoratori palestinesi. Quando i palestinesi hanno iniziato ad entrare nel posto di blocco israeliano all’ingresso della colonia, le forze di polizia israeliane gli hanno chiesto di fermarsi dopo essersi insospettite del palestinese, che allora ha estratto un’arma e ha sparato agli agenti.

Dopo un scambio a fuoco, Jamal è stato colpito a morte, mentre tre degli agenti sono stati uccisi. Nel contempo anche un altro israeliano, il coordinatore della sicurezza della colonia, è stato ferito gravemente. Rosenfeld ha confermato che il palestinese ucciso era in possesso di un permesso di lavoro israeliano.

Al-Samri ha informato che l’agente israeliano ucciso è il ventenne Soloman Gabariya. In seguito all’attacco la polizia israeliana ha chiuso la zona nei pressi della colonia. Il quotidiano israeliano “Haaretz” ha identificato le due guardie di sicurezza come Yussef Utman, abitante del villaggio di Abu Gosh, nei pressi di Gerusalemme, e Or Arish, 25 anni, di Har Adar. Secondo la documentazione di Ma’an, Jamal è diventato il cinquantaseiesimo palestinese ucciso dagli israeliani dall’inizio dell’anno durante attacchi, presunti attacchi, scontri o incursioni mortali per operare arresti.

Dall’inizio del 2017 sedici israeliani, quasi tutti agenti in uniforme o israeliani che vivevano nelle colonie israeliane in violazione delle leggi internazionali, sono stati uccisi da palestinesi. Spesso i palestinesi hanno citato le frustrazioni quotidiane e la continua violenza dei soldati israeliani, imposta dalla quasi cinquantennale occupazione israeliana del territorio palestinese, come i principali moventi degli attuali attacchi politici contro israeliani.

In seguito all’attacco Husam Badran, portavoce del movimento Hamas, ha rilasciato un comunicato che definisce “eroico” l’attacco, aggiungendo che esso è un segno che l’intifada sta continuando – in riferimento all’incremento di violenze nei territori palestinesi occupati e in Israele che è scoppiato per la prima volta due anni fa.

La resistenza intende porre fine all’oppressione e all’occupazione della terra palestinese (da parte di Israele),” ha detto nel comunicato. I palestinesi “continueranno con ogni mezzo di liberazione e resistenza, non importa con quanto sacrificio,” ha aggiunto.

Nel contempo anche Munir al-Jaghoub, un funzionario di Fatah, ha rilasciato una dichiarazione, affermando che “solo Israele è responsabile delle reazioni palestinesi ai crimini dell’occupazione, e se continua con le sue aggressioni contro il popolo palestinese.”

Ha aggiunto che Israele “deve essere ben consapevole delle conseguenze della sua continua spinta verso la violenza, della politica di demolizione delle case, delle espulsioni degli abitanti di Gerusalemme e del susseguirsi di incursioni di coloni nel complesso della moschea di Al Aqsa.”

Al-Jaghoub ha detto che, se gli israeliani credono nella pace, devono porre fine “alla violenza e alle quotidiane umiliazioni dei palestinesi” e cessare la loro continua violazione delle leggi e degli accordi internazionali, che hanno portato alla prosecuzione dell’espansione delle colonie israeliane sul territorio palestinese.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




I neonazisti tedeschi vedono Israele come un modello da seguire

Ali Abunimah

25 settembre 2017,Electronic Intifada

Purtroppo i nostri peggiori timori si sono avverati,” ha detto Josef Schuster, presidente del Consiglio Centrale degli Ebrei di Germania, del successo elettorale di Alternativa per la Germania nelle elezioni politiche di domenica.

Noto con le iniziali tedesche AfD, il partito nazionalista estremista ha conquistato circa 100 seggi nella Camera Bassa tedesca.

Un partito che tollera opinioni di estrema destra nelle proprie fila e incita all’odio contro le minoranze del nostro Paese è oggi non solo presente in ogni parlamento dei singoli Stati, ma rappresentato anche al Bundestag [il parlamento federale, ndt.],” ha affermato Schuster.

Il partito è noto per ospitare ogni sorta di razzisti ed estremisti, compresi apologeti del passato militare della Germania e revisionisti dell’Olocausto.

E’ stato un disastro che i principali politici tedeschi si aspettavano.

Sigmar Gabriel, il ministro degli Esteri del Paese, all’inizio di questo mese aveva avvertito che se l’AfD avesse avuto un buon risultato nelle urne, “allora per la prima volta dalla fine della Seconda Guerra Mondiale avremo dei veri nazisti nel parlamento tedesco.”

Finanziatrice filo-israeliana appoggia i neonazisti

Mentre la Germania non ha bisogno di lezioni per imparare ad essere razzista, questa catastrofe può essere in parte attribuita a dirigenti israeliani e ai loro fanatici sostenitori: per anni hanno fatto causa comune con l’estrema destra europea, che demonizza i musulmani come invasori stranieri che devono essere respinti e persino espulsi per conservare la mitica purezza europea.

Ciò può essere attribuito anche ai dirigenti tedeschi che per decenni hanno rafforzato questo Israele razzista finanziando l’occupazione militare israeliana e l’oppressione dei palestinesi.

Quello che avviene in Germania è un’altra faccia dell’alleanza tra suprematisti bianchi e sionisti che ha trovato ospitalità nella Casa Bianca di Donald Trump.

Nelle ultime settimane i portabandiera liberal [definizione dei liberaldemocratici nel sistema politico statunitense, ndt.] “The New York Times” e ”The Washington Post” si sono messi alla ricerca delle ombre inesistenti di interferenze russe nelle elezioni tedesche.

Nel frattempo, come ha informato Lee Fang per “The Intercept” [sito di controinformazione statunitense, ndt.], il “Gatestone Institute”, il gruppo di studio di Nina Rosenwald, finanziatrice della maggiore industria dell’islamofobia, aveva inondato le reti sociali tedesche con “un costante flusso di contenuti infuocati sulle elezioni tedesche, centrato sull’alimentare timori nei confronti di immigrati e musulmani.”

Il “Gatestone Institute” è presieduto da John Bolton, l’ex diplomatico neoconservatore noto per il suo aggressivo appoggio all’invasione dell’Iraq.

Articoli di “Gatestone” che facevano appelli in merito alla cristianità “in estinzione” e che mettevano in guardia sulla costruzione di moschee in Germania sono stati regolarmente tradotti in tedesco e postati da politici e simpatizzanti dell’AfD.

Innumerevoli resoconti sostenevano che immigrati e rifugiati stavano violentando donne tedesche e portando nel Paese malattie pericolose, temi classici della propaganda nazista, utilizzati a suo tempo per incitare l’odio genocida nei confronti degli ebrei.

Tragica ironia, il padre di Rosenwald, un erede del patrimonio dei grandi magazzini “Sears”, utilizzò la propria fortuna per aiutare i rifugiati ebrei che fuggivano dalle persecuzioni in Europa.

Sua figlia ha preso un cammino diverso. Il giornalista Max Blumenthal ha definito Nina Rosenwald la “riccona dell’odio antimusulmano.”

Blumenthal ha scritto nel 2012 che Rosenwald “ha utilizzato i suoi milioni per cementare l’alleanza tra la lobby filo-israeliana e gli estremisti islamofobi.”

Secondo Blumenthal, oltre a finanziare una serie dei più noti demagoghi antimusulmani, Rosenwald “ha fatto parte del consiglio di amministrazione dell’AIPAC, il braccio principale della lobby israeliana in America, e ricopre ruoli direttivi in una serie di importanti organizzazioni filo-israeliane.”

Il partito di Anders Breivik

In un profilo il giorno successivo le elezioni, “The Jerusalem Report, pubblicato dal giornale [israeliano] di destra “Jerusalem Post”, ha fornito alla vice segretaria dell’AfD Beatrix von Storch una tribuna per esporre l’ideologia antimusulmana del suo partito.

The Jerusalem Report” ha anche citato il politologo tedesco Marcel Lewandowsky che ha spiegato che “i membri dell’AfD vedono l’Unione Europea come traditrice dell’eredità cristiana dell’Europa perché ha lasciato entrare i musulmani. L’opinione è che l’islamizzazione dell’Europa sia stata provocata dall’UE.”

La sostituzione” da parte dei musulmani, ha spiegato Lewandowsky “è il centro dei timori degli elettori dell’AFN.”

Ciò significa che il centro dell’ideologia del partito è indistinguibile da quella di Andres Breivik, il norvegese che nel luglio 2011 ha assassinato decine di suoi concittadini, soprattutto adolescenti che partecipavano a un campo giovanile del partito Laburista, col pretesto di bloccare l’“islamizzazione” dell’Europa.

Uno dei maggiori beneficiari della generosità di Rosenwald, secondo Blumenthal, è stato Daniel Pipes, l’influente demagogo filoisraeliano e antimusulmano che Breivik ha citato 18 volte nel suo famoso documento.

Ammirazione per Israele

La vice-segretaria dell’AfD von Storch, che siede nel parlamento europeo, ha anche utilizzato l’intervista di “The Jerusalem Report” per esporre la posizione filo-israeliana del suo partito, confrontando il nazionalismo tedesco all’ideologia sionista di Israele.

Secondo “The Jerusalem Report, von Storch è una dei fondatori di “Friends of Judea and Samaria” [“Amici di Giudea e Samaria”, la denominazione israeliana della Cisgiordania, ndt.], un gruppo di estrema destra nel parlamento europeo che appoggia la colonizzazione illegale della terra palestinese occupata da parte di Israele.

Curiosamente, questo gruppo conta tra le sue persone di riferimento il capo del “Consiglio Regionale di Shomron”, un’organizzazione di coloni nella Cisgiordania occupata.

Israele potrebbe essere un modello da seguire per la Germania,” ha detto von Storch a “The Jerusalem Report”. “Israele è una democrazia che ha una società libera e pluralista. Israele cerca anche di preservare la propria cultura e le proprie tradizioni uniche. Lo stesso potrebbe essere possibile per la Germania e per ogni altra Nazione.”

L’identificazione di Von Storch con Israele riprende quella del demagogo nazista USA Richard Spencer, che ha descritto la propria visione di uno “Stato etnico” ariano come “sionismo bianco”.

Anche la presidentessa dell’AfD Frauke Petry ha espresso appoggio alle colonie israeliane nella Cisgiordania occupata. In febbraio ha detto alla rivista ebrea di destra “Tablet” [periodico ebreo statunitense, ndt.] che la sua unica visita in Israele le ha dato un’impressione positiva del Paese.

Improvvisamente l’immagine che hai è alquanto diversa da quella che si ha quando si vive lontano,” ha detto.

I dirigenti dei coloni israeliani hanno preso nota. Mentre il mondo è scosso dal successo elettorale dell’AdF, Yehuda Glick, un parlamentare nel partito Likud, del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha twittato che tutti quelli che sono “in preda al panico” per via dell’AfD possono star sicuri che Petry sta lavorando “intensamente” per espellere ogni elemento antisemita.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Presentate alla corte dell’Aja prove di apartheid, saccheggio ed assassinio da parte di Israele

Ali Abunimah

21 settembre 2017,Electronic Intifada

Mercoledì [20 sett.] quattro organizzazioni palestinesi per i diritti umani hanno presentato alla procura della Corte Penale Internazionale 700 pagine di prove di crimini di guerra e contro l’umanità da parte di Israele.

Ciò avviene mentre due comunità palestinesi in Cisgiordania devono affrontare un’imminente e totale distruzione da parte di Israele.

I crimini dettagliati nel dossier includono la persecuzione, l’apartheid, il furto esteso, la distruzione ed il saccheggio delle proprietà palestinesi e prove degli “omicidi ed assassinii deliberati” di centinaia di palestinesi dal 2014.

Shawan Jabarin, direttore del gruppo per i diritti umani Al-Haq, ha affermato che il dossier “fornisce una base convincente e ragionevole” perché la procura apra un’indagine in merito a possibili crimini di guerra e contro l’umanità da parte di Israele nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est.

Questo è il quarto dossier che i gruppi per i diritti umani hanno presentato alla corte. Mentre questo si concentra sulla Cisgiordania, quelli precedenti riguardavano crimini commessi da importanti personalità civili e militari israeliane durante l’attacco del 2014 contro Gaza.

Minacce di morte e vessazioni

Jabarin ha presentato il documento alla corte dell’Aja insieme alla sua collega Nada Kiswanson. Kiswanson ed altri ricercatori per i diritti umani affiliati a Al-Haq sono stati bersaglio di una lunga campagna di vessazioni e di minacce di morte che un esperto analista israeliano ha collegato a “operazioni segrete” del governo israeliano.

Al-Haq ritiene che le minacce siano legate al lavoro di Kiswanson per preparare il dossier per la corte internazionale. Il governo dell’Olanda, dove si trova la corte, ha affermato che è stata aperta un’inchiesta penale in merito alle minacce.

Dominio degli ebrei israeliani”

In base alle affermazioni di Al-Haq, l’ultimo documento “prende in considerazione il tentativo di Israele di ampliare il proprio territorio e di garantirvi il dominio degli ebrei israeliani modificando la composizione demografica dei territori palestinesi occupati.”

Raji Sourani, direttore del “Palestinian Center for Human Rights” [“Centro Palestinese per i Diritti Umani”, ndt.], ha affermato che il trasferimento di coloni nelle terre palestinesi occupate da parte di Israele “costituisce un unico crimine di guerra in quanto accompagnato dalla confisca di parti consistenti di terra palestinese, dalla distruzione massiccia di proprietà palestinesi e dalla frammentazione del tessuto sociale e del modo di vita palestinesi.”

Benché le violazioni israeliane nella Cisgiordania occupata possano essere viste separatamente da quelle a Gaza, Issam Younis, direttore del “Al Mezan Center for Human Rights” [“Centro Al Mezan per i Diritti Umani”, ndt] ha spiegato come essi siano legati: “In ultima analisi l’isolamento di Gaza, oltre ai periodici attacchi militari su vasta scala, consente a Israele di consolidare il proprio controllo su tutti i territori palestinesi occupati e nega ai palestinesi il loro diritto, internazionalmente riconosciuto, all’autodeterminazione.”

Pressione

Il comportamento di Israele durante la guerra del 2014 contro Gaza, così come denunce di numerosi crimini in Cisgiordania, è attualmente oggetto di un esame preliminare da parte della procura dell’Aja. Deve decidere se aprire un’indagine accurata, che potrebbe portare a un’incriminazione formale di dirigenti e personale militare israeliani.

Non ci sono limiti di tempo per un esame preliminare, e la procura si trova sotto costante pressione da parte di Israele e degli Stati Uniti per lasciare che Israele se la cavi. Sono incentivati in ogni modo a starsene con le mani in mano.

Indagini farsa su se stesso

Lo scorso mese due gruppi per i diritti umani hanno concluso che il sistema israeliano di inchiesta su se stesso in merito a possibili crimini contro palestinesi da parte delle proprie forze è una farsa.

Centinaia di casi, compresa la nota uccisione di quattro ragazzini che giocavano a pallone su una spiaggia nel luglio 2014 [a Gaza, ndt.], non hanno portato a nessuna sanzione nei confronti dei responsabili.

Nel maggio 2016 B’Tselem ha annunciato che non avrebbe più collaborato con le inchieste per omicidio dell’esercito israeliano né per altri attacchi contro palestinesi nella Cisgiordania occupata.

Non aiuteremo più un sistema che copre le inchieste e serve come foglia di fico per l’occupazione,” ha spiegato il direttore del gruppo israeliano per i diritti umani.

Quando si tratta di crimini come l’apartheid e la colonizzazione, Israele ovviamente non fa niente per condurre indagini e punire se stesso – dato che questi crimini sono pianificati ed eseguiti dallo Stato stesso.

Ma persino in situazioni in cui Israele ha riconosciuto – almeno sulla carta – che una determinata azione era un crimine, nessuno ne ha pagato le conseguenze.

Ciò dovrebbe essere un importante fattore nelle decisioni della procura, perché, in base al suo statuto fondativo, la Corte Penale Internazionale interviene solo quando le autorità giudiziarie nazionali non sono disposte o non possono condurre procedimenti imparziali.

Villaggi che devono far fronte alla distruzione

Né le azioni della corte sono solo una questione di responsabilizzazione per il passato, ma per porre fine a crimini in corso.

Questo mese B’Tselem ha messo in guardia importanti dirigenti israeliani, compresi il primo ministro Benjamin Netanyahu, il ministro della Difesa Avigdor Lieberman e il capo di stato maggiore militare, che potrebbero essere personalmente imputabili per crimini di guerra se procedessero all’apparentemente imminente distruzione di Khan al-Ahmar e Susiya, due comunità della Cisgiordania.

La demolizione di intere comunità nei territori occupati è pressoché senza precedenti dal 1967,” ha affermato B’Tselem.

Robert Piper, direttore dell’aiuto umanitario ONU in Palestina, ha twittato: “Tener d’occhio la comunità beduina di Khan al-Ahmar a rischio di deportazione da parte delle autorità israeliane nei prossimi giorni.”

Egli ha involontariamente identificato un problema in cui l’ONU gioca un ruolo fondamentale: la cosiddetta comunità internazionale se ne sta in disparte e si limita a guardare come Israele commette quotidianamente crimini.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 

 




Poliziotto buono, poliziotto cattivo dell’espulsione

Amira Hass

18 settembre 2017 Haaretz

Il parlamentare dell’estrema destra Bezalel Smotrich si prende semplicemente la briga di rendere pubblico il suo piano, mentre il generale Yoav Mordechai preferisce lavorare in silenzio.

Mentre Bezalel Smotrich parla di espulsioni, Yoav Mordechai, coordinatore delle attività di governo nei territori [palestinesi occupati] fa in modo che avvengano. Mentre il primo blatera di espulsione definitiva, il secondo tace sulle decine di piccole espulsioni che egli approva e supervisiona.

Per esempio, completando il piano per obbligare il clan Jahalin a lasciare Khan al-Amar per andare in un luogo nei pressi della discarica di Abu Dis, in modo che i coloni di Kfar Adumim possano espandersi a piacimento. Presto Mordechai approverà anche l’evacuazione forzata dei residenti palestinesi di Sussia, in modo che i coloni della zona possano soddisfare il proprio desiderio di avere più spazio.

Il membro del parlamento israeliano per la fazione “Unione nazionale – Tekuma” del [partito di estrema destra, ndt.] “La Casa ebraica” cerca di ottenere le prime pagine dei giornali. La persona che guida l’unità del ministero della Difesa nota come COGAT [“Coordinator of Government Activities in the Territories”, cioè “Coordinamento delle Attività Governative nei Territori”, ndt.] non ne ha bisogno. Entrambi sono stati preceduti da altri che ne condividevano le idee, lo status e le funzioni.

Il cittadino S. si prende il disturbo di rendere pubblico il proprio piano, il generale M. preferisce lavorare in silenzio. Come i suoi predecessori, sa che i giornalisti israeliani non sono interessati a queste piccole e continue espulsioni, per cui non ne riferiscono. Sicuramente i reporter non vogliono vedere il rapporto tra loro; dopo tutto che cos’hanno in comune quelli che vivono nelle baracche senza elettricità con la donna americana, sposata con un palestinese, a cui è stato detto da un arrogante impiegato dell’Amministrazione Civile [il governo militare sui territori palestinesi occupati, ndt.] che la sua richiesta di prolungamento del suo permesso di residenza era stato rifiutato perché aveva osato viaggiare dall’aeroporto internazionale Ben-Gurion?

Sia il civile che il militare sembrano abbastanza gradevoli. Il civile con la kippah [copricapo ebraico, ndt.] in testa sembra a qualcuno assolutamente velleitario, mentre ad altri pare un razzista allucinato che puoi odiare e sei invitato a detestare. L’uomo in uniforme e il basco è dipinto come un adulto responsabile, nel sistema quello equilibrato e logico. Fornisce ai commentatori militari e agli esperti di questioni palestinesi le sue informazioni sintetiche e filtrate senza concessioni e senza timore dello scetticismo professionale. Le indicazioni date a diplomatici stranieri e a importanti uomini politici palestinesi è di tenersi alla larga da Smotrich. Il COGAT, invece è un interlocutore ufficiale dei rappresentanti degli Stati donatori dell’Autorità Nazionale Palestinese, e un collaboratore ammirato e abituale di importanti uomini politici del governo palestinese e di Fatah.

Tentacoli di un sistema simile a un polpo

Il cittadino S., il più giovane dei due, rappresenta una corrente politica minoritaria, anche se in espansione. Il generale M., il più anziano, è parte di una burocrazia ben oliata, ibrida, civile-militare, che è consolidata, con esperienza e simile a un polipo: l’Amministrazione Civile, impiegati governativi e personale dell’esercito, il Coordinamento Distrettuale e l’Amministrazione di Contatto, gli uffici di coordinamento distrettuale, l’amministrazione della Linea di Congiunzione, l’amministrazione dell’area di Gerusalemme, la Commissione Suprema di Pianificazione in Giudea e Samaria [denominazione israeliana di Cisgiordania, ndt.], il subcomitato di ispezione, i comitati di orientamento ispirati da o in collaborazione con lo Shin Bet [servizio di intelligence israeliano, ndt.], chiamateli come volete.

Negli scorsi anni l’assillo razzista dell’associazione no profit “Regavim”, che Smotrich ha contribuito a fondare, ha esortato l’Amministrazione Civile (subordinata al COGAT) ad accelerare la demolizione di strutture palestinesi. Inviando una richiesta all’Alta Corte di Giustizia, il gruppo, che intende preservare le terre della Nazione, ha fatto pressione per espellere dalle loro case gli abitanti di Sussia e di Khan al-Amar. Ma è l’Amministrazione civile che mette in pratica la politica di divieto di costruzione, di demolizioni e di furto delle terre palestinesi per darle agli ebrei – con ogni sorta di metodi palesi o occulti, che sono stati elaborati molto prima che Smotrich nascesse e “Regavim” fosse fondato.

Il COGAT e l’Amministrazione Civile agiscono lentamente ma inesorabilmente. Forniscono anche puntuali spiegazioni burocratiche per le loro iniziative che sono in apparenza puramente obiettive e professionali. Il 13 settembre rappresentanti dell’Amministrazione Civile si sono presentati al campo di tende del clan Jahalin a est di Gerusalemme e hanno informato gli abitanti che lo Stato aveva destinato loro un terreno in un misero, affollato e poverissimo villaggio chiamato “al-Jabal”, che era stato fondato 20 anni fa per beduini che erano stati espulsi per permettere a Ma’aleh Adumim [grande colonia israeliana a est di Gerusalemme, ndt.] di espandersi. L’avvocato della comunità, Shlomo Lecker, aveva informato il funzionario dell’Amministrazione Civile che a lui non era consentito incontrare i suoi clienti senza la sua presenza ed il suo consenso, ma il pubblico ufficiale ha semplicemente ignorato il messaggio.

L’Amministrazione Civile si sta preparando per il prossimo lunedì, il 25 settembre, quando il ricorso della comunità contro la demolizione delle sue strutture dovrebbe essere preso in considerazione. Come ha scritto B’Tselem: “Sembra che le azioni dell’Amministrazione Civile stiano preparando il terreno affinché lo Stato sostenga che sta agendo con buona volontà e che ha consultato la comunità.”

La scorsa settimana ho scritto un reportage, che probabilmente interessava a due lettori e mezzo, sui palestinesi (soprattutto maschi) che hanno osato sposare cittadini di Paesi con cui Israele ha rapporti diplomatici ed accordi per l’ingresso. Improvvisamente, senza preavviso o prendersi la briga di spiegare, il COGAT sta rendendo difficile per le loro famiglie rimanere unite. Per un verso, da molto tempo ha bloccato il processo attraverso cui chi è in possesso di passaporti stranieri e con famiglia palestinese può diventare residente permanente in Cisgiordania. Per l’altro, limita i loro visti e vieta loro di lavorare.

Come i suoi predecessori, questo coordinatore sta facendo il lavoro di mettere in pratica le politiche del governo. E’ così che obbliga famiglie “miste” a lasciare la Cisgiordania per andare all’estero, senza sbandierare quella che è l’intenzione reale.

L’espulsione di palestinesi dalle loro terre e case attraversa come una linea di filo spinato la storia di Israele, dal periodo precedente la costituzione dello Stato fino ad ora. Smotrich e Mordechai sono sia i prodotti che gli artefici di quella storia e di quella società, che negano le espulsioni che hanno attuato e continuano ad attuare, mentre al contempo non comprendono la ragione di tutto questo polverone e perché ciò sia un crimine.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 29 agosto – 11 settembre 2017 (due settimane)

Un palestinese di 21 anni, colpito con arma da fuoco dalle forze israeliane il 9 agosto, durante gli scontri nel Campo Profughi di Ad Duheisha (Betlemme), è morto per le ferite riportate.

Le autorità israeliane hanno trattenuto il suo corpo per cinque giorni, prima di consegnarlo per la sepoltura. Sale così a 19 (sei i minori) il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane durante scontri violenti verificatisi in Cisgiordania dall’inizio del 2017.

Durante scontri con le forze israeliane sono stati feriti 64 palestinesi: 61 in Cisgiordania, 3 a Gaza; 11 i minori. Almeno 6 dei feriti sono stati colpiti con armi da fuoco, 26 da proiettili di gomma e la maggior parte dei rimanenti da inalazione di gas lacrimogeno, con necessità di trattamento medico. La maggior parte degli scontri con feriti si sono verificati durante operazioni di ricerca-arresto (la più ampia si è svolta nella città di Al ‘Ezariya, Gerusalemme); nel contesto delle proteste settimanali contro le restrizioni di accesso, principalmente in Kafr Qaddum (Qalqiliya) e presso la recinzione perimetrale israeliana di Gaza; e in concomitanza con l’ingresso di coloni Israeliani e di altri fedeli alla Tomba di Giuseppe a Nablus. Inoltre, le forze israeliane hanno ferito con armi da fuoco e successivamente arrestato una donna palestinese di 60 anni che, secondo quanto riferito, al posto di controllo di Ni’lin (Ramallah) aveva tentato di pugnalare i soldati; non è stato segnalato alcun ferimento di israeliani.

Nella Striscia di Gaza, durante il periodo cui si riferisce questo rapporto, sono continuati i tagli di corrente per 18-20 ore/giorno, rendendo difficile la vita quotidiana e minando l’erogazione dei servizi di base. Nel mese di settembre, le Nazioni Unite hanno iniziato la distribuzione di circa 950.000 litri di combustibile di emergenza per consentire il funzionamento di oltre 200 strutture essenziali, tra cui centri sanitari ed impianti per il trattamento di rifiuti solidi ed acque reflue. Il finanziamento è stato sostenuto dal Fondo Umanitario per i Territori occupati (FF) e dal Fondo Centrale di Emergenza delle Nazioni Unite (CERF). Dall’Egitto, dopo due mesi di malfunzionamento, il 31 agosto due delle tre linee di alimentazione elettrica hanno ripreso a funzionare, incrementando la fornitura elettrica per la zona sud della Striscia di Gaza.

Il 31 agosto, il comandante militare israeliano per la Cisgiordania ha emesso un ordine militare che istituisce un nuovo organismo comunale per amministrare gli insediamenti di coloni israeliani che occupano il centro della città di Hebron. Dalla fine del 2015, questa zona è dichiarata “zona militare chiusa”, isolando così dal resto della città i circa 2.000 palestinesi che vi risiedono e sconvolgendo gravemente le loro condizioni di vita. Vi è il timore che questo recente sviluppo rafforzerà ulteriormente il contesto coercitivo che agisce sui residenti palestinesi, aumentando il rischio di un loro trasferimento forzato. Inoltre, sempre ad Hebron, durante il periodo di riferimento, le forze israeliane hanno chiuso una stazione radio, sequestrato le apparecchiature di radiodiffusione e consegnato un ordine di chiusura per sei mesi.

Il 5 settembre, nel quartiere di Sheikh Jarrah di Gerusalemme Est, dopo una lunga procedura giudiziaria, le forze israeliane hanno forzatamente sfollato dalla loro casa, dove vivevano dal 1964, una famiglia di otto rifugiati palestinesi, tra cui un minore e un anziano invalido. Subito dopo, la proprietà è stata consegnata a coloni israeliani che, sulla base di una legge israeliana appositamente emanata, ne reclamavano la proprietà da prima del 1948. A Gerusalemme Est, a causa di simili cause legali intentate presso i tribunali israeliani, in primo luogo da organizzazioni di coloni israeliani, oltre 800 palestinesi rischiano di essere sfrattati dalle loro case.

Nell’area C della Cisgiordania, per mancanza di permessi di costruzione emessi da Israele – quasi impossibili da ottenere – sono state demolite o confiscate quattro strutture di proprietà palestinese, incluso un ricovero fornito come assistenza umanitaria. Conseguentemente, quattro persone sono state sfollate, tra cui tre minori, mentre altre 61 sono state diversamente colpite dal provvedimento. Presso due comunità di Hebron (Khalet Athaba’a e As Samu’), le autorità israeliane, contestandone l’utilizzo per “costruzioni illegali”, hanno sequestrato tre bulldozer che lavoravano su due progetti di ristrutturazione finanziati da donatori.

Sempre in Area C, in quattro comunità, le autorità israeliane hanno rilasciato almeno 25 ordini di demolizione e arresto lavori nei confronti di strutture abitative e di sostentamento. Due di questi ordini hanno riguardato Khirbet al Fakhit, una delle 46 comunità beduine palestinesi della Cisgiordania centrale a rischio di trasferimento forzato. Altre otto strutture destinatarie degli ordini si trovano nella comunità di Birin (Hebron) ed erano state fornite come assistenza umanitaria e finanziate dal Fondo Umanitario per i Territori palestinesi occupati.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno cinque occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso agricoltori e pescatori; pur non provocando feriti, ne hanno tuttavia interrotto le attività di sussistenza. In due distinte occasioni le forze israeliane hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo all’interno di Gaza, lungo la recinzione perimetrale. Inoltre, al valico di Erez, le forze israeliane hanno arrestato un malato che viaggiava per cure mediche ed un docente universitario, in viaggio per partecipare ad un progetto scientifico.

Nel periodo cui si riferisce il presente rapporto, sono stati registrati quattro episodi in cui coloni israeliani hanno causato ferimenti di palestinesi o danni alle loro proprietà. Nel villaggio di Burqa, vicino allo sgomberato insediamento di Homesh (Nablus), un ragazzo palestinese di 15 anni, mentre stava giocando vicino a casa, è stato aggredito fisicamente, spogliato dei vestiti e ferito da un gruppo di circa 20 coloni Israeliani; il ragazzo è stato trovato in stato di incoscienza e condotto in ospedale. Nella zona H2 di Hebron controllata da Israele, una donna palestinese di 55 anni è stata colpita con pietre e ferita da coloni israeliani. Almeno 43 ulivi palestinesi sono stati vandalizzati, secondo quanto riferito, da coloni israeliani dell’insediamento di Rechelim (Nablus); il fatto è avvenuto in un’area prossima all’insediamento il cui accesso, per i palestinesi, richiede il coordinamento preventivo con le autorità israeliane. A Jalud (Nablus), coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, hanno spianato con buldozer un terreno coltivato di proprietà palestinese.

In Cisgiordania, secondo le segnalazioni dei media israeliani, si sono verificati nove casi di lancio di pietre contro veicoli israeliani: non si sono avuti feriti, ma danni ad almeno quattro veicoli.

Durante le due settimane di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato aperto per tre giorni in entrata, consentendo a 2.055 pellegrini palestinesi di tornare nella Striscia di Gaza. Nel corso del 2017, il valico è stato parzialmente aperto per soli 26 giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, oltre 20.000 persone, tra cui casi umanitari, sono registrati e in attesa di attraversare.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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Partito israeliano approva un piano di annessione per obbligare i palestinesi ad andarsene

Yotam Berger – 13 settembre 2017, Haaretz

Con l’approvazione di Netanyahu, il congresso di un partito di destra discute il proprio piano per annettere i territori palestinesi e proporre un ultimatum di resa o espulsione.

Martedì il congresso della fazione “Unione Nazionale”, che ha eletto dei parlamentari nel partito Habayit Hayehudi [“Casa Ebraica”, partito di estrema destra dei coloni, ndt.], presente nella Knesset [il parlamento israeliano, ndt.] ha approvato un piano per annettere in pratica i territori, favorendo nel contempo la partenza degli abitanti palestinesi o consentendo loro di rimanere, ma senza diritto di voto.

L’approvazione del piano, denominato dai suoi sostenitori il “Piano per la decisione”, è stata attivamente promossa dal deputato di Habayit Hayehudi Bezalel Smotrich. Esso intende “modificare il discorso e presentare una vera alternativa ad ogni piano basato sulla divisione della terra,” secondo una dichiarazione di “Unione Nazionale”.

Dopo un centinaio di anni di gestione del conflitto, è giunto il momento di prendere una decisione,” ha detto Smotrich all’assemblea. “I principi (della Sinistra) nell’arco di pochi anni sono stati accettati da una parte crescente della dirigenza israeliana. Prima a sinistra, e poi, sfortunatamente, anche a destra, che nella sua grande maggioranza ha perso la propria fede nella giustezza del nostro percorso ed è stata trascinata verso la soluzione dei due Stati.

La prospettiva del ‘Piano per la decisione’ non è nuova,” ha detto Smotrich. “Queste sono le fondamenta su cui è stato costruito il sionismo. Non accettiamo che qui ci siano due narrazioni che sono uguali. C’è una parte che è giusta e un’altra che sta minando il diritto di Israele ad esistere come Stato ebraico.”

Smotrich ha aggiunto: “Dobbiamo inculcare nella consapevolezza degli arabi e del mondo intero che non ci sono possibilità di costituire uno Stato arabo sulla Terra di Israele.”

Il piano è stato approvato all’unanimità dai delegati presenti, che includevano i parlamentari di Habayit Hayehudi Smotrich e Moti Yogev e il ministro dell’Agricoltura Uri Ariel. Il segretario del partito Naftali Bennett, tuttavia, non è stato presente al congresso, né ha inviato un messaggio registrato, mentre lo ha fatto il primo ministro Benjamin Netanyahu.

Il piano di Smotrich presenta una specie di ultimatum di resa o espulsione ai palestinesi in cui “verranno offerte due alternative agli arabi della Terra di Israele:

1. Chiunque sia pronto e disposto a rinunciare alla realizzazione delle proprie aspirazioni nazionali potrà rimanere qui e vivere come singolo individuo nello Stato ebraico.

2. Chiunque non sia pronto e disposto a rinunciare alla realizzazione delle proprie aspirazioni nazionali riceverà da noi assistenza per emigrare in uno degli Stati arabi.”

C’è anche una terza possibilità.

Chiunque insista a scegliere la terza ‘opzione’ – continuare a far ricorso alla violenza contro l’esercito israeliano, lo Stato di Israele e la popolazione ebraica, sarà risolutamente preso in consegna dalle forze di sicurezza con maggiore decisione di ora e in condizioni più sicure per noi.”

Il piano invoca inoltre una “decisione per la colonizzazione.”

Smotrich propone di offrire “autogoverno” agli arabi nei territori occupati, che “verrebbero divisi in tre governi municipali regionali che saranno nominati con elezioni democratiche,” su base distrettuale.

Secondo il piano, “questi governi si adattano alla struttura culturale e della famiglia estesa della società araba.” L’obiettivo è “di smantellare la collettività nazionale palestinese.” Viene sottolineato che “gli arabi di Giudea e Samaria [denominazione israeliana della Cisgiordania occupata, ndt.] saranno in grado di condurre la loro vita quotidiana, ma in un primo tempo non potranno votare per il parlamento israeliano.”

Come lo stesso Smotrich ha scritto nel passato in merito al piano, “la grande sfida in questo contesto sarà la sfida democratica: la necessità di persuadere il mondo che tra tutte le diverse alternative, quella dei diritti democratici senza il diritto di voto al parlamento è la meno peggio. Certamente è una sfida, ma possiamo affrontarla.”

Razzisti? Noi?

I membri di “Unione Nazionale” sembrano offendersi quando gli viene chiesto di spiegare perché il loro piano non è razzista. “Dio ce ne guardi,” dice il segretario del partito Ofir Sofer. “E’ chiaro che ci sono delle difficoltà nel discuterlo utilizzando i concetti che abbiamo oggi. Ma non è razzismo,” afferma.

  Sofer aggiunge che, benché il piano utilizzi il termine “gli arabi della Terra di Israele,” non significa che gli arabo-israeliani perderebbero la loro cittadinanza.

Il piano propone la cittadinanza,” aggiunge. “La propone a lungo termine. (Anche oggi) gli arabo-israeliani non fanno il servizio militare e gli arabi di Gerusalemme est non votano per la Knesset. Per questo penso che non si tratti di razzismo. Non puoi creare due situazioni contraddittorie – la colonizzazione e l’Autorità Nazionale Palestinese. Ma non voterei mai per un piano razzista.”

Sofer contesta anche l’uso del termine “espulsione”. “Quando abbiamo parlato di espulsione?” chiede. “Stiamo parlando di incoraggiare l’emigrazione. E’ successo per gli eritrei, ecc. Qui ci stiamo riferendo esattamente ai militanti del terrorismo, a quelli che appoggiano il terrorismo. Lei è a favore di incoraggiare l’emigrazione degli eritrei e non dei terroristi?”

Per quanto riguarda una spiegazione su cosa significherà “preso in consegna dalle forze di sicurezza“ con cui il piano mette in guardia quelli che rifiutano di andarsene e conservano aspirazioni nazionali, sia il piano che Sofer sono vaghi.

Il programma di Smotrich può suonare effimero, ma ha ricevuto il riconoscimento da parte di Netanyahu, che ha inviato un messaggio videoregistrato al congresso.

Sono contento di sentire che avete dedicato le discussioni del congresso al tema del futuro della Terra di Israele. Fino a non molti anni fa, questo Paese era spopolato ed abbandonato, ma da quando siamo tornati a Sion, dopo generazioni in esilio, la Terra di Israele sta fiorendo,” ha detto Netanyahu nel saluto registrato.

Il primo ministro ha aggiunto: “In meno di 70 anni siamo riusciti a costruire un Paese prospero, leader mondiale in economia, tecnologia, sicurezza, agricoltura, sicurezza informatica, salute e in molti altri campi. Stiamo costruendo il Paese e ci stiamo insediando sulle montagne, nelle valli, in Galilea, nel Negev e anche in Giudea e Samaria, perché questo è il nostro Paese. Ci è stato concesso il privilegio di vivere sulla terra, ed abbiamo l’obbligo di conservarla con cura.”

Il saluto del premier ha ricevuto applausi piuttosto scarsi. La spiegazione più comune di questo tra gli attivisti di “Unione Nazionale” è la loro convinzione che Netanyahu non creda realmente al piano, ma stia semplicemente tentando di superare a destra Bennett, di Habayit Hayehudi. “Sta facendo l’occhiolino alla Destra,” dice un delegato. “Capisce che i voti sono a destra,” dice un altro.

Per il ministro dell’Agricoltura Ariel, non è sufficiente che Netanyahu stia prestando attenzione.

Il ‘Piano per la decisione’ è importante, soprattutto dal punto di vista della consapevolezza,” dice Ariel. “Non basta che ci sia mezzo milione di ebrei in Giudea e Samaria, e con l’aiuto di dio ce ne sarà un milione. Dobbiamo raggiungere la consapevolezza, riconoscere la giustezza (del potere e della colonizzazione israeliani in Cisgiordania). Dire: ‘Onorevole primo ministro, signor Netanyahu, non ci sono e non ci saranno mai due Stati tra il Giordano e il mare.’ Gliel’ho detto varie volte: ‘Tu sai che non ci saranno mai due Stati.’ Ma le discussioni giorno e notte sui due Stati indeboliscono ed erodono la consapevolezza della giustizia del nostro cammino, che la Terra di Israele è nostra.”

L’assenza di Bennett dal congresso non è stata casuale; quelli che lo conoscono dicono che il ministro dell’Educazione non è molto entusiasta delle proposte di Smotrich. Pochi anni fa Bennett ha presentato il suo “Piano di pacificazione”, che includeva l’annessione di alcune parti dei territori, ma nessun meccanismo di trasferimento della popolazione.

Benché Habayit Hayehudi e “Unione Nazionale” siano strettamente legati e abbiano corso insieme per la Knesset, i seguaci di Bennett dicono che egli sa che non riuscirà mai a raggiungere i vertici politici a cui aspira – in altre parole, la carica di primo ministro – in una lista unitaria con “Unione Nazionale”. Pensa che una lista che include convinzioni politiche come quelle di Smotrich non potrà mai essere un partito di governo. La loro alleanza è stata strategica, ma se egli avrà l’opportunità di candidarsi con un partito che possa attrarre più voti centristi, sarà felice di separarsi [da “Unione Nazionale”].

Ariel ne è ben consapevole. Per questo, nel suo discorso, ha chiesto a Bennett di mantenere l’alleanza. “Faccio un appello al mio collega ed amico, il ministro Bennett – l’unità è un valore. E quando si tratta di questioni politiche, può portare a risultati molto maggiori di altre cose. Per questo noi dell’’Unione Nazionale’ stiamo lottando per l’unità del nostro campo.”

(traduzione di Amedeo Rossi)