Il consulente di Trump su Israele sostiene (di nuovo) l’annessione della Cisgiordania con calcoli sbagliati

di Allison Deger 28 settembre 2016, Mondoweiss

nota redazionale: questo articolo è di fine settembre e già allora si mettevano in luce le pessime credenziali del Signor Friedman  recentemente nominato ambasciatore USA in Israele.

Secondo un reportage del Canale 2 di Israele, che ha ottenuto un video dell’incontro, durante una cena con i rappresentanti di un’organizzazione dei coloni a New York il consulente di Donald Trump per Israele ha di nuovo evocato la possibilità che il suo candidato sostenga l’annessione della Cisgiordania occupata da parte di Israele.

Un video della discussione mostra David Friedman, assistente di Trump, mentre parla, presumibilmente due settimane fa, con il dirigente dei coloni Yossi Dagan.

Le riprese colgono Friedman mentre sostiene un’argomentazione matematica per l’espansione territoriale israeliana in tutta la Cisgiordania. Il nocciolo di questa posizione è che l’annessione può essere “ebraica e democratica”, perché ci sarebbe una maggioranza di ebrei se la popolazione dei territori fosse unita a Israele.

“Il concetto che abbiamo, secondo cui ci si debba disfare della Giudea e della Samaria (la Cisgiordania) per conservare il carattere ebraico di Israele, è sbagliato,” ha detto Friedman. “Secondo la maggior parte dei calcoli, se prendi tutto lo Stato di Israele dal Giordano al Mediterraneo, nel senso di annettere tutta la Giudea e Samaria a Israele, la popolazione ebraica sarebbe ancora attorno al 65%. Questa è la più…l’opinione diffusa attualmente.”

“Nessuno si è preoccupato di fare il calcolo,” ha aggiunto Friedman tra un boccone e l’altro, prima di sfoderare le sue statistiche.

“Ci sono 400.000 ebrei che vivono in Giudea e Samaria, altri 400.000 che vivono a Gerusalemme est. Si stanno moltiplicando proprio adesso,” ha detto.

I calcoli di Friedman sono basati su cifre confutabili. Colloca 800.000 coloni ebrei in Cisgiordania e a Gerusalemme est, un forte aumento rispetto ai 500-650.000 coloni secondo i dati del governo e delle Nazioni unite. Anche la maggioranza ebraica del 65% è smentita. La maggioranza dei demografi sostiene che il numero è all’incirca di 50% ebrei e 50% palestinesi tra il Giordano e il Mediterraneo.

Friedman ha anche affermato che la popolazione ebraica sta aumentando con un tasso superiore a quello dei palestinesi. “Per cui la verità è che se tu chiedi a dieci esperti di statistica quanti arabi stanno vivendo in Cisgiordania non ti potrebbero dare una risposta perché nessuno lo sa davvero,” ha sostenuto.

La popolazione palestinese in Cisgiordania è costantemente aumentata dal 1967, l’anno del primo censimento israeliano del territorio, secondo i dati sia dell’Amministrazione Civile israeliana [l’autorità militare che governa nei territori occupati. Ndtr.] che dell’Ufficio Centrale di Statistica palestinese. Entrambi concordano sul fatto che circa 2.5 milioni di palestinesi vivono in Cisgiordania.

Su Gaza, Friedman ha lasciato intendere che i palestinesi di lì sarebbero esclusi dal piano di pace per il Medio Oriente del presidente Trump. Ha detto: “L’evacuazione [israeliana] da Gaza (nel 2005) ha avuto un effetto positivo, ha escluso due milioni di arabi dal calcolo.”

Prima di schierarsi con Trump in aprile, Friedman era relativamente sconosciuto, un avvocato della zona di New York apparentemente senza nessuna competenza in Medio Oriente se non la direzione di un settore per la raccolta di finanziamenti per una colonia della Cisgiordania, Beit El. (Il gruppo si chiama “Amici Americani della Yeshiva di Beit El” ed invia circa 2 milioni di dollari all’anno per finanziare una scuola religiosa fuori Ramallah).

Fiedman una volta ha lavorato anche come curatore fallimentare di un casinò del candidato presidenziale ad Atlantic City.

Dagan è un portavoce del Consiglio Regionale della Samaria, un gruppo noto per accompagnare delegazioni ufficiali USA nella Cisgiordania occupata.

I dati demografici a cui ha fatto riferimento Friedman, che superano di più di un milione i calcoli ufficiali, sono stati forniti dal “Gruppo di Ricerca Demografica Israelo-Americano”, una congrega di studiosi israeliani e americani che hanno pubblicato i loro risultati su due blog invocando “un unico Stato ebraico” sotto controllo israeliano.

Il gruppo non ha un sito web indipendente, i risultati della loro ricerca sono postati su portali in rete poco frequentati, con titoli come il “Progetto per uno Stato unico: uno Stato democratico ebraico” e “Demografia israeliana”.

I loro dati statistici sono rifiutati dai demografi ufficiali come uno strumento lobbistico molto poco attendibile e con lo scopo di indebolire l’appoggio ad uno Stato palestinese.

Il demografo Della Pergola dell’Università Ebraica ha detto a “Times of Israel” [giornale online israeliano. Ndtr.] che il ricercatore che sta dietro questo studio, l’ex-diplomatico israeliano Yoram Ettinger, è “delirante”.

“Sta spacciando un qualche futuro immaginario in un modo assolutamente non professionale, perché non ha mai studiato demografia. Non è altro che un ciarlatano,” ha affermato Della Pergola.

La registrazione video non è la prima occasione in cui Friedman ha sollevato la questione dell’annessione israeliana. In un’ intervista ad “Haaretz” in giugno ha detto al giornale israeliano che Trump potrebbe abbandonare il piano per i due Stati in favore dell’annessione. Facendo questa ipotesi, ha anche citato i dati forniti dal gruppo di Ettinger.

Negli scorsi mesi le considerazioni di Friedman hanno agitato le acque tra le istituzioni degli ebrei americani. Dopo che in luglio ha parlato alla CNN contro i colloqui di pace a favore di un unico Stato ebraico, il presidente dell’Unione per l’Ebraismo Riformato, il rabbino Rick Jacobs, ha scritto in una lettera aperta a Friedman che il progetto di Trump per uno Stato unico “sarebbe uno Stato ebraico che smetterebbe di essere una democrazia e priverebbe del diritto di voto milioni di palestinesi, oppure sarebbe una democrazia e smetterebbe di essere ebraico.”

Friedman ha risposto: “Devo rifiutare categoricamente la sua affermazione secondo cui Israele deve essere o uno Stato democratico o uno Stato ebraico.” In questo scambio epistolare ha fatto di nuovo riferimento agli stessi calcoli errati che si ritrovano nel video del suo pranzo a New York.

Allison Deger è vice caporedattore di Mondoweiss.net.

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




La legge che mette in evidenza la vera natura colonialista di Israele

di Oren Yiftachel

14 dicembre 2016, Haaretz

Sia che si tratti di terra coltivata (Negev) che incolta (Cisgiordania), si troverà uno stratagemma legale per trasferirla da mani arabe a  ebraiche|Opinione

Durante il periodo coloniale il concetto giuridico di terra nullius è stato utilizzato per definire terre senza diritti di sovranità o proprietà come terre di nessuno. Ciò per centinaia di anni ha fornito agli europei una giustificazione legale per strappare il controllo di territori e persone ai quattro angoli della terra. Questo concetto, reso ora nullo, affermava tra le altre cose, che le terre dei popoli nativi di America, Africa, Asia ed Australia, che non erano formalmente accatastate o gestite in modo “moderno”, erano da considerarsi “prive” di diritti legali.

Questo approccio ha avuto varie versioni, a seconda di chi comandava, ma la sostanza era la stessa: tutto ciò che aveva preceduto l’invasione europea -storia, cultura, agricoltura e leggi tradizionali – era cancellato. Il principale strumento che permetteva agli europei di esercitare il controllo, oltre alla violenza, era la legge. L’invasore, che era anche il legislatore, garantiva che l’accaparramento delle terre a danno dei nativi sarebbe sempre rimasto coperto da un ingannevole e mistificatorio velo di “legalità”.

[Il concetto di] terra nullius, come un modo di pensare e una “categoria” di sistemi legali, ha operato nel mondo fino a XX° secolo inoltrato, quando è emersa una legislazione opposta, che sostiene i diritti umani e riconosce quelli dei popoli indigeni. La nuova tendenza ha gradualmente ammesso che anche le culture e i popoli colonizzati hanno i propri legittimi sistemi di leggi, di proprietà e di governo.

Nel caso “Mabo” del 1992, la Corte Suprema australiana ha formalmente ribaltato il concetto giuridico di terra nullius, e molti altri Paesi hanno fatto altrettanto. La dichiarazione ONU sui diritti dei popoli indigeni del 2007 delinea le nuove norme internazionali, che rispettano le leggi consuetudinarie e proibiscono l’appropriazione di terre e risorse dei nativi o il trasferimento forzato di comunità autoctone.

La scorsa settimana il controverso disegno di legge israeliano noto come “Legge per la Regolarizzazione”, che intende legalizzare insediamenti ebraici (“avamposti”) non autorizzati in Cisgiordania ha superato la prima lettura. Questo disegno di legge può a buon diritto far parte della legislazione globale sulla terra nullius. Può darsi che sia in ritardo di un secolo, ma, in nome dell’occupazione e dell’insediamento coloniale -in questo caso, ebraico -, questa legge cancellerà la validità dei precedenti sistemi di proprietà in vigore da secoli. Come hanno ribadito i dirigenti dei coloni (“Smettiamola di chiedere scusa!”), nessuno gli impedirà di violare le leggi internazionali e ignorare etica e giustizia.

E’ una classica posizione colonialista. Proprio come i colonizzatori che hanno importato le loro leggi dalle capitali europee, gli abitanti di Amona (tutti coloni ebrei, naturalmente) mirano a importare le loro leggi dallo Stato occupante. Bisogna sottolineare che, secondo le norme internazionali, nessuno Stato ha l’autorità di emanare leggi riguardanti territori al di fuori dei propri confini nazionali o dichiarare proprietà di quello Stato terreni di questi territori.

Naturalmente ciò non significa che non ci siano milioni di ettari di terre ebraiche e israeliane che sono stati acquisiti o registrati in modo corretto, o che il diritto degli ebrei all’autodeterminazione sia minacciato. Per niente. Questa consapevolezza mette in una luce più chiara l’ingiustizia dell’appropriazione di terre attraverso inganni legali, mentre un tale furto non è per niente necessario allo Stato ebraico.

Comunque è altresì importante non esagerare l’importanza della legge attualmente in discussione, in quanto aggiunge solo un ulteriore, ancora più brutale livello al sistema che è iniziato 70 anni fa, attraverso il quale le terre palestinesi sono state trasferite agli ebrei con mezzi che “legalizzano” l’esproprio da parte dello Stato.

La messa in pratica dell’approccio della terra nullius è iniziata nel 1948 e si è aggravata dopo il 1967 – quando l’esproprio a danno di singoli individui ha riguardato le collettività, impedendo la realizzazione di uno Stato palestinese. E’ importante ricordare nell’attuale polemica che lo Stato per 70 anni ha cancellato, attraverso iniziative legali contorte e riguardanti la sicurezza, la maggior parte dei precedenti diritti legittimi dei palestinesi.

Stando così le cose, il cosiddetto “forte dissenso”, di cui si parla, tra persone che sarebbero a favore della “certezza del diritto”- Isaac Herzog [del partito Laburista. Ndtr.], Benny Begin [del Likud. Ndtr.] e Avichai Mendelblit [capo della procura militare. Ndtr.]– e “trasgressori della legge”, come Naftali Bennett e Uri Ariel [ministri e dirigenti del partito di estrema destra dei coloni. Ndtr.], può essere visto come una mossa di facciata. La nuova legislazione nella sua essenza non è nuova. Cambierà semplicemente i tempi: invece di dichiarare che le terre in apparenza erano di proprietà dello Stato ebraico fin da prima dell’insediamento dei coloni, la legge permetterà di dichiarare che lo sono dopo anni di insediamento delle colonie.

Ogni arabo che vive nelle Galilee, nel Triangolo [zona centro-settentrionale di Israele a maggioranza palestinese. Ndtr.] e soprattutto nel Negev può testimoniare che metodi simili sono stati utilizzati anche là per svuotare il sistema autoctono dei diritti di proprietà. In quelle regioni lo Stato ha spesso dichiarato terre arabe “vuote” o “abbandonate”, “morte” o “necessarie per finalità pubbliche (ebraiche)”, ed ha trasferito la proprietà a ebrei.

I metodi per trasformare in ebraiche terre palestinesi in Cisgiordania sono dettagliati in un nuovo rapporto di B’tselem, sotto il titolo “Espellere e sfruttare”. Questo rapporto documenta nei particolari la recente storia di terreni attorno a tre località palestinesi nei pressi di Nablus: Azmut, Deir al-Khatab e Salem. Il quadro generale è noto e inquietante: vasti appezzamenti di terre dei villaggi sono stati progressivamente trasferiti a ebrei attraverso varie misure che hanno incluso la creazione di aree di sicurezza, strade asfaltate ad accesso limitato, costituzione di avamposti illegali, registrazione come proprietà abbandonate e destinazione di territori a riserve naturali.

Il rapporto completa un ampio studio di B’tselem del 2012 intitolato “Sotto le mentite spoglie della legalità”, che ha documentato i modi in cui Israele ha manipolato le leggi ottomane ed inglesi per trasferire terre private palestinesi in mani israeliane ed ebraiche. Il rapporto ha dimostrato per la prima volta che Israele non solo ha gravemente violato le leggi internazionali, ma anche quelle nazionali, stravolgendo le norme fondiarie ottomane e britanniche. Ciò nonostante l’obbligo per lo Stato di conservare ogni norma legale già esistente nelle regioni occupate.

Il processo distorto in Cisgiordania si basa sul fatto di dichiarare che terre incolte nelle zone agricole dei villaggi possono essere dichiarate terre statali – benché, secondo il diritto ottomano, ognuna di tali terre non coltivate debba essere prima offerta ai precedenti proprietari, poi al villaggio di appartenenza o essere venduta con un’asta pubblica.

Israele ha ignorato le clausole più scomode del diritto ottomano e le ha sostituite con ordinanze del Mandato [inglese sugli ex territori dell’impero ottomano. Ndtr.], che erano concepite per delimitare le terre pubbliche in un contesto completamente diverso. Questa distorsione ha fornito le basi di una massiccia ed illegale “israelificazione” delle terre palestinesi. Inutile dire che i governanti ottomani e inglesi che hanno emanato queste leggi non hanno mai espropriato terre palestinesi (o ebraiche) in questo modo.

Fin dal 1970 Israele ha utilizzato una simile manipolazione della legge nel Negev, dichiarando terre non formalmente registrate in due momenti storici diversi – nel 1858 e nel 1921 – come “mewat”, ossia “terre morte”. Queste sono presumibilmente terre incolte, non occupate, abbandonate e periferiche, senza proprietario e pertanto terre statali. Israele ha fatto tutto ciò nonostante l’appartenenza storica delle terre ai beduini, molte delle quali erano coltivate e occupate, secondo le leggi tradizionali e riconosciute dagli ottomani e dagli inglesi.

Tutti lo sapevano, comprese le istituzioni sioniste che pagarono a caro prezzo vasti terreni dei beduini, con l’approvazione delle autorità britanniche. Tuttavia anche qui lo Stato ignora le parti scomode della storia e della legge, classificando in seguito queste terre come “morte”. In casi giudiziari recenti lo Stato sta fondamentalmente dicendo ai beduini: “I vostri padri e nonni non lo sapevano, ma vi stiamo dicendo che erano occupanti abusivi, e le terre che avete ereditato o comprato sono dello Stato.”

I tribunali hanno approvato questa interpretazione soprattutto in base alla precedente cultura giuridica in vigore in Israele, che si basa su vecchie sentenze. Queste vennero emesse in un periodo in cui i proprietari di terre arabi erano privi di potere e non avevano le risorse per sfidare l’espropriazione mascherata di legalità.

Il confronto tra la Cisgiordania e il Negev pone in evidenza il persistente e continuo processo di giudeizzazione sotto il regime israeliano. Che la terra sia coltivata (Negev) o incolta (Cisgiordania), sarà trovato un escamotage legale per trasferirla da mani arabe a ebraiche, rendendola quindi “terra nullius” – terra svuotata dei diritti originari.

Alla luce di questa lunga e distorta storia giuridica, è forse preferibile per chi desidera pace e giustizia che la legge per la legalizzazione sia totalmente accolta, e non respinta dalla Knesset o dall’Alta Corte di Giustizia. Ciò ci risparmierà le false distinzioni tra l’attuale legislazione e le precedenti discutibili leggi per l’espropriazione, e spazzerà via le differenze tra Amona e Ofra [colonia israeliana legittima secondo le leggi israeliane. Ndtr.] o tra Salem e ‘Araqib [rispettivamente un villaggio palestinese della Cisgiordania e uno beduino nel Negev israeliano. Ndtr.]. La legge metterà chiaramente in evidenza quello che Israele ha fatto per anni di nascosto: prendere il controllo colonialista delle terre palestinesi mettendo in atto la propria versione della dottrina della terra nullius, annullata e invalidata dalle leggi internazionali.

Se approvata, la nuova legislazione metterà l’approccio israeliano nel posto che gli compete, come parte di un oscuro periodo coloniale i cui tempi sono passati. Forse ciò scatenerà un processo di trasformazione e decolonizzazione ad ampio raggio, così urgentemente necessario nella nostra terra lacerata.

L’autore insegna geografia politica e giuridica nel Negev ed è un ex copresidente di B’tselem.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Espellere e sfruttare: la pratica israeliana di impossessarsi dei terreni agricoli palestinesi

La sintesi del Rapporto di B’Tselem,

B’Tselem

Dic 2016

Questo rapporto racconta la storia del processo di frammentazione imposto ai terreni agricoli palestinesi in Cisgiordania attraverso lo studio del caso di tre villaggi nel distretto di Nablus – ‘Azmut, Deir al-Hatab e Salem.

Quello che queste comunità hanno subito dal 1980, quando Israele ha fondato nelle vicinanze Elon Moreh [colonia israeliana di circa 1700 abitanti. Ndtr.], non è altro che uno degli esempi di dinamiche più estese che hanno avuto luogo in tutta la Cisgiordania. La loro storia è simile a quella di centinaia di comunità palestinesi sulle cui terre sono stati costruiti insediamenti israeliani.

Come molti altri villaggi palestinesi, Azmut, Deir al-Hatab e Salem si sono sviluppati in sintonia con le caratteristiche geografiche della zona. Terreni coltivati, pascoli e fonti idriche naturali sono serviti come fondamento dell’economia locale e come base per la formazione di un’intera cultura che lega profondamente gli abitanti al loro ambiente. I contadini utilizzavano per lo più coltivazioni tradizionali delle zone aride, coltivando ulivi e alberi da frutto, legumi e cereali. Allevavano anche bestiame, basandosi su pascoli naturali che si estendono lungo le distese collinose del al-Jabal al-Kbir (letteralmente: la Grande Montagna) e le vallate circostanti. Per centinaia di anni i contadini hanno vissuto di agricoltura e pastorizia.

Dall’occupazione del 1967 Israele ha utilizzato varie misure – ufficiali e non – per tagliare fuori i contadini dalla loro terra e assegnarla ai coloni. Il primo passo fu la fondazione nel 1980 della colonia di Elon Moreh su 127,8 ettari (1.278 dunam) delle terre del villaggio già registrate come proprietà statale sotto il governo giordano precedente il 1967. Solo due anni dopo il Comando della Giudea e Samaria stabilì una riserva naturale su una parte delle terre rimanenti a ovest della colonia. Ciò determinò la creazione di una zona, molto più ampia della giurisdizione dell’insediamento, in cui i palestinesi devono ottenere un permesso israeliano per intraprendere qualunque tipo di attività, costruzione, nuove coltivazioni o allevamento di bestiame. Nel 1987 170 ettari della riserva naturale furono dichiarati “terra dello Stato” e nel 1998 vi venne costruito un avamposto illegale dei coloni.

“Circa cinque coloni vivono nella fattoria Skali, ed hanno più pecore di tutti quanti gli abitanti del nostro villaggio messi insieme. Hanno grandi greggi – da 500 a 1.000 pecore a testa – mentre noi, gli abitanti di Salem che siamo i proprietari della terra, non abbiamo il permesso di attraversare la strada e allontanarci dalle nostre case, e le nostre pecore rimangono tutto il tempo nei recinti. Non escono mai a pascolare e non abbiamo nessun posto in cui portarle.”

La fase successiva del processo di espropriazione ebbe luogo alla fine di settembre 1995, dopo che Israele e i palestinesi firmarono gli accordi di Oslo II. Le terre di Azmut, Deir al-Hatab e Salem furono divise tra le aree B e C: la maggior parte dei terreni su cui si era costruito all’epoca fu definita area B, mentre la maggior parte delle riserve di terra, coltivazioni e pascoli dei villaggi furono attribuiti all’area C, sotto totale controllo israeliano. Da allora l’uso delle terre definite come area C, praticamente per ogni uso – soprattutto per la costruzione e lo sviluppo – è soggetto all’approvazione israeliana, che quasi sempre è negata ai contadini. Così facendo Israele ha messo le basi amministrative per separare i centri abitati dei villaggi dalla maggior parte dei loro terreni coltivati e pascoli.

Nel 1996 Israele costruì una strada per unire le colonie di Elon Moreh e Itamar, in modo che gli israeliani non dovessero più attraversare la zona abitata di Salem. Così, seguendo le basi amministrative stabilite un anno prima, Israele mise in piedi l’infrastruttura concreta per separare fisicamente le zone abitate dei tre villaggi dalle loro coltivazioni e pascoli. Nel 2000, quattro anni dopo che la strada era stata asfaltata, è scoppiata la seconda Intifada. Da allora, Israele ha vietato ai palestinesi di utilizzare la strada e persino di attraversarla. Benché questa proibizione sia priva di base legale, la tangenziale di Elon Moreh ha costituito la misura più radicale e significativa per bloccare l’accesso dei contadini alle terre coltivate, ai pascoli e alle fonti idriche naturali.

In pratica ogni restrizione che Israele ha imposto agli abitanti di Azmut, Deir al-Hatab e Salem ha permesso ai coloni di invadere quelle terre ed estendere il territorio sotto il loro controllo. La separazione determinata da Israele tra gli abitanti palestinesi e le loro terre coltivate ed i loro pascoli consente ai coloni di costruire case, stabilire avamposti, tracciare sentieri, piantare coltivazioni e uliveti, allevare greggi e appropriarsi di sorgenti di acqua di quella terra. Nel contempo i contadini sono anche regolarmente sottoposti a violenti attacchi.

Israele ha sempre tentato di dare una sorta di legalità alle sue azioni in Cisgiordania, sostenendo che queste azioni sono legali (in base alle leggi internazionali o a quelle applicabili alla Cisgiordania) oppure che sono iniziative private intraprese dai coloni. Tuttavia tutte queste attività rappresentano violazioni delle leggi internazionali e sono basate su un’interpretazione distorta e manipolatoria delle leggi che Israele stesso applica in Cisgiordania.

La separazione forzata dei contadini palestinesi dalle loro terre, pascoli e risorse idriche naturali ha violato gravemente i loro diritti, devastato l’economia locale e li ha proiettati nella povertà e nella dipendenza da istituzioni esterne. I contadini sono stati lasciati in uno stato di insicurezza a più livelli: finanziario, alimentare e sociale.

Questa è la storia di tre villaggi, una sola area rurale. Ma è una storia che si ripete spesso. Questo rapporto illustra una radicale politica di lungo periodo che Israele ha messo in atto in Cisgiordania per quasi cinquant’anni. Sotto l’apparenza di un’ “occupazione militare temporanea”, Israele tratta i territori occupati a suo piacere: portando via la terra, sfruttando le risorse naturali e creando colonie permanenti. Gli abitanti palestinesi sono stati progressivamente spogliati delle loro terre, delle loro radici e dei mezzi di sussistenza, per essere sostituiti dal controllo israeliano attraverso azioni ufficiali dirette o da attività dei coloni come suoi rappresentanti.

Nel corso degli anni Israele ha spogliato i palestinesi di circa duecentomila ettari di terra, compresi coltivazioni e pascoli, che poi ha destinato generosamente alle colonie. Alcune aree sono state dichiarate “aree militari chiuse” ed ai palestinesi è stato vietato di entrarvi senza un permesso; altri appezzamenti sono stati occupati creando fatti sul terreno e con l’uso della forza. Circa 580.000 israeliani attualmente vivono in Cisgiordania (compresa Gerusalemme est) in oltre 200 colonie, e godono di quasi tutti i diritti e privilegi attribuiti ai cittadini israeliani che vivono in Israele, all’interno della Linea Verde.

L’impatto che le colonie della Cisgiordania hanno sulla vita degli abitanti palestinesi è molto più ampio rispetto alle terre destinate alla semplice costruzione delle colonie: altre terre sono state espropriate per creare centinaia di chilometri di strade di collegamento asfaltate; posti di blocco e altre misure che limitano i movimenti solo per i palestinesi sono stati messi in atto in base alla collocazione degli insediamenti; l’accesso dei proprietari palestinesi a molte delle loro terre agricole – all’interno o all’esterno delle aree delle colonie – è stato nei fatti bloccato; il tortuoso tracciato della Barriera di Separazione – che viola gravemente i diritti dei palestinesi che vivono nei dintorni – è stato situato in profondità all’interno della Cisgiordania, soprattutto per inserire quante più colonie possibile sul suo lato occidentale (israeliano), insieme ad estesi appezzamenti che Israele ha destinato alla futura espansione di quelle comunità.

Intanto Israele ignora totalmente le necessità di milioni di palestinesi che vivono sotto il rigido regime militare della Cisgiordania, che nega a questi abitanti la possibilità di partecipare alla definizione del loro futuro, li priva dei loro diritti e delle loro risorse e impedisce loro qualunque possibilità di assicurarsi una vita quotidiana normale.

La politica di Israele dimostra chiaramente che lo Stato non vede l’occupazione, che si sta rapidamente avvicinando al mezzo secolo, come temporanea. Nel corso degli anni, gli insediamenti sono effettivamente diventati parte del territorio sovrano di Israele. Benché Israele abbia finora evitato un’annessione formale (tranne che a Gerusalemme est), ha lavorato in molti modi per eliminare la Linea Verde per i suoi cittadini, mentre ha concentrato la popolazione palestinese in 165 “isole” (le aree A e B) – enclaves non contigue che non possono prosperare. Questo movimento parallelo, dei coloni israeliani che si trasferiscono e occupano sempre più terra della Cisgiordania e i palestinesi che vengono espulsi, è stato una costante della politica israeliana in Cisgiordania fin dal giugno del 1967, con gli organi legislativo, giuridico, della pianificazione, finanziari e della difesa israeliani che hanno lavorato per questo obiettivo.

( Traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto Ocha del periodo 29 novembre- 12 dicembre ( due settimane)

L’8 dicembre, al checkpoint di Za’tara (Salfit), le forze israeliane hanno ucciso un 18enne   palestinese;secondo quanto riferito, avrebbe tentato un’aggressione con il coltello.

Dall’inizio del 2016, questo è il secondo episodio del genere accaduto presso questo checkpoint, collocato in un nodo strategico che consente il controllo della principale arteria di traffico verso il nord della Cisgiordania (Road 60) e verso la Valle del Giordano. Un episodio simile, accaduto il 10 dicembre al posto di blocco di Qalqiliya Nord, si è concluso con l’arresto di una ragazza palestinese di 15 anni, sospettata di aver tentato di accoltellare un soldato israeliano; non sono stati segnalati feriti israeliani.

Le autorità israeliane hanno trattenuto il cadavere del giovane palestinese ucciso nell’episodio di cui sopra. Al momento risultano trattenuti 27 cadaveri di palestinesi, alcuni dei quali da più di otto mesi.

Il 4 dicembre la Protezione Civile Palestinese di Gaza ha recuperato i corpi di quattro persone da un tunnel utilizzato per il contrabbando nel tratto lungo il confine con l’Egitto; il tunnel era crollato il 27 novembre scorso. In quest’area l’attività di contrabbando è in gran parte ferma dalla metà del 2013, dopo la distruzione o il blocco della stragrande maggioranza delle gallerie ad opera delle autorità egiziane. Inoltre, in seguito al crollo di un tunnel militare ad est di Gaza City, il 7 dicembre due membri palestinesi di un gruppo armato sono morti ed un altro è rimasto ferito.

In Cisgiordania, nel corso di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ferito 39 palestinesi, tra cui 11 minori. Cinque dei feriti si sono avuti nella Striscia di Gaza, vicino al valico di Nahal Oz (chiuso da tempo), durante scontri scoppiati nel corso di proteste in prossimità della recinzione perimetrale. I restanti ferimenti (34) si sono verificati in Cisgiordania: nel corso di operazioni di ricerca-arresto (la maggior parte), durante la manifestazione settimanale a Kafr Qaddum (Qalqiliya), e durante scontri con le forze israeliane presenti all’ingresso del Campo profughi di Shu’fat (Gerusalemme Est). Inoltre, secondo i media israeliani, in due distinti episodi verificatisi vicino all’incrocio di Jaba’ (Gerusalemme) e nel villaggio di Deir Nidham (Ramallah), quattro soldati israeliani sono stati feriti dal lancio di pietre ad opera di palestinesi.

A Gaza, in almeno 24 casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti o in avvicinamento ad Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare. In un’altra occasione, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza ed hanno effettuato un’operazione di spianatura del terreno. Non sono stati segnalati feriti, ma il lavoro di agricoltori e pescatori è stato interrotto.

In Cisgiordania, forze israeliane hanno condotto quasi 100 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato circa 120 palestinesi, tra cui 29 minori; tre di questi sono sospettati di aver partecipato al lancio di pietre contro le forze israeliane presenti all’ingresso della Scuola Maschile di As Sawiya (Nablus). Una delle operazioni di ricerca, per la quarta volta nel corso del 2016, ha avuto come obiettivo l’Università Al Quds di Gerusalemme. A Gaza, sei palestinesi, tra cui quattro pescatori, un uomo che tentava di entrare illegalmente in Israele ed un mercante che rientrava in Gaza, sono stati arrestati dalle forze israeliane. Inoltre, una barca da pesca è stata sequestrata.

In zona C e Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 17 strutture, sfollando 17 persone e diversamente coinvolgendone altre 356. La metà delle strutture colpite si trovavano in Area C, presso quattro comunità beduine e pastorali palestinesi; tra esse quella di Susiya (Hebron), dove sono state sequestrate parti di un impianto fotovoltaico utilizzato dalla Comunità. Sulla maggior parte delle strutture di Susiya incombono ordini di demolizione e la Comunità è esposta ad un elevato rischio di trasferimento forzato.

In quattro occasioni, per consentire l’addestramento militare, le forze israeliane hanno temporaneamente sfollato, per diverse ore ogni volta, 85 persone appartenenti a due comunità di pastori nel nord della Valle del Giordano (Khirbet ar Ras al Ahmar e Humsa al Bqai’a). Nella prima Comunità, le autorità israeliane hanno anche sequestrato un trattore e consegnato un ordine di arresto lavori per una rete elettrica. Entrambe le comunità si trovano in un’area designata come “zona per esercitazioni a fuoco”; tali zone costituiscono quasi il 30% dell’Area C. Finora, nel 2016, ci sono stati 27 episodi di sfollamento temporaneo per consentire esercitazioni militari; tali episodi sono parte del contesto coercitivo che spinge i residenti ad andarsene.

Sempre in Area C, nel governatorato di Hebron, le autorità israeliane hanno emesso ordini di demolizione e di stop-lavori contro due abitazioni in costruzione ed un muro di contenimento ad Al Baqa’a e Beit Ummar, e contro quattro strutture abitative e di sussistenza nella zona di Masafer Yatta. Inoltre, le autorità israeliane hanno sequestrato quattro veicoli di proprietà palestinese: un bulldozer utilizzato per un progetto di ristrutturazione/risanamento (finanziato da un donatore), nel villaggio di As Sawiya (Nablus); una autocisterna per le acque reflue in Einun (Tubas); due veicoli privati nel villaggio di Azzun Atma (Qalqiliya). Per questi ultimi c’era il sospetto che fossero coinvolti nel trasporto di lavoratori illegali in Israele.

A Gerusalemme Est, per mancanza dei permessi di costruzione rilasciati da Israele, il Comune ha consegnato ordini di demolizione contro 13 edifici in Al Bustan, zona di Silwan, minacciando di sfollare circa 100 palestinesi. Negli ultimi anni, Silwan è stato soggetto ad intense attività di insediamento, incluso un progetto per la realizzazione di un complesso turistico in Al Bustan che, se fosse realizzato, comporterebbe lo sfollamento di più di 1.000 residenti palestinesi; altre centinaia di residenti sono a rischio di sfollamento a motivo delle procedure di sfratto avviate da organizzazioni di coloni.

Nel periodo di riferimento sono stati registrati cinque attacchi di coloni israeliani con conseguenti ferimenti di palestinesi o danni alle proprietà; tra questi la vandalizzazione di almeno 200 alberelli di ulivo di proprietà palestinese nel villaggio di Turmus’ayya (Ramallah). Altri due episodi si sono verificati nella zona di Nablus: l’aggressione fisica di un anziano palestinese vicino al villaggio di As Sawiya e il danneggiamento del raccolto dovuto a bestiame lasciato pascolare su un terreno coltivato presso il villaggio di Salim. Altri due episodi collegati a coloni si riferiscono a lancio di pietre contro veicoli palestinesi, presso il villaggio di Nahhalin (Betlemme) e il villaggio di Deir Istiya (Salfit), con relativo danneggiamento di due veicoli.

Coloni israeliani hanno collegato una rete idrica alla sorgente naturale di “Ein al Sha’ra” nel villaggio di Madama (Nablus), per pompare l’acqua verso l’insediamento colonico Yitzhar. Una indagine effettuata da OCHA nel 2011* aveva rilevato che, in Cisgiordania, trenta sorgenti erano sotto il pieno controllo di coloni ed inaccessibili ai palestinesi, mentre altre 26 sorgenti erano a rischio di acquisizione / impossessamento da parte di coloni.

* nota: in calce al presente report sono riportate le prime righe di tale indagine

I media israeliani hanno riferito che, durante il periodo di due settimane, si sono verificati quattro episodi di lancio di pietre e bottiglie incendiarie da parte di palestinesi contro veicoli israeliani: non sono state provocate vittime, ma sono stati segnalati danni a parecchi veicoli.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per tre giorni (10, 11 e 12 dicembre) per i casi umanitari: è stata consentita l’uscita dalla Striscia di Gaza a 2.021 persone ed il rientro a 1.510. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, dall’inizio del 2016, circa 20.000 persone sono registrate ed in attesa di uscire da Gaza attraverso Rafah.

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* Quanto segue è tratto dall’indagine OCHAoPt: “Come avviene l’espropriazione – impatto umanitario dell’impossessamento delle sorgenti da parte dei coloni”

“Negli ultimi anni, in Cisgiordania, un numero crescente di sorgenti d’acqua locate nei dintorni di insediamenti israeliani sono diventate bersaglio di azioni di coloni che hanno eliminato, o mettono a rischio, l’accesso a queste sorgenti ed il loro utilizzo da parte dei palestinesi. Un’indagine effettuata da OCHA nel corso del 2011 ha individuato un totale di 56 di tali sorgenti che, in grande maggioranza, si trovano in Area C (93%), su appezzamenti di terreno registrati dall’Amministrazione Civile Israeliana (ICA) come proprietà privata di palestinesi (almeno 84%).

Trenta (30) di queste sorgenti sono risultate essere sotto il pieno controllo dei coloni ed i palestinesi non hanno possibilità di accedere ad esse. In tre quarti di questi casi (22 sorgenti), i palestinesi sono stati dissuasi dall’accesso alle sorgenti tramite atti di intimidazione, minacce e violenze perpetrate da coloni israeliani. Nei restanti 8 casi di sorgenti sotto il pieno controllo dei coloni, l’accesso dei palestinesi è stato impedito da ostacoli fisici, tra cui la recinzione delle aree in cui si trovano le sorgenti e la loro annessione de facto agli insediamenti colonici (quattro casi) o l’isolamento, causato dalla Barriera, delle aree sorgive dal resto della Cisgiordania e la loro successiva designazione come “zona militare chiusa” (quattro casi).

Le altre 26 sorgenti sono a rischio di impossessamento da parte di coloni. Questa categoria comprende le sorgenti che sono diventate l’obiettivo di sistematici “tour” da parte di coloni, e/o di pattugliamento da parte degli incaricati della sicurezza degli insediamenti colonici. Mentre, al momento del sondaggio, i palestinesi potevano comunque accedere ed utilizzare queste sorgenti, agricoltori e residenti palestinesi hanno riferito che la presenza costante di gruppi di coloni armati nella zona ha un effetto intimidatorio che ne scoraggia l’accesso e l’uso.

Contemporaneamente all’eliminazione o alla riduzione degli accessi dei palestinesi, in 40 delle 56 sorgenti individuate nell’indagine, coloni israeliani hanno cominciato a modificare le aree circostanti come “aree di attrazione turistica”. Lavori realizzati per questo scopo comprendono, tra gli altri, la costruzione o la ristrutturazione di piscine; la messa in opera di tavoli da picnic e di ripari per l’ombreggiatura; la pavimentazione di strade che conducono alla sorgente; l’installazione di cartelli che riportano il nome ebraico della sorgente … ”

Indagine completa (in lingua inglese):

https://www.ochaopt.org/documents/ocha_opt_springs_report_march_2012_english.pdf

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Il sionismo nella sua espressione migliore

di Amira Hass, 30 novembre 2016 , Haaretz

La terra che Israele ha destinato ai giubilanti coloni si chiama Atir/Umm al Hiran e per 60 anni ha ospitato i membri della tribù beduina di Al-Qi’an.

I video prodotti dal gruppo di coloni di Hiran mostra molti ebrei festanti, che amano cantare e suonare, raccontare barzellette e divertirsi. Saranno presto ancor più contenti, quando si sposteranno nel luogo della loro comunità defintiva nel nordest del Negev.

La terra che lo stato ha destinato a loro si chiama Atir/Umm al-Hiran e per 60 anni ha ospitato i membri della tribù beduina di Al-Qi’an. In altri termini, le case ed i parchi giochi per i bambini ebrei che verranno costruiti là, ed i parchi che vi verranno piantati, saranno tutti edificati sulle rovine delle case e delle vite di circa 1000 altre persone, che sono anch’esse cittadini israeliani (alcuni dei quali hanno servito nell’esercito, se a qualcuno importa).

Adesso ogni giorno i bulldozer dell’Amministrazione per la Terra di Israele, e/o i suoi subappaltatori, vanno a demolire le case di questi cittadini beduini per fare spazio alla fiorente comunità di giubilanti cittadini ebrei. In una parola, il sionismo.

Non si tratta di un atto di guerra o nemmeno di spirito di vendetta; tutto è stato pianificato attentamente e con calma. Il governo di Ariel Sharon ha preso la decisione, il Consiglio per la Pianificazione e l’Edificazione Nazionale ha approvato e le commissioni per i ricorsi hanno respinto tutte le contestazioni presentate.

Il piano per distruggere le vite dei beduini, per i quali il Negev è stata la casa per centinaia di anni, per favorire e promuovere un gruppo di ebrei raccolti da tutto il paese viene anche approvato e sancito da sei giudici di tre differenti tribunali: Israel Pablo Akselrad della Corte di giustizia di Kyriat Gat; i giudici Sarah Drovat, Rachel Barkai e Ariel Vago della Corte distrettuale di Be’er Sheva e i giudici Elyakim Rubinstein e Neal Hendel della Corte Suprema (il giudice Daphne Barak-Erez si è opposta alla demolizione).

Questi giudici sapevano che la tribù di Al-Qi’an viveva a Umm al-Hiran dal 1956, dopo esservi stata trasferita su ordine del governatore militare. Dopo il 1948 quei pochi beduini che Israele non ha espulso verso Gaza, la Cisgiordania o la Giordania furono obbligati a rimanere in un’area a loro destinata del Negev, che gradualmente è stata ridotta. La tribù di Al-Qi’an è stata costretta ad abbandonare le terre in cui aveva vissuto per parecchie generazioni e su cui è stato costruito il kibbutz Shoval. Dopo anni di nomadismo ed espulsioni, è arrivato il permesso di stabilirsi nell’area di Wadi Yatir. Ciononostante lo stato non ha mai riconosciuto ufficialmente il loro villaggio. Ciò significa 60 anni senza elettricità, senza servizio idrico e senza finanziamenti governativi per l’istruzione, la salute o il welfare. Oltre a questo, tutte le strutture sono definite “illegali”.

La “Nazione delle Startup” (slogan israeliano, ndtr.) vuole trasferirli nel villaggio beduino di Hura. Ecco quindi un’altra mini-lezione di sionismo: gli ebrei israeliani possono decidere da soli dove e come vivere. Gli arabi? Dovrebbero esserci grati perché non li espelliamo; loro vivranno dove e come decidiamo noi.

Il giudice Akselrad ha scritto: “Possiamo dire che l’interesse personale dei ricorrenti riguardo al fatto che i tetti sopra le loro teste non vengano demoliti non ha rilievo in queste circostanze, e in ogni caso non può prevalere rispetto al pubblico interesse di impedire che si costruisca su terreni statali.”

E i giudici di Be’er Sheva: “Una volta stabilito che il permesso concesso ai ricorrenti di usare il terreno è revocabile, il convenuto ha il diritto di richiedere il loro sfratto dal terreno…L’accusa che il convenuto abbia motivazioni nascoste o anche palesi per espellerli dalla terra al fine di stabilirvi una comunità di ebrei….(deve essere dibattuta) in un differente tribunale.”

E che cosa hanno detto i due giudici del tribunale speciale, la Corte Suprema? Si sono nascosti dietro la motivazione procedurale che i residenti avevano presentato in ritardo i loro ricorsi contro la distruzione delle loro case e delle loro vite.

La decisione presa a maggioranza da Rubinstein e Hendel, che consente la demolizione del villaggio, è stata pronunciata nel maggio 2015. Ora i bambini e gli adulti di Umm al-Hiran sanno che da un momento all’altro i bulldozer e i funzionari ebrei che recano ordini ufficiali arriveranno per cacciarli via.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)

 




Rapporto OCHA del periodo 15 -28 novembre 2016 (due settimane)

Il 22 e 25 novembre, in due distinti episodi verificatisi a Gerusalemme Est, al checkpoint di Shu’fat ed a quello di Qalandiya, le forze israeliane hanno ucciso, con armi da fuoco, due palestinesi, uno dei quali quattordicenne: secondo fonti israeliane, si presume che entrambi fossero aggressori con coltello.

Nessun soldato israeliano è rimasto ferito negli episodi citati. Le autorità israeliane hanno trattenuto i corpi dei palestinesi uccisi; in totale sono ora trattenuti sei cadaveri di palestinesi. Dall’inizio del 2016, 73 palestinesi, tra cui 21 minori, e otto israeliani, tra cui una ragazza, sono stati uccisi durante aggressioni e presunte aggressioni effettuate da palestinesi della Cisgiordania. Le risposte delle forze israeliane ad alcuni di questi episodi hanno sollevato preoccupazione circa un possibile uso eccessivo della forza ed esecuzioni extragiudiziali.

Un altro palestinese di 22 anni è stato ucciso dalle forze israeliane il 18 novembre, con armi da fuoco, in scontri avvenuti nel corso di una manifestazione presso la recinzione perimetrale della Striscia di Gaza. Nei Territori palestinesi occupati (oPt), nel corso di molteplici scontri, le forze israeliane hanno anche ferito 34 palestinesi, tra cui quattro minori. In Cisgiordania, tali scontri sono scoppiati durante operazioni di ricerca-arresto, durante le manifestazioni settimanali a Ni’lin (Ramallah) e Kafr Qaddum (Qalqiliya) contro la Barriera e contro gli insediamenti, e contro la costruzione di un nuovo insediamento-avamposto [illegale anche per la legge israeliana] nel nord della Valle del Giordano. Tre soldati israeliani sono rimasti feriti ad opera di palestinesi, per lancio di bottiglie incendiarie e pietre.

Una donna palestinese è stata uccisa il 16 novembre nel Campo Profughi di Balata (Nablus), durante uno scontro a fuoco tra Forze di Sicurezza palestinesi e civili palestinesi. La donna non era coinvolta negli scontri, scoppiati nel corso di una operazione di ricerca-arresto nel Campo. Tre membri delle Forze di Sicurezza sono rimasti feriti.

Gli incendi boschivi, divampati tra il 22 e il 27 novembre in molteplici località israeliane ed in alcune zone dei Territori palestinesi occupati (oPt), hanno determinato vasti sfollamenti di popolazione. La polizia israeliana ha avviato indagini su possibili casi di incendio doloso ed ha arrestato alcuni sospetti. In Cisgiordania, circa 380 famiglie sono state temporaneamente evacuate dalle loro case negli insediamenti colonici israeliani di Dolev, Talmon e Halamish (Ramallah); secondo i media, in quest’ultimo insediamento 15 case sono state bruciate completamente e altre 25 sono state danneggiate. Almeno sei persone hanno riportato lesioni per inalazione di fumo. Gli incendi hanno raggiunto la città di Huwwara (Nablus), dove è stato danneggiato un ettaro di terra coltivata. Le forze antincendio palestinesi sono state dispiegate sia in Israele che negli insediamenti colonici della Cisgiordania per sostenere gli sforzi di Israele contro gli incendi.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto 252 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 243 palestinesi. Il governatorato di Gerusalemme ha registrato la più alta quota di arresti (103, di cui 35 minori) e di operazioni (62), incluse le due operazioni compiute nell’Università Al Quds, in Abu Dis (Gerusalemme).

A Gaza, in almeno 16 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti o in avvicinamento alle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare. In un’altra occasione, le forze israeliane sono entrate in Gaza ed hanno svolto un’operazione di spianatura del terreno. Non sono stati segnalati feriti, ma il lavoro di agricoltori e pescatori è stato interrotto. Sei palestinesi sono stati arrestati, tra cui due pescatori che sono stati costretti a togliersi i vestiti e nuotare verso le imbarcazioni della marina israeliana, mentre la loro barca e le reti da pesca sono state sequestrate. Altri quattro civili sono stati arrestati mentre tentavano di entrare illegalmente in Israele.

Per la mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o requisito 18 strutture, sfollando 42 palestinesi, tra cui 30 minori, e colpendo i mezzi di sostentamento di altre 60 persone. In Ma’azi Jaba, una delle comunità colpite nel governatorato di Gerusalemme, le autorità hanno demolito nove tra strutture abitative e di sostentamento che erano state fornite come assistenza umanitaria. Questa è una delle 46 comunità della Cisgiordania centrale a rischio trasferimento forzato in conseguenza di un piano israeliano per “rilocalizzarli”.

In cinque comunità dell’Area C, Khirbet ar Ras al Ahmar e Ibziq (entrambe in Tubas), Jit (Qalqiliya) e Ash Shuyukh (Hebron), le autorità israeliane hanno sequestrato tre trattori e due bulldozer, adducendo quale motivazione il loro impiego in costruzioni illegali. Nel villaggio di Ya’bad (Jenin), per violazione delle norme ambientali, le forze israeliane hanno sequestrato quattro veicoli e 150 tonnellate di legna per la produzione di carbone, fonte di sostentamento per almeno 1.000 lavoratori.

In cinque occasioni, per consentire l’addestramento militare, le forze israeliane hanno sfollato temporaneamente 210 persone, inclusi 123 minori, appartenenti a due comunità di pastori palestinesi nel nord della Valle del Giordano (Khirbet ar Ras al Ahmar e Ibziq). Le due comunità devono far fronte a ripetute demolizioni e restrizioni ai loro spostamenti che acuiscono le crescenti preoccupazioni legate al rischio di trasferimento forzato. In altre tre occasioni, nella stessa area, le forze israeliane hanno effettuato esercitazioni militari in prossimità della comunità di pastori palestinesi di Khirbet Tel al Himma, con conseguenti danni alle proprietà e limitazioni negli spostamenti; per due volte, dalla fine del settembre 2016, tale comunità ha subito demolizioni.

Sono stati registrati tre attacchi di coloni israeliani che hanno causato lesioni a palestinesi o danni alle loro proprietà; in particolare, l’aggressione fisica e il ferimento di tre uomini palestinesi in due distinti episodi avvenuti nella zona H2 di Hebron e danni ad un veicolo palestinese, per lancio di pietre, ad Hebron. Inoltre, non inclusi nel conteggio, a Gerusalemme Est, Hebron e Tubas sono stati segnalati almeno tre episodi di aggressione e intimidazione contro palestinesi.

Secondo i media israeliani, ci sono stati otto casi di lancio di pietre ad opera di palestinesi contro veicoli israeliani; ne sono conseguiti il ferimento di un colono israeliano e danni ad almeno sei veicoli, oltre che alla metropolitana leggera di Gerusalemme.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per tre giorni (16-18 novembre): è stata consentita l’uscita dalla Striscia di Gaza a 1.702 persone e il rientro a 947. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, dall’inizio del 2016, circa 20.000 persone sono registrate e in attesa di uscire da Gaza attraverso Rafah.




Gli incendi in Israele sollevano brucianti domande sull’occupazione

di Amira Hass, 29 novembre 2016 Haaretz

Domanda: Perché non abbiamo sentito di arresti di ebrei che invocano l’uccisione degli arabi? Risposta: gli ebrei esercitano il proprio diritto alla libertà di parola.

Forse gli incendi provocati intenzionalmente per motivi politici o “nazionalisti” valgono di più dei comuni incendi? I criteri per i risarcimenti del governo ai cittadini israeliani che hanno avuto le case danneggiate la scorsa settimana verranno decisi sulla base dell’origine dell’incendio, creando una gerarchia di indennizzi ed assistenza?

Gli incendi classificati come atto terroristico ostile garantiranno alle vittime un rimborso più veloce e più consistente rispetto agli sfortunati le cui case, album fotografici e computer sono stati distrutti dal fuoco causato da un razzo della polizia o da un mozzicone di sigaretta gettato via negligentemente, la cui fiamma è stata attizzata dal vento?

Perché non sentiamo parlare di arresti di massa di ebrei i cui post sui social media invocano l’uccisione degli arabi e che hanno manifestato gioia per le loro disgrazie, ma abbiamo sentito dell’arresto di un attivista sociale di Rahat che ha schernito chi applaudiva gli incendi?

Alcune risposte:

* L’istigazione [alle violenze contro gli arabi. Ndtr.] da parte degli ebrei non è una notizia

* Gli ebrei dicono ciò che pensano ed esercitano il proprio diritto alla libertà di parola

* Gli istigatori ebrei che incitano ad uccidere i palestinesi non si trovano in carcere. Si trovano nella coalizione di governo o nella Knesset (il Parlamento israeliano. Ndtr.).

* Dichiarare che la cittadinanza dei piromani verrà revocata non è istigazione, ma parte di una politica di espulsione di vecchia data.

Com’ è che i giornalisti israeliani si affrettano a riportare le espressioni di “schadenfreude” (termine tedesco che significa “piacere provocato dalla sfortuna altrui”, ndtr.) postate sui social media arabi e palestinesi? Com’ è che sembrano non trovare i comunicati stampa, i report delle Nazioni Unite e di B’Tselem ed i post palestinesi che riferiscono dei quotidiani abusi e crudeltà perpetrati contro milioni di persone dall’esercito israeliano, dalla polizia di frontiera, dalla Municipalità di Gerusalemme, dal Ministero degli interni, dall’Amministrazione Civile, dagli Uffici di coordinamento distrettuale, dal Coordinatore delle attività governative nei territori (l’autorità militare israeliana in Cisgiordania, ndtr.), dal Ministero di pubblica sicurezza, dall’Autorità israeliana per la terra, ecc.?

Alcune risposte:

* Perché sono gli ufficiali dell’intelligence israeliana che danno la caccia ai sospetti a fornire le informazioni ai giornalisti.

* Perché i giornalisti israeliani non hanno familiarità con i siti web di B’Tselem e dell’Ufficio per il Coordinamento delle questioni umanitarie dell’ONU.

* Perché non vogliono turbare i loro amici, i loro compagni e i loro figli, che sono quei soldati, quei giudici e quel personale amministrativo che compiono gli abusi.

* Perché sono israeliani, prima che giornalisti.

* Perché sanno ciò che gli utenti israeliani delle informazioni vogliono sentire, e ciò che non può importargli di meno.

* Tutto quanto detto fin qui.

* Perché riferire come Israele domina i palestinesi non lascerebbe spazio ad altre notizie..

* Perché quello che è routine non merita i titoli.

Dobbiamo riconoscere che ci sono stati dei piromani palestinesi, così come ci sono state anche false accuse. Ma se vogliamo impedire una simile forma di sabotaggio dobbiamo comprenderne i motivi.

Queste azioni, a prescindere da quanto possano essere esecrabili, sono strettamente legate alle politiche di crudeltà. Chiunque non voglia vedere queste politiche o riconoscere che esistono dimostra di avere interesse nel mantenere vivo il problema per giustificare future espulsioni ed abusi.

Tre mappe

Dove si trovano Beit Meir, Nataf e Canada Park, tre località dove sono scoppiati gli incendi? Una risposta è che si trovano ad ovest di Gerusalemme. Un’altra è che Beit Meir è sulla terra del villaggio palestinese distrutto di Bayt Mahsir, che all’inizio del 1948 ospitava 3.000 persone. Nataf si trova dove c’era un tempo il villaggio di Beit Thul, anch’esso distrutto da noi in modo che i suoi 300 abitanti in fuga non potessero tornarvi.

Canada Park, che è gestito dal Fondo Nazionale Ebraico, sorge sulle rovine dei villaggi di Imwas e Yalo, i cui abitanti abbiamo espulso nel giugno 1967.

E dove si trova la colonia di Halamish? Sulla terra dei villaggi di Deir Nizam e Nabi Saleh. Halamish si sta espandendo; Israele impedisce ogni nuova costruzione nei villaggi palestinesi.

Gli incendi della scorsa settimana hanno abbozzato tre mappe del paese. Una è la mappa immaginaria del territorio solo degli ebrei da cui i palestinesi sono stati cancellati. La seconda è la triste mappa degli invasori e degli occupanti, dove troviamo i pochi piromani che presumibilmente hanno appiccato alcuni degli incendi e coloro che hanno gioito del loro divampare. Queste due mappe sono sorprendentemente simili.

La terza è quella delle persone legate alle loro case, che le hanno perse o le stanno perdendo, di quelle che vi torneranno dopo che saranno ricostruite e di quelle che non sono tornate.

Quante persone sono necessarie per evacuare interi quartieri di Gerusalemme? Solo alcuni piromani palestinesi condannati dalla loro società.

Quante persone sono necessarie per far fuggire mezzo milione di palestinesi da un incendio all’altro a Gaza? Molti israeliani – un governo al completo, lo staff generale, gli alti comandi e migliaia di soldati e piloti.

Quanti israeliani servono per uccidere, in una sola estate, 180 bambini da 0 a 5 anni, 346 ragazzi da 6 a 17 anni e 247 donne, come è accaduto nel 2014? Gli stessi governo al completo, staff generale, alti comandi e migliaia di soldati e piloti – insieme alla maggior parte di una nazione che plaude e li incoraggia a continuare.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Un pogrom scuote un villaggio palestinese strangolato dai coloni israeliani

di Gideon Levy e Alex Levac – 11 novembre 2016 Haaretz

Una dozzina di coloni mascherati che brandivano coltelli e bastoni e gridavano “morte agli arabi” ha attaccato cinque contadini palestinesi che stavano raccogliendo olive. “Sono venuti per uccidere”, ha detto una vittima.

E’ stato un pogrom [attacchi antisemiti contro la popolazione ebraica nei Paesi dell’Est Europa. Ndtr.].

I sopravvissuti sono cinque pacifici contadini palestinesi che parlano un ebraico smozzicato e lavorano nell’edilizia in Israele, con permessi di ingresso validi. Durante i fine settimana coltivano ciò che è rimasto delle loro terre, la maggior parte delle quali sono state depredate a favore dei coloni che strangolano il loro villaggio, Janiya, fuori Ramallah. Sono convinti di essere sopravvissuti solo per miracolo all’attacco di sabato scorso.

“Pogrom” è davvero la sola parola per descrivere quello che hanno subito. “Vi uccideremo!” hanno gridato gli assalitori, mentre picchiavano gli uomini sulla testa e sul corpo con mazze e tubi di ferro, e brandivano coltelli a serramanico. L’unico “crimine” dei palestinesi, che stavano raccogliendo le loro olive quando i coloni si sono gettati su di loro, era il fatto di essere palestinesi che hanno avuto l’ardire di lavorare la loro terra.

Il periodo della raccolta delle olive è tradizionalmente la stagione dei pogrom in Cisgiordania, ma questo è stato uno dei più violenti. Nessun rappresentante ufficiale israeliano ha condannato l’assalto, nessuno si è indignato. Uno degli aggrediti è stato medicato con 10 punti in testa, un altro ha avuto un braccio e una spalla rotti, un terzo zoppica, un quarto ha perso gli incisivi. Solo uno è riuscito a scappare agli assalitori, ma anche lui si è fatto male quando si è ferito a una gamba sul terreno roccioso mentre fuggiva.

I contadini, che giorni dopo l’aggressione erano ancora in stato di shock per questa brutta esperienza, sono stati portati via dai compaesani; le olive sono rimaste sparse sul terreno. Ora hanno paura di tornare nell’oliveto. Questo fine settimana, si sono ripromessi, manderanno giovani di Janiya a prendere quello che avevano raccolto e a finire il lavoro. Per quanto riguarda loro, con il corpo e l’anima acciaccati, dicono di non essere in grado di fare niente.

Gli assalitori, circa una dozzina di coloni mascherati, si vedono in un video girato da un abitante, Ahmed al-Mazlim, mentre, palesemente in preda all’eccitazione per la loro azione, tornano alle loro baracche, sparse sotto la colonia di Neria, nota anche come “Nord Talmon”, tra Modi’in e Ramallah. Questo è stato il loro “oneg Shabbat” la loro festa del sabato: scendere nella valle e picchiare persone che stavano lavorando la propria terra, innocenti quanto indifese, forse addirittura con l’intenzione di uccidere. Un fine settimana pacifico.

Si vedono i coloni risalire lentamente verso le baracche del loro avamposto illegale, che si trova sulla collina sotto Neria. Non hanno fretta, in fin dei conti nessuno li sta inseguendo. Alla fine si siedono sulla soglia di una delle baracche per dissetarsi con una borraccia.

Non avevo mai visto prima criminali lasciare la scena del delitto con tale indifferenza. Forse erano esausti del loro lavoro – picchiare arabi – stanchi ma contenti. Yotam Berger, il giornalista di Haaretz che è stato il primo a pubblicare il video, ha visitato le baracche il giorno dopo il pogrom. Sapeva bene che dei coloni vivevano lì, anche se le strutture erano vuote quando è arrivato. Fino a quel momento non erano stati fatti arresti, ed esperienze precedenti suggeriscono che non ne verrà fatto nessuno. La polizia sta indagando.

Janiya, un piccolo villaggio di 1.400 anime nella parte centrale della Cisgiordania, si guadagnava di che vivere lavorando la sua terra finché gran parte di questa è stata portata via dalle vicine colonie, dalla fine degli anni ’80. Poche regioni sono altrettanto popolate di coloni come questa; pochi villaggi hanno avuto tanta terra rubata come Janiya. Degli originali 50.000-60.000 dunam (5.000-6.000 ettari) posseduti dai suoi abitanti, solo 7.000 (700 ettari) rimangono di loro proprietà. Il villaggio è stato strangolato.

Da una buona posizione ai suoi confini, si può vedere la valle in cui è stato perpetrato l’attacco, e le colonie vicine. La nostra guida è Iyad Hadad, un ricercatore sul campo dell’organizzazione per i diritti umani israeliana B’Tselem. Sotto di noi le case di Talmon A confinano con le rimanenti terre di Janiya, molto vicino alle case dei paesani. Basta allungare la mano per toccarle; un altro progetto di espansione e arrivano fin dentro Janiya.

A destra, verso sudest, c’è la colonia di Dolev, a vantaggio dei cui abitanti Israele ha bloccato per anni la strada principale per Ramallah. Appollaiata sulla collina c’è Talmon B; lì vicino c’è Talmon C; e là, all’orizzonte, si trova Talmon D. Sulla cima della collina, ad una certa distanza, c’è una base dell’esercito israeliano.

Ogni cima di collina rappresenta un’altra minaccia per il tranquillo villaggio. Neria si trova sopra l’uliveto della famiglia Abu Fuheida e i pendii terrazzati che scendono da lì. Le costruzioni della “gioventù delle colline” [gruppo di giovani coloni molto violenti. Ndtr.] sono sparse su tutto il territorio, tra le varie Talmon, a decine di metri le une dalle altre.

La valle è tranquilla. Alcuni degli oliveti ora sono di proprietà delle colonie; quando si fa la raccolta, ci si mette d’accordo con l’esercito israeliano. Per esempio, la scorsa settimana le olive sono raccolte nelle parti di Talmon A coltivate dai palestinesi. Ma l’aggressione da parte dei coloni è stata perpetrata in un luogo in cui il coordinamento non è richiesto, perché non è proprietà di alcuna colonia.

Siamo alla fine della stagione del raccolto, e questo è un canalone chiamato Natashath. E’ sabato mattina, una giornata stupenda, e cinque membri della famiglia Abu Fuheida – Sa’il, Hassan, Sabar, Sa’ad e Mohammed – scendono all’oliveto di famiglia, dove hanno una settantina di ulivi. Sono circa le 8,30; non ci sono altri contadini lì attorno. Portano sacchi (“Nessun coltello”, chiarisce subito uno di loro) sparsi per terra per raccogliere le olive cadute, con una bottiglia di Coca Cola, pomodori, pane pita e affettati. Non è una buona annata per le olive, il raccolto è stato scarso.

Lavorano fino a mezzogiorno, si siedono per mangiare e ritornano alle scale. Il loro piano è di finire il raccolto entro il pomeriggio. Ma in quel momento gli aggressori gli piombano addosso all’improvviso: i raccoglitori, sulle scale, con la testa in mezzo ai rami, non li vedono. Solo Sa’il, con i suoi 57 anni il più vecchio del gruppo e l’unico che non è su una scala, riesce a scappare, ferendosi solo fuggendo in preda al panico.

Secondo Sa’il e il suo fratello ferito, Hassan, erano 10, forse 15 assalitori. Sembravano giovani e robusti. Uno dei quattro che hanno aggredito Hassan portava occhiali; Hassan ha visto solo i suoi occhi. E’ stato quello che gli ha inflitto i colpi peggiori, aggiunge Hassan. Tutti avevano tubi, mazze, randelli o coltelli. Ce n’era anche uno che sembrava di vedetta: è rimasto sulla collina vicino a Neria, con un fucile, osservando a quanto pare quello che stava succedendo. “Morte agli arabi! Morte agli arabi!” gridavano gli aggressori. “Vi uccideremo, porci.”

Sa’il: “Erano aggressivi, violenti, non ho mai visto un attacco del genere. Erano venuti per uccidere.”

I contadini si sono precipitati giù dalle scale, dritti nelle mani degli assalitori, che hanno afferrato prima Sabar, poi Hassan, circondandoli, alcuni coloni per ogni palestinese, e li hanno percossi. Sabar è stato il primo a perdere conoscenza, Hassan dice di essere svenuto anche lui. Gli autori del pogrom hanno cercato di colpirli in testa, ma Hassan se l’è protetta con le mani. La sua mano destra ora è bendata, con dei punti e fasciata, ha perso quattro denti e ha anche un labbro tagliato. Si muove a malapena e parla a fatica.

L’aggressione è durata tra i cinque e i dieci minuti. Uno dei cugini, Mohammed, ad un certo punto è riuscito a scappare, dopo essere stato leggermente ferito, e ha chiesto aiuto al villaggio. Quando gli aggressori se ne sono andati, i feriti sono stati portati via su ambulanze ed auto private all’ospedale pubblico di Ramallah. Hassan ha raccontato di aver ripreso conoscenza in casa di suo fratello, dove era stato portato dagli abitanti del villaggio prima di essere trasportato in ospedale. Quando si è alzato gli è venuto un capogiro. Era sicuro che sarebbe morto, dice Hassan, un lavoratore edile (“con regolare permesso”) a Rishon Letzion [in Israele. Ndtr.].

Solo Hassan e Sa’il erano al villaggio quando ci siamo andati questa settimana (le altre tre vittime erano andate al comando della regione di Binyamin per testimoniare alla polizia). La loro casa era affollata di visitatori che confortavano gli aggrediti. Gli assalitori sono pazzi, ci ha detto il loro cugino Sahar: “Odiano gli arabi, odiano l’odore degli arabi, vedono un arabo e lo vogliono calpestare. Vogliono ucciderci. Non vogliono arabi qui. E fanno quello che vogliono.”

Ci siamo seduti all’ombra della buganvillea nel cortile della casa della famiglia. Ho chiesto ad Hassan cosa pensi di quello che è successo. Un tenue sorriso ha attraversato le sue labbra ferite mentre ripeteva: “Non so cosa pensare. Succede ogni anno.”

(traduzione di Amedeo Rossi)

 




Nonostante le obiezioni degli Stati Uniti, Netanyahu pensa di trasferire i coloni nelle terre palestinesi abbandonate

di Barak Ravid, 20 novembre 2016 Haaretz

 

Il primo ministro dice di star lavorando ad una soluzione per bloccare la demolizione dell’avamposto illegale di Amona rilanciando una vecchia idea.

Domenica il primo ministro Benjamin Netanyahu ha detto che sta ancora cercando una soluzione per impedire l’evacuazione dell’avamposto illegale di Amona, costruito su terreno privato palestinese.

Ha detto ai ministri del suo partito Likud che sta considerando l’idea di spostare le case dei coloni su una terra che si crede sia appartenuta ai palestinesi fuggiti durante e dopo la Guerra del 1967 – terra rivendicata da Israele come “abbandonata e non reclamata.”

Il ministro degli esteri ha già messo in guardia contro tale trasferimento, nel timore che violi il diritto internazionale e rechi un danno diplomatico ad Israele.

Anche l’amministrazione americana ha sollevato obiezioni a questa soluzione, benché la vittoria di Donald Trump nelle elezioni presidenziali potrebbe aver incoraggiato Netanyahu ad ignorare l’ammonimento.

Gli americani considerano questo piano come un allontanamento dall’impegno, preso da Netanyahu verso il presidente Barak Obama, che Israele non si sarebbe appropriato della terra palestinese in Cisgiordania per costruire nuovi insediamenti o espandere quelli già esistenti.

La demolizione di Amona – che l’Alta Corte di Giustizia ha ordinato che avvenga entro il 25 dicembre – ha scatenato tensioni all’interno del governo Natanyahu.

Tribunale della terra’

Domenica Netanyahu ha anche detto che sta promuovendo la costituzione di un “tribunale della terra” in vista di altri casi di strutture costruite illegalmente e su terreni privati palestinesi come insediamenti e avamposti che potrebbero rischiare la demolizione.

Nelle ultime settimane la proposta di tribunale della terra è stata criticata dalla ministra della giustizia Ayelet Shaked, dal ministro della difesa Avigdor Lieberman e dal procuratore generale Avichai Mendelblit.

La proposta è un tentativo di adottare il modello arbitrale utilizzato per risolvere le dispute territoriali tra Cipro e la parte settentrionale del paese , sotto il controllo militare della Turchia. Il sistema consente ai residenti di ricevere compensi in denaro per i terreni di loro proprietà su cui sono state fatte delle costruzioni.

In una riunione di pochi giorni fa Netanyahu e i ministri competenti hanno discusso la questione con il professor Joseph Weiler, esperto di diritto internazionale presso il dipartimento di giurisprudenza dell’università di New York.

Secondo Netanyahu, verrà costituito un gruppo di esperti legali guidato da Roy Schondorf, vice procuratore generale per le leggi internazionali e da Ahaz Ben-Ari, consulente legale alla difesa. Il gruppo dovrebbe suggerire al governo un modo per istituire un tribunale sulla base del modello cipriota.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Il disegno di legge di legalizzazione delle colonie israeliane ottiene una prima approvazione della Knesset

di Jonathan Lis e Chaim Levinson,

16 novembre 2016 Haaretz

Il ministro delle finanze Moshe Kahlon, capo di Kulanu (partito israeliano di centro, ndtr.), ha cambiato voto in favore del disegno di legge dopo aver riveduto la sua intenzione di opporvisi.

Mercoledì pomeriggio un disegno di legge per legalizzare retroattivamente le colonie illegali ha superato la sua prima lettura alla Knesset, con l’appoggio del gruppo parlamentare Kulanu del ministro delle finanze Moshe Kahlon.

All’inizio della giornata Kahlon, dopo un incontro col primo ministro Benjamin Netanyahu, ha annunciato che il suo gruppo avrebbe appoggiato il disegno di legge.

Il disegno di legge è stato messo ai voti in tre versioni, ognuna delle quali conteneva una controversa clausola per legalizzare retroattivamente le colonie che sono state costruite illegalmente, come quella di Amona.

Sabato l’Alta Corte ha confermato, in risposta ad una petizione dello stato perché la rinviasse, la sua anteriore sentenza in base alla quale Amona deve essere evacuata entro il 25 dicembre.

La prima versione del disegno di legge ha superato la prima lettura con 58 voti contro 50; la seconda con 57 contro 52 e la terza con 58 contro 51.

Nonostante il voto in prima lettura, il capo della coalizione di governo David Bitan ha dichiarato di non intendere portarlo in seduta plenaria per la seconda lettura.

I voti di Kulanu sono stati ritenuti decisivi per l’approvazione del disegno di legge alla Knesset. Precedentemente si era pensato che i deputati di Kulanu si sarebbero astenuti, in base alla dichiarazione di martedì di Kahlon secondo cui non avrebbe appoggiato il disegno di legge a causa del danno che potrebbe provocare alla Corte Suprema.

Nel suo annuncio, Kahlon ha detto che il suo gruppo si sarebbe limitato a formulare riserve sul potenziale danno che il disegno di legge potrebbe causare alla Corte.

Ho appena incontrato il primo ministro ed abbiamo concordato che il portavoce della Knesset dichiarerà che il disegno di legge non danneggia l’Alta Corte”, ha detto Kahlon.

Se esso dovesse danneggiare la Corte Suprema in qualunque fase dell’iter legislativo, Kulanu farà opposizione”, ha aggiunto.

Successivamente Bitan ha fatto la dichiarazione in parlamento.

La legge consentirà ai coloni di vivere su terreni privati palestinesi pagando una compensazione ai proprietari. Il procuratore generale Avichai Mendelblit ha affermato ripetutamente che non difenderà il disegno di legge contro una contestazione nell’Alta Corte, perché esso contraddice il diritto internazionale.

Nel corso del dibattito precedente al voto, il leader dell’opposizione Isaac Herzog ha definito il disegno di legge “orribile proposta della Knesset.” Ha fatto appello a tutti i deputati ad opporsi ad esso, affermando che “mai prima, nella storia del paese, la Knesset ha votato in contraddizione con la legge nazionale ed internazionale.”

Il deputato Ilan Gilon (Meretz, partito laico di sinistra sionista socialdemocratica, ndtr.), che è stato espulso dalla camera durante l’aspro dibattito, ha detto che il disegno di legge “ricorda le leggi dei paesi del terzo mondo, che vengono scritte retroattivamente per cancellare i loro crimini.”

Dopo il voto, il ministro dell’istruzione Naftali Bennet ha detto: “Proprio come abbiamo vinto in questa votazione, vinceremo in futuro – con tenacia, fede ed in accordo con il primo ministro Benjamin Netanyahu e con gli altri partiti dello schieramento nazionalista.”

I membri del partito di Bennet Habayit Hayehudi (Casa Ebraica [partito ultranazionalista dei coloni, ndtr.]) sono stati i promotori di tutte le tre versioni del disegno di legge.

Chiunque voglia avere ulteriore prova della crudeltà, immoralità e violenza dell’occupazione, la trova in questo disegno di legge”, ha dichiarato il deputato della Lista Comune (alleanza politica di quattro partiti arabi israeliani, ndtr.) Yousef Jibrin. “Regala la terra a ladri crudeli e sputa in faccia alla legge e alla comunità internazionale.”

Il capo della coalizione di governo Bitan ha inizialmente esitato a portare il disegno di legge in votazione alla Knesset mercoledì, preoccupato di non essere in grado di ottenere la maggioranza per approvarlo. Comunque l’opposizione ha fatto in modo di accelerare l’iter rimandando la discussione su altre questioni in agenda.

Fonti del Likud hanno riferito mercoledì mattina che il primo ministro Benjamin Netanyahu probabilmente non sarebbe stato presente al voto – dopo essersi assicurato che anche un membro dell’opposizione era assente, in modo da mantenere la parità – per non sfidare direttamente la comunità internazionale.

Ma Bennet e la sua collega di partito ministro della giustizia Ayelet Shaked hanno chiarito che, se la votazione non si fosse svolta mercoledì, Casa Ebraica non avrebbe appoggiato i disegni di legge proposti dalla coalizione nel prossimo futuro.

Un funzionario del partito ha detto che non si stava svolgendo nessun colloquio per giungere ad un compromesso: “Bennet è determinato ad andare a fondo della questione. Dopo un anno di tergiversazioni, non c’è altro modo per salvare migliaia di case in Giudea e Samaria.”

Netanyahu avrebbe potuto impedire il voto facendo ricorso contro l’approvazione del disegno di legge al Comitato Ministeriale per la Legislazione, o a titolo personale o attraverso un altro membro del governo. Ciò avrebbe costretto ad una discussione nell’intero governo prima della presentazione del disegno di legge alla Knesset.

I dirigenti della campagna dei coloni di Amona hanno risposto agli annunci secondo cui il disegno di legge avrebbe potuto essere approvato senza la clausola di retroattività, il che significherebbe la loro evacuazione, affermando: “Noi dichiariamo qui chiaramente che chiunque sia complice della disgustosa manovra di cancellare quella clausola sarà personalmente responsabile, di fronte alle future generazioni, della distruzione di una comunità ebraica nella Terra di Israele.”

(Traduzione di Cristiana Cavagna)