‘Non potevo respirare’: un weekend di violenze dei coloni a Hebron

Oren Ziv

22 novembre 2022 – +972 Magazine

Gli abitanti palestinesi della città occupata, da tempo abituati alle aggressioni dei coloni, descrivono un massiccio attacco da parte di religiosi israeliani affiancati dalle forze di sicurezza.

Lo scorso weekend circa 30.000 ebrei israeliani sono calati sulla città di Hebron nella Cisgiordania occupata per onorare le parole della Torah dal Libro della Genesi in cui Abramo acquista un appezzamento di terreno a Hebron dove seppellire sua moglie Sarah. Ogni anno il “Sabato della Vita di Sarah” viene celebrato da una marcia attraverso la città occupata, spesso accompagnata da atti di violenza contro gli abitanti palestinesi. Il corteo di quest’anno non è stato diverso: infatti gli abitanti del luogo lo hanno descritto come la peggior violenza che la manifestazione abbia comportato in circa due decenni.

Gli attacchi sono iniziati venerdì notte, quando decine di israeliani hanno attaccato per due volte la casa di un abitante palestinese, rompendo le finestre e danneggiando la sua auto. Secondo testimoni oculari soldati e polizia sono arrivati sul posto, ma non hanno eseguito alcun arresto. Poi, sabato, decine di migliaia di israeliani hanno marciato attraverso il mercato, attaccando negozi e abitanti palestinesi, accompagnati da soldati che non hanno fatto niente per impedire le violenze. Intanto gran parte del centro città, dove i movimenti dei palestinesi sono già fortemente limitati, è stato ulteriormente sbarrato ai palestinesi.

Il giorno seguente la zona intorno alla Tomba dei Patriarchi/Moschea di Ibrahim era tranquilla, ma ancora gremita da visitatori ebrei che dovevano ancora ritornare a casa. Gli operai hanno smontato pedane, tende e montagne di rifiuti, che erano la prova delle decine di migliaia di partecipanti. Sulla strada da Kiryat Arba alla Tomba dei Patriarchi/Moschea di Ibrahim comparivano ogni pochi metri striscioni con le parole “Hebron, sempre e per sempre”, mentre i soldati pattugliavano l’area.

Nel quartiere di Tel Rumeida, che si trova vicino alla colonia ebraica nella città e sopra la via Shuhada, gli abitanti hanno cercato di valutare l’ampiezza dei danni provocati dai coloni e di aggiornare i propri vicini sulle persone ferite e arrestate. La gran parte dell’attenzione dei media era rivolta alla zona intorno al quartiere di Bab al-Zawiya, dove coloni accompagnati dalle forze militari sono entrati nell’area sotto controllo palestinese ed hanno aggredito venditori e vandalizzato negozi. Ma centinaia di persone hanno condotto anche attacchi a Tel Rumeida, ferendo diversi palestinesi, inclusa una ragazza di 17 anni colpita in faccia da una pietra.

Dieci abitanti del quartiere hanno detto che gli attacchi sono iniziati intorno alle 15,30 e che vi hanno preso parte centinaia di persone. Secondo questi testimoni i soldati israeliani, oltre a non impedire gli attacchi, in alcuni casi hanno addirittura aggredito i palestinesi venuti a difendere le proprie case o a chiedere aiuto.

La casa di Imad Abu Shamsiyyeh, che nel 2015 aveva filmato il soldato Elor Azaria mentre colpiva a morte un aggressore palestinese ferito e disarmato, si trova su un’altura che sovrasta un posto di blocco della polizia. Sabato pomeriggio centinaia di coloni hanno circondato la sua casa tirando pietre. Alcuni si sono arrampicati sul tetto e hanno lanciato oggetti nel cortile.

Qui ci sono stati molti attacchi, ma come numero e come livello di violenza non ho mai visto niente di simile”, ha detto più volte Abu Shamsiyyeh, in piedi accanto alla rete che protegge il suo cortile, ancora ricoperto da pietre e bottiglie in seguito all’attacco. Secondo lui l’escalation è collegata al governo che si formerà dopo le elezioni dell’inizio del mese. “Ben Gvir è la colonna di questo nuovo governo e vive nel centro di Hebron. Ieri ha marciato con loro fino alla tomba (del giudice biblico Othniel ben Kenaz, che si trova sul lato controllato dai palestinesi).”

Secondo Abu Shamsiyyeh la maggior parte dei partecipanti è arrivata da fuori città, ma i coloni del luogo li hanno indirizzati verso la zona vicina alla sua casa. “C’erano dei coloni ben noti qui, che hanno detto loro ‘questa è la casa di Imad Abu Shamsiyyeh, che ha fotografato Elor Azaria.’ E’ durato 40 minuti. Gridavano ‘Morte agli arabi’ e ‘Am Yisrael Chai’ (lunga vita alla nazione ebrea). C’erano quattro soldati qui e non hanno fatto niente.”

Non lontano dalla casa di Abu Shamsiyyeh c’è quella di Basem Abu Aysheh, di 60 anni, che i soldati hanno picchiato durante l’attacco, ferendolo a una gamba. Come racconta, “Sono arrivati qui, alcuni chiaramente ubriachi, hanno fatto danni e l’esercito li ha aiutati mentre ci attaccavano. Il quartiere è chiuso dai posti di blocco, come una prigione. In altri posti la gente scappa quando c’è un attacco, ma qui non avevamo dove andare. Il posto di blocco era chiuso. Sono calati su di noi e noi eravamo bloccati nelle nostre case.”

Secondo Abu Aysheh, dato che gli abitanti sapevano in anticipo che decine di migliaia di persone sarebbero arrivate nella zona, “nessun bambino e nessun adulto ha lasciato la propria casa. Siamo rimasti in casa per difenderli.” Ha anche spiegato che, anche se sono abituati agli attacchi, che a volte l’esercito interviene ad impedire e a volte no, questa volta è stato diverso.

Ci siamo stupiti che l’esercito li aiutasse a lanciare granate assordanti e gas asfissiante mentre eravamo in casa e non facevamo nulla. Ci sono stati molti feriti nella nostra famiglia, almeno dieci dei nostri figli sono stati feriti dal fuoco dei soldati e dalla violenza dei coloni. Non c’è rispetto per adulti come me. Gli ho chiesto aiuto, ma loro hanno attaccato. I soldati mi hanno picchiato con i fucili fuori da casa. Gli stessi soldati con cui parliamo tutti i giorni sono quelli che ci picchiano”, ha detto.

Le finestre in casa di Abu Aysheh, come quelle di molte case nel quartiere, sono protette da doppie sbarre per impedire danni dai lanci di pietre. “Se non fossero sbarrate tutto sarebbe rotto”, ha detto, indicando i sassi rimasti dentro casa. “Hanno raccolto delle pietre vicino al cimitero e ce le hanno tirate. Amici ebrei che hanno visto al notiziario ciò che è successo hanno telefonato dicendo che provavano vergogna.”

Mentre parlavamo, il figlio di Abu Aysheh, che ieri è stato arrestato dai soldati, ha detto di essere stato picchiato in una caserma dell’esercito. Ci sono lividi evidenti sul suo viso e sulle braccia. E’ stato rilasciato nella notte, senza essere interrogato.

Anche Youssef Al-Azza, un altro abitante, è stato aggredito sabato. Il 26enne stava tornando a casa dal lavoro verso le 15,30, quando ha sentito dire che i coloni avevano preso di mira la sua casa, che è proprio vicino ad un posto di blocco, e ferito sua sorella.

Io ero il più vicino a loro tra i membri della mia famiglia, perciò sono corso a casa. Mia sorella è stata ferita al viso da una pietra. Ho chiamato i soldati. Sono arrivati e poi se ne sono andati.” Poi, continua Al-Azza, è iniziato un altro attacco. “Sono andato in cortile a vedere che cosa stava succedendo. C’erano circa 50 coloni. Mi hanno dato pugni sul collo, sulle spalle e sulla schiena, hanno inveito contro di me, mia madre, mio padre, mia sorella e il nostro profeta. Non voglio ripetere quelle parole. Mi girava la testa. Avevo paura che entrassero in casa e nei dintorni non c’era nessuno a cui potessi chiedere aiuto”, ricorda Al-Azza stando nel suo cortile, ancora ingombro di pietre e bottiglie di birra.

Dopo l’attacco è corso sulla via principale, gridando e pregando i soldati di venire in aiuto alla sua famiglia – una situazione ripresa da un video e diffusa sui social media. “Sono corso a chiedere aiuto perché i coloni non entrassero nella mia casa”, dice. “Sono arrivato alla strada. Ho visto i soldati picchiare due miei amici. Uno era a terra e il soldato teneva un ginocchio sul suo collo. Non sapevo che cosa fare. Non riuscivo a respirare e sono caduto a terra”. Di là Al-Azza è andato in una clinica vicina ed è stato dimesso nella notte.

C’erano soldati, anche ufficiali, ma nessuno ci ha aiutati a difenderci”, continua Al-Azza. “Sono un cittadino palestinese. Non ho voce, non ho un’arma, non ho forze di sicurezza o soldati che mi difendano. Non ho mai visto niente del genere. Ci sono centinaia di soldati, dove erano ieri? Hanno attaccato qui decine di volte. Sono cresciuto qui, ma mai nella mia vita è successa una cosa simile. Se un palestinese avesse fatto qualcosa di questo tipo, in un minuto sarebbe arrivato qui l’intero esercito.”

So come comportarmi con i palestinesi, ma con gli israeliani ho delle esitazioni’.

Stranamente l’esercito ha confermato in una dichiarazione ufficiale che gli eventi di sabato sono iniziati dopo che cittadini israeliani hanno lanciato pietre. Il portavoce della comunità ebraica di Hebron ha sostenuto che si trattava di “gravi incidenti immotivati” che sono avvenuti “a margine dell’evento” e che “devono essere considerati in termini legali”. Il portavoce di Hebron ha anche criticato il portavoce dell’esercito per aver “enfatizzato un increscioso e marginale incidente e averne fatto l’unico argomento della sua dichiarazione”, descrivendo questo come “un approccio ostile e non professionale con cui bisogna immediatamente fare i conti.”

Un soldato che era presente a Hebron sabato ha detto a +972, riguardo alla preparazione dell’esercito per gli eventi: “Tutta la settimana è stata pazzesca: pattugliamenti, turni di guardia continui, arresti, tutto per garantire che il weekend trascorresse pacificamente. Abbiamo a malapena dormito”.

Sabato quel soldato era di stanza su una delle strade dove i coloni passavano accanto alle case palestinesi. “Nel pomeriggio diverse centinaia di adolescenti, ma anche alcuni di più di 20 anni, hanno cominciato a lanciare pietre dall’alto sulle case degli arabi. Alla fine siamo riusciti a riprendere il controllo degli eventi, insieme alla polizia. Ci sono volute due ore. Ogni tanto tiravano altre pietre e non siamo riusciti a prenderli. Ci hanno chiamati (nazisti) tedeschi e ci hanno insultati. C’è anche stata qualche violenza fisica, ci hanno dato spintoni.”

Secondo il soldato non vi era una reale preparazione per affrontare coloni scatenati. “Siamo stati avvertiti in anticipo che sarebbe potuto accadere, ma ci hanno messo sotto pressione, lavorando 24 ore al giorno per 7 giorni. Non c’erano istruzioni a riguardo. I coloni sapevano che potevano fare quel che volevano. Io personalmente esitavo ad ammanettarli o tirargli contro una granata stordente, mezzo legittimo [di controllo della folla]. Come prassi, non si usa la mano pesante contro i coloni. Non ho visto nessuno essere arrestato. C’erano 30.000 persone qui, centinaia hanno preso parte alle violenze. E’ solo una piccola percentuale, ma sono riusciti a fare un vero casino.”

Non ci sono ordini chiari”, continua il soldato. “So come affrontare i palestinesi, ma con gli israeliani ho delle esitazioni. [Sabato] non ho potuto scegliere. Avevo un equipaggiamento pesante e i coloni tiravano pietre e poi scappavano via. Se avessimo avuto maggiori forze, spero che li avrei arrestati, ma è difficile dirlo.”

A Beit Hadassah, vicino a via Shuhada, uno di quelli arrivati da fuori città domenica mattina ha detto che durante il weekend non aveva sentito niente né visto alcun attacco. “E’ stato uno Shabbat (sabato, festa ebraica, ndtr.) bello e tranquillo. Non ho visto problemi con i soldati e gli arabi. Sabato sera ho sentito che ci sono stati attacchi. La tomba è fuori dalla colonia; questo in realtà non è un’indicazione di ciò che è accaduto sabato. C’era chi pregava, vi era una bellissima atmosfera.” Un altro residente ha detto che è impossibile controllare “ogni ubriaco” e impedirgli di unirsi alla marcia.

Il portavoce dell’esercito ha detto in risposta: “Dopo aver lasciato la tomba di Othniel ben Kenaz, sono scoppiati violenti scontri tra israeliani e palestinesi. Le forze di sicurezza hanno faticato a separare le parti. In seguito ai violenti eventi sono stati arrestati diversi cittadini israeliani e del loro caso si sta occupando la polizia israeliana. Non si è a conoscenza di denunce di violenze di soldati contro palestinesi. Qualora venissero inoltrate denunce, saranno esaminate come sempre.”

Oren Ziv è un fotogiornalista corrispondente di Local Call e membro fondatore del collettivo di fotografia Activestills.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Coloni sparano ad un palestinese e ne mutilano il corpo mentre giace in fin di vita

Basil al-Adraa e Yuval Abraham

8 giugno 2021 – +972 MAGAZINE

Testimoni affermano che dei coloni israeliani avrebbero sparato a Ismail Tubasi e lo avrebbero aggredito con oggetti appuntiti nel corso di una loro irruzione nel suo villaggio in Cisgiordania. Nessuna inchiesta è stata aperta.

Ismail Tubasi è stato ucciso venerdì 14 maggio, appena a sud di Hebron, nella Cisgiordania occupata. Tubasi, 27 anni, del villaggio palestinese di al-Rihiya, è stato trasportato gravemente ferito in un ospedale locale, dove ne è stato constatato il decesso.

Secondo le prove raccolte da Local Call [sito di notizie in lingua ebraica co-fondato e co-redatto da Just Vision e 972 Advancement of Citizen Journalism che pubblica anche +972 Magazine, ndtr.], sembra che Tubasi sia stato colpito con armi da fuoco da coloni israeliani, forse in compagnia di soldati, e dopo, mentre era a terra incapace di muoversi, brutalmente aggredito con oggetti appuntiti.

Secondo due testimoni i coloni avrebbero sparato a Tubasi dopo aver iniziato ad appiccare il fuoco a campi e alberi di proprietà palestinese ad al-Rihiya [città palestinese situata a sei chilometri a sud-ovest di Hebron, ndtr.]. I testimoni oculari hanno detto che Tubasi e altri palestinesi si sarebbero recati nei campi per cercare di spegnere le fiamme. Lì dei coloni armati di pistole, asce e bastoni avrebbero iniziato a inseguirlo, dopo di che i testimoni avrebbero sentito una serie di colpi di pistola.

Uno dei testimoni, il nipote di Tubasi, ha detto di aver visto suo zio steso a terra dopo che era stato colpito da un proiettile, ma non avrebbe notato nessuna ferita sul viso. Il nipote sarebbe poi fuggito dal luogo per paura che i coloni, che si stavano avvicinando a Tubasi ferito, se la prendessero anche con lui.

Tuttavia mezz’ora dopo, quando Tubasi è giunto in ospedale, il suo volto era sanguinante per ferite fresche e profonde, che non c’erano quando gli hanno sparato. Secondo la testimonianza, Tubasi sarebbe stato aggredito con un oggetto appuntito mentre non era in grado di muoversi.

Tubasi è stato trasportato all’ospedale Shaheed Abu Hassan al-Qassam nella città di Yatta, in Cisgiordania, dove ne è stato dichiarato il decesso. Secondo il referto dell’ospedale il corpo di Tubasi non aveva una ferita d’uscita del proiettile. Il referto dice anche che egli è stato ferito alla fronte da due oggetti appuntiti, uno lungo 20 centimetri e l’altro sette centimetri. Secondo il referto la causa della morte è stata un proiettile che ha colpito Tubasi alla testa. Il referto, che include una foto del corpo del deceduto, è stato visionato da Local Call e +972.

In Cisgiordania i coloni israeliani aggrediscono regolarmente i palestinesi, bruciano le loro coltivazioni e alberi e danneggiano le loro proprietà. Il gruppo per i diritti umani Yesh Din afferma di aver ricevuto 216 denunce di violenze compiute da coloni tra gennaio 2020 e giugno 2021. Un recente rapporto dell’organizzazione ha elencato 63 casi di gravi aggressioni tra il 2017 e il 2020. In nessuno di questi casi è stata avviata una procedura d’accusa contro gli aggressori.

L’esercito israeliano si è rifiutato di fornire una risposta ufficiale riguardo l’episodio, ma fonti militari hanno riferito alla Israeli Public Broadcast Corporation [l’emittente radiofonica e televisiva pubblica dello Stato di Israele, ndtr.] (che ha raccolto la storia in seguito alle indagini iniziali di Local Call) che i soldati sarebbero arrivati ​​sul luogo dopo la sparatoria. Secondo le stesse fonti, l’esercito ha riferito alla polizia che un palestinese era stato effettivamente ucciso, ma la polizia deve ancora iniziare ad indagare.

Sebbene la brutale violenza dei coloni sia pervasiva è abbastanza raro che tali aggressioni conducano all’uccisione delle vittime. Secondo il gruppo per i diritti umani B’Tselem dal 2014 civili israeliani avrebbero ucciso 30 palestinesi residenti in Cisgiordania, molti dei quali durante presunti tentativi da parte di palestinesi di accoltellare israeliani o lanciare pietre contro veicoli israeliani.

Nel novembre 2017, ad esempio, i coloni hanno ucciso a colpi di arma da fuoco Mahmoud Za’al Odeh, del villaggio di Qusra [15 km a sud est di Nablus, ndtr.], sostenendo di essere stati attaccati con pietre mentre si trovavano sulla sua terra. Uno dei casi più infami di violenza mortale dei coloni è l’omicidio nel luglio 2015 dei membri della famiglia Dawabshe, bruciati vivi nelle loro case nel villaggio di Duma mentre dormivano.

La morte di Tubasi è avvenuta in un giorno di manifestazioni di massa in tutta Israele-Palestina, compresa la Cisgiordania, per protestare contro gli attacchi israeliani a Gaza e le violenze contro i cittadini palestinesi all’interno di Israele. Secondo il ministero della Sanità palestinese, quel giorno le forze di sicurezza israeliane [l’esercito israeliano, ndtr.] avrebbero ucciso in varie località della Cisgiordania 11 palestinesi. Sulla base di testimonianze palestinesi gruppi di coloni, spalleggiati da un piccolo numero di soldati, avrebbero assaltato, oltre che al-Rihiya, quattro villaggi in Cisgiordania: Urif, Asira al-Qabliya, Eskaka e Marda. La morte di Tubasi per mano dei coloni smentisce l’affermazione del ministero della Sanità palestinese che attribuiva ai soldati israeliani la responsabilità della morte degli 11 palestinesi.

Secondo gli amministratori di queste quattro località, gli assalti dei coloni hanno portato a scontri di massa e all’uso di armi da fuoco contro palestinesi da parte sia dei coloni che dei soldati. Secondo quanto riferito quattro giovani palestinesi, uno in ogni località, sarebbero stati uccisi in questo modo mentre decine di altri palestinesi sarebbero rimasti feriti. “Sono venuti per uccidere”, ha detto Hafez Saleh, l’amministratore di Asira al-Qabliya.

“L’esercito ha visto tutto, ma non è intervenuto”

Secondo tre testimoni oculari con cui ha parlato Local Call, il 14 maggio alle 14 diverse decine di coloni sarebbero arrivati ​​dalla direzione di Beit Hagai, una colonia israeliana situata a 700 metri da al-Rihiya, e avrebbero iniziato ad incendiare i campi e gli alberi del villaggio, entrando persino nell’abitato. Gli abitanti del villaggio li avrebbero identificati come coloni in quanto vestiti da civili, con addosso la kippah e alcuni con riccioli sui lati del volto. Gli abitanti del villaggio hanno detto che quando hanno cercato di spegnere il fuoco sarebbero stati picchiati dai coloni. I soldati israeliani sarebbero arrivati ​​sul posto senza intervenire.

“Mi sono svegliato a casa con la gente che urlava: ‘Al fuoco, hanno appiccato un fuoco’”, ricorda Kazem al-Hallaq, un abitante di Al-Rihiya di 62 anni. Sono uscito e ho visto un grande incendio nella zona degli ulivi e dei campi di grano e di orzo. La fonte dell’incendio era a nord, cioè nella direzione di Beit Hagai. Molti coloni, circa 50 persone, stavano nei pressi delle fiamme. Hanno continuato ad appiccare il fuoco ai campi e si sono assicurati che bruciassero e che le fiamme si diffondessero”.

Al-Hallaq riferisce di aver visto due giovani della sua famiglia che cercavano di spegnere il fuoco con delle coperte, ma subito ha visto i coloni correre verso di loro e picchiarli, e ad un certo momento gettarli a terra. I soldati si tenevano lontani. Hanno visto tutto, ma non sono intervenuti”, dice al-Hallaq.

“Quando sono arrivati ​​altri palestinesi per spegnere l’incendio, l’esercito è intervenuto e ha iniziato a sparargli contro lacrimogeni e proiettili di gomma”, ha continuato al-Hallaq. La maggior parte delle persone è fuggita verso le proprie case e la scuola. I coloni li hanno inseguiti, proprio davanti ai soldati, sono entrati nel villaggio e hanno iniziato a lanciare pietre contro le case.

I coloni sono venuti proprio a casa mia e hanno distrutto l’auto parcheggiata all’ingresso. E’ stato spaventoso. Ho chiuso la porta di casa e sono salito sulla terrazza con i bambini per nasconderli. Mentre stavo nascosto sul tetto i coloni sono saliti sulla mia auto e hanno iniziato a ballare e cantare.

Improvvisamente ho visto un altro gruppo di coloni che si stava dirigendo verso la terra che appartiene alla famiglia Tubasi. Era difficile vedere cosa stesse succedendo lì. Ho visto un fumo denso salire dal terreno e mi sono reso conto che i coloni avevano dato fuoco a un altro campo. Pochi minuti dopo ho sentito cinque colpi di pistola, spari di armi da fuoco. Ho visto gli abitanti del villaggio correre lì e ho sentito il suono di un’ambulanza che si avvicinava.

“A un certo punto sono anche uscito di casa e sono andato a vedere cosa fosse successo”, dice al-Hallaq. C’era molta confusione. Alcune persone sostenevano che qualcuno era morto. Altri dicevano che qualcuno era stato ferito. Dopo un’ora mi è stato detto che un giovane della famiglia Tubasi era stato ucciso. I nostri campi erano completamente bruciati. I coloni e l’esercito scomparsi dalla zona”.

“I coloni ci hanno detto con orgoglio di aver bruciato i nostri campi”

A mezzogiorno di venerdì, mi ha chiamato mio ​​zio Ismail, riferisce Jamal Tubasi, nipote della vittima. Ero a casa di mia zia per la festa di Eid al-Fitr [festività che segna la fine del periodo di digiuno del Ramadan, ndtr.]. Ismail era sconvolto e mi ha chiesto di andare subito. Ho chiesto dove, e lui ha detto: ‘All’uliveto, a nord del paese. I coloni stanno bruciando i nostri campi, le fiamme sono forti.’

“Sono corso subito lì, a circa un chilometro e mezzo da casa”, prosegue Jamal. Quando sono arrivato ho visto un grande gruppo, 30 coloni, la maggior parte dei quali giovani, rannicchiati a circa 200 metri dagli ulivi in ​​fiamme. I coloni ci hanno detto con orgoglio di aver incendiato i nostri campi. E non solo i nostri campi, ma anche il resto.

Ismail mi ha riferito che [gli abitanti dei villaggi palestinesi] stavano cercando da molto tempo di spegnere l’incendio, ma i coloni glielo impedivano. Ho visto giungere sul posto altri gruppi di coloni, alcuni con grandi accette in mano, altri con armi da fuoco e bastoni. Accanto ai coloni c’erano anche i soldati.

Gli uomini più giovani, e con loro Ismail, hanno cercato di dirigersi verso il fuoco negli uliveti, ma i soldati hanno sparato contro di loro gas lacrimogeni, proiettili di gomma e granate stordenti. I coloni stavano dietro ai soldati e cercavano di avanzare verso di noi per attaccarci. Ismail mi ha chiesto di stargli vicino. Ma è diventato terribile quando è aumentata la quantità di gas lacrimogeni e granate stordenti e i coloni insieme ai soldati sono riusciti ad avvicinarsi molto a noi. Siamo scappati e ci siamo divisi in gruppi più piccoli.

Ho visto che mio zio Ismail era corso verso gli uliveti. In quel momento ho ricevuto una chiamata, ho risposto al telefono; era un parente che voleva sincerarsi che io e Ismail stessimo bene. Finita la chiamata, non sono riuscito a distinguere dove fosse andato Ismail.

È stato allora che ho sentito degli spari. Più di cinque proiettili. Da arma da fuoco. Non capivo cosa fosse successo. Una persona si è avvicinata e ha urlato “Ismail è stato ferito”. Ha indicato la direzione in cui Ismail era fuggito, a 300 metri da dove mi trovavo io”.

Il fratello di Ismail, Ibrahim, era al suo fianco mentre andavano a spegnere l’incendio nei campi di famiglia. “I soldati hanno sparato lacrimogeni, granate stordenti e proiettili di gomma per dividerci”, riferisce Ibrahim. Ero accanto a Ismail e l’ho visto correre verso gli alberi [di ulivi]. Ho corso nella direzione opposta. Ho visto un gruppo di coloni correre nella direzione in cui era fuggito Ismail, e poi ho avvertito quattro spari. Non ho capito né ho visto chi avesse aperto il fuoco, ma il suono proveniva dalla direzione in cui Ismail era fuggito. Ho sentito alcuni abitanti dire che Ismail era stato ferito”.

Secondo testimonianze di palestinesi che hanno chiesto che non venisse reso noto il loro nome, sono stati i coloni ad aprire il fuoco e non i soldati, che erano rimasti nei pressi del villaggio.

«Hanno ucciso mio fratello. La nostra terra è bruciata’

Jamal Tubasi, nipote di Ismail, riferisce di essere poi corso dove Ismail era stato colpito. Ho visto Ismail steso a terra tra due rocce, sul fianco destro. Quando mi ha visto, mi ha chiamato con voce molto debole. Quasi in un sussurro mi ha detto: “Sono ferito”, poi mi ha dato il suo telefono e mi ha chiesto di consegnarlo alla famiglia. «appoggia a terra la mia testa», ha sussurrato Ismail, «e fuggi il più in fretta possibile.» Gli ho detto che non l’avrei lasciato, ma lui ha sollevato la mano con grande difficoltà, mi ha guardato e mi ha detto di nuovo, con un voce molto flebile: ‘Corri.’

In quel momento ho visto un gruppo di cinque coloni che avevano con sé grandi accette, e accanto a loro due soldati, tutti che correvano verso di noi. Erano a circa 50 metri da me e si stavano avvicinando rapidamente. Sotto pressione, ho girato Ismail sulla schiena e sono scappato. Quando l’ho lasciato, il suo naso sanguinava e sanguinava anche dall’orecchio sinistro. A parte questo, il suo viso sembrava a posto. Non riuscivo a capire quale fosse la natura della sua ferita e se fosse in condizioni gravi o lievi.

Ho corso per 200 o 300 metri. Da dove mi trovavo ho visto persone che cercavano di raggiungere l’area in cui era caduto Ismail. Andavano avanti e indietro, come se cercassero qualcosa. È passato molto tempo, è difficile per me dire quanto, più di mezz’ora. Poi ho visto tre o quattro persone, operatori sanitari, che trasportavano Ismail su una barella.

Sono corso lì e ho chiesto loro di vedere Ismail per assicurarmi che fosse vivo. Hanno abbassato la barella e poi ho visto la sua faccia. Non potevo crederci: il suo volto era completamente devastato, con ferite profonde, coperto di sangue che colava dappertutto. Non potevo sopportarne la vista. Ho urlato di terrore e sono caduto a terra privo di sensi.

Tutto quello che ricordo dopo è che la gente mi ha versato dell’acqua in faccia, e altri mi hanno sollevato le gambe e mi hanno schiaffeggiato per svegliarmi. Quando mi sono svegliato mi è stato detto che avevano portato Ismail all’ospedale di Yatta.

Un’auto mi ha portato in ospedale. E quando sono arrivato, ho sentito due persone che dicevano che Ismail era morto. Sono svenuto di nuovo. Mi sono svegliato e sono svenuto ancora. Sinceramente il mio corpo non si è riavuto dallo shock e faccio fatica a credere a quello che è successo.

“L’unica cosa di cui sono sicuro è che quando ho raggiunto mio zio, appena dopo il suo ferimento, la sua faccia era pulita, non c’era niente lì, solo sangue che gli colava dal naso e dall’orecchio. E ricordo che il gruppo di coloni che correva verso Ismail insieme a due soldati trasportava delle accette».

Altri abitanti di al-Rihiya hanno riferito che i coloni avrebbero circondato Ismail mentre giaceva a terra, rendendo loro difficile valutare con esattezza le modalità dell’aggressione.

“La mia famiglia è devastata”, dice Ibrahim, il fratello di Ismail. Hanno assassinato mio fratello. La nostra terra è bruciata. Non siamo in grado di tornare lì per controllare. Di solito i coloni vengono di notte e sradicano gli ulivi, ma questa volta l’esercito ha approfittato della situazione e i coloni si sono sentiti più forti e incoraggiati del solito, tanto da incendiare tutto e assassinare mio fratello”.

Ibrahim aggiunge: Oggi non c’è differenza tra un soldato e un colono. Questa gente ci ha distrutto. Due giorni dopo l’omicidio di mio fratello, l’esercito ha revocato i nostri permessi di lavoro in Israele. Cinque uomini della mia famiglia lavorano in Israele. Ora viene impedito a tutti noi di entrare».

La famiglia Tubasi ha dichiarato di aver sporto denuncia alla polizia palestinese dopo la morte di Ismail. Non è chiaro se la polizia palestinese abbia inoltrato la denuncia alla polizia israeliana. Tuttavia, se l’esercito ha effettivamente informato la polizia israeliana che Ismail è stato ucciso, non si capisce come la polizia non abbia aperto la propria indagine indipendentemente dal fatto che sia stata presentata una denuncia, come prevede la legge israeliana per un sospetto di crimine e specialmente nei casi di morte non naturale.

In relazione alluccisione la polizia israeliana ha rilasciato solo la seguente risposta: Nessuna denuncia è stata presentata alla polizia e i dettagli dell’incidente nei termini dichiarati non ci sono noti. Potete contattare la polizia e sporgere denuncia come di consueto”.

Basil al-Adraa è un attivista e fotografo del villaggio di a-Tuwani nelle colline a sud di Hebron.

Yuval Abraham è uno studente di fotografia e linguistica.

(traduzione dallinglese di Aldo Lotta)