La redazione della CNN afferma che la tendenza filoisraeliana della rete rappresenta una “pratica giornalistica scorretta”

Chris McGreal

4 febbraio 2024 – The Guardian

Voci interne affermano che le pressioni dall’alto portano a reportage che accreditano le affermazioni israeliane e mettono a tacere il punto di vista palestinese.

La CNN sta affrontando una reazione da parte della sua stessa redazione riguardo a politiche editoriali che avrebbero portato a una ripetizione a pappagallo della propaganda israeliana e alla censura del punto di vista palestinese nella copertura della rete sulla guerra a Gaza.

Giornalisti della redazione CNN negli USA e all’estero affermano che le trasmissioni sono state distorte da imposizioni della direzione e da un procedimento di approvazione dei reportage che si è tradotto in una copertura molto parziale del massacro di Hamas del 7 ottobre e dell’attacco per rappresaglia contro Gaza.

“Da quando è iniziata la guerra, all’interno della rete la maggioranza delle notizie, indipendentemente da quanto siano stati accurati i primi reportage, è stata distorta da una tendenziosità sistematica e istituzionalizzata a favore di Israele,” afferma un redattore della CNN. “In sostanza, la copertura della CNN sulla guerra tra Israele e Gaza rappresenta una pratica giornalistica scorretta”.

Secondo i racconti di sei giornalisti della CNN in differenti redazioni e più di una decina di note ed email ottenute da The Guardian, le decisioni sulle notizie giornaliere sono condizionate da un flusso di direttive del quartier generale della CNN ad Atlanta che hanno stabilito rigide linee guida sulle notizie da dare.

Includono severe restrizioni alle citazioni di Hamas e alla presentazione di altre prospettive dei palestinesi, mentre le dichiarazioni del governo israeliano sono prese per oro colato. Inoltre, prima della messa in onda o della pubblicazione, ogni reportage sul conflitto deve essere autorizzato dall’ufficio di Gerusalemme.

I giornalisti della CNN affermano che il tono della copertura è stabilito dall’alto dal nuovo direttore e amministratore delegato, Mark Thompson, che ha assunto l’incarico due giorni dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Alcuni membri del personale sono preoccupati dell’effettiva volontà di Thompson di opporsi ai tentativi di influenzare le notizie dall’esterno, dato che nel suo precedente ruolo di direttore generale della BBC era stato accusato di aver ceduto in varie occasioni alle pressioni del governo israeliano, compresa la richiesta nel 2005 di rimuovere una delle inviate più importanti dell’azienda dal suo posto a Gerusalemme.

Fonti interne alla CNN affermano che ciò ha portato, soprattutto nelle prime settimane di guerra, a un’attenzione molto maggiore sulla sofferenza degli israeliani e sulla narrazione israeliana della guerra come una caccia ad Hamas e ai suoi tunnel e a un’insufficiente attenzione nei confronti del livello di morti civili palestinesi e distruzioni a Gaza.

Un giornalista descrive una “frattura” all’interno della rete riguardo alla copertura che a quanto afferma ricorda talvolta il tifo conformista che seguì l’11 settembre.

“Ci sono parecchi conflitti e dissensi interni. Alcuni stanno cercando di andarsene,” afferma.

Un giornalista di un altro ufficio dice che anche lì c’è stata opposizione.

“Importanti redattori che dissentono dallo status quo si sono scontrati con il fatto che i dirigenti diano ordini, mettendo in discussione come si possa effettivamente raccontare quello che accade con le indicazioni restrittive vigenti” afferma.

“Molti hanno spinto perché vengano segnalati e trasmessi più contenuti da Gaza. Al momento questi reportage passano attraverso Gerusalemme e arrivano in TV o in prima pagina, con modifiche importanti, dall’inserimento di un linguaggio impreciso a ignorando vicende cruciali, che garantiscono che quasi ogni servizio, per quanto accusatorio, assolva Israele da azioni illecite.”

La redazione della CNN afferma che alcuni giornalisti con esperienza di reportage sul conflitto o sulla regione hanno rifiutato di essere inviati in Israele perché pensano che non sarebbero liberi di raccontare tutto quello che avviene. Altri ipotizzano di esserne stati tenuti fuori dai capi della redazione.

“È evidente che alcuni che non sono esperti stanno coprendo la guerra e altri che lo sono non lo stanno facendo,” afferma una fonte interna.

Imposizioni dai piani alti

Nella prima riunione di redazione di Thompson, due giorni dopo l’attacco di Hamas il 7 ottobre, il nuovo direttore della rete ha descritto la copertura del rapido sviluppo degli avvenimenti da parte della CNN come “fondamentalmente molto buono”.

Poi Thompson ha detto di volere che il pubblico capisse cosa sia Hamas, che cosa voglia e cosa abbia cercato di ottenere con l’attacco. Qualcuno dei presenti ha pensato che fosse un lodevole obiettivo giornalistico. Ma affermano che col tempo è diventato chiaro che egli aveva aspettative più specifiche su come i giornalisti dovessero sull’organizzazione.

Alla fine di ottobre, mentre il bilancio dei palestinesi uccisi cresceva notevolmente a causa dei bombardamenti israeliani, con più di 2.700 minori uccisi secondo il ministero della Sanità di Gaza, e mentre Israele si preparava all’invasione di terra, nelle caselle di posta della redazione CNN è arrivata una serie di linee guida.

Una nota all’inizio della comunicazione di due pagine indicava un’istruzione “da Mark” perché si facesse attenzione a un particolare paragrafo intitolato “guida sulla copertura”. Il paragrafo diceva che, mentre la CNN avrebbe riportato le conseguenze umane dell’attacco israeliano e il contesto storico della vicenda, “dobbiamo continuare sempre a ricordare al nostro pubblico la causa immediata dell’attuale conflitto, cioè l’attacco di Hamas e l’uccisione di massa e il rapimento di civili” (corsivo nell’originale).

I membri della redazione della CNN affermano che la comunicazione ha consolidato un contesto di servizi in cui il massacro di Hamas è stato usato per giustificare implicitamente le azioni di Israele e che altri contesti o vicende sono spesso risultati sgraditi o lasciati da parte.

“In quale altro modo i giornalisti avrebbero dovuto leggerla se non come un’indicazione che qualunque cosa facciano gli israeliani Hamas in ultima analisi è colpevole? Il reportage su ogni azione di Israele – bombardamenti massicci che spazzano via intere vie, la cancellazione di intere famiglie – finisce per essere manipolato per creare una narrazione secondo cui “se la sono cercata loro,” dice un redattore.

La stessa comunicazione afferma che ogni riferimento ai dati del ministero della Sanità di Gaza sulle vittime deve specificare che è “controllato da Hamas”, implicando che i resoconti delle morti di migliaia di minori sono inattendibili, anche se l’Organizzazione Mondiale della Salute e altri enti internazionali hanno affermato che sono decisamente veritieri. La redazione della CNN afferma che l’imposizione è stata stilata da Thompson durante una delle prime riunioni di redazione.

Un controllo più generale della copertura della direzione della CNN ad Atlanta è diretto dalla “Triade”, composta da tre dipartimenti della CNN: norme e pratiche delle notizie, ufficio legale e controllo dei fatti.

David Lindsay, il principale direttore di norme e pratiche delle notizie, all’inizio di novembre ha emanato una direttiva che di fatto ha vietato le informazioni sulla maggior parte delle dichiarazioni di Hamas, definendole come “retorica incendiaria e propaganda”.

“La maggior parte di questi discorsi è stato detto molte volte in precedenza e non è degno di nota. Dobbiamo dare attenzione a non fornirgli una tribuna,” ha scritto.

Lindsay ha affermato che se una dichiarazione viene definita editorialmente importante “la possiamo usare se è accompagnata da un contesto più complessivo, preferibilmente in un insieme di notizie o un testo digitale. Evitiamo di presentarlo come un estratto o una citazione autonomi.”

Un redattore della CNN fa notare che invece la rete ha ripetutamente trasmesso discorsi incendiari e propaganda da parte di politici israeliani e sostenitori americani, spesso senza interviste con contraddittorio.

Evidenzia che, mentre la CNN non lo ha fatto, altri canali hanno intervistato dirigenti di Hamas, compresa un’intervista in cui il portavoce del gruppo, Ghazi Hamad, ha interrotto le domande della BBC quando gli è stato chiesto dell’uccisione di civili israeliani. Un redattore afferma che tra gli inviati c’è l’opinione che sia “uno strazio far approvare dalla Triade un’intervista ad Hamas.”

Fonti della CNN riconoscono che dall’attacco del 7 ottobre non ci sono state interviste ad Hamas, ma affermano che la rete non impone un divieto su queste interviste.

Ma alla redazione e agli inviati della CNN sono state date indicazioni di non utilizzare video ripresi da Hamas “in nessun caso, finché non sia stato approvato dalla Triade e dai principali responsabili editoriali.”

Questa posizione è stata ripetuta in un’altra nota del 23 ottobre, secondo cui i reportage non dovevano mostrare video di Hamas del rilascio di due ostaggi israeliani, Nurit Cooper e Yocheved Lifshitz. Due giorni dopo Lindsay ha inviato un’ulteriore indicazione, secondo cui il video dell’ottantacinquenne Lifshitz che stringe la mano di uno dei suoi rapitori “può essere utilizzato solo quando viene specificamente scritto che era sua riguardo alla decisione di stringere la mano al rapitore.”

Oltre agli ordini di Atlanta, la CNN ha una politica di lunga data in base alla quale, per essere messo in onda o pubblicato, ogni testo sulla situazione in Israele/Palestina deve essere approvato dall’ufficio di Gerusalemme. Per velocizzare l’approvazione, in luglio la rete ha creato un processo denominato “SecondEyes” [Secondi Occhi].

Il caporedattore dell’ufficio di Gerusalemme, Richard Greene, ha detto alla redazione in una nota che annunciava “SecondEyes” riportata per la prima volta da The Intercept [sito alternativo di notizie, ndt.], che, poiché le informazioni sul conflitto israelo-palestinese sono sottoposte al controllo dei sostenitori di entrambe le parti, la misura è stata creata come “rete di sicurezza in modo che non usiamo un linguaggio impreciso o parole che possano suonare imparziali ma che qui possono avere un significato in codice.”

Redattori della CNN sostengono che non c’è niente di intrinsecamente sbagliato nella richiesta, data la notevole delicatezza nell’informazione su Israele e Palestina e la natura aggressiva delle autorità israeliane e dei ben organizzati gruppi filo-israeliani per cercare di influenzare la copertura giornalistica. Ma alcuni hanno l’impressione che una misura originariamente intesa a preservare un buon livello sia diventata uno strumento di auto-censura per evitare polemiche.

Uno dei risultati di SecondEyes è che le dichiarazioni ufficiali israeliane sono spesso rapidamente approvate e mandate in onda in base al principio che devono essere prese per buone, come se avessero il visto per la diffusione, mentre i comunicati e le affermazioni dei palestinesi, e non solo di Hamas, sono ritardate o non riportate.

Un giornalista della CNN afferma che gli ordini di SecondEyes spesso sembrano intesi a evitare critiche da parte di gruppi filo-israeliani. Fanno l’esempio dell’intervento di Greene per cambiare un titolo, “Israele non sta neppure lontanamente distruggendo Hamas”, un punto di vista ampiamente presente nella stampa straniera e israeliana. È stato sostituito con un titolo che sposta l’attenzione da se Israele possa raggiungere la giustificazione dichiarata per l’uccisione di migliaia di civili palestinesi a “Dopo tre mesi Israele sta entrando in una nuova fase della guerra. Sta ancora cercando di ‘distruggere’ Hamas?”

Alcuni redattori della CNN temono che il risultato sia una rete che agisce come censore sostitutivo a favore del governo israeliano.

“Il sistema porta a individui scelti che pubblicano e raccontano con una parzialità istituzionalizzata a favore di Israele, utilizzando spesso un linguaggio passivo per assolvere l’esercito israeliano da ogni responsabilità e minimizzando le morti dei palestinesi e gli attacchi israeliani,” afferma uno dei giornalisti della rete.

Redattori della CNN che hanno parlato con The Guardian sono stati pronti a elogiare i reportage approfonditi ed incisivi degli inviati sul terreno. Hanno detto che questi servizi spesso hanno avuto risalto su CNN International, sono stati visti fuori dagli USA. Ma sul canale CNN disponibile negli USA spesso sono stati meno visibili e a volte messi da parte da ore di interviste a politici e sostenitori israeliani della guerra a Gaza, a cui è stata lasciata piena libertà di sostenere le proprie idee, spesso senza contraddittorio e a volte con presentatori che facevano dichiarazioni di sostegno. Nel contempo le voci e le opinioni dei palestinesi si sono sentite molto meno di frequente e sono state contraddette con maggiore forza.

Un redattore ha evidenziato la presenza di Rami Igra, un importante exufficiale del servizio di sicurezza israeliano, nel programma di Anderson Cooper, dove ha affermato che tutta la popolazione palestinese di Gaza dovrebbe essere vista come combattente.

“Popolazione non-combattente nella Striscia di Gaza è in realtà un termine inesistente perché tutti i gazawi hanno votato per Hamas e, come abbiamo visto il 7 ottobre, la grande maggioranza della popolazione della Striscia di Gaza è con Hamas,” ha affermato.

“Ciononostante noi li stiamo trattando come non combattenti, come civili regolari e sono risparmiati dai combattimenti.”

Cooper non ha smentito nessuna delle sue affermazioni. Quando l’intervista è stata messa in onda, il 19 novembre, a Gaza erano state uccise più di 13.000 persone, in grande maggioranza civili.

Un altro dipendente della CNN ha scelto il programma del presentatore Jake Tapper come esempio di un conduttore che si identifica troppo con una parte mentre l’altra ha solo una presenza limitata. In un certo momento Tapper ha riconosciuto la morte e le sofferenze di palestinesi di Gaza innocenti, ma è sembrato difendere l’entità dell’attacco israeliano contro Gaza.

“Cosa ha pensato esattamente Hamas che avrebbe fatto l’esercito israeliano in risposta a questo?” ha affermato, in riferimento all’attacco del 7 ottobre.

Un portavoce della CNN ha sostenuto: “Rifiutiamo nel modo più assoluto l’affermazione che i nostri giornalisti trattano i politici israeliani diversamente da altri politici.”

Un’altra presentatrice, Sara Sidner, ha suscitato critiche per il suo emotivo reportage sulle affermazioni israeliane non verificate secondo cui il 7 ottobre Hamas avrebbe decapitato decine di bambini.

“Abbiamo notizie veramente sconvolgenti da Israele,” ha annunciato quattro giorni dopo l’attacco.

“Il portavoce del primo ministro israeliano ha appena confermato che bambini e neonati sono stati trovati decapitati a Kfar Aza, nel sud di Israele, dopo gli attacchi di Hamas nel kibbutz durante il fine settimana. Ciò è stato confermato dall’ufficio del primo ministro.”

Sidner ha definito l’affermazione “indicibilmente sconvolgente.”

“Per le famiglie che ascoltano, per il popolo di Israele, per chiunque sia un genitore, chi ami i bambini, non so come si possa sopportare tutto ciò,” ha affermato.

Sidner poi ha detto a un reporter della CNN a Gerusalemme, Hadas Gold, che la decapitazione dei bambini avrebbe reso impossibile a Israele fare la pace con Hamas.

Gold ha replicato: “Come puoi farlo quando hai a che fare con gente che farebbe simili atrocità a dei bambini, dei neonati, dei bimbi?”

Gold, che faceva parte del gruppo SecondEyes che approva i reportage, ha di nuovo detto che le notizie erano state confermate dall’ufficio di Netanyahu e lei ha fatto un parallelo con l’Olocausto. Ha risposto alla smentita di Hamas di aver decapitato bambini come incredibile “quando abbiamo letteralmente dei video di questi ragazzi, di questi miliziani, di questi terroristi che fanno esattamente quello che dicono di non aver fatto a civili e a bambini.”

Solo che, come ha evidenziato un giornalista della CNN, né la rete, né, a quanto pare, nessun altro hanno tali video.

“Il problema è che, ancora una volta, la versione del governo israeliano sugli avvenimenti è stata accolta in modo emotivo senza una verifica da parte di qualcuno che si suppone sia un giornalista neutrale,” afferma.

Al momento della trasmissione di Sidner c’erano già buone ragioni perché la CNN trattasse le affermazioni [israeliane] con cautela.

Giornalisti israeliani che si erano recati a Kfar Aza il giorno prima avevano detto di non aver visto prove di tale crimine e fonti ufficiali dell’esercito non ne avevano fatto menzione. Tim Langmaid, vicepresidente della CNN di Atlanta e importante direttore editoriale, ha inviato un’indicazione in base alla quale le affermazioni del presidente Biden di aver visto foto delle presunte atrocità “confermano quanto detto dal governo israeliano.”

Anche se gli interrogativi stavano aumentando, Langmaid ha inviato una nota in cui diceva: “È importante informare sulle atrocità degli attacchi di Hamas e sulla guerra appena li apprendiamo.”

Fonti interne della CNN sostengono che i caporedattori avrebbero dovuto trattare fin dall’inizio la vicenda con cautela, perché l’esercito israeliano ha una lunga storia di affermazioni false o esagerate che in seguito sono state smentite.

Altre reti, come Sky News, sono state sensibilmente più scettiche nei loro reportage e hanno delineato le vaghe origini della vicenda, iniziata con una giornalista di un canale di notizie israeliano secondo cui alcuni soldati le avevano raccontato che 40 bambini erano stati uccisi nel massacro di Hamas e che un soldato aveva detto di aver visto “corpi di bimbi con la testa tagliata”. L’esercito israeliano ha poi utilizzato la notizia per paragonare Hamas allo Stato Islamico.

Persino dopo che la Casa Bianca ha ammesso che né il presidente né i suoi funzionari avevano visto foto di bambini decapitati e che si erano basati su affermazioni degli israeliani, Langmaid ha detto alla redazione che avrebbe potuto ancora raccontare le asserzioni del governo israeliano insieme alla smentita di Hamas.

La CNN ha informato del ritiro delle accuse quando fonti ufficiali israeliane le hanno smentite, ma un redattore sostiene che ormai il danno era stato fatto, descrivendo la copertura un fallimento giornalistico.

“L’infame affermazione sui ‘bambini decapitati’ attribuita al governo israeliano, è andata in onda per circa 18 ore, persino dopo che la Casa Bianca aveva fatto marcia indietro sul comunicato di Biden secondo cui aveva visto foto inesistenti. La CNN non aveva avuto accesso a prove fotografiche né alla possibilità di verificare in modo indipendente queste affermazioni,” dice.

Un portavoce della CNN ha sostenuto che la rete ha informato in modo accurato quello che era stato detto all’epoca.

“Nei nostri notiziari abbiamo fatto molta attenzione ad attribuire queste affermazioni e abbiamo anche emanato linee guida molto specifiche a questo scopo,” ha detto.

Alcuni redattori della CNN hanno sollevato questioni simili riguardo alle informazioni sui tunnel di Hamas a Gaza e alle affermazioni secondo cui essi portano a un esteso centro di comando sotto l’ospedale al-Shifa.

Fonti interne dicono che alcuni giornalisti hanno respinto le imposizioni. Uno ha indicato Jomana Karadsheh, corrispondente da Londra con una lunga esperienza di inviata in Medio Oriente.

“Jomana ha molto insistito per mettere in evidenza le vittime palestinesi di questa guerra e ha avuto un certo successo. Ha fatto alcuni reportage molto importanti per umanizzare tutto ciò e analizzare le azioni e le intenzioni di Israele. Ma non penso che sia stato facile per lei. Questi servizi non hanno la visibilità che meritano,” ha affermato un giornalista.

L’impulso per un’informazione più equilibrata è stato complicato dal divieto israeliano di ingresso dei giornalisti a Gaza, salvo che sotto il controllo e la censura dell’esercito israeliano. Ciò ha contribuito a tenere fuori dalla CNN e da altri canali l’impatto complessivo della guerra sui palestinesi, garantendo nel contempo che ci sia un’attenzione costante al punto di vista israeliano.

Un portavoce della CNN ha negato le accuse di parzialità: “Le nostre notizie, comprese alcune delle nostre inchieste, interviste e reportage più dettagliate e di spicco, hanno messo a confronto la risposta di Israele agli attacchi” ha affermato.

La CNN dovette far fronte a simili accuse di parzialità in seguito agli attacchi dell’11 settembre del 2001, quando il direttore della rete, Walter Isaacson, ordinò che i reportage sull’uccisione di civili afghani da parte delle forze USA fossero controbilanciati dalla condanna dei talebani per i loro rapporti con al-Qaeda.

“Poiché abbiamo buoni reportage dall’Afghanistan controllato dai talebani, dobbiamo raddoppiare i nostri sforzi per essere sicuri che non sembri che stiamo informando semplicemente a loro favore o dal loro punto di vista. Dobbiamo parlare di come i talebani stanno usando scudi umani e come hanno ospitato i terroristi responsabili dell’uccisione di quasi 5.000 persone innocenti,” scrisse in una nota, secondo il Washington Post.

Alcuni redattori affermano che dopo le prime settimane in cui la CNN ha informato sull’attacco di Hamas “come se fosse l’11 settembre”, è aumentato lo spazio dedicato al punto di vista palestinese, dato il crescente numero di morti e distruzioni dell’attacco di rappresaglia israeliano contro Gaza.

L’unico giornalista straniero a informare da Gaza senza essere accompagnato dagli israeliani è stata Clarissa Ward della CNN, che è entrata per due ore con una squadra di soccorso umanitario degli Emirati Arabi Uniti.

La settimana scorsa sul Washington Post Ward ha riconosciuto le difficoltà. Ha scritto che il suo reportage da Israele le ha consentito “di creare un’immagine vivida delle mostruosità del 7 ottobre”, ma le è stato impedito di tramettere un’immagine più completa della tragedia in corso a Gaza a causa del blocco israeliano contro i giornalisti stranieri, lasciandone l’onere solo a un numero limitato di coraggiosi giornalisti palestinesi che sono stati uccisi in numero spropositato.

“Ora dobbiamo poter raccontare allo stesso modo le terribili morti e distruzioni inflitte a Gaza, sul terreno, in modo indipendente, in mezzo a uno dei bombardamenti più intensi nella storia delle guerre moderne,” ha scritto.

“Nei media israeliani la risposta ai nostri racconti su Gaza suggerisce una ragione indicibile per negarci l’accesso. Quando ha risposto in onda riguardo a un nostro pezzo, un giornalista del Canale 13 israeliano ha replicato: ‘Se veramente i reporter occidentali iniziano a entrare a Gaza ciò sarà di certo un grave grattacapo per Israele e per la sua hasbara.’ Hasbara è una parola ebraica per propaganda a favore di Israele.”

Qualcuno alla CNN teme che l’informazione sull’ultima guerra a Gaza stia danneggiando una reputazione costruita sul modo in cui ha raccontato l’invasione russa dell’Ucraina, che ha portato a un aumento degli spettatori. Ma altri affermano che la guerra in Ucraina deve essere parte del problema, perché le regole redazionali sono diventate meno accurate in quanto, soprattutto all’inizio del conflitto, la rete e molti dei suoi giornalisti si sono identificati chiaramente con una parte: l’Ucraina.

Un membro della redazione della CNN afferma che l’informazione sull’Ucraina ha definito un pericoloso precedente che si è ritorto contro la rete, perché il conflitto israelo-palestinese è molto più divisivo e le opinioni sono molto più profondamente radicate.

“La trascuratezza nella qualità della nostra informazione e dell’integrità giornalistica raccontando dell’Ucraina si è ritorta contro di noi. Solo che stavolta la posta in gioco è più alta e le conseguenze molto più gravi. La scarsa serietà giornalistica è una pillola più facile da far ingoiare al mondo quando si tratta di vite arabe perse invece che europee,” dice.

Un altro dipendente della CNN sostiene che il doppio standard sia lampante.

“Ci va bene essere inseriti nell’esercito israeliano, produrre reportage censurati dall’esercito, ma non possiamo parlare dell’organizzazione che, ci piaccia o meno, ha vinto la maggioranza dei voti a Gaza. Agli spettatori della CNN è stato impedito di sentire [la voce di] un attore fondamentale di questa vicenda,” afferma.

“Non è giornalismo dire che non vogliamo parlare con qualcuno perché non ci piace quello che fa. La CNN ha parlato con un sacco di terroristi e nemici dell’America nel corso degli anni. Abbiamo intervistato Muammar Gheddafi, persino Osama bin Laden. Quindi cosa c’è di diverso questa volta?”

Anni di pressioni

I giornalisti che lavorano alla CNN danno varie spiegazioni.

Alcuni dicono che il problema deriva da anni di pressioni da parte del governo israeliano e delle organizzazioni che lo appoggiano negli USA, insieme al timore di perdere inserzioni pubblicitarie.

Durante la lotta per la narrazione della Seconda Intifada palestinese all’inizio degli anni 2000 l’allora ministro delle Comunicazioni, Reuven Rivlin, chiamò la CNN “il male, di parte e sbilanciata.” Il Jerusalem Post paragonò l’inviata della rete in città, Sheila MacVicar, alla “donna che metteva la carta igienica nel gabinetto di Goebbels.”

Il fondatore della CNN, Ted Turner, scatenò una bufera nel 2002 quando disse a The Guardian che Israele stava commettendo atti terroristici contro i palestinesi.

“I palestinesi stanno lottando con attentatori suicidi, è tutto quello che hanno. Gli israeliani… hanno una delle macchine da guerra più potenti al mondo. I palestinesi non hanno niente. Quindi chi sono i terroristi? Io sosterrei che entrambe le parti sono coinvolte nel terrorismo,” disse Turner, che allora era il vicepresidente di AOL Time Warner, proprietaria della CNN.

La tempesta di proteste che ne derivò diede come risultato minacce per le entrate della rete, tra cui iniziative delle compagnie israeliane di televisione via cavo, che la sostituirono con Fox News.

Il presidente della CNN, Walter Isaacson, apparve sulla televisione israeliana denunciando Turner, ma ciò non ridusse le critiche. L’allora responsabile esecutivo delle notizie, Eason Jordan, impose una nuova regola secondo cui la CNN non avrebbe più mostrato dichiarazioni degli attentatori suicidi o interviste ai loro parenti e volò in Israele per placare la bufera.

La CNN iniziò anche a mandare in onda una serie sulle vittime degli attentatori suicidi palestinesi. La rete insistette che l’iniziativa non era una risposta alle pressioni, ma alcuni dei suoi giornalisti erano scettici. La CNN non produsse una serie simile sui parenti dei palestinesi innocenti uccisi da Israele nei bombardamenti.

Nel 2021 l’editorialista per la CNN della Columbia Journalism Review [semestrale per giornalisti professionisti che ne monitora il lavoro, ndt.], Ariana Pekary, accusò la rete di escludere dall’informazione le voci dei palestinesi e il contesto storico.

Anche Thompson ha le sue cicatrici di guerra dovute ai rapporti con politici israeliani quando era direttore generale della BBC vent’anni fa.

Nella primavera del 2005 la BBC venne invischiata in un incidente diplomatico riguardo a un’intervista con chi aveva svelato che Israele aveva la bomba nucleare, Mordechai Vanunu, che era stato rilasciato dal carcere l’anno prima.

Le autorità israeliane avevano vietato a Vanunu di rilasciare interviste. Quando un’equipe documentaristica della BBC parlò con lui e poi fece uscire di nascosto le riprese da Israele, le autorità reagirono espellendo in pratica il direttore ad interim dell’ufficio della BBC a Gerusalemme, Simon Wilson, che non aveva niente a che fare con l’intervista.

La disputa andò avanti per mesi, finché la BBC si inchinò alla richiesta israeliana che Wilson scrivesse una lettera di scuse prima di poter tornare a Gerusalemme. La lettera, che includeva un impegno ad “obbedire in futuro alle regole”, avrebbe dovuto rimanere riservata, ma involontariamente la BBC mise in rete dei dettagli prima di cancellarli qualche ora dopo. Il dietrofront fece infuriare alcuni giornalisti della BBC, che stavano resistendo a continue pressioni e abusi a causa del loro lavoro.

In seguito quell’anno Thompson visitò Gerusalemme e incontrò il primo ministro israeliano Ariel Sharon nel tentativo di migliorare le relazioni dopo altri incidenti.

Il governo israeliano era particolarmente scontento della corrispondente molto esperta della BBC da Gerusalemme, Orla Guerin. Il ministro israeliano per gli Affari della Diaspora dell’epoca, Natan Sharansky, la accusò di antisemitismo e di “totale identificazione con gli obiettivi e i metodi dei gruppi terroristici palestinesi” dopo un servizio di Guerin sull’arresto di un ragazzo palestinese sedicenne che portava esplosivi. Accusò i funzionari israeliani di aver trasformato l’arresto in un’opportunità propagandistica perché “avevano fatto sfilare il ragazzo davanti ai media internazionali” dopo averlo obbligato ad aspettare a un checkpoint l’arrivo dei fotografi.

Dopo qualche giorno dall’incontro di Thompson con Sharon la BBC annunciò che Guerin avrebbe lasciato Gerusalemme. All’epoca l’ufficio di Thompson negò di aver agito sotto pressione di Israele e disse che Guerin aveva terminato un incarico più lungo del solito.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Immagini e video satellitari rivelano che a Gaza almeno 16 cimiteri sono stati profanati dalle forze israeliane

Jeremy Diamond, Muhammad Darwish, Abeer Salman, Benjamin Brown e Gianluca Mezzofiore

20 gennaio 2024 – CNN

Un’indagine della CNN ha rivelato che nella sua offensiva di terra a Gaza lesercito israeliano ha profanato almeno 16 cimiteri distruggendo lapidi, devastando la terra e, in alcuni casi, abbandonando corpi dissotterrati.

A Khan Younis, nel sud di Gaza, dove allinizio di questa settimana i combattimenti si sono intensificati, le forze israeliane hanno distrutto un cimitero e riesumato i cadaveri nel corso di ciò che le forze di difesa israeliane (IDF) hanno definito in una dichiarazione alla CNN parte di una ricerca dei resti degli ostaggi sequestrati da Hamas durante gli attacchi terroristici del 7 ottobre.

La CNN ha esaminato le immagini satellitari e i filmati dei social media che mostrano la distruzione dei cimiteri che ha verificato direttamente nel corso di un viaggio in un convoglio delle IDF. Nel complesso le prove rivelano una pratica attuata sistematicamente dalle forze di terra israeliane nel corso della loro avanzata attraverso la Striscia.

La distruzione intenzionale di siti religiosi, come i cimiteri, viola il diritto internazionale, tranne in circostanze limitate relative al fatto che quel sito diventi un obiettivo militare, ed esperti di diritto hanno detto alla CNN che le azioni di Israele potrebbero costituire crimini di guerra.

Un portavoce delle IDF non è stato in grado di spiegare la distruzione dei 16 cimiteri dei quali la CNN ha fornito le coordinate, ma ha detto che lesercito a volte non ha altra scelta” se non quella di prendere di mira i cimiteri che, ha sostenuto, Hamas utilizzerebbe per scopi militari.

L’esercito ha affermato che il salvataggio degli ostaggi, il ritrovamento e la restituzione dei loro corpi è una delle sue missioni chiave a Gaza, motivo per cui dei corpi sarebbero stati rimossi da alcune tombe.

Il processo di identificazione degli ostaggi, condotto in un luogo diverso e sicuro, garantisce condizioni professionali ottimali e rispetto per il defunto”, ha detto un portavoce dellesercito alla CNN, aggiungendo che i corpi non ritenuti appartenere ad ostaggi sarebbero restituiti con dignità e rispetto”.

Ma in altri casi sembra che lesercito israeliano abbia utilizzato i cimiteri come avamposti militari. Lanalisi da parte della CNN delle immagini e dei video satellitari ha mostrato che i bulldozer israeliani hanno trasformato numerosi cimiteri in aree di sosta militari, livellando ampi spazi ed erigendo terrapieni per fortificare le posizioni.

Nel quartiere Shajaiya di Gaza City, dove un tempo sorgeva il cimitero, si potevano vedere veicoli militari israeliani circondati da terrapieni su tutti i lati. Secondo quanto riportato dai media locali la parte centrale del cimitero di Shajaiya è stata sgomberata prima della guerra. Ma le immagini satellitari hanno mostrato che altre parti sono state demolite più recentemente e che è visibile la presenza delle IDF dal 10 dicembre.

Il 18 dicembre l’esercito israeliano ha pubblicato una foto non datata di quello che ha affermato essere la conseguenza dell’impatto sul terreno del cimitero di Shajaiya di un razzo lanciato da Hamas. La CNN non ha potuto verificare in modo indipendente quando o dove sia stata scattata la foto.

È stato possibile vedere un’analoga scena di distruzione nel cimitero di Bani Suheila, a est di Khan Younis, dove le immagini satellitari hanno rivelato la deliberata e progressiva demolizione del cimitero e la creazione di fortificazioni difensive nel corso di almeno due settimane tra la fine di dicembre e linizio di gennaio.

Nel cimitero di Al Falouja nel quartiere di Jabalya, a nord di Gaza City, in quello di Al-Tuffah, a est di Gaza City, e in un cimitero nel quartiere di Sheikh Ijlin di Gaza City, lapidi distrutte e marcate impronte di pneumatici indicavano il passaggio sopra le tombe di veicoli pesantemente blindati o di carri armati.

La settimana scorsa il veicolo corazzato che trasportava una squadra della CNN ha attraversato direttamente il cimitero di New Bureij ad Al-Bureij, un campo profughi palestinese nel centro di Gaza, mentre usciva dalla Striscia. Su uno schermo all’interno del veicolo che mostrava delle riprese in tempo reale attraverso la sua telecamera anteriore erano visibili tombe su entrambi i lati della strada sterrata appena demolita. La CNN ha confermato l’ubicazione del cimitero geolocalizzando le riprese fatte quel giorno all’interno di Gaza e confrontandole con le immagini satellitari.

Altri cimiteri presi in esame dalla CNN nelle immagini satellitari hanno mostrato pochi o nessun segno di distruzione o di fortificazioni militari: tra questi due cimiteri dove sono sepolti i caduti della prima e della seconda guerra mondiale, tra cui cristiani e alcuni ebrei.

Il portavoce dellIDF non ha spiegato perché ampie aree di cimiteri siano state demolite con i bulldozer per convertirle in avamposti militari o perché dove un tempo c’erano le tombe si trovassero dei veicoli militari. Abbiamo un serio obbligo di rispettare i morti e non esiste alcuna prassi di convertire i cimiteri in postazioni militari”, ha detto il portavoce alla CNN.

Secondo le immagini satellitari, i video esaminati e le geolocalizzazioni della CNN, le forze israeliane hanno gravemente danneggiato il cimitero di Khan Younis tra lunedì notte e mercoledì mattina, mentre si muovevano nell’area circostante il complesso dell’ospedale Al Nasser e un ospedale da campo giordano.

Lesercito ha dichiarato alla CNN che quando vengono ricevute importanti informazioni d’intelligence o operative”, fanno seguitooperazioni precise di salvataggio di ostaggi nei luoghi specifici in cui sulla base delle informazioni potrebbero essere localizzati i loro corpi”.

Israele ha affermato che durante gli attacchi terroristici di Hamas del 7 ottobre sono state prese in ostaggio 253 persone e ritiene che 132 ostaggi, di cui 105 vivi e 27 morti, si trovino ancora a Gaza.

Non sono riuscito a trovare la sua tomba”

Dina, la figlia di Munther al Hayek, è stata uccisa nella guerra contro Gaza del 2014. Allinizio di gennaio Munther ha visitato la tomba di Dina nel cimitero di Sheikh Radwan a Gaza City ma lei non c’era. Ha cercato la tomba di sua nonna. Non c’era neanche quella.

Le forze di occupazione le hanno distrutte e demolite”, ha detto alla CNN Hayek, portavoce dell’organizzazione di opposizione palestinese Fatah a Gaza. Le scene sono orribili. Vogliamo che il mondo intervenga per proteggere i civili palestinesi”.

Anche Mosab Abu Toha, un poeta di Gaza le cui opere sono state pubblicate sul New York Times e sul New Yorker, ha appreso che il cimitero dove sono sepolti suo fratello minore e suo nonno è stato gravemente danneggiato dall’esercito israeliano.

Ora al sicuro al Cairo, Abu Toha ha raccontato alla CNN come il 26 dicembre suo fratello lo abbia chiamato dal cimitero di Beit Lahia, nel nord di Gaza, mentre cercava i suoi cari senza riuscire a trovarli.

In una registrazione della loro videochiamata, vista dalla CNN, le macerie ricoprono il terreno dove un tempo sorgeva il cimitero. Nelle immagini satellitari il cimitero è solcato in lungo e in largo da impronte di pneumatici di veicoli militari pesanti.

Il bilancio delle vittime a Gaza cresce di giorno in giorno. Secondo il Ministero della Sanità di Gaza controllato da Hamas più di 24.000 palestinesi sono stati uccisi negli attacchi israeliani. Le sepolture spesso avvengono rapidamente secondo la pratica islamica e, dall’inizio della guerra, i morti sono stati spesso sepolti in fosse comuni.

Alla fine di dicembre Israele ha restituito le salme di 80 palestinesi uccisi nel corso della guerra, affermando di aver verificato che non si trattava di ostaggi israeliani catturati da Hamas. I resoconti dei media palestinesi di quel periodo affermavano che i cadaveri restituiti non erano identificabili. La CNN non può verificare in modo indipendente tali affermazioni.

Rispettare i morti

Esperti di diritto internazionale affermano che la profanazione dei cimiteri viola lo Statuto di Roma, il trattato del 1998 che ha istituito e regola la Corte Penale Internazionale (CPI) per giudicare crimini di guerra, genocidi, crimini contro lumanità e crimini di aggressione. Israele, che originariamente aveva sostenuto la creazione della Corte, non ha ratificato lo Statuto di Roma.

I cimiteri sono tutelati in quantobeni civili” ai sensi del diritto internazionale e vengono loro concesse protezioni speciali, con limitate eccezioni.

I cimiteri possono essere attaccati o distrutti solo se laltra parte in guerra li utilizzi per scopi militari o se ciò sia ritenuto una necessità militare e il vantaggio militare ottenuto sovrasti il danno ai beni civili.

Janina Dill, co-direttrice presso lIstituto di Etica, Diritto e Conflitti Armati dellUniversità di Oxford, ha detto alla CNN: La natura civile del cimitero rimane in una certa misura intatta. Quindi chi vuole attaccare un cimitero deve comunque tenere conto della caratteristica di uso civile delle tombe e dellimportanza civile del cimitero, e deve ridurre al minimo i danni alla funzione civile del cimitero”.

Il Sudafrica ha sollevato la questione della distruzione dei cimiteri di Gaza da parte delle IDF come parte della sua denuncia davanti alla Corte Internazionale di Giustizia, sostenendo che Israele sta commettendo un genocidio. Israele nega laccusa, ma Dill afferma che, sebbene la sola distruzione dei cimiteri non equivalga a un genocidio, può tuttavia contribuire a dimostrare le intenzioni di Israele.

C’è un profondo significato simbolico nellidea che nemmeno i morti siano lasciati in pace”, dice Dill. Il diritto internazionale umanitario protegge la dignità di chi è estraneo al combattimento come di chi combatte, e tale protezione non termina con la morte”.

Ma in almeno due casi è chiaro che si è fatto di tutto per rispettare i morti – nei cimiteri dove i palestinesi non sono sepolti.

A nemmeno un chilometro di distanza dal cimitero distrutto di Al-Tuffah, a est di Gaza City, si trova in gran parte intatto un cimitero che conserva i corpi di soldati, per lo più britannici e australiani, morti durante la prima e la seconda guerra mondiale. Un cratere sul luogo di sepoltura appare nelle immagini satellitari tra l’8 e il 15 ottobre, ma per il resto non è stato toccato dalla guerra.

Un secondo cimitero amministrato dalla Commissione delle Tombe di Guerra del Commonwealth nel centro di Gaza offre un esempio ancora più evidente. Relitti di veicoli dilaniati e strade distrutte circondano il cimitero. Ma il cimitero in sé, che contiene soprattutto tombe di cristiani e di alcuni soldati ebrei della prima guerra mondiale, è intatto.

Dei soldati israeliani hanno persino posato con una bandiera israeliana accanto alla tomba di un soldato ebreo sepolto lì e unaltra immagine pubblicata sui social media mostra un carro armato fermarsi al confine del cimitero – rispettando la sacralità di quel terreno consacrato.

Il rispetto di alcuni morti, ma non di altri, è in violazione del diritto internazionale, ha detto alla CNN Muna Haddad, avvocatessa per i diritti umani e studiosa del culto dei morti, aggiungendo: Ciò che sta accadendo è una chiara violazione di queste regole fondamentali e ‘commettere oltraggio alla dignità personale’ è considerato un crimine di guerra ai sensi dello Statuto di Roma”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Nella guerra di Israele a Gaza le redazioni sono diventate campo di battaglia

Somdeep Sen


8 dicembre 2023, Al Jazeera

E nella battaglia su come viene raccontata la guerra da Gaza, i giornalisti sono le vittime principali.

Non molto tempo fa il mondo è stato testimone di immagini fortemente contrastanti.

Da un lato abbiamo visto sui nostri schermi il giornalista televisivo palestinese Salman al-Bashir visibilmente distrutto dal dolore alla notizia della morte del suo collega Mohammad Abu Hatab. Hatab era in onda 30 minuti prima. Tornato a casa Hatab e undici membri della sua famiglia sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano.

Al-Bashir era in lacrime: “Non ne possiamo più. Siamo esausti, siamo qui vittime e martiri in attesa della morte, uno dopo l’altro, e nessuno si preoccupa di noi o della immane catastrofe e del crimine a Gaza”. Poi si è tolto l’equipaggiamento protettivo aggiungendo: “Nessuna protezione, nessuna protezione internazionale, nessuna immunità verso nulla, questo equipaggiamento protettivo non ci protegge e nemmeno i caschi”.

Abbiamo visto anche le immagini della CNN, attentamente preparate e selezionate, che seguono l’operazione di terra dell’esercito israeliano a Gaza. Ci è stato detto che la CNN era “integrata” all’esercito. Come condizione per entrare a Gaza con il supporto aereo israeliano, i media sono tenuti a “presentare all’esercito israeliano tutto il materiale e i filmati all’esercito israeliano per la revisione prima della pubblicazione”. La CNN aveva accettato.

Se non era già abbastanza evidente, i media e il giornalismo sono diventati un campo di battaglia fondamentale in questa guerra Israele-Gaza. E nella lotta su come viene raccontata la guerra i giornalisti sono stati le vittime principali.

Il 3 dicembre Shima El-Gazzar, giornalista palestinese della rete Almajedat, è stata uccisa insieme ai suoi familiari in un attacco aereo israeliano sulla città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Il 23 novembre un attacco aereo sulla sua casa nel campo profughi di Nuseirat, al centro di Gaza, è costato la vita al giornalista Muhammad Moin Ayyash e a circa 20 membri della sua famiglia.

Il 19 novembre Bilal Jadallah, direttore di Press House-Palestine, un’organizzazione non-profit che sostiene lo sviluppo dei media palestinesi indipendenti, è stato ucciso da un attacco aereo israeliano contro la sua auto.

Il 7 novembre è stato riferito che il giornalista palestinese Mohammad Abu Hasira è stato ucciso insieme a 42 membri della sua famiglia in un attacco aereo israeliano sulla sua casa vicino a Gaza City.

Solo due giorni prima i media avevano riportato che Mohamed al-Jaja, un altro operatore dei media per Press House-Palestine, era stato ucciso insieme a sua moglie e due figli in un attacco aereo nel nord di Gaza.

Il 30 ottobre anche Nazmi al-Nadim, vicedirettore delle finanze e dell’amministrazione della TV palestinese, è stato ucciso in un attacco aereo insieme ai suoi familiari.

Il 26 ottobre, il mondo ha visto il capo dell’ufficio arabo di Al Jazeera Wael Dahdouh seppellire “moglie, figlio, figlia e nipote” uccisi in un attacco aereo sul campo di Nuseirat. In una dichiarazione l’esercito israeliano ha affermato che stava prendendo di mira “infrastrutture terroristiche nell’area”.

Il 13 ottobre Issam Abdallah, eminente giornalista di Reuters– che indossava indumenti protettivi con sopra la dicitura “stampa” – è stato ucciso da un razzo israeliano lanciato attraverso il confine tra Israele e Libano.

In totale, secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) [organizzazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove la libertà di stampa in tutto il mondo, ndt.] nel periodo dei due mesi tra il 7 ottobre e il 6 dicembre dentro e intorno alla Striscia di Gaza sono stati uccisi 63 giornalisti e operatori dei media, per lo più palestinesi. Jonathan Dagher, responsabile dell’ufficio Medio Oriente di Reporter Senza Frontiere, ha dichiarato: “Ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è una tragedia per il giornalismo… La situazione è drammatica. Chiediamo la protezione dei giornalisti nella Striscia e che sia consentito l’ingresso nel territorio a giornalisti stranieri che possano lavorare liberamente”.

Tuttavia la battaglia non riguarda solo chi potrà riferire di questa guerra. È anche una battaglia su come viene raccontata la guerra. Sono importanti le parole, le frasi e le immagini utilizzate in onda per descrivere gli eventi sul campo.

Durante una conversazione John Collins, professore di studi globali alla St Lawrence University e direttore del quotidiano indipendente Weave News, mi diceva: “Le parole costruiscono per noi la realtà. In tempo di guerra le parole usate dai giornalisti dovrebbero aiutarci a chiarire cosa sta succedendo e perché. Ma troppo spesso quelle parole servono a distrarci, a fuorviarci o a proteggere i potenti dalle loro responsabilità”.

Questo giornalismo fuorviante avviene a un livello molto elementare nel modo in cui le morti palestinesi vengono descritte nelle notizie. Mentre si dice che i palestinesi sono “morti”, gli israeliani vengono “uccisi”. La seconda formulazione riconosce un’azione attiva di uccisione da parte di qualcuno, ma la prima è passiva. Come a dire che nessuno è responsabile delle morti palestinesi o suggerire – come ha fatto il portavoce militare israeliano tenente colonnello Richard Hecht in seguito all’attacco al campo profughi di Jabalia – che le morti palestinesi siano semplicemente un’inevitabile “tragedia di guerra”.

Certamente una minimizzazione del bilancio delle vittime palestinesi è stata fatta anche dal presidente Biden quando ha messo in dubbio l’accuratezza dei numeri, visto che il Ministero della Sanità a Gaza è gestito da Hamas. Ha detto: “Sono sicuro che degli innocenti siano stati uccisi, ed è il prezzo da pagare nell’intraprendere una guerra… Ma non credo al numero che i palestinesi stanno dando”. Tale accusa ha effettivamente piantato il seme del dubbio sull’effettiva gravità della sofferenza palestinese, con diversi organi di stampa che hanno valutato e riportato il modo in cui il Ministero della Salute ha calcolato le vittime – questo mentre le agenzie umanitarie internazionali insistono che i numeri del ministero sono effettivamente affidabili.

Anche il modo in cui i media inquadrano il “perché”, il “come”, e il “cosa accadrà dopo” di questa guerra in corso, influenza l’opinione pubblica. In qualità di studioso di disinformazione e propaganda Nicholas Rabb ha scoperto che “la retorica fuorviante e la copertura incessantemente unilaterale” da parte dei media statunitensi e israeliani ha consentito la “demonizzazione acritica dei palestinesi”.

Ciò include i media di destra negli Stati Uniti che seminano allarme su un’imminente “Giornata globale della Jihad” indetta da Hamas. Un funzionario della Sicurezza Nazionale ha affermato che non c’erano prove credibili di una minaccia imminente sul suolo americano. Tuttavia, dopo aver ascoltato un discorso conservatore alla radio ed essersi allarmato per un imminente “Giorno della Jihad”, un uomo di 71 anni ha aggredito la sua inquilina, una donna palestinese americana, prima di pugnalarne a morte il figlio di sei anni.

Il gruppo Honest Reporting, che monitora e denuncia i pregiudizi anti-israeliani nei media, ha anche sollevato questioni etiche sui fotoreporter residenti a Gaza che lavorano con aziende del calibro di Reuters, Associated Press, CNN e New York Times e su come siano riusciti a catturare immagini dalle aree di confine forzate il 7 ottobre. Si chiedeva: “Cosa stavano facendo lì così presto in quello che normalmente sarebbe stato un tranquillo sabato mattina? È stato coordinato con Hamas? Le rispettabili agenzie di stampa che hanno pubblicato le loro foto avevano approvato la loro presenza in territorio nemico, insieme agli infiltrati terroristi?”

Mentre tutte le agenzie accusate negavano con veemenza le accuse secondo cui fossero a conoscenza dell’attacco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha cavalcato la cosa e ha detto: “Questi giornalisti sono complici di crimini contro l’umanità, le loro azioni sono contrarie all’etica professionale”.

Indignati per gli attacchi ai giornalisti, al giornalismo indipendente e alla rappresentazione della guerra da parte dei media, 750 giornalisti hanno firmato una lettera aperta chiedendo la protezione dei giornalisti. La lettera incoraggia inoltre i giornalisti a “dire tutta la verità senza timore o favoritismi” e a utilizzare “termini precisi e ben definiti dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani” come “apartheid”, “pulizia etnica” e “genocidio” nei servizi giornalistici. La lettera si conclude dicendo: “Riconoscere che distorcere le nostre parole per nascondere prove di crimini di guerra o di oppressione dei palestinesi da parte di Israele è una negligenza giornalistica e un’abdicazione alla limpidezza morale. L’urgenza del momento non può essere sottovalutata. È necessario cambiare rotta”.

Considerando la crisi umanitaria a Gaza pochi possono negare l’urgenza di questo momento. Tuttavia, solo il tempo dirà se ciò si tradurrà nel riconoscimento dell’importanza di proteggere i giornalisti e il giornalismo in un momento di crisi estrema.

Somdeep Sen è professore associato di Studi sullo Sviluppo Internazionale presso l’Università di Roskilde in Danimarca. È autore di Decolonizing Palestine: Hamas between the Anticolonial and the Postcolonial (Decolonizzare la Palestina: Hamas tra anticoloniale e postcoloniale, Cornell University Press, 2020).

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Un palestinese di 14 anni colpito e ucciso dalle forze israeliane, afferma il Ministero della Salute palestinese

Abeer Salman, Atika Shubert

30 maggio 2022 – CNN

Betlemme, Cisgiordania – Secondo il Ministero della Salute palestinese un ragazzo palestinese di 14 anni è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dalle forze israeliane nella città di Betlemme, in Cisgiordania, venerdì scorso.

La famiglia della vittima, Zaid Saeed Ghuneim, ha detto che l’adolescente aveva appena finito di cenare e stava andando a casa dei nonni quando gli hanno sparato. Il fratello, Yazan Ghuneim, ha detto alla CNN che suo fratello si stava nascondendo in un garage quando i soldati israeliani lo hanno intrappolato.

“Gli hanno sparato due proiettili nelle gambe, due nella schiena e uno nel collo. Lo hanno assassinato”, ha detto Ghuneim alla CNN a casa della famiglia. “Era il mio migliore amico. Un ragazzo adorabile e pacifico che voleva aiutare tutti.”

Una testimone oculare della sparatoria, Um Muhammad Al Wahsh, ha mostrato alla CNN un video che ha girato subito dopo l’incidente. Nel filmato si vede il sangue versato sul pavimento di un parcheggio sotterraneo e sparso su un’auto. Um Muhammad sostiene di aver visto Zaid Saeed Ghuneim correre nel garage e di averlo sentito implorare per la sua vita.

“Urlava e continuava a dire: ‘Non ho fatto niente! Non spararmi!'”, ha detto alla CNN.

Secondo il Ministero della Salute palestinese, Ghuneim è stato portato d’urgenza in ospedale con ferite da proiettile al collo e alla schiena. I medici non sono riusciti a tenerlo in vita.

In una dichiarazione rilasciata alla CNN l’esercito israeliano ha affermato che diversi soldati nella zona di Al-Khader a Betlemme stavano conducendo “attività di sicurezza di routine” nell’area quando “sospetti hanno lanciato pietre e bottiglie molotov contro i soldati mettendo in pericolo le loro vite”.

Secondo l’esercito israeliano nell’inseguire gli assalitori i soldati hanno risposto con le armi da fuoco ferendo uno dei sospetti. La dichiarazione aggiunge che i soldati hanno fornito cure mediche iniziali sulla scena prima di trasferire i feriti alla Mezzaluna Rossa palestinese. L’incidente è oggetto di indagine. La dichiarazione non nomina Zaid Saeed Ghuneim.

Questa è la seconda uccisione di un minore da parte delle forze israeliane in meno di una settimana dopo una serie di raid in Cisgiordania. Mentre copriva uno di quei raid, la giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh è stata colpita e uccisa da quello che il procuratore generale palestinese ha descritto come un attacco mirato da parte di soldati israeliani.

Le tensioni sono aumentate costantemente in Israele e nei territori palestinesi. A marzo una serie di attacchi da parte di palestinesi ha ucciso 19 israeliani. In risposta, l’esercito israeliano ha lanciato l’operazione “Breakwater ” con incursioni quasi quotidiane in tutta la Cisgiordania per arrestare i sospetti. Da allora i soldati hanno arrestato decine di residenti in Cisgiordania e hanno incontrato una violenta resistenza. Il Ministero della Salute palestinese afferma che almeno 55 palestinesi sono morti a causa dell’operazione Breakwater.

Secondo l’organizzazione (israeliana) per i diritti umani B’Tselem le forze israeliane applicano anche una “politica di aprire il fuoco” in tutta la Cisgiordania con l’uso di munizioni vere per rispondere anche a incidenti minori come il lancio isolato di sassi. B’Tselem afferma che questa politica ha provocato diverse morti tra cui due adolescenti palestinesi uccisi a colpi di arma da fuoco a Betlemme nel febbraio di quest’anno.

Corrispondenze di Abeer Salman da Betlemme e Atika Shubert da Gerusalemme per la CNN.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Come i media occidentali permettono a Israele di farla franca su Gaza

Ramzy Baroud

16 novembre, 2019 Middle East Monitor

Un attacco israeliano a Gaza era imminente e non a causa di qualche provocazione da parte di gruppi palestinesi nella impoverita e assediata striscia di Gaza. L’escalation dell’esercito israeliano era prevedibile perché si colloca perfettamente nel controverso scenario politico israeliano. La guerra non era una questione di “se”, ma di “quando”.

La risposta è arrivata il 12 novembre quando l’esercito israeliano ha lanciato un grave attacco contro Gaza, uccidendo il comandante della Jihad islamica Bahaa Abu al-Ata e la moglie Asma.

Sono seguiti altri attacchi contro quelle che l’esercito israeliano ha descritto come basi della Jihad islamica. Comunque le identità delle vittime, insieme a video incriminanti sui social media, foto e resoconti di testimoni indicano che sono stati bombardati anche civili e distrutte infrastrutture civili.

Quando il 14 novembre è stata annunciata la tregua, durante l’aggressione israeliana erano stati uccisi 32 e feriti oltre 80 palestinesi.

Quello che veramente ostacola ogni seria discussione sull’orrenda situazione a Gaza è la blanda reazione sia delle organizzazioni internazionali, che esistono con il solo scopo di mantenere la pace nel mondo, che dei principali media occidentali, che incessantemente celebrano la propria accuratezza ed imparzialità. Una reazione estremamente deludente alla violenza israeliana è stata quella di Nickolay Mladenov, il coordinatore speciale ONU per il processo di pace in Medio Oriente.

Mladenov, il cui compito da tempo avrebbe dovuto essere considerato inutile dato che non esiste al momento alcun “processo di pace”, ha espresso la sua “preoccupazione” circa la “seria e costante escalation fra la Jihad islamica palestinese e Israele”.

La dichiarazione di Mladenov non solo stabilisce un’equivalenza morale fra una potenza di occupazione, che per prima ha provocato la guerra, e un piccolo gruppo di poche centinaia di uomini armati, ma è anche disonesta.

Il lancio indiscriminato di razzi e colpi di mortaio contro centri abitati è assolutamente inaccettabile e deve cessare immediatamente” ha aggiunto Mladenov, dando grande enfasi al fatto che “non c’è alcuna giustificazione per degli attacchi contro civili”.

Sorprendentemente Mladenov si stava riferendo ai civili israeliani, non a quelli palestinesi. Quando questa dichiarazione è stata rilasciata ai media, c’erano già decine di civili palestinesi feriti e uccisi mentre i reportage dei media israeliani parlavano dei pochi israeliani che erano stati curati per “ansia”.

L’Unione Europea non ha fatto molto di meglio, ripetendo la solita reazione automatica americana di condanna “al fuoco di fila di attacchi di razzi che penetrano profondamente in territorio israeliano”.

Non è possibile che Mladenov e i vertici dei responsabili della politica estera dell’UE non capiscano correttamente il contesto politico dell’ultimo massacro israeliano, cioè che il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sotto attacco sta usando l’escalation militare per rafforzare il suo controllo sul potere che si sta sempre più indebolendo.

Tenendo presente questo, cosa si deve pensare della scadente copertura mediatica, delle analisi inadeguate e dell’assenza di servizi equilibrati sui principali media occidentali?

In un servizio diffuso dalla BBC il 13 novembre, l’emittente britannica ha parlato di “violenza alla frontiera fra Israele e i militanti a Gaza”.

Ma Gaza non è un Paese indipendente e, secondo le leggi internazionali, è ancora occupata da Israele. Israele ha dichiarato Gaza un “territorio ostile” nel settembre 2007, stabilendo arbitrariamente un “confine” fra il Paese e il territorio palestinese assediato. Per qualche ragione la BBC pensa che questa definizione sia accettabile.

Dal canto suo, il 13 novembre la CNN ha riportato che “la campagna militare israeliana contro la Jihad islamica” è al suo secondo giorno, enfatizzando la condanna ONU degli attacchi con i razzi.

La CNN, come la maggior parte degli altri principali media americani, riporta le campagne militari israeliane come parte integrante di una immaginaria “guerra al terrorismo”. Perciò analizzare il linguaggio dei principali media USA allo scopo di sottolineare e enfatizzare i suoi errori e pregiudizi è un esercizio inutile. Purtroppo, i pregiudizi USA sulla Palestina si sono estesi ai media principali in quei Paesi europei che erano, in parte, più imparziali, se non più solidali con la situazione dei palestinesi.

Lo spagnolo El Mundo, per esempio, ha parlato di un certo numero di palestinesi, avendo cura di sottolineare che erano “quasi tutti miliziani” che sono “morti” e non che “erano stati uccisi” dall’esercito israeliano.

L’escalation ha fatto seguito alla morte del leader del braccio armato di Gaza” ha riportato El Mundo, omettendo, ancora una volta, di identificare i responsabili di queste morti apparentemente misteriose.

La Repubblica, che in Italia è considerata una testata di “sinistra”, sembrava più un giornale israeliano di destra nella sua descrizione degli eventi che hanno portato alla morte e al ferimento di molti palestinesi. Il quotidiano italiano ha usato una sequenza degli avvenimenti inventata che esiste solo nella mente dell’esercito e dei responsabili politici israeliani.

La violenza continua. Secondo “The Jerusalem Post” (un giornale israeliano di destra) e l’esercito israeliano parecchi razzi sono stati lanciati dai (miliziani) della Jihad islamica di Gaza verso Israele, violando la breve tregua”.

Resta poco chiaro a quale “tregua” si riferisse La Repubblica.

Il francese Le Monde ha fatto lo stesso, riportando le stesse frasi israeliane, fuorvianti e stereotipate e enfatizzando le dichiarazioni dell’esercito e del

governo israeliano. Stranamente la morte e il ferimento di molti palestinesi a Gaza non merita un posto sulla homepage del giornale francese.

Invece si è scelto di dare evidenza a una notizia relativamente poco importante, in cui Israele denunciava la definizione di prodotti delle colonie illegali come “discriminatoria”.

Forse si sarebbero potute scusare queste mancanze giornalistiche e morali ad ampio raggio se non fosse per il fatto che la storia di Gaza è stata una di quelle più ampiamente riportate ovunque nel mondo da oltre un decennio.

È ovvio che i “i quotidiani più importanti” occidentali non hanno volutamente fatto dei reportage onesti su Gaza e hanno intenzionalmente nascosto la verità ai loro lettori per molti anni, per non offendere la sensibilità del governo israeliano e dei suoi potenti alleati e lobby.

Se non si può che deplorare la morte del buon giornalismo in Occidente, è anche importante riconoscere con grande ammirazione il coraggio e i sacrifici dei giovani giornalisti e dei blogger di Gaza che, in più occasioni, sono stati presi di mira e uccisi dall’esercito israeliano per aver trasmesso la verità sulla situazione di emergenza dell’assediata, ma tenace Striscia.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale del Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Da Marc Lamont Hill ai quaccheri, non è permesso criticare Israele

Jonathan Cook

Venerdì 7 dicembre 2018,Middle East Eye

Il licenziamento di Marc Lamont Hill da parte della CNN e l’indignazione nei confronti di Airbnb e dei quaccheri rivela una totale intolleranza verso le critiche

Per trent’anni il 29 novembre le Nazioni Unite hanno celebrato una giornata annuale di solidarietà con il popolo palestinese. Raramente questo avvenimento ha meritato anche solo un timido accenno da parte dei principali mezzi di comunicazione. Fino alla scorsa settimana.

Marc Lamont Hill, un illustre docente universitario statunitense e commentatore politico della CNN, si è ritrovato sommerso da uno tsunami di critiche per un discorso che ha tenuto alla sede ONU di New York. Ha chiesto la fine dello screditato modello di negoziati interminabili e futili di Oslo sul diritto dei palestinesi ad avere uno Stato – una strategia che è già ufficialmente arrivata a scadenza da due decenni.

Ha proposto di sviluppare al suo posto un nuovo modello di pace regionale basato su un solo Stato che offra uguali diritti a israeliani e palestinesi. Sotto una raffica di critiche secondo cui il suo discorso era antisemita, la CNN lo ha licenziato in tronco.

Il suo licenziamento ripropone recenti polemiche, ampiamente create ad arte per fronteggiare i tentativi da parte di alcune organizzazioni di prendere una posizione più concreta ed etica sul conflitto israelo-palestinese. Sia Airbnb, un sito per la prenotazione di alloggi, che il ramo britannico dei quaccheri, un insieme di movimenti religiosi cristiani, sono stati sommersi da grida di indignazione in risposta alle loro modeste iniziative. Lo scorso mese Airbnb ha annunciato che avrebbe tolto dal suo sito tutte le proprietà situate in Cisgiordania in colonie ebraiche illegali su territorio palestinese. Poco dopo, i quaccheri hanno dichiarato che si sarebbero rifiutati di investire in compagnie che traggano profitto dal furto israeliano di risorse palestinesi nei territori occupati.

Entrambe le iniziative sono pienamente in linea con le leggi internazionali, che vedono il trasferimento della popolazione di una potenza occupante in territori occupati – la fondazione di colonie – come un crimine di guerra. Di nuovo, come per Hill, le due organizzazioni sono state duramente colpite da reazioni ostili, comprese accuse di malanimo e antisemitismo, soprattutto da parte di importanti, presunti progressisti, rappresentanti di gruppi dirigenti ebraici negli USA e in Gran Bretagna.

Ciò che questi tre casi dimostrano è come l’antisemitismo si sia rapidamente esteso a comprendere persino forme estremamente limitate di critica contro Israele e di appoggio ai diritti dei palestinesi. Questa ridefinizione avviene nel momento in cui Israele è guidato dal governo più estremista ed ultranazionalista della sua storia.

Queste due tendenze sono collegate tra loro. I casi in questione rivelano anche la crescente aggressività di una politica identitaria emotiva che è stata ribaltata – depoliticizzata per schierarsi con il forte contro il debole.

Esseri umani inferiori

Delle tre “polemiche”, il discorso di Hill ha proposto la maggiore rottura con l’ortodossia occidentale su come risolvere il conflitto israelo-palestinese – o almeno un’ortodossia definita dagli accordi di Oslo a metà degli anni ’90. Quegli accordi disponevano che, se i palestinesi avessero atteso pazientemente, un giorno Israele avrebbe concesso loro uno Stato su meno di un quarto della loro patria. Circa 25 anni dopo, i palestinesi stanno ancora aspettando e nel frattempo la maggior parte del loro previsto Stato è stata divorata da colonie d’insediamento israeliane.

Nel suo discorso Hill ha messo la spoliazione dei palestinesi da parte del movimento sionista nella corretta prospettiva – sempre più riconosciuta da accademici ed esperti – in quanto progetto colonialista di insediamento.

Ha anche correttamente osservato che la possibilità di una soluzione dei due Stati, se mai sia stata realizzabile, è stata usurpata dalla determinazione israeliana a creare un solo Stato, che privilegia gli ebrei, su tutta la Palestina storica. Nella Grande Israele, i palestinesi sono destinati ad essere trattati come esseri umani inferiori. Hill osserva che la storia suggerisce che c’è solo una possibile soluzione etica a tali situazioni: la decolonizzazione, che riconosca la situazione esistente di uno Stato unico, ma insista su uguali diritti per israeliani e palestinesi.

Invece di sfidare Hill sulla logica inattaccabile del suo discorso, le critiche hanno fatto ricorso a dichiarazioni incendiarie. È stato accusato di utilizzare un linguaggio antisemita – quello utilizzato da Hamas – in riferimento ad un’azione internazionale per garantire “una Palestina libera dal fiume al mare.”

Con un doppio salto di falsa logica, Israele e i suoi sostenitori hanno sostenuto che Hamas utilizza la definizione [“dal fiume al mare”] per dichiarare la propria intenzione genocida di sterminare gli ebrei e che Hill ha ripetuto queste opinioni. Dani Dayan, console generale di Israele a New York, ha definito Hill “un razzista, un fanatico, un antisemita”, e ha paragonato le sue considerazioni a una “svastica dipinta di rosso”.

Ben Shapiro, un analista di Fox News, gli ha fatto eco, sostenendo che Hill ha chiesto “l’uccisione di tutti gli ebrei” nella regione. Allo stesso modo Seth Mandel, caporedattore del Washington Examiner [giornale e sito informativo conservatore, ndtr.] ha sostenuto che Hill avrebbe chiesto un “genocidio degli ebrei”.

Anche l’“Anti-Defamation League” [Lega contro la Diffamazione] (ADL), un’importante e teoricamente progressista organizzazione ebraica che sostiene di appoggiare un trattamento uguale per tutti i cittadini USA, ha stigmatizzato Hill sostenendo: “Queste richieste per [il territorio] ‘dal fiume al mare’ sono appelli a favore della fine dello Stato di Israele.”

Lo slogan del Likud “dal fiume al mare”

Di fatto l’espressione “dal fiume al mare” – in riferimento al territorio tra il fiume Giordano e il mare Mediterraneo – ha una lunga genealogia sia nel discorso israeliano che in quello palestinese. È solo un modo diffuso di riferirsi a una regione denominata un tempo Palestina storica.

Lungi dall’essere uno slogan di Hamas, è utilizzato da chiunque rifiuti la partizione della Palestina e sia a favore di uno Stato unico. Ciò include tutti i vari partiti dell’attuale governo israeliano.

In effetti lo statuto di fondazione del partito Likud del primo ministro Benjamin Netanyahu prevede esplicitamente un Grande Israele che neghi ai palestinesi qualunque speranza di uno Stato. Utilizza esattamente lo stesso linguaggio: “Tra il mare e il Giordano ci sarà solo la sovranità israeliana.”

Persino dopo che lo statuto è stato modificato nel 1999, in seguito agli accordi di Oslo, esso ha continuato a invocare un Grande Israele, dichiarando che “il fiume Giordano sarà il confine orientale permanente dello Stato di Israele.”

Il modello israeliano di apartheid

La differenza tra la posizione di Hamas e del governo israeliano da una parte e di Hill dall’altra è che Hill propone uno Stato unico che tratti tutti i suoi abitanti come uguali, e non che fornisca l’assetto per la dominazione di un gruppo religioso o etnico sull’altro.

In breve, a differenza di Netanyahu e dei dirigenti israeliani, Hill rifiuta un modello di occupazione permanente e di apartheid. A quanto pare ciò, secondo la CNN e l’ADL , è un delitto passibile di licenziamento.

Invece la CNN ha a lungo avuto tra i suoi collaboratori l’ex senatore USA Rick Santorum, benché costui abbia sostenuto che il territorio dal fiume al mare è “tutta terra israeliana” e usi un linguaggio che suggerisce il genocidio dei palestinesi.

L’assurdità degli attacchi contro Hill dovrebbe essere evidente quando si consideri che molti dei recenti attori principali del processo di pace – dall’ex-primo ministro israeliano Ehud Barak all’ex-segretario di Stato USA John Kerry – hanno avvertito che Israele sta per diventare un regime di apartheid nei confronti dei palestinesi.

Fanno questa previsione proprio perché una serie di governi israeliani ha categoricamente rifiutato di ritirarsi dai territori occupati.

Dato che sotto Donald Trump gli USA hanno abbandonato ogni prospettiva di uno Stato palestinese – realizzabile o meno –, Hill ha semplicemente evidenziato che il re è nudo. Ha descritto una verità che nessuno che possa cambiare la terribile situazione attuale sembra pronto a prendere in considerazione.

Diritto a resistere

Hill è stato anche accusato di antisemitismo perché appoggia metodi di pressione su Israele per porre fine alla sua intransigenza, che ha tenuto i palestinesi sotto occupazione per più di mezzo secolo.

Hill ha messo in evidenza il diritto di un popolo occupato a resistere al proprio oppressore, un diritto che tutte le capitali occidentali hanno ignorato e ora invariabilmente definiscono come terrorismo, persino quando gli attacchi dei palestinesi sono contro soldati israeliani armati che attuano un’occupazione militare.

Ma lo stesso Hill ha sostenuto una resistenza diversa, gandhiana, non violenta e una solidarietà con i palestinesi nella forma del movimento per il Boicottaggio, Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) – precisamente il tipo di proteste internazionali che contribuì alla decolonizzazione del Sudafrica.

Il boicottaggio trasformato in orco

Negli ultimi anni e sotto la pressione del governo israeliano, i sostenitori dell’occupazione israeliana e gli Stati occidentali hanno trasformato il BDS in orco. La sua fondatezza non viene più dibattuta. Non è presentato come strategia per porre fine all’occupazione e neppure come mezzo per fare pressione su Israele per rendere più liberale un’ideologia che sostiene la supremazia etnica della maggioranza ebraica sul quinto della popolazione israeliana che è palestinese.

Invece si dice che sia una prova di antisemitismo e sempre più, di conseguenza, di volontà genocida. Il fatto che il movimento BDS stia prendendo piede nelle università occidentali e sia stato accettato da un notevole numero di giovani ebrei antisionisti è semplicemente ignorato. Invece la tendenza crescente è di dichiararlo fuorilegge e di trattarlo come preludio al terrorismo.

Quindi il discorso di Hill è stato un attacco diretto ai confini silenziosi del dibattito pubblico, fermamente sorvegliati dai sostenitori di Israele e dagli Stati occidentali per evitare discussioni sensate su come porre fine all’occupazione israeliana e ribadire il diritto dei palestinesi alla dignità e all’autodeterminazione.

La ragione per cui è così importante per i sostenitori di Israele far tacere qualcuno come Hill è che fa riferimento a una palese contraddizione.

Il suo discorso si riferisce precisamente al fatto che il sionismo, l’ideologia dello Stato di Israele, è incompatibile con uguali diritti per i palestinesi nella loro patria storica. Implica che l’occupazione non sia un’aberrazione che ha bisogno di aggiustamenti, ma parte integrante della visione del movimento sionista di “ebraicizzare” la Palestina, della cancellazione della presenza palestinese in accordo con altri progetti di colonialismo di insediamento.

La prova che proteggere le aggressive ambizioni territoriali di Israele da esami più attenti sia il vero obiettivo delle critiche contro Hill – e non le preoccupazioni per una presunta ascesa di un “antisemitismo di sinistra” – è confermata dallo scalpore simile che ha circondato le iniziative veramente modeste prese dei quaccheri del Regno Unito e da Airbnb.

I quaccheri e gli investimenti etici

Alla fine dello scorso mese i quaccheri hanno annunciato che non investiranno più in nessuna impresa che tragga profitto dall’occupazione. L’iniziativa è parte della loro politica di “investimenti etici”, simile al loro rifiuto di investire nelle industrie degli armamenti e dei carburanti fossili.

I quaccheri rappresentano un piccolo gruppo di movimenti cristiani che ha storicamente aperto la strada in ogni epoca all’identificazione delle violazioni dell’etica.

Sono stati importanti nell’opposizione allo schiavismo negli USA e contro l’apartheid in Sudafrica, e hanno vinto il premio Nobel per la pace per il loro lavoro nel salvare ebrei e cristiani dai nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale. Ciò ha incluso l’organizzazione del” Kindertransport” [lett.: trasporto di bambini, ndtr.] che portò 10.000 minori, per lo più ebrei, in Gran Bretagna.

Quindi non c’è da stupirsi che prendano l’iniziativa – che altre chiese inglesi sono state troppo timorose ad adottare – di penalizzare le imprese che traggono profitto dalla sottomissione e oppressione dei palestinesi nei territori occupati.

In effetti, invece di criticare i quaccheri inglesi per il boicottaggio di queste industrie, ci si potrebbe giustamente stupire perché ci abbiano messo tanto tempo per agire. Dopotutto l’occupazione militare israeliana esiste – così come cresce la sua progenie maledetta, le colonie, – da più di cinquant’anni. Le sue terribili violazioni sono ben documentate.

Importare divisione

Ma neppure il fatto che i quaccheri abbiano più volte dimostrato di essere dalla parte giusta della storia ha scosso le certezze delle organizzazioni ebraiche britanniche nel denunciare la congregazione. La più importante è stato il Board of Deputies [Consiglio dei Deputati], che rivendica a gran voce per se stesso lo status di rappresentante della comunità ebraica in Gran Bretagna.

Proprio per questa ragione i suoi continui attacchi contro il leader del partito Laburista Jeremy Corbyn, accusato di antisemitismo, sono stati considerati attendibili dai mezzi di comunicazione britannici.

Ma il Board ha dimostrato la sua vera natura con la denuncia contro i quaccheri, insinuando che la loro posizione sia stata motivata non dall’etica ma dall’antisemitismo. Ignorando la lunga storia dei quaccheri nel prendere posizioni etiche, il nuovo presidente eletto Marie van der Zyl ha sostenuto che Israele è stato “preso espressamente di mira” e che la dirigenza dei quaccheri ha un approccio “ossessivo e con i paraocchi.”

Paradossalmente ha accusato i quaccheri di rifiutarsi di “affrontare i pregiudizi e di promuovere la pace nella regione.” Invece i leader dei quaccheri hanno “scelto di importare un conflitto divisivo nel nostro Paese.” Di fatto sono il Board e altre importanti organizzazioni ebraiche che hanno importato questa stessa divisione in Gran Bretagna e negli USA, legando esplicitamente la loro identità ebraica alle azioni del terribile colonialismo di insediamento israeliano. I quaccheri stanno mettendo in evidenza che in un conflitto in cui una parte, Israele, è notevolmente più forte, non ci può essere una soluzione finché la parte più forte non dovrà far fronte a una pressione concreta.

D’altra parte il Board vuole intimidire e mettere a tacere i quaccheri proprio perché Israele possa così continuare ad essere libero di opprimere i palestinesi e rubare la loro terra attraverso l’espansione delle colonie. Non sono i quaccheri che sono antisemiti. Sono le principali organizzazioni ebraiche come il Board of Deputies che sono indifferenti – o addirittura tifose– di fronte a decenni di brutalità israeliana verso i palestinesi.

Il ruolo di Airbnb nell’aiutare i coloni

Allo stesso modo Airbnb è stato bombardato da critiche quando ha promesso il passo ancora più limitato di togliere dal suo sito circa 200 proprietà che si trovano nelle colonie in Cisgiordania che violano le leggi internazionali. Anzi, alcune di queste sono costruite in violazione anche delle leggi israeliane, benché Israele non faccia assolutamente alcun tentativo di applicare tali leggi contro i coloni.

Fino a poco tempo fa era ampiamente ammesso che le colonie sono un ostacolo insuperabile nel risolvere il conflitto israelo-palestinese attraverso una soluzione dei due Stati. Oltretutto le colonie, era sottinteso, per garantirne la protezione ed espansione, richiedevano una violenza ancora maggiore contro la popolazione nativa palestinese.

In fin dei conti questa è proprio la ragione per cui le leggi internazionali vietano di trasferire la popolazione di una potenza occupante nei territori occupati.

Airbnb stava chiaramente aiutando questi coloni illegali, creando una maggiore convenienza economica per gli ebrei a vivere su terra palestinese rubata. Questa motivazione economica è stata fondamento secondario di un’azione legale presentata negli USA la scorsa settimana da famiglie di coloni che sostengono si tratti di “una discriminazione religiosa.”

In realtà la decisione dell’impresa di abbandonare la Cisgiordania è stata il minimo che ci si potesse aspettare da loro. Malgrado ciò, anche così hanno fatto in modo di escludere dalla cancellazione le colonie ebraiche nella Gerusalemme est occupata, benché costituiscano la maggior parte della popolazione di coloni ebrei che utilizzano Airbnb.

Il doppio standard dell’ADL

Nonostante la mossa di Airbnb sia stata debole e molto in ritardo, essa è stata ancora una volta definita antisemita da importanti organizzazioni ebraiche negli USA, non ultima l’ADL.

L’ADL sostiene di “garantire la giustizia e un trattamento equo per tutti i cittadini,” una delle ragioni per cui ha avuto un ruolo attivo nel lottare per i diritti civili dei neri americani nell’epoca delle leggi Jim Crow [regole che imponevano la segregazione razziale negli Stati del Sud, ndtr.]. Ma come molte altre importanti organizzazioni ebraiche, le sue azioni dimostrano che, quando si tratta di Israele, essa è in realtà guidata da un progetto tribale, etnico, piuttosto che universale e basato sui diritti umani.

Invece di accogliere positivamente l’azione di Airbnb, ancora una volta ha sfruttato e degradato il significato di antisemitismo per proteggere Israele dalla pressione affinché ponga fine ai continui soprusi nei confronti dei palestinesi e al furto delle loro risorse.

Ha accusato l’impresa di “doppio standard” per non aver applicato la stessa politica a “Cipro settentrionale, in Tibet, nella regione del Sahara occidentale e in altri territori in cui un popolo è stato espulso.” Come ha evidenziato il commentatore di Forward [storico giornale della comunità ebraica americana, ndtr.] Peter Beinart, questo argomento è quantomeno ipocrita: “Non è stato colpevole l’ADL di ‘doppio standard’ quando i suoi dirigenti hanno marciato per i diritti civili degli afroamericani ma non per gli indiani americani, i cui diritti civili non sono stati garantiti dalle leggi federali fino al 1968?”

Israele costantemente sotto esame

Ciò che questi tre casi evidenziano è che, proprio quando le pessime intenzioni di Israele verso i palestinesi sono diventate ancor più esplicite e trasparenti, lo spazio ufficialmente consentito per criticare Israele ed appoggiare la causa palestinese viene deliberatamente e aggressivamente ridotto.

In un’epoca di telefoni con la telecamera, notizie che scorrono per 24 ore e reti sociali, Israele si trova sottoposto come mai prima a un controllo accurato e quotidiano. La sua dipendenza di lunga data dall’appoggio colonialista, la sua fondazione basata sul peccato della pulizia etnica, il razzismo istituzionalizzato che la minoranza di cittadini palestinesi deve affrontare, la sfrontata brutalità e la violenza strutturale della sua occupazione durata 51 anni sono largamente comprese, più di quanto fosse possibile anche solo un decennio fa.

Ciò è avvenuto nello stesso momento in cui altre gravissime ingiustizie storiche – contro le donne, le persone di colore, i popoli indigeni e la comunità LGBT – sono state messe in evidenza con l’adozione di un nuovo tipo di politiche identitarie popolari.

Negare ciò che è lampante

Israele dovrebbe essere chiaramente messo dalla parte di chi sbaglia in questa storia, eppure i governi occidentali e le principali organizzazioni ebraiche lo stanno risolutamente aiutando a negare ciò che è lampante, ribaltando quindi la realtà.

Pochi anni fa solo i più fanatici sostenitori di Israele sostenevano apertamente che l’antisionismo equivalesse ad antisemitismo. Ora gli antisionisti e i movimenti di solidarietà come il BDS sono acriticamente identificati nel discorso generale non solo come antisemiti, ma anche implicitamente come forma di terrorismo contro gli ebrei.

Il diritto dei palestinesi alla dignità e alla liberazione dal dominio oppressivo di Israele è di nuovo subordinato al diritto di Israele a perseguire incontrastato il suo progetto di colonialismo di insediamento – di espellere e sostituirsi alla popolazione nativa palestinese.

Non solo questo, ma ogni forma di solidarietà con i palestinesi oppressi è identificata come antisemitismo, solo perché i dirigenti ebrei negli USA e in GB hanno un asso nella manica: il diritto superiore a identificarsi con il progetto di colonialismo di insediamento israeliano e a essere al riparo da ogni critica alla loro posizione.

In questa forma profondamente perversa di politica identitaria, i diritti dello Stato di Israele, che possiede armi nucleari, e dei suoi sostenitori all’estero sono diventati armi a danno dei diritti della debole, dispersa, colonizzata e marginalizzata comunità palestinese.

Per decenni i sostenitori di Israele hanno ammesso che Israele avrebbe potuto essere oggetto di quelle che hanno definito “critiche legittime”.

Ma le reazioni a Hill, ai quaccheri e ad Airbnb rivelano che in pratica non ci sono critiche a Israele che siano considerate legittime e che, quando si tratta delle sofferenze dei palestinesi, le uniche posizioni accettabili sono rassegnazione e silenzio.

Jonathan Cook, giornalista inglese che vive a Nazareth dal 2001, è autore di tre libri sul conflitto israelo-palestinese. Ha vinto il “Martha Gellhorn Special Prize for Journalism”.

Le opinioni esposte in questo articolo sono dell’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(traduzione di Amedeo Rossi)