Rapporto OCHA del periodo 11- 24 gennaio 2022

Due aggressioni (o presunte tali) ad opera di palestinesi contro forze israeliane hanno provocato l’uccisione di un presunto aggressore, il ferimento e l’arresto di un altro e il ferimento di un soldato israeliano [seguono dettagli]

Il 17 gennaio, allo svincolo di Gush Etzion (Hebron), un palestinese di 39 anni avrebbe tentato di accoltellare un soldato israeliano che poi gli ha sparato, uccidendolo; alla fine del periodo di riferimento [di questo Rapporto] il corpo del presunto aggressore era ancora trattenuto dalle autorità israeliane. L’11 gennaio, a un checkpoint vicino all’ingresso dell’insediamento [colonico] di Hallamish (Ramallah), un palestinese ha guidato la sua auto contro soldati israeliani, ferendo se stesso e un soldato. Forze israeliane, hanno arrestato l’uomo. Le due famiglie dei presunti colpevoli hanno dichiarato che il loro parente soffriva di disturbi psicologici.

Tre palestinesi sono morti nel contesto di tre distinte operazioni militari israeliane [seguono dettagli]. Il 12 gennaio, nel villaggio di Jilijliya (Ramallah), durante un’operazione di ricerca, le forze israeliane hanno arrestato, bendato e ammanettato, per circa un’ora, un uomo di 80 anni. Poco dopo il ritiro delle forze israeliane, poiché l’uomo non manifestava alcun movimento, è stato portato in ospedale dove è stato dichiarato morto. Le autorità israeliane hanno annunciato un’indagine. Il 17 gennaio, un attivista palestinese di 65 anni è morto per le ferite riportate il 5 gennaio; in quella circostanza, l’uomo era intervenuto nel corso di una operazione di confisca, da parte della polizia israeliana, di un’auto senza licenza nella Comunità di Umm al Kheir (Ebron), ed era stato investito da un carro attrezzi che non si era fermato. Secondo i media israeliani, in quel caso, l’autista del camion era stato colpito e ferito alla testa da pietre lanciate da palestinesi. Il 24 gennaio, nel campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni su palestinesi che lanciavano pietre contro di loro; sei palestinesi sono stati feriti da proiettili di gomma. Molteplici candelotti lacrimogeni sono caduti vicino a un Centro sanitario dell’UNRWA, dove un paziente di 57 anni ha inalato gas lacrimogeni all’interno dell’ambulanza che lo trasferiva in ospedale; l’uomo è morto alcune ore dopo. In una dichiarazione rilasciata il 26 gennaio, l’UNRWA ha invitato le autorità israeliane a indagare sull’episodio, riferendo che il personale sanitario aveva fatto appello alle autorità israeliane per fermare gli spari e consentire ai pazienti di uscire in sicurezza dalla struttura.

In Cisgiordania 135 palestinesi, inclusi 22 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane in scontri [seguono dettagli]. Il numero maggiore di feriti, 46 persone, tra cui almeno sei minori, sono stati registrati in tre episodi accaduti a Burqa e Beita (entrambi a Nablus), dove coloni israeliani avevano fatto irruzione ed avevano attaccato le Comunità, con conseguente scambio di lanci di pietre con palestinesi; le forze israeliane sono intervenute sparando lacrimogeni e proiettili di gomma. Altri 16 feriti sono stati registrati nella città di Nablus, durante scontri tra residenti palestinesi e forze israeliane, in seguito all’ingresso di un gruppo di israeliani in visita a un sito religioso. Palestinesi sono stati feriti anche durante le proteste contro gli insediamenti vicino a Beita (28) e Kafr Qaddum (23) nei governatorati di Nablus e Qalqiliya; undici sono rimasti feriti vicino al checkpoint di Beit El a Ramallah, durante manifestazioni di protesta contro l’arresto, da parte delle forze israeliane, di quattro studenti universitari dell’Università di Birzeit. Un uomo è stato aggredito fisicamente e ferito dalle forze israeliane durante una demolizione a Hebron (vedi sotto), e altri tre durante un’operazione di ricerca-arresto a Betlemme. Complessivamente, due palestinesi sono stati feriti da proiettili veri, 24 da proiettili di gomma e la maggior parte degli altri ha necessitato di cure per aver inalato gas lacrimogeni.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 88 operazioni di ricerca-arresto, arrestando 148 palestinesi. La maggior parte delle operazioni si è svolta nei governatorati di Gerusalemme ed Hebron. In un episodio separato, il 18 gennaio, le forze israeliane hanno fatto irruzione in una scuola del villaggio di Deir Nidham (Ramallah) ed hanno aggredito fisicamente e arrestato due studenti di 17 anni per aver lanciato pietre, a quanto riferito. Secondo il preside, durante il confronto fisico tra personale scolastico, studenti e forze israeliane, queste ultime hanno danneggiato finestre, sedie e banchi della scuola. Le lezioni per gli oltre 210 studenti sono state sospese per il resto della giornata.

Le forze israeliane hanno continuato a bloccare con cumuli di terra gli ingressi principali dei villaggi di Sabastiya, Burqa e Al Mas’udiya (tutti in Nablus), nelle vicinanze dei quali, il 16 dicembre, un colono israeliano era stato ucciso con arma da fuoco; queste misure hanno costretto circa 8.000 palestinesi a dover effettuare lunghe deviazioni, rendendo difficoltoso il loro accesso ai mezzi di sussistenza e ai servizi. Inoltre, a intermittenza, le forze israeliane hanno continuato a presidiare l’insediamento israeliano di Shavei Shomron, controllando i veicoli palestinesi e provocando lunghi ritardi. Le forze israeliane hanno anche spianato terreni e collocato cumuli di terra sulle strade agricole di Deir al Ghusun (Tulkarm) e sul monte Sabih (Nablus), impedendo ai palestinesi l’accesso ai terreni agricoli.

Nelle prime ore del mattino del 19 gennaio, nella zona di Sheikh Jarrah, a Gerusalemme Est, le forze israeliane hanno sfrattato con la forza una famiglia allargata composta da 12 persone, tra cui due minori, ed hanno poi demolito la loro casa. L’operazione era iniziata il 17 gennaio, quando le forze israeliane avevano demolito le strutture commerciali del complesso, ma non avevano sfrattato le persone. Secondo il Comune di Gerusalemme, il terreno è stato destinato alla costruzione di una scuola per bambini con disabilità. Durante l’operazione sono state arrestate circa 20 persone, tra membri della famiglia ed attivisti. Stati Membri hanno espresso preoccupazione al Consiglio di Sicurezza ONU in merito alle misure fisiche utilizzate dalle forze israeliane durante l’operazione. Ancora a Sheikh Jarrah, alla fine di gennaio o all’inizio di febbraio 2022, un’altra famiglia [palestinese] sarà probabilmente sfrattata in modo forzoso, a seguito di una causa legale intentata da coloni.

Le autorità israeliane, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, hanno demolito o costretto i proprietari a demolire 20 strutture di proprietà palestinese. Di conseguenza, 39 persone sono state sfollate, inclusi 19 minori, e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di altre 38 [seguono dettagli]. Quindici delle strutture erano in Area C e cinque a Gerusalemme Est. A Khirbet Al Fakheit (Hebron), in un’area designata dalle autorità israeliane come “zona di tiro”, sono state demolite otto strutture, tra cui abitazioni, ricoveri per animali e una cisterna d’acqua; cinque di esse erano state fornite come assistenza umanitaria.

In Cisgiordania, in tre episodi, coloni israeliani hanno ferito tre palestinesi, e in 14 casi, persone note come coloni israeliani o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi [seguono dettagli]. Il 24 gennaio, nella città di Huwwara (Nablus), durante un raid, coloni hanno ferito un palestinese ed hanno fracassato i vetri di almeno cinque auto e di almeno due negozi. Il 21 gennaio, in un terreno agricolo vicino al villaggio di Burin (Nablus), coloni hanno aggredito e ferito fisicamente cinque attivisti israeliani per i diritti umani, hanno appiccato il fuoco a uno dei loro veicoli e ne hanno danneggiato un altro. A Deir Sharaf e Qaryut (Nablus), Yassuf (Salfit), Massafer Yatta (Hebron) e Mazra’a al Qibiliya (Ramallah) sono stati sradicati o vandalizzati almeno 550 alberi e alberelli di proprietà palestinese.

In Cisgiordania, in 18 episodi, persone conosciute come palestinesi, o ritenuti tali, hanno lanciato pietre o bottiglie molotov contro veicoli israeliani, ferendo due israeliani e provocando danni ai veicoli. Inoltre, il 15 gennaio, nel sud di Hebron, in un insediamento “avamposto” [illegale, cioè, anche per Israele] una sinagoga è stata data alle fiamme da palestinesi, a quanto riferito.

Vicino alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa di Gaza, in almeno 25 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare [ai palestinesi] le restrizioni di accesso [loro imposte]; non sono stati segnalati feriti. In tre occasioni, le forze israeliane [sono entrate all’interno della Striscia ed] hanno spianato terreni adiacenti alla recinzione.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina:https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 21 dicembre 2021- 10 gennaio 2022

Secondo quanto riferito, in tre episodi separati, avvenuti in Cisgiordania, tre palestinesi hanno tentato di pugnalare o speronare con l’auto o aprire il fuoco contro forze israeliane o coloni; i tre sono stati colpiti ed uccisi dalle forze israeliane

[seguono dettagli]. Il 21 dicembre, secondo fonti ufficiali israeliane, un palestinese di 22 anni ha cercato di investire soldati israeliani in servizio al checkpoint di Mevo Dotan, ad ovest di Jenin. I soldati hanno aperto il fuoco contro l’auto, che si è schiantata contro un veicolo militare, provocando l’incendio di entrambi. Secondo fonti israeliane, il 31 dicembre, ad un incrocio vicino all’insediamento israeliano di Ariel (Salfit), un palestinese di 32 anni ha cercato di accoltellare soldati e coloni israeliani, prima di essere ucciso a colpi di arma da fuoco. Fonti palestinesi contestano l’accusa di tentato accoltellamento di israeliani. Il 22 dicembre, vicino al campo profughi di Al ‘Amari (Ramallah), un palestinese di 26 anni è stato ucciso dalle forze israeliane. Secondo il ministero della Salute palestinese, l’uomo è stato colpito alla schiena con arma da fuoco, all’interno della propria auto, durante scontri scoppiati all’ingresso del Campo. Media israeliani riferiscono che le forze israeliane hanno colpito l’uomo mentre inseguivano un veicolo palestinese dal quale, nei pressi dell’insediamento di Psagot (Ramallah), avevano sparato contro di loro. Nessun israeliano è rimasto ferito in questi episodi.

In Cisgiordania, durante operazioni di ricerca-arresto, un altro palestinese è stato ucciso e altri sei sono stati feriti dalle forze israeliane [seguono dettagli]. Il 6 gennaio, le forze israeliane hanno condotto una di tali operazioni nel Campo profughi di Balata (Nablus), dove hanno avuto uno scambio a fuoco con palestinesi armati: un palestinese di 21 anni è rimasto ucciso. Altri sei palestinesi sono stati feriti durante tre operazioni di ricerca-arresto condotte a Gerusalemme, Hebron e Ramallah. In totale, le forze israeliane hanno effettuato 88 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 109 palestinesi. Il maggior numero di operazioni è stato registrato nel governatorato di Hebron (32), seguito da Betlemme (28) e Gerusalemme (15).

Nei pressi dei villaggi di Sinjil e Beit Sira (Ramallah), una donna palestinese di 63 anni e un uomo di 25 sono morti dopo essere stati investiti da veicoli di coloni israeliani, rispettivamente il 24 dicembre e il 5 gennaio 2021. Secondo quanto riferito, entrambi i conducenti israeliani si sono consegnati alla polizia israeliana, che ha avviato accertamenti. Il 5 gennaio, a Umm al Kheir (Hebron), un anziano palestinese è stato gravemente ferito dopo essere stato investito da un camion della polizia israeliana che stava sequestrando veicoli non immatricolati; secondo fonti israeliane, nel momento in cui l’uomo è stato investito, venivano lanciate pietre contro il camion.

In Cisgiordania, complessivamente, 693 palestinesi, inclusi 177 minori, sono stati feriti dalle forze israeliane [seguono dettagli]. La maggior parte dei ferimenti si sono avuti in cinque episodi accaduti a Burqa, Sabastiya e Deir Sharaf (Nablus), dove 490 persone, tra cui 124 minori, sono rimaste ferite dalle forze israeliane, in seguito a scontri, con lancio di pietre, tra residenti palestinesi e coloni israeliani; questi ultimi avevano fatto irruzione e attaccato le Comunità palestinesi (vedi sotto). Il 25 dicembre, 26 palestinesi hanno avuto bisogno di cure mediche per aver inalato gas lacrimogeni sparati dalle forze israeliane nel corso di scontri tra coloni e palestinesi durante una manifestazione organizzata da coloni israeliani; questi si erano radunati all’ingresso di Sabastiya (Nablus), e lanciavano pietre contro veicoli palestinesi. Altri 181 palestinesi sono rimasti feriti durante le proteste contro gli insediamenti vicino a Beita (126) e Beit Dajan (55) nel governatorato di Nablus, e uno a Dura (Hebron), durante le manifestazioni di solidarietà con i prigionieri palestinesi in sciopero della fame nelle carceri israeliane. A Hebron, durante una demolizione (vedi sotto), tre donne sono state aggredite fisicamente e ferite dalle forze israeliane. Il 29 dicembre 2021, a Tuqu’ (Betlemme), le forze israeliane hanno aggredito e ferito fisicamente un insegnante che cercava di impedire il loro ingresso in una scuola superiore; il 10 gennaio, nella Università di Birzeit (Ramallah), uno studente è stato colpito con arma da fuoco ed arrestato insieme ad altri tre studenti. Complessivamente, 28 palestinesi sono stati feriti da proiettili veri, 107 da proiettili di gomma e la maggior parte dei rimanenti ha necessitato di cure mediche per aver inalato gas lacrimogeni.

Nella Striscia di Gaza, il 29 dicembre, il membro di un gruppo armato palestinese ha sparato e ferito un israeliano che lavorava sul lato israeliano della recinzione perimetrale; conseguentemente le forze israeliane hanno sparato proiettili di carro armato contro Gaza, ferendo quattro contadini palestinesi, tra cui un minore. In un caso, gruppi armati palestinesi hanno lanciato razzi contro Israele e le forze israeliane hanno effettuato attacchi aerei prendendo di mira, a quanto riferito, postazioni di gruppi armati e campi aperti.

Vicino alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa di Gaza, in almeno 66 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, apparentemente per far rispettare le restrizioni di accesso [imposte ai palestinesi]. Non sono stati segnalati feriti. Per due volte, bulldozer militari israeliani, entrati all’interno di Gaza, hanno spianato terreni prossimi alla recinzione perimetrale

In Cisgiordania, nel corso di due episodi, coloni israeliani hanno ferito tre palestinesi e, in 25 altri episodi, persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi [seguono dettagli]. A Susiya (Hebron), due contadini palestinesi, al lavoro sulle proprie terre, sono stati colpiti con pietre da coloni israeliani. Ad Azmut (Nablus), un palestinese è stato aggredito fisicamente, spruzzato con peperoncino, ferito e ammanettato per due ore da coloni israeliani, prima di essere liberato dalle forze israeliane e portato in ospedale. Più di 550 alberi sono stati vandalizzati in otto episodi accaduti nei governatorati di Hebron, Nablus e Salfit; inclusi due casi nel sud di Hebron, in aree designate dalle autorità israeliane come “zone di tiro”. A Qalqiliya, Nablus, Salfit e nell’area H2 della città di Hebron, almeno sei veicoli di proprietà palestinese sono stati danneggiati in quattro casi di lancio di pietre. A Qaryut e Bizzariya (entrambi a Nablus) ed a Hebron, in tre episodi, un impianto idrico, un negozio e un muro in pietra sono stati vandalizzati ad opera di coloni israeliani che avevano fatto irruzione nelle Comunità. Nella zona H2 di Hebron, coloni hanno lanciato pietre contro una casa palestinese, danneggiando finestre e mobili.

Nei governatorati di Gerusalemme, Nablus e Gerico, persone conosciute, o ritenute, palestinesi hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani, ferendo undici coloni. In Cisgiordania, secondo fonti israeliane, il lancio di pietre ha danneggiato circa 50 auto israeliane.

Dopo la sparatoria in cui, il 16 dicembre 2021, venne ucciso un colono israeliano e altri due rimasero feriti [vedi Rapporto precedente], sono stati segnalati lunghi ritardi ai posti di blocco e le forze israeliane hanno imposto nuove chiusure agli ingressi di tre villaggi vicini al luogo della sparatoria (nel governatorato di Nablus), perturbando l’accesso ai servizi ed ai mezzi di sussistenza. Le forze israeliane hanno continuato a presidiare, ad intermittenza, un posto di blocco vicino all’insediamento israeliano di Shavei Shomron, controllando e perquisendo i veicoli palestinesi, causando così lunghi ritardi. Il 6 e 8 gennaio, le forze israeliane hanno collocato cumuli di terra per sbarrare sei strade che collegano i villaggi di Sabastiya ed Al Mas’udiya (Nablus) con la Strada 60.

Adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto i proprietari a demolire 63 strutture di proprietà palestinese. Di conseguenza, 62 persone sono state sfollate, inclusi 35 minori, e i mezzi di sussistenza di altre 216 sono stati danneggiati [seguono dettagli]. In Area C sono state demolite 44 strutture; 19 di queste, inclusi sette rifugi abitativi, erano state fornite come assistenza umanitaria in risposta a precedenti demolizioni. Nella valle del Giordano settentrionale, nella Comunità di pastori di Ibziq (Tubas), situata all’interno di una “zona di tiro” e di una “riserva naturale” [così dichiarate da Israele], tre famiglie composte da 16 persone, tra cui cinque minori, sono state sfollate per due volte. Diciannove delle strutture demolite si trovavano a Gerusalemme Est, di cui quattro erano case demolite dai proprietari palestinesi per evitare tasse municipali e possibili danni ad altre strutture ed effetti personali.

Tra il 27 dicembre e il 2 gennaio, nell’area di Ibziq, nella Valle del Giordano, per consentire esercitazioni militari israeliane, almeno sei famiglie palestinesi sono state costrette a evacuare le loro case, per la maggior parte della giornata. La costrizione ha riguardato 38 persone, di cui 17 minori. Dopo questi episodi, l’Alta Corte di Giustizia di Israele avrebbe emesso una ingiunzione per fermare le demolizioni e le esercitazioni militari nell’area in cui vivono queste famiglie. Inoltre, il 22 dicembre, nella valle del Giordano settentrionale, le forze israeliane hanno condotto esercitazioni militari in un’area (designata [da Israele] come “zona di tiro”), circostante le Comunità pastorali di Al Farisiya, Ein al Hilwa e Hammamat al Maleh, interrompendo i mezzi di sussistenza e l’accesso ai servizi.

313

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




2021 in Palestina: finalmente si è sollevata una nuova generazione

Ramzy Baroud

3 gennaio 2022 – The Palestine Chronicle

Quando è iniziato, il 2021 sembrava essere un altro anno di normalità, in cui l’occupazione israeliana era incessante e così anche la miseria palestinese. Anche se molto di tutto questo resta vero, la dinamica dell’occupazione israeliana è stata sfidata da un sentimento senza precedenti di unità popolare tra i palestinesi, non solo a Gerusalemme est, Cisgiordania e Gaza occupate, ma anche tra le comunità palestinesi nella Palestina storica.

Una forte sensazione di cauta speranza ha finalmente rimpiazzato il prevalente senso di disperazione che si respirava negli anni precedenti. Accanto ad esso si è registrato in tutta la Palestina un senso di rinnovamento e di voglia di seguire nuove idee politiche. Per esempio, secondo un sondaggio condotto dal Centro di Informazioni e Comunicazioni di Gerusalemme (JMCC) pubblicato il 22 novembre, c’è un maggior numero di palestinesi della Cisgiordania che appoggiano la soluzione di uno Stato unico rispetto a quelli che ancora sostengono la soluzione di due Stati, ormai praticamente defunta, che ha dominato il pensiero palestinese per decenni.

La pandemia si fa sentire

Tuttavia l’anno è iniziato con un’attenzione su tutt’altra cosa: la pandemia da Covid-19. Oltre a devastare i palestinesi sotto assedio e occupazione, soprattutto nella Striscia di Gaza, la pandemia ha incominciato a diffondersi tra i prigionieri palestinesi.

A febbraio l’Autorità Nazionale Palestinese, insieme ad associazioni ed organizzazioni internazionali per i diritti umani, ha criticato Israele per aver bloccato l’accesso ai vaccini contro il Covid-19 nella Striscia di Gaza. Sono stati donati vaccini Sputnik 5 dalla Russia, il primo Paese che ha contribuito alla lotta contro la pandemia in Palestina. Alla fine le comunità palestinesi hanno avuto lentamente accesso ai vaccini arrivati attraverso il programma COVAX. Tuttavia la pandemia ha continuato a funestare la Palestina occupata, soprattutto poiché le autorità dell’occupazione israeliana hanno continuato a bloccare le misure di prevenzione palestinesi e a smantellare le strutture di fortuna per il Covid-19 nei territori occupati. Secondo il sito web Worldometer [sito che fornisce dati statistici in tempo reale per diversi argomenti, ndtr.], sono morti a causa del Covid-19 4.555 palestinesi, mentre 432.602 sono risultati positivi alla letale pandemia.

Elezioni cancellate

Come accaduto lo scorso anno, la crisi politica israeliana ha velocemente preso il sopravvento nei titoli dell’informazione, dato che la lotta tra l’allora Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed i suoi rivali è proseguita, portando alla quarta tornata elettorale in Israele in due anni. Le elezioni di marzo hanno infine modificato lo scenario politico israeliano, grazie ad una strana coalizione di governo messa insieme il 13 giugno dal nuovo Primo Ministro israeliano Naftali Bennet. La coalizione ha incluso l’uomo politico arabo Mansour Abbas, il cui partito si è dimostrato determinante per la formazione del governo.

Mentre Netanyahu ed il suo partito Likud sono passati rapidamente all’opposizione, mettendo fine ad un regno durato 12 anni, i palestinesi hanno anticipato le loro elezioni che sono state indette dal presidente dell’ANP Mahmoud Abbas il 15 gennaio.

Le elezioni parlamentari e presidenziali dell’ANP sono state calendarizzate rispettivamente il 22 maggio e il 31 luglio. Era previsto che le due tornate elettorali sarebbero state seguite da un compromesso politico che avrebbe posto fine alla disunione politica palestinese garantendo uguale rappresentanza per tutte le formazioni politiche palestinesi, comprese Hamas e Jihad islamica, in una riproposizione dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).

Purtroppo non è accaduto nulla di tutto ciò. Nonostante positivi colloqui sull’unità palestinese al Cairo nel corso di diverse settimane, Abbas ha annullato le elezioni programmate con il pretesto che tale decisione fosse stata presa per protesta contro il rifiuto di Israele di permettere la partecipazione degli elettori di Gerusalemme est.

In cambio per aver bloccato gli sforzi palestinesi per assicurare una parvenza di democrazia anche sotto occupazione israeliana ad Abbas è stato permesso di rientrare nella lista degli alleati di Washington. Certo in aprile gli USA hanno ripristinato gli aiuti ai palestinesi, con la promessa di riaprire l’ufficio dell’OLP a Washington, che era stato chiuso dall’amministrazione Trump, e anche con l’impegno di riaprire il proprio consolato a Gerusalemme, anch’esso chiuso da Trump nel settembre 2018.

Nonostante questi gesti, che sono serviti a rilegittimare l’ANP dopo quattro anni di completa emarginazione da parte USA, la nuova amministrazione Biden non ha offerto né un percorso per un nuovo processo di pace, né una pressione su Israele per porre fine alla sua occupazione o rallentare la velocità dell’espansione illegale delle colonie nella Palestina occupata. Infatti il tasso di costruzione delle colonie israeliane è cresciuto in modo esponenziale nel 2021 con l’annuncio in ottobre del piano di Israele di approvazione di migliaia di nuove unità abitative israeliane in Cisgiordania.

Da Sheikh Jarrah a Gaza

Le azioni provocatorie di Israele sarebbero passate inosservate da parte della comunità internazionale se non fosse stato per il popolo palestinese, che ha assunto una posizione collettiva utilizzando tutte le forme di resistenza, da Sheikh Jarrah, a Gerusalemme est, a Gaza. I fatti, che hanno infine portato ad una guerra di Israele contro Gaza a maggio, sono iniziati con uno dei soliti tentativi israeliani di pulizia etnica dei palestinesi da diversi quartieri di Gerusalemme est, compresi Sheikh Jarrah e Silwan. Però gli abitanti palestinesi di Gerusalemme hanno iniziato ad organizzarsi contro un ordine del tribunale israeliano di espellerli dalle loro case per essere poi sostituiti da coloni ebrei israeliani, come è stata la consuetudine per molti anni.

La resistenza popolare a Sheikh Jarrah ha incontrato una risposta di estrema violenza da parte israeliana, che ha coinvolto coloni armati, polizia israeliana e forze di occupazione, provocando il ferimento di almeno 178 manifestanti palestinesi il 7 maggio. I palestinesi in tutti i territori occupati hanno iniziato a mobilitarsi in solidarietà con i loro compagni ad Al Quds (Gerusalemme, ndtr.), conducendo ad una nuova devastante guerra israeliana contro la Striscia di Gaza il 10 maggio. La guerra ha provocato l’uccisione di oltre 250 palestinesi, il ferimento di migliaia e distruzioni su vasta scala.

La guerra israeliana mirava a distrarre l’attenzione dai fatti che avvenivano a Gerusalemme est. I disegni israeliani tuttavia sono falliti del tutto perché i palestinesi a Ramallah, Nablus, Haifa e in molte altre città, villaggi e campi profughi palestinesi hanno marciato in solidarietà con Sheikh Jarrah e Gaza, formulando un discorso politico che per la prima volta era scevro da riferimenti settari.

Per soffocare la rivolta palestinese Israele ha inviato migliaia di soldati e poliziotti, insieme a coloni ebrei e milizie armate nei territori occupati e nello stesso Israele. Molti palestinesi sono stati uccisi nei conseguenti scontri e attacchi. Tuttavia gli eventi di maggio hanno messo in luce non solo l’unità tra i palestinesi, ma anche il profondo razzismo che ha pervaso tutti gli ambiti della società israeliana. Il concetto secondo cui i palestinesi della Palestina storica si sono integrati nella nuova realtà e non fanno più parte di un più vasto corpo politico palestinese si è dimostrato completamente falso.

Boicottaggio, disinvestimenti e la CPI (Corte Penale Internazionale)

La resistenza palestinese in patria ha ulteriormente mobilitato la società civile in tutto il mondo. Organizzazioni per i diritti come Human Rights Watch e la israeliana B’Tselem sono arrivate alla conclusione che Israele è uno Stato di apartheid.

Il movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) ha ricevuto molti incoraggiamenti nel corso dell’anno, dato che imprese come il gigante del gelato, Ben & Jerry’s, hanno deciso di disinvestire dai territori occupati e la multinazionale dello sport, Nike, ha deciso di porre fine del tutto alle proprie attività in Israele, pur senza giustificare la sua decisione in termini politici.

Inoltre il maggior fondo pensionistico della Norvegia, KLP, il 5 luglio ha dichiarato che non avrebbe più investito in imprese legate alle colonie israeliane. Più tardi nell’anno la famosa scrittrice irlandese Sally Rooney ha annunciato di rifiutare che il suo bestseller ‘Beautiful world, where are you’ fosse pubblicato da una società israeliana.

Intanto gli sforzi per far rispondere delle proprie responsabilità i criminali di guerra israeliani di fronte alla Corte Penale Internazionale (CPI) sono proseguiti incessantemente. In marzo l’allora Procuratrice capo, Fatou Bensouda, ha annunciato l’avvio di un’inchiesta formale su presunti crimini di guerra nei territori palestinesi occupati. Anche se Bensouda non è più a capo della CPI, il caso palestinese rimane aperto, nella speranza che la giustizia internazionale possa infine prevalere.

Nonostante le molte difficoltà, lo spirito di tutti i palestinesi si è nuovamente risollevato quando a luglio la delegazione olimpica palestinese è entrata nello Stadio Olimpico di Tokyo, portando la bandiera palestinese. La piccola delegazione includeva palestinesi di diverse regioni, cementando anche nella cultura e nello sport l’unità palestinese.

Resistere attraverso la fame 

Intanto i palestinesi in sciopero della fame hanno continuato la loro resistenza nelle carceri israeliane, con prigionieri come Kayed Fasfous e Meqdad Al-Qawasmi che hanno proseguito i loro scioperi per 131 e 113 giorni rispettivamente, fino ad arrivare quasi alla morte. Con una dimostrazione di ulteriore sfida, il 6 settembre sei prigionieri palestinesi sono evasi dalla prigione di Gilboa. Benché siano stati tutti catturati e, secondo le testimonianze, torturati in seguito al loro ri-arresto, la notizia ha catturato l’attenzione di tutti i palestinesi, che si sono sentiti più forti per quella che hanno percepito come un’eroica richiesta di libertà.

Tuttavia molti prigionieri palestinesi hanno sofferto anche nelle mani della stessa ANP, che ha continuato la sua prassi di illegittima detenzione e tortura degli attivisti palestinesi dissidenti. La morte di Nizar Banat nelle mani delle forze di sicurezza dell’ANP il 24 giugno ha provocato proteste di massa di palestinesi, in cui migliaia di persone hanno chiesto un accertamento delle responsabilità e giustizia per il critico dell’ANP che è stato picchiato a morte.

Il 2021 è stato un anno di guerra, perdite e distruzione per i palestinesi. Eppure è stato anche un anno di unità, di conquiste culturali e di speranza, poiché una nuova generazione ha infine occupato il centro della scena, affermando la propria identità e centralità per il futuro della propria patria.

Ramzy Baroud è giornalista e editore di The Palestine Chronicle. E’ autore di cinque libri. L’ultimo è: “These chains will be broken: palestinian stories of struggle and defiance in israeli prisons” (Clarity Press). Il dottor Baroud è ricercatore non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA).

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Mahmoud Abbas si è recato a casa del ministro della Difesa israeliano per colloqui

Redazione di MEE e agenzie

29 dicembre 2021 – Middle East Eye

La riunione nella residenza di Benny Gantz a Rosh HaAyin è stata il primo incontro formale in Israele del presidente palestinese dal 2010.

Martedì [28 dicembre] il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Mahmoud Abbas ha fatto una inusuale visita in Israele, che secondo gli israeliani ha riguardato la sicurezza e questioni civili, per colloqui con il ministro della Difesa Benny Gantz.

I media israeliani hanno informato che l’incontro ha avuto luogo nell’abitazione di Gantz nella città di Rosh HaAyin, che si trova nella zona centrale del Paese, e segna il primo incontro formale di Abbas in Israele dal 2010.

Il giornale israeliano Haaretz ha informato che inizialmente la riunione si sarebbe dovuta tenere la scorsa settimana, ma Abbas ha chiesto chiarimenti a Israele sulla violenza dei coloni e sul fatto che alcune Ong palestinesi sono state messe fuorilegge. Gantz ha detto ad Abbas che intende “continuare a promuovere azioni per rafforzare la fiducia sul piano economico e civile, come stabilito durante i loro ultimi incontri,” ha affermato un comunicato del ministero della Difesa israeliano.

I due uomini hanno discusso di sicurezza e questioni civili,” ha aggiunto.

Il ministero afferma che Gantz ha approvato l’iscrizione all’anagrafe come residenti in Cisgiordania di circa 6.000 persone che abitavano irregolarmente in quel territorio, occupato da Israele dalla guerra del 1967.

Il ministero sostiene che anche altre 3.500 persone di Gaza riceveranno i documenti di residenti. Inoltre il ministero ha annunciato una serie di quelle che ha descritto come “misure per costruire la fiducia”, che faciliteranno l’ingresso di centinaia di uomini d’affari palestinesi tra la Cisgiordania e Israele. Secondo Haaretz si è convenuto che a importanti funzionari dell’ANP verranno concesse decine di cosiddetti permessi per VIP.

Il giornale afferma che Israele ha anche accettato di consegnare all’ANP 100 milioni di shekel (circa 28 milioni di euro) come anticipo sulle tasse che Israele riscuote in sua vece.

Dopo la riunione Gantz ha twittato: “Abbiamo discusso della messa in pratica di misure economiche e civili e sottolineato l’importanza di approfondire la collaborazione sulla sicurezza e prevenire il terrorismo e la violenza, per il benessere sia degli israeliani che dei palestinesi.”

L’incontro di Gantz con Abbas segue una visita nella regione del consigliere per la sicurezza nazionale USA Jake Sullivan.

Il Likud e Hamas condannano l’incontro

A fine agosto Gantz aveva visitato il quartier generale dell’ANP a Ramallah, nella Cisgiordania occupata, per colloqui con Abbas, il primo incontro ufficiale a un tale livello da parecchi anni.

Ma dopo quelle riunioni il primo ministro israeliano Naftali Bennett aveva sottolineato che non c’era in corso “e che non ci sarà in futuro” alcun processo di pace con i palestinesi.

Mercoledì il ministro palestinese delle Questioni Civili Hussein al-Sheikh ha twittato: “La riunione (di martedì) ha riguardato l’importanza di creare un orizzonte politico che porti a una soluzione politica in base alle risoluzioni internazionali.”

I due hanno anche discusso “della pesante situazione sul terreno a causa delle azioni dei coloni”, così come di “molte questioni relative a sicurezza, economiche e umanitarie.”

Il partito israeliano di opposizione di destra Likud ha condannato l’ultimo incontro, affermando che “concessioni pericolose per la sicurezza di Israele sono solo questione di tempo.”

Il Likud ha aggiunto un riferimento sprezzante alla coalizione di governo di Bennett, che include Raam, un partito che rappresenta parte dei cittadini palestinesi di Israele. “Il governo israeliano-palestinese ha ridato priorità ai palestinesi e ad Abbas… ciò è pericoloso per Israele,” ha sostenuto il Likud.

Hamas, il movimento che governa la Striscia di Gaza assediata ed è rivale del Fatah di Abbas, ha affermato che la visita del presidente dell’ANP è andata contro lo “spirito nazionale del nostro popolo palestinese”.

Questo comportamento da parte della dirigenza dell’Autorità Nazionale Palestinese approfondisce le differenze politiche, complica la situazione palestinese, incoraggia quanti nella regione vogliono normalizzare i rapporti con l’occupante e indebolisce il rifiuto palestinese della normalizzazione,” ha affermato il portavoce di Hamas Hazem Qassem.

Qassem alludeva al Bahrein e agli Emirati Arabi Uniti, così come a Marocco e Sudan, che all’inizio di quest’anno hanno firmato con Israele accordi di normalizzazione mediati dagli USA durante la presidenza di Donald Trump.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Centinaia di feriti, uno grave, per l’attacco di coloni e soldati ai villaggi di Nablus, Jenin e Tulkarem

25 dicembre 2021 – IMEMC News

Sabato notte la Mezzaluna Rossa (Croce Rossa) palestinese ha riferito che centinaia di palestinesi sono stati feriti, di cui uno con una grave ferita da arma da fuoco alla testa, quando centinaia di coloni illegali e soldati israeliani hanno sferrato ripetuti attacchi contro case palestinesi a Burqa, Beita, Sebastia, Bazaria, Silat ath-Thaher e altre aree a Nablus, Jenin e nel nord della Cisgiordania.

La Mezzaluna Rossa ha dichiarato che i soldati israeliani hanno ferito più di 135 palestinesi di cui almeno dieci sono stati colpiti da proiettili veri, trentacinque da proiettili d’acciaio ricoperti di gomma e almeno novantacinque hanno subito gravi conseguenze dall’inalazione di gas lacrimogeno; tra i feriti ci sono molte donne, anziani e bambini, compresi neonati.

Ha aggiunto che una donna incinta ha subito gravi conseguenze dall’inalazione di gas lacrimogeno prima di essere portata d’urgenza in ospedale con le doglie.

Anche due giornalisti palestinesi, identificati in Ehab Dmeiri e Fadi Yassin, sono stati feriti a Bazaria, a nord-ovest di Nablus.

Ehab, corrispondente dell’agenzia di stampa [dell’Autorità Nazionale Palestinese, ndtr.] WAFA, è stato colpito da un proiettile d’acciaio rivestito di gomma, mentre Fadi, cameraman che lavora per la TV palestinese, ha subito i gravi conseguenze dall’inalazione di gas lacrimogeno oltre a ferite da taglio e contusioni.

Le moschee di zona a Jenin e Nablus hanno invitato i palestinesi a radunarsi per proteggere le famiglie di Burqa e Beita, in particolare dopo che decine di coloni israeliani illegali hanno attaccato case e famiglie, causando molti feriti e gravi danni alle proprietà.

Decine di palestinesi hanno poi lanciato pietre contro i coloni e i soldati invasori, ferendo un soldato al volto.

I soldati hanno anche preso di mira direttamente, sparando proiettili e candelotti lacrimogeni, molti giornalisti palestinesi a Tulkarem mentre riprendevano in diretta le invasioni in corso.

L’attacco ha ferito due fotoreporter identificati in Fadi Yassin e Hazem Bleidi.

Militanti della resistenza hanno anche avuto uno breve scontro a fuoco con i soldati invasori vicino al raccordo di Burqa a Nablus.

Inoltre, decine di coloni hanno attaccato molte case nella città di Sebastia, a nord di Nablus, e sparato proiettili veri contro i palestinesi accorsi in aiuto delle famiglie.

L’esercito israeliano ha affermato che vicino a Nablus molti proiettili veri sono stati sparati contro una postazione militare da un’auto palestinese in corsa.

Nel frattempo, i soldati israeliani hanno chiuso molte strade e incroci e imposto severe restrizioni alla libertà di movimento dei palestinesi, consentendo allo stesso tempo a centinaia di coloni fanatici di marciare nell’area e dirigersi verso il sito dell’ex colonia di Homesh, dove hanno iniziato a ricostruire e predisporsi a ristabilire la colonia sulle terre palestinesi rubate.

Anche vicino a Sebastia i soldati hanno sparato contro i palestinesi una raffica di candelotti lacrimogeni, bombe a concussione [a combinazione ionica/protonica; creano un globo di 6 metri con una forza d’urto che smembra chi è vicino, ndtr.] e molti proiettili veri, causando molti feriti.

Massicce proteste hanno avuto luogo anche in varie aree di Jenin e Nablus, prima che i soldati sparassero proiettili veri, candelotti lacrimogeni e bombe a concussione.

Notizie simili riferiscono di massicce proteste nella città di Silwan, a sud della moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme occupata, dopo che l’esercito ha occupato il quartiere di Batn al-Hawa e invaso le case.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Disegno di legge finlandese metterebbe fuorilegge i prodotti delle colonie

Ali Abunimah

22 dicembre 2021 – The Electronic Intifada

In Finlandia un nuovo disegno di legge vieterebbe l’importazione di prodotti dalle colonie israeliane costruite su terra palestinese e siriana occupate.

I palestinesi stanno soffrendo per la più lunga occupazione della storia contemporanea e le politiche israeliane che infrangono sistematicamente le leggi internazionali e violano i diritti umani,” afferma Veronika Honkasalo, la parlamentare dell’Alleanza di Sinistra che ha presentato la legge. “Dobbiamo smettere di appoggiare le illegali colonie israeliane.”

La legge non cita specificamente alcun Paese.

Si applicherebbe a qualunque situazione di occupazione militare e di colonizzazione riconosciuta a livello internazionale, tra cui potenzialmente il Sahara occidentale o la Crimea.

Interventi legislativi di questo genere sono totalmente a favore del e coerenti con il diritto internazionale,” afferma Michael Lynk, consulente speciale dell’ONU sui diritti umani nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza occupate.

Lynk, un esperto indipendente nominato dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ha parlato a una tavola rotonda del 15 dicembre presieduta da Honkasalo.

È coerente con le decisioni delle Nazioni Unite,” ha aggiunto Lynk, “e, cosa più importante, è coerente con un approccio basato sui diritti umani che potrebbe realmente portare a una pace giusta e durevole in Medio Oriente.”

Attualmente ci sono circa 700.000 coloni che vivono in quasi 300 colonie in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e altri 20.000 sulle Alture del Golan siriane, tutte costruite da quando Israele occupò i territori nel 1967.

L’illegalità delle colonie israeliane è “estremamente chiara”, ha affermato Lynk, sottolineando che almeno in sette occasioni il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dichiarato che la loro costruzione è una “flagrante violazione” delle leggi internazionali.

Lo Statuto di Roma, il documento costitutivo della Corte Penale Internazionale, definisce l’insediamento di civili in un territorio occupato un crimine di guerra.

Più di quarant’anni fa il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha chiesto a tutti gli Stati “di non fornire alcuna assistenza che possa essere utilizzata specificamente in relazione con le colonie nei territori occupati.”

Lynk ha detto che la formulazione era “sufficientemente ampia” da “includere qualunque rapporto commerciale con queste colonie, perché ciò fornisce loro l’ossigeno economico di cui hanno bisogno per poter essere sostenibili e in grado di crescere.”

Bruxelles non la può bloccare

La proposta di legge di Honkasalo non è il primo tentativo all’interno dell’Unione Europea di vietare l’importazione dalle colonie.

La legge irlandese sui territori occupati, che ha lo stesso scopo, è stata approvata da entrambi i rami del parlamento di quel Paese.

Tuttavia il governo irlandese ha bloccato la sua applicazione in quanto sarebbe in contrasto con le leggi dell’UE.

Ma all’inizio di quest’anno questo pretesto è stato spazzato via. In seguito alla sentenza di un tribunale, l’UE è stata obbligata a riconoscere che il bando contro i prodotti delle colonie è una questione commerciale piuttosto che una forma di sanzione. Secondo Tom Moerenhout, un esperto di diritto commerciale internazionale che insegna alla Columbia University di New York, questa astrusa distinzione ha importanti implicazioni giuridiche.

Ciò significa che singoli Stati membri dell’UE come Irlanda e Finlandia hanno il pieno diritto di vietare prodotti delle colonie senza il permesso di Bruxelles, ha affermato Moerenhout durante la tavola rotonda del 15 dicembre.

Egli ha affermato che in base alle leggi internazionali gli Stati sono vincolati a non riconoscere o prestare assistenza all’annessione o alla colonizzazione di un territorio occupato.

Benché l’UE non conceda ai prodotti delle colonie israeliane il trattamento preferenziale in base agli accordi commerciali con Israele, essa tuttavia consente loro un accesso regolare ai suoi mercati. Questa è una forma di “riconoscimento implicito” delle colonie, ha spiegato Moerenhout.

Un modello per altri Paesi

I sostenitori della legge di Honkasalo, che probabilmente non verrà votata prima della primavera, devono ora raccogliere consensi tra i parlamentari finlandesi. Anche se sarà indubbiamente un lavoro duro, ci sono basi su cui costruire.

In Finlandia attualmente c’è un impegno di lunga data da parte del partito Socialdemocratico, condiviso dai suoi omologhi di Svezia, Norvegia e Islanda, che si sono impegnati a lavorare per un bando internazionale sui prodotti delle colonie,” ha affermato Syksy Räsänen, un fisico che è presidente di ICAHD Finlandia, un’associazione apartitica che sostiene i diritti dei palestinesi.

Attualmente il partito Socialdemocratico guida la coalizione di governo a Helsinki.

La legge “rispetterebbe parzialmente l’obbligo per lo Stato finlandese di non riconoscere una situazione illegale,” ha detto Räsänen alla tavola rotonda.

Ciò perché essa vieterebbe solo le importazioni, senza affrontare gli altri modi in cui i rapporti economici con l’estero sostengono la colonizzazione illegale attraverso investimenti, finanziamenti o la fornitura di servizi alle colonie.

Ma secondo Räsänen la legge modificherebbe comunque il modo di trattare le colonie “dal contesto della politica di potenza e dai rapporti tra Stati a essere guidato piuttosto da obiettivi riguardanti i diritti umani e più fondato sulle leggi internazionali.”

Benché la sua proposta di legge sia in una fase iniziale, Honkasalo ha affermato di aver già ricevuto richieste da parlamentari di altri Paesi che sono interessati a utilizzarla come modello per le loro iniziative.

Sono molto contenta di quante reazioni positive questa legge ha ottenuto,” ha affermato Honkasalo.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 7 – 20 dicembre 2021

Il 16 dicembre, nei pressi dell’insediamento di Homesh (Jenin), un colono israeliano di 25 anni è stato ucciso a colpi di arma da fuoco e altri due sono rimasti feriti ad opera di palestinesi che avevano teso loro un’imboscata.

Successivamente, coloni israeliani hanno bloccato strade, aggredito palestinesi e danneggiato abitazioni ed altre proprietà (vedi sotto). Il 19 dicembre, forze israeliane sono entrate nel villaggio di Silat al Harthiyah (Jenin) e hanno arrestato sei palestinesi sospettati di essere coinvolti nell’imboscata. Inoltre, le forze israeliane hanno preso le misure delle case di famiglia di quattro fra i sospettati: [poiché tale procedura viene di solito effettuata prima delle “demolizioni punitive”] gli abitanti di tali case (decine di persone) sono pertanto da considerare a rischio di sfollamento.

In Cisgiordania, in due distinti episodi, due palestinesi sono stati uccisi da forze israeliane: uno nel corso di manifestazioni in cui i dimostranti palestinesi avrebbero lanciato pietre contro forze israeliane e l’altro nel contesto di un’operazione di ricerca-arresto [seguono dettagli]. Il 10 dicembre, nel villaggio di Beita (Nablus), durante le perduranti proteste palestinesi contro gli insediamenti colonici, le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, uccidendo un 31enne palestinese. Dall’inizio di maggio 2021, quando ebbero inizio le periodiche proteste, a Beita e Beit Dajan, sono stati uccisi nove palestinesi e oltre 5.700 sono stati feriti: 218 con proiettili veri, 1.083 con proiettili di gomma, altri 4.341 hanno avuto bisogno di cure mediche per aver inalato gas lacrimogeni. Il 13 dicembre, a Nablus, nel corso di un’operazione di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi armati; un palestinese di 31 anni è stato ucciso e altri due sono rimasti feriti in circostanze non chiare.

In Cisgiordania, durante il periodo in esame, nel corso di proteste e in scontri seguiti a operazioni di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno ferito 348 palestinesi, tra cui 109 minori [seguono dettagli]. La maggior parte dei feriti è stata segnalata in tre distinti episodi accaduti a Burqa e Beita, dove 204 persone, tra cui 80 minori, sono rimaste ferite dalle forze israeliane durante scontri seguiti all’ingresso di coloni israeliani nei villaggi palestinesi. Altri 133 sono rimasti feriti nel governatorato di Nablus, vicino a Beita (114) e Beit Dajan (19), durante proteste contro gli insediamenti colonici. Altri sette palestinesi sono rimasti feriti durante tre operazioni di ricerca-arresto condotte a Nablus, Ramallah e Hebron. Nel complesso, 44 palestinesi sono stati feriti da proiettili di gomma, otto sono stati aggrediti fisicamente e 296 sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni necessitante cure mediche.

Due coloni israeliani sono stati feriti da palestinesi: uno a Gerusalemme Est e l’altro nella Zona H2 della città di Hebron [seguono dettagli]. Il 18 dicembre, a Hebron, un colono israeliano di Kiryat Arba è stato accoltellato e ferito, secondo quanto riferito, da una donna palestinese di 65 anni. Il 10 dicembre, una colona israeliana è stata accoltellata e ferita nel quartiere di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est; è stata accusata dell’accoltellamento, e arrestata, una ragazza palestinese dello stesso quartiere, la cui famiglia rischia lo sgombero forzato. Successivamente, a Sheikh Jarrah, per un solo giorno, le forze israeliane hanno re-imposto le restrizioni di movimento, bloccandone l’accesso (fatta eccezione per i palestinesi residenti) ed hanno smantellato una tenda che era stata collocata in solidarietà con le famiglie a rischio sfratto. Coloni israeliani hanno danneggiato case e automobili palestinesi (vedi sotto). Il 19 dicembre, vicino alla Città Vecchia di Gerusalemme, la polizia israeliana ha arrestato un palestinese sospettato di aver tentato di accoltellare un israeliano.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno effettuato 112 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 197 palestinesi. Il maggior numero di operazioni è stato registrato nel governatorato di Hebron (27), seguito da Ramallah (22) e Gerusalemme (17).

A causa della mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, sequestrato o costretto i proprietari a demolire un totale di 15 strutture palestinesi. Di conseguenza, 64 persone sono state sfollate, tra cui 30 minori, e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di circa altre 52 [seguono dettagli]. Otto delle 15 strutture (una struttura abitativa e sette strutture di sussistenza) erano in Area C, in quattro Comunità di Gerusalemme, Hebron, Betlemme e Nablus. Le altre sette strutture, comprese cinque case demolite dai proprietari per evitare di pagare le multe, si trovavano in Gerusalemme Est.

A Gerusalemme Est, nell’area di Um Haroun del quartiere di Sheikh Jarrah, una famiglia di rifugiati palestinesi di 11 persone, tra cui quattro minori, è a forte rischio di sgombero forzato dalla propria casa. Ciò fa seguito all’emissione di un ordine di sfratto del 7 dicembre. La famiglia dichiara di abitare la casa dal 1951, e di averla avuta in affitto inizialmente dal “Custode Giordano delle Proprietà del Nemico” [ente istituito durante la guerra arabo-israeliana del 1948 per gestire le proprietà sottratte agli ebrei in Cisgiordania] con un contratto di “locazione tutelata”. A Gerusalemme Est, un totale di 218 famiglie palestinesi, composte da 970 persone, tra cui 424 minori, stanno affrontando casi di sgombero forzato, avviati soprattutto da organizzazioni di coloni. Il 15 dicembre, coloni israeliani hanno recintato il terreno antistante la casa. Il 17 dicembre sono stati segnalati scontri tra residenti palestinesi e coloni israeliani. Le forze israeliane hanno sparato lacrimogeni e granate assordanti ed hanno aggredito fisicamente residenti, attivisti e giornalisti. Almeno un giornalista e un poliziotto di frontiera israeliano sono rimasti feriti e tre palestinesi sono stati arrestati.

In Cisgiordania, in due casi, coloni israeliani hanno ferito tre palestinesi e, in 20 casi, persone note come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi [seguono dettagli]. Nei villaggi di Burqa e Qaryut (Nablus), in cinque episodi verificatisi in due giorni consecutivi, due anziani palestinesi sono rimasti feriti e almeno 20 case di proprietà palestinese e sei auto e altre proprietà sono state vandalizzate. Nella Città Vecchia di Gerusalemme un altro palestinese è stato aggredito fisicamente da israeliani e spruzzato in faccia con spray al peperoncino. Circa 400 alberi sono stati vandalizzati a Deir Istiya (Salfit), Kafr Ni’ma (Ramallah), Deir Sharaf (Nablus) e Khallet Athaba’, e nel governatorato di Hebron. A Gerusalemme Est, in seguito all’accoltellamento in Sheikh Jarrah descritto sopra, in sette episodi di lancio di pietre, sono stati danneggiati almeno otto veicoli palestinesi, e altre dieci auto sono state vandalizzate. A Nablus e Hebron sono state vandalizzate strutture agricole. Nella zona H2 di Hebron, un colono israeliano ha lanciato pietre, danneggiando una casa palestinese.

Nei governatorati di Gerusalemme, Nablus e Gerico, persone note come palestinesi, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani, ferendo 11 coloni. Secondo fonti israeliane, in Cisgiordania, il lancio di pietre ha danneggiato 33 auto israeliane.

Vicino alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa di Gaza, in almeno 36 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento [verso palestinesi], apparentemente per far rispettare le restrizioni di accesso [a loro imposte]; non sono stati segnalati feriti. Due pescatori palestinesi sono stati arrestati e una barca è stata confiscata dalle forze israeliane. All’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale, bulldozer militari israeliani hanno condotto due operazioni di spianatura del terreno. In due casi, le forze israeliane hanno arrestato quattro palestinesi di Gaza mentre, secondo quanto riferito, stavano cercando di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale.

Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

Il 21 dicembre, nei pressi dell’insediamento di Mevo Dotan, un palestinese avrebbe tentato di speronare con il suo veicolo forze israeliane: è stato colpito con arma da fuoco ed ucciso.

Il 22 dicembre, vicino al Campo profughi di Al Am’ari, un palestinese è stato ucciso a colpi di arma da fuoco: avrebbe aperto il fuoco contro forze israeliane.

Il 24 dicembre, vicino al villaggio di Sinjil (Ramallah), una donna palestinese è stata investita da un’auto guidata da un colono israeliano ed è morta per le ferite riportate. Secondo i media israeliani, l’autista si è consegnato alla polizia israeliana che ha avviato un’indagine sull’accaduto.




Le chiese di Gerusalemme accusano Israele di discriminazione e denunciano il declino dei cristiani

Mustafa Abu Sneineh

21 dicembre 2021 – Middle East Eye

Patriarchi e capi delle chiese denunciano che i cristiani palestinesi sono diventati un bersaglio di attacchi ripetuti da parte di gruppi di estrema destra israeliani.

I cristiani palestinesi hanno criticato Israele per aver ostacolato la stagione turistica natalizia e averli discriminati, affermando di ritenere la loro presenza minacciata nella Gerusalemme est e nella Cisgiordania occupate e in Israele.

I patriarchi e i capi delle chiese di Gerusalemme hanno rilasciato una dichiarazione la scorsa settimana in cui affermano che “i cristiani sono diventati il ​​bersaglio di attacchi frequenti e prolungati da parte di frange radicali”, riferendosi agli attivisti di estrema destra israeliani.

Hanno dichiarato che dal 2012 sono stati registrati “innumerevoli incidenti” con attacchi verbali e fisici contro sacerdoti e che alcune chiese sono state “vandalizzate e profanate”, aumentando così timori che i cristiani palestinesi nutrono per la loro sicurezza.

“Queste tattiche vengono utilizzate dai suddetti gruppi radicali nel tentativo sistematico di cacciare la comunità cristiana da Gerusalemme e da altre parti della Terra Santa”, afferma la dichiarazione, riferendosi alla Palestina e ad Israele.

Chiese bruciate

Dal 2015 attivisti israeliani di estrema destra hanno attaccato diverse chiese in Israele e Palestina.

Alcune figure israeliane vicine al crescente movimento politico del sionismo religioso, che ha quattro parlamentari, hanno chiaramente affermato di voler mettere al bando il Natale e hanno affermato che le chiese sono luoghi di venerazione di idoli, chiedendone la distruzione.

La Chiesa della Moltiplicazione sul Mar di Galilea ha subito un incendio doloso nel 2015 per mano di un gruppo di estrema destra israeliano.

Lo scorso dicembre un israeliano ha tentato di dare fuoco allo storico santuario del Getsemani a Gerusalemme est, nota anche come Chiesa di Tutte le Nazioni, prima di essere arrestato.

Gli attacchi incendiari sono una tattica comune usata dai coloni israeliani contro i palestinesi nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme est. Altri attacchi dei coloni includono graffiti razzisti con le bombolette di vernice, la rottura di finestre e il taglio di pneumatici.

I patriarchi e i capi delle chiese hanno affermato che “i gruppi radicali israeliani continuano ad acquisire proprietà strategiche nel quartiere cristiano [nella Città Vecchia di Gerusalemme] allo scopo di diminuire la presenza cristiana”.

Il loro non è il primo allarme del genere negli ultimi giorni.

In un editoriale congiunto sul quotidiano britannico Sunday Times, Justin Welby, arcivescovo di Canterbury, e Hosam Naoum, arcivescovo anglicano di Gerusalemme, hanno denunciato il declino della presenza cristiana in Palestina causato dai tentativi di gruppi israeliani di estrema destra di espellerli.

Hanno rilevato come un secolo fa in quella che allora era la Palestina del Mandato britannico ci fossero circa 73.000 cristiani palestinesi, che rappresentavano il 10% della popolazione. Hanno fatto notare che invece nel 2019 solo il 2% della popolazione israeliana e palestinese è cristiana e solo 2.000 cristiani palestinesi vivono nella Città Vecchia di Gerusalemme.

“È per questo motivo che quando parli con i cristiani palestinesi a Gerusalemme oggi senti spesso questo grido: ‘Tra 15 anni non resterà nessuno di noi!'”, hanno scritto.

I gruppi di coloni israeliani, spesso incoraggiati dalle autorità, continuano a cacciare i palestinesi – musulmani o cristiani – dalle loro case nei quartieri di Gerusalemme come Sheikh Jarrah, Silwan, Batn al-Hawa e Wadi Hilweh, così come nella Città Vecchia.

Il quinto lokdown

La scorsa settimana Israele ha vietato agli stranieri di entrare nel Paese fino al 29 dicembre a seguito della diffusione della nuova variante del Covid-19, Omicron.

Il divieto include anche i pellegrini cristiani che avrebbero visitato i luoghi santi di Gerusalemme est, Betlemme e Nazareth.

Tuttavia, la decisione è stata criticata da personalità cristiane palestinesi, che hanno affermato che il governo israeliano li ha discriminati consentendo ai giovani ebrei di visitare Israele come parte del progetto “Birthright” [diritto di nascita], che offre tour gratuiti ai giovani ebrei della diaspora.

Wadie Abunassar, portavoce e consigliere delle chiese in Terra Santa, ha scritto su Facebook che la decisione di Israele di vietare l’ingresso a migliaia di pellegrini cristiani vaccinati con la terza dose durante il Natale, consentendo invece a gruppi ebraici di visitare il Paese durante il quinto lockdown, è stata accolta con “disappunto”.

“Ho chiesto a consulenti legali e mi hanno detto che si tratta di una discriminazione morale illegale. Non possiamo assolutamente accettare questa discriminazione razzista. Esorto le autorità israeliane a trattare allo stesso modo tutti coloro che vogliono visitare il Paese senza alcuna discriminazione su base religiosa”, ha scritto Abunassar.

Si stima che circa 10.000 pellegrini cristiani avrebbero visitato la Palestina e Israele durante il periodo natalizio. Ma i viaggi sono stati annullati

La città di Betlemme, in Cisgiordania, dove si crede sia nato Gesù, è stata duramente colpita dalla pandemia e il suo settore alberghiero sta vivendo un secondo Natale senza turisti.

Betlemme è stata la prima città palestinese a imporre il blocco nel marzo 2020 quando sono stati rilevati casi di Covid-19 tra i turisti. È circondato dal muro di separazione di Israele e da posti di blocco militari, che la isolano dalle città di Gerusalemme ed Hebron.

Nel tentativo di mitigare il crollo del settore turistico a Betlemme, l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha offerto ai lavoratori alberghieri in città un sussidio una tantum di 700 shekel (196 €).

Gli hotel di Betlemme sono vuoti di turisti e pellegrini stranieri a causa delle restrizioni alle frontiere israeliane per contrastare la diffusione del Covid-19.

Welby e Naoum hanno scritto che i cristiani palestinesi stanno vivendo “una tragedia storica che si svolge in tempo reale”.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




‘Siamo una famiglia’: gli israeliani che condividono la vita e la speranza con i palestinesi

Bethan McKernan e Quique Kierszenbaum nelle colline a sud di Hebron

Domenica 19 dicembre 2021 – The Guardian

I partecipanti a un progetto linguistico immersivo in Cisgiordania parlano dei forti legami che vengono forgiati per contrastare l’aumento della violenza dei coloni

Nella capanna di compensato in cui la palestinese Iman al-Hathalin e la sua famiglia vivono dal 2014, da quando la loro casa è stata demolita dalle autorità israeliane, il calore di un traballante samovar è gradito. Fuori dall’unica finestra il cielo invernale è di un bianco accecante: inonda la stanza di una luce gelida e crea una danza di ombre sulle sottili pareti.

Sembra che ultimamente siano stati tutti malati, compresa la figlia di due anni di Hathalin, che dorme a intermittenza sulle sue ginocchia, e Maya Mark, la sua ospite israeliana di lingua araba. “Non è esagerato dire che Maya è per me come una sorella”, ha detto la 28enne. Ero così preoccupata quando era malata. Siamo una famiglia.”

Le amiche si ritrovano insieme in un villaggio nel profondo delle colline a sud di Hebron, uno dei posti più difficili da raggiungere all’interno dei confini della Cisgiordania.

Questo luogo roccioso e arduo è uno dei fronti più feroci dell’occupazione: case palestinesi, strade asfaltate e cisterne d’acqua vengono ripetutamente demolite grazie a un divieto quasi totale di costruzione, mentre prosperano le colonie illegali israeliane.

Anziché crollare sotto queste pressioni, tuttavia, la comunità locale è diventata una profonda sorgente di attivismo palestinese nonviolento, che ha spesso lavorato a stretto contatto con il movimento israeliano contro l’occupazione. In assenza di un significativo processo di pace dall’alto verso il basso, Hathalin e Mark fanno parte di una nuova generazione di attivisti che stanno compiendo silenziosamente un nuovo, straordinario passo.

Insieme a Nnur Zahor, un’altra israeliana che parla arabo, Mark ha creato un corso immersivo di apprendimento linguistico per giovani attivisti israeliani che la pensano allo stesso modo, tenuto da otto donne palestinesi del luogo, tra cui Hathalin. Nel corso di diversi mesi, il progetto ha contribuito a creare in diversi villaggi relazioni profonde tra gli studenti e le persone del luogo, e la presenza di israeliani sta contrastando la crescente ondata di violenza da parte dei coloni.

Il progetto che non ha una denominazione ufficiale – è possibile grazie a decenni di lavoro di attivisti più anziani che hanno costruito la fiducia tra le comunità: è improbabile che possa espandersi o essere replicato altrove. Ma niente di simile a questa idea nata dal basso e a lungo termine è mai successo prima e tutti i soggetti coinvolti concordano sul fatto che sia un’impresa ricca di soddisfazioni.

La gente qui non ha affatto bisogno di noi, afferma Mark, di 26 anni. Essere qui mi ha insegnato a essere più modesta riguardo all’attivismo e al mio ruolo. Arrivare a comprendere la profondità della resistenza in questo luogo è un’esperienza stimolante e inestimabile”.

Secondo il gruppo israeliano per i diritti umani B’Tselem, nelle colline di Hebron esiste almeno dal 1830 una civiltà peculiare di abitazioni rupestri, rifugi naturali utilizzati come abitazioni e per la custodia di pecore e capre. Nei decenni trascorsi dalla creazione di Israele anche le famiglie beduine espulse dal deserto del Negev si sono inoltrate verso queste aride colline pedemontane, a nord delle loro terre ancestrali.

Il territorio è stato invaso da Israele nel corso della guerra del 1967 e ora fa parte dell’Area C, il 60% della Cisgiordania sotto il pieno controllo israeliano.

Ma i pastori e gli agricoltori palestinesi non sono più le uniche persone che vivono qui. Dagli anni ’80 sono state create decine di colonie israeliane, molte delle quali illegali non solo ai sensi del diritto internazionale ma anche del diritto israeliano.

Incoraggiati dal forte sostegno di Donald Trump alla destra di Israele, negli ultimi anni i coloni sono diventati più audaci, impadronendosi di sempre più terre che Israele classifica come “terreni dello Stato” o “poligoni di tiro”, e le loro tattiche sono diventate sempre più violente.

Le Nazioni Unite hanno registrato nel corso dei primi 10 mesi del 2021 410 aggressioni da parte di coloni contro civili e proprietà palestinesi in Cisgiordania, compresi quattro uccisioni, rispetto alle 358 nel 2020 e alle 335 nel 2019. Invece di intervenire, affermano le Nazioni Unite e le organizzazioni per i diritti civili, il più delle volte le forze di sicurezza israeliane stanno a guardare o addirittura partecipano.

Capita che anche i palestinesi ricorrano alla violenza. All’inizio di questa settimana uomini armati hanno teso un’imboscata a un’auto con targa israeliana mentre lasciava Homesh, nel nord della Cisgiordania, uccidendo un venticinquenne e ferendo altre due persone.

Sono comuni lanci di pietre, spari con proiettili veri, abbattimenti o incendi dolosi di raccolti e ulivi, uccisioni di pecore e atti vandalici su proprietà. A settembre, in uno degli episodi recenti più gravi, decine di uomini armati provenienti da due avamposti coloniali vicini hanno fatto irruzione nel villaggio di Mufakara, sulle colline di Hebron, rompendo finestre e pannelli solari, squarciando pneumatici, ribaltando un’auto e ferendo sei persone.

Prima della pandemia gli abitanti di Hebron erano spesso supportati da volontari internazionali che aiutavano a scortare i bambini a scuola su strade pericolose tra gli avamposti coloniali e fronteggiavano i coloni che violavano terre private palestinesi.Ma quando i confini internazionali si sono chiusi rendendo impossibile viaggiare, gli attivisti locali hanno deciso di rivolgersi agli amici israeliani.

Alcuni di noi hanno preso l’iniziativa di chiedere il loro intervento. Non tutti in zona sono d’accordo, non capiscono cosa vorremmo cercare di ottenere. Ma prima di dover segnalare degli incidenti da parte dei coloni, ora i nostri alleati israeliani possono avere un’esperienza immediata e documentare tutto”, afferma Nasser Nawaja, un noto attivista locale. Gli israeliani stanno imparando cosa significa vivere qui. E i nostri figli stanno imparando che gli ebrei non sono solo coloni o soldati”.

Dalla primavera piccoli gruppi di israeliani si recano a turno in un territorio costituito da una manciata di villaggi sulle colline di Hebron, anche se per motivi di sicurezza i volontari hanno chiesto di tenere nascosta la loro posizione esatta. In apparenza i circa 10 volontari sembrano avere poco in comune: provengono da varie parti di Israele, da diversi contesti familiari, e per quanto tutti si descriverebbero come politicamente di sinistra, ne mettono in discussione il significato.

Gli studenti prendono lezioni di arabo due mattine a settimana, con un programma che Mark e Zahor hanno realizzato appositamente per madrelingua ebraici. Prendono parte alla vita di tutti i giorni e non c’è nessun divieto di discutere di argomenti politici, a differenza di quanto previsto in Israele nella maggior parte dei programmi di arabo.

“Quando sono arrivata, ricordo di aver pensato: ‘Cosa farò qui? Come interagirò, come sosterrò questa comunità?’ In estate non capivo nulla di quanto si diceva, ma ora comprendo circa il 50% della conversazione. È molto eccitante”, ha affermato giovedì scorso Maya Eshel, 26 anni, nel corso di un incontro di gruppo con l’Observer in un centro comunitario durante una giornata fredda e cupa.

Il gruppo passa il resto del tempo a prestare aiuto in ciò che serve. Sono molto utili come sorveglianti: se qualcuno chiama per dire che i coloni si stanno avvicinando a un villaggio, o che impediscono ai pastori di raggiungere la loro terra, i volontari entrano in azione afferrando binocoli e macchine fotografiche dotate di teleobiettivi donati da B’Tselem e affrettandosi verso le loro auto.

A volte può bastare la loro presenza, o un dialogo in ebraico, per allentare la tensione. Male che vada possono riprendere ciò che accade e fornire testimonianze alla polizia, anche se finora su decine di segnalazioni è stato sottoposto ad indagine solo un caso.

Durante la nostra visita il clima rilassato del fine settimana in un villaggio è cambiato drasticamente dopo che una bambina è corsa verso le case prefabbricate gridando di aver visto due coloni della grande colonia dall’altra parte della valle avvicinarsi ad un uliveto palestinese. Gli adulti e gli attivisti israeliani si sono precipitati verso il punto di osservazione più vicino; i cani del villaggio abbaiavano. Attraverso il binocolo, hanno notato che le due figure avevano le apparenze di ragazzini. Sembrava che uno di loro avesse con sé una sega. Notando gli adulti sul crinale i ragazzini si sono fermati, tornando quindi indietro verso linsediamento.

“A volte mi trovo a vagare colla jeep, magari è notte fonda, in un luogo in cui non sono mai stato, e mi fermo e penso tra me e me: ‘Che cazzo ci faccio qui?'”, dice Matan Brenner-Kadish , di 25 anni. Questo progetto non è proprio adatto a tutti e, nel lungo periodo, stiamo solo tappando i buchi in una barca. Se la motivazione fosse rabbia e vergogna, allora questo impegno sarebbe estenuante. Ma se si parte dall’idea di accettare che ciò porta dei benefici sia a noi che a loro, la prospettiva cambia”.

Il progetto non è esente da rischi. All’inizio di questo mese, tre componenti del gruppo sono stati detenuti in una stazione di polizia durante la notte con l’accusa di non essere intervenuti per aiutare un colono che era stato spinto a terra dagli abitanti quando ha cercato di entrare in un villaggio palestinese. Sono stati sequestrati fotocamere, computer portatili, telefoni e un’auto, il tutto senza un mandato. I tre membri detenuti potrebbero tecnicamente subire condanne a tre anni di carcere.

“Uno degli argomenti usati dai coloni è che la nostra presenza porti ad una maggiore violenza: uno di loro ci ha esplicitamente incolpato dicendo che loro [i palestinesi, ndtr.] stanno conducendo delle aggressioni a causa nostra”, riferisce Itai Feitelson, 26 anni.

Che ci fossimo o meno, loro [i coloni, ndtr.] sarebbero comunque violenti. Ciò dimostra che quello che stiamo facendo sta funzionando”, afferma Brenner-Kadish. “E, in fin dei conti, se i palestinesi lo possono fare per tutta la vita, possiamo farlo anche noi”.

Questo articolo è stato modificato il 22 dicembre 2021 per quanto riguarda i dati sulle vittime civili palestinesi; le Nazioni Unite hanno registrato quattro uccisioni, non “omicidi” come affermava una versione precedente.

(traduzione dallinglese di Aldo Lotta)




I coloni hanno un nuovo obiettivo da attaccare: le scuole palestinesi

Gideon Levy, Alex Levac

 16 dicembre 2021 Haaretz

I soldati israeliani impediscono con la forza ai bambini palestinesi di raggiungere la scuola e sparano lacrimogeni nelle aule. I coloni li maledicono, li picchiano e umiliano i loro insegnanti. Immaginate che specie di sentimenti vi ribollano.

Nessuno riceve lezioni migliori sulle teorie dell’occupazione e dell’apartheid dei bambini di Lubban al-Sharqiyah, un villaggio di 4.000 persone situato a 15 chilometri a sud di Nablus. Non è difficile indovinare che tipo di sentimenti vi si stiano sviluppando e quali generazioni usciranno in futuro dalle due scuole elementari, una maschile e una femminile, di Lubban e di altri due villaggi. Gli edifici si trovano entrambi vicino all’autostrada 60, la strada più trafficata della Cisgiordania, utilizzata sia dai coloni che dai palestinesi, dove si sono verificati molti incidenti con lancio di pietre da parte di bambini palestinesi.

I bambini di questo villaggio hanno visto di tutto. Hanno visto soldati israeliani impedirgli con la forza di raggiungere la scuola e coloni che li maledicevano e li picchiavano. Hanno patito il soffocamento a causa dei gas lacrimogeni e sono stati colpiti da proiettili di metallo ricoperti di gomma sulla strada per la scuola e ritorno. Hanno visto i loro insegnanti umiliati – secondo le testimonianze, i soldati hanno costretto più volte di fronte ai loro alunni gli insegnanti a inginocchiarsi– e hanno visto soldati lanciare lacrimogeni nelle aule e nei cortili delle scuole.

A Lubban al-Sharqiyah, i genitori mandano a scuola i figli la mattina senza sapere in quale stato torneranno. In verità il capo del Consiglio locale, Yakub Iwassi, racconta che arriva all’ingresso del villaggio ogni mattina alle 6:30 per accompagnare i bambini a scuola e garantire loro sicurezza. Sebbene si siano verificati incidenti con lancio di pietre sull’autostrada, secondo il capo del Consiglio, sono un ricordo del passato. Non ci sono stati incidenti da più di due settimane, aggiunge Iwassi, e lui e il suo staff stanno facendo tutto il possibile per prevenirli. Recentemente gruppi di genitori si sono offerti volontari per filmare e documentare ciò che accade vicino alle scuole.

L’insegnante di religione della scuola femminile, Iman Daragme, è madre di Ziyad, 14 anni, che frequenta la scuola maschile. L’alunno frequenta la terza media ed è stato ferito ad un occhio durante l’ultimo giorno di disordini vicino alla scuola, il 17 novembre. Quella mattina, racconta Ziyad, è uscito come al solito ma quando è arrivato all’incrocio appena fuori dal villaggio, ha visto dozzine di coloni lungo la strada che porta alle scuole – pensa che fossero in 200 – e soldati dell’Esercito Israeliano in piedi accanto a loro. I coloni stavano protestando contro il lancio di pietre sull’autostrada e i soldati hanno impedito ai bambini di avanzare. Ma Ziyad dice che quel giorno non c’era stato alcun lancio di pietre.

Sua madre si occupa molto di lui. Al momento ha un braccio fasciato, ma non a causa degli eventi di quel giorno: domenica se l’è rotto cadendo dalla bicicletta.

Erano le 7:30 di quel mercoledì mattina, qualche settimana fa. La situazione iniziava a surriscaldarsi. I bambini si sono affrettati verso la scuola, i coloni hanno continuato la loro manifestazione e i soldati hanno iniziato a sparare lacrimogeni e proiettili ricoperti di gomma per disperdere i bambini e costringerli a tornare al villaggio. Per quanto lo riguarda Ziyad è sicuro che i coloni stiano rendendo impossibile la vita agli scolari come parte di un piano: “I coloni vogliono chiudere la scuola in modo da impadronirsene”, ci dice. “Hanno già occupato il vecchio mercato vicino al villaggio”.

Gli scontri sono continuati sulla strada per la scuola sino al tardo pomeriggio. La maggior parte degli abitanti del villaggio è arrivata all’incrocio, il posto sembrava un campo di battaglia. Secondo un membro del Consiglio del villaggio, Falastin Noubani, quel giorno 60 bambini hanno patito in qualche modo il gas lacrimogeno e non sono mai arrivati a scuola; 40 sono stati feriti da proiettili ricoperti di gomma, quasi tutti in modo non grave. Ma un ragazzo, Ziyad Salame, 11 anni, è stato colpito alla testa da un proiettile di metallo rivestito di gomma. Inizialmente si è temuto per la sua vita, a causa di un ematoma cerebrale. Alla fine l’emorragia si è fermata e il pericolo è passato. E Ziyad Daragme, il figlio dell’insegnante, è stato colpito all’occhio da una scheggia o da qualcos’altro. È stato portato a Salfit all’ospedale governativo Yasser Arafat Martire, e da lì è stato inviato all’ospedale oftalmico Hugo Chavez a Turnus Aya, vicino a Ramallah, dove è stato curato.

L’Unità Portavoce dell’Esercito Israeliano in settimana ha emanato questa vaga risposta sulla situazione di Lubban al-Sharqiya: “Alla luce dei recenti eventi di scontri e disordini nelle vicinanze del villaggio, che ricade sotto la giurisdizione della Brigata territoriale Binyamin, alcune misure sono state prese dall’Esercito Israeliano in coordinamento con i rappresentanti del villaggio per arginare il problema. A seguito di queste misure, gli scontri nell’area sono notevolmente diminuiti”.

Le due scuole di Lubban sono vicine l’una all’altra ed entrambe si trovano proprio a ridosso della Strada Statale 60, a circa due chilometri dal centro del paese. Nel 2014 l’Amministrazione Civile, un ramo del governo militare in Cisgiordania, ha costruito una barriera lungo l’autostrada per proteggere gli scolari dalle auto in corsa, e per loro ha costruito anche un marciapiede. Ai palestinesi è proibito costruire qualsiasi cosa in quest’area: l’autostrada è nell’Area C, amministrata da Israele. Prima di queste migliorie, nel corso degli anni circa 20 bambini erano stati uccisi in incidenti stradali sulla strada per la scuola e ritorno.

Gli alunni iscritti alle due scuole sono 661: 421 nella scuola maschile e 240 nella femminile. La scuola maschile è stata costruita nel 1944, quella femminile nel 1971, molto prima di tutti gli insediamenti che stanno ora soffocando il paese da ogni lato; alcuni sono stati costruiti su terreni di proprietà del villaggio.

In una conversazione nel suo ufficio, Iwassi, capo del Consiglio, un uomo d’affari di 58 anni tornato nella sua casa in Cisgiordania dopo aver trascorso 15 anni a Tampa in Florida, ci racconta che negli ultimi mesi è stato minacciato dai soldati dell’Esercito Israeliano che brandivano fucili mentre accompagnava i bambini a scuola. Dice che è stato colpito due volte con proiettili rivestiti di gomma e aggiunge che due settimane fa i soldati hanno afferrato un ragazzo che stava andando a scuola e lo hanno arrestato. Quando Iwassi ha protestato, i soldati gli hanno detto che il ragazzo, Muayid Hussam, 11 anni, aveva lanciato pietre sull’autostrada tre giorni prima mentre andava a scuola. Hussam è stato preso in custodia e rilasciato quattro ore dopo. Iwassi ha indagato sulla vicenda e ha scoperto che il giovane sospettato quel giorno non era nemmeno andato a scuola.

Il capo del Consiglio ci dice che per salvaguardare i bambini ha messo un insegnante ogni 100 metri lungo il percorso che porta alle scuole. In alcuni casi, dice, i coloni si piazzano sul ciglio della strada e minacciano i ragazzi. Gli hanno riferito, per esempio, che un colono aveva gridato che le loro scuole sarebbero passate ai coloni, e addirittura diceva ai bambini che erano stati scelti nuovi nomi: “Brooklyn” per la scuola femminile, “Bnei Yisrael” per quella maschile.

Issawi conserva nel suo cellulare le informazioni che ha raccolto nell’ultimo anno. L’esercito ha fatto irruzione nelle scuole otto volte mentre si teneva lezione; le truppe hanno impedito agli alunni di raggiungere le scuole 76 volte. I droni sono stati avvistati nell’area cinque volte: non è chiaro se li abbiano lanciati l’esercito o i coloni, ma hanno disturbato e spaventato i bambini. Sono stati lanciati gas lacrimogeni nelle aule sette volte e ogni volta gli edifici hanno dovuto essere evacuati. Gli alunni sono stati picchiati 13 volte, ma non hanno riportato ferite. Tredici alunni sono stati fermati per qualche ora o per alcuni giorni. L’Esercito Israeliano ha chiuso i cancelli delle scuole 15 volte. I coloni hanno attaccato violentemente gli alunni sette volte. E ci sono stati circa 100 incidenti, dice Issawi, in cui soldati o coloni stavano minacciosamente vicino agli ingressi delle scuole.

“Con quale diritto i coloni armati vengono al cancello di una scuola?” chiede il capo del Consiglio. “Sai, se mi capitasse di camminare per strada armato, verrei arrestato immediatamente. In tutto il mondo i civili non possono andare in giro armati, solo la polizia e le forze di sicurezza. Allora perché i coloni possono farlo? A volte i coloni urinano davanti alle ragazze. Ho parlato con i soldati, ma non hanno fatto nulla. I coloni gridano ai bambini: ‘Questa è la nostra terra. Qui vivranno solo ebrei. Siete degli animali. Siete cani. Questa terra appartiene solo a noi. Morte agli arabi!’ “

“Questa non è vita”, continua. “I nostri figli non pensano ad imparare, ma solo a tornare a casa sani e salvi. Gli insegnanti hanno paura per gli alunni. Questa non è vita”. Noubani, membro del Consiglio, aggiunge: “I nostri figli hanno il diritto di camminare lungo il ciglio della strada per andare a scuola. Nessuno ci può dettare dove debbano camminare i nostri figli”.

Verso la scuola, da un’altra direzione, c’è anche un sentiero sterrato ma non raggiunge tutti gli abitanti del villaggio.

Iwassi: “Dobbiamo salvaguardare questo percorso, perché ci sono bambini che vengono dall’altra parte della strada. L’esercito può dirmi quali bambini stanno creando problemi e io mi occuperò di loro. Tutto ciò che vogliamo è che i nostri figli possano studiare in pace”.

Noubani racconta che negli ultimi anni gli attacchi da parte dei coloni sono stati continui, ma non erano mai arrivati alle scuole: “Che i coloni vadano lì è una novità. Vengono da tutta la zona, non solo dalle colonie vicine. Eravamo abituati al fatto che abbattessero i nostri alberi, ma gli attacchi ai nostri figli sono una novità”.

Iwassi è d’accordo, e osserva che anche se ci sono sempre stati attacchi da parte di soldati e coloni, non sono mai stati tanti quanti nell’anno passato. Perché pensa che la situazione sia peggiorata, gli chiediamo. “Perché questo governo è un governo di coloni. Questo è il problema. Quando il primo ministro è amico dei coloni, questo è il risultato. Questa è la direttiva. Il governo precedente era meno un governo dei coloni di questo”.

Nel corso degli anni, sono stati sottratti a Lubban circa 5.000 dunam (1.250 acri) di terra con la costruzione delle vicine colonie di Ma’aleh Levona, Eli, Shiloh e Givat Harel.

“Tagliano i nostri alberi e bruciano i campi”, dice Iwassi. “Ti alzi la mattina e tutti i tuoi ulivi sono stati abbattuti. Vogliono una scuola vuota e un villaggio vuoto e un paese senza palestinesi”.

L’ultimo giorno del Ramadan di quest’anno Ahmed Daragme, 34 anni, residente nel villaggio, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco dai soldati all’incrocio di Tapuah mentre tornava a casa dopo aver acquistato dei dolci per la festa. I soldati pensavano che avesse in mano una pistola, ma non ce n’era traccia. Il suo amico Mohammed Noubani, 28 anni, che era con lui in macchina, è stato ferito gravemente e da allora è su una sedia a rotelle.

Abbiamo chiesto a Iman, insegnante di religione, qual è la cosa peggiore degli incidenti nelle scuole: “Le maledizioni che i nostri alunni si sentono lanciare dai coloni. E anche quando i soldati a volte stanno vicino alle finestre delle aule. Questo spaventa i bambini”.

Sul muro della scuola femminile c’è il disegno di un’insegnante con degli alunni. “Insegnaci l’aritmetica e non le botte”, dicono gli alunni all’insegnante con un gioco di parole in arabo.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)