Rapporto OCHA del periodo 7-20 febbraio 2017 (due settimane)

Il 9 febbraio, un 19enne palestinese di Beita (Nablus), ha ferito cinque civili israeliani con arma da fuoco e coltello in un mercato della città di Petah Tikva (Israele) ed è stato successivamente arrestato.

Dall’inizio del 2017, quattro soldati israeliani sono stati uccisi e altri 23 israeliani sono rimasti feriti in attacchi compiuti da palestinesi.

Il 10 febbraio, un 25enne palestinese di Tulkarem è morto in un ospedale israeliano dove era in cura per le ferite riportate nel novembre 2016, quando venne colpito dalle forze israeliane, durante un suo presunto tentativo di accoltellamento. Secondo fonti palestinesi, l’uomo, malato di cancro, si stava recando all’ospedale di Nablus per effettuare la chemioterapia ed è stato colpito mentre correva per prendere un taxi nei pressi del checkpoint di Huwwara (Nablus). Prima di essere consegnato, il suo corpo è stato trattenuto dalle autorità israeliane per una settimana.

In Cisgiordania, durante molteplici scontri con le forze israeliane, sono stati feriti 29 palestinesi, tra cui nove minori. La maggior parte dei ferimenti si è verificata durante le operazioni di ricerca-arresto e nel corso delle manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Ni’lin (Ramallah); in quest’ultimo villaggio la manifestazione ha commemorato i 12 anni di proteste anti-Barriera attuate dalla comunità locale. In due distinti episodi, nella città di Qalqiliya e nel villaggio di Bizzariya (Nablus), scontri verificatisi nei pressi di scuole hanno provocato il ferimento di cinque studenti.

Tre operai palestinesi sono morti e sei sono rimasti feriti in quattro diversi casi di crollo di tunnel per il contrabbando tra Gaza e l’Egitto. In questo settore le attività di contrabbando di merci si sono significativamente ridotte dalla metà del 2013, in seguito alla distruzione o al blocco dei tunnel attuato dalle autorità egiziane sul loro lato. Inoltre Il 7 dicembre, ad est di Gaza City, due membri palestinesi di un gruppo armato morirono ed un altro rimase ferito, in seguito al crollo di un tunnel militare.

Nella Striscia di Gaza, in almeno 40 casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti o in avvicinamento alle Aree ad Accesso Riservato (ARA) imposte da Israele su terra ed in mare. Non sono stati segnalati feriti, ma il lavoro di agricoltori e pescatori è stato più volte interrotto. Quattro palestinesi sono stati arrestati dalle forze israeliane: un mercante in transito al valico di Erez (sotto controllo israeliano) e altri tre che tentavano di entrare illegalmente in Israele. Inoltre, in due distinti episodi, le forze israeliane sono entrate in Gaza ed hanno svolto operazioni di spianatura del terreno e scavi nei pressi della recinzione perimetrale.

A Gerusalemme Est e in Area C, per mancanza dei permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito 29 strutture di proprietà palestinese, sfollando 32 persone, tra cui 20 minori, e colpendo i mezzi di sostentamento di altre 87. Fra le strutture interessate figura una rete idrica, finanziata da donatori, che serviva due comunità di pastori: Humsa al Bqia’a e Al Hadidiya, nel nord della Valle del Giordano. In meno di due mesi, questa è la seconda demolizione messa in atto contro la stessa rete idrica. In un altro episodio, durante una operazione di ricerca-arresto nella città di Hebron, le forze israeliane hanno distrutto una struttura agricola appartenente ad una famiglia di sette persone.

Il 19 febbraio, le autorità israeliane hanno consegnato ordini di arresto lavori contro quasi tutte le strutture della Comunità beduina palestinese di Khan al Ahmar-Abu al Helu (140 persone), che si trova nella zona C del governatorato di Gerusalemme. Fra le strutture coinvolte vi è una scuola primaria, finanziata da donatore, costruita con pneumatici e fango, utilizzata da circa 170 bambini provenienti da cinque comunità beduine palestinesi. Al leader della Comunità è stato detto che non hanno altra scelta se non trasferirsi in uno dei due “siti di rilocalizzazione” prestabiliti [da Israele] per il trasferimento delle 46 comunità beduine della Cisgiordania centrale (circa 7.000 persone a rischio di trasferimento forzato). Il Coordinatore Umanitario per i Territori occupati palestinesi, Robert Piper, ha visitato Khan al Ahmar ed ha richiamato Israele a fermare le pressioni sulla comunità ed al rispetto del diritto internazionale.

Nella zona di Silwan di Gerusalemme Est, coloni israeliani si sono trasferiti in una parte di casa palestinese che, secondo quanto riferito, avevano acquistato dai proprietari palestinesi. Silwan è stato bersaglio di intensa attività di insediamento che ha posto centinaia di residenti a rischio di sfollamento. Durante la stessa settimana, sempre a Silwan, per mancanza di permessi di costruzione israeliani (quasi impossibili da ottenere) le autorità israeliane hanno consegnato ordini di demolizione nei confronti di otto edifici che ospitano circa 120 persone.

In vari episodi che vedono coinvolti coloni israeliani, sono stati registrati il ferimento di tre palestinesi e danni significativi alle proprietà. In questi episodi sono compresi l’aggressione fisica e il ferimento di una ragazza palestinese di 14 anni, ad Hebron nella zona della città controllata da Israele, e di un giornalista palestinese, nei pressi dell’insediamento di Ofra (Ramallah). Inoltre, nei pressi di Beit Ummar (Hebron), un palestinese è stato investito e ferito dal veicolo di un colono israeliano; secondo fonti palestinesi, suffragate da riprese video, si sarebbe trattato di uno speronamento intenzionale. Vandalismi su proprietà palestinesi sono state riportate in tre episodi distinti: l’uccisione di una pecora e il ferimento di altre due a Tell al Himmeh (Tubas); la vandalizzazione di oltre 350 alberi e alberelli di proprietà palestinese nel villaggio di Al-Khader (Betlemme); il danneggiamento di un pozzo d’acqua utilizzato da più di 50 agricoltori a Deir Istiya (Salfit).

I media israeliani hanno riferito almeno 18 episodi di lanci di pietre e bottiglie incendiarie contro veicoli israeliani da parte di palestinesi: feriti quattro coloni israeliani, tra cui una donna, a Gerusalemme, Ramallah e Betlemme. Sono stati riferiti anche danni a diversi veicoli israeliani.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per tre giorni in ingresso e per un giorno in uscita: è stata consentita l’uscita dalla Striscia di Gaza a 1.527 persone e il rientro a 1.373. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, circa 20.000 persone, tra cui casi umanitari, sono registrate e in attesa di uscire da Gaza attraverso Rafah.

¡

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 21 febbraio, un tribunale militare israeliano ha condannato a 18 mesi di prigione un soldato israeliano che, nel marzo 2016, nella città di Hebron, uccise un palestinese ferito che aveva effettuato una aggressione. Secondo la sentenza del tribunale, l’uomo ferito, al momento dell’uccisione, era steso a terra e non costituiva alcun pericolo.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

la versione in italiano è scaricabile dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

þ




La tracotanza militare rappresenta un disastro

Amira Hass, 21 febbraio 2017 Haaretz

L’idea che Israele possa essere cambiato o sconfitto con gli strumenti in cui eccelle – guerra e uccisioni – è la definitiva identificazione con la mentalità israeliana.

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah, afferma che i missili di Hezbollah possono raggiungere l’impianto nucleare israeliano nella città di Dimona, nel Negev. E’ difficile sospettare che intenda causare la morte di decine o centinaia di migliaia di palestinesi nella vicina Gaza e nel Negev, o provocare loro malattie letali. Hezbollah è riuscita a cacciare dal proprio Paese l’occupazione israeliana. Per questo Hezbollah ed il popolo libanese meritano apprezzamento. Però oggi le sue affermazioni possono essere interpretate come millanteria, cosa che più di ogni altra rivela paura e debolezza.

Nella Striscia di Gaza è stato eletto alla guida del movimento [Hamas] un nuovo leader, Yahya Sanwar. Hamas è un partito moderno ed organizzato, che tiene regolari elezioni interne, benché clandestine, un’impresa che Fatah non è mai riuscita a realizzare neppure operando alla luce del sole ed in relativa libertà. Hamas cambia i suoi capi e nessuno di loro decide le linee politiche da solo, al contrario della situazione all’interno di Fatah.

A Gaza si dice che Sanwar è stato eletto perché ha acquisito grandi capacità di leadership in prigione, e che è modesto, ascolta gli altri ed è equilibrato. Ma anche se lui aderisce all’attuale tendenza politica per evitare un conflitto armato, l’ala militare della sua organizzazione lavora incessantemente per armarsi e migliorare le proprie potenzialità. Le sue ostentate parate militari inviano un messaggio, anche quando Iz al-Din al-Qassam (ala militare di Hamas, ndtr.) smette di sparare.

Le parate e le promesse creano un’atmosfera di ‘resistenza’. Scatenano l’immaginazione del popolo che stiamo opprimendo e schiacciando, dando loro una speranza, un filo di speranza a cui aggrapparsi. Ma ci si dimentica di alcuni fatti: dopo la guerra in Libano del 2006, Hezbollah non ha osato aprire un secondo fronte quando Gaza veniva attaccata da tre offensive israeliane. Dal momento del rapimento di Gilad Shalit nel giugno 2006 fino all’offensiva del dicembre 2008, Israele ha ucciso 1.132 abitanti della Striscia di Gaza. Di questi, 604 erano legati a gruppi armati, ma non tutti avevano necessariamente preso parte agli scontri. Dei civili uccisi, 207 erano minori e 89 erano donne. Erano anche parte del prezzo pagato per il rilascio di Sanwar e di altri.

Il profilo personale di Sanwar che appare sui siti web di Hamas attesta che ha messo a morte dei collaborazionisti nell’ambito di una strategia incentrata sulla deterrenza. Sono passati trent’anni e il collaborazionismo non è diminuito. L’assassinio – ovviamente di solito di pesci piccoli e di innocenti – non si è dimostrato efficace.

Questa settimana un portavoce che partecipava ad una conferenza in Iran ha detto che Hamas dispone di gruppi armati in Cisgiordania. Le loro attività sono forse riuscite in passato a fermare l’orgia colonialista israeliana? No. Non ci sono riuscite neanche le tattiche diplomatiche, anche questo è vero. Ma se il risultato è lo stesso, perché scegliere la strada senza uscita che comprende uccisioni, arresti e distruzioni? Potreste dire che è una domanda ingenua e femminile, e noi rispondiamo: questa è una tattica fallimentare e maschile.

I palestinesi lamentano che i loro figli adottano i concetti di Israele ed interiorizzano il disprezzo nei loro confronti. Ma l’idea che Israele possa essere cambiato o sconfitto con i mezzi in cui eccelle – guerra ed uccisioni – è proprio l’estrema identificazione con la mentalità israeliana.

Israele ha un costante interesse ad esagerare la minaccia militare costituita dalle due organizzazioni religiose islamiche. Questa tendenza va di pari passo con la sistematica distorsione della realtà attraverso la presentazione degli ebrei come vittime dei palestinesi. Entrambe le organizzazioni islamiche hanno interesse a che Israele le consideri esageratamente temibili. Questo accresce il loro peso politico.

Israele procede senza campagne militari a tutto campo, usando la violenza burocratica, il sadismo organizzato, la concentrazione dei palestinesi in enclaves e l’assedio. Ma per le sue esigenze politiche interne ed estere sa molto bene, quando necessario, come usare la tracotanza militare. Allora questo rappresenta un disastro che richiede anni per una pur debole ripresa. Non bisogna tirare questa corda. Bisogna trovare altri metodi di lotta.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Manifestanti organizzano un sit in alla scuola di Khan al-Ahmar, che è nella lista delle demolizioni

Ma’an News

Betlemme- 23 febbraio 2017

Giovedì il ministero dell’Educazione dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha organizzato un sit in di protesta nella scuola del villaggio beduino di Khan al-Ahmar nella Cisgiordania occupata contro l’ ordine imminente del governo israeliano per la demolizione della scuola e dell’intero villaggio.

I manifestanti hanno condannato l’ordine israeliano di demolizione della scuola di Khan al-Ahmar – che fornisce il servizio a 150 studenti tra maschi e femmine – ed hanno espresso la propria rabbia nei confronti dell’esercito israeliano, che prende di mira una scuola per bambini e “cerca di escluderli dal diritto all’istruzione”.

Il ministro dell’Educazione Sabri Sedim ha fatto appello a tutti i palestinesi “perché resistano e si oppongano ai progetti israeliani e alle violazioni contro l’educazione e contro le comunità beduine che svelano l’orribile volto dell’occupazione,” aggiungendo che il ministero “realizzerà tutti gli sforzi possibili per bloccare le pratiche israeliane e denunciarle sui media e nei tribunali.”

La scorsa settimana le autorità israeliane hanno emesso ordinanze di demolizione di 40 case e della scuola elementare del villaggio, compresi ordini di blocco dei lavori nei confronti di varie strutture del villaggio, che si trova nell’Area C – più del 60% della Cisgiordania sotto totale controllo israeliano e luogo di frequenti demolizioni da parte di Israele.

Al momento abitanti locali hanno detto a Ma’an che forze israeliane hanno imposto la chiusura militare della zona prima di consegnare gli ordini di demolizione, mentre a insegnanti e studenti della scuola è stato impedito l’accesso all’edificio.

Nonostante il fatto che la comunità, e la scuola in particolare, siano state minacciate di demolizione dal governo israeliano da anni, gli abitanti del luogo hanno detto che la consegna di avvisi di demolizione per ogni singola casa rappresenta un colpo senza precedenti.

Mercoledì funzionari dell’ONU hanno visitato la comunità beduina ed hanno definito la situazione “inaccettabile”. ” Khan al-Ahmar è una delle comunità più vulnerabili della Cisgiordania, che lotta per conservare uno standard minimo di vita di fronte alle pesanti pressioni da parte delle autorità israeliane per spostarla in un luogo di ricollocazione stabilito,” ha affermato in un comunicato Robert Piper, il coordinatore per l’aiuto umanitario e per le attività di sviluppo dell’ONU per i territori palestinesi occupati, aggiungendo che “questo è inaccettabile e deve finire.”

Khan al-Ahmar, come altre comunità beduine della regione, è minacciata di trasferimento da Israele in quanto si trova nel conteso “Corridoio E1”, stabilito dal governo israeliano per collegare Gerusalemme est annessa [a Israele] con la grande colonia di Maale Adumim.

Le autorità israeliane pianificano di costruire nell’E1 migliaia di abitazioni per le colonie solo per ebrei, il che dividerebbe in effetti la Cisgiordania e renderebbe la creazione di uno Stato palestinese contiguo – come previsto dalla soluzione dei due Stati per il conflitto israelo-palestinese – praticamente impossibile.

I gruppi per i diritti umani e i membri della comunità beduina hanno fortemente criticato i piani di ricollocazione da parte di Israele per i beduini che risiedono nei pressi delle colonie israeliane illegali di Maale Adumim, sostenendo che lo spostamento rimuoverebbe palestinesi autoctoni con lo scopo di espandere le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata, in violazione delle leggi internazionali.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Leggi la trascrizione integrale: la conferenza stampa congiunta di Trump e Netanyahu

Haaretz | 15 febbraio 2017

La prima conferenza stampa congiunta del presidente USA Trump e del primo ministro israeliano Netanyahu.

IL PRESIDENTE TRUMP: Molte grazie. Grazie. Oggi ho l’onore di dare il benvenuto al mio amico, il primo ministro Benjamin Netanyahu, alla Casa Bianca. Con la sua visita, gli Stati Uniti riconfermano ancora una volta il proprio legame indissolubile con il nostro benamato alleato, Israele. La collaborazione tra i nostri due Paesi, basata sui valori da noi condivisi, ha promosso la causa della libertà dell’uomo, della dignità e della pace. Questi sono gli elementi fondamentali della democrazia.

Lo Stato di Israele è un simbolo per il mondo di resistenza di fronte all’oppressione – non posso pensare a nessun altro Stato che abbia passato quello che è toccato a loro – e di sopravvivenza di fronte al genocidio. Non dimenticheremo mai quello che ha sopportato il popolo ebreo.

La vostra perseveranza di fronte all’ostilità, la vostra democrazia aperta di fronte alla violenza e il vostro successo nell’affrontare grandi avversità è veramente fonte d’ispirazione. Le sfide per la sicurezza che Israele ha dovuto affrontare sono enormi, compresa la minaccia delle ambizioni nucleari dell’Iran, di cui io ho parlato parecchio. Uno dei peggiori accordi che abbia mai visto è quello con l’Iran. La mia amministrazione ha appena imposto nuove sanzioni e farò ancora di più per evitare che l’Iran possa mai sviluppare – intendo dire mai – armi nucleari.

La nostra assistenza per la sicurezza nei confronti di Israele è attualmente a un livello record, garantendo che Israele abbia la capacità di difendersi dalle minacce, che purtroppo sono molte. I nostri due Paesi continueranno a crescere. Abbiamo una lunga storia di cooperazione nella lotta contro il terrorismo e contro coloro che non danno valore alla vita umana. America e Israele sono due Nazioni che onorano il valore di ogni vita umana.

Questa è una delle molte ragioni per cui rifiuto azioni scorrette e di parte contro Israele alle Nazioni Unite – che hanno appena trattato Israele, secondo me in modo molto, molto scorretto – o in altri forum internazionali, così come il boicottaggio che prende di mira Israele. La nostra amministrazione è impegnata a lavorare con Israele e con i nostri comuni alleati nella regione verso una maggiore sicurezza e stabilità. Ciò include lavorare per un accordo di pace tra Israele e i palestinesi. Gli Stati Uniti incoraggeranno un accordo di pace, e veramente un grande accordo. Lavoreremo su questo con molto, molto impegno. E’ molto importante anche per me – qualcosa che vogliamo fare. Ma sono le stesse parti in causa che devono negoziare direttamente un accordo. Noi staremo dietro di loro; lavoreremo con loro.

Come per ogni negoziato che abbia successo, entrambe le parti dovranno arrivare a compromessi. Lo sa, giusto? (risate)

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Entrambe le parti.

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio che il popolo israeliano sappia che gli Stati Uniti stanno dalla parte di Israele nella lotta contro il terrorismo. Come lei sa, primo ministro, le nostre due Nazioni condanneranno sempre gli atti di terrorismo. La pace richiede che le Nazioni rispettino la dignità della vita umana e siano una voce per tutti coloro che sono in pericolo e dimenticati.

Questi sono gli ideali a cui tutti aspiriamo e sempre aspireremo e per cui siamo impegnati. Questo sarà il primo di molti altri incontri produttivi. E io, di nuovo, primo ministro, la ringrazio molto per essere con noi oggi.

Grazie, primo ministro.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Presidente Trump, la ringrazio per l’ospitalità davvero molto calorosa, che lei e Melania avete dimostrato nei miei confronti, nei confronti di mia moglie Sara e di tutta la nostra delegazione. Per me, per lo Stato di Israele, è stato così chiaramente evidente nelle parole che ha appena detto – che Israele non ha nessun miglior alleato degli Stati Uniti. E voglio assicurarle che gli Stati Uniti non hanno nessun migliore alleato che Israele.

La nostra alleanza è stata particolarmente forte, ma sotto la sua direzione sono convinto che lo diventerà ancora di più. Sono ansioso di lavorare con lei per potenziare notevolmente la nostra alleanza in ogni campo – nella sicurezza, nella tecnologia, nell’informatica e nel commercio, e in molti altri settori. E io sicuramente accolgo con favore la sua sincera richiesta che Israele venga trattato in modo corretto nei contesti internazionali e che le calunnie e il boicottaggio di Israele siano fortemente avversati dal potere e dalla posizione morale degli Stati Uniti d’America.

Come lei ha detto, la nostra alleanza si basa su un legame profondo di valori e interessi comuni. E, sempre più, questi valori ed interessi sono sotto attacco da parte di una forza malvagia: il terrorismo radicale islamico. Signor presidente, lei ha mostrato grande chiarezza e coraggio nell’affrontare la sfida a viso aperto. Lei chiede di affrontare il regime terroristico iraniano, impedendo all’Iran di realizzare questo terribile affare dell’ arsenale nucleare. E lei ha detto che gli Stati Uniti sono impegnati a impedire che l’Iran abbia armi nucleari. Lei invoca la sconfitta dell’ISIS. Credo che, sotto la sua guida, potremo contrastare la crescente marea dell’Islam radicale. E in questo grande compito, come in molti altri, Israele ed io saremo con lei.

Signor presidente, nello sconfiggere l’Islam militante, possiamo cogliere un’opportunità storica – perché, per la prima volta nella mia vita, e per la prima volta nella storia del mio Paese, Paesi arabi della regione non vedono Israele come un nemico, ma sempre più come un alleato. E credo che sotto la sua direzione questo cambiamento nella nostra regione crei un’opportunità senza precedenti per rafforzare la sicurezza e promuovere la pace.

Cogliamo insieme questo momento. Rafforziamo la sicurezza. Chiediamo nuovi orizzonti di pace. Portiamo la straordinaria alleanza tra Israele e gli Stati Uniti a livelli ancora maggiori.

Grazie. Grazie, signor presidente.

IL PRESIDENTE TRUMP: Grazie, grazie ancora.

Risponderemo ad alcune domande. David Brody, Televisione Cristiana [CBN, televisione evangelica di destra. Ndtr.]. David.

D.: Grazie, signor presidente, signor primo ministro. Entrambi avete criticato l’accordo nucleare con l’Iran e talvolta avete anche chiesto di annullarlo. Mi chiedo se non siate preoccupati per quanto riguarda non solo il consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, che da poco non è più qui, ma anche alcuni di quei fatti che si sono verificati in Russia riguardo alle comunicazioni – se questo non stia ostacolando del tutto questo accordo, e se ciò impedirà all’Iran di diventare uno Stato nucleare oppure no.

E in secondo luogo, riguardo alle colonie, siete entrambi sulla stessa lunghezza d’onda? Come definite esattamente quanto riguarda la questione delle colonie? Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP. Michael Flynn, il generale Flynn, è una persona stupenda. Penso che sia stato trattato in modo veramente, veramente scorretto dai media – come li chiamo io, i media bugiardi, in molti casi. E penso che sia stata veramente una cosa triste che sia stato trattato così male. Penso, inoltre, anche da parte dell’intelligence – sono filtrati documenti, sono stati divulgati dei fatti. Sono azioni criminali, e ciò è continuato per molto tempo – prima di me. Ma ora continua, e ci sono persone che stanno cercando di utilizzarle come alibi per la terribile sconfitta dei democratici con Hillary Clinton.

Penso che sia veramente, veramente scorretto quello che è succeso al generale Flynn, il modo in cui è stato trattato, e i documenti che sono stati illegalmente – lo sottolineo – illegalmente divulgati. Molto, molto scorretto.

Il merito alle colonie, vorrei che vi soffermaste un attimo sugli insediamenti. Troveremo una soluzione. Ma vorrei che si facesse un accordo. Penso che si farà un accordo. So che ogni presidente lo avrebbe voluto. La maggior parte di loro non ha iniziato fino a fine [mandato] perché non ha mai pensato che fosse possibile. E non è stato possibile perchè non l’hanno fatto.

Ma Bibi [Netanyahu] ed io ci conosciamo da molto tempo – un uomo abile, grande negoziatore. E penso che stiamo per raggiungere un accordo. Potrebbe essere un accordo più complessivo e migliore di quanto le persone in questa stanza abbiano mai sentito parlare. E’ possibile. Per cui state a vedere quello che faremo.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Proviamoci.

IL PRESIDENTE TRUMP: Non sembra molto ottimista, ma -(Risate) – è un buon negoziatore.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Questa è “l’arte dell’accordo.” (Risate)

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio anche ringraziare – voglio anche ringraziare – Sara, per favore, ti puoi alzare? Su sei così adorabile e sei stata così carina con Melania. Lo apprezzo moltissimo. (Applausi). Grazie. E’ il tuo turno.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Sì, prego, andiamo avanti.

D. Molte grazie. Signor presidente, nella sua visione per la nuova pace in Medio Oriente lei è pronto ad abbandonare la nozione della soluzione dei due Stati che è stata adottata dalla precedente amministrazione? E lei sarà disposto ad ascoltare idee diverse dal primo ministro, come alcuni dei suoi alleati gli stanno chiedendo di fare, per esempio, l’annessione di parti della Cisgiordania e nessuna limitazione per la costruzione delle colonie? E un’altra domanda: sta per concretizzare la sua promessa di spostare l’ambasciata USA in Israele a Gerusalemme? E se è così, quando?

E, signor primo ministro, lei è venuto qui stasera per dire al presidente che sta facendo marcia indietro rispetto alla soluzione dei due Stati?

Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP: Sto guardando ai due Stati e allo Stato unico, e mi piace la soluzione che piace alle due parti. (Risate). Sono molto contento di quello che piace alle due parti. Posso accettare una o l’altra.

Ho pensato per un momento che quella dei due Stati sembrasse la più facile per entrambi. Ma onestamente, se Bibi e i palestinesi – se Israele e i palestinesi sono contenti, sono contento di quella che loro preferiscono.  

Riguardo allo spostamento dell’ambasciata a Gerusalemme, mi piacerebbe che succedesse. Ce ne stiamo occupando molto, molto seriamente. Ce ne stiamo occupando con molta attenzione – molta attenzione, credetemi. E staremo a vedere cosa succede. Va bene?

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Grazie. Ieri ho letto che un funzionario americano ha detto che se chiedi a cinque persone a cosa assomiglierebbero due Stati, otterresti otto risposte diverse. Signor presidente, se lei chiede a cinque israeliani, avrà in cambio 12 risposte diverse. (Risate).

Ma piuttosto che occuparmi di etichette, voglio occuparmi di sostanza. E’ ciò che ho sperato di fare per anni in un mondo che è assolutamente ossessionato dalle etichette e non dalla sostanza. Per cui ecco la sostanza: ci sono due prerequisiti che ho esposto due anni fa – parecchi anni fa, e non sono cambiati.

Primo, i palestinesi devono riconoscere lo Stato ebraico. Devono smettere di chiedere la distruzione di Israele. Devono smettere di formare il loro popolo per la distruzione di Israele

Secondo, in qualunque accordo di pace, Israele deve conservare il controllo predominante per la sicurezza sull’intera zona ad ovest del fiume Giordano. Perché se non l’abbiamo, sappiamo quello che succederà – perché altrimenti avremo un altro Stato terroristico radicale islamico nelle zone palestinesi che farà esplodere la pace, farà esplodere il Medio Oriente.

Ora, sfortunatamente, i palestinesi rifiutano categoricamente entrambi i prerequisiti per la pace. Primo, continuano a sostenere la distruzione di Israele – nelle loro scuole, nelle moschee, nel libri di testo. Dovete leggerli per crederci.

Negano persino, signor presidente, il nostro legame storico con la nostra patria. E penso che dovreste chiedervi: perché – perché gli ebrei sono chiamati così? Bene, i cinesi sono chiamati cinesi perchè vengono dalla Cina. I giapponesi sono chiamati giapponesi perchè vengono dal Giappone. Bene, gli ebrei sono chiamati giudei perché vengono dalla Giudea. E’ la nostra terra ancestrale. Gli ebrei non sono colonialisti stranieri in Giudea.

Perciò, sfortunatamente, non solo i palestinesi negano il passato, ma avvelenano anche il presente. Danno il nome di assassini di massa, che hanno ucciso israeliani, a pubbliche piazze, e devo dire che hanno assassinato anche americani. Finanziano – danno sussidi mensili a famiglie di assassini, come la famiglia del terrorista che ha ucciso Taylor Force, un magnifico giovane americano, un laureato di West Point, che è stato accoltellato a morte mentre visitava Israele.

Perciò questa è la fonte del conflitto – il costante rifiuto palestinese di riconoscere lo Stato ebraico all’interno di qualunque confine: questo costante rifiuto. Questa è la ragione per cui non abbiamo la pace. Ora, ciò deve cambiare. Voglio che cambi. Non solo non ho abbandonato questi due prerequisiti per la pace; sono diventati ancora più importanti a causa della crescente ondata di fanatismo che ha travolto il Medio Oriente ed ha anche, sfortunatamente, infettato la società palestinese.

Quindi voglio che questo cambi. Voglio questi due prerequisiti per la pace – sostanza, non etichette – voglio che siano reintrodotti. Ma se qualcuno pensa che io, in quanto primo ministro di Israele, responsabile della sicurezza del mio Paese, voglia ciecamente andare verso uno Stato palestinese terrorista che vuole la distruzione del mio Paese, si sbaglia di grosso.

I due prerequisiti per la pace – riconoscimento dello Stato ebraico e le necessità di sicurezza di Israele a ovest del Giordano- rimangono in vigore. Dobbiamo cercare nuove vie, nuove idee su come ripristinarli e come mandare avanti la pace. E io credo che la grande opportunità per la pace venga da un approccio regionale che coinvolga i nostri nuovi alleati arabi nella ricerca di una pace più complessiva e una pace con i palestinesi.

E io sono ansioso di discuterne nei dettagli con lei, signor presidente, perché penso che se lavoriamo insieme, abbiamo una possibilità.

IL PRESIDENTE TRUMP: E ne abbiamo discusso, ed è una cosa che è molto diversa, che non è mai stata discussa prima. Ed è veramente una faccenda molto più grande, molto più importante, in un certo senso. Coinvolgerà molti, molti Paesi e coprirà un territorio molto ampio. Per cui non sapevo che stesse per parlarne, ma è così e questo è… ora che lo ha fatto, penso che sia una cosa enorme e che abbiamo una collaborazione veramente buona da popoli che in passato non avrebbero mai, non hanno mai neanche pensato di farlo. Per cui vedremo come questo funzionerà.

Katie di Townhall [sito conservatore di notizie. Ndtr.]. Dov’è Katie? Là. Katie.

D. Grazie, signor presidente. Nelle sue considerazioni iniziali lei ha detto che entrambe le parti dovranno arrivare a compromessi quando si arriverà a un accordo di pace. Lei ha menzionato un blocco alle colonie. Ci può esporre qualche altro compromesso specifico a cui lei sta pensando, sia per gli israeliani che per i palestinesi?

E, signor primo ministro, che cosa si aspetta dalla nuova amministrazione su come modificare l’accordo nucleare con l’Iran o annullarlo del tutto, e come lavorare complessivamente con la nuova amministrazione per combattere la crescente aggressività dell’Iran, non solo negli ultimi mesi ma anche negli ultimi due anni?

IL PRESIDENTE TRUMP: E’ davvero una domanda interessante. Penso che gli israeliani debbano dimostrare una certa flessibilità, il che è difficile, difficile da fare. Dovranno dimostrare il fatto che vogliono davvero fare un accordo. Penso che il nostro nuovo concetto che abbiamo discusso in effetti per un po’ di tempo è qualcosa che consenta loro di mostrare maggiore flessibilità di quella che hanno avuto in passato perché c’è un canovaccio molto più ampio da recitare. E penso che lo faranno.

Penso che a loro piacerebbe molto arrivare ad un accordo o non sarei contento e non sarei qui e non sarei così ottimista. Io penso davvero che loro – posso dire dal punto di vista di Bibi e di Israele, credo davvero che vogliano fare un accordo e che vogliano vedere un grande accordo.

Penso che i palestinesi debbano liberarsi di parte dell’odio che hanno insegnato loro fin dall’infanzia. Hanno insegnato loro un odio terribile. Ho visto quello che insegnano. E tu puoi parlare anche lì di flessibilità, ma iniziano dalla tenera età e nelle scuole. E devono riconoscere Israele – dovranno cominciare a farlo. Non c’è modo di fare un accordo se non sono disposti a riconoscere un Paese veramente grande e importante. E penso che saranno disponibili anche a questo. Ma ora credo anche, Katie, che avremo altri attori ad un livello molto alto, e penso che ciò renderà più facile sia ai palestinesi che a Israele ottenere qualcosa.

Va bene? Grazie. Domanda molto interessante. Grazie.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Lei ha chiesto dell’Iran. Una cosa è impedire che l’Iran abbia armi nucleari – una cosa che il presidente Trump ed io crediamo di essere molto impegnati a fare. E noi stiamo naturalmente per discutere di questo.

Oltre a questo penso che il presidente Trump abbia guidato un’importante iniziativa nelle ultime settimane, appena ha assunto la presidenza. Ha sottolineato che ci sono violazioni, violazioni iraniane sui test dei missili balistici. Tra l’altro su questi missili balistici c’è scritto in ebraico “Israele deve essere distrutto.” Il palestinese… anzi, il ministro degli Esteri iraniano Zafir ha affermato, bene, i nostri missili balistici non sono pensati contro nessun Paese. No. Scrivono sul missile in ebraico: “Israele deve essere distrutto.”

Per cui sfidare l’Iran sulle sue violazioni in merito ai missili balistici, imporre sanzioni contro Hezbollah [gruppo armato sciita libanese. Ndtr.], impedirglielo, far pagare a loro per il terrorismo che fomentano in tutto il Medio Oriente ed altrove, molto al di là [del Medio Oriente] – credo che sia un cambiamento che è chiaramente evidente da quando il presidente Trump ha assunto la presidenza. Ne sono lieto. Penso che sia – lasciatemelo dire molto esplicitamente: credo che sia molto tardi, e penso che se lavoriamo insieme – e non solo gli Stati Uniti e Israele, ma molti altri nella regione che vedono in faccia le grandi dimensioni e il pericolo della minaccia iraniana, allora ritengo che possiamo respingere l’aggressività iraniana e il pericolo. E si tratta di qualcosa che è importante per Israele, per gli Stati arabi, ma penso che sia di vitale importanza per l’America. Quei tizi stanno sviluppando ICBM [missili balistici intercontinentali]. Stanno sviluppando – vogliono arrivare ad avere un arsenale nucleare, non una bomba, centinaia di bombe. E vogliono avere la capacità di lanciarli ovunque sulla terra, compreso, e soprattutto, un giorno, sugli Stati Uniti.

Quindi è una cosa importante per tutti noi. Mi rallegro del cambiamento, e intendo lavorare con il presidente Trump molto da vicino in modo che possiamo contrastare questo pericolo.

IL PRESIDENTE TRUMP: Ottimo. Avete qualcun altro?

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Moav?

D. Signor presidente, a partire dalla sua campagna elettorale ed anche dopo la sua vittoria, abbiamo assistito ad un’impennata di incidenti antisemiti negli Stati Uniti. E mi chiedo cosa lei dica a quelli, tra la comunità ebraica negli Stati Uniti, e in Israele, e forse in tutto il mondo, che credono e sentono che la sua amministrazione sta giocando con la xenofobia e forse con toni razzisti.

E, signor primo ministro, lei è d’accordo con quello che ha appena detto il presidente in merito alla necessità per Israele di limitare o bloccare l’attività di colonizzazione in Cisgiordania? E una piccola aggiunta alle domande del mio amico – una semplice domanda: ha abbandonato la sua visione per la fine del conflitto della soluzione dei due Stati, come l’ha enunciata nel discorso di Bar-Ilan [università israeliana. Ndtr.], o lei continua ad appoggiarla? Grazie.

IL PRESIDENTE TRUMP: Voglio solo dire che siamo molto onorati dalla vittoria che abbiamo avuto – 306 voti del collegio elettorale. Non pensavamo di superare i 220. Lo sa, vero? Non c’era modo di arrivare a 221, ma allora hanno detto che non si poteva arrivare a 270. E c’è un enorme entusiasmo in giro.

Dirò che stiamo per avere pace in questo Paese. Stiamo per porre fine al crimine in questo Paese. Stiamo per fare ogni cosa in nostro potere per porre fine al razzismo a lungo covato e ad ogni altra cosa che sta succedendo, perché molte cose malvagie sono successe per un lungo periodo di tempo.

Credo che una delle ragioni per cui ho vinto le elezioni è che abbiamo una Nazione molto, molto divisa. Molto divisa. E, auspicabilmente, sarò in grado di fare qualcosa a questo proposito. E, sapete, è stata una cosa molto importante per me.

Riguardo alla gente – gli ebrei- molti amici, una figlia che è appena arrivata qui, un genero e tre bellissimi nipoti. Penso che vedrete degli Stati Uniti molto diversi nei prossimi tre, quattro o otto anni. Penso che avverranno molte cose buone, e state per vedere molto amore. State per vedere molto amore. Va bene? Grazie.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Credo che la questione delle colonie non sia al centro del conflitto, né lo stia davvero guidando. Penso che sia un problema, deve essere risolto nel contesto dei negoziati di pace. E penso che dobbiamo parlare anche di questo, il presidente Trump ed io, in modo da arrivare ad una comprensione, quindi non dobbiamo continuare a scontrarci tutto il tempo su questo problema. E stiamo per discuterne.

Sulla domanda che ha fatto, lei con la sua domanda è proprio tornato sul problema di cui ho parlato. E’ l’etichetta. Cosa intende Abu Mazen per due Stati, va bene? Cosa intende? Uno Stato che non riconosce lo Stato ebraico? Uno Stato che è fondamentalmente disposto ad attacchi contro Israele? Di cosa stiamo parlando? Stiamo parlando del Costarica, o stiamo parlando di un altro Iran?

Quindi ovviamente ciò significa cose diverse. Vi ho detto quali sono le condizioni che credo siano necessarie per un accordo: sono il riconoscimento dello Stato ebraico e il controllo della sicurezza di Israele- di Israele – nell’intera area. Altrimenti stiamo solo fantasticando. Altrimenti avremo un altro Stato fallito, un’altra dittatura islamista terrorista che non lavorerà per la pace ma per distruggerci, ma anche per distruggere ogni speranza – ogni speranza – per un futuro pacifico per il nostro popolo.

Quindi sono stato molto chiaro in merito a queste condizioni, e non sono cambiate. Non ho cambiato. Se lei legge quello che ho detto otto anni fa, è proprio questo. E l’ho ripetuto ancora e ancora e ancora. Se lei vuole occuparsi di etichette, si occupi di etichette. Io mi occuperò di cose concrete.

E in conclusione, se posso rispondere a qualcosa che conosco per esperienza personale. Conosco da molti anni il presidente Trump, e per accennare a lui e alla sua gente – i suoi collaboratori, alcuni dei quali conosco, anche loro, da molti anni. Posso rivelare, Jared, da quanto ti conosco? (Risate.) Bene, non è mai stato piccolo. E’ sempre stato grande. E’ sempre stato alto.

Ma io conosco il presidente e la sua famiglia e i suoi collaboratori da molto tempo, e non c’è maggior sostenitore del popolo ebraico e dello Stato ebraico del presidente Donald Trump. Penso che dovremmo smetterla con questa storia.

IL PRESIDENTE TRUMP: Molte grazie. Molto gentili. Lo apprezzo molto.

IL PRIMO MINISTRO NETANYAHU: Grazie.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Gli eroi palestinesi di Hebron

Haaretz, Amira Hass, 20 febbraio 2017

L’esercito israeliano non ammette che gli agricoltori palestinesi hanno bisogno di una scorta militare per coltivare le loro terre, in modo da impedire ai coloni di creare scompiglio.

Quando si parla di estrema violenza perpetrata dai coloni con l’incoraggiamento ufficiale, si pensa a Hebron (scusandoci per escludere dalla discussione tutte le altre colonie che beneficiano di provvedimenti di totale trasferimento – adducendo come motivo la violenza. E le colonie “moderate” di Efrat, Ariel, Givat Ze’ev e altre della stessa risma, la cui ingordigia di terra è appoggiata dalla violenza ufficiale e burocratica, che ha destinato terreni pubblici e privati alla costruzione di quartieri di classe media per ebrei – israeliani e di recente immigrazione – mentre distrugge il territorio palestinese).

Quando si dice Hebron, si pensa alla città vecchia, ma si dimenticano i quartieri sparsi lungo la strada sulla quale viaggiano i signori della terra, da Kiryat Arba alla città fantasma che hanno creato insieme all’esercito. Tutti i palestinesi che sono rimasti – alcuni solo perché non possono permettersi di andarsene, altri per la determinazione a non abbandonare il luogo – non sono nientemeno che eroi. Ognuno di loro merita il riconoscimento internazionale per il fatto di restare umani all’ombra di una delle più rozze mutazioni del popolo ebreo.

Kiryat Arba è costruito “a macchia di leopardo” con quartieri ben ordinati, su tutto ciò che le menti ebree hanno dichiarato “terra dello Stato” o espropriata per “necessità militari”. In mezzo e intorno alle ‘macchie’ ci sono case palestinesi, frutteti, vigneti e campi, su un territorio che Israele non è riuscito a trasformare in proprietà immobiliare di origine divina.

Per questo motivo, le persone che vivono lungo la strada, vicino alla zona di traffico palestinese, tra Kiryat Arba verso il centro di Hebron, sono anch’esse degli eroi, come ho scoperto la settimana scorsa conoscendo la famiglia di Abdul Karim Jabari (Haaretz, 19 febbraio). Per questo eroismo vale la pena di riportare la loro storia.

C’è qualcosa che la famiglia Jabari non ha subito? Il divieto per circa sei anni di accedere alla propria terra e di lavorarla. La costruzione da parte dei coloni di una struttura illegale che occupa una rilevante parte dell’area – che le autorità israeliane continuano a demolire, solo perché sia ricostruita più volte. Aggressioni fisiche, danneggiamento dei loro alberi, interruzione del loro lavoro e imposte astronomiche sulla proprietà.

Il 19 gennaio, tre settimane dopo che il governo aveva detto che Kiryat Arba non aveva autorità per esigere dai Jabari l’imposta sulla proprietà locale, l’esercito ha fatto irruzione nella loro casa col pretesto di cercare armi. Davvero? Secondo i servizi di sicurezza, mi è stato detto.

Cioé informazioni false, poiché nessuno è stato arrestato e l’ufficio del portavoce dell’esercito non ha riferito di nessun sequestro. Quel che possiamo fare è chiederci chi ha fornito la falsa informazione. In più, l’8 febbraio il coordinatore della sicurezza di Kiryat Arba ha scoperto che Jabari stava arando il suo terreno, ha deciso che questo non era stato concordato ed ha ordinato ai soldati di interrompere l’aratura.

Ho chiesto all’ufficio del portavoce dell’esercito di rispondere alla mia ipotesi che l’esercito avesse effettuato l’incursione su ordine dei coloni, per via della loro esplicita e nota volontà di rendere dura la vita dei Jabari in modo che la famiglia abbandoni la sua terra e la sua casa (facilitando l’espansione del quartiere di Givat Ha’avot). Non ho ricevuto risposta. Ho chiesto anche il nome del comandante che ha stabilito che i Jabari dovessero concordare con l’esercito i loro lavori agricoli e il motivo della decisione.

Il coordinatore dell’esercito per le Attività del Governo nei Territori di fatto ha detto che tale coordinamento non era richiesto, ma che un accompagnamento militare era “raccomandato”. Il COGAT ovviamente non ammetterà che la scorta è consigliata per ottenere l’ ‘approvazione’ dei coloni ed evitare i loro attacchi.

Nella sua risposta l’ufficio del portavoce dell’esercito ha detto: “Occorre sottolineare che l’esercito opera in Giudea e Samaria (Cisgiordania, ndtr.) in un contesto di civili, in cui enti civili hanno un ruolo prestabilito durante le operazioni nell’area. Questo collegamento avviene secondo regole e procedure. I coordinatori della sicurezza sono l’ente di sicurezza autorizzato e il collegamento con loro avviene in base alle regole e alle procedure, ma loro non hanno autorità di comando sui soldati.”

Per capire questa risposta enigmatica ed il fatto che il caso del coordinatore della sicurezza di Kiryat Arba non è stato un incidente isolato, dobbiamo ritornare all’ultimo rapporto di Breaking the Silence (Ong israeliana di ex soldati che denunciano gli abusi dell’esercito in Cisgiordania, ndtr.): “ L’Alto Comando – l’influenza dei coloni sulla condotta dell’esercito in Cisgiordania”, basato su testimonianze di soldati. Ecco qualche esempio.

Un sergente in servizio nell’area di Hebron nel 2007 ha detto: “Il coordinatore della sicurezza civile è come l’intelligence militare nei territori: ti danno comunicazione di un grave incidente e poi senti il tuo ufficiale che riceve una telefonata dal coordinatore della sicurezza civile. In tal modo il coordinatore della sicurezza civile non è altro che un’estensione dell’esercito.”

Un sergente maggiore in servizio a Ma’on (colonia a sud di Hebron, ndtr.) nel 2013 ha detto: “Il coordinatore della sicurezza civile ha affermato ‘Io sono il comandante sul campo, io do gli ordini, quando arriva l’esercito lo dirigo io.’ ”

Un altro sergente maggiore in servizio nella valle del Giordano nel 2013 ha detto: “I coordinatori della sicurezza vanno al sodo: ognuno è padrone nella sua zona.”

Un altro sergente, in servizio a Ofra (colonia nel nord della Cisgiordania, ndtr.) nel 2010, ha raccontato di una scorta per i palestinesi durante la raccolta delle olive in un boschetto che è rimasta intrappolata nella colonia.

Alla domanda su chi stabilisse quanto tempo fosse concesso ai palestinesi per raccogliere le loro olive, ha risposto: “Il coordinatore della sicurezza civile. E’ l’unico che conosce il problema. Solo dopo gli eventi capisci chi è il coordinatore della sicurezza civile e che cosa significa ricoprire quel ruolo. Fa parte della colonia, la protegge; è contro i palestinesi. Il Ministero della Difesa lo paga, ma lui non è un loro dipendente. Tu non hai autorità su di lui, ma lui ha una sorta di autorità su di te. In generale, ti dicono ‘Fai ciò che ti dice il coordinatore della sicurezza civile.’ ”

Chi te l’ha detto?”

I comandanti della compagnia. Ed è il coordinatore della sicurezza civile che stabilisce dove i palestinesi dovrebbero stare e dove non dovrebbero.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Il presidente Rivlin: Israele dovrebbe annettere la Cisgiordania e concedere ai palestinesi la piena cittadinanza

di Jonatan Lis – 14 febbraio 2017 Haaretz

Solo la settimana scorsa il presidente aveva detto che l’approvazione della cosiddetta legge del furto delle terre potrebbe provocare il fatto che Israele possa sembrare uno Stato dell’apartheid.

Lunedì il presidente Reuven Rivlin ha detto che Israele dovrebbe annettere la Cisgiordania e concedere piena cittadinanza a chi vive nei territori, cioè ai palestinesi.

Benché non abbia citato esplicitamente i palestinesi o la Cisgiordania, martedì Rivlin ha detto: “Credo che Sion [cioè la Palestina. Ndtr.] sia nostra e che la sovranità israeliana dovrebbe essere (estesa) ad ogni luogo.

“La sovranità su un determinato territorio garantisce la cittadinanza a tutti quelli che vi risiedono. Non ci sono scuse. Non ci può essere una legge per gli israeliani e un’altra per i non-israeliani, ” ha detto durante una conferenza tenuta a Gerusalemme dal giornale Besheva [settimanale dei sionisti religiosi, il terzo più venduto in Israele. Ndtr.].

Gli alleati di estrema destra nella coalizione del primo ministro Netanyahu hanno chiesto di approfittare di quella che è percepita come l’amministrazione più filo israeliana, guidata da Donald Trump, per avanzare nell’annessione di parti della Cisgiordania, una richiesta a cui Netanyahu si è opposto.

Come presidente, Rivlin, un ex membro del Likud [partito di destra di Netanyahu. Ndtr.] e da molto tempo favorevole all’annessione della Cisgiordania e alla concessione ai palestinesi di tutti i diritti civili, ricopre un incarico soprattutto simbolico.

Pochi giorni fa Rivlin ha detto di essere assolutamente contrario alla legge, approvata dalla Knesset la scorsa settimana, che consente di espropriare la terra di proprietà privata palestinese per legalizzare retroattivamente alcune colonie. Ha affermato che l’approvazione della cosiddetta “Legge per la Regolarizzazione” potrebbe provocare il fatto che Israele possa sembrare uno Stato dell’apartheid.

“Israele ha adottato leggi internazionali. Queste non consentono a un Paese di agire in base ad esse per applicare e imporre le sue leggi su territori che non sono sotto la sua sovranità. Se lo fa, si tratta di una dissonanza legale. Ciò provocherà il fatto che Israele sia visto come uno Stato dell’apartheid, cosa che non è,” ha detto.

“Non c’è alcun dubbio. Il governo di Israele semplicemente non può applicare le leggi della Knesset su territori che non sono sotto la sovranità dello Stato,” ha aggiunto Rivlin.

La legge approvata la scorsa settimana consente ad Israele di espropriare la terra palestinese di proprietari privati in Cisgiordania su cui sono state costruite colonie ed avamposti israeliani. Benché ciò non conceda ai coloni la proprietà della terra, permette loro di rimanervi e nega ai proprietari palestinesi il diritto di reclamare la terra “finché non ci sia una soluzione diplomatica sullo status dei territori.”

(traduzione di Amedeo Rossi)




‘Un assassinio’: i palestinesi chiedono di agire contro la legge israeliana del furto di terre

di Sheren Khalel, 7 febbraio 2017,Middle East Eye

Le autorità affermano che lo scopo della legge che consente ad Israele di espropriare le proprietà palestinesi è l’annessione della maggior parte della Cisgiordania, e chiedono sanzioni internazionali.

BETLEMME, Cisgiordania occupata – Martedì la Knesset (parlamento) israeliana è stata accusata di “assassinare” le prospettive di un accordo di pace per due Stati, dal momento che i palestinesi, la comunità internazionale e le associazioni israeliane per i diritti umani hanno condannato l’approvazione del disegno di legge volto a legalizzare l’esproprio di terre di proprietà privata palestinese nella Cisgiordania e a Gerusalemme est, illegalmente occupate.

Il voto, che è passato con 60 a favore contro 52, è stato portato in aula pochi giorni dopo che le forze israeliane avevano evacuato l’avamposto israeliano di Amona, in seguito a una sentenza della Corte Suprema israeliana.

La decisione è stata applaudita da membri della destra israeliana, come Shuli Moalem-Refaeli – capo del partito Casa Ebraica (di estrema destra, ndtr.) ed uno dei co-promotori del disegno di legge – che, come riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, ha detto che la legge significa che gli israeliani residenti nelle colonie ‘non saranno più un obbiettivo delle organizzazioni estremiste di sinistra che intendono distruggere e danneggiare le colonie’.

Ma Mustafa Barghouti, leader del movimento ” Iniziativa Nazionale Palestinese”, ha detto a Middle East Eye che la legge ha rappresentato un punto di svolta nei rapporti tra palestinesi e israeliani.

Questa legge è un assassinio della soluzione dei due Stati”, ha detto Barghouti. “E’ un atto che mira all’annessione della maggior parte della terra in Cisgiordania.”

Mentre le autorità israeliane avevano già la possibilità di confiscare terre palestinesi sotto il pretesto della sicurezza, come anche della dichiarazione di utilizzo come terra dello Stato, adesso la nuova legge significa che la terra di proprietà privata palestinese può essere confiscata esclusivamente per la costruzione di colonie, il che è giudicato illegale dal diritto internazionale.

Sono certo che il prossimo passo di Israele sarà l’annessione della colonia di Maale Adumim”, ha detto Barghouti, riferendosi ad una colonia israeliana illegale situata nella zona E1 (a nord est di Gerusalemme, ndtr.) della Cisgiordania occupata.

In altri termini, Israele sta legalizzando le colonie con l’intenzione di annetterle a Israele, che è ciò che avverrà adesso.”

Le previsioni di Barghouti sono in linea con (quanto affermato dal) deputato israeliano Bezalel Smotrich, un altro co-promotore della legge, che l’ha definita “un passo storico verso il completamento di un processo che intendiamo avviare; l’applicazione della piena sovranità israeliana su tutte le città e le comunità in Giudea e Samaria [il termine usato dal governo di Israele per indicare la Cisgiordania].”

L’approvazione della legge segna la prima volta che la Knesset approva una legge che esercita giurisdizione sulla Cisgiordania.

Motivo di sanzioni’

Questa legge è senza dubbio motivo di sanzioni da parte della comunità internazionale”, ha detto Barghouti.

E adesso non vi sono giustificazioni per l’Autorità Nazionale Palestinese per rimandare un deferimento alla Corte Penale Internazionale – davanti a cui Israele dovrebbe comparire –; ogni mancanza di azioni punitive contro Israele dovrebbe ora essere ritenuta un’accettazione delle sue azioni.”

Husam Zumlot, il consigliere per le questioni strategiche del Presidente palestinese Mahmoud Abbas, ha affermato che la prossima mossa a livello politico deve provenire dalla comunità internazionale.

La soluzione dei due Stati è stata sempre un progetto della comunità internazionale che noi abbiamo seguito, ma adesso è necessario che queste questioni, relative a ciò che dovrebbe accadere ora, vengano demandate alla comunità internazionale”, ha detto Zumlot.

La comunità internazionale deve decidere che cosa fare rispetto a questo progetto, perché questa legge è una risposta di Netanyahu alla recente risoluzione delle Nazioni Unite contro le colonie, all’iniziativa della Francia e alla comunità internazionale in generale.”

Zumlot ha aggiunto che l’ Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) ha in programma di “riunirsi immediatamente” per discutere il da farsi.

Quando si riuniranno prenderanno le iniziative necessarie a salvaguardare gli interessi nazionali del popolo”, ha detto.

Abbas, che era a Parigi per colloqui col presidente francese Francois Hollande, ha definito la legge “un attacco contro il nostro popolo”, che va contro gli auspici della comunità internazionale.

Martedì Hanan Ashrawi, membro del comitato esecutivo dell’OLP, ha espresso opinioni analoghe, chiedendo sanzioni ed azioni punitive.

Pulizia etnica’

E’ indispensabile che la comunità internazionale, compresi gli Stati Uniti e l’Unione Europea, assuma le proprie responsabilità morali, umane e giuridiche e metta fine all’illegalità di Israele ed al suo sistema di apartheid e di pulizia etnica”, ha detto.

L’assunzione di responsabilità dovrebbe includere misure punitive e sanzioni, prima che sia troppo tardi.”

Issa Amro, attivista palestinese e fondatore di “Giovani Contro gli Insediamenti”, ha detto a MEE che l’Autorità Nazionale Palestinese dovrebbe intraprendere ogni strada possibile per ottenere appoggio per azioni punitive contro Israele da parte della comunità internazionale, dalla Corte Penale Internazionale alle Nazioni Unite, ed azioni bilaterali degli Stati.

Ha aggiunto che l’ANP dovrebbe anche incoraggiare i palestinesi a manifestare contro la legge nelle strade.

Abbiamo bisogno di praticare la disubbidienza civile”, ha detto Amro. “L’ANP dovrebbe incoraggiare la disubbidienza civile per dimostrare la nostra opposizione alle azioni di Israele.”

L’associazione israeliana per i diritti “B’Tselem” ha definito la legge una “disgrazia per lo Stato e la sua autorità legislativa.”

L’associazione ha dichiarato: “La legge approvata oggi dalla Knesset prova una volta di più che Israele non intende porre fine al suo controllo sui palestinesi o al furto della loro terra”

Approvare la legge poche settimane dopo la risoluzione 2334del Consiglio di Sicurezza [in cui il Consiglio ha condannato l’attività di colonizzazione israeliana come ‘flagrante violazione’ del diritto internazionale] è uno schiaffo in faccia alla comunità internazionale. Se inserire l’esproprio in una legge costituisce uno sviluppo nuovo, in pratica è un altro aspetto del massiccio furto di terra portato avanti sfacciatamente per decenni dichiarandola ‘terra dello Stato’ ”.

Intanto Omar Shakir, direttore per Israele e Palestina di Human Rights Watch, ha affermato che la legge “annulla anni di consolidata legislazione israeliana.”

Intervenendo solo alcune settimane dopo l’unanime approvazione della risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza sull’illegalità delle colonie, la legge rispecchia il palese disconoscimento del diritto internazionale”, ha detto Shakir.

La legge consolida ulteriormente l’attuale realtà di permanente occupazione de facto in Cisgiordania, in cui i coloni israeliani ed i palestinesi che vivono sulla stessa terra sono soggetti a sistemi giuridici, norme e servizi ‘separati ed ineguali.’ ”

Shakir ha concluso la sua dichiarazione con una frecciata alla nascente relazione del presidente USA Donald Trump con Israele, affermando che “i dirigenti israeliani che guidano la politica di colonizzazione dovrebbero sapere che l’amministrazione Trump non può proteggerli dal controllo della Corte Penale Internazionale, dove il procuratore continua ad esaminare l’illegale attività di colonizzazione di Israele.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Quando i ‘giornalisti’ israeliani trasmettono [l’argomento] coloni

di Amira Hass, 6 febbraio 2017 Haaretz

Il sindaco di Silwad, un villaggio palestinese la cui terra è stata rubata a favore della colonia di Amona, ha detto che i coloni espulsi dall’insediamento dovrebbero tornare in Europa. La radio israeliana ha riportato queste considerazioni – ma non ha spiegato il contesto.

Mentre il ‘circo equestre’ di Amona veniva raccontato da ogni prospettiva, e con accondiscendenti accenti di comprensione per i ladri di terra, Reshet Bet, di radio Israele, si è presa il disturbo di raccontarci anche il punto di vista dei palestinesi. Indirettamente.

Il presidente del consiglio comunale di Silwad, uno dei villaggi la cui terra è stata rubata a favore della colonia, è stato intervistato da un canale televisivo collegato ad Hamas e ha detto che la soluzione per le persone evacuate (da Amona, ndtr.) è di ritornare in Europa, il luogo da cui sono venuti. La trasmissione faceva notare che il sindaco, Abd al-Rahman Abu Salh, era uno dei firmatari della petizione all’Alta Corte di Giustizia che si opponeva al trasferimento dell’avamposto in appezzamenti di terreno nei pressi della stessa collina.

Le considerazioni del sindaco mostrano una certa familiarità con il contesto etnico dei ladri di Amona e la loro difesa danzante (alcuni dei coloni di Amona si sono messi a ballare per protesta durante l’evacuazione, ndtr.); a ragione non ha detto che dovrebbero tornare in Marocco o in Iraq. Ma torniamo all’intervista: non era certo inopportuno trasmetterla. Anche nelle conversazioni quotidiane con i palestinesi simili opinioni vengono a volte espresse, e non solo relativamente ai residenti di uno specifico insediamento. Non si tratta solo di un punto di vista: ho sentito dei palestinesi che sono convinti che gli ebrei stiano lasciando Israele in gran numero. Vuoi a causa della minacciosa forza militare di Hamas, con Allah dalla sua parte, vuoi alla ricerca di una vita più facile, o perché gli ebrei comprendono che non appartengono a questo luogo. C’è anche chi cita il preciso versetto del Corano che profetizza la partenza degli ebrei.

Però c’è anche chi parla diversamente: per esempio A., sessantenne di Gaza, devoto musulmano, che è spaventato da Hamas. “In quanto credente musulmano, ha detto una volta, non posso immaginare questa terra senza ebrei.” L. ha detto esattamente la stessa cosa. E’ un’atea proveniente da una famiglia cristiana in Galilea. “Dopotutto, voi siete parte di questo luogo”, ha detto. E ci sono dei rifugiati che citano sempre i loro genitori e nonni che dicevano: “Abbiamo vissuto da buoni vicini con gli ebrei.”

Ogni considerazione è fatta in un certo contesto e loro non possiedono una sola verità assoluta. Tranne la seguente: i palestinesi sono soggetti al regime israeliano di sadismo organizzato.

Se 20 anni fa hanno pensato che sarebbe presto finito, oggi è chiaro che Israele vuole solo proseguirlo e incrementarlo, rendendolo più efficiente e permanente. L’intifada del popolo ha fallito. I negoziati di pace si sono rivelati un inganno. La diplomazia è stata sconfitta. La lotta armata è un’arma a doppio taglio. Per ogni battaglia vinta contro il furto di terra, ve ne sono dozzine in cui alla fine la terra resta in mano ai coloni. Gli ebrei hanno provato a chiunque non lo sapesse o non fosse d’accordo, che l’entità che hanno creato è colonialista. In altre parole, aspira a sostituire un popolo con un altro, a deportare un popolo in nome dei prescelti da dio.

Israele agisce e i palestinesi in risposta dicono cose al limite della disperazione o cose che possano dare la speranza che sia possibile un cambiamento in meglio. Il confine che separa il delirio dalla speranza, la speranza dalla disperazione, è molto sottile ed è tracciato dalle politiche israeliane.

La notizia è stata trasmessa dalla radio israeliana con voce solenne, con il sottinteso che “quelli che conoscono la faccenda capiranno”. E noi abbiamo capito che il vero problema è che quei contadini sono semplicemente antisemiti. Non solo non hanno offerto pane e sale ai ladri della loro terra, ma gli hanno addirittura fatto causa ed hanno rubato il loro tempo prezioso, che altrimenti sarebbe stato dedicato alle devote preghiere al “Dio degli Ospiti” (una delle definizioni bibliche di dio, ndtr).

La trasmissione della radio israeliana dava l’impressione che la dichiarazione del sindaco di Silwad fosse essenzialmente estemporanea (negando i diritti degli ebrei) e priva di qualsiasi contesto. O che il contesto del sistematico, brutale e cinico furto non fosse importante. E tra l’altro, la colonia di Ofra è anch’essa costruita sulle terre di Silwad.

Ogni articolo di giornale è inserito in un contesto. Lo stesso vale per tutti gli articoli che nessuno si dà la pena di pubblicare: anch’essi hanno un contesto. Sulla radio israeliana possiamo ascoltare informazioni dalle forze di sicurezza palestinesi sulla cattura di aggressori armati di coltelli, come anche le voci dei politici palestinesi. Ma non possiamo trovarvi le notizie quotidiane sulle sistematiche demolizioni di strutture palestinesi in Cisgiordania, sul trasferimento di comunità di agricoltori e pastori per far posto a zone di addestramento dell’esercito israeliano, sui sistematici divieti di costruzione per i palestinesi, sulle limitazioni di movimento e le incursioni nelle case.

Reshet Bet non fa esattamente l’impossibile nemmeno per indagare sulle circostanze delle uccisioni da parte dell’esercito israeliano di donne e giovani palestinesi che non mettevano in pericolo la vita dei soldati. E tra l’altro non c’è bisogno di svolgere indagini indipendenti. Si può citare il lavoro sul campo di B’Tselem, trasmettere la risposta del portavoce dell’esercito e, in nome della santa imparzialità, intervistare qualcuno di Regavim o Kahana Chai (gruppi israeliani estremisti di estrema destra, ndtr.). Agli ascoltatori di Reshet Bet è stato evitato tutto questo, di proposito.

Il contesto delle vicende che vengono pubblicate e che non vengono pubblicate è lo stesso: mobilizzazione in nome dell’impresa coloniale, mentre si impedisce l’informazione che potrebbe sollevare dubbi sulle intenzioni di Israele e sulla logica delle sue politiche. Naturale diffidenza, impegno, curiosità e volontà di descrivere una grande varietà di fenomeni – tutto questo è assente nelle trasmissioni pubbliche quando si tratta delle vita dei palestinesi sotto il regime israeliano. In questo caso siamo anzitutto israeliani e coloni, o coloni potenziali. Mai giornalisti.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Spiegazione: la nuova legge israeliana sul furto di terre palestinesi e perché è importante.

di Allison Kaplan Sommer – 7 febbraio 2017,Haaretz

Il parlamento israeliano ha votato una legge che espropria terreni privati palestinesi in Cisgiordania. Che cosa cambia la legge, chi è colpito e perché si tratta di una questione così importante?

Che cosa cambia esattamente la nuova legge?

La legge consente ad Israele di espropriare terreni privati palestinesi in Cisgiordania su cui sono stati costruiti insediamenti o avamposti israeliani. Permette ai coloni ebrei di rimanere nelle loro case, benché non conceda loro la proprietà della terra su cui vivono. Nega ai proprietari palestinesi il diritto di reclamare la terra o di prenderne possesso “finché non ci sarà una soluzione diplomatica sullo status dei territori.”

Aspetta – torniamo indietro -, qual è il nome della legge?

Bella domanda. Una parte della confusione che circonda la legge è il suo nome. In ebraico ha ricevuto un nome fuorviante con diverse possibilità di traduzione che confondono – più comunemente, è tradotto come la “Legge di regolarizzazione.”

Tecnicamente, è stata pensata per “regolare la colonizzazione in Giudea e Samaria [la Cisgiordania. ndtr.] e consentirne la continua costruzione e lo sviluppo.” Un nome più esplicito sarebbe, nei fatti, “Legge di esproprio”, in quanto legalizza in modo retroattivo l’esproprio da parte dello Stato di terreni palestinesi di proprietari privati. Gli oppositori della legge avrebbero probabilmente preferito mettere in chiaro le cose in modo ancora più diretto e chiamarla “Legge del Furto” – una legge che legalizza il fatto che i coloni vivano su terre che non sono di loro proprietà.

Perché si tratta di una faccenda così importante? La Cisgiordania non è comunque occupata?

La legge supera un limite che Israele non aveva ancora violato, persino secondo politici di destra come l’ex-ministro del Likud Dan Meridor, che ha definito la legge “cattiva e pericolosa”. Egli sostiene che il parlamento israeliano non ha mai regolato la proprietà privata palestinese in Cisgiordania perché “gli arabi di Giudea e Samaria non votano per la Knesset [il parlamento israeliano. Ndtr.], e questa non ha l’autorità di fare leggi per loro. Sono principi fondamentali di democrazia e delle leggi israeliane.”

Asserisce che, se Israele può essere pienamente sovrano in Cisgiordania, dovrebbe concedere ai palestinesi che vi vivono la cittadinanza e accordare loro il diritto di voto. Fino ad allora, dice, l’autorità israeliana di regolare la [proprietà della] terra in Cisgiordania è limitata solo a ragioni di sicurezza – sia in base alle leggi israeliane che internazionali.

Il procuratore generale di Israele è d’accordo?

Sì. Il procuratore generale Avichai Mandelblit ha dichiarato che se la legge sarà presentata in tribunale, non ha intenzione di difenderla contro argomentazioni secondo cui violerebbe la Quarta Convenzione di Ginevra.

Ciò non ha dissuaso la ministra della Giustizia di Israele, l’estremista di destra Ayelet Shaked, importante esponente del partito Habayit Hayehudi (Casa Ebraica), la forza trainante che sta dietro la legge. Lei sostiene che, se necessario, un procuratore privato rappresenterà il governo in un contenzioso legale che molti esperti giudiziari prevedono si concluderebbe con l’annullamento della legge.

Quante colonie riguarderà la legge?

Secondo Peace Now [organizzazione pacifista israeliana. Ndtr.], al momento la legge consentirà la legalizzazione retroattiva di terre in più di 50 avamposti e colonie.

In 16 di queste sono già stati emessi ordini di demolizione contro case costruite su terreni reclamati da proprietari palestinesi. In base alla nuova legge, ogni azione per mettere in atto questi ordini sarà bloccata per un anno in presenza di procedimenti per definire se lo Stato può appropriarsi della terra.

Ciò include proprietà nelle colonie di Ofra, Eli, Netiv Ha’avot, Kokhav Hashahar, Mitzpe Kramim, Alon Moreh, Ma’aleh Mikhmash, Shavei Shomron, Kedumim, Psagot, Beit El, Yitzhar, Har Bracha, Modi’in Illit, Nokdim e Kokhav Yaakov.

La legge è arrivata troppo tardi per salvare l’avamposto illegale di Amona, che è stato evacuato la scorsa settimana.

Cosa si intende per “al momento”? Se approvata e confermata, la legge permetterebbe in futuro colonie su terreni privati palestinesi?

Potenzialmente sì. La misura permetterebbe al ministero della Giustizia di aggiungere altre colonie e avamposti alla lista delle zone in cui la proprietà può essere confiscata ai palestinesi, con l’approvazione della commissione “Costituzione, Legge e Giustizia” della Knesset.

I proprietari palestinesi sulle cui terre vivono coloni sono indennizzati? E in questo caso, come?

In base alla nuova legge, i proprietari palestinesi hanno una scelta: se possibile, gli viene assegnato un altro appezzamento di terreno. Sennò, saranno pagati con un compenso annuale per l’utilizzo del 125% del valore del terreno, come stabilito da una commissione di valutazione per periodi rinnovabili di 20 anni. A meno che, in uno scenario ottimistico, intervenga un accordo di pace che riguardi lo spostamento delle colonie israeliane dalla loro terra.

Perché tutto questo suona così familiare? Il governo non ha lottato su questa questione per molto tempo?

La legge ha superato i primi ostacoli legislativi in novembre e dicembre, ma è stata in seguito differita e rinviata per varie ragioni. La ragione principale è stata la preoccupazione del primo ministro Benjamin Netanyahu in merito alle mosse di fine mandato dell’amministrazione Obama (ed effettivamente i consiglieri di Obama hanno considerato la legge parzialmente responsabile dell’astensione al Consiglio di Sicurezza dell’ONU) e il suo timore di iniziare con il piede sbagliato i rapporti con l’amministrazione Trump.

La legge è stata fortemente sostenuta dal ministro dell’Educazione Naftali Bennett. Quando Bennett l’ha presentata per la prima volta, Netanyahu ha definito la sua fretta “infantile ed irresponsabile” e il ministro della Difesa Avigdor Lieberman [del partito di estrema destra “Israele Casa Nostra”. Ndtr.] ha detto a Bennett che stava “mettendo in pericolo il futuro dell’impresa di colonizzazione per un capriccio elettoralistico.”

Quindi, come mai è stata ripresa e perché il voto all’ultimo momento lunedì a tarda notte?

E’ stato detto dall’amministrazione Trump a Netanyahu di non fare mosse significative prima del suo appuntamento programmato con il presidente per il 15 febbraio. Ha utilizzato ciò per sostenere la causa della dilazione del voto di lunedì durante un incontro con i dirigenti dei partiti della coalizione il giorno precedente. Ma Bennett e Shaked, sottoposti ad una tremenda pressione da parte della loro base per andare avanti con decisione con la legge prima che [l’avamposto di] Amona venisse smantellato, hanno rifiutato ogni ulteriore rinvio.

Incapace di bloccare ulteriormente la legge, l’unica cosa che Netanyahu ha potuto fare è stato “fare un rapporto” a Trump – fargli sapere che [la legge] stava per arrivare, nello stesso giorno in cui ha dovuto ascoltare da parte della prima ministra britannica Theresa May che la legge non sarebbe  “utile” e renderebbe le cose più difficili per gli amici di Israele. E – presumibilmente per salvarsi la faccia con i suoi sostenitori di destra, che chiaramente Bennett spera di portargli via – Netanyahu ha fatto marcia indietro, negando di aver tentato di rimandare il voto.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Le colonie e “l’accordo definitivo”: la sorprendente affermazione di Trump su Israele inserita nel contesto

Amir Tibon – 3 febbraio 2017, Haaretz

Cosa c’è, e cosa non c’è, di nuovo nella dichiarazione di Trump sulla costruzione di colonie israeliane.

WASHINGTON – La dichiarazione della Casa Bianca di giovedì che giudica la costruzione di colonie israeliane non utile per la pace è arrivata come una sorpresa e una delusione per alcuni esponenti della destra israeliana, che avevano sperato che l’arrivo al potere di Trump avrebbe segnato la fine della soluzione dei due Stati e una nuova era di appoggio incondizionato della Casa Bianca all’espansione delle colonie israeliane.

La dichiarazione chiarisce che Trump, che ha chiamato “definitivo” l’accordo di pace, condivide il desiderio delle precedenti amministrazioni di far firmare a Israele e ai palestinesi un accordo di pace e si aspetta che il governo israeliano eviti passi che possano danneggiare le prospettive di un simile accordo.

Tuttavia la dichiarazione contiene anche buone notizie per la destra israeliana, in quanto afferma che l’amministrazione Trump non crede che le colonie in sé siano un ostacolo alla pace.

Ogni amministrazione USA negli ultimi 50 anni ha disapprovato l’espansione delle colonie israeliane, temendo che potesse pregiudicare le possibilità di raggiungere un accordo di pace sullo status definitivo. La Casa Bianca di Trump, a quanto pare, chiede solo che Israele non estenda le colonie già esistenti, ma non sta affrontando il problema con lo stesso discorso chiaro che hanno usato amministrazioni precedenti.

Durante i suoi otto anni di governo l’amministrazione Obama ha insistito che le colonie erano il maggior ostacolo per la pace. Nel 2009 Obama ha fatto pressione sul primo ministro Benjamin Netanyahu per il blocco della costruzione di ogni colonia in Cisgiordania per 10 mesi, e, secondo fonti ufficiali israeliane, in quel periodo i collaboratori del presidente avevano messo in guardia Israele che il loro approccio alla costruzione di colonie era “neanche un mattone”.

Gli ultimi due atti della precedente amministrazione riguardo al conflitto israelo-palestinese sono stati l’astensione dal voto del Consiglio di Sicurezza ONU che ha denunciato le colonie e l’attribuzione della maggior parte delle responsabilità per il fallimento dei colloqui di pace alla costruzione delle colonie israeliane. Questa posizione è stata chiaramente espressa dal discorso dell’allora segretario di Stato John Kerry alla fine di dicembre.

L’approccio di Trump sembra essere più vicino a quello dell’amministrazione di George W. Bush, che nel 2004 inviò una lettera ad Israele, allora governato da Ariel Sharon, in cui proclamava che “nuove situazioni sul terreno” avrebbero dovuto essere prese in considerazione in un futuro accordo di pace, e che fosse “irrealistico aspettarsi che il risultato di negoziati sullo status finale sia un pieno e totale ritorno alla linea dell’armistizio del 1949.”

Qualcuno a Gerusalemme e a Washington interpretò questa affermazione come un’autorizzazione da parte dell’amministrazione a costruire nei “blocchi di colonie” – la vasta concentrazione di colonie relativamente vicina ai confini del 1967, che dovrebbe diventare parte di Israele proprio in un accordo di pace.

Ma l’amministrazione Bush non ha sempre parlato con un’unica voce riguardo all’interpretazione della lettera. L’allora segretario di Stato Condoleezza Rice disse nel 2007, dopo l’annuncio da parte di Israele di nuove costruzioni nelle colonie, che “gli Stati Uniti non fanno differenza” tra diversi tipi di colonie.

Stephen Hadley, consigliere di Bush per la sicurezza nazionale, affermò che “ovviamente il presidente appoggia ancora quella lettera dell’aprile del 2004, ma bisogna vederla, naturalmente, nel contesto in cui è stata inviata.” Quel contesto, spiegò, era l’accettazione da parte di Israele della cosiddetta “road map per la pace” di Bush, che includeva la formazione di uno Stato palestinese e la decisione di Sharon del ritiro unilaterale dalla Striscia di Gaza e da parti della Cisgiordania.

Forse con il tempo l’amministrazione Trump adotterà una politica vicina a quella di Bush, che a volte è stata meno severa di quella di Obama riguardo alla costruzione di colonie. Ma ha anche chiarito che le colonie erano in effetti uno degli ostacoli per il raggiungimento di un accordo.

Un’altra possibilità per l’amministrazione Trump sarebbe di chiudere un occhio su qualche costruzione di colonie israeliane spingendo al contempo per negoziati diretti tra Israele e l’Autorità Nazionale Palestinese. Questa è stata la politica, anche se non dichiarata ufficialmente, durante alcune fasi dell’amministrazione Clinton.

I due ultimi primi ministri israeliani che hanno costruito più insediamenti sono stati Yitzhak Rabin ed Ehud Barak, entrambi del partito Laburista. Hanno costruito nelle colonie mentre stavano facendo colloqui di pace con i palestinesi con la mediazione americana.

L’amministrazione di George H.W. Bush, da parte sua, prese una dura posizione contro la costruzione di insediamenti, con l’allora segretario di Stato James Baker che denunciò le colonie come il maggior ostacolo per il raggiungimento di un accordo. “Non penso che ci sia un ostacolo più grande per la pace che le attività di colonizzazione che non solo continuano senza tregua, ma con un ritmo in aumento,” disse Baker nel 1991.

Aggiunse che “niente ha reso più difficile il mio lavoro per cercare di trovare partner arabi e palestinesi per Israele del fatto di essere accolto da una nuova colonia ogni volta che arrivavo.” Va notato che Baker si è incontrato con Trump nel maggio 2016 per discutere le posizioni in politica estera del candidato.

Un membro del governo di Trump che sembra condividere la visione negativa di Baker riguardo alle colonie è il segretario alla Difesa James Mattis, che nel 2013 ha detto che la costruzione degli insediamenti stava mettendo Israele a rischio di diventare uno Stato dell’apartheid. Mattis, un ex-generale del corpo dei marines, ha aggiunto che come comandante dello stato maggiore USA, “ha pagato ogni giorno un prezzo in termini di sicurezza militare perché gli americani erano visti come di parte nel loro appoggio ad Israele.”

Oltre alla conclusione che l’espansione delle colonie potrebbe danneggiare la pace, un altro aspetto della dichiarazione di giovedì che sembra suggerire continuità con le precedenti amministrazioni è stato il riferimento al 1967 come un punto di partenza per i colloqui. Ha affermato che “il desiderio americano di pace tra gli israeliani e i palestinesi è rimasto invariato per 50 anni.” Il prossimo giugno segna il cinquantesimo anniversario della Guerra dei Sei Giorni, che diede inizio all’occupazione israeliana della Cisgiordania.

Il dottor Michael Koplow, direttore politico del Forum della Politica di Israele, ha detto ad Haaretz che la posizione della Casa Bianca è “incoraggiante” e “rivela proprio quanto stia rischiando grosso Netanyahu in casa sua. Come con i presidenti Clinton e Obama, la recente posizione dell’amministrazione Trump sulle colonie ora fornisce a Netanyahu qualche protezione interna dalle pressioni politiche alla sua destra per fare quello che ha voluto fare da sempre, cioè conservare lo status quo piuttosto che andare verso più colonie ed eventualmente verso l’annessione.”

Dan Shapiro, un ambasciatore USA in Israele sotto Obama, ha twittato che la dichiarazione della Casa Bianca “ci dice che l’opposizione di Trump alle attività di colonizzazione, come fattore negativo nel processo di pace in Medio Oriente, è in continuità con la politica USA per molti anni.” Ha detto di credere che la Casa Bianca potrebbe aver pubblicato la dichiarazione perché Netanyahu “ha voluto pressioni da parte di Trump per aiutarlo a tenere a freno i partiti alla sua destra.”

(traduzione di Amedeo Rossi)