La vita culturale e educativa dei prigionieri politici palestinesi nelle carceri israeliane

Addameer

14 febbraio 2020 – Palestine Chronicle

La sistematica violazione dei diritti umani più basilari dei prigionieri e detenuti palestinesi da parte dell’occupazione israeliana ha modellato la continua lotta che essi conducono nelle prigioni israeliane.

Durante tutti questi decenni sono stati sistematicamente e deliberatamente privati di uno specifico diritto – quello all’educazione. Per avere accesso all’educazione, e anche per poter disporre di penne e carta entro le mura del carcere, i prigionieri palestinesi hanno dovuto ricorrere, tra le altre forme di resistenza, a scioperi della fame collettivi. Nel 1992, in seguito ad uno dei più importanti e famosi scioperi della fame di quell’anno, i prigionieri hanno ottenuto il diritto di usufruire dell’insegnamento secondario e superiore.

Ciò ha comportato un cambio di paradigma nel processo educativo ed ha consentito ai prigionieri di iscriversi ad istituti di insegnamento, cosa cruciale per loro, dato il numero crescente di prigionieri che volevano intraprendere un percorso universitario. Tuttavia il servizio penitenziario israeliano – sostenuto dall’Alta Corte israeliana – ha continuato a limitare il diritto all’educazione dei prigionieri. Ecco qui di seguito una sintesi della storia della lotta dei prigionieri politici palestinesi per il loro diritto all’educazione.

Al momento degli accordi di Oslo nel 1993, le le continue lotte e iniziative dei prigionieri palestinesi nelle carceri israeliane avevano consentito loro di conquistare il diritto ad avere dei libri e delle biblioteche in carcere. I prigionieri organizzavano dibattiti educativi e culturali su diverse questioni legate ai diritti dei prigionieri e alla resistenza palestinese.

Nel quadro degli accordi di Oslo vennero liberati migliaia di prigionieri politici palestinesi arrestati durante l’Intifada. Benché un esorbitante numero di prigionieri sia tuttora in carcere, questo cambiamento indebolì la lotta dei prigionieri, cosa che a sua volta influenzò la situazione culturale creata all’epoca dai prigionieri. Le animate discussioni culturali divennero meno frequenti e il loro scopo si modificò, come anche la capacità dei prigionieri di organizzare scioperi della fame ed altre forme di azione collettiva per ottenere il rispetto dei loro diritti.

Il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), che aveva precedentemente svolto un ruolo essenziale fornendo libri, materiale educativo e test sul quoziente di intelligenza nelle carceri, soprattutto per i bambini detenuti, a metà anni ’90 iniziò a farsi da parte, fino a scomparire del tutto da alcune carceri.

A metà degli anni ’90, in seguito all’evoluzione del movimento dei prigionieri e all’abbandono da parte della CICR, i prigionieri si riorganizzarono per dare priorità all’accesso all’educazione come richiesta collettiva. Lo sciopero della fame del 1992, a cui parteciparono migliaia di prigionieri e che durò 19 giorni, ottenne parecchie vittorie. Anzitutto per la prima volta i prigionieri furono autorizzati a presentarsi all’esame di maturità, noto con il nome di “tawjihi”, per ottenere il diploma di studi secondari.

Questa vittoria, molto importante per quei prigionieri i cui studi erano stati interrotti per decenni, era tuttavia incompleta perché si limitava alle discipline umanistiche, in quanto l’occupazione israeliana continuava a rifiutare l’accesso ai diplomi di scienze o di matematica.

Inoltre i prigionieri avevano accesso solo ad un numero limitato di programmi accademici all’università aperta israeliana, come teologia, sociologia, finanza e amministrazione, psicologia e scienze politiche. Ancora, i prigionieri dovettero condurre una difficile battaglia per costringere il servizio penitenziario israeliano (SPI), incaricato di agevolare il percorso, a rispettare l’accordo invece di ostacolare deliberatamente la sua applicazione in tutti i modi. Per esempio lo SPI, che doveva approvare l’iscrizione ad un programma di studi, spesso rifiutava di farlo con il pretesto della sicurezza, del fatto che si era raggiunto il numero masssimo di iscritti al programma o di altri motivi tanto fittizi quanto arbitrari.

Inoltre non forniva per tempo il materiale didattico ai prigionieri, cosa che impediva loro di seguire i corsi, oppure li trasferiva continuamente da un carcere all’altro durante il trimestre universitario o nei periodi degli esami, costringendo molti di loro a ripeterli.

Le restrizioni relative all’educazione dei prigionieri si sono aggravate nel tempo, soprattutto nel 2006, quando Israele ha applicato una punizione collettiva che comprendeva la soppressione del diritto all’educazione di parecchi prigionieri perché il soldato israeliano Gilad Shalit era stato catturato durante un’incursione militare israeliana a Gaza. Le restrizioni sono ulteriormente peggiorate nel 2011, dopo che il Primo Ministro israeliano dell’epoca, Benjamin Netanyahu, ha annunciato che nessun prigioniero palestinese sarebbe più stato autorizzato ad ottenere il diploma di laurea o di dottorato in carcere, affermando che per i prigionieri politici “la festa è finita”.

Il discorso di Netanyahu ha comportato il divieto totale di studio dei prigionieri nelle carceri ed ha posto fine all’esame di tawjihi e ai programmi di studio dell’Università aperta israeliana, per i quali i prigionieri si erano duramente battuti. Alcuni prigionieri che stavano per ottenere il diploma hanno invano presentato denunce all’Alta Corte israeliana, perché l’Alta Corte ha giudicato il divieto legale ed ammissibile. Nella sua decisione, la Corte ha sottolineato che l’educazione dei prigionieri è un privilegio che può essere revocato se lo SPI lo decide.

Tuttavia va notato che, se il discorso di Netanyahu è stato un annuncio pubblico della soppressione dei diritti dei prigionieri, lo SPI nel 2008 aveva già annullato i programmi educativi nella maggior parte delle carceri. Netanyahu non ha fatto che ratificare quanto era già in atto.

I prigionieri palestinesi ai quali sono state vietate le vie ufficiali di accesso all’educazione hanno continuato a battersi con ogni mezzo per il diritto all’educazione. Hanno cercato di colmare le lacune organizzando dibattiti culturali, corsi di alfabetizzazione e seminari educativi, creando delle biblioteche all’interno delle carceri e procurandosi giornali e riviste per i prigionieri. Molte di queste strade alternative non erano nuove, ma hanno acquisito importanza quando per i prigionieri è diventato impossibile iscriversi all’Università aperta israeliana.

Inoltre gli stessi detenuti hanno svolto un ruolo chiave nel processo educativo insegnandosi reciprocamente le lingue ed altre conoscenze.

Nel 2013 i prigionieri hanno lavorato con i ministeri competenti palestinesi per poter sostenere l’esame di tawjihi in prigione. Inoltre hanno instaurato dei legami con alcune università palestinesi ed hanno sviluppato dei programmi di laurea e di dottorato che hanno permesso a decine di prigionieri di conseguire il diploma nel corso degli anni.

Le autorità israeliane trovano continuamente nuovi modi per impedire ai prigionieri di studiare, senza contare che da anni ormai vietano i testi didattici in carcere e confiscano regolarmente i libri ed altro materiale educativo che i prigionieri riescono a fare entrare in carcere. Nel 2018 lo SPI ha confiscato circa 2.000 libri nella prigione di Hadarim, distruggendo la biblioteca che ci erano voluti anni a creare. Inoltre lo SPI punisce i prigionieri che cercano di proseguire i propri studi al di fuori delle mura carcerarie, trasferendoli in altre carceri o in altre celle.

Le donne e i minori detenuti subiscono le stesse restrizioni. Anche se nel 1997 i tribunali israeliani hanno stabilito che i minori prigionieri potevano proseguire la loro educazione secondo il programma palestinese, questo è molto lontano dalla realtà. Lo SPI autorizza gli insegnanti del ministero dell’Educazione israeliano ad insegnare solo due materie (arabo e matematica), cosa che ostacola gravemente lo sviluppo del minore. Il limitato numero di materie e l’irregolarità dei corsi compromettono enormemente i loro studi.

Le restrizioni continue e sistematiche imposte da Israele sono una violazione del diritto all’istruzione garantito da molte convenzioni internazionali, in particolare la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, il Patto Internazionale sui diritti civili e politici, il Patto Internazionale sui diritti economici, sociali e culturali e la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia.

Il diritto all’educazione è garantito anche dal diritto internazionale umanitario. L’articolo 94 della Quarta Convenzione di Ginevra stabilisce che “la potenza occupante deve incoraggiare le attività intellettuali, educative e ricreative, sportive e ludiche tra i reclusi, pur lasciandoli liberi di parteciparvi o meno. Deve prendere tutte le misure possibili per garantire il loro esercizio, in particolare mettendo a disposizione dei prigionieri locali adeguati. Devono essere messi a disposizione dei prigionieri tutti gli strumenti necessari a permettere loro di seguire i propri studi o di iscriversi a nuove discipline. L’educazione dei bambini e dei ragazzi deve essere garantita; essi devono essere autorizzati a frequentare la scuola in carcere o all’esterno. I prigionieri devono avere la possibilità di fare ginnastica, praticare sport e giochi all’aria aperta. A questo scopo, in tutti i luoghi di detenzione devono esserci sufficienti spazi all’aria aperta. Ai bambini e agli adolescenti devono essere riservate aree speciali per il gioco.”

Inoltre l’articolo 77 delle Norme standard minime per il trattamento dei detenuti delle Nazioni Unite stabilisce che: “Devono essere prese misure per garantire la formazione continua di tutti i detenuti in grado di trarne profitto, compresa l’istruzione religiosa nei Paesi dove questo sia possibile. L’educazione degli analfabeti e dei giovani detenuti è obbligatoria e le deve essere dedicata particolare attenzione da parte dell’amministrazione. Per quanto possibile, l’educazione dei detenuti deve essere integrata al sistema d’insegnamento del Paese, in modo che essi, dopo la scarcerazione, possano proseguire gli studi senza difficoltà. In tutte le strutture penitenziarie devono essere offerte attività ricreative e culturali per mantenere la salute mentale e fisica dei detenuti.”

Non solo la potenza occupante vieta ai prigionieri palestinesi di usufruire del diritto all’educazione, ma continua a prendere di mira e ad arrestare deliberatamente gli studenti palestinesi. Solo nel 2019 il numero di studenti palestinesi incarcerati è salito a circa 250-300. Nel 2019 circa 75 studenti della sola università di Birzeit sono stati arrestati perché erano membri attivi di associazioni di studenti.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)