Rapporto OCHA del periodo 1 – 14 novembre 2016 (due settimane)

Nei pressi dell’insediamento colonico israeliano di Ofra (Ramallah), le forze israeliane hanno ucciso, con arma da fuoco, un 23enne palestinese mentre tentava di aggredire con un coltello i soldati israeliani. Questo episodio porta a 73 il numero di palestinesi uccisi dalle forze israeliane, dall’inizio del 2016, nel corso di attacchi e presunti attacchi.

Un altro palestinese è stato ferito con arma da fuoco, e successivamente arrestato, in un presunto tentativo di accoltellamento verificatosi nel villaggio di Huwwara (Nablus). In nessuno di tali episodi sono stati riportati ferimenti di israeliani. In un altro caso, ad un posto di blocco vicino alla città di Tulkarem, palestinesi hanno aperto il fuoco e ferito un soldato, riuscendo poi a fuggire.

Nei Territori Palestinesi Occupati (oPt), nel corso di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ferito 57 palestinesi, tra cui 19 minori. Nove dei ferimenti si sono verificati nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale e in mare. I rimanenti feriti sono stati registrati in Cisgiordania: durante scontri scoppiati nel corso di operazioni di ricerca-arresto (la maggior parte), durante le manifestazioni settimanali contro la Barriera e gli insediamenti a Ni’lin (Ramallah) e Kafr Qaddum (Qalqiliya) e nel corso di eventi commemorativi del 12° anniversario della morte dell’ex presidente palestinese Yasser Arafat.

In tre diversi episodi, che hanno visto coinvolte forze israeliane e coloni, altri nove palestinesi, tra cui tre minori, sono stati feriti mentre raccoglievano olive sui propri terreni. In particolare: in una zona vicino all’insediamento colonico israeliano di Qedumim (Qalqiliya), in circostanze poco chiare, soldati israeliani hanno aggredito fisicamente due persone che erano entrate nella propria terra dopo aver ottenuto una “preventiva autorizzazione” all’accesso; nel villaggio Al Janiya (Ramallah), coloni israeliani hanno fisicamente aggredito quattro persone che stavano lavorando vicino all’insediamento colonico di Talmon; altre quattro persone sono rimaste ferite, nei pressi di Bani Na’im (Hebron), dall’esplosione di una granata assordante abbandonata dalle forze israeliane. In altri due episodi, sempre nel contesto della raccolta delle olive, coloni israeliani hanno vandalizzato 70 ulivi in Sa’ir (Hebron) mentre, presso l’insediamento colonico di Shave Shomron (Nablus), hanno raccolto olive da alberi di proprietà palestinese.

In Cisgiordania, in Area C e Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito o sequestrato 47 strutture di proprietà palestinese, sfollando 26 palestinesi, dieci dei quali minori, e colpendo i mezzi di sostentamento di altre 330 persone. Nove di queste strutture erano state fornite come assistenza umanitaria, in risposta a demolizioni precedenti. Dall’inizio del 2016, il numero di strutture prese di mira ammonta a 1.033: più del doppio rispetto al dato relativo allo stesso periodo del 2015. Nel periodo di riferimento sono stati emessi almeno 24 ordini di demolizione, di arresto-lavori e di sfratto.

Nella comunità pastorale di Khirbet Tana (Nablus), i funzionari israeliani hanno sequestrato un generatore elettrico e una macchina per il taglio dei metalli, appartenenti ad una organizzazione assistenziale; hanno inoltre fatto rilievi fotografici di strutture precedentemente fornite come assistenza; tra queste, una struttura adibita a scuola, quattro cisterne per l’acqua e sei ricoveri abitativi. La comunità si trova all’interno di un’area dichiarata da Israele “zona per esercitazioni a fuoco” e, dall’inizio del 2016, ha subito quattro ondate di demolizioni.

In una dichiarazione rilasciata il 10 novembre, Robert Piper, Coordinatore delle Nazioni Unite per gli Aiuti Umanitari e lo Sviluppo, ha condannato il continuo osteggiamento dell’assistenza umanitaria da parte delle autorità israeliane, affermando che “colpire i più vulnerabili tra i vulnerabili ed impedire loro di ricevere assistenza – in particolare con l’arrivo dell’inverno – è inaccettabile e contraddice gli obblighi di Israele quale potenza occupante”.

In tre occasioni, per consentire l’addestramento militare, le forze israeliane hanno trasferito, per diverse ore ogni volta, 23 famiglie (123 persone, tra cui 59 minori) appartenenti a due comunità di pastori palestinesi nel nord della Valle del Giordano (Khirbet ar Ras al Ahmar e Ibziq). Le due comunità devono far fronte anche ad ripetute demolizioni e restrizioni ai loro spostamenti che acuiscono le crescenti preoccupazioni legate al rischio di trasferimento forzato.

Cinque famiglie palestinesi (29 persone) che vivono nella zona di Silwan di Gerusalemme Est, hanno ricevuto avvisi di sfratto connessi a cause intentate da organizzazioni di coloni israeliani che rivendicano la proprietà delle abitazioni. Un sondaggio esplorativo, effettuato a Gerusalemme Est da OCHA [Ufficio per il Coordinamento degli Affari Umanitari], indica che su almeno 180 famiglie palestinesi pende una causa di sfratto presentata contro di loro principalmente da organizzazioni di coloni israeliani: sono pertanto a rischio di sfollamento più di 818 palestinesi, tra cui 372 minori.

Nella zona H2 di Hebron, controllata da Israele, coloni israeliani hanno aggredito fisicamente e ferito un ragazzo palestinese che si stava recando a scuola. Nel corso del periodo di riferimento almeno quattro episodi di lancio di pietre da parte di coloni israeliani hanno causato danni a veicoli palestinesi.

Secondo i media israeliani, si sono verificati otto casi di lancio di pietre ad opera di palestinesi contro veicoli israeliani: ferito un colono israeliano, danneggiati almeno sei veicoli e la metropolitana leggera di Gerusalemme. Vicino a Betlemme un altro veicolo è stato danneggiato da un ordigno esplosivo.

A Rafah, nella Striscia di Gaza, un 15enne palestinese è stato ferito dall’esplosione di un residuato bellico con il quale stava giocando nei pressi della scuola.

In almeno 23 occasioni durante il periodo cui si riferisce questo Rapporto (due settimane), le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti o in avvicinamento ad Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare della Striscia di Gaza. In altri tre casi, le forze israeliane sono entrate nelle ARA di terra per livellare il terreno ed effettuare scavi. Non sono stati segnalati feriti, ma è stato interrotto il lavoro di agricoltori e pescatori.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, nell’ultimo giorno del periodo di riferimento [14 novembre] è stato eccezionalmente aperto per i casi umanitari, consentendo l’uscita dalla Striscia di Gaza a 386 palestinesi ed il rientro a 274 (dopo tale data il passaggio è rimasto ancora aperto per alcuni giorni). Secondo le autorità palestinesi di Gaza, dall’inizio del 2016, circa 20.000 persone sono registrate ed in attesa di uscire da Gaza attraverso Rafah. Il valico è stato eccezionalmente aperto il 6 novembre, per consentire a una delegazione di 93 palestinesi l’ingresso in Egitto; è stato quindi riaperto il 12 novembre per consentire il loro rientro.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Pregare per la libertà: perché Israele impedisce l’appello alla preghiera a Gerusalemme?

di Ramzy Baroud

14 novembre 2016,Middle East Monitor

Negli anni della mia infanzia mi rassicurava sempre la voce del “ muezzin” che chiamava alla preghiera nella principale moschea del nostro campo profughi a Gaza.

Quando alla mattina presto sentivo il richiamo che annunciava con voce melodiosa che stava arrivando il momento della preghiera dell’aurora (‘Fajr’), sapevo che potevo andare a dormire tranquillamente.

Ovviamente il richiamo alla preghiera nell’Islam, così come il suono delle campane nelle chiese, implica un profondo significato religioso e spirituale, come accade ininterrottamente, per cinque volte al giorno, da 15 secoli. Ma in Palestina queste tradizioni religiose hanno anche un profondo significato simbolico.

Per i rifugiati del mio campo la preghiera dell’aurora significava che l’esercito israeliano era andato via dal campo, ponendo fine ai suoi terribili e violenti raid notturni, lasciandosi alle spalle rifugiati in lutto per i loro morti, feriti o arrestati, e consentendo al muezzin di aprire le vecchie porte arrugginite della moschea ed annunciare ai fedeli l’arrivo del nuovo giorno.

Era quasi impossibile andare a dormire in quei giorni della prima rivolta palestinese, quando la punizione collettiva delle comunità palestinesi nei territori occupati superava ogni livello tollerabile.

Questo accadeva prima che la moschea del nostro campo – il campo profughi di Nuseirat, nel centro della Striscia di Gaza – fosse attaccata e l’Imam arrestato. Quando le porte della moschea furono sigillate per ordine dell’esercito, la gente salì sui tetti delle case durante il coprifuoco militare per annunciare comunque il richiamo alla preghiera.

Lo fece persino il nostro vicino ‘comunista’ – un uomo di cui si diceva che non avesse mai messo piede in una moschea in tutta la sua vita!

Non era soltanto una questione religiosa, ma un atto di sfida collettiva, che dimostrava che nemmeno gli ordini dell’esercito avrebbero fatto tacere la voce del popolo.

Il richiamo alla preghiera significava continuità, sopravvivenza, rinascita, speranza e una serie di significati che non furono mai capiti, ma sempre temuti, dall’esercito israeliano.

L’offensiva contro le moschee non è mai terminata.

Secondo fonti del governo e dei media, un terzo delle moschee di Gaza è stato distrutto durante la guerra di Israele contro la Striscia nel 2014. 73 moschee sono state completamente distrutte da missili e bombe e 205 parzialmente demolite, compresa la moschea Al-Omari di Gaza, che risale al 649 d.C.

E’ accaduto anche alla principale moschea di Nuseirat, dove il richiamo alla preghiera durante la mia infanzia mi portava la pace e la tranquillità sufficienti per andare a dormire.

Ora Israele sta tentando di bandire il richiamo alla preghiera in diverse comunità palestinesi, a cominciare da Gerusalemme est occupata.

Il bando è stato emesso solo poche settimane dopo che l’UNESCO ha approvato due risoluzioni di condanna delle attività illegali di Israele nella città araba occupata.

L’UNESCO ha chiesto ad Israele di cessare tali imposizioni, che violano il diritto internazionale e minacciano di modificare lo status quo della città, che è centrale per tutte le religioni monoteistiche.

Dopo aver organizzato una fallimentare campagna per contrastare l’iniziativa dell’ONU, arrivando ad accusare l’istituzione internazionale di antisemitismo, i dirigenti israeliani adesso stanno attuando misure punitive: la punizione collettiva dei residenti non ebrei di Gerusalemme per le decisioni dell’UNESCO.

Questo comporta la costruzione di ulteriori abitazioni ebree illegali, la minaccia di demolire migliaia di case arabe e, da ultimo, il divieto dell’invocazione alla preghiera in diverse moschee.

Tutto è cominciato il 3 novembre, quando una piccola folla di coloni dell’insediamento illegale di Psigat Zeev si è riunita davanti alla casa del sindaco israeliano di Gerusalemme, Nir Barakat. Chiedevano che il governo ponesse termine all’ “inquinamento acustico” proveniente dalle moschee della città.

L’ ‘inquinamento acustico’ – così definito dalla maggior parte dei coloni europei arrivati in Palestina solo recentemente – sono i richiami alla preghiera che si svolgono nella città fin dal 637 d.C., quando il califfo Omar entrò nella città e ordinò di rispettare tutti i suoi abitanti, a prescindere dalla loro fede religiosa.

Il sindaco israeliano si è prontamente e immediatamente preso l’impegno. Senza perdere tempo, i soldati israeliani hanno incominciato ad irrompere nelle moschee, comprese quelle di al-Rahman, al-Taybeh e al-Jamia di Abu Dis, sobborgo di Gerusalemme.

Secondo quanto riportato da International Business Times, citando Ma’an ed altri media, “prima dell’alba sono arrivati ufficiali militari per informare del bando i muezzin, gli uomini responsabili del richiamo alla preghiera attraverso gli altoparlanti della moschea, ed hanno impedito ai musulmani del posto di raggiungere i luoghi di culto.”

La preghiera per cinque volte al giorno è il secondo dei cinque pilastri dell’Islam e il richiamo alla preghiera è la chiamata ai musulmani perché adempiano a tale dovere. E’ anche un elemento essenziale dell’identità intrinseca di Gerusalemme, dove le campane delle chiese e il richiamo alla preghiera delle moschee spesso si intrecciano in un armonico monito che la coesistenza è una possibilità reale.

Ma la coesistenza non è possibile con l’esercito, il governo ed il sindaco della città israeliani, che trattano Gerusalemme occupata come una base d’appoggio per la vendetta politica e la punizione collettiva.

Bandire il richiamo alla preghiera è unicamente un modo per ricordare il dominio israeliano sulla Città Santa ferita ed un messaggio che il controllo di Israele va oltre quello sulle situazioni concrete, arrivando ad incidere su tutti gli altri ambiti.

La versione israeliana del colonialismo d’insediamento non ha quasi precedenti. Non mira semplicemente al controllo, ma alla totale supremazia.

Quando la moschea del mio vecchio campo profughi venne distrutta, e subito dopo che furono estratti da sotto le macerie alcuni corpi per essere bruciati, i residenti del campo pregarono in cima ed intorno alle rovine. Questa prassi si è ripetuta altrove a Gaza, non solo durante l’ultima guerra, ma anche durante quelle precedenti.

A Gerusalemme, quando viene loro impedito di raggiungere i loro luoghi sacri, spesso i palestinesi si radunano dietro ai checkpoint dell’esercito e pregano. Anche questa è stata una pratica testimoniata per circa cinquant’anni, da quando Gerusalemme è caduta sotto l’esercito israeliano.

Nessuna coercizione e nessun ordine del tribunale potrà mai cambiare questo.

Se Israele ha il potere di imprigionare gli imam, demolire le moschee ed impedire i richiami alla preghiera, la fede dei palestinesi ha dispiegato una forza molto più imponente, per cui comunque Gerusalemme non ha mai smesso di chiamare i suoi fedeli ed essi non hanno mai smesso di pregare. Per la libertà e per la pace.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Rapporto OCHA del periodo 18- 31 ottobre 2016 (due settimane)

Durante il periodo di riferimento (due settimane), sono stati registrati quattro attacchi e presunti attacchi palestinesi contro israeliani: sei i soldati israeliani feriti, e tre gli aggressori e presunti aggressori palestinesi (tra cui una ragazza 19enne) uccisi dalle forze israeliane.

Le aggressioni includono: uno speronamento con auto a Beit Ummar (Hebron); una sparatoria al checkpoint Beit El / DCO (Ramallah) ad opera di un membro della Polizia Palestinese che ha agito di propria iniziativa; un presunto accoltellamento al checkpoint di Za’tara (Nablus). Un altro palestinese è stato colpito con arma da fuoco e ferito durante un tentativo di speronamento con auto e attacco con coltello ad un posto di blocco volante nei pressi di Ramallah: l’episodio non ha provocato feriti israeliani.

Nel corso di scontri avvenuti nei Territori Palestinesi Occupati (oPt), le forze israeliane hanno ucciso, con arma da fuoco, un 15enne palestinese; altri 41 palestinesi, tra cui 13 minori e tre donne, sono stati feriti. Quattro dei ferimenti sono avvenuti durante scontri presso la recinzione che separa Gaza da Israele. I rimanenti feriti (37) sono stati registrati in Cisgiordania: nel contesto di scontri scoppiati durante operazioni di ricerca-arresto; nelle manifestazioni settimanali nei villaggi di Kafr Qaddum (Qalqiliya) e Ni’lin (Ramallah); durante una protesta contro la riduzione di energia elettrica nella città di Al Jiftlik (Jericho). Due soldati israeliani sono rimasti feriti dal lancio di bottiglie incendiarie e pietre da parte di palestinesi.

Il 20 ottobre, un 23enne palestinese è morto per le ferite riportate nel gennaio 2007, quando (aveva 14 anni), durante un’operazione militare israeliana nella città di Ramallah, fu colpito con arma da fuoco. Da allora, il giovane è stato ospedalizzato per la maggior parte del tempo ed ha patito un progressivo deterioramento delle condizioni di salute.

In Cisgiordania, le forze israeliane hanno condotto 196 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 234 palestinesi. Il governatorato di Gerusalemme ha registrato la più alta quota di arresti (97) e di operazioni (56), inclusa l’incursione in una scuola secondaria maschile a Gerusalemme Est. Inoltre, a Gerusalemme, la polizia israeliana ha vietato a 15 palestinesi l’ingresso nella Moschea di Al Aqsa per periodi che vanno da tre mesi a due settimane.

In sette occasioni, le forze israeliane sono entrate nella Striscia di Gaza ed hanno livellato il terreno ed effettuato scavi in prossimità della recinzione perimetrale. In un caso, l’aviazione israeliana ha lanciato un missile, danneggiando una postazione di osservazione appartenente, secondo quanto riferito, ad un gruppo armato. L’episodio ha fatto seguito al lancio, da Gaza verso il sud di Israele, di un missile che non ha causato feriti o danni.

Dando seguito ad episodi di lancio di pietre contro veicoli di coloni israeliani, le forze israeliane hanno chiuso gli ingressi principali di tre villaggi nel governatorato di Ramallah (Deir Nidham, Umm Saffa e Silwad) e di un quartiere di Gerusalemme Est (Jabal Al Mukabbir). Tali chiusure, che sconvolgono l’accesso delle persone ai servizi ed ai mezzi di sussistenza, erano ancora in vigore alla fine del periodo di riferimento del presente Rapporto. Inoltre, dopo l’attacco con armi da fuoco al checkpoint di Beit El / DCO [vedi primo paragrafo], l’esercito ha chiuso il checkpoint in questione; esso controlla la strada principale che entra in Ramallah da est.

Nella Striscia di Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, sono stati registrati almeno 23 casi in cui le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, senza provocare feriti. Due pescatori, tra cui un ragazzo di 17 anni, sono stati costretti a togliersi i vestiti e nuotare verso le imbarcazioni israeliane dove sono stati arrestati, mentre le loro barche e le reti da pesca sono state sequestrate. Inoltre, secondo quanto riferito, al valico di Erez un commerciante palestinese è stato arrestato dalle forze israeliane.

A Gerusalemme Est ed in area C, per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito o confiscato 18 strutture in sei comunità palestinesi, sfollando 54 persone, tra cui 29 minori, e colpendo i mezzi di sostentamento di altre 46. Otto delle strutture colpite – tra cui ricoveri abitativi, latrine e una cisterna d’acqua – erano state fornite come assistenza umanitaria in risposta a precedenti demolizioni. Dall’inizio del 2016, ammonta a 273 il numero delle strutture finanziate da donatori e poi distrutte o confiscate [dalle autorità israeliane]: oltre il 150% dell’intero anno 2015. Inoltre, in un cimitero vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme, le forze israeliane, insieme alla Israel Antiquities Authority, hanno danneggiato materiali da costruzione, in quanto utilizzati per la produzione non autorizzata di lapidi.

In cinque diverse occasioni, le forze israeliane hanno condotto esercitazioni militari nel nord della Valle del Giordano, in prossimità di tre comunità pastorali (Humsa al Bqai’a, Tell al Khashabeh e Lifjim). Questi episodi non hanno comportato sfollamenti, tuttavia sono stati segnalati danni alle strutture e restrizioni di accesso alle zone di pascolo: coinvolte 15 famiglie.

Sono stati registrati quattro attacchi di coloni israeliani con lesioni o danni a proprietà palestinesi. In particolare: a Silwan (Gerusalemme Est), l’aggressione fisica e il ferimento di un bambino palestinese di 6 anni; a Nahhalin (Betlemme) la vandalizzazione di 18 alberi; a Betlemme, danni ad un veicolo per lancio di pietre; a Deir Ammar (Ramallah), il furto di un mulo impiegato per la raccolta delle olive. Inoltre, nella Valle del Giordano settentrionale, coloni israeliani hanno bloccato l’ingresso principale della comunità pastorale di Tell al Himma; comunità che ha recentemente subito demolizioni di vaste proporzioni.

Secondo i media israeliani, nei governatorati di Hebron e Betlemme, per il lancio di pietre ad opera di palestinesi, sono stati feriti quattro israeliani, tra cui tre minori, e sono stati danneggiati diversi veicoli israeliani. Inoltre, sempre per il lancio di pietre da parte palestinese, nel tratto che attraversa Shu’fat (Gerusalemme Est), la metropolitana leggera ha subito danni.

Scontri tra forze di sicurezza palestinesi e civili palestinesi sono stati segnalati nel Campo Profughi di Balata (Nablus), con conseguenti lesioni, dovute ad inalazione di gas lacrimogeno, per otto uomini e un bambino. Gli scontri sono scoppiati nel corso di operazioni di ricerca-arresto svolte dalle forze di sicurezza palestinesi all’interno del Campo Profughi.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per cinque giorni (19 – 23 ottobre) in entrambe le direzioni; secondo quanto riferito, 3.176 palestinesi sono transitati da Gaza verso l’Egitto e 821 sono rientrati. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, circa 20.000 persone sono registrate e in attesa di uscire da Gaza attraverso il valico di Rafah.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Con una mossa inedita, Israele ha approvato in segreto la costruzione di edifici palestinesi in Cisgiordania

di Barak Ravid e Chaim Levinson, 27 ottobre 2016

Haaretz

Il gabinetto di sicurezza ha tenuto segreto il voto sull’area C, sperando di impedire ai coloni di esercitare pressioni politiche per ostacolare il piano, promosso dal ministro della difesa Avigdor Lieberman.

Il mese scorso il gabinetto di sicurezza di Israele ha votato l’autorizzazione di una serie di progetti abitativi palestinesi nell’area C della Cisgiordania – la zona più ampia dei territori occupati in cui sono stanziate tutte le colonie e su cui l’Autorità Nazionale Palestinese non esercita alcun controllo.

E’ stata la prima decisione di questo genere da molti anni ed è stata tenuta segreta, o non resa pubblica, nel tentativo di impedire ai coloni israeliani di cercare di fare pressioni per contrastarla.

La proposta è stata avanzata e portata alla votazione del gabinetto dal ministro della difesa Avigdor Lieberman, come parte della sua cosiddetta politica “del bastone e della carota” per incoraggiare i palestinesi moderati, piano da lui stesso presentato ai media israeliani in agosto.

“L’obbiettivo del piano è favorire coloro che sono disposti a convivere con noi e al contempo rendere la vita più difficile a chi pianifica attacchi terroristici”, ha dichiarato all’epoca Lieberman.

Ha continuato: “Ho dato ordine di migliorare il più possibile le strutture umanitarie ed economiche. Il mio obbiettivo è dimostrare ai palestinesi che è vantaggioso vivere insieme e non lasciarsi coinvolgere dalla spirale del terrorismo. Questo dovrebbe portare alla coesistenza e a migliori rapporti economici a prescindere dal processo diplomatico.”

La votazione del governo ha avuto luogo a metà settembre. Hanno votato a favore: il primo ministro Benjamin Netanyahu, Lieberman, il ministro dell’interno Arye Dery, il ministro dell’energia Yuval Steinitz e il ministro dell’edilizia Yoav Galant. Il ministro delle finanze Moshe Kahlon ha lasciato scritto il suo voto favorevole. I voti contrari al piano sono stati quelli dei leaders di Habayit Hayehudi (‘La casa ebraica’, partito sionista di estrema destra nazionalista, ndtr.), il ministro dell’educazione Naftali Bennet e il ministro della giustizia Ayelet Shaked, che non era presente ed ha lasciato una dichiarazione di voto scritta.

Il piano, stilato dal Coordinatore delle Attività di Governo nei Territori (COGAT) general maggiore Yoav (Poli) Mordechai, comprende progetti edilizi complessivi ed anche permessi di costruzione per strutture pubbliche e unità abitative per palestinesi in parecchi villaggi della Cisgiordania.

Le nuove costruzioni si estenderanno fino ai villaggi del nord della Cisgiordania e della Foresta di Qalqilya. Il piano prevede la creazione di un corridoio economico tra Gerico e la Giordania, una zona industriale ad ovest di Nablus e la costruzione di un ospedale vicino a Betlemme. Verranno anche costruiti nuovi campi di calcio e parchi giochi in aree rurali.

Anche se il piano è di portata relativamente modesta, Israele non prendeva una simile iniziativa da anni.

Benché non rilevante per ragioni diplomatiche o di sicurezza, il piano è stato tenuto segreto, senza far trapelare il minimo dettaglio alla stampa. Un alto funzionario israeliano ha detto che il motivo era che la decisione veniva considerata politicamente sensibile.

Secondo il funzionario, i leaders dei coloni hanno molta influenza nel Likud e ci sono forti obiezioni alle costruzioni palestinesi in area C da parte del partito Habayit Hayehudi. La contrarietà alla questione è cresciuta con la pressione dei coloni sul governo perché revocasse un ordine di demolizione entro la fine dell’anno dell’insediamento illegale di Amona da parte del tribunale.

Quando Lieberman ha presentato il piano per la prima volta il 18 agosto, i capi del Gruppo Eretz Yisrael alla Knesset, i deputati Yoav Kish (del Likud) e Betzalel Smotrich (di Casa Ebraica), hanno inviato una lettera al primo ministro chiedendogli di eliminare tutte le parti del piano che riguardavano i permessi di costruzione per i palestinesi. “Sanare le costruzioni illegali palestinesi darebbe una mano ai tentativi del presidente palestinese Mahmoud Abbas e dei suoi amici di prendere il controllo dell’area C”, hanno dichiarato.

I capi del Yesha Council of settlers (organizzazione che raggruppa i consigli municipali delle colonie ebraiche in Cisgiordania, ndtr.) hanno pubblicato a quel tempo una dichiarazione che denunciava che “il ministro della difesa sta dando una carota ai palestinesi ed un bastone ai coloni”.

Tra novembre e dicembre del 2015 Netanyahu e l’allora ministro della difesa Moshe Ya’alon tentarono di proporre un piano simile, di ampiezza molto maggiore, per costruzioni palestinesi nell’ area C. Ma esso venne bloccato dal gabinetto di sicurezza a causa delle obiezioni di ministri di Casa Ebraica e del Likud. I ministri di Casa Ebraica minacciarono addirittura di essere pronti a far cadere il governo sulla questione. Questa volta, comunque, Bennet e Shaked hanno votato contro il piano.

In risposta, l’ex capo negoziatore e co-presidente dell’Unione Sionista (alleanza politica di centro-sinistra, ndtr.), deputata Tzipi Livni, ha dichiarato che la decisione è “corretta” e “contribuisce alla sicurezza. Se fosse stata resa pubblica, potremmo meglio promuovere i nostri interessi con i paesi della regione e del mondo. La sua segretezza è un timore di Bennet ed un danno per noi”, ha detto.

 

 

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Invece di scortare i bambini palestinesi dalla scuola a casa, i soldati israeliani tirano pietre.

di Amira Hass | 30/10/ 2016, Haaretz

Usando qui una fionda, costringendo con l’inganno due donne israeliane ad andare su una strada vietata lì, questo è l’esercito israeliano nella sua essenza.

Il video immortala due persone che tirano pietre. Sui 18 o 19 anni, a viso scoperto. Non vi facciamo più aspettare: possiamo dirvi subito che entrambi sono soldati delle Forze di Difesa Israeliane [IDF] che tirano pietre ad alcune ragazze vestite con l’uniforme scolastica. Il portavoce dell’IDF dice che le pietre non erano dirette contro i bambini. Ciò è discutibile, giacché almeno uno dei soldati stava di fronte ai bambini e le sue pietre li hanno costretti a fermarsi sul loro percorso

Questo è successo lo scorso giovedì 27 ottobre alle 13,30 circa. Il luogo: tra i villaggi di Tuba e di Twaneh nelle colline a sud di Hebron, sulla strada che passa sotto l’illegale e non autorizzato avamposto Havat Ma’on I due tiratori di pietre, con la divisa dell’IDF, si trovavano vicino ad un automezzo blindato in cui c’erano almeno altri due soldati. I soldati hanno anche usato una fionda , per aumentare la gittata.

Stavano solo giocando, direte. Non hanno ferito nessuno. Sono ragazzi anche loro. Erano annoiati, [volevano] sfogarsi un po’. Osiamo sfidare il “political correct” e annotare che uno di loro era nero, ovviamente etiope, per cui avrà avuto un sacco di ragioni per essere arrabbiato e volersi sfogare.

In base all’accordo del 2004, l’IDF ha il compito di scortare due volte al giorno gli scolari che vivono a Tuba e che frequentano la scuola a Twaneh. La strada, lunga circa 2 km, è stata sempre utilizzata dai residenti di Tuba e dagli altri villaggi della zona. Dopo la costruzione dell’avamposto, i suoi abitanti hanno cominciato a molestare i palestinesi sulla strada che passa sotto. I bambini erano traumatizzati. Non potevano dormire la notte e i loro genitori non potevano pagare il costo del trasporto su un percorso molto più lungo per evitare le violenze dei coloni.

Grazie alla tenacia dei genitori e agli sforzi di alcune organizzazioni israeliane e internazionali, la lotta per il diritto dei bambini di Tuba di andare a scuola non è stata inutile. [Il caso] è stato portato dinanzi alla Commissione per i diritti dei bambini della Knesset. È stato raggiunto un compromesso: lo Stato non avrebbe sanzionato i coloni violenti, ma l’IDF avrebbe provato a tenerli lontano con la sua presenza.

Il corto dei soldati che tirano le pietre è stato spedito a Haaretz venerdì mattina ed è stato immediatamente mandato al portavoce dell’IDF per una risposta, che è arrivata molto presto: “I comandanti sono al lavoro per indagare sulla faccenda” ci hanno risposto al telefono. Poi è arrivata la risposta scritta: “Una prima indagine rivela che le pietre non sono state lanciate verso i palestinesi e appena i soldati li hanno scorti, hanno smesso di tirare, sono andati incontro ai bambini e li hanno riportati indietro dalla scuola che si trova vicino a Havat Ma’on. Non è previsto che i soldati tirino pietre durante una missione militare e quindi l’incidente viene sottoposto a inchiesta.”

L’adulto che per un pezzo ha accompagnato i bambini e che ha filmato l’incidente ha detto a Haaretz che i soldati non sono andati incontro ai bambini, ma piuttosto hanno aspettato che loro si avvicinassero prudentemente, cercando di capire il motivo del lancio di pietre.

E in un altro incidente [accaduto] due giorni fa, non collegato, due donne attiviste dell’ associazione di base Machsom Watch sono partite per il loro turno al checkpoint della barriera di separazione tra Qalqilyah e Tul Karm. Il loro compito: assicurare che l’IDF non impedisca ai contadini di raggiungere le loro terre, che sono separate dal villaggio a causa della barriera.

Le donne si sono fermate al checkpoint nei pressi della colonia di Salit. Alle 16,15 con 15 minuti di ritardo, quattro soldati sono arrivati con una macchina civile per aprire il cancello per permettere il ritorno a casa dei palestinesi con il trattore, con un carro, con l’asino o con un pulmino. Un soldato sorridente, di nome Yuval, si è avvicinato e ha detto che la causa del ritardo era dovuta a motivi di sicurezza. Questo è quello che i soldati dicono sempre quando sono in ritardo per aprire il cancello chiuso con un lucchetto.

Yuval ha chiesto alle due donne di guidare attraverso il checkpoint aperto e di immettersi sulla strada di sicurezza vietata a chiunque non abbia un permesso. Come le donne hanno successivamente riferito, “due signore anziane con una grande esperienza di vita hanno compiuto [il più grande] errore della loro esistenza obbedendo a un giovane soldato gentile” che aveva detto di volere parlare con loro. E poi, una volta che erano sulla strada, i simpatici soldati, che erano in continuo contatto con il loro comando- le hanno informate che le trattenevano in arresto fino all’arrivo della polizia a causa della loro presenza in una zona proibita.

I soldati erano dei simpatici giovanotti, come ho detto. Hanno perfino offerto del caffè alle donne. Ma eseguivano gli ordini del comando di arrestare le due donne e con il loro gentile comportamento le hanno attirate nella zona proibita. “ I soldati hanno sostenuto che eravamo arrivate dalla Cisgiordania” ha raccontato Shosh, una delle donne. “Gli abbiamo detto:”Certo, da quale altra parte avremmo potuto venire? E da quando è proibito viaggiare in Cisgiordania?”

Hanno anche tentato di dire ai soldati che era una perdita di tempo, che la polizia sarebbe venuta e le avrebbe rilasciate immediatamente e si sarebbe arrabbiata per il disturbo.“ Era come parlare a un muro. Non abbiamo niente contro i soldati. Il problema veniva dal’alto. Gli era stato ordinato di arrestarci.” Dopo innumerevoli telefonate tra i soldati e i comandanti, e siccome stava già diventando buio, hanno detto alle donne che erano libere di andarsene. Così non sono state in grado di controllare la situazione in altri due checkpoint. Forse era questo il vero motivo della manovra?

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




Rapporto OCHA del periodo 20 settembre- 3 ottobre

Il 25 settembre, in una prigione israeliana, dopo 13 anni di detenzione è morto un detenuto palestinese di 40 anni, originario del villaggio di Ya’bad (Jenin). Secondo fonti ufficiali palestinesi, la morte sarebbe da attribuire al peggioramento dello stato di salute ed alla mancanza di cure mediche;

tale versione viene contestata dalle autorità israeliane. Il 29 settembre, a Beit Hanoun (Striscia di Gaza), un trentenne componente di un gruppo armato palestinese è morto e altri tre sono rimasti feriti, secondo quanto riferito, in conseguenza di un incidente verificatosi in una galleria sotterranea. Il 27 settembre, nella città di Nablus, nel corso di una operazione di ricerca-arresto, le forze di sicurezza palestinesi hanno ucciso un palestinese e ne hanno ferito altri tre.

Il 30 settembre, al checkpoint di Qalandia, a nord di Gerusalemme, un palestinese ha aggredito con un coltello le forze israeliane, ferendo un soldato. L’autore (28 anni), proveniente dalla città di Kafr ‘Aqab (Gerusalemme), è stato ucciso nel corso dell’episodio. Nelle due settimane di riferimento sono stati registrati altri tre presunti attacchi palestinesi contro israeliani: un 16enne palestinese è stato ucciso, con armi da fuoco, ad un posto di blocco volante all’entrata del villaggio di Bani Na’im (Hebron), dopo un presunto tentativo di accoltellamento di un soldato israeliano; altri due ragazzi palestinesi (14 e 15 anni) sono stati feriti, uno al checkpoint di Jaljoulia (Qalqiliya) e l’altro presso l’insediamento colonico di Kiryat Arba (Hebron), secondo quanto riferito, dopo aver tentato di compiere aggressioni con il coltello. In entrambi i casi non sono stati segnalati feriti israeliani.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno ferito 75 palestinesi, soprattutto durante scontri tra palestinesi e forze israeliane. Due soldati israeliani, a quanto riferito, sono stati feriti da una bottiglia incendiaria durante scontri nel campo profughi di Ad Duheisha (Betlemme). Inoltre, in un episodio verificatosi nei pressi della Scuola Al Khalil, nella zona H2 di Hebron controllata da Israele, 40 studenti hanno inalato gas lacrimogeno, subendo lesioni che hanno richiesto l’intervento medico.

Nella Striscia di Gaza, durante scontri con lancio di pietre da parte palestinese, le forze israeliane hanno ferito con armi da fuoco dieci civili palestinesi; gli scontri erano scoppiati nei pressi della recinzione perimetrale tra Israele e Gaza, nel corso di quattro diverse proteste. Inoltre, in almeno 28 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso persone presenti o in avvicinamento ad Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare. Non sono stati segnalati feriti, ma è stato interrotto il lavoro di agricoltori e pescatori.

In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, le forze israeliane hanno condotto quasi 200 operazioni di ricerca ed hanno arrestato circa 300 palestinesi, tra cui 18 minori; alcune delle operazioni hanno innescato scontri violenti. Nei governatorati di Betlemme, Hebron e Gerusalemme sono stati registrati i più alti numeri di operazioni e di arresti. A Gerusalemme, la polizia israeliana ha emanato ordini di interdizione all’ingresso nel Complesso di Haram al Sharif / Monte del Tempio per 19 palestinesi: sei mesi per cinque di loro, due settimane per i rimanenti.

Il 22 settembre, al checkpoint di Gilbert, nella città di Hebron, le forze israeliane hanno impedito a 23 studentesse di attraversare per recarsi a scuola. Inoltre, dopo una presunta aggressione con coltello vicino al checkpoint, le forze israeliane hanno dichiarato l’area “zona militare chiusa” e, per dieci giorni, hanno negato a due famiglie l’accesso alle loro case. Le forze israeliane hanno anche chiuso gli ingressi principali di sette villaggi ed impedito l’accesso veicolare alla strada 60 a più di 40.000 persone, soprattutto nel tratto compreso tra i checkpoint di Huwwara e di Za’atara (Nablus).

In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, a causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito 46 strutture, 16 delle quali erano state fornite come assistenza umanitaria in risposta a precedenti demolizioni; fra esse un’aula scolastica e un parco giochi nella comunità beduina di Abu Nuwar (governatorato di Gerusalemme). Le demolizioni hanno comportato lo sfollamento di 56 palestinesi, tra cui 25 minori, mentre altre 185 persone sono state coinvolte in modi diversi. Due terzi di queste strutture sono state demolite tra il 26 e il 28 settembre presso nove comunità palestinesi. L’episodio più grave si è verificato a Khirbet Tell el Himma (Tubas), mentre 10 delle 16 demolizioni hanno avuto luogo nel governatorato di Gerusalemme.

Il 23, 29 e 30 settembre, 14 famiglie palestinesi (73 persone, tra cui 30 minori) della comunità Humsa al Bqai’a nella Valle del Giordano settentrionale (Tubas) sono state evacuate dalle loro case per cinque ore al giorno, per dare spazio ad esercitazioni militari israeliane. L’Amministrazione Civile israeliana aveva consegnato a queste famiglie gli ordini di evacuazione il 22 settembre.

In Al ‘Isawiya, zona di Gerusalemme Est, a causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, l’Amministrazione Civile israeliana ha consegnato nove ordini di demolizione nei confronti di nove edifici, ponendo 40 famiglie palestinesi sotto minaccia di sfollamento. Altri dieci ordini di arresto lavori sono stati emessi a Khirbet ad Deir (Betlemme), Khallet Al Hajar (Hebron), e nei villaggi di Al Funduq e Jinsafut, entrambi in Qalqiliya.

Sono stati registrati cinque presunti attacchi di coloni israeliani che hanno provocato danni a proprietà palestinesi. In particolare: ulivi palestinesi nei villaggi di As Sawiya e Yatma (Nablus); altri 20 ulivi in Jinsafut (Qalqiliya); incendi di terreni coltivati nel villaggio di Yanun e di materiali da costruzione nel villaggio di Burin, entrambi in Nablus. Secondo i media israeliani, si sono verificati anche tre episodi di lancio di pietre da parte palestinese contro veicoli israeliani, con lievi danni alla metropolitana leggera di Gerusalemme e ad altri due veicoli: uno vicino al villaggio di Beit Liqya sulla strada 443, l’altro nei pressi della Barriera di sicurezza dell’insediamento colonico di Psagot, entrambi in Ramallah.

Durante il periodo di riferimento il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per tre giorni (21-23 settembre) in una sola direzione, secondo quanto riferito, principalmente per consentire il rientro a Gaza di 2.290 pellegrini. Secondo le autorità palestinesi di Gaza, dall’inizio del 2016, circa 27.000 persone sono registrate e in attesa di uscire da Gaza attraverso Rafah.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli

þ




Rapporto OCHA del periodo 6 – 19 settembre 2016

Nell’arco di quattro giorni (16-19 settembre), sono state registrate sette aggressioni e presunte aggressioni da parte di palestinesi contro israeliani: è il numero più alto a partire dalla precedente escalation di violenza registrata nell’ultimo trimestre del 2015. Sei dei presunti aggressori, tra cui un ragazzo di 17 anni ed un cittadino giordano, sono stati uccisi sul posto;

altri tre sono stati feriti ed arrestati. Cinque soldati ed agenti di polizia e tre coloni israeliani sono stati feriti. Uno degli episodi, verificatosi all’ingresso dell’insediamento colonico di Kir-yat Arba’ (Hebron), è consistito in un sospetto speronamento con auto; negli altri sei casi si è trattato di accoltellamenti, o presunti tentativi di accoltellamento: tre nella Città Vecchia di Hebron, due nella Città Vecchia di Gerusalemme e uno all’ingresso dell’insediamento colonico di Efrata (Betlemme). Da quanto riferito, nessuno dei presunti responsabili risulta affiliato a qualche gruppo armato; tutti avrebbero agito autonomamente.

Due palestinesi sono stati uccisi con armi da fuoco durante scontri con le forze israeliane: il primo nel villaggio di Beit Ula (Hebron), a seguito di una operazione di ricerca-arresto, ed il secondo nei pressi della recinzione che circonda la Striscia di Gaza, nel corso di un episodio di lancio di pietre. La vittima di questo secondo caso è un ragazzo di 16 anni che, secondo le indagini svolte da diverse organizzazioni per i diritti umani, è stato colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato dai soldati israeliani. Sale così a 16, dall’inizio dell’anno, il numero di civili palestinesi uccisi dalle forze israeliane durante scontri e proteste.

Complessivamente, durante il periodo di riferimento di due settimane, nel contesto di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ferito 98 palestinesi, tra cui 37 minori. Oltre tre quarti di queste lesioni sono dovute ad inalazione di gas richiedente un trattamento medico; la maggior parte dei restanti ferimenti sono da attribuire a proiettili di gomma o ad armi da fuoco. Più della metà dei feriti sono stati registrati durante scontri avvenuti nelle città di Abu Dis e di Al ‘Eizariya (nel governatorato di Gerusalemme), a seguito di lancio di pietre da parte di giovani palestinesi contro le forze israeliane; altri cinque ferimenti si sono verificati durante scontri nei pressi della recinzione che circonda la Striscia di Gaza.

Sempre nella Striscia di Gaza, durante le due settimane di riferimento, in almeno 29 casi le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, costringendoli ad allontanarsi, ma senza provocare vittime. In altri due casi, le forze israeliane sono entrate nella Striscia ed hanno spianato il terreno ed effettuato scavi in prossimità della recinzione perimetrale.

In solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e in sciopero della fame per protestare contro la detenzione amministrativa cui sono sottoposti, si sono svolte otto manifestazioni, concluse tutte senza scontri. Il Coordinatore delle Nazioni Unite per l’Assistenza Umanitaria e l’Aiuto allo Sviluppo ha sollecitato Israele a formalizzare le eventuali accuse o a rilasciare senza indugio tutti i detenuti amministrativi. Una ulteriore manifestazione si è tenuta per protestare contro la detenzione di sei palestinesi da parte delle Forze di Sicurezza Palestinesi.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto 137 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 183 palestinesi. Il numero più alto di arresti (56) si è avuto nel governatorato di Gerusalemme. Altri tre palestinesi sono stati arrestati nelle vicinanze di tre posti di blocco, secondo quanto riferito perché trovati in possesso di coltello.

Le autorità israeliane hanno restituito alle famiglie i corpi di due palestinesi sospettati di aver compiuto aggressioni contro israeliani; uno dei corpi è stato trattenuto per più di otto mesi. Attualmente, sono ancora trattenuti dalle autorità israeliane i corpi di altri dieci presunti aggressori palestinesi; alcuni da sette mesi.

Il 15 settembre, nella Città Vecchia di Gerusalemme, la polizia israeliana ha sfrattato a forza, dall’appartamento tenuto in affitto fin dagli anni 30, una famiglia palestinese di otto persone; l’alloggio è stato consegnato ad un’organizzazione di coloni israeliani che, secondo quanto riferito, l’aveva acquistato. Il provvedimento è conseguente a prolungati procedimenti legali presso i tribunali israeliani dove la famiglia, sostenendo di essere “affittuari protetti” [categoria di inquilini non sfrattabili], si è opposta, senza successo, allo sfratto. L’appartamento in questione è parte di un più ampio complesso residenziale composto da nove appartamenti; nel luglio 2010, coloni israeliani erano entrati in possesso di otto di essi, causando lo sfollamento di sette famiglie palestinesi appartenenti alla stessa famiglia allargata.

In Area C e Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito 15 strutture di proprietà palestinese, sfollando 23 persone, tra cui 12 minori, e coinvolgendone, in modi diversi, altre 47. Due di queste strutture erano abitazioni di Gerusalemme Est, demolite dai proprietari dopo aver ricevuto ordini di demolizione: l’autodemolizione evita l’addebito dei relativi costi da parte delle autorità israeliane. Altre cinque strutture, situate nel villaggio di Al Aqaba, nel nord della Valle del Giordano, erano ripari di emergenza finanziati da donatori e forniti a seguito di precedenti demolizioni. Quest’ultima comunità è stata anche esposta a proiettili vaganti dovuti ad una lunga esercitazione a fuoco effettuata dai militari israeliani il 12 ed il 13 di settembre in vicinanza dell’area di residenza della comunità; non sono stati segnalati feriti.

In diverse aree della Cisgiordania, secondo i media israeliani, sei episodi di lancio di pietre, da parte di palestinesi contro veicoli israeliani, hanno provocato il ferimento di quattro israeliani, tra cui due donne, e danni a quattro veicoli.

Nei villaggi di Burin (Nablus) e Jinsafut (Qalqiliya), secondo quanto riferito, almeno 45 ulivi sono stati incendiati da coloni israeliani. Sempre in Burin, coloni israeliani accompagnati da forze israeliane, hanno spianato con bulldozer un appezzamento di terreno incolto di proprietà palestinese.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per tre giorni: due giorni in entrambe le direzioni (6-7 settembre) ed un giorno (18 settembre) solo per consentire il ritorno a Gaza dei pellegrini. Complessivamente, sono entrate in Gaza 916 persone e 1.175 ne sono uscite. Secondo le autorità palestinesi di Gaza circa 27.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare. Dall’inizio del 2016 il valico è stato parzialmente aperto per soli 23 giorni.

¡

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 20 settembre, all’ingresso del villaggio di Bani Na’im (Hebron), le forze israeliane hanno ucciso un 16enne palestinese, presumibilmente dopo un suo tentativo di accoltellamento di un soldato; non sono stati segnalati feriti israeliani.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Sì, Netanyahu, parliamo pure di pulizia etnica

Haaretz – 11 settembre 2016

di Gideon Levy

Trasformare i coloni israeliani in vittime è l’atto di impudenza più strabiliante da parte del primo ministro fino ad ora.

L’unica pulizia etnica di massa che ha avuto luogo qui è stata nel 1948, quando circa 700.000 arabi sono stati obbligati a lasciare le loro terre.

Israele ne sa qualcosa di pulizia etnica. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ne sa qualcosa di propaganda. Il video che ha postato venerdì dimostra entrambe le cose. Ecco la verità, ancora un’altra testimonianza della faccia tosta israeliana: l’evacuazione dei coloni dalla Cisgiordania (che non è mai avvenuta, e presumibilmente non avverrà mai) è pulizia etnica.

Sì, lo Stato che ti ha portato la grande pulizia etnica del 1948, che non ha mai, in fondo al suo cuore, abbandonato il sogno dell’espulsione, e che non ha mai smesso di portare avanti metodicamente micro-espulsioni nella Valle del Giordano, nelle colline meridionali di Hebron, nella zona di Ma’aleh Adumim [grande colonia nei pressi di Gerusalemme est. Ndtr.] e anche nel Negev [zona meridionale di Israele, da cui vengono espulse le comunità beduine con cittadinanza israeliana. Ndtr.] – questo Stato chiama lo spostamento dei coloni pulizia etnica. Questo Stato paragona gli invasori dei territori occupati ai figli della terra che si aggrappano alle loro terre e case.

Netanyahu ha dimostrato ancora una volta di essere quello vero, il più autentico rappresentante della “israelicità”, che ha creato una realtà tutta sua: trasformare la notte in giorno, senza vergogna e senza alcun senso di colpa, senza inibizioni.

In Israele molta gente, forse la maggioranza, lo prenderà per buono. I coloni della Striscia di Gaza sono diventati “espulsi”, la loro evacuazione una “deportazione”. Non solo è legittimato un atto aggressivo e violento – la colonizzazione -, ma i suoi attori sono vittime.

Gli ebrei sono vittime. Sempre gli ebrei, solo gli ebrei. Un primo ministro israeliano meno sfrontato ed arrogante di Netanyahu non oserebbe pronunciare il termine “pulizia etnica”, per via della trave nel suo stesso occhio. Poche campagne di propaganda oserebbero arrivare così lontano. Eppure ogni tanto la realtà si intromette.

E la realtà è affilata come un rasoio. L’unica pulizia etnica di massa che ha avuto luogo qui è stata nel 1948. Circa 700.000 esseri umani, la maggioranza, sono stati obbligati a lasciare le loro case, le loro proprietà, i loro villaggi e le terre che sono state loro per secoli. Alcuni sono stati espulsi con la forza, fatti salire su dei camion e portati via; alcuni sono stati intenzionalmente spaventati perché scappassero; altri ancora se ne andarono, forse senza ragione. Non gli è mai stato consentito di tornare, tranne pochi, anche solo per ricuperare le loro cose.

Non poter tornare è stato ancora peggio che essere espulsi. Ciò prova che la pulizia etnica è stata intenzionale. Non è rimasta neanche una comunità araba tra Jaffa e Gaza, e tutte le altre aree sono sfregiate dai resti di villaggi, le vestigia della vita. Questa è una pulizia etnica – non c’è altro termine per definirla. Più di 400 villaggi e cittadine sono stati spazzati via dalla faccia della terra, le loro rovine coperte da comunità ebraiche, foreste e bugie. La verità è stata celata dagli ebrei israeliani e ai discendenti dei deportati è stato vietato di commemorarli – né un monumento né una lapide, per parafrasare Eugeny Yevtushenko.

Il numero dei coloni ora supera quello degli espulsi. Hanno invaso una terra che non era loro, con l’appoggio dei vari governi israeliani e l’opposizione del mondo intero, e sapevano che la loro impresa era costruita sul ghiaccio. Loro e i governi israeliani non solo hanno brutalmente violato le leggi internazionali, che non sono minimamente rispettate in Israele. Hanno violato anche la legge israeliana, con l’appoggio di una magistratura assoggettata.

Il furto di terra è anche una violazione della legge messa in pratica in Israele e nei territori. Quando israeliani, e il resto del mondo, hanno cominciato ad abituarsi a questa situazione, ad accettarla come inevitabile, salta fuori il primo ministro e alza il livello della sua sfacciataggine: i coloni sono in realtà vittime. Non quelli che loro hanno espulso, non quelli che hanno spogliato della loro terra. Nella realtà, secondo Netanyahu, i coloni che hanno costruito con il proposito di escludere un compromesso con i palestinesi non sono un ostacolo, e lui li equipara ai ” she’erit haplita” – ciò che resta dei palestinesi che sono rimasti in Israele, per prendere in prestito un termine da ciò che è restato dopo l’Olocausto.

Il linguaggio può essere distorto per qualunque scopo, propaganda per ogni perversione morale. Addio, realtà, qui tu non conti più niente.

(traduzione di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 23 agosto – 5 settembre 2016

Il 24 agosto, presso lo snodo stradale di Yitzhar (Nablus), un 26enne palestinese ha accoltellato e ferito un soldato israeliano; l’aggressore è stato ucciso con arma da fuoco.

Dall’inizio del 2016, in attacchi e presunti attacchi effettuati da palestinesi della Cisgiordania contro israeliani, sono stati uccisi 61 palestinesi, tra cui 16 minori, e 11 israeliani, tra cui una ragazza.

Altri due palestinesi sono stati uccisi, con arma da fuoco, dalle forze israeliane in due distinti episodi. In un caso, all’ingresso del villaggio Silwad (Ramallah), un uomo di 38 anni che, a quanto riferito, era affetto da disturbo mentale, è stato colpito mentre si avvicinava ad una torre militare senza rispettare l’alt. L’esercito israeliano ha aperto un’indagine penale. Nell’altro caso, nel Campo profughi di Shu’fat, soldati israeliani hanno aperto il fuoco contro un veicolo perché, secondo quanto riferito, credevano che stesse per investirli; tuttavia, la polizia israeliana ha riferito che il conducente era ubriaco e che, quindi, l’episodio non è da considerare un attacco deliberato.

Le autorità israeliane hanno restituito alle famiglie i corpi di tre palestinesi sospettati di aver compiuto attacchi contro israeliani; due dei corpi erano stati trattenuti per più di undici mesi. Allo stato attuale, sono ancora trattenuti dalle autorità israeliane i corpi di altri 12 presunti responsabili palestinesi; alcuni da quasi sette mesi.

In Cisgiordania, durante le due settimane [23 Agosto – 5 settembre], in scontri con le forze israeliane sono stati feriti 66 palestinesi, tra cui due minori e una donna. La maggior parte degli scontri si è verificato durante operazioni di ricerca-arresto, la più ampia delle quali è stata condotta nel Campo profughi di Ayda, dove si sono avuti 24 feriti. Altri scontri, con 11 feriti, sono stati segnalati durante le manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya). Cinque soldati israeliani sono stati feriti da pietre.

In Cisgiordania, complessivamente, le forze israeliane hanno condotto 186 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 239 palestinesi. Il numero più alto di operazioni (49) e di arresti (95) è stato registrato nel governatorato di Gerusalemme. Alcune delle operazioni sono state condotte a Betlemme e nella città di Hebron, il 23 e il 25 agosto, presso sette officine meccaniche, sospettate di fabbricare armi; cinque officine sono state chiuse e le attrezzature confiscate. Inoltre, nella città di Dura (Hebron), le forze israeliane hanno fatto irruzione in una stazione radio: hanno confiscato tutte le apparecchiature di trasmissione ed hanno emesso un’ordinanza militare di chiusura di tre mesi nei confronti della stazione; cinque membri del personale sono stati arrestati.

A Gaza, nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, in almeno diciotto casi, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi: feriti un pastore ed un pescatore successivamente arrestato. Altri due pescatori sono stati costretti a togliersi i vestiti e nuotare verso le imbarcazioni militari israeliane dove sono stati tratti in arresto; le loro barche e le reti da pesca sono state sequestrate.

In Area C e a Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito, o confiscato, 28 strutture in sette comunità palestinesi, sfollando 55 persone e compromettendo i mezzi di sostentamento di altre 200. Undici delle strutture prese di mira erano state precedentemente fornite come assistenza umanitaria; fra esse, ricoveri abitativi, latrine e una cisterna per l’acqua. Sale così a 223 il numero di manufatti donati come aiuto umanitario e distrutti o confiscati dall’inizio del 2016: più del doppio di quelli riferiti a tutto il 2015.

Il 30 agosto, nella città di Dura (Hebron), per motivi punitivi, le forze israeliane hanno fatto esplodere la casa di famiglia di un palestinese, attualmente in stato di detenzione, accusato di aver collaborato, il 1° luglio, all’uccisione di un colono israeliano; una famiglia di tre persone, tra cui due minori, è stata sfollata. In conseguenza dell’esplosione una cisterna per acqua è rimasta gravemente danneggiata.

In Jayyus e in Ras Atiya (entrambe in Qalqiliya), le autorità israeliane hanno sradicato 300 ulivi, di proprietà palestinese, a motivo del fatto che queste aree sono designate [da Israele] come “terra di stato”. In precedenza, fino al 2014 (anno in cui fu completata una modifica al tracciato della Barriera) agli agricoltori era stato negato l’accesso alla seconda località (Ras Atiya) a motivo del tracciato della Barriera. In Area C, quasi tutta la “terra di stato” è stata posta sotto la giurisdizione degli insediamenti colonici israeliani.

Le forze israeliane hanno bloccato cinque strade che collegano la città di Huwwara (Nablus) a quattro villaggi vicini, interrompendo in modo significativo l’accesso delle persone ai servizi ed ai mezzi di sostentamento. Secondo fonti israeliane, i blocchi sono conseguenti a diversi episodi di lancio di pietre contro veicoli di coloni israeliani. Durante il periodo di riferimento, i militari hanno riaperto uno degli ingressi alla città di Hizma (Gerusalemme) che, dal 28 luglio, per un motivo simile, era stato interdetto ai veicoli; nella stessa città, permane, invece, la chiusura di altre due strade.

Due palestinesi sono stati feriti da coloni israeliani: uno, nella città vecchia di Gerusalemme est, aggredito fisicamente, e un altro, un contadino, attaccato da cani scatenati da coloni, vicino a Deir Istiya (Salfit). Secondo quanto riferito, decine di alberi di proprietà palestinese sono stati danneggiati dal riversamento di acque reflue operato da coloni israeliani di Betar Illit su terreni appartenenti ad agricoltori del villaggio di Husan (Betlemme).

Nei governatorati di Hebron e Gerusalemme, secondo i media israeliani, due israeliani sono stati feriti e quattro veicoli israeliani sono stati danneggiati dal lancio di pietre da parte di palestinesi.

Il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, per tre giorni è stato aperto eccezionalmente per i pellegrini; è stato riferito che 2.332 palestinesi sono usciti dalla Striscia di Gaza verso l’Egitto. Dall’inizio del 2016, il valico è stato parzialmente aperto per soli 14 giorni. Secondo le autorità palestinesi di Gaza si stima che oltre 27.000 persone siano registrate e in attesa di attraversare.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Israele legalizza alla chetichella gli avamposti pirata in Cisgiordania.

di ISABEL KERSHNER
The New York Times, 30 agosto 2016
Gli insediamenti illegali costellano la cima delle colline in Cisgiordania, ma i Palestinesi e le organizzazioni anti-insediamenti sostengono che la loro legalizzazione retroattiva è un sistematico tentativo di sovvertire la mappa della regione.ragazzi

Ragazzi fotografati questo mese nell’avamposto di Mitzpe Danny, nella Cisgiordania occupata. Mitzpe Danny fa parte di un’estesa rete di circa 100 avamposti creati per lo più negli ultimi venti anni senza autorizzazione governativa. Uriel Sinai per il NYT.

MITZPE DANNY, Cisgiordania –  Una sera nell’autunno del 1998, un autoproclamatosi “imprenditore di avamposti” portò tre caravan sulla cima di un’aspra collina nella Cisgiordania occupata da Israele e fondò il suo primo insediamento pirata.
Dozzine di giovani sostenitori arrivarono per dar man forte all’imprenditore, Simon Riklin, che fu raggiunto pochi giorni dopo dalla moglie, un bambino e un neonato. Una seconda famiglia seguì il loro esempio. All’inizio furono sorpresi che nessuno dall’esercito o dal governo venisse ad allontanarli. “Dopo sei mesi,” ha detto Rifkin in una recente intervista, “ho capìto che l’affare era fatto.”
Chiamarono il loro avamposto Mitzpe Danny, dal nome di un immigrato britannico che era stato accoltellato a morte da un Palestinese nell’insediamento che si trova dall’altra parte dell’autostrada. Nei mesi successivi contribuirono a fondare Mitzpe Hagit e poi Neve Erez che si trova a pochi minuti di auto. “Saltavo da una collina all’altra”, ha detto Riklin.
Oggi più di 40 famiglie di Ebrei ortodossi vivono a Mitzpe Danny, che fa parte di una catena di avamposti su un crinale strategico che a sud-ovest ha viste mozzafiato fino al Monte degli Ulivi di Gerusalemme, mentre ad est la vista arriva fino alla Giordania. Fanno parte di una vasta rete di circa 100 avamposti, fondati per lo più negli ultimi venti anni senza autorizzazione governativa.
Almeno un terzo di questi avamposti sono stati legalizzati retroattivamente, oppure -come nel caso di Mitzpe Danny- è in corso quello che secondo gli osservatori anti-colonie è un tentativo silenzioso ma metodico da parte del governo di cambiare la mappa della Cisgiordania (ormai nel suo 50esimo anno di occupazione israeliana) rafforzando gli avamposti che si stanno estendendo sul territorio come le dita di una mano.
In un momento in cui il processo di pace israelo-palestinese è “in sonno” e la comunità internazionale è sempre più scettica circa l’effettivo impegno del governo di destra israeliano per la formazione di un futuro stato palestinese, gli avamposti vengono occupati proprio per dimostrare che è impossibile sbrogliare il conflitto. Nel suo rapporto di luglio, il cosiddetto Quartetto per il Medio-Oriente (formato da Stati Uniti, Unione Europea, ONU e Russia) ha visto questi sviluppi come qualcosa che “mette in pericolo la fattibilità della soluzione a due stati.”
Il primo ministro Benjamin Netanyahu, che era al suo primo mandato quando fu fondata Mitzpe Danny, ha in seguito avallato l’idea di uno stato palestinese a fianco di Israele e ha detto che il suo governo non avrebbe costruito nuovi insediamenti né espropriato altra terra per quelli esistenti. Ma Ziv Stahl, direttrice di ricerca di Yesh Din, uno dei gruppi di difesa della sinistra, ha detto che “li stanno autorizzando mascherandoli in qualche modo.”
Secondo Ziv Stahl, Israele cerca di evitare la condanna internazionale registrando gli avamposti del tipo di Mitzpe Danny come “sobborghi” di insediamenti già costituiti, anche se alcuni sono molto distanti e funzionano come comunità separate.

Gli avamposti in Cisgiordania
mappa avamposti
Dei 100 avamposti fondati per lo più negli ultimi venti anni, circa un terzo sono stati o saranno legalizzati retroattivamente. By Rudy Omri/New York Times

Quanto ad altri provvedimenti di Israele, tra cui la demolizione di costruzioni palestinesi non autorizzate in Cisgiordania, Ziv Stahl aggiunge: “Vediamo tutto ciò come una manovra molto graduale verso l’annessione.”
A una domanda sulla legalizzazione degli avamposti (con le relative critiche internazionali), il portavoce di Netanyahu, David Keyes, non ha risposto direttamente, ma ha girato la domanda sulla posizione dei leader palestinesi secondo cui -in un eventuale accordo futuro- nessun insediamento potrebbe rimanere in Cisgiordania.
“La pretesa così spesso ripetuta dai Palestinesi di far pulizia etnica degli Ebrei nel loro futuro stato,” ha detto Keyes in una email, “è scandalosa, immorale e antitetica all’idea di pace.”
Prima illegali, poi legali
Gli avamposti sono disposti strategicamente a fianco degli oltre 120 insediamenti ufficialmente approvati da Israele e ospitano una parte  dei 350.000 coloni ebrei della Cisgiordania.
Un gruppo si estende a est di Shilo, come una catena di perle: Shvut Rahel, Adei Ad, Ahiya, Kida, Esh Kodesh. Questi avamposti dominano le colline che separano villaggi palestinesi come Qusra, Jalud, Al-Mughayyer e Duma. Quest’ultimo è il villaggio in cui l’anno scorso è avvenuto l’attentato incendiario mortale per cui un giovane Israeliano è stato accusato di omicidio e un altro di complicità.
Rabbah Hazameh, un Palestinese la cui famiglia possiede oliveti e campi coltivati nella zona, dice che i coloni hanno impedito a lui e ai suoi familiari di lavorare la loro terra vicino ad Adei Ad ed hanno danneggiato e avvelenato gli alberi. Dice che suo zio, nel corso degli anni, ha presentato 86 denunce alla polizia, ma poi “non è successo niente.”
Mentre nella maggior parte del mondo questi insediamenti sono visti come una violazione della legge internazionale, Israele, per parte sua, fa delle distinzioni, a seconda che si trovino o meno su proprietà private palestinesi e a seconda che abbiano avuto o meno l’approvazione governativa a costruire.
Un’indagine del 2005 che il governo aveva affidato a Talia Sasson, un ex procuratore dello stato, contò almeno 105 avamposti che si erano insediati “in flagrante violazione della legge” e chiese che fossero presi “drastici provvedimenti,” tra cui l’immediata rimozione di quelli costruiti su proprietà private.
Ma nel 2012 Netanyahu aveva insediato un’altra commissione che era giunta a conclusioni del tutto diverse.
Presieduta da Edmund Levy, un ex giudice della Corte Suprema israeliana, la commissione concluse che la Cisgiordania non è veramente occupata (anche perché i precedenti 19 anni di governo da parte della Giordania non hanno mai avuto riconoscimento internazionale) e che non c’erano ostacoli all’approvazione di avamposti che fossero costruiti su terreni di proprietà dello stato e che avessero quello che veniva definito “l’implicito consenso” di alti funzionari israeliani. Tuttavia, il rapporto Levy confermò il criterio israeliano secondo il quale gli insediamenti su proprietà private palestinesi sono illegali.
Sotto la pressione internazionale, Israele si è ripetutamente impegnata ad eliminare gli avamposti non autorizzati. Ma allo stesso tempo ha cercato di salvarne alcuni, anche se costruiti su proprietà private, come quello di Amona, che per ordine della Corte Suprema Israeliana dovrebbe essere demolito entro il 25 dicembre. Gli abitanti di un altro avamposto di questo tipo, Migron (costruito anche questo con l’aiuto di Simon Riklin), sono stati trasferiti nel 2012 in abitazioni provvisorie su un suolo pubblico vicino.
Nel 2011 il governo di Netanyahu aveva già silenziosamente introdotto quella che chiamava una nuova “regolamentazione combinata.” L’idea era che Israele avrebbe smantellato gli insediamenti costruiti su proprietà private palestinesi, ma nelle zone dichiarate da Israele come proprietà dello stato avrebbe invece “regolarizzato il piano del progetto”, ossia -in altre parole- avrebbe legalizzato a posteriori le costruzioni.
il colono simon
Simon Riklin fotografato questo mese a Mitzpe Danny, che l’autoproclamato “imprenditore di avamposti” ha fondato nell’autunno 1998. Uriel Sinai for The New York Times

Un processo cauto e ambiguo
I primi sintomi di un cambiamento di status di un dato avamposto emergono di solito dalle risposte del governo israeliano alle cause legali avanzate dai gruppi anti-insediamenti.
Come, ad esempio, l’anno scorso, quando la Corte Suprema Israeliana ha respinto una istanza di demolizione per una costruzione illegale a Mitzpe Danny, dopo che lo stato aveva comunicato che era in atto un procedimento per autorizzare l’avamposto.
La Corte ha citato una decisione dell’ottobre 2015 di un comitato di pianificazione israeliano inteso a promuovere un vecchio piano generale per la crescita della popolazione ebrea nella zona.
In questo piano, Mitzpe Danny è definito un “sobborgo” di Ma’ale Michmash, l’insediamento originario al di là dell’autostrada, anche se una parte dell’avamposto si trova fuori dai confini più esterni dell’insediamento. Secondo il piano, nel 2040 Mitzpe Danny dovrebbe contenere 189 abitazioni permanenti.
L’avamposto non ha un piano urbanistico dettagliato come sarebbe richiesto per ottenere la piena autorizzazione da Israele, e anche la Corte ha riconosciuto che la pianificazione procedeva a rilento. Tuttavia Peace Now, un altro gruppo anti-insediamenti, riferisce che almeno 20 avamposti hanno già completato la pianificazione o hanno piani dettagliati in via di realizzazione e già approvati dal ministro della difesa, mentre altri 14 sono in fase di sviluppo.

Mitzpe Danny, dal 2001 al 2015
foto aerea di Mitzpe Dannyfoto aerea di Mitzpe Danny 2011

foto aerea di Mitzpe Danny 2015
Fotografie aeree da Peace Now
By Rudy Omri/The New York Times

Hagit Ofran, direttore del programma di monitoraggio degli insediamenti realizzato da Peace Now, dice che il messaggio del governo è “costruite e poi noi sistemiamo tutto a cose fatte.”
Il Ministero della Difesa e l’Amministrazione Civile (che è il ramo dell’esercito israeliano che si occupa degli affari civili in Cisgiordania) hanno rifiutato di parlare degli avamposti o di fornire alcun dato circa il loro status. Anche i leader dei coloni dicono che hanno tentato di avere informazioni su quanti avamposti stiano per essere legalizzati. “Non ho capito se è un terzo o la metà o il 100 per cento,” ha detto Oded Revivi, il principale delegato agli esteri dello Yesha Council che rappresenta i coloni.
La maggior parte delle procedure di legalizzazione avviene con cautela e con una certa dose di ambiguità. Simon Riklin, il fondatore di Mitzpe Danny e degli avamposti vicini, lo ha descritto come un gioco “tutto gatto e topo” tra Netanyahu e il presidente Obama, il quale ha detto ripetutamente che qualunque espansione degli insediamenti rappresenta un ostacolo alla pace.
Yigal Dilmoni, il vice amministratore delegato del comitato dei coloni, ha detto che gruppi come Peace Now hanno in realtà fatto un favore ai coloni quando hanno fatto causa allo stato, perché spesso questo costringe lo stato a prendere una posizione. Dopo che un procedimento giudiziario si era concluso con l’autorizzazione governativa per un edificio illegale di un insediamento e per un avamposto, il comitato dei coloni mandò un mazzo di fiori a Peace Now. Il biglietto di accompagnamento diceva: “Saremo lieti di proporre il nome ‘Peace Now’ per una strada del nuovo quartiere.”
Uscire dal recinto
Nel 1998, quando era ministro degli esteri, Ariel Sharon aveva esortato i coloni a “correre ad impossessarsi” delle colline della Cisgiordania. Ma non c’era niente di improvvisato nel progetto degli avamposti.
L’indagine della Sasson del 2005 ha descritto come i funzionari dei ministeri dell’edilizia, della difesa e altri lavorassero in modo sistematico per stabilire la localizzazione dei nuovi insediamenti, per finanziarli e per aiutarli a procurarsi le infrastrutture.
All’inizio degli anni 1990, gruppi di coloni avevano disegnato i primi progetti per Mitzpe Danny che, come molti avamposti, secondo il rapporto Sasson, si estende sia su terreni pubblici che terreni privati. Si trova al di sopra di una strada tortuosa che prende il nome da Yigal Allon, generale israeliano e uomo politico del Labor Party che, dopo la guerra arabo-israeliana del 1967, era a favore di un ritiro di Israele dalla maggior parte delle zone della Cisgiordania che erano densamente popolate da Palestinesi, mentre suggeriva di mantenere il territorio strategico lungo la Valle del Giordano.
colonia di Micmash
By Rudy Omri/The New York Times

Simon Riklin e altri attivisti cominciarono il loro lavoro mentre Netanyahu, al suo primo mandato, stava negoziando un accordo del 1998 con cui cedeva alla neonata Autorità Palestinese altri territori della Cisgiordania che Israele aveva sottratto alla Giordania nel guerra del 1967.
Riklin, che ha ora 53 anni ed è una voce forte nei media israeliani a favore dei coloni, dice (riferendosi alla Cisgiordania col suo nome biblico): “Ho pensato che in Giudea e Samaria non c’erano abbastanza coloni per garantire il futuro degli insediamenti,” e aggiunge: “Abbiamo sentito che dovevamo uscire dal recinto.”
Daniel Frei, l’immigrante inglese assassinato che ha dato il nome all’avamposto, era stato il vicino di casa di Riklin a Ma’ale Michmash. Era un ingegnere informatico di 28 anni e fu ucciso nella sua casa mentre la figlia di 18 mesi stava dormendo.
Un paio di settimane dopo che Riklin e i suoi amici si erano impadroniti della collina, il Binyamin Council (l’autorità governativa regionale che conta attualmente 50 colonie e avamposti nella zona) fornì loro generatori elettrici e autocisterne d’acqua. Riklin dice che arrivò anche il ministro dell’edilizia e gli chiese di cosa aveva bisogno. C’era insomma un’atmosfera che definisce di “euforia.”
Ora l’avamposto ha dozzine di caravan, oltre ad alcune spaziose case rivestite in pietra e un nuovo campo di pallacanestro in un avvallamento che è poco visibile dall’autostrada. C’è un asilo e un parco giochi che pochi giorni fa avevano un soldato a far la guardia. Tra i residenti c’è un avvocato, un architetto e alcuni insegnanti.
In un punto panoramico vicino, un sistema audio descrive l’insediamento ebraico nella zona come l’adempimento della profezia di Geremia: “I tuoi figli torneranno dentro i loro confini.”
Riklin, il fondatore dell’avamposto, è poi rimasto ad abitare a Ma’ale Michmash. L’attuale leader dell’avamposto ha rifiutato di essere intervistato per questo articolo.
Yehuda Naamad, 30 anni, lavora in una drogheria e due anni fa si è trasferito a Mitzpe Danny da Gerusalemme “per lo spazio”, come dice lui. Questo mese si è trasferito di nuovo in un’altra caravan nell’insediamento di Hemdat nella Valle del Giordano, dove i progetti di costruzione sono stati recentemente approvati dopo esser stati bloccati per 19 anni.
”Credo che questa sia la nostra terra” ha detto riferendosi alla Cisgiordania, e ha aggiunto: “Dio ci ha fatto tornare. Dio scrive la nostra storia.” E riferendosi ai Palestinesi ha detto: “Chiunque ci accetta può vivere qui tranquillamente.”
Non si mostrava preoccupato per la lunga attesa di una casa definitiva. “È scritto che la redenzione si sviluppa lentamente: come la natura, come un albero di olivo.”
Isabel Kershner si può seguire su Twitter @IKershner.
Una versione a stampa di questo articolo è comparsa il 31 agosto 2016 a pagina A1 della edizione di New York col titolo: Israel Legalizes Outposts in the West Bank, Step by Quiet Step.

Traduzione di Donato Cioli
A cura di Assopace Palestina