Rapporto OCHA del periodo 6 – 19 ottobre 2020

La stagione della raccolta delle olive, iniziata il 7 ottobre, è stata perturbata o interrotta, da 19 episodi provocati da persone ritenute, o riconosciute, come coloni israeliani: 23 agricoltori palestinesi sono rimasti feriti, oltre 1.000 ulivi sono stati bruciati o danneggiati in altro modo, e grandi quantità di prodotti sono stati rubati

Nella periferia del villaggio di Burqa (Ramallah), in tre occasioni, coloni hanno preso a sassate e aggredito fisicamente palestinesi intenti a raccogliere olive, innescando scontri. In uno di tali scontri sono intervenute le forze israeliane: 14 palestinesi sono rimasti feriti e 30 alberi sono stati bruciati dai lacrimogeni. Gli altri ferimenti sono stati registrati in zone agricole nei pressi della città di Huwwara (Nablus) e nei villaggi di Ni’lin e Beitillu (Ramallah). Nei pressi dell’insediamento israeliano di Mevo Dotan (Jenin), circa 450 ulivi sono stati dati alle fiamme e distrutti; poco prima i contadini palestinesi del villaggio di Yaabad erano stati attaccati da coloni e costretti dai soldati israeliani ad allontanarsi. Anche nel villaggio di Saffa (Ramallah), in un’area chiusa dietro la Barriera, alcune centinaia di ulivi appartenenti a palestinesi sono stati incendiati e danneggiati. In altre dieci località, attigue ad insediamenti colonici, gli agricoltori, allorquando hanno potuto raggiungere i loro terreni, hanno scoperto che i loro ulivi erano stati vandalizzati o che i prodotti erano stati raccolti e rubati. Molti degli episodi hanno avuto luogo in aree ad “accesso limitato”; aree nelle quali, durante l’intera stagione del raccolto, le autorità israeliane consentono l’accesso ai palestinesi per soli due-quattro giorni.

Sono stati registrati altri quattro attacchi da parte di persone ritenute coloni [seguono dettagli]. Nel governatorato di Betlemme, un bimbo palestinese di un anno è rimasto ferito nell’auto su cui viaggiava, colpita da pietre. Nella vicina Al Khader, 40 alveari sono stati dati alle fiamme e bruciati. Nell’area Farsiya della Valle del Giordano settentrionale, pastori palestinesi sono stati aggrediti fisicamente da un gruppo di coloni e una delle loro pecore è stata uccisa. Nel villaggio di Jalud (Nablus) sono stati tagliati e danneggiati pali e cavi elettrici che portano energia a locali agricoli [palestinesi].

Le autorità israeliane hanno annunciato che, durante la stagione della raccolta delle olive, per gli agricoltori palestinesi vi saranno facilitazioni nel rilascio dei permessi di accesso alle loro terre che si trovano dietro la Barriera. In una lettera a un Gruppo israeliano per i Diritti umani, HaMoked, le autorità hanno comunicato che, a coloro che lo avevano ottenuto durante la stagione precedente, il permesso sarebbe stato concesso automaticamente e che il ritiro doveva essere effettuato presso gli uffici israeliani di coordinamento e collegamento distrettuale (DCL). Tuttavia, questa disposizione non verrebbe applicata [ai palestinesi] su cui pendono “obiezioni di sicurezza”. Negli ultimi mesi gli uffici della DCL sono stati sovraffollati, sollevando preoccupazioni per le potenziali trasmissioni COVID-19.

In Cisgiordania, oltre ai summenzionati episodi connessi alla raccolta delle olive, in scontri [tra palestinesi e forze israeliane] sono rimasti feriti ottantacinque palestinesi, tra cui almeno 11 minori, e due soldati israeliani [seguono dettagli]. La stragrande maggioranza di questi ferimenti è stata registrata nei campi profughi di Al Am’ari, Al Jalazun (Ramallah), Al Arrub (Hebron) e Balata (Nablus), a seguito di operazioni di ricerca-arresto ed episodi di lancio di pietre. Ad Al Jalazun, i soldati hanno sparato grandi quantità di lacrimogeni contro studenti che, a quanto riferito, avevano lanciato pietre; successivamente i militari sono entrati nell’edificio scolastico ed hanno rinchiuso gli studenti nelle aule. Cinque palestinesi sono rimasti feriti in scontri scoppiati durante l’aratura di un terreno prossimo all’insediamento colonico di Elon More; terreno di cui coloni israeliani avevano tentato di appropriarsi per stabilirvi un avamposto. I rimanenti ferimenti sono stati registrati in altri scontri o durante tentativi di entrare in Israele attraverso brecce della Barriera. Nel complesso, 21 palestinesi sono stati colpiti da proiettili di gomma e dieci da proiettili di armi da fuoco, mentre la maggior parte delle restanti persone sono state curate per inalazione di gas lacrimogeno.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 126 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 132 palestinesi. La metà delle operazioni sono state registrate nel governatorato di Gerusalemme; in particolare, il quartiere Al ‘Isawiya di Gerusalemme Est è stato sottoposto ad attività di polizia, quasi quotidiane, che hanno portato all’arresto di 30 palestinesi, compresi 13 minori.

Il 16 ottobre, da Gaza, un gruppo armato palestinese ha lanciato un razzo verso il sud di Israele, colpendo un’area aperta, senza provocare feriti. Sempre a Gaza, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso alle aree prossime alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 30 occasioni, senza provocare feriti.

Il 18 ottobre, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza, ad est di Khan Younis, ed hanno devastato con buldozer terreni a circa 400 metri dalla recinzione perimetrale, distruggendo vaste aree di colture e sistemi di irrigazione. Secondo fonti israeliane, le operazioni avevano lo scopo di distruggere tunnel scavati da gruppi armati palestinesi per scopi militari.

In Area C, per mancanza di permessi di costruzione emessi da Israele, in tre circostanze, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato otto strutture di proprietà palestinese, sfollando 12 persone. Cinque delle strutture si trovavano in due Comunità nell’area di Massafer Yatta a Hebron, in un’area designata [da Israele] “zona per esercitazioni a fuoco”, destinata all’addestramento militare israeliano. Le restanti tre strutture sono state demolite nella Comunità di Al Farisiya-Khallet Khader della Valle del Giordano, sulla base di “Ordini Militari 1797” che consentono di effettuare le demolizioni entro 96 ore dall’emissione degli stessi. Nessun episodio è stato registrato a Gerusalemme Est, dove, il 1° ottobre, le autorità israeliane avevano annunciato che, a causa della pandemia COVID-19, avrebbero sospeso la demolizione di case abitate.

Un israeliano è rimasto ferito e nove veicoli israeliani, che viaggiavano all’interno della Cisgiordania, hanno subito danni ad opera di aggressori ritenuti palestinesi che, secondo fonti israeliane, hanno lanciato pietre o bottiglie di vernice.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina:https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Il razzismo dei coloni israeliani non è un’anomalia. È parte di un sistema di apartheid

Ben White

14 ottobre 2020 – Middle East Eye

Molti di coloro che hanno criticato la recente istigazione anti-araba nella colonia di Yitzhar continuano a sostenere la discriminazione istituzionale contro i palestinesi

La colonia israeliana di Yitzhar [in Cisgiordania, a sud della città di Nablus, ndtr.], a lungo sinonimo di estremismo nazionalista e violenza anti-palestinese, è tornata all’onore delle cronache lunedì, dopo che i suoi abitanti hanno collocato all’esterno della colonia un cartello che recita: “Questa strada conduce alla comunità di Yitzhar – L’ingresso per gli arabi è pericoloso.”

Come illustrato da Haaretz, il retroscena della trovata è un fatto avvenuto due settimane fa, quando “è stato rifiutato l’ingresso a Yitzhar ad un operatore sanitario arabo inviato per somministrare un test per il Covid-19”, in quanto, secondo quanto riportato, “era un arabo”.

In risposta il comandante in capo israeliano della regione “ha chiarito agli abitanti di Yitzhar che devono consentire l’ingresso degli arabi”, interpretando la posa del cartello stradale come un segnale di “protesta”.

Le foto del cartello sono state rapidamente condivise su Twitter, suscitando indignazione e contrarietà generali.

Secondo alcuni, il motivo per cui la scritta è diventata virale è che rappresenterebbe un momento rivelatore del fatto che un sistema di segregazione sia stato espresso in modo brutale ed esplicito. Questo potrebbe essere parzialmente vero, ma racconta solo una parte della storia, come possiamo vedere dalla ampia varietà di individui che hanno espresso irritazione per il cartello di Yitzhar.

Tra chi ha manifestato delle critiche sono compresi, ad esempio, apologeti e persino compartecipi del processo di colonizzazione israeliana nella Cisgiordania occupata, come l’ex leader delle colonie e diplomatico israeliano Dani Dayan, che ha definito il cartello “razzista”.

Un colono della Cisgiordania, insegnante Uri Pilichowski, ha dichiarato: “Sono un colono e ho trovato quella scritta spregevole”. Ha aggiunto in un post di Facebook: “Ogni gruppo ha le sue mele marce e la comunità dei coloni non è diversa”.

In modo significativo, Pilichowski ha concluso così il suo post: “Il mio unico sollievo è che Yitzhar si comporta continuamente in questo modo, il che evidenzia come tutte le altre comunità ebraiche in Giudea e Samaria [cioè le colonie in Cisgiordania] non fanno mai queste cose”.

Sulla base di questo modo di vedere, i comportamenti dei cittadini di Yitzhar, sebbene deplorevoli, diventano in realtà una prova della moralità del 99% dei coloni (si noti che l’immagine di Yitzhar come eccezione, o anomalia, è una risposta abituale di fronte al verificarsi di questo tipo di episodi).

Storia della violenza

In effetti, il razzismo dei coloni di Yitzhar può essere compreso solo in quanto parte, piuttosto che elemento estraneo o eccezionale, delle politiche attuate nel corso della storia e attualmente e sostenute dalla leadership politica, militare e giudiziaria di Israele e dalla maggioranza dell’opinione pubblica ebraica.

L’esclusione e l’allontanamento dei palestinesi dalla terra e dalle comunità attraverso la violenza, le leggi e la prassi sono parte integrante della storia di Israele, a cominciare dall’esodo causato dai coloni sionisti prima della fondazione dello Stato e dalla pulizia etnica della Nakba.

Oggi il controllo ebreo israeliano sulla terra e sulle risorse – a spese dei cittadini palestinesi – è assicurato attraverso varie leggi e meccanismi di pianificazione, incluso il rifiuto di consentire ai palestinesi esiliati di tornare nelle loro terre e il ruolo dei comitati di ammissione residenziale [in alcune zone di Israele queste commissioni possono negare il diritto di residenza a persone indesiderate ed escludono metodicamente i palestinesi cittadini di Israele, ndtr.].

Nella Cisgiordania occupata, nel frattempo, le autorità israeliane hanno a lungo escluso i palestinesi da aree estese della regione, un divieto di accesso che è inseparabile dalla colonizzazione del territorio [che avviene] principalmente attraverso la creazione di colonie ebraiche.

Come ha evidenziato su Twitter l’esperto della colonizzazione Dror Etke, è il massimo dell’ipocrisia che qualcuno come Dayan condanni l’episodio del cartello di Yitzhar quando, come documentato in dettaglio nel rapporto di Kerem Navot [organizzazione di valutazione e ricerca sulle politiche israeliane del territorio in Cisgiordania, ndtr.] del 2015, i settori amministrativi delle colonie giocano un ruolo chiave nell’esclusione dei palestinesi da aree della Cisgiordania occupata.

Il rapporto ha rilevato che quasi un terzo della Cisgiordania e più della metà dell’Area C [il 60% della Cisgiordania dove, in base agli accordi di Oslo, Israele esercita il pieno controllo civile e della sicurezza, ndtr.] sono state “definite come aree militari chiuse” – l’obiettivo principale è “ridurre drasticamente le possibilità da parte della popolazione palestinese di utilizzare la terra e consegnarne il più possibile ai coloni israeliani.”

“Minaccia demografica”

I coloni che imbrattano i muri delle case e delle moschee palestinesi con graffiti razzisti sono condannati da vaste fasce della società israeliana, ma l’istigazione anti-araba e anti-palestinese è diffusa sui media e nella politica israeliana, a partire dai commenti dei lettori fino alle politiche strategiche nei confronti dei palestinesi.

Secondo l’indice annuale di 7 amleh [ONG palestinese ndtr.] su razzismo e istigazione nei media informatici israeliani, il 2019 ha visto un commento razzista ogni 64 secondi. Nel frattempo, le comunità palestinesi nella Cisgiordania occupata sono descritte nelle riunioni di commissione della Knesset [parlamento israeliano, ndtr.] come un “virus” e un “cancro”.

I più importanti leader israeliani abitualmente trattano con sufficienza, minacciano e disumanizzano i palestinesi su entrambi i lati della Linea Verde [linea di demarcazione stabilita negli accordi d’armistizio arabo-israeliani del 1949, ndtr.] con politici come Gideon Saar [membro del parlamento israeliano, ndtr.] del Likud o il defunto Shimon Peres [laburista, presidente di Israele dal 2007 al 2014, ndtr.] che si preoccupavano dei “tassi di fertilità” ebrei rispetto a quelli arabi o definivano i cittadini palestinesi una “minaccia demografica”.

Concentrarsi su attori come i coloni “estremisti” può essere indispensabile e vantaggioso, in particolare quando vengono alla ribalta gli attacchi violenti commessi contro i palestinesi e le loro proprietà, condotti nell’impunità e persino con la cooperazione attiva delle forze israeliane.

Tuttavia, è importante contestualizzare eventi come il cartello di Yitzhar in modo tale da non oscurare gli abusi pluridecennali e quotidiani subiti dai palestinesi per mano dello Stato israeliano di apartheid. Il parlamentare del Meretz [partito politico della sinistra sionista, ndtr] ed ex generale dell’esercito Yair Golan è stato tra coloro che hanno condannato la scritta dei coloni di Yitzhar, chiedendo retoricamente: “È questo quello che vogliamo essere, uno Stato razzista?”

Una simile risposta mostra che i momenti rivelatori possono anche essere utili come opportunità di autocompiacimento morale da parte di coloro che disdegnano e prendono le distanze in modo assertivo dal volgare razzismo dei coloni, pur sostenendo la discriminazione e la segregazione istituzionalizzata la cui portata e impatto fanno sì che gli attivisti di Yitzhar appaiano, al confronto, ben poca cosa.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Ben White

Ben White è uno scrittore, giornalista e analista specializzato sul tema Palestina / Israele. I suoi articoli sono apparsi ampiamente sui media internazionali, tra cui Al Jazeera, The Guardian, The Independent e altri. È autore di quattro libri, l’ultimo dei quali, ‘Cracks in the Wall: Beyond Apartheid in Palestine / Israel’ [Crepe nel muro: dietro l’apartheid in Palestina, ndtr.] (Pluto Press), è stato pubblicato nel 2018.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Hebron, colpita dal coronavirus, lotta contro lo stigma sociale e l’occupazione israeliana

Mustafa Abu Sneineh

15 luglio 2020 – Middle East Eye

La più grande città della Cisgiordania è un microcosmo delle sfide che affrontano i palestinesi mentre cercano di combattere il Covid-19.

Se si cammina per le strade di Hebron è facile sentire le persone salutarsi con lo stesso modo di dire: “Ti bacerò sulle guance nonostante il coronavirus.”

È una frase che sta destando sempre più preoccupazione tra le autorità della più grande città della Cisgiordania.

Hebron è stata colpita duramente dalla seconda ondata di coronavirus, che si è manifestata all’inizio di giugno dopo che sembrava che la Cisgiordania avesse superato la fase peggiore della pandemia. In questa sola settimana sono morti di Covid-19 una bambina di 12 anni, tre donne e un uomo di 90 anni.

Complessivamente i territori palestinesi hanno registrato un tasso di mortalità relativamente basso, con 47 decessi contro i 371 di Israele. Ma il numero dei casi sta rapidamente crescendo, con 8.153 contagi da marzo in Cisgiordania, Gerusalemme est e nella Striscia di Gaza.

Mai al-Kauleh, la Ministra della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese, ha affermato che sono stati identificati 27 focolai di coronavirus attivi in Cisgiordania, nei villaggi, nei campi profughi e nelle città.

Kaiuleh ha detto che attualmente sono ricoverati in ospedale 111 palestinesi, di cui sette intubati in terapia intensiva.

Hebron, città socialmente conservatrice, divisa dall’occupazione israeliana e centro propulsore dell’economia della Cisgiordania, è un microcosmo delle sfide che i palestinesi affrontano mentre cercano di combattere il coronavirus.

In base ad un accordo del 1997 firmato dal governo israeliano e dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, la città è di fatto divisa in due parti.

Hebron è suddivisa in H1, sotto il pieno controllo amministrativo e di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP), e H2, sottoposta alla gestione amministrativa dell’ANP, ma controllata dall’esercito israeliano, che ha potere decisionale su chi entra e chi esce dall’area.

Tayseer Abu Sneineh, sindaco e capo del comune di Hebron, ha detto a Middle East Eye che questa divisione si è dimostrata una sfida per il personale medico che combatte la pandemia, con le ambulanze a cui spesso è impedito di entrare nella zona H2, dove circa 40.000 palestinesi vivono accanto a 800 coloni israeliani.

Nella zona H2 vi sono 18 checkpoint militari israeliani permanentemente presidiati.

L’occupazione israeliana, in generale, è un ostacolo allo sviluppo della città e controlla il confine, l’acqua ed ogni cosa. A partire dall’occupazione nel 1967, non è stato aggiunto un singolo posto letto all’ospedale pubblico di Hebron, fino a quando l’Autorità Nazionale Palestinese ha iniziato a governare la città negli anni ‘90”, ha affermato Abu Sneineh.

Attualmente nel distretto di Hebron ci sono diversi ospedali che si occupano di pazienti con coronavirus, compreso l’ospedale della Mezzaluna Rossa ad Halhul e l’ospedale Dura, aperto prima della data prevista in giugno. Si sta predisponendo anche l’apertura di un reparto nell’ospedale pubblico di Hebron.

Complessivamente questi ospedali sono a disposizione dei 215.000 palestinesi che vivono nella città e nei villaggi circostanti, un’area in cui ci sono quasi 120 checkpoint militari israeliani. Secondo Abu Sneineh 120.000 palestinesi di Hebron vivono in zone prive di ambulatori o persino di stazioni di polizia e la grande quantità di posti di blocco impedisce loro l’accesso agli ospedali del distretto.

Detto questo, le politiche dell’ANP e le risposte pubbliche alla pandemia non hanno fatto che aggravare una situazione già difficile.

A marzo l’ANP ha posto la Cisgiordania in completo isolamento fino alla fine di maggio, replicandolo per nove giorni a giugno quando i casi hanno ricominciato ad aumentare.

Ma Hebron, polo manifatturiero del territorio, non ha mai realmente aderito alle restrizioni ed ora ne sta subendo le conseguenze.

Purtroppo alcuni si rapportano ancora alla pandemia di coronavirus come se non esistesse e fosse parte di una cospirazione globale, e questo ha portato alla diffusione del virus”, ha detto Abu Sneineh.

Il Comune di Hebron ha istituito un centro di emergenza per coordinare la sua risposta ed ha pubblicato opuscoli e manifesti per mettere in guardia contro il rischio mortale del Covid-19, ma con scarsi risultati.

L’11 luglio le autorità hanno chiesto il rispetto delle misure di distanziamento sociale quando sono stati annunciati gli esiti degli esami della scuola secondaria, ma molta gente invece si è ammassata nelle macchine e ha fatto il giro della città per festeggiare.

Noi popolo palestinese abbiamo qualcosa nel nostro carattere che è lo spirito di sfida. Certamente sfidare l’occupazione è positivo, ma sfidare un virus in questo modo è una cosa negativa”, ha detto Abu Sneineh.

Bashar al-Atrash, un abitante della zona H1 che lavora nell’industria alimentare, ha detto a MEE di essere tornato a lavorare in fabbrica dopo aver rispettato i 20 giorni del primo isolamento.

Per Atrash il coronavirus è sconcertante perché molte persone risultate positive non hanno mostrato alcun sintomo.

Abbiamo appreso del coronavirus dai media, dalle autorità e dalla moschea, che dopo il richiamo alla preghiera ha fatto un annuncio dicendo alla gente di pregare a casa”, ha detto Atrash.

Che cos’è questo virus che non ti provoca tosse, mal di testa, febbre o diarrea? Cinque miei parenti sono risultati positivi ai test del coronavirus e quando sono andato a trovarli a casa dopo che sono usciti dall’ospedale sembravano sani e in buone condizioni. Allora che cos’è il coronavirus?”

Atrash ha mostrato a MEE un messaggio che è circolato sui social media ad Hebron, scritto da un sedicente dottore che ha proposto una “cura” per il Covid-19, che consiste nel tagliare a fette sottili l’aglio e mangiarlo crudo due volte al giorno durante i pasti.

Il messaggio diceva che “l’esperimento ha dimostrato… che è sufficiente per proteggersi dal coronavirus e dai virus dell’apparato respiratorio, a prescindere da quanto siano violenti e senza ricorrere alle misure di prevenzione.”

Atrash ha detto anche di aver sperimentato questa “cura”, ma di aver aggiunto uno spicchio d’aglio in base al consiglio di un parente.

Quando a marzo la pandemia ha colpito il mondo arabo, sui social media si sono diffusi molti messaggi di questo genere.

Il più famoso rimedio falso è stato proposto nel corso di un’intervista televisiva con un medico egiziano, che ha sostenuto che una cura per il coronavirus esiste già nel shalawlaw, un cibo copto consumato durante il digiuno della vergine Maria, costituito da molokhia [pianta simile alla malva, ndtr.] secca, aglio, acqua fredda, limoni e spezie.

Non sappiamo a chi credere: al governo, ai media, o alle autorità? Ognuno agisce di propria iniziativa per proteggersi”, ha detto Atrash.

Intanto Hebron resta aperta, con visitatori provenienti dalla comunità palestinese beduina dell’interno del Negev israeliano, famiglie di Gerusalemme est originarie della città e palestinesi cittadini di Israele provenienti da città come Oum al-Fahim, Nazareth, Kafr Qasim e Kafr Kanna, che vengono a fare acquisti e a pregare nella storica moschea di Ibrahim.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Due palestinesi feriti dai soldati israeliani durante un attacco dei coloni ebrei

Redazione, WAFA e Social Media

26 settembre 2020 – Palestine Chronicle

Secondo l’agenzia di stampa palestinese WAFA, oggi (26 settembre) due palestinesi sono stati feriti dalle forze di occupazione israeliane durante gli scontri scoppiati nel villaggio di Qusra, vicino a Nablus in Cisgiordania, in seguito a un attacco di coloni ebrei contro due allevamenti di pollame di proprietà palestinese.

Ghassan Daghlas, che monitora le attività delle colonie ebree nella Cisgiordania settentrionale, ha riferito a WAFA che un gruppo di coloni ha attaccato le aziende situate alla periferia di Qusra, saccheggiandole e distruggendone il contenuto.

I coloni hanno anche incendiato un trattore parcheggiato in una delle fattorie e danneggiato dei serbatoi dell’acqua.

Daghlas ha detto che, mentre gli abitanti correvano per proteggere le loro proprietà, dei soldati israeliani che erano in zona sono intervenuti, ma solo per proteggere i coloni, attaccando i palestinesi.

Nel corso degli scontri i militari israeliani hanno sparato proiettili di gomma verso gli abitanti del villaggio, ferendone due.

La violenza dei coloni contro i palestinesi e le loro proprietà in Cisgiordania è di routine e raramente viene perseguita dalle autorità israeliane.

La violenza dei coloni non dovrebbe essere vista separatamente da quella inflitta dall’esercito israeliano, ma inquadrata nel più ampio contesto della violenta ideologia sionista che domina tutta la società israeliana,” scrive il palestinese Ramzy Baroud, scrittore e direttore di The Palestine Chronicle.”

Secondo B’tselem, gruppo [israeliano] per i diritti umani, “la violenza dei coloni ormai da lungo tempo fa parte della vita quotidiana dei palestinesi sotto occupazione. Le forze di sicurezza israeliane permettono queste azioni, in alcuni casi fanno persino da scorta armata o partecipano agli attacchi che finiscono con il ferimento o la morte di palestinesi, oltre a danni a terreni e proprietà.

Tra Gerusalemme Est e la Cisgiordania occupata vivono tra i 500.000 e i 600.000 israeliani in colonie per soli ebrei in violazione delle leggi internazionali.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Intifada palestinese: come Israele orchestrò una sanguinosa conquista

Ali Adam

20 settembre 2020 – Al Jazeera

Nel ventesimo anniversario della Seconda Intifada i palestinesi ricordano come Israele cercò di consolidare la sua occupazione.

Gaza City – La Seconda Intifada, comunemente definita dai palestinesi l’Intifada di Al-Aqsa, iniziò dopo che il 28 settembre del 2000 l’allora capo dell’opposizione israeliana Ariel Sharon scatenò la rivolta quando fece irruzione con più di 1.000 poliziotti e soldati pesantemente armati nel complesso della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata.

L’iniziativa scatenò sdegno unanime tra i palestinesi che avevano appena celebrato l’anniversario del massacro del 1982 a Sabra e Shatila [due campi profughi a Beirut in cui i falangisti libanesi, con l’appoggio dell’esercito israeliano occupante, commisero una terribile strage, ndtr.] per il quale Sharon [allora ministro della Difesa israeliano, ndtr.] era stato considerato responsabile per non aver bloccato lo spargimento di sangue, a seguito dell’invasione israeliana del Libano.

Ma già prima della controversa iniziativa di Sharon la frustrazione e la rabbia erano aumentati anno dopo anno tra i palestinesi sullo sfondo del rifiuto dei successivi governi israeliani di rispettare gli accordi di Oslo e porre fine all’occupazione.

Diana Buttu, analista residente a Ramallah ed ex- consigliera dei negoziatori palestinesi a Oslo, dice ad Al Jazeera: “Tutti, compresi gli americani, avevano avvertito gli israeliani che i palestinesi stavano raggiungendo un punto critico, e che fosse necessario acquietare la situazione. Invece alimentarono ancor di più il fuoco.

La visita di Sharon fu la scintilla che accese l’Intifada, ma le sue basi erano state poste negli anni precedenti.”

Secondo gli accordi di Oslo entro il 4 maggio 1999 avrebbe dovuto nascere una Palestina indipendente, nota Buttu, aggiungendo che dall’inizio dei negoziati nel 1993 fino all’inizio dell’Intifada “quello che vedemmo fu una rapida espansione delle colonie israeliane.”

“Di fatto vedemmo che solo nel breve periodo dal 1993 all’anno 2000 il numero dei coloni raddoppiò da 200.000 a 400.000. Si vedeva che quello che stava succedendo sul terreno era progettato per garantire che non ci sarebbe stato uno Stato palestinese indipendente,” afferma.

Soluzioni israeliane”

Le tensioni e la frustrazione crebbero anche dopo il fallimento dei colloqui di pace di Camp David che si tennero nel luglio 2000, quando l’allora leader palestinese Yasser Arafat e il primo ministro israeliano Ehud Barak non trovarono un accordo di pace a causa delle divergenze sullo status di Gerusalemme, la contiguità territoriale [del futuro Stato palestinese, ndtr.] e il diritto al ritorno dei rifugiati palestinesi.

Hani al-Masri, direttore generale di Masarat, il Palestinian Center for Policy Research and Strategic Studies [Centro Palestinese per la Ricerca Politica e gli Studi Strategici, Ong palestinese indipendente, ndtr.] aggiunge: “La principale ragione che stava dietro l’Intifada fu che i dirigenti israeliani volevano punire Arafat e i palestinesi per obbligarli ad accettare le soluzioni israeliane, in sostanza lo status quo dell’occupazione. Intendevano obbligare la coscienza palestinese ad accettare quello che voleva Israele.

Attraverso l’Intifada i palestinesi volevano migliorare le condizioni del dopo Oslo, che avevano raggiunto un punto bassissimo nel summit di Camp David, quando ad Arafat venne chiesto di lasciar perdere Gerusalemme e la questione dei rifugiati.”

Wasel Abu Yusuf, un importante politico palestinese e membro del Comitato Esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) afferma: “Dopo il summit di Camp David, in cui Israele cercò di privare i palestinesi della loro capitale Gerusalemme est, del diritto al ritorno per i palestinesi, così come della contiguità territoriale, il panorama politico si era chiuso in faccia ai palestinesi.

“Con la visita di Sharon Israele voleva provocare i palestinesi perché reagissero con la violenza. Gli israeliani pensarono che, assestando un duro colpo militare ai palestinesi, essi avrebbero ridotto le richieste politiche nei negoziati all’indomani del summit di Camp David.”

Come Israele esacerbò la violenza nella Seconda Intifada

I primi giorni della rivolta vennero caratterizzati da grandi manifestazioni non violente che includevano la disobbedienza civile e qualche lancio di pietre. Iniziò a Gerusalemme e rapidamente si diffuse alla Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est.

Le autorità israeliane reagirono alle manifestazioni con un uso eccessivo della forza che incluse proiettili ricoperti di gomma e pallottole vere. Subito dopo seguirono incursioni militari con il coinvolgimento di elicotteri e carrarmati in zone palestinesi densamente popolate.

Come rivelò Amos Malka, allora direttore dell’intelligence militare israeliana, si stima che durante i primi 5 giorni della Seconda Intifada i soldati israeliani abbiano sparato circa 1.3 milioni colpi di arma da fuoco. Ciò avvenne nonostante il fatto che nelle prime settimane la violenza dei palestinesi fosse minima.

“La violenza israeliana dimostrò che gli israeliani non erano interessati a una rapida fine del conflitto,” dice Abu Yusuf. “Il fatto che Israele abbia sparato più di un milione di proiettili, provocato molte vittime tra i palestinesi e violato i luoghi santi musulmani, tutto ciò dimostra che Israele voleva militarizzare l’Intifada. L’uso eccessivo della forza da parte dell’esercito israeliano intendeva trascinare i palestinesi in uno scontro militare.”

Buttu afferma che i leader israeliani volevano distogliere l’attenzione dalla costruzione delle colonie. “Fu una copertura per tutto quello che avevano voluto fare fino ad allora.”

Nei primi cinque giorni dell’Intifada vennero uccisi 47 palestinesi e altri 1.885 vennero feriti. Amnesty International scoprì che la maggioranza delle vittime palestinesi era composta da spettatori e che l’80% degli uccisi nel primo mese non rappresentava una minaccia letale per le forze israeliane. Durante quello stesso periodo vennero uccisi dai palestinesi cinque israeliani.

Gli analisti hanno a lungo sostenuto che l’uso eccessivo della forza sia stata la ragione per cui la fase della resistenza popolare palestinese nella Seconda Intifada terminò rapidamente e venne rimpiazzata dalla rivolta armata.

“Il livello dell’aggressione israeliana e delle perdite da parte palestinese non consentiva di conservare il carattere non violento dell’Intifada palestinese,” sostiene al-Masri.

Vittime di massa

Parlando della Seconda Intifada, gli israeliani citerebbero gli attentati suicidi palestinesi, ma alcuni osservatori affermano che fu solo dopo più di un mese che i palestinesi subivano mortali attacchi militari che alcuni fecero ricorso alla violenza suicida.

Secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani, nel corso della Seconda Intifada vennero uccisi almeno 4.973 palestinesi. Tra essi ci furono 1.262 minorenni, 274 donne e 32 operatori sanitari.

Secondo Defence for Children International, un’organizzazione indipendente con sede in Svizzera che si dedica alla promozione e alla protezione dei diritti dell’infanzia, più di 10.000 minori rimasero feriti nel corso dei cinque anni dell’Intifada.

Oltre ai morti e ai feriti, l’esercito israeliano demolì più di 5.000 case palestinesi e ne danneggiò in modo irreparabile altre 6.500, secondo il Centro Palestinese per i Diritti Umani.

In generale la Seconda Intifada adottò una resistenza non violenta, ignorata dai principali mezzi di comunicazione, mentre i palestinesi si organizzavano e protestavano in modo non violento contro la campagna militare, le colonie israeliane, le demolizioni di case palestinesi, così come contro la barriera di separazione.

“La stragrande maggioranza della Seconda Intifada fu non violenta. Ciò non venne metodicamente ignorato perché non rientrava nella narrazione tramessa ai media occidentali,” afferma Buttu.

“Ricordo di aver partecipato a molte di quelle manifestazioni a cui gli israeliani risposero con molta violenza. Venni colpita da un proiettile ricoperto di gomma alla gamba destra.”

Durante gli anni dell’Intifada i palestinesi fecero tentativi di porre fine alla violenza, ma gli israeliani rifiutarono questa disponibilità.

Nel febbraio 2003 fonti israeliane rivelarono una proposta presentata dall’Autorità Nazionale Palestinese a Israele. Si impegnava a porre totalmente fine agli attacchi contro Israele in cambio di un graduale ritiro dell’occupazione israeliana alle posizioni precedenti all’Intifada.

Nel 2002, quando Arafat appoggiò l’iniziativa di pace araba lanciata dall’Arabia Saudita, i leader palestinesi rinnovarono i tentativi di porre fine allo scontro militare. Israele, da parte sua, ignorò la proposta e continuò le sue operazioni militari.

Come Israele continui a utilizzare la Seconda Intifada come pretesto

Buttu nota che in seguito Israele ha utilizzato la rivolta per accampare pretese basate sulla necessità di “sicurezza”.

“Iniziarono a fare pesanti richieste per prendersi tutta la valle del Giordano, tutta Gerusalemme, mantenendovi le colonie. In seguito si sono trasformate nella costruzione del muro, nei posti di controllo e nelle basi dell’esercito all’interno della terra palestinese.

“È per questo che il piano di Trump è così com’è oggi. Il piano di Trump si conforma a tutte le richieste che Israele ha posto in seguito alla Seconda Intifada, che Israele ha cercato e voluto.”

Abu Yusuf, politico palestinese, afferma che 20 anni dopo l’inizio della Seconda Intifada Israele rifiuta ancora diritti ai palestinesi in qualunque forma.

“Continua ad espandere le colonie, demolisce case palestinesi e mette in pratica la sua annessione di fatto dei territori palestinesi con l’appoggio dell’amministrazione Trump,” afferma Abu Yussuf.

“Esattamente come 20 anni fa il popolo palestinese, nonostante tutto, è ancora impegnato a resistere contro l’occupazione e per i propri diritti in base alle leggi internazionali, e lo rimarrà finché otterrà la libertà in uno Stato palestinese sovrano e indipendente con Gerusalemme est come capitale e la soluzione del dramma dei rifugiati in base alla risoluzione 194 dell’ONU.

Anni dopo gli attacchi israeliani contro i palestinesi durante la Seconda Intifada, Israele ancora “commette ogni sorta di crimini”, dice al-Masri. “Il silenzio da parte della comunità internazionale è ciò che ancora incoraggia Israele a commettere crimini e flagranti violazioni dei diritti umani.”

Abu Yusuf afferma che le recenti sfide, come il cosiddetto piano per il Medio Oriente del presidente USA Donald Trump, l’annessione israeliana e la normalizzazione tra Israele ed alcune Nazioni Arabe, mirano tutte “a obbligare i palestinesi ad accettare di vivere in cantoni e bantustan [territori destinati alla popolazione nera nel Sudafrica dell’apartheid, ndtr.].”

“Ma come hanno fatto negli anni dell’Intifada e in quelli prima di Oslo, i palestinesi rifiutano di accettare qualcosa meno della fine dell’occupazione e continueranno a farlo ora e in futuro.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 25 agosto – 7 settembre 2020

In due distinti episodi, palestinesi hanno ucciso un civile israeliano ed hanno ferito un ufficiale di polizia israeliano e un soldato

Il 26 agosto, nella città israeliana di Petah Tikva, un palestinese ha accoltellato mortalmente un israeliano. Il sospetto aggressore, un uomo di 46 anni della zona di Nablus, a quanto riferito in possesso di un permesso di lavoro, è stato successivamente arrestato. In Cisgiordania, al checkpoint di Za’atra, nel governatorato di Nablus, un palestinese ha guidato la sua auto contro forze israeliane, causando lievi ferite a un soldato e ad un ufficiale di polizia. Secondo quanto riferito, l’aggressore è poi sceso dall’auto e, brandendo un coltello, è corso verso i militari; questi hanno sparato, ferendolo ed arrestandolo. Il 6 settembre, nei pressi dell’insediamento di Ariel (Salfit), un palestinese ha tentato di accoltellare un soldato israeliano ed è stato arrestato.

In Cisgiordania, nel corso di vari scontri, sono rimasti feriti settanta palestinesi e due soldati israeliani [segue dettaglio]. La maggior parte dei feriti palestinesi sono stati registrati in scontri scoppiati durante cinque operazioni di ricerca-arresto. Altri otto palestinesi sono stati colpiti con armi da fuoco e feriti nel nord della Cisgiordania, in vari tentativi di entrare in Israele attraverso varchi aperti nella Barriera. Tre palestinesi e due soldati israeliani sono rimasti feriti durante scontri nella città di Hebron. Dei settanta palestinesi feriti, dieci sono stati colpiti con armi da fuoco, due sono stati colpiti da proiettili di gomma, due sono stati aggrediti fisicamente; i rimanenti hanno necessitato di cure mediche per aver inalato gas lacrimogeno.

In Cisgiordania, le forze israeliane hanno complessivamente svolto 152 operazioni di ricerca-arresto, arrestando 117 palestinesi [seguono dettagli]. Nella notte del 7 settembre, nel governatorato di Hebron, si è svolta un’operazione su vasta scala, conclusa con l’arresto di almeno 30 palestinesi. Un’altra grande operazione è stata effettuata il 26 agosto, a Gerusalemme Est, in più quartieri contemporaneamente: dieci persone sono state arrestate, secondo quanto riferito, per aver lavorato per l’Autorità Palestinese a Gerusalemme Est, in violazione della legge israeliana. Sempre a Gerusalemme Est, nel quartiere Al ‘Isawiya, sono continuate le consuete attività di polizia, con relative tensioni: un giornalista è stato arrestato e la sua attrezzatura è stata confiscata.

Il 31 agosto, a Gaza e nel sud di Israele, dopo oltre tre settimane di ostilità intermittenti, è ritornata una relativa calma ed Israele ha revocato le restrizioni di accesso imposte durante la situazione precedente. Durante le fasi di tensione, sono rimasti feriti 12 palestinesi e sei israeliani, e da entrambe le parti sono stati registrati estesi danni alle proprietà. A seguito della riduzione delle tensioni, Israele ha nuovamente autorizzato l’ingresso di merci, compresi materiali da costruzione e carburante; le interruzioni di corrente si sono così ridotte a 12-16 ore giornaliere; le zone di pesca consentite sono state ripristinate [da Israele] al livello pre-crisi, cioè fino a 15 miglia nautiche dalla riva meridionale [di Gaza].

Nella Striscia di Gaza, presumibilmente per far rispettare ai palestinesi le restrizioni loro imposte sia sull’accesso alle aree adiacenti la recinzione perimetrale israeliana, sia al largo della costa, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento in almeno 17 occasioni; non sono stati registrati feriti. Inoltre, in tre occasioni, le forze israeliane sono entrate a Gaza ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

Il 31 agosto, mentre raccoglievano rottami metallici nei pressi del villaggio di Khuza’a (Khan Younis), due minori palestinesi di 8 e 12 anni, sono stati feriti dalla esplosione di un residuato bellici (ERW) che essi stavano maneggiando. A Gaza, dal 2014, data della fine dell’ultimo conflitto,19 palestinesi sono stati uccisi e 172 sono stati feriti da residuati bellici.

Trentatré strutture di proprietà palestinese sono state demolite o sequestrate per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, sfollando 98 palestinesi, di cui oltre la metà minori, e diversamente coinvolgendo circa 100 persone [segue dettaglio]. La maggior parte delle demolizioni e degli sfollamenti sono stati registrati in Area C: il più alto numero di sfollati (45 persone) si è avuto, in due momenti diversi, nella Comunità beduina di Wadi As Seeq (Ramallah). Inoltre, 12 persone sono state sfollate a seguito della demolizione di cinque strutture nella Comunità di pastori di Jinba (Hebron), situata in un’area designata [da Israele] “zona per esercitazioni a fuoco” e destinata all’addestramento dell’esercito israeliano. A Ras at Tin, presso un’altra Comunità di pastori dell’area di Ramallah, situata anch’essa in una “zona per esercitazioni a fuoco”, sono state sequestrate parti di una scuola in costruzione, finanziata da donatori, insieme ad attrezzature e materiali da costruzione. A Gerusalemme Est, quattro demolizioni hanno provocato lo sfollamento di 39 persone; in tre di questi episodi le demolizioni sono state eseguite dai proprietari, costretti a farlo per evitare costi aggiuntivi e multe.

In azioni compiute da coloni, due palestinesi sono rimasti feriti e proprietà palestinesi sono state vandalizzate [segue dettaglio]. Palestinesi di Kafr Malik (Ramallah) si sono scontrati con coloni israeliani mentre questi ultimi tentavano di creare un nuovo avamposto colonico sul terreno del villaggio; forze israeliane intervenute sul posto hanno sparato, ferendo un palestinese. In un’altra circostanza, una donna palestinese, che transitava sulla Strada 60, nel governatorato di Nablus, è stata colpita con pietre e ferita; altre tre auto hanno subito danni dal lancio di pietre. Nel villaggio di At Tuwani (Hebron meridionale) un pastore ha riferito che un colono ha speronato con l’auto le sue pecore, uccidendone dieci e ferendone cinque. In tre episodi distinti, coloni hanno vandalizzato quattro veicoli in Asira al Qibliya e Huwwara (entrambi in Nablus), dove hanno anche spruzzato graffiti su muri di case, e nel governatorato di Hebron, sulla strada 60. Inoltre, nella zona H2 di Hebron, una scalinata che porta ad un asilo è stata danneggiata da coloni.

Secondo fonti israeliane, tre israeliani sono rimasti feriti e 12 veicoli sono stati danneggiati dal lancio di pietre da parte di aggressori ritenuti palestinesi. Le pietre sono state lanciate contro veicoli israeliani che percorrevano strade della Cisgiordania.

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nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




PCHR: violazioni israeliane dei diritti umani nei Territori Palestinesi Occupati

Rapporto settimanale del Palestinian Center for Human Rights [Centro Palestinese per i Diritti Umani] (PCHR) dal 27 agosto al 2 settembre 2020

4 settembre 2020 – International Middle East Media Center

Sintesi

Le Forze Israeliane di Occupazione (FIO) hanno continuato a commettere crimini e svariate violazioni contro i civili palestinesi e le loro proprietà, comprese incursioni caratterizzate da un uso eccessivo della forza, aggressioni, maltrattamenti e attacchi contro i civili nelle città palestinesi. Questa settimana le FIO hanno ferito sei civili palestinesi, compreso un minore, con uso eccessivo della forza durante incursioni in città palestinesi e la repressione di proteste pacifiche in Cisgiordania. Le FIO hanno anche continuato la loro politica di demolizione e distruzione di case e strutture palestinesi per i loro programmi di espansione delle colonie.

Alla fine di questa settimana Dawoud Tal’at al-Khatib (48 anni) è morto all’interno della prigione di Ofer a causa di un infarto solo a quattro mesi dalla data del suo rilascio. Al-Khatib, di Betlemme, è stato nelle prigioni israeliane negli ultimi 18 anni e negli ultimi anni di prigionia ha sofferto condizioni di salute particolarmente difficili, l’ultima delle quali è stata una crisi cardiaca nel 2017. La decisione di tenerlo in carcere ha aggravato le sue critiche condizioni di salute, e alla fine è morto per un attacco cardiaco il 2 settembre 2020.

Nella Striscia di Gaza, dopo che sono stati scoperti casi fuori dai centri di quarantena, per la seconda settimana di fila è proseguito il coprifuoco per limitare la diffusione del coronavirus. Il PCHR teme un peggioramento catastrofico nelle condizioni di vita se il coprifuoco verrà mantenuto per un periodo prolungato senza un meccanismo di protezione per le famiglie povere, disoccupate e con un reddito ridotto, così come per i lavoratori a giornata che hanno perso la loro fonte di sostentamento a causa dello stato di emergenza e del coprifuoco. Il PCHR mette in guardia dalle conseguenze catastrofiche della diffusione del coronavirus nella Striscia di Gaza, soprattutto con il suo sistema sanitario già allo stremo a causa di 14 anni dell’illegale e disumano blocco e delle politiche di punizione collettiva imposti alla Striscia di Gaza dalle FIO.

Questa settimana il PCHR ha documentato 151 violazioni delle leggi internazionali per i diritti umani e del diritto umanitario internazionale (IHL) da parte delle FIO e dei coloni nei TPO. Va rilevato che i limiti dovuti alla pandemia da coronavirus hanno ridotto gli spostamenti per il lavoro sul campo del PCHR e la sua possibilità essere presente sul posto; di conseguenza le informazioni contenute in questo rapporto sono solo una parte delle continue violazioni da parte delle FIO.

Spari e violazioni del diritto all’integrità fisica da parte delle FIO:

In Cisgiordania le FIO hanno ferito 6 civili, compreso un minore, con un uso eccessivo della forza: 2 civili, compreso un minore, feriti a Jenin, 1 ferito durante scontri ad Hebron, nella repressione da parte delle FIO delle proteste di Kufur Qaddoum a Qalqilia e un ferito a Betlemme. Le FIO hanno aggredito a Tulkarem un anziano palestinese, gettandolo a terra, ferendolo e umiliandolo gravemente in un incidente documentato da media e giornalisti. Nella Striscia di Gaza le FIO hanno aperto il fuoco 5 volte verso le terre agricole ad est di Khan Younis e Rafah, nella zona meridionale della Striscia di Gaza.

Incursioni delle FIO e arresti di civili palestinesi:

Le FIO hanno effettuato 70 incursioni in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est. Queste incursioni hanno incluso attacchi in case di civili e sparatorie, terrorizzando i civili e aggredendone molti. Durante le incursioni di questa settimana sono stati arrestati 38 palestinesi, compresi 6 minori e un giornalista. A Gaza le FIO hanno condotto una incursione limitata nella zona ad est di Rafah, nella Striscia di Gaza meridionale.

Espansione delle attività delle colonie e attacchi dei coloni:

Le FIO hanno continuato le operazioni di espansione delle loro colonie in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est occupata. Il PCHR ha documentato 7 violazioni, comprese:

  • Jenin: demolizione di una panetteria e notifica di un ordine di demolizione al negozio di un falegname;

  • Gerusalemme est: 3 case demolite dagli stessi proprietari [per non dover pagare i costi di demolizione, ndtr.];

  • Betlemme: divieto a un palestinese di continuare la costruzione della sua casa e confisca di materiale da costruzione;

  • Hebron: due case di lamiera e una baracca demolite, 1 stanza (di mattoni e lamiera) demolita;

  • Ramallah: 3 tende adibite ad abitazione smontate e confiscate.

Attacchi dei coloni:

Il PCHR ha documentato l’attacco incendiario contro un veicolo e atti di vandalismo contro arabi a Nablus.

Politica israeliana di interruzione della circolazione e limitazioni alla libertà di movimento:

Lunedì 31 agosto 2020 le autorità israeliane hanno dichiarato la riapertura del valico di Karem Abu Salem, consentendo di nuovo l’ingresso di carburante e materiali da costruzione nella Striscia di Gaza.

Le autorità israeliane hanno anche deciso di estendere di nuovo l’area di pesca come prima delle recenti misure punitive imposte alla Striscia di Gaza. Ciò è avvenuto in seguito al raggiungimento di un accordo per fermare l’escalation militare israeliana contro la Striscia di Gaza iniziata il 10 agosto, durante la quale Israele ha imposto misure punitive contro Gaza, sostenendo che si trattava della risposta al lancio di palloni incendiari verso le colonie israeliane vicine alla Striscia di Gaza.

La Striscia di Gaza soffre ancora del peggiore blocco, ormai arrivato al quattordicesimo anno, nella storia dell’occupazione israeliana dei TPO, senza nessun miglioramento riguardo agli spostamenti di persone e cose, alle condizioni umanitarie e sopportando conseguenze catastrofiche in tutti gli aspetti della vita.

Per la seconda settimana di seguito a Gaza è ancora imposto il coprifuoco per contenere l’epidemia di coronavirus, soprattutto dopo che fuori dai centri di quarantena della Striscia di Gaza sono stati confermati casi di COVID-19. In seguito a ciò le sofferenze della popolazione della Striscia di Gaza sono aumentate. Il PCHR teme un peggioramento catastrofico delle condizioni di vita se il coprifuoco verrà mantenuto per un lungo periodo senza meccanismi di protezione per le famiglie povere, disoccupate e con scarsi mezzi economici, così come per i lavoratori a giornata che hanno perso le fonti di reddito a causa dello stato di emergenza e del coprifuoco.

Nel contempo le FIO continuano a dividere la Cisgiordania in cantoni separati, con le principali strade bloccate dall’occupazione israeliana fin dalla Seconda Intifada e con posti di controllo temporanei e permanenti, per cui il movimento dei civili è limitato ed essi rischiano l’arresto.

I. Sparatorie e altre violazioni del diritto alla vita e all’integrità fisica:

  • Alle 2 circa di giovedì 27 agosto 2020 le FIO, con il sostegno di parecchi veicoli militari, hanno attaccato il campo di rifugiati di al-Fawar, a sud di Hebron. Hanno pattugliato le strade del campo e si sono schierate nella zona meridionale, mentre soldati si sono distribuiti tra le case civili nel centro del campo. Numerosi militari hanno fatto incursione e perquisito una casa della famiglia Abu Hashhash, di tre piani e 5 appartamenti.

I soldati [sono entrati] nell’appartamento di Iyad Mahmoud Ahmed Abu Hashhash (40 anni) e lo hanno aggredito picchiandolo duramente e arrestandolo. I soldati hanno aggredito anche il fratello di Iyad, Yaqoub, (35 anni), e, dopo aver fatto irruzione nel suo appartamento, l’hanno colpito al naso, fratturandolo. I soldati lo hanno ammanettato, lo hanno portato nell’appartamento di suo fratello ed hanno iniziato a picchiare entrambi con mani, piedi e calci dei fucili. In seguito a ciò Iyad e Yaqoub sono svenuti. Dopo che le FIO si sono ritirate dalla casa, portandosi via Iyad, Yaqoub è stato trasferito all’ospedale al-Ahli, dove ha ricevuto cure mediche, e i medici hanno fissato un appuntamento per operarlo al naso. Quando Yaqoub è tornato a casa ha scoperto che i soldati israeliani gli avevano rubato 5.800 shekel [circa 1.500 euro] che si trovavano nella sua camera da letto. Va sottolineato che i soldati israeliani avevano già fatto irruzione nella casa un mese fa, avevano aggredito Yaqoub e gli avevano rotto il naso, per cui si era già sottoposto a un’operazione chirurgica al naso.

  • Verso le 23,30 di giovedì 27 agosto 2020 soldati israeliani schierati lungo la barriera di confine a est del villaggio di al-Shoka, a est di Rafah, hanno aperto il fuoco verso terreni agricoli. Non ci sono notizie di vittime.

  • Verso le 13,30 di venerdì 28 agosto 2020 alcuni giovani palestinesi si sono riuniti nella zona di Bab al-Zawiyah, nel centro di Hebron, ed hanno lanciato pietre contro soldati israeliani vicino a un posto di controllo militare nei pressi della di via al-Shuhada chiusa.

Alcuni soldati israeliani hanno sparato granate stordenti contro i manifestanti. I giovani si sono dispersi nelle zone di Beir al-Sabe’a e Wadi al-Tuffah, sono tornati al checkpoint ed hanno lanciato pietre contro i soldati israeliani protetti da cubi di cemento e hanno nuovamente lanciato pietre contro di loro. I soldati hanno sparato proiettili veri. In conseguenza di ciò un diciottenne è stato colpito al ginocchio sinistro. I soldati lo hanno inseguito e arrestato, portandolo al posto di controllo. Verso le 19,30 è arrivata sul posto un’ambulanza militare e ha portato il civile ferito all’ospedale pubblico di Hebron. La sua ferita non è considerata grave.

  • Verso le 13 di sabato 29 agosto 2020 le FIO si sono schierate nei pressi dell’ingresso settentrionale del villaggio di Kufur Qaddoum, a nord di Qalqilia, hanno represso una protesta a cui partecipavano decine di civili palestinesi. Le FIO hanno dato la caccia ai giovani riuniti nella zona. Si sono scontrati con loro, hanno sparato proiettili ricoperti di gomma, bombe stordenti e lacrimogeni. In seguito a ciò 2 civili sono stati colpiti agli arti inferiori da proiettili veri.

  • Verso l’una di domenica 3 agosto 2020 le FIO, con alcuni veicoli militari, hanno attaccato il campo di rifugiati di al-Aroub, a nord di Hebron, e si sono piazzati nei pressi del centro di distribuzione dell’UNRWA [agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ndtr.]. I soldati hanno pattugliato i quartieri e hanno lanciato molti volantini minacciando gli abitanti del campo a causa dei cosiddetti “violenze, disordini e continuo lancio di pietre”. Nel contempo decine di giovani si sono riuniti ed hanno lanciato pietre contro le unità di fanteria delle FIO, mentre queste ultime hanno sparato indiscriminatamente granate stordenti e lacrimogeni contro chi lanciava le pietre e tra le case.

A causa di ciò alcuni manifestanti sono rimasti soffocati dall’inalazione dei gas lacrimogeni. Scontri tra le FIO e i giovani sono continuati fino alle 2,30, quando le FIO hanno sparato raffiche di proiettili veri in aria per ritirarsi dal campo. Non ci sono notizie di arresti né di incursioni nelle case.

  • Verso le 2,15 della stessa domenica le FIO hanno fatto irruzione a Hebron, si sono piazzati in via Malek Faisal e si sono schierati tra le case. Dopo aver aperto la porta con attrezzi speciali, hanno fatto irruzione e perquisito una fabbrica per la lavorazione del legno e mobili di proprietà della famiglia di Taha Abu Suneinah. Nel contempo alcuni giovani palestinesi si sono riuniti ed hanno lanciato pietre e bottiglie vuote contro le FIO, mentre queste ultime sparavano in modo indiscriminato granate assordanti e lacrimogeni. Come conseguenza di ciò, una granata assordante è caduta in una stanza del reparto di medicina interna dell’ospedale pubblico Aaliyah, adiacente all’area degli scontri. Perciò circa 25 pazienti affetti da coronavirus sono rimasti soffocati e sono stati portati in altri reparti dell’ospedale. Verso le 4 dello stesso giorno le FIO si sono ritirate dalla zona. Non ci sono notizie di arresti.

  • Verso le 20,30 di lunedì 31 agosto 2020 le FIO incaricate di controllare il muro di annessione a nordest del villaggio di Faqqua, a nord est di Jenin, hanno aperto il fuoco contro Mahmoud Taleb Mahmoud Shaheen (18 anni), mentre stava tornando a casa, che si trova a 200 metri dal summenzionato muro. In seguito a ciò Shaheen è stato colpito alla gamba destra da un proiettile vero ed è stato trasferito all’ospedale Khalil Suleiman a Jenin per essere curato.

  • Il padre di Shaheen ha detto all’operatore sul campo del PCHR:

  • Verso le 20,30 di lunedì 31 agosto 2020 mio figlio Mahmoud (18 anni) ha partecipato ad una festa di matrimonio nel villaggio di Faqqua, a nordest di Jenin, e stava tornando a casa nel quartiere a nord, che si trova a 200 metri dal muro di annessione. Quando è arrivato a circa 40-50 metri dal muro, i soldati israeliani incaricati di controllare il muro di annessione hanno aperto il fuoco contro di lui, ferendolo senza ragione alla gamba destra. I vicini sono subito arrivati nella zona e lo hanno trasportato all’ospedale Khalil Suleiman a Jenin perché venisse curato.

  • Verso le 3,50 di martedì 1 settembre 2020 le FIO hanno invaso le vie al-Saf e al- Mahd nel centro di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito alcune delle case e arrestato Shadi Mohammed al-Harimi (31 anni) e Touni Asa’ad Qatan (27 anni). Nel contempo alcuni giovani palestinesi si sono riuniti nei pressi di piazza al-Mahd ed hanno lanciato pietre e bottiglie molotov contro le FIO che si trovavano nella zona, mentre queste ultime hanno subito sparato contro di loro proiettili ricoperti di gomma, granate assordanti e lacrimogeni. Alcuni giovani hanno patito le conseguenze dell’inalazione di gas lacrimogeni.

  • Verso le 13 le FIO che si trovavano sulle terre dei villaggi di Shufah e Jbarah, a sudest di Tulkarem, hanno represso una manifestazione a cui hanno partecipato decine di civili. Le Fio hanno inseguito giovani riuniti nella zona, si sono scontrati con loro ed hanno sparato pallottole vere e ricoperte di gomma, bombe stordenti e lacrimogeni. Le Fio hanno aggredito Khairi Hanoun (64 anni), del villaggio di Anabta, a est di Tulkarem, colpendolo ai piedi. Lo hanno arrestato e rilasciato dopo un’ora e mezza. Le FIO hanno aggredito anche molti giornalisti che stavano informando delle proteste, compreso Fadi Yaseen, fotografo di Palestine TV. Inoltre molti civili hanno sofferto le conseguenze dell’inalazione di gas lacrimogeni.

  • Verso le 0.20 di mercoledì 2 settembre 2020 le FIO schierate lungo la barriera di confine a est di Khan Younis [nella Striscia di Gaza, ndtr.], hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni verso terreni coltivati, a est del villaggio di al-Qararah, nei pressi della barriera di confine.

  • Verso le 4 dello stesso mercoledì le FIO di stanza presso una torre di guardia nella zona della Tomba di Rachele, di fianco alla moschea Bilal Ben Rabah, a nord di Betlemme, hanno aperto il fuoco contro un civile di 32 anni che stava camminando nella zona. In conseguenza di ciò è stato colpito al piede da un proiettile vero. È stato portato all’ospedale Beit Jala per essere curato.

  • Verso le 4,15 le FIO hanno fatto irruzione nel villaggio di Ash-Shuhada, a sudest di Jenin, nel nord della Cisgiordania, e hanno circondato una casa di proprietà di Ihab Hatem Husein Darwish Asous (27 anni). Nel contempo alcuni civili palestinesi si sono riuniti ed hanno lanciato pietre contro le FIO, mentre queste ultime hanno risposto con pallottole vere, bombe assordanti e lacrimogeni. In seguito a ciò un ragazzo di 16 anni è stato colpito con 2 proiettili veri. È stato portato all’ospedale pubblico Khalil Suleiman per essere curato. Prima di ritirarsi dal villaggio le FIO hanno arrestato il civile Asous.

  • Verso le 8,30 dello stesso mercoledì le FIO di stanza lungo la barriera di confine a est di Khan Younis hanno sparato proiettili veri verso terreni coltivati a est del villaggio di Khuza’a, vicino alla barriera di confine. Non si hanno notizie di vittime.

II. Incursioni e arresti:

Martedì 27 agosto 2020:

  • Verso l’una le FIO sono entrate nel villaggio di Biddu, a nordovest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Ayyoub Mohammed al-Khadour’s (28 anni) e l’hanno arrestato. Va rilevato che al-Khadour è già stato imprigionato nelle carceri israeliane.

  • Verso le 2 le FIO sono entrate nel villaggio di Qutna, a nordovest di Gerusalemme occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Mos’ab Saleem Shamasna’s (23 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 2,30 le FIO sono entrate nel villaggio di Jabal Hindaza, a est di Betlemme. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Na’eem Mousa Abu ‘Ahour’s (18 anni) e lo hanno arrestato. È da rilevare che Abu ‘Ahour era rimasto ferito a una gamba da un proiettile vero mentre si trovava nei pressi della stazione di servizio al-Quds vicino alla moschea Bilal Bin Rabah all’ingresso settentrionale di Betlemme.

  • Più o meno alla stessa ora le FIO sono entrate nel villaggio di al-Arqa, a sudovest di Jenin. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Nael Mohammed Yehya’s (24 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 3,10 le FIO sono entrate nel villaggio di Rujeib, a sudest di Nablus, nella Cisgiordania settentrionale. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Khalil Abdul Khaleq Mohammed Dwaikat, che il 26 agosto 2020 ha accoltellato un soldato israeliano a Bitah Tikva [in Israele, ndtr.] per prendere le misure della casa prima della demolizione. Va notato che le autorità israeliane utilizzano la demolizione come punizione collettiva contro le famiglie palestinesi.

  • Verso le 3,30 le FIO sono entrate nel villaggio di al-‘Abayat, a est di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Omar Khaled Ayyad’s (17 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 3,30 le FIO sono entrate nel villaggio di Qarawat Bani Zeid, a nordovest di Ramallah. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Amer Bassam Sneif’s (31 anni) e lo hanno arrestato. In seguito le FIO lo hanno rilasciato.

  • Verso le 3,50 le FIO sono entrate nel villaggio di Beit Loqya, a sudovest di Ramallah. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Najeeb Ahmed Najeeb Mafarja’s (35 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 6,30 le FIO sono entrate nel villaggio di Jin Safout, a est di Qalqilia. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Karam Khamees Shobaki’s (22 anni) e lo hanno arrestato

  • Verso le 7 le FIO, con vari veicoli militari e scavatrici, sono entrate per 100 metri nel villaggio di al-Shwaika, a est di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza. Hanno fatto irruzione dalla porta al-Motabaq, nei pressi della barriera di confine tra la Striscia di Gaza e Israele. Hanno rastrellato e spianato il terreno e si sono ritirati verso le 11.

  • Verso le 14 le FIO hanno arrestato Ghassan Alian (55 anni), di Bitin, a ovest di Betlemme, dopo aver fatto rapporto al servizio israeliano di intelligence nella colonia di Gush Etzion, a sud della città.

  • Le FIO hanno compiuto (6) incursioni nei villaggi di Beit Ammer, Hadab al-Fawwar e Sa’eer a Hebron, a Faqoua’, a sudest di Jenin, a Tayaseer, a est di Tubas, e a Karf Ein, a nordovest di Ramallah. Non si hanno notizie di arresti.

Venerdì 28 agosto 2020:

  • Verso le 2 le FIO, con alcuni veicoli militari, sono entrate nel campo di rifugiati di al-‘Aroub, a nord di Hebron. Hanno fatto irruzione ed hanno perquisito la casa di Bara’ Abdul Hai Jawabra’s (19 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 3,50 le FIO sono entrate nel villaggio di Azun, a est di Qalqilia. Hanno fatto irruzione ed hanno perquisito la casa di Karam Fares Shbaita’s (18 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 22,30 le FIO, dopo averli duramente percossi, hanno arrestato 3 civili che si trovavano in via al-Wad nella Città Vecchia di Gerusalemme occupata. Le Fio li hanno portati nel centro investigativo di al-Qushla nella Città Vecchia. Gli arrestati sono Khaled al-Sokhn (23 anni), Abdullah al-Julani (28 anni) e Mohammed Zein (21 anni).

  • Le FIO hanno effettuato (6) incursioni a Hebron, nel campo profughi di al-Fawwar e a Yatta, nel governatorato di Hebron, a Yamoun, a ovest di Jenin, e a Kufur Qaddoum e Hibla, a est di Qalqilia. Non si hanno notizie di arresti.

Sabato 29 agosto 2020:

  • Verso le 16 le FIO sono entrate in via al-Bostan nel quartiere di Obaid, a ovest di al-‘Isawiya, a nordest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Mo’tasem Hamza Obaid’s (17 anni) e lo hanno arrestato. Va rilevato che Obaid era stato arrestato 10 giorni prima ed era agli arresti domiciliari per due settimane.

  • Le FIO hanno fatto (4) incursioni nei villaggi di al-Samoua’, Hebron, Beit Ammer e al-Mowreq, nel governatorato di Hebron. Non si ha notizia di arresti.

Domenica 30 agosto 2020:

  • All’una circa le FIO sono entrate nel villaggio di Nahaleen, a ovest di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito varie case e arrestato Mahmoud Maher Shakarna (17 anni) e consegnato ad Hamdan Yousef Fannoun (32 anni) una convocazione al servizio israeliano di intelligence nella colonia di Gush Etzion, a sud della città.

  • Verso le 2,30 le FIO sono entrate nella zona periferica di al-Shwaika, a est di Tulkarem. Hanno fatto irruzione e perquisito due case di Sameer Abdul Qader Mohammed Omar (47 anni) e Sameh Adnan Mohammed Obaid (31 anni) e li hanno arrestati.

  • Verso le 7 le FIO hanno fatto un’imboscata nei pressi della località di Haddad, a sudest di Jenin, nel nord della Cisgiordania, ed hanno arrestato Yaser Waleed Khuzeima (30 anni), di Qabatya, a sudest di Jenin, dopo aver fermato e perquisito la sua auto. Le FIO lo hanno portato in un luogo sconosciuto ed hanno abbandonato la sua auto. Va rilevato che Khuzeima è già stato detenuto nelle prigioni israeliane.

  • Verso le 15 nel centro di Gerusalemme le FIO hanno fermato un autobus, hanno obbligato (4) minori a scendere per arrestarli e li hanno portati alla stazione di polizia “al-Bareed” in via Salah al Dein. Gli arrestati sono: Ahmed Dari (17 anni), sua sorella Noumi (16 anni), Yasmine Qaisiya (16 anni) e Sajeda Abu Roumi (16 anni).

  • Testimoni affermano che le FIO hanno fermato e perquisito un autobus in via Nablus, controllato i documenti di identità e obbligato alcuni di loro a scendere dal bus sostenendo che non stavano portando in modo corretto le mascherine. Hanno aggiunto che le FIO hanno colpito e spintonato alcuni di loro e hanno arrestato (4) studenti di ritorno da scuola verso la loro casa a al-‘Isawiya. In seguito Qaisiya e Abu Roumi sono stati rilasciati su cauzione, Dari è stata rilasciata dopo alcune ore a condizione che rimanga agli arresti domiciliari per due giorni e le hanno vietato di entrare dalla porta di Damasco “Bab al-‘Amoud” per 10 giorni.

  • Le FIO hanno fatto un’incursione a Sabastya, a nordovest di Nablus. Non si ha notizia di arresti.

  • Lunedì 31 agosto 2020:

  • Alle 2 circa un’unità israeliana di fanteria è entrata nella città vecchia di Hebron. Ha fatto irruzione e perquisito la casa di Saif al-Dein Mahmoud al-Ja’bari’s (22 anni) e lo ha arrestato.

  • Verso le 2,30 le FIO sono entrate a Nablus, nel nord della Cisgiordania. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Mohammed Hilal al-Titi’s (22 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 4 le FIO sono entrate nel villaggio di Anata, a nordest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Mohammed

  • Verso le 8 le FIO hanno arrestato Khalaf Hussain Obaidallah (26 anni), mentre si trovava all’entrata del villaggio di Kisan, a sudest di Betlemme. Le FIO lo hanno portato in un luogo sconosciuto.

  • Verso le 19 le FIO sono entrate nel villaggio di Bab Hatta, uno dei quartieri di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Ameer Farid al-Basti’s (23 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 19,45 un gruppo di Mista‘arvim (unità speciale israeliana travestita da civili palestinesi) ha arrestato Nizar Issa Obaid (22 anni), di Kufur Qaddoum, a est di Qalqilia, mentre stava lavorando alla stazione di servizio di al-Natour, a Tulkarem. Secondo una telecamera di sorveglianza che ha documentato la scena, un veicolo con targa palestinese è arrivato alla stazione di servizio e, quando Obaid è andato a fare il pieno all’auto, due uomini sono scesi e lo hanno arrestato.

  • Verso le 23 il servizio israeliano di intelligence ha convocato tre membri del movimento Fatah di Silwan, a sud della Città Vecchia di Gerusalemme est occupata, per essere interrogati nella stazione id polizia di al-Bareed, in via Salah al-Dein. Shadi al-Mtawr, segretario del movimento Fatah a Gerusalemme, ha affermato che i servizi israeliani di intelligence hanno convocato Fawzi Sha’ban, Mohammed Abu Sowi e Ahmed al-‘Abbasi per interrogarli riguardo alla loro presenza a una riunione sulla demolizione di case a Silwan. Dopo alcune ore le FIO li hanno rilasciati su cauzione (3.000 shekel [circa 750 euro] per ciascuno) e con il divieto di partecipare per tre mesi ai sit in del quartiere di al-Bostan a Silwan.

  • Le FIO hanno effettuato (4) incursioni nei villaggi di Ethna, Surif e Karma, nel governatorato di Hebron, e a Tulkarem. Non si ha notizia di arresti.

Martedì 1 settembre 2020:

  • Verso l’una le FIO sono entrate a Hebron e si sono schierate in via al-Salam. Hanno fatto irruzione e hanno perquisito la casa di Ma’moun Hussain al-Natsha’s (25 anni) e lo hanno arrestato.

  • Le FIO hanno fatto (2) incursioni a Dura e al-Samoua’, nel governatorato di Hebron. Non si ha notizia di arresti.

Mercoledì 2 settembre 2020:

  • Verso le 2 le FIO sono entrate a Yatta, a sud di Hebron, e si sono schierate nella zona di Roq’a. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Shadi Bader al-‘Amour’s (30 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 5 le FIO sono entrate nel villaggio di al-Fridis, a est di Betlemme. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa di Jom’a Abu Moheimed’s (29 anni) e lo hanno arrestato.

  • Verso le 18 le FIO sono entrate ad al-‘Isawiya, a nordest di Gerusalemme est occupata. Hanno fatto irruzione e perquisito la casa del fotogiornalista Mohammed Qarout Edkaik’s (27 anni), lo hanno arrestato e gli hanno confiscato l’ equipaggiamento, le macchine fotografiche, molti dei suoi files e documenti personali. Samer Edakaik, il fratello di Mohammed, ha detto al collaboratore sul campo del PCHR che le FIO hanno fatto irruzione, perquisito e confiscato varie fotocamere, un dispositivo senza fili, documenti personali e un tablet di Mohammed. Ha confermato che le FIO hanno ammanettato suo fratello e lo hanno portato al commissariato di “al-Bareed” in via Salah al-Dein. Va rilevato che Adkaik è un fotogiornalista del canale Al-Jazeera e di molte altre agenzie di notizie ed è un attivista sulle reti sociali con migliaia di follower.

  • Le FIO hanno fatto (4) incursioni nei villaggi di Hebron, Ethna, Beit Owa e Deir Samit nel governatorato di Hebron. Non ci sono notizie di arresti.

III. Espansione delle colonie e violenza dei coloni in Cisgiordania:

a. Demolizione e confisca di proprietà di civili:

  • Verso le 9 di giovedì 27 agosto 2020 le FIO, con veicoli da costruzione militari e accompagnati da funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana [l’ente militare che governa in Cisgiordania, ndtr.] sono entrate nel villaggio di ‘Arraba, a sudovest di Jenin. I veicoli da costruzione militari hanno demolito la panetteria in costruzione di Rami Ahmed Abu Mashaikh, costruita 3 mesi fa su un terreno di 170 m2. È da notare che 12 giorni fa le FIO avevano notificato di smettere di lavorare nella panetteria in previsione della sua demolizione, con il pretesto di costruzione illegale in Area C. Per lo stesso motivo, le FIO hanno anche notificato a Mostafa ‘Ali Hammad di demolire il suo negozio di falegnameria.

  • Domenica 30 agosto 2020 Khaled Mahmoud Mohammed Basheer ha adempiuto alla decisione del Comune israeliano di autodemolizione della sua casa nel villaggio di Jabal al-Mokkaber, a sudest di Gerusalemme est occupata, con il pretesto che non aveva la licenza edilizia.

Basheer ha affermato che 3 mesi fa ha costruito per suo figlio una casa di 50 m2 composta da una stanza, una cucina e un bagno. Basheer ha chiarito che due settimane fa gli impiegati dell’amministrazione comunale israeliana, insieme al ministero degli Interni, si sono presentati nella sua casa e gli hanno consegnato un ordine di demolizione. Basheer ha aggiunto di essere stato obbligato a demolire lui stesso la sua casa per evitare di pagare i costi di demolizione, stimati in 100.000 shekel [25.000 euro] al personale del Comune. Ha anche detto che nel 2014 i funzionari del Comune hanno demolito la casa di suo figlio Mahmoud nel quartiere di al-Sal’ah del villaggio di Jabal al-Mokkaber e gli hanno comminato una multa di 80.000 shekel [20.000 euro] con il pretesto che non aveva la licenza edilizia.

  • Lunedì 31 agosto 2020 ‘Odai e ‘Abed al-Salam al-Razem hanno adempiuto alla decisione dell’amministrazione comunale israeliana ed hanno demolito la propria casa nel quartiere di al-Ashqariyia nel villaggio di Beit Hanina, a nord della Città Vecchia nella Gerusalemme est occupata, con il pretesto che non avevano la licenza edilizia. ‘Abed al-Salam al-Razem ha detto che la sua famiglia, composta da 6 persone, e quella di suo fratello, di 3 persone, hanno vissuto per 8 anni nella loro casa di 65 m2. Ha spiegato che 5 anni fa il personale del Comune si è presentato nelle loro case ed ha notificato a suo fratello di demolirle, oltre a una multa di 40.000 shekel [10.000 euro] contro di loro. ‘Abed al-Salam ha aggiunto che durante gli ultimi anni lui e suo fratello hanno atteso inutilmente di avere la licenza edilizia. Ha anche detto che un mese fa il tribunale israeliano ha emesso una ordinanza di demolizione definitiva delle loro case, e se non l’avessero rispettata lo avrebbe fatto il personale del Comune e li avrebbe obbligati a pagare i costi, stimati a 125.000 shekel [circa 30.000 euro].

  • Alle 6,30 circa di martedì 1 settembre 2020 le FIO, accompagnate da veicoli da costruzione militari, sono entrati nel villaggio di Tuqu, a sudest di Betlemme, dove hanno ordinato a Mohammed Fahed Shawareeh di interrompere i lavori per la costruzione della sua casa e gli hanno confiscato materiali da costruzione. Il sindaco di Tuqu, Tayseer Abu Mefreh, ha affermato che le FIO hanno requisito materiali dalla casa in costruzione di Shawareeh. Ha aggiunto che una settimana fa, con il pretesto della mancanza di un permesso edilizio, a Shawareeh era stata consegnata una ingiunzione di cessazione della costruzione.

  • Verso le 10 di mercoledì 2 settembre 2020 le FIO, insieme a veicoli da costruzione militari e funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana, sono entrate nella zona di al-Masafer a Yatta, a sud di Hebron. Le FIO si sono schierate tra le case palestinesi mentre veicoli da costruzione demolivano 2 case in lamiera con il pretesto che non avevano la licenza edilizia.

Queste sono state le demolizioni:

Mahmoud ‘Isaa Rab’i: casa fatta con lamiera e mattoni, con 16 abitanti;

Mahmoud ‘Isaa Rab’i: baracche fatte di lamiera e mattoni, per il bestiame;

Fadel ‘Isaa Rab’i: casa fatta di lamiera e mattoni, con 15 abitanti.

Va rilevato che il 23 febbraio 2012 le autorità israeliane avevano consegnato ingiunzioni di blocco delle costruzioni per le due case e la baracca.

  • Verso le 10 le FIO, accompagnate da veicoli da costruzione militari e da funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana, sono entrate nel villaggio di Beren nella zona orientale di Hebron. Le FIO si sono schierate tra le case palestinesi mentre i veicoli militari da costruzione hanno demolito la stanza di 40 m2 di Faraj Mohammed Ghaith, costruita di mattoni, con il pretesto della mancanza di permesso edilizio.

  • Verso le 13 le FIO, accompagnate da veicoli da costruzione militari e da funzionari dell’Amministrazione Civile Israeliana, sono entrate nel villaggio di Deir Dibwan, a est di Ramallah. Le FIO hanno portato addetti israeliani per smantellare e confiscare tre tende da abitazione, con il pretesto che erano senza permesso nell’Area C.

Le tende erano di:

Suliman Mostafa Ka’abnah: smantellamento e confisca di una tenda che ospitava la sua famiglia, composta da 7 persone;

Oda ‘Awwad Ka’abnah: smantellamento e confisca di una tenda che ospitava 8 persone;

Suliman Salem Ka’abnah: smantellamento e confisca di una tenda che ospitava 8 persone.

Va rilevato che per due volte le FIO hanno demolito proprietà dei summenzionati civili e senza precedente avviso, notando che queste proprietà erano state demolite in precedenza, il 25 agosto 2020.

b. Violenza dei coloni israeliani

  • Verso le 2,30 di venerdì 28 agosto 2020 i coloni israeliani del gruppo “Price Tag” [coloni estremisti particolarmente violenti, ndtr.] hanno attaccato la zona meridionale del villaggio di Asira al-Qibliya, a sudest di Nablus. I coloni hanno dato fuoco al veicolo di Wael Mousa ‘Asayrah ed hanno vandalizzato i muri della sua casa, scrivendo slogan razzisti.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Una “rivoluzione stradale”: i coloni fanno pressione su Israele perché espanda le infrastrutture della Cisgiordania

Meron Rapoport

27 agosto 2020 – + 972 Magazine

L’Alta Corte israeliana ha stabilito che la strada 935 “danneggerebbe in misura sproporzionata” le proprietà palestinesi. Ciò non impedisce al governo di riprenderne la costruzione.

Il ministero dei Trasporti israeliano ha recentemente intrapreso il progetto di una nuova strada per i coloni allo scopo di accorciare la distanza tra Ramallah ovest nella Cisgiordania occupata e Gerusalemme.

Secondo i coloni della zona, la strada 935 consentirà la creazione di un blocco con 100.000 coloni ebrei in una “posizione strategica” a nord di Gerusalemme. In realtà la strada rinchiuderà tra blocchi di insediamenti israeliani l’intera area urbana di Ramallah, che ha una popolazione di 200.000 palestinesi.

La strada dovrebbe passare attraverso terreni privati palestinesi a ovest di Ramallah, anche se l’Alta Corte israeliana aveva precedentemente stabilito che la sua costruzione avrebbe arrecato “danni sproporzionati” alle proprietà palestinesi.

La strada 935 dovrebbe collegare il cosiddetto “raccordo a ferro di cavallo”, vicino all’insediamento coloniale di Dolev e al villaggio palestinese di Deir Ibzi’, alla strada 443 nei dintorni del villaggio di Beit Ur a-Fauqa e della colonia di Beit Horon. Il suo percorso è particolarmente critico, poiché dovrebbe intersecarsi con la strada principale che collega Ramallah alle zone occidentali della Cisgiordania. Inoltre, passerebbe anche attraverso aree che, secondo una mappa contenuta nel piano per il Medio Oriente del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, sarebbero situate nei territori che dovrebbero diventare parte del futuro Stato palestinese.

Per cui, se la strada venisse realizzata, lo “Stato” palestinese proposto nel piano, che risulta già piccolo e diviso, si restringerà e si frammenterà ulteriormente.

La strada dovrebbe favorire i coloni nel blocco degli insediamenti di Dolev-Talmonim. Oggi circa 10.000 coloni vivono in questa sorta di enclave, che separa le città palestinesi di Ramallah e Beitunia dalle zone occidentali della Cisgiordania.

All’inizio della Seconda Intifada un posto di controllo venne spostato dall’ingresso di Talmonim ad una strada principale utilizzata anche dagli abitanti palestinesi dell’area, bloccando così l’accesso a decine di migliaia di dunam [unità di misura terriera adottata a partire dall’età ottomana: un dunum = 0,1 ettaro, ndtr.] di terra palestinese privata tra gli insediamenti coloniali rispettivamente di Dolev, Nahliel e Halamish, a circa 10 miglia a nord.

Secondo Dror Etkes di Kerem Navot, una ONG israeliana che monitora l’organizzazione degli insediamenti coloniali nei territori occupati, i proprietari terrieri palestinesi possono visitare la loro terra solo pochi giorni all’anno previo accordo e scortati dall’esercito.

In effetti, mentre guidavo la scorsa settimana lungo un tratto di 10 chilometri di questa strada, non ho visto una sola macchina palestinese. Gli ulivi e gli alberi da frutto lungo la strada apparivano chiaramente trascurati rispetto agli oliveti ben curati vicini ai villaggi palestinesi.

Fino alla prima Intifada, alla fine degli anni ’80, i coloni che vivevano nella zona si recavano a Gerusalemme via Ramallah e Beitunia, circa 20 minuti di auto.

Dopo l’Intifada, e ancor di più dopo gli accordi di Oslo e la designazione di Beitunia e Ramallah come facenti parte dell’Area A (sotto il pieno controllo dell’Autorità Palestinese), i coloni dell’area di Dolev-Talmonim che vogliono raggiungere Gerusalemme devono viaggiare verso ovest fino all’incrocio di Shilat prima di prendere la strada 443, un viaggio che, senza traffico, può richiedere più di un’ora.

La terra resta in abbandono

Già a metà degli anni ’90 i coloni della zona iniziarono a fare pressioni per una tangenziale che li collegasse direttamente alla strada 443 e abbreviasse il viaggio verso Gerusalemme di oltre mezz’ora.

La loro richiesta fu accolta e, per spianare la strada, tra la fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000, circa 60 ettari di terra palestinese furono espropriati a Deir Ibzi’, Ein Arik e Beitunia. Furono iniziati i lavori su un tratto di strada lungo circa un chilometro e mezzo vicino a Deir Ibzi’, ma con l’intensificarsi della violenza durante la Seconda Intifada – la parte meridionale del percorso avrebbe dovuto passare molto vicino alla città palestinese di Beitunia – i lavori vennero bloccati.

Nel 2007, sotto la guida di Adi Mintz, un residente di Dolev ed ex membro anziano del Consiglio di Yesha – il braccio politico e lobbistico degli insediamenti coloniali della Cisgiordania – alcuni coloni ebrei della zona presentarono una petizione all’Alta Corte israeliana perché venisse completata la costruzione della strada.

Nella petizione i coloni affermavano di essere stati “discriminati” rispetto ai palestinesi della zona, per i quali, nell’ambito della costruzione del muro di separazione nell’area, Israele aveva aperto una rete alternativa di strade “di sicurezza”, che collegano i palestinesi a Ramallah. I coloni inoltre sostenevano che, poiché il viaggio in auto verso Gerusalemme può richiedere al mattino fino a due ore a causa del traffico, ciò riduce il valore delle loro proprietà e “vengono violati i loro diritti di proprietà“.

Lo Stato si oppose alla petizione, sostenendo che dal punto di vista della sicurezza sarebbe stato molto difficile proteggere la strada, che avrebbe attraversato un’area palestinese densamente popolata. Lo Stato affermò anche che la realizzazione della strada avrebbe comportato problemi sia di pianificazione che archeologici, poiché avrebbe attraversato due importanti siti archeologici risalenti al periodo del Secondo Tempio (516 a.C.-70 d.C.).

Lo Stato sostenne inoltre che la realizzazione della strada “comporta l’espropriazione di terreni privati [palestinesi] in un modo che danneggia in misura sproporzionata le loro proprietà“.

Infine, nel 2009 tre giudici dell’Alta Corte israeliana respinsero la petizione evitando di interferire con la decisione dello Stato di non realizzare la strada. Il giudice Asher Grunis dichiarò nella sua decisione che “il danno causato ai palestinesi sarebbe particolarmente grave poiché si presume che, una volta realizzata, la strada verrebbe utilizzata dai residenti israeliani”.

Nel 2012, l’Alta Corte si rivolse all’organizzazione israeliana per i diritti umani Yesh Din, che rappresentava i palestinesi le cui terre erano state espropriate e, con una decisione insolita, decise di revocare l’esproprio e restituire la terra ai legittimi proprietari.

Eppure i primi tratti della strada, che erano già stati realizzati sul loro terreno, non vennero ricoperti. Nel corso di un’ispezione dell’area fatta la scorsa settimana è emerso che i contadini palestinesi non sono tornati a coltivare quegli appezzamenti. I coloni utilizzano la strada sterrata già tracciata per raggiungere la sorgente di Ein Bubin.

I coloni non si sono arresi e hanno continuato a chiedere la creazione di una strada che li connetta all’autostrada 443 e abbrevi il loro viaggio verso Gerusalemme e Tel Aviv.

Nel febbraio 2018, nel corso di una riunione della sottocommissione della Knesset per la Giudea e la Samaria, Mintz ha affermato che gli accordi di Oslo avrebbero “imprigionato” i coloni nell’area di Gush Dolev-Talmonim e che recarsi al lavoro la mattina sarebbe diventato un “incubo indescrivibile”, costringendoli ad alzarsi ancora prima.

“Annessione nella pratica”

Negli ultimi mesi, il Ministero dei Trasporti e della Sicurezza Stradale ha deciso di porre fine a quell’incubo. Secondo Mintz, egli sarebbe riuscito a convincere il governo a riprendere il progetto. “Siamo in fasi avanzate di progettazione”, ha detto Mintz. “Questa è la mia creatura.”

L’attuale lunghezza del percorso proposto è di sole quattro miglia, ma un’ispezione svolta la scorsa settimana nell’area ne ha rivelato le difficoltà. La strada dovrebbe attraversare almeno tre crinali piuttosto ripidi, così come la strada principale tra Ramallah e le aree della Cisgiordania tra Ein Arik e Dir Ibzi’. Intanto esperti nel settore ambientale hanno espresso preoccupazione per i gravi danni all’ambiente circostante.

Mintz comunque afferma che la strada “non è né complicata né costosa”, e ritiene che il progetto sarà completato entro quattro anni. Tuttavia si è rifiutato di entrare nei dettagli su quanto costerà esattamente la strada. Nella riunione della sottocommissione della Knesset Mintz ha detto che c’è anche la possibilità di realizzare un “ponte e un tunnel” che ridurranno notevolmente i tempi di percorrenza.

Sembra che il Ministero dei Trasporti non abbia ancora trovato soluzioni per i problemi topografici, l’espropriazione della terra e le disposizioni sul traffico per i palestinesi.

Mintz non fa mistero del fatto che il suo obiettivo è utilizzare la strada per sviluppare l’area, che attualmente è scarsamente abitata da coloni, in particolare se paragonata ad altre zone intorno a Gerusalemme. “Qui c’è spazio per 100.000 persone, è territorio dello Stato”, ha detto.

Secondo Mintz esisterebbe già un piano regolatore per 15.000 famiglie. “Questa strada è fondamentale perché la nostra posizione è strategica. Siamo l’immagine speculare di Gush Etzion (blocco di insediamenti coloniali). Proprio come Gush Etzion si collega al corridoio di Gerusalemme dal sud (della Cisgiordania), noi saremo in grado di connetterci all’area di Gerusalemme da nord.”

Se l’idea di Mintz si avverasse, il progetto della destra israeliana di una “Grande Gerusalemme” inizierebbe dall’insediamento coloniale di Nahliel, a circa nove miglia a nord-ovest della città, e finirebbe con la colonia di Efrat, nove miglia a sud-ovest di Gerusalemme.

Mintz non è preoccupato dal fatto che la strada dovrebbe passare all’interno di aree destinate, secondo il piano di Trump, a far parte di uno Stato palestinese. Crede che l’accordo con gli Emirati Arabi Uniti abbia reso irrilevante il “piano del secolo” e in ogni caso, ha aggiunto, “i funzionari israeliani hanno presentato agli americani una mappa in base alla quale la questione è stata risolta”, il che implica che l’area in cui passerebbe la strada rimarrà sotto controllo israeliano.

Mintz ha affermato che anche i palestinesi “godranno” delle strade, poiché potranno raggiungere i villaggi vicini alla strada 443. Tuttavia i palestinesi di Ein Arik hanno detto che realizzare una strada proprio sulla loro terra porterebbe a una dura resistenza. “Morirò sulla mia terra”, ha detto un abitante del villaggio.

Etkes, di Kerem Navot, vede la decisione di attuare il piano come parte di un più ampio progetto infrastrutturale inteso a favorire i coloni israeliani nella Cisgiordania occupata come non abbiamo più visto dai tempi degli accordi di Oslo a metà anni 90.

Secondo Etkes, “questi progetti infrastrutturali sono destinati a servire come la base su cui Israele intende insediare centinaia di migliaia di cittadini ebrei nei prossimi decenni. La vera storia dell’apartheid israeliano in Cisgiordania non è l’annessione formale, che non si è concretizzata nonostante le promesse, ma l’annessione nella pratica, che è continuata per 53 anni e ora sta battendo ogni record”.

Il Consiglio regionale di Mateh Binyamin [che governa 46 colonie e avamposti israeliani nella Cisgiordania centro-settentrionale, ndtr.] ha dichiarato a +972 che il piano fa parte della “rivoluzione stradale” che ha promosso per “sviluppare l’intera regione e compensare gli anni in cui lo Stato ha trascurato la pianificazione stradale a Binyamin, Giudea e Samaria [cioè in Cisgiordania, ndtr.] in generale.” Le strade favoriranno “tutti gli abitanti della zona, inclusi gli arabi, e ridurranno notevolmente i tempi di percorrenza”, ha aggiunto il consiglio.

In una dichiarazione rilasciata a +972, il ministero dei Trasporti ha affermato che “la decisione relativa alla strada 935 è stata presa nel corso di un incontro con il consiglio regionale di Mateh Binyamin, con l’obiettivo di fornire una soluzione sul piano dei trasporti al problema dei collegamenti delle comunità di Talmon e Beit Horon. La strada è attualmente nella fase di progettazione iniziale”.

Meron Rapoport è un redattore di Local Call [versione in ebraico di +972, ndtr.]

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Mustafa al-Barghouti: “Di fronte all’annessione occorre mostrarsi combattivi”

Mustafa Barghouti

15 agosto 2020 – Chronique de Palestine

Il governo di occupazione non cessa di intensificare i propri abusi in parecchi ambiti: l’espansione delle colonie e gli ordini di demolizione di case palestinesi, i quotidiani arresti di palestinesi – alcuni dei quali si accompagnano ad odiosi omicidi, come nel caso della martire Dalia Al-Samoudi a Jenin, gli attacchi contro le istituzioni di Gerusalemme ed il tentativo di ridurre la presenza palestinese nella città.

La decisione israeliana di costruire 1.000 nuovi blocchi di colonie nella zona E1 tra Gerusalemme e la Valle del Giordano è stata di fatto il segnale d’avvio del processo di annessione e di ebraizzazione.

Alcuni analisti pensano che questo processo sia stato rinviato o interrotto, nonostante il fatto che Benjamin Netanyahu non smetta di ripetere che esso è all’ordine del giorno e la sua attuazione viene accuratamente predisposta.

Ma occorre guardare in faccia la realtà: anche senza questo, le costanti pratiche degli israeliani sul terreno modificano lo status quo, attraverso l’ebraizzazione delle aree palestinesi e l’annessione di fatto di tutte le zone che sono purtroppo classificate come zona “C”, cioè il 62% della Cisgiordania [la zona C è sotto completo controllo israeliano in base agli accordi di Oslo del ’93, ndtr.].

Ciò dimostra l’importanza della dichiarazione dei diplomatici americani ai loro omologhi internazionali, che è stata oggetto di una fuga di notizie, relativa al mancato rispetto delle Risoluzioni 242 e 338 delle Nazioni Unite (due delle principali risoluzioni dell’ONU, del 1967 e del 1973, che essenzialmente impegnano al ritiro dai territori occupati e al diritto al ritorno dei profughi, ndtr.) e di altre risoluzioni internazionali. Queste violazioni sono antiche, essi affermano, e la realtà sul terreno cambia con gli anni e si evolve quotidianamente.

Non bisogna collegare le iniziative necessarie a contrastare il processo di annessione e impedire l’attuazione dell’Accordo del Secolo all’annuncio ufficiale dell’annessione. Bisogna collegarle in termini generali alla politica di colonizzazione israeliana e all’applicazione concreta del suo sistema di apartheid.

Il governo israeliano studia le reazioni alle sue pratiche e alle sue dichiarazioni relative all’attuazione dell’annessione ufficiale e tenta di contenere tali reazioni e prendere le sue misure in base ad esse.

Tuttavia si scontra con tre ostacoli evidenti: la presenza fisica di palestinesi che resistono ai suoi piani e rifiutano il regime di apartheid; l’eventualità di dover affrontare sanzioni concrete, compreso un boicottaggio che si sviluppa in modo esponenziale a livello popolare; l’unanimità palestinese riguardo al rifiuto dell’Accordo del Secolo, delle sue mappe geografiche e dei suoi inganni.

Inoltre per Israele il tempo stringe, perché Donald Trump potrebbe perdere le elezioni presidenziali di novembre.

Dal lato palestinese la cosa più pericolosa che potrebbe verificarsi sarebbe adottare una posizione di attesa passiva, o sopravvalutare ed esagerare le conseguenze di un’eventuale caduta di Trump ed elezione di Biden. Infatti, anche se Biden è contrario al piano di annessione di Netanyahu, non farebbe niente per impedire che proseguano i tre processi in atto sul terreno di cui ho parlato prima.

Proseguire il processo di modifica dello status quo, ufficialmente o no, significa eliminare la possibilità di creare uno Stato palestinese indipendente. Basti pensare che il numero di coloni presenti in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza non superava i 120.000 all’epoca della firma degli Accordi di Oslo (1993), mentre ora ammonta a 750.000.

Che alla Casa Bianca ci sia Trump o Biden, e che il primo ministro israeliano sia Netanyahu o Gantz, le iniziative palestinesi che devono essere avviate urgentemente sono le stesse: una reale unità nazionale, l’adozione di una strategia nazionale di lotta unitaria e azioni efficaci per imporre il boicottaggio dell’occupazione e del regime di apartheid.

Non sarà un male per il popolo palestinese se le sue differenti fazioni e dirigenti adotteranno un approccio adeguato. Ma sarà pericoloso se esse si accontenteranno di reagire invece di prendere l’iniziativa.

Il dottor Mustafa al-Barghouti è Segretario generale dell’Iniziativa Nazionale Palestinese, presidente della Società palestinese di assistenza sanitaria e membro del Consiglio Legislativo Palestinese.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 28 luglio -10 agosto

Il 7 agosto, nella città di Jenin, durante scontri tra palestinesi e forze israeliane, una donna palestinese 23enne è stata uccisa da un proiettile penetrato nella sua casa.

Gli scontri sono avvenuti nel corso di un’operazione di ricerca-arresto, durante la quale giovani palestinesi hanno lanciato pietre ed esplosivi artigianali contro le forze israeliane, che hanno risposto sparando lacrimogeni. Secondo quanto riferito, la donna è stata colpita dal proiettile nel momento in cui stava chiudendo la finestra della casa, per impedire l’afflusso di gas lacrimogeno. Anche l’ambulanza che ha trasportato la donna in ospedale è stata colpita con proiettili di arma da fuoco. Fonti palestinesi hanno attribuito alle forze israeliane lo sparo fatale. Secondo l’esercito israeliano, citato dai media, le forze israeliane coinvolte nell’operazione non hanno usato le armi da fuoco. Gli scontri si sono conclusi senza feriti o arresti.

In Cisgiordania, in vari scontri, sono rimasti feriti 100 palestinesi, tra cui 15 minori [segue dettaglio]. L’episodio più grave, che ha causato 91 feriti, è avvenuto il 7 agosto nel villaggio di Turmus’ayya (Ramallah) durante una protesta contro la confisca di terreni [palestinesi] e l’espansione degli insediamenti colonici [israeliani]. Altri otto feriti sono stati registrati durante quattro delle 117 operazioni di ricerca-arresto condotte durante il periodo di riferimento. Un altro palestinese è rimasto ferito durante le manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Quattro dei 100 ferimenti sono stati causati da armi da fuoco, 11 da proiettili di gomma e 13 da aggressione fisica, mentre i rimanenti sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeno. Inoltre, nell’area H1 della città di Hebron, un soldato israeliano, colpito da una pietra, è rimasto ferito.

Dal 5 agosto, palestinesi della Striscia di Gaza hanno quotidianamente lanciato decine di palloni igniferi, provocando estesi incendi di terreni agricoli nel sud di Israele. Questa pratica era stata interrotta nel dicembre 2019, in seguito alla sospensione delle proteste collegate alla “Grande Marcia del Ritorno”. A partire dal 10 agosto, l’Autorità israeliana per la Natura ed i Parchi ha segnalato l’incendio di almeno 100 ettari di terra. A seguito di questi atti, l’aviazione israeliana ha colpito diversi siti militari a Gaza, senza provocare vittime.

Il 2 agosto, un gruppo armato palestinese ha lanciato un razzo [da Gaza] verso il sud di Israele; a seguire, l’aviazione israeliana ha attaccato la postazione di un gruppo armato e terreni coltivati. Da entrambe le parti sono stati segnalati limitati danni alle proprietà.

Nella Striscia di Gaza, presumibilmente per far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso alle aree prossime alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa, in almeno 27 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento. Non sono stati segnalati ferimenti né danni alle proprietà.

In Cisgiordania, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, sono state demolite o sequestrate 43 strutture palestinesi, causando lo sfollamento di 108 persone e ripercussioni su altre 240 [seguono dettagli]. Trentatré delle strutture erano in Area C, e 13 di esse si trovavano in quattro Comunità beduine palestinesi situate all’interno o a ridosso di un’area destinata [da Israele] all’espansione dell’insediamento colonico di Ma’ale Adummim (l’area E1). Sempre in Area C, 14 persone sono state sfollate nel villaggio di Susiya (Hebron sud) dopo che la tenda dove vivevano, finanziata da donatori, è stata demolita. Altre quattro strutture sono state prese di mira a Khallet Sakariya (Betlemme) e Fraseen (Jenin) sulla base di un “Ordine Militare 1797”, che consente di effettuare le demolizioni entro 96 ore dall’emissione degli ordini di rimozione. A Fraseen, 18 strutture sono state raggiunte da ordini di fermo-lavori o ordini di rimozione. Le altre dieci strutture demolite erano a Gerusalemme Est ed includevano cinque case auto-demolite dai proprietari [palestinesi] a seguito dell’emissione degli ordini di demolizione.

Tre palestinesi sono stati feriti e proprietà palestinesi sono state vandalizzate da aggressori ritenuti coloni [seguono dettagli]. A quanto riferito, tre degli episodi hanno avuto come protagonisti coloni dell’insediamento avamposto [non autorizzato] di Adei Ad, nel nord-est di Ramallah: un’aggressione fisica a due contadini; uno speronamento con auto che ha ucciso otto pecore e ne ha ferite altre 12; e, infine, l’incendio di 30 viti. Durante quest’ultimo episodio, un colono ha sparato contro palestinesi che tentavano di spegnere il fuoco, costringendoli ad andarsene; non sono stati segnalati feriti. In prossimità dell’insediamento colonico di Shilo, altre 15 pecore sono morte, a quanto riferito, per aver mangiato erba che era stata avvelenata. A Kafr ad Dik e Yasuf (Salfit), 15 ulivi sono stati vandalizzati e recinzioni e pali di ferro sono stati rubati. A Fara’ata (Qalqiliya), due veicoli sono stati dati alle fiamme e sui muri di alcune case del villaggio sono state spruzzate scritte in ebraico.

Secondo fonti israeliane, una donna israeliana è stata ferita e sei veicoli in transito su strade della Cisgiordania sono stati danneggiati dal lancio di pietre effettuato da palestinesi.

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

12-13 agosto: in risposta al continuo lancio, dalla Striscia di Gaza, di palloni incendiari che hanno bruciato terreni agricoli nel sud di Israele, le autorità israeliane hanno interrotto l’ingresso della maggior parte delle merci dirette a Gaza, (compreso il carburante), hanno ridotto l’area di pesca consentita [ai palestinesi] lungo la costa ed hanno attaccato diverse postazioni militari.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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