La denuncia contro Israele presentata alla CIG dal Sud Africa può fermare la guerra a Gaza?

Shola Lawal

3 gennaio 2024 – Aljazeera

Il procedimento giudiziario chiesto dal Sud Africa potrebbe richiedere anni, ma potrebbe dare peso alle crescenti richieste internazionali a Israele di fermare la guerra.

La settimana scorsa il Sudafrica è diventato il primo Paese a intentare una causa contro Israele presso la Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dellAia aumentando la pressione internazionale su Tel Aviv affinché cessi l’implacabile bombardamento mortale della Striscia di Gaza intrapreso il 7 ottobre 2023 e che ha ucciso più di 22.000 civili, di cui un numero notevole di minori.

Nella denuncia di 84 pagine che il Sudafrica ha presentato alla Corte il 29 dicembre sono riportate in modo dettagliato le prove della brutalità perpetrata a Gaza e viene chiesto alla Corte – lorganismo delle Nazioni Unite preposto alla risoluzione delle controversie tra Stati – di dichiarare urgentemente che Israele dal 7 ottobre ha violato i suoi obblighi ai sensi diritto internazionale.

Questa mossa è l’ultima di una lunga lista di azioni intraprese da Pretoria dall’inizio della guerra contro Gaza, tra cui la condanna forte e insistente degli attacchi israeliani a Gaza e in Cisgiordania, il richiamo dell’ambasciatore sudafricano da Israele, la denuncia delle sofferenze dei palestinesi alla Corte Penale Internazionale (CPI) e la richiesta di un incontro straordinario dei Paesi BRICS per deliberare sul conflitto. La CPI si occupa di casi di presunti crimini commessi da individui, non da Stati.

Ecco in breve i punti della denuncia alla CIG:

Quali sono le accuse del Sudafrica contro Israele?

Il Sudafrica accusa Israele di aver star commettendo un genocidio a Gaza, in violazione della Convenzione sul Genocidio del 1948 che definisce il genocidio come atti commessi con lintento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso”.

Le azioni genocide elencate nella denuncia includono l’uccisione di un gran numero di palestinesi a Gaza, soprattutto minori; la distruzione delle loro case; la loro espulsione e sfollamento; oltre all’imposizione nella Striscia di un blocco su cibo, acqua e assistenza.

Inoltre includono la messa in atto di misure che impediscono le nascite palestinesi attraverso la distruzione dei servizi sanitari essenziali necessari per la sopravvivenza delle donne incinte e dei bambini.

Tutte queste azioni, si legge nella denuncia, sono intese a provocare la loro distruzione [dei palestinesi] come gruppo”.

Pretoria accusa inoltre Israele di non essere riuscito a prevenire e reprimere listigazione al genocidio, con specifico riferimento alle dichiarazioni di politici israeliani nel corso della guerra nel tentativo di giustificare le uccisioni e la distruzione a Gaza.

Il Sudafrica ha inoltre richiesto espressamente che la CIG si muova urgentemente per impedire a Israele di commettere ulteriori crimini nella Striscia, verosimilmente attraverso un’ingiunzione a Tel Aviv perché interrompa l’invasione. Tale richiesta avrà la priorità, ha affermato la CIG in una nota, ma non ha specificato una tempistica.

La documentazione del Sudafrica è particolarmente necessaria nel contesto della crescente disinformazione sulla guerra e per altri scopi di ampia portata, ha affermato Mai El-Sadany, avvocata per i diritti umani e direttrice del Tahrir Institute for Middle East Policy.

I procedimenti giuridici sono importanti per rallentare la normalizzazione di qualsiasi atrocità di massa commessa da Israele; mandano il messaggio che se un Paese commette delle atrocità di massa, come sta facendo Israele, deve aspettarsi di essere portato davanti a un tribunale internazionale, che i suoi precedenti siano valutati sulla base delle norme internazionali e che la sua reputazione sulla scena internazionale subisca un duro colpo,” dice.

Quali prove ha citato il Sudafrica?

Il Sudafrica sostiene che le dichiarazioni rilasciate da politici israeliani, incluso il primo ministro Benjamin Netanyahu, hanno dimostrato un intento genocida”.

Ad esempio, la denuncia cita il paragone fatto da Netanyahu tra i palestinesi e Amalek, una nazione biblica della cui distruzione Dio avrebbe incaricato gli israeliti. Il versetto biblico afferma: Ora va’ e colpisci Amalek… uccidi uomini, donne e bambini”.

Inoltre, nella sua dichiarazione del 26 dicembre, Netanyahu ha affermato che, nonostante la vasta distruzione di Gaza e luccisione di migliaia di persone, nei prossimi giorni intensificheremo i combattimenti, e questa sarà una lunga battaglia”.

Nella denuncia sono citate anche diverse altre dichiarazioni, comprese quelle in cui i funzionari israeliani hanno descritto il popolo di Gaza come una forza delle tenebre” e Israele come una forza della luce”.

Il Sudafrica aggiunge che la portata delle operazioni dellesercito israeliano, i suoi bombardamenti indiscriminati e le esecuzioni di civili, così come il blocco da parte di Israele su cibo, acqua, medicine, carburante, ripari e altra assistenza umanitaria”, sono la prova delle sue affermazioni. La denuncia sostiene che tali azioni hanno spinto la Striscia sullorlo della carestia”.

Oltre al genocidio, il Sudafrica sostiene che Israele sta commettendo

nella Striscia di Gaza altre violazioni del diritto internazionale, tra cui l’aver lanciato un’aggressione contro la cultura palestinese attraverso l’assalto a luoghi di religione, istruzione, arte, scienza, a monumenti storici, ospedali e luoghi dove vengono accolti i malati e i feriti”.

Sono già state presentate denunce simili?

SÌ. Secondo la Convenzione sul genocidio, gli Stati-nazione possono sporgere denuncia di genocidio contro altri Paesi, indipendentemente dal fatto che siano direttamente coinvolti o meno nel conflitto. Nel 2019, il Gambia, a nome dellOrganizzazione per la Cooperazione Islamica, ha presentato una petizione alla Corte contro il Myanmar per le sue atrocità contro il popolo Rohingya.

Israele e Sud Africa hanno entrambi aderito alla CIG, il che significa che le sue sentenze sono vincolanti per entrambi. Ma mentre la CIG ha più peso del Consiglio di Sicurezza dellONU, dove Israele è strettamente protetto dagli Stati Uniti, la Corte non ha potere esecutivo. In effetti, in alcuni casi gli ordini della CIG sono stati ignorati senza pesanti conseguenze.

Nel marzo 2022, ad esempio, un mese dopo che la Russia aveva invaso lUcraina, Kiev ha intentato una causa contro la Russia presso la Corte. In quel caso lUcraina ha anche chiesto alla CIG di stabilire misure di emergenza per fermare laggressione della Russia.

Infatti poco dopo la Corte ha ordinato a Mosca di sospendere le operazioni militari, affermando di essere profondamente preoccupata” per laggressione allUcraina. Tuttavia, più di un anno dopo, la guerra in Europa continua.

Cosa succederà dopo?

Martedì le autorità sudafricane hanno confermato che la CIG ha fissato un’udienza per l’11 e il 12 gennaio. “I nostri avvocati si stanno attualmente preparando per questo”, ha scritto su X, ex Twitter, Clayson Monyela, portavoce del Dipartimento per le Relazioni Internazionali e la Cooperazione del Sudafrica.

Ma i procedimenti possono richiedere tempo, anche anni. La Corte, ad esempio, sta ancora deliberando sul caso del Gambia contro il Myanmar del 2019. Su quel caso ci sono state udienze probatorie, lultima nellottobre 2023, quando la Corte ha chiesto al Gambia di rispondere alle controargomentazioni del Myanmar.

Nella sua presentazione di dicembre il Sudafrica ha richiesto preventivamente una procedura accelerata. La sua richiesta di un ordine di emergenza da parte della CIG potrebbe produrre risultati abbastanza rapidi – nel giro di poche settimane – come è accaduto nel caso dellUcraina.

Rispondendo alla denuncia, il Ministero degli Affari Esteri israeliano ha negato con veemenza le accuse di genocidio e ha descritto le accuse di Pretoria come una diffamazione razziale” e una strumentalizzazione spregevole e arrogante” della Corte. Una dichiarazione del ministero ha inoltre accusato il Sudafrica di essere criminalmente complice” degli attacchi di Hamas.

Martedì il portavoce Eylon Levy ha confermato che Tel Aviv si difenderà all’udienza dell’Aia. Assicuriamo ai leader del Sud Africa che la storia li giudicherà e li giudicherà senza pietà”, ha detto Levy ai giornalisti.

Sarang Shidore, direttore del centro di ricerca Quincy Institute con sede a Washington, ha affermato che questa posizione potrebbe significare che Tel Aviv sta prendendo la denuncia come una seria sfida alle sue politiche a Gaza.

Mentre qualsiasi decisione della CIG potrebbe avere poca influenza sulla guerra in sé, una sentenza a favore del Sudafrica e dei palestinesi eserciterebbe una pressione significativa sul sostenitore numero uno e di fatto arsenale di Israele: il governo degli Stati Uniti.

Lamministrazione Biden è sempre più vulnerabile nei confronti degli oppositori interni della guerra e delle accuse internazionali di doppi standard”, ha detto Shidore, alludendo alla netta differenza tra la posizione degli Stati Uniti sulla guerra Russia-Ucraina e quella sulla guerra di Gaza. Tuttavia, una sentenza contro Israele potrebbe avere implicazioni sulla posizione degli Stati Uniti”, ha affermato, aggiungendo: La mia sensazione è che lamministrazione Biden e alcuni importanti alleati europei sosterranno fortemente Israele alla CIG”. Ma vedremo come sarà formulato nella pratica questo sostegno”.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Guerra contro Gaza: il Sudafrica avvia una denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia accusando Israele di genocidio

Redazione di MEE

29 dicembre 2023 – Middle East Eye

Città del Capo chiede alla Corte di fermare la campagna militare di Israele a Gaza, definendola una misura necessaria per proteggere i diritti del popolo palestinese

Il Sudafrica ha avviato una procedura affinché La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dichiari che Israele, nella sua campagna militare a Gaza, sta commettendo un genocidio contro i palestinesi.

La richiesta avviata da Città del Capo, che afferma che Israele viola i suoi obblighi in base alla Convenzione sul Genocidio, invoca la fine delle operazioni militari di Israele nell’enclave assediata. Sostiene che tale ingiunzione è “necessaria in questo caso per proteggere contro ulteriori, gravi e irreparabili danni ai diritti del popolo palestinese.”

“Israele è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in azioni genocidarie contro il popolo palestinese a Gaza,” afferma la denuncia del Sudafrica.

Sostiene di aver chiesto che la CIG dichiari “urgentemente che Israele sta violando i suoi doveri in base alla Convenzione sul Genocidio e dovrebbe interrompere immediatamente ogni azione e misura che contravvenga a questi obblighi e prendere una serie di azioni correlate.”

La presentazione della richiesta è l’ultima iniziativa del Sudafrica per fare pressione affinché Israele ponga fine alla sua guerra contro Gaza. Lo scorso mese i parlamentari del Paese hanno approvato la chiusura dell’ambasciata israeliana a Pretoria e l’interruzione dei rapporti diplomatici con Israele finché non verrà concordato un cessate il fuoco.

Israele ha violentemente respinto l’annuncio di venerdì da parte del Sudafrica, definendo il procedimento “infondato”, per poi continuare ad accusare Hamas delle sofferenze e delle morti della popolazione palestinese a Gaza.

“Israele ha chiarito che gli abitanti della Striscia di Gaza non sono il nemico e sta facendo ogni sforzo per limitare i danni per chi non è coinvolto [negli scontri] e per consentire l’ingresso nella Striscia di Gaza di aiuti umanitari,” ha affermato in un comunicato il ministero degli Esteri israeliano.

La CIG è uno dei sei principali organismi delle Nazioni Unite ed non è legata alla Corte Penale Internazionale (CPI), che processa singoli individui per crimini di guerra e contro l’umanità. Mentre la Corte giudica conflitti tra Paesi, non ha il potere di far rispettare le sue decisioni, nonostante esse siano legalmente vincolanti.

Alcuni analisti avevano in precedenza detto a MEE che, mentre le decisioni della CIG sono difficili da applicare, esse possono contribuire a cambiare la narrazione nel resto del mondo. E la valutazione riguardo a se Israele sta commettendo un genocidio potrebbe provocare gravi danni alla reputazione internazionale di Israele.

La guerra è scoppiata in Israele e a Gaza il 7 ottobre, quando Hamas e gruppi armati palestinesi hanno lanciato un attacco contro Israele che, secondo il bilancio del governo [israeliano], ha ucciso 1.200 israeliani e cittadini di altri Paesi.

Nel contempo secondo il ministero della Sanità palestinese durante la sua campagna di bombardamenti aerei e l’attacco via terra Israele ha ucciso più di 21.000 palestinesi, la maggioranza dei quali donne e minorenni.

Le forze militari israeliane hanno preso di mira infrastrutture civili di vario genere, tra cui ospedali, quartieri residenziali, ambulanze e moschee. Interi quartieri dell’enclave assediata sono stati completamente distrutti.

La convenzione dell’ONU sul Genocidio e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale definiscono come genocidio azioni “commesse con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.”

Esperti di diritto, funzionari dell’ONU e più di 800 studiosi hanno già segnalato che Israele sta tendenzialmente commettendo un genocidio contro i palestinesi.

Da molto tempo il Sudafrica appoggia la costituzione di uno Stato palestinese ed ha anche equiparato la situazione critica dei palestinesi a quella della maggioranza nera nel suo stesso Paese durante il periodo dell’apartheid. Israele nega recisamente di praticare l’apartheid. Tuttavia parecchie importanti associazioni per i diritti umani hanno affermato che, per come tratta i palestinesi, Israele sta mettendo in atto pratiche di apartheid.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La risposta della Corte Penale Internazionale alla Palestina e all’Ucraina solleva preoccupazioni su imparzialità e peso politico: il parere degli esperti

Agenzia Anadolu

24 ottobre 2023 – Middle East Monitor

Lo sconvolgente costo umano dellincessante attacco israeliano contro la Striscia di Gaza continua ad aumentare di ora in ora.

Nei bombardamenti israeliani, che hanno preso di mira tutte le aree dell’enclave palestinese assediata, sono stati uccisi più di 5000 uomini, donne e bambini palestinesi.

Gli attacchi aerei hanno colpito aree residenziali densamente popolate, ospedali e altri siti civili, causando anche la morte di decine di operatori umanitari, operatori sanitari e giornalisti.

Nella Striscia Israele ha tagliato le forniture di base, come acqua, elettricità e aiuti umanitari a più di 2,2 milioni di persone, imponendo inoltre attraverso un ordine di evacuazione dal nord della Striscia, quello che alcuni esperti chiamano lo sfollamento forzato di oltre 1.100.000 persone.

Per Israele tutto ciò rappresenta una risposta allattacco del 7 ottobre di Hamas e ai successivi attacchi missilistici sulle aree israeliane che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone.

Ma molti in tutto il mondo hanno contestato la forza eccessiva e sproporzionata utilizzata da Israele e sono emerse numerose segnalazioni di crimini di guerra contro lumanità da parte di esperti di diritto e persino funzionari come Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi Occupati.

Una delle aree di interesse è stata il ruolo, o lapparente mancanza di esso, di istituzioni come la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite (CIG) o la Corte Penale Internazionale indipendente (CPI) che, per sua stessa definizione, ha il mandato specifico di agire contro i crimini più gravi riguardanti la comunità internazionale: il genocidio, i crimini di guerra, i crimini contro lumanità e il crimine di aggressione”.

Lunedì la CIG ha annunciato che terrà delle udienze pubbliche sulla richiesta di un parere consultivo riguardo alle conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est”.

Tuttavia le udienze inizieranno il 19 febbraio del prossimo anno.

Per quanto riguarda la CPI, diversi esperti lhanno invitata ad agire immediatamente di fronte alla crescente escalation a Gaza.

Mentre la CPI ha risposto rapidamente alle accuse di crimini di guerra in Ucraina a partire dallo scorso anno, sembra essere molto lenta nell’affrontare i crimini in Palestina da quando ha iniziato le sue indagini nel 2015”

ha affermato Ben Saul, recentemente nominato relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta al terrorismo.

Saul, attualmente titolare della cattedra Challis di diritto internazionale presso l’Università di Sydney in Australia, assumerà l’incarico questo novembre.

Ha sostenuto che la ICC deve mostrare la stessa urgenza e mobilitazione di risorse per rassicurare il mondo sulla sua imparzialità e sul fatto che la sua legittimità non è minata da costrizioni geopolitiche”.

Tutti gli Stati dovrebbero collaborare con la Corte se in possesso di informazioni sui crimini”, ha detto ad Anadolu, sottolineando che nell’attuale escalation ci sono state diverse violazioni sia da parte di Hamas che delle forze israeliane.

Riguardo ad Israele afferma che lassedio totale di Gaza è una violazione del diritto internazionale e potrebbe configurare il crimine di guerra dell’uso della fame”.

Israele ha lobbligo di consentire e facilitare aiuti umanitari rapidi e senza ostacoli, compresi cibo e medicine. Gli avvertimenti di Israele ai civili sugli attacchi imminenti devono essere efficaci [per la popolazione, ndt.] e il suo ordine di evacuare oltre 1 milione di persone nel nord di Gaza, in condizioni di assedio, è inammissibile”, afferma.

Sono necessarie maggiori informazioni sulle decisioni e l’intelligence di Israele riguardo gli obiettivi ma è credibile che alcune delle migliaia di bombardamenti israeliani a Gaza possano aver comportato un numero eccessivo di vittime civili o di attacchi indiscriminati”.

Riguardo ad Hamas Saul afferma che le uccisioni di massa di civili israeliani potrebbero configurare il crimine internazionale di genocidio se specificamente intese a distruggere parte del popolo israeliano e/o ebraico in quanto tale”.

Potrebbero inoltre costituire vari crimini contro lumanità”, aggiunge.

La risposta della CPI mostra una disparità carica di influenze politiche

Secondo Khalil Dewan, responsabile delle indagini giuridiche presso lo studio legale britannico Stoke White, che ha preso parte a precedenti casi presso la CPI che coinvolgevano Israele, la Corte Penale Internazionale ha confermato la sua giurisdizione sui crimini di guerra in Palestina riguardanti tutte le parti coinvolte.

La CPI sta acquisendo prove di crimini di guerra e ha recentemente annunciato che il procuratore ha giurisdizione attraverso la Palestina [la Palestina, al contrario di Israele ha ratificato il trattato istitutivo della ICC, ndt.]”, ha detto ad Anadolu.

La giurisdizione della Corte sui crimini di guerra comprende Gerusalemme, Cisgiordania e Gaza con riferimento a tutte le parti in conflitto”.

Afferma che molti studi legali stanno raccogliendo prove,comprese quelle inerenti le ostilità attuali, che riguardano l’attacco a civili o infrastrutture protette e le punizioni collettive”.

Le azioni ancora in sospeso delle forze di terra israeliane saranno attentamente esaminate e sottoposte alla CPI”, riferisce.

Dewan sottolinea che Israele rifiuterà la giurisdizione della CPI”, ma ha aggiunto che questa è già stata rivendicata dal Procuratore (della CPI).

In ogni caso la mancanza di urgenza nell’approccio della CPI nei confronti dei crimini di guerra in Palestina rispetto alla risposta allUcraina dimostra una disparità carica di conseguenze politiche”, afferma.

Dewan dice che il diritto internazionale rimane un sistema giuridico indeterminato” e che alcuni Stati impiegano la strategia del lawfare[uso strumentale dei sistemi e delle istituzioni giuridiche contro individui o popoli, ndt.] per raggiungere obiettivi militari, anche attraverso la politica e le narrazioni dei media”.

Sostiene che i palestinesi hanno esaurito tutte le vie inerenti il diritto e la politica internazionali rivolte alla ricerca della giustizia”.

Gli appelli allOrganizzazione per la Cooperazione Islamica a formare un meccanismo regionale separato per la pace e la salvaguardia della sicurezza della Palestina sarebbero uniniziativa accolta con favore”, ha affermato.

Se le risoluzioni delle Nazioni Unite sulla Palestina non vengono rispettate allora è fondamentale cercare approcci decoloniali al diritto internazionale ed eliminare le leggi progettate per mettere a tacere e sottomettere gli Stati non occidentali”.

‘“La CPI può emettere mandati di arresto”

Ahmet Necip Arslan, un avvocato con sede a Istanbul, ha riportato le stesse opinioni affermando che i meccanismi di funzionamento della CPI sono molto lenti”.

Spesso le decisioni, in qualsiasi sede, possono essere prese sotto la forte influenza dei governi e della politica”, ha detto ad Anadolu.

Arslan rileva che la CPI può emettere mandati di arresto”, sottolineando che questo può essere un metodo efficace per fermare un conflitto armato”.

Ha detto che le notizie provenienti da Gaza

rivelano che Israele sta impiegando armi proibite come il fosforo bianco e prendendo di mira luoghi di culto e proprietà culturali, azioni considerate entrambe crimini di guerra”

Israele, conclude, sta privando i civili di beni essenziali come cibo, acqua, aiuti umanitari, antibiotici e forniture mediche, e ha aggiunto che queste potrebbero essere violazioni del diritto internazionale che potrebbero essere potenziali crimini di guerra”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Le Nazioni Unite condannano Israele riguardo alle misure punitive come ritorsione contro il voto palestinese sulla CIG.

Redazione di MEMO

17 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Nel dicembre 2022 l’assemblea generale delle Nazioni unite ha approvato una risoluzione che richiede alla Corte Internazionale di Giustizia un parere sull’occupazione israeliana.

Gli Stati membri delle Nazioni Unite hanno condannato le sanzioni dello Stato di Israele contro l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e richiesto l’immediato annullamento delle misure punitive che sono state introdotte all’inizio di questo mese dal governo di estrema destra dello Stato di occupazione. Più di 90 Stati hanno sostenuto una risoluzione che esprime “forte preoccupazione”, e sanziona anche Israele per le misure volte a punire il popolo palestinese, la leadership e la società civile in risposta alla decisione dell’organizzazione mondiale di richiedere un parere alla Corte Internazionale di Giustizia.

Il 30 dicembre l’assemblea generale di 193 membri ha espresso 87 voti contro 26, con 53 astensioni, a favore di una risoluzione che chiede l’opinione della CIG sull’occupazione israeliana della Palestina. La risoluzione che è stata promossa dai palestinesi insieme a molti altri Stati, chiede alla CIG di valutare le “conseguenze giuridiche risultanti dalla violazione in corso da parte dello Stato di Israele del diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione” così come alle sue misure “che hanno l’obiettivo di alterare composizione demografica, carattere e status” della città santa di Gerusalemme.

Lo Stato di Israele ha reagito con un pacchetto di sanzioni contro i palestinesi, provocando la condanna degli USA ed ora delle Nazioni Unite, inclusa la Germania che, nonostante abbia votato contro la risoluzione iniziale delle Nazioni Unite per deferire la questione della occupazione israeliana alla CIG, è stato tra i quattro Stati dell’Unione Europea a sostenere la dichiarazione di ieri che richiede “la loro immediata cancellazione”.

Ciò che è sorprendente riguardo alla dichiarazione,” ha detto l’ambasciatore palestinese alle Nazioni Unite Riyad Mansour, “è che è stata firmata da Nazioni che si sono astenute o che hanno votato contro alla risoluzione che richiedeva l’opinione alla Corte”. Mansour ha evidenziato l’isolamento dello Stato di Israele all’interno della comunità internazionale e ha fatto un’osservazione sul perché Stati europei come la Germania abbiano votato a favore.

Ma punire persone per il fatto che si rivolgano all’assemblea generale per l’adozione di una risoluzione è diverso,” Mansour ha continuato. “Questa è la ragione per cui sono stati con noi e si sono opposti a questa politica del governo israeliano e stanno chiedendo un annullamento di questa decisione” ha aggiunto. L’inviato palestinese ha spiegato che “ogni Nazione che creda nel multilateralismo e sia sostenitrice di un ordine basato sul diritto internazionale non può far altro che opporsi a tali misure punitive che hanno come obbiettivo e colpiscono il popolo, la leadership e la società civile palestinesi.”

Mansour crede che un numero maggiore di Nazioni sosterranno la dichiarazione quando il consiglio di sicurezza terrà oggi la sua riunione mensile sul Medio Oriente, che si concentrerà sulla decennale occupazione israeliana della Palestina.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Cosa accadrebbe nel caso in cui la CIG delegittimasse l’occupazione israeliana della Palestina?

Ramzy Baroud

10 gennaio 2023 – Middle East Monitor

Ancora una volta la Corte internazionale di giustizia (CIG) è in procinto di emettere un parere legale sulle conseguenze dell’occupazione israeliana della Palestina. Il 31 dicembre uno storico voto delle Nazioni Unite ha invitato la CIG a esaminare in termini giuridici l’occupazione, i diritti del popolo palestinese all’autodeterminazione e la responsabilità da parte di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite di porre fine alla prolungata occupazione israeliana. Un accento particolare sarà posto sulla “composizione demografica, carattere e status” della Gerusalemme occupata.

L’ultima volta venne chiesto alla CIG di fornire un parere giuridico sulla questione fu nel 2004. Tuttavia allora il parere era in gran parte incentrato sulle “conseguenze legali derivanti dalla costruzione del muro [dell’apartheid israeliano]”.

Sebbene sia vero che la CIG concluse che la totalità delle azioni israeliane nei Territori palestinesi occupati è illegale ai sensi del diritto internazionale – la Quarta Convenzione di Ginevra, le relative disposizioni dei precedenti Regolamenti dell’Aia e, naturalmente, numerose risoluzioni della Assemblea generale e del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite – questa volta la corte esprimerà la sua opinione sul tentativo di Israele di rendere permanente quella che dovrebbe essere un’occupazione militare temporanea.

In altre parole, la CIG potrebbe – e molto probabilmente lo farà – delegittimare ogni singola azione intrapresa da Israele nella Palestina occupata dal 1967. Questa volta le conseguenze non saranno simboliche, come spesso accade nelle decisioni dell’ONU relative alla Palestina.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, che ha fatto più di ogni altro leader israeliano per “normalizzare” l’occupazione della Palestina, si è comprensibilmente adirato dopo il voto delle Nazioni Unite. Lo ha descritto come “spregevole”.

I suoi partner di coalizione sono stati altrettanto intransigenti. “L’occupazione [israeliana] della Cisgiordania è permanente e Israele ha il diritto di annetterla”, ha detto il membro della Knesset Zvika Fogel il 1° gennaio in un’intervista sulla emittente israeliana Radio 103FM. Più di ogni altra cosa, le parole di Fogel riassumono la nuova realtà in Israele e Palestina. Sono finiti i giorni dell’ambiguità politica riguardo alle motivazioni ultime di Israele nei Territori palestinesi occupati.

In effetti Israele sta ora cercando di gestire una fase completamente nuova del suo progetto coloniale in Palestina, un’impresa iniziata propriamente nel 1947-48 e che, secondo i calcoli di Israele, sta per concludersi con la colonizzazione totale della Palestina. Questa è la versione israeliana di una “soluzione a uno Stato” basata su apartheid e discriminazione razziale.

Il partito di Fogel, Otzma Yehudit, è un membro importante della nuova coalizione di destra di Netanyahu. Le sue parole non riflettono semplicemente le sue opinioni personali o solo quelle del suo versante ideologico.

Il nuovo governo è pieno di estremisti del calibro, tra gli altri, di Bezalel Smotrich, Itamar Ben-Gvir e Yoav Galant – ed è ora impegnato in un’agenda contraria alla pace per una questione politica. Il 28 dicembre, subito dopo aver prestato giuramento, il nuovo governo ha annunciato che “avanzerà e realizzerà insediamenti in tutte le parti di Israele”. Non è stata fatta alcuna distinzione tra “Israele”, come riconosciuto dai Paesi di tutto il mondo, e i Territori palestinesi occupati. Nelle intenzioni della coalizione l’annessione è già avvenuta.

Ben-Gvir, il cui raid alla moschea di Al-Aqsa nella Gerusalemme est occupata ha suscitato molte critiche in tutto il mondo, sta inviando chiari messaggi ai palestinesi e alla comunità internazionale in generale: per quanto riguarda Israele, nessuna legge internazionale è rilevante, niente è sacro e nessun centimetro della Palestina è off limits.

Questa volta, però, non è come al solito. Sì, l’espansione territoriale di Israele a spese della Palestina occupata è stata il comune denominatore tra tutti i governi israeliani negli ultimi 75 anni, ma vari governi, comprese le prime presidenze di Netanyahu, hanno trovato modi indiretti per giustificare la costruzione di insediamenti coloniali illegali. Le cosiddette “espansioni naturali” e le “esigenze di sicurezza” erano solo due dei tanti pretesti forniti da Israele per giustificare la sua continua spinta all’acquisizione di terre con la forza.

In pratica, nulla di tutto ciò sarebbe stato possibile senza l’inesauribile sostegno finanziario, militare e politico degli Stati Uniti. Inoltre i veti statunitensi al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite e l’incessante pressione sui membri dell’Assemblea generale dell’ONU hanno permesso a Israele di aggirare indenne il diritto internazionale. Esso è in grado di agire con totale impunità. Il risultato è la tragica realtà di oggi.

Secondo il sito web ufficiale delle Nazioni Unite attualmente ci sono quasi 700.000 coloni ebrei illegali che vivono in territorio palestinese occupato. La ONG israeliana Peace Now afferma che questi coloni ebrei vivono in 145 colonie illegali nella Cisgiordania occupata, oltre a 140 avamposti di insediamenti coloniali, illegali anche secondo la legge israeliana ma che probabilmente saranno ufficializzati dal nuovo governo.

La coalizione guidata da Netanyahu è stata costituita con il programma che in futuro gli avamposti saranno effettivamente legalizzati e quindi riceveranno finanziamenti governativi ufficiali. Ciò non dovrebbe rappresentare un grosso problema politico per Netanyahu che nel 2020 è riuscito a convincere la Knesset [parlamento, ndt.] israeliana sulla prospettiva dell’annessione di gran parte della Cisgiordania ed è ora determinato a portare avanti un processo di “annessione morbida”; annessione de facto che rischia di essere legalizzata in seguito come annessione de jure.

Né la piena colonizzazione della Palestina si rivelerebbe un problema giuridico. La legge israeliana sullo Stato-nazione del 2018 ha già fornito la copertura legale a Tel Aviv per violare il diritto internazionale e fare ciò che vuole in termini di colonizzazione di tutta la Palestina ed emarginazione dei legittimi diritti dei palestinesi. Secondo la nuova Legge Fondamentale di Israele, “Lo Stato di Israele è lo Stato-nazione del popolo ebraico in cui esso realizza il suo diritto naturale, culturale, religioso e storico all’autodeterminazione”. Proprio questo riferimento è stato citato nella dichiarazione del nuovo governo del 29 dicembre.

Non molti in Israele protestano contro tale situazione. In un recente articolo sul Palestine Chronicle lo storico israeliano Ilan Pappe ha spiegato come le attuali formazioni socio-politiche della società israeliana, oltre le tre correnti dominanti di destra ed estremiste impegnate nella Coalizione Netanyahu: ebrei ultraortodossi, ebrei religiosi nazionalisti ed ebrei laici del Likud, rendano quasi impossibile l’emergere di politiche alternative di rilevante consenso.

Ciò significa che il cambiamento in Israele non potrebbe mai venire dall’interno dello stesso Israele. Mentre i palestinesi continuano a resistere, i governi arabi e musulmani, e la comunità internazionale in generale, devono affrontare lo stato di occupazione, usando tutti i mezzi a loro disposizione per porre fine a questa farsa. L’opinione della CIG è molto importante ma senza un’azione significativa un’opinione legale da sola non capovolgerà la sinistra realtà dei fatti in Palestina, specialmente quando questa realtà è finanziata, appoggiata e sostenuta da Washington e dagli altri alleati occidentali di Israele.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Sconfiggere la caccia alle streghe dell’IHRA: un’intervista all’attivista e docente palestinese Shahd Abusalama

Ramona Wadi

7 febbraio 2022 – Mondoweiss

Shahd Abusalama riflette sulla sua ingiusta sospensione dall’università Hallam di Sheffield dovuta a false accuse di antisemitismo e sulla mobilitazione popolare che ha contribuito alla sua riammissione.

L’università Hallam di Sheffield aveva sospeso Shahd Abusalama dal suo incarico di lettrice associata dopo che il mese scorso erano state lanciate contro di lei accuse anonime. L’iniziativa ha provocato un’ondata di appoggi all’accademica palestinese e ha acceso una discussione sul modo in cui governi ed istituzioni sono complici di Israele nell’adottare la definizione di antisemitismo [che negli esempi assimila antisionismo e critiche a Israele all’antisemitismo, ndtr.] dell’Alleanza Internazionale per la Memoria dell’Olocausto [ente intergovernativo cui aderiscono 34 Stati, ndtr.] (IHRA) allo scopo di reprimere le critiche a Israele e silenziare la narrazione palestinese.

Abusalama è stata sospesa in seguito ad una serie di tweet in cui esprimeva la propria opinione sull’uso da parte di uno studente del primo anno delle parole “Stop all’olocausto palestinese” in un manifesto del dicembre 2021. ‘Jewish News – UK’ [Il quotidiano gratuito filoisraeliano che si rivolge alla comunità ebraica della zona di Londra, ndtr.] ha riferito che l’università stava indagando sui tweet. Il 21 gennaio, mentre si preparava a tenere una lezione, ad Abusalama è stata notificata la sospensione e la sua lezione è stata annullata. La natura dell’accusa e l’identità di chi stava dietro la denuncia non sono trapelati.

Non è la prima volta che Abusalama, dottoranda ed attivista di Gaza trasferitasi nel Regno Unito nel 2014, è stata presa di mira dai propagandisti sionisti per le sue attività. Parlando a Mondoweiss, Abusalama sottolinea che il suo caso è stato paragonato a quelli di Jeremy Corbyn e David Miller, entrambi bersagli dei sionisti. “Ma occorre fare una distinzione. Sì, si è vittime della stessa caccia alle streghe, ma le conseguenze sono diverse perché viviamo in una società ineguale in cui alcune persone hanno maggiori privilegi di altre. Loro due sono bianchi, anziani ed hanno cittadinanza europea. Io non ho nessuna di queste caratteristiche, sapete. Io sono vulnerabile in così tanti modi che il fatto che la definizione dell’IHRA sia stata usata dall’università per la prima volta contro una palestinese dimostra come noi siamo i più vulnerabili a questa nefasta e subdola definizione.”

Abusalama descrive la campagna contro di lei come malvagia. “Ma mostra anche un modo di agire storicamente ricorrente di come i palestinesi vengono trattati come eccezione alla regola.” I palestinesi, dice, sono trattati come un’eccezione quando si tratta di diritti umani e autodeterminazione, e le azioni dell’università nei suoi confronti hanno ribadito la radicata politica israeliana di razzismo e colonialismo, che fondamentalmente assoggetta i palestinesi, le loro storie e le loro esperienze per mantenere i privilegi concessi ai colonizzatori.

Abusalama ha detto che durante un precedente incontro con il responsabile delle risorse umane dell’università le è stato espresso rammarico per la cattiva gestione della situazione e l’insensibilità verso il benessere degli studenti, le cui lezioni sono state bruscamente annullate. “Infatti non dimentichiamo che la mia sospensione ha implicato che le lezioni sarebbero state annullate fino a nuova comunicazione e quindi anche i miei studenti sono stati colpiti dal comportamento scorretto e dalla risposta da parte dell’università. Il fatto che riconoscano tutti gli errori commessi è un passo nella giusta direzione, ma l’indagine è ancora in corso, perciò tutto questo non è ancora finito. Essa si basa sulla definizione dell’IHRA e l’università ha parlato alla stampa sionista senza prima consultarmi. Si sono letteralmente arresi alla campagna di diffamazione condotta dai media sionisti, comunicando con loro riguardo al mio lavoro senza parlarmene prima e dicendo loro che la mia università stava indagando su di me, senza che io lo sapessi.”

L’immagine che Israele ha costruito nei decenni contando sull’appoggio colonialista si sta lentamente incrinando, grazie alla maggioranza, come Abusalama definisce i palestinesi e gli oppressi. “La pressione popolare funziona e se noi contrattacchiamo possiamo vincere”, sostiene Abusalama, “grazie a tutta questa ondata di sostegno arrivata da ogni parte del mondo – sostenitori di tutte le nazioni, di tutte le fedi, di tutte le razze in tutto il mondo – e questo sostegno è una carta fondamentale nella lotta per la Palestina. Dobbiamo ricordare che siamo la maggioranza e che abbiamo dalla nostra parte la giustizia, le risoluzioni dell’ONU, il diritto internazionale e tutte le convenzioni internazionali – anche la Corte Internazionale di Giustizia è dalla nostra parte. E lo sono persino le organizzazioni israeliane per i diritti umani.”

Certo, l’ondata di sostegno ad Abusalama sulle piattaforme social contrasta con l’attività della lobby sionista, che conta sulle campagne per intimidire e mettere a tacere. Usare come arma la definizione dell’IHRA, che è abbastanza ambigua da rispondere alla strategia politica suprematista israeliana, è una tattica che dovrebbe essere accuratamente analizzata.

Ci sono stati molti timori che la definizione dell’IHRA potesse essere usata per soffocare le critiche a Israele, in particolare prendendo di mira sia persone di nazionalità che sono direttamente coinvolte con le politiche israeliane, come ad esempio la popolazione palestinese o libanese, sia accademici i cui percorsi di ricerca includono analisi delle politiche israeliane. Altri, al di fuori dell’ambito universitario, si sono preoccupati che l’eliminazione delle critiche ad Israele possa condurre alla “censura e cancellazione dell’opposizione palestinese alla violenza che continua a espropriarli.” A questo punto risulta chiaro che, quando le università adottano la definizione dell’IHRA, ciò comporta una partecipazione diretta all’ostilità sionista nei confronti dei palestinesi e delle voci filopalestinesi. Inoltre essa disprezza la memoria collettiva dei palestinesi e l’esperienza vissuta della perdurante Nakba di Israele.

Se chiedete a qualcuno come me se Israele ha un comportamento razzista, è superfluo dire che lo è. Io sono una vittima della loro pulizia etnica. La mia famiglia è una vittima della loro pulizia etnica – 531 villaggi e città palestinesi completamente spopolati dalle loro popolazioni native e distrutti, cosa che è un atto di memoricidio che è denunciato da molte persone, persino da storici israeliani”, dice Abusalama. “Israele cerca disperatamente di arrogarsi il ruolo di vittima, ma solo per distogliere l’attenzione dalla reale vittima del suo crimine e questo è stato denunciato prima della creazione dello Stato.”

Abusalama sottolinea che all’interno del consiglio per le colonie del governo britannico vi erano degli ebrei che si sono schierati contro la costruzione del giudaismo come identità nazionale. “È stata una grande ingiustizia anche solo pensare di costruire uno Stato sionista in cui i palestinesi sarebbero stati del tutto trascurati e questo avvenne contemporaneamente alle promesse britanniche agli arabi sull’autodeterminazione della Palestina. Cosa che era l’orientamento della potenza mandataria in quell’epoca seguente alla prima guerra mondiale: sosteneva di voler condurre quella popolazione occupata all’indipendenza e all’autonomia. Ma, mentre la maggioranza delle comunità colonizzate nel mondo andava verso la decolonizzazione, i palestinesi rimasero bloccati sotto il colonialismo ed il potere coloniale passò dai britannici ad Israele. La Gran Bretagna lasciò la Palestina il 14 maggio 1948, dopo 30 anni di distruzione e colonialismo di insediamento. Trascorsero poche ore tra il ritiro britannico dalla Palestina e la dichiarazione dello Stato di Israele il 15 maggio 1948. Ciò avvenne sullo sfondo della pulizia etnica che schiacciò e distrusse la terra di Palestina ed il suo popolo. E questo processo continua tuttora a Sheikh Jarrah, a Gerusalemme, nella maggior parte dei quartieri di Gerusalemme, a Beita, Hebron e dovunque, anche nel nord della Palestina. Questo è chiarissimo nei rapporti di B’Tselem che condannano l’apartheid israeliano. Un regime di apartheid che si estende dal fiume Giordano al mar Mediterraneo.”

In un contesto di prove storiche della pulizia etnica di Israele e delle perduranti ripercussioni dell’ espansione delle sue colonie di insediamento, ora si criminalizza l’attivismo invece di richiamare Israele alle sue responsabilità in base al diritto internazionale.

Dice Abusalama: “Quando noi diciamo ‘Palestina libera dal fiume [Giordano] al mare [Mediterraneo]’ vogliamo dire che queste prassi oppressive dal fiume al mare e anche oltre, come evidenzia il mio caso, devono finire. Devono finire. Ma persino questo bello slogan di liberazione viene tacciato di antisemitismo. Persino ‘la solidarietà è un verbo’ [altro slogan del movimento filo-palestinese, ndtr.] in questa atmosfera è antisemitismo. È preoccupante e deve preoccupare le persone a cui importa qualcosa dell’umanità e dei diritti umani. Nessuno è al sicuro. Nessuno è al sicuro finché continua l’ingiustizia in tutto il mondo. Basta vedere come Israele usa il suo modello di oppressione contro i palestinesi e lo vende ad altri Stati oppressivi perché lo usino contro i diversi che non vogliono avere sul loro territorio.”

Abusalama è stata categorica nel non accettare alcuna inchiesta basata sulla definizione dell’IHRA. “Non accetterò di essere valutata sulla base di falsi presupposti e credo che questa indagine dovrebbe essere lasciata cadere. Si tratta di una motivazione intrinsecamente razzista e fuorviante, che viene imposta alle università da politici al governo qui nel regno Unito, tagliando loro i fondi se non adottano la definizione dell’IHRA. Gavin Williamson, Ministro dell’Istruzione del Regno Unito, ha imposto alle università la definizione dell’IHRA ed ha addirittura fissato una scadenza entro la quale la mancata adozione della definizione dell’IHRA comporterà la cancellazione dei finanziamenti. Questo è un vulnus all’autonomia universitaria che non può essere accettato, che tu sia palestinese o no. L’ingerenza del governo nelle attività universitarie dimostra quanto sia politico questo strumento della definizione dell’IHRA e quanto sia utile praticamente solo agli interessi britannici, israeliani ed imperialisti.”

Dopo la nostra conversazione Abusalama è stata reintegrata. Il 2 febbraio il sindacato dell’università e del college Hallam di Sheffield ha approvato una mozione che chiede all’università di chiedere pubblicamente scusa, di interrompere ogni indagine contro di lei che sia basata sulla definizione dell’IHRA e di stabilire una sospensione dell’utilizzo della definizione nelle azioni disciplinari dell’università.

Il giorno seguente Abusalama è stata informata dall’università che non verrà condotta alcuna ulteriore indagine. Ora è completamente scagionata dalle false accuse di antisemitismo sollevate contro di lei in base alla definizione dell’IHRA e le è stato offerto un contratto più stabile con l’università.

Ramona Wadi

Ramona Wadi è ricercatrice indipendente, giornalista freelance, critica letteraria e blogger. I suoi lavori si occupano di una serie di tematiche relative a Palestina, Cile e America Latina.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele e il dio delle colonie

22 novembre 2019 Volere la Luna

In questi giorni convulsi, in cui l’Italia è seriamente preoccupata per le vicende dell’ex ILVA di Taranto che mettono a nudo la difficoltà di sciogliere un conflitto fra due principi forti – le ragioni dell’industria e dell’occupazione e le ragioni della tutela della salute – è passata quasi inosservata una notizia estremamente grave, che spiana la strada al caos nelle relazioni internazionali.

Giorni fa, Mike Pompeo, Segretario di Stato USA, ha dichiarato che gli Stati Uniti non considerano più le colonie israeliane in Cisgiordania illegittime, ossia contrarie al diritto internazionale. Qualche ora dopo il premier israeliano Benjamin Netanyahu, ha approvato il disegno di legge che permetterà a Israele di annettersi la Valle del Giordano, adempiendo a una promessa già manifestata durante la recente campagna elettorale.

Il conflitto israeliano Palestinese, com’è noto, è il conflitto internazionale che più profondamente ha intersecato la responsabilità della Comunità internazionale attraverso l’Organizzazione delle Nazioni Unite, a cominciare dall’ormai lontano 1947, quando l’Assemblea Generale, con la Risoluzione n. 181 del 29 novembre, decretò la divisione della Palestina soggetta al Mandato Britannico in due Stati, prevedendo uno status speciale per la città di Gerusalemme. Da allora le Nazioni Unite sono intervenute in tutte le maniere possibili per arginare la violenza, dare una prospettiva ai profughi, tracciare un quadro di regole condivise dalla Comunità internazionale e indicare una prospettiva per la costruzione di una soluzione pacifica e definitiva del conflitto, impegnando tutte le loro risorse. L’Assemblea Generale e il Consiglio di Sicurezza hanno esaminato tutti gli aspetti del conflitto. In particolare quest’ultimo ha pronunziato numerose e importanti Risoluzioni, come quelle n. 242 del 22 novembre 1967, n. 338 del 22 ottobre 1973 e n. 465 del 1° marzo 1980, che ancora oggi costituiscono i capisaldi, la via maestra per ogni possibile percorso di pace.

Infine è intervenuta la Corte Internazionale di Giustizia che ha pronunciato delle parole definitive sullo status giuridico dei territori occupati da Israele a seguito della guerra dei sei giorni (1967). La Corte è la bocca del diritto internazionale: essa ci dice cosa è legale e cosa è illegale nell’ordinamento internazionale. Con la sua sentenza del 9 luglio 2004 la Corte ha ribadito che tutti i territori che si trovano al di là della linea verde (la linea di armistizio del 1949), ivi compresa la zona Est di Gerusalemme, sono territori occupati a seguito di un conflitto bellico e che Israele è una Potenza occupante, come tale vincolata, nell’amministrazione dei territori occupati, al rispetto delle obbligazioni derivanti dal diritto dei conflitti armati.

Due sono le conseguenze fondamentali che emergono dal riconoscimento dello statuto giuridico dei territori occupati. La prima è che il popolo palestinese è titolare di un diritto all’autodeterminazione, che deve essere attuato, ovviamente, con mezzi pacifici, ma non deve essere pregiudicato con modifiche del territorio e della sua composizione demografica, realizzate attraverso la politica dei “fatti compiuti”. La seconda è che, nell’amministrazione dei territori occupati, la Potenza occupante deve rispettare le Convenzioni internazionali, ivi compresa la IV Convenzione di Ginevra, che esplicitamente vieta alla Potenza occupante di trasferire una parte della propria popolazione nei territori occupati (art. 49). La Corte quindi riconosce che gli insediamenti dei coloni nei territori occupati sono illegali in quanto costituiscono una “flagrante violazione” della IV Convenzione di Ginevra.

Allorché il portavoce di Trump dichiara che le colonie non sono più illegali, in realtà demolisce il diritto internazionale e legittima la legge della giungla nelle relazioni internazionali, mandando in esilio il diritto.

La questione va al di là del caso specifico: attraverso queste condotte si rinnega l’ordine giuridico costruito dopo la seconda guerra mondiale fondato sul presupposto che la pace si raggiunge attraverso il diritto. Demolire la trama, pur esile, del diritto e delle Convenzioni che regolano le relazioni internazionali significa precipitare l’umanità intera in una condizione di conflitto perenne.

Se i coloni israeliani si appropriano delle terre palestinesi di cui si considerano titolari per diritto divino, è il caso di rispolverare il secondo comandamento: non pronunciare invano il nome del Signore tuo Dio.

Domenico Gallo, magistrato è presidente di sezione della Corte di cassazione. Da sempre impegnato nel mondo dell’associazionismo e del movimento per la pace, è stato senatore della Repubblica per una legislatura ed è componente del comitato esecutivo del Coordinamento per la democrazia costituzionale. Tra i suoi ultimi libri Da sudditi a cittadini. Il percorso della democrazia (Edizioni Gruppo Abele, 2013)



**La Corte Suprema emette una sentenza contraria a rivelare il ruolo di Israele nel genocidio in Bosnia

John Brown* (Tradotto da Tal Haran)

5 dicembre 2016 – +972 Magazine

Evocando un potenziale danno alla politica estera di Israele, la Corte Suprema respinge una petizione che chiede di rivelare dettagli sulle esportazioni di armi da parte del governo all’esercito serbo durante il genocidio in Bosnia.

**Nota redazionale: nonostante si tratti di un articolo che risale al dicembre 2016, riteniamo interessante tradurre questo articolo perché smentisce la rappresentazione ed autorappresentazione di sé di Israele come Stato etico e nato dal rifiuto di crimini contro l’umanità, e in particolare dell’Olocausto. Si tratta di un impegno selettivo, come dimostrano questo ed altri episodi. Ciò è ancora più significato oggi, nel momento in cui Israele e i suoi sostenitori utilizzano in modo strumentale e sempre più spudorato l’antisemitismo e l’antirazzismo per attaccare i palestinesi e chi ne sostiene la causa.

Il mese scorso la Corte Suprema israeliana ha respinto una petizione che chiedeva di rivelare i dettagli delle esportazioni israeliane per la difesa all’ex Jugoslavia durante il genocidio in Bosnia negli anni ’90. La Corte ha deliberato che rivelare il coinvolgimento israeliano nel genocidio avrebbe danneggiato la politica estera del Paese ad un punto tale da prevalere sull’interesse pubblico a conoscere quelle informazioni e la possibile incriminazione dei soggetti coinvolti.

I ricorrenti, l’avvocato Itay Mack e il professor Yair Oron, hanno presentato alla Corte prove concrete delle esportazioni della difesa israeliana alle forze serbe a quell’epoca, inclusi addestramento, munizioni e fucili. Tra le altre cose, hanno presentato il diario personale del generale Ratko Mladic, attualmente sotto processo presso la Corte Internazionale di Giustizia per aver commesso crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio. Il diario di Mladic menziona in modo esplicito le vaste connessioni relative ad armamenti con Israele a quel tempo.

Le esportazioni sono avvenute molto tempo dopo che il Consiglio di Sicurezza dell’ONU aveva posto un embargo sulle armi in varie parti della ex Jugoslavia, e dopo la pubblicazione di una serie di testimonianze che hanno rivelato il genocidio e la creazione di campi di concentramento.

La risposta del Procuratore di Stato israeliano e il respingimento del ricorso da parte della Corte sono un’ammissione de facto da parte di Israele di aver cooperato con il genocidio bosniaco: se il governo non avesse avuto niente da nascondere, i documenti in questione non avrebbero rappresentato nessuna minaccia per la politica estera.

I più tremendi atti di crudeltà dopo l’Olocausto

Tra il 1991 e il 1995 la ex Jugoslavia si dissolse, passando da una repubblica multi-nazionale ad un insieme di Nazioni in conflitto tra di loro in una sanguinosa guerra civile che incluse massacri e infine il genocidio.

I serbi combatterono una guerra contro la Croazia dal 1991 al 1992 e contro la Bosnia dal 1992 al 1995. In entrambe le guerre commisero genocidio e pulizia etnica dei musulmani nelle zone che occupavano, portando alla morte di 250.000 persone. Decine di migliaia di altre furono ferite e affamate, moltissime donne stuprate e molte persone incarcerate in campi di concentramento. Anche altre parti in conflitto commisero crimini di guerra, ma il ricorso si concentra sulla collaborazione di Israele con le forze serbe. Gli atti orribilmente crudeli in Jugoslavia sono stati la cosa peggiore che l’Europa abbia visto dopo l’Olocausto.

Uno dei massacri più noti fu perpetrato dai soldati agli ordini del generale serbo Ratko Mladic intorno alla città di Srebrenica nel luglio 1995. Le forze serbe comandate dal generale uccisero circa 8.000 bosniaci e li seppellirono in fosse comuni durante una campagna di pulizia etnica che stavano conducendo contro i musulmani in quella zona. Pur se la città doveva essere sotto la protezione delle Nazioni Unite, quando iniziò il massacro le truppe ONU non intervennero. Nel 2012 Mladic venne estradato alla Corte Internazionale di Giustizia all’Aja ed è tuttora sotto processo.

A quel tempo importanti organizzazioni ebraiche fecero appello per una immediata fine del genocidio e lo smantellamento dei campi di morte. Non così fece lo Stato di Israele. Esteriormente condannò il massacro, ma dietro le quinte stava fornendo armi ai massacratori e addestrando le loro truppe.

L’avvocato Mack e il professor Oron hanno raccolto molte testimonianze sulla fornitura di armi da Israele alla Serbia, che hanno presentato nel loro ricorso. Hanno fornito prove che tali esportazioni hanno avuto luogo molto dopo che l’embargo del Consiglio di Sicurezza ONU era entrato in vigore nel settembre 1991. Le testimonianze sono state sottoposte a verifiche incrociate e vengono qui riportate così come presentate nel ricorso, con le necessarie abbreviazioni.

Nel 1992 un’ex alta dirigente del Ministero della Difesa serbo pubblicò un libro, ‘The Serbian Army’ [L’esercito serbo], in cui scrisse dell’accordo sulle armi tra Israele e la Serbia, firmato circa un mese dopo l’embargo: “Uno dei più ampi accordi fu concluso nell’ottobre 1991. Per ovvi motivi l’accordo con gli ebrei non fu reso pubblico in quel momento.”

Un israeliano che al tempo era volontario in un’organizzazione umanitaria in Bosnia ha testimoniato che nel 1994 un dirigente dell’ONU gli chiese di vedere i resti di una granata da 120 mm – con sopra scritte in ebraico – che era esplosa sulla pista di atterraggio dell’aeroporto di Sarajevo. Ha anche testimoniato di aver visto dei serbi che giravano per la Bosnia muniti di fucili Uzi fabbricati in Israele.

Nel 1995 fu riferito che trafficanti d’armi israeliani in collaborazione coi francesi strinsero un accordo per fornire alla Serbia missili LAW. Secondo rapporti del 1992, una delegazione del Ministero della Difesa israeliano si recò a Belgrado e firmò un accordo per la fornitura di granate.

Lo stesso generale Mladic, che è attualmente incriminato per crimini di guerra e genocidio, scrisse nel suo diario che “da Israele hanno proposto di unirsi alla lotta contro gli estremisti islamici. Si sono offerti di addestrare i nostri uomini in Grecia e di fornirci gratis fucili di precisione.” Un rapporto stilato su richiesta del governo olandese durante l’inchiesta sugli eventi di Srebrenica contiene quanto segue: “Belgrado considerava Israele, la Russia e la Grecia come i suoi migliori amici. Nell’autunno 1991 la Serbia strinse un accordo segreto sulle armi con Israele.”

Nel 1995 fu riferito che trafficanti di armi israeliani fornirono armi al VRS – l’esercito della ‘Republika Srpska’, l’esercito serbo bosniaco. Questa fornitura deve essere stata eseguita con il benestare del governo israeliano.

I serbi non erano gli unici in questa guerra a cui i trafficanti di armi israeliani cercarono di vendere armi. In base ai rapporti, ci fu anche un tentativo di fare un accordo con il regime antisemita della Croazia, che alla fine andò in fumo. Il ricorso ha anche presentato rapporti di attivisti per i diritti umani sull’addestramento israeliano all’esercito serbo, e sul fatto che l’accordo sulle armi con i serbi consentì agli ebrei di lasciare Sarajevo, che era sotto assedio.

Mentre tutto ciò avveniva in relativa segretezza, pubblicamente il governo israeliano esprimeva in modo poco convincente la sua apprensione per la situazione, come se si trattasse di cause di forza maggiore e non di una carneficina per mano di uomini. Nel luglio 1994 l’allora capo della Commissione Relazioni Estere e Difesa del parlamento israeliano, deputato Ori Or, si recò a Belgrado e disse: “La nostra memoria è viva. Sappiamo cosa significa vivere sotto boicottaggio. Ogni Risoluzione dell’ONU contro di noi è stata decisa con la maggioranza di due terzi.” In quell’anno l’allora vice presidente degli Stati Uniti Al Gore convocò l’ambasciatore israeliano e intimò ad Israele di sospendere questa collaborazione.

Tra parentesi, nel 2013 Israele non si è fatto problemi ad estradare in Bosnia-Erzegovina un cittadino immigrato in Israele sette anni prima, che era ricercato per sospetto coinvolgimento in un massacro in Bosnia nel 1995. In altri termini, ad un certo punto lo Stato stesso ha riconosciuto la gravità della questione.

La Corte Suprema al servizio dei crimini di guerra

L’udienza della Corte Suprema in merito alla risposta dello Stato al ricorso si è svolta ex parte, cioè ai ricorrenti non è stato permesso di assistere. I giudici Danziger, Mazouz e Fogelman hanno respinto il ricorso ed hanno accettato la posizione dello Stato secondo cui rivelare i dettagli delle esportazioni della difesa israeliana alla Serbia durante il genocidio avrebbe danneggiato le relazioni estere e la sicurezza di Israele, e questo danno potenziale era prevalente rispetto all’interesse pubblico alla rivelazione di quanto accadde.

Questa sentenza è pericolosa per diverse ragioni. In primo luogo, l’accettazione della Corte della certezza dello Stato sul grave danno che sarebbe stato arrecato alle relazioni estere di Israele lascia perplessi. All’inizio di quest’anno la stessa Corte Suprema ha respinto un’accusa simile relativa alle esportazioni della difesa durante il genocidio del Rwanda, però un mese dopo lo Stato ha dichiarato che le esportazioni sono state sospese sei giorni dopo l’inizio del massacro. Se persino lo Stato non vede nessun pericolo nel rivelare – almeno parzialmente – queste informazioni riguardo al Rwanda, perché un mese prima è stata imposta una stretta riservatezza sulla questione? Perché i giudici della Corte Suprema hanno sottovalutato questo inganno, arrivando a rifiutare di accettarlo come prova come richiesto dai ricorrenti? Dopotutto, lo Stato ha ovviamente esagerato nel sostenere che questa informazione avrebbe danneggiato la politica estere.

In secondo luogo, è veramente di pubblico interesse rivelare il coinvolgimento dello Stato in un genocidio, per di più attraverso trafficanti d’armi, in particolare in quanto Stato fondato sulla devastazione del suo popolo in seguito all’Olocausto. È per questo motivo che Israele, per esempio, ha voluto disconoscere la sovranità dell’Argentina quando ha rapito Eichmann e lo ha portato in tribunale nel proprio territorio. È nell’interesse non solo degli israeliani, ma anche di coloro che sono state vittime dell’Olocausto. Quando la Corte si occupa dei crimini di guerra, è corretto che prenda in considerazione anche il loro interesse.

Quando la Corte sentenzia, in casi di genocidio, che il danno alla sicurezza dello Stato – cosa che resta tutta da provare – prevale sul perseguimento della giustizia per le vittime di tali crimini, manda un chiaro messaggio: che il diritto dello Stato alla sicurezza, reale o presunta, è assoluto e ha precedenza rispetto ai diritti dei suoi cittadini e di altri.

La sentenza della Corte Suprema potrebbe portare alla conclusione che più grave è il crimine, più facile è occultarlo. Più armi sono state vendute e più sono stati i massacratori addestrati, maggiore sarebbe il danno per le relazioni estere e per la sicurezza dello Stato se questi crimini venissero divulgati, ed il peso di un tale presunto danno prevarrà necessariamente sull’interesse pubblico. Questo è inaccettabile. Trasforma i giudici – come hanno detto i ricorrenti – in complici. In questo modo i giudici rendono anche un’ inconsapevole popolazione israeliana complice di crimini di guerra e le negano il diritto democratico di discutere nel merito.

Lo Stato deve affrontare simili ricorsi relativamente alla sua collaborazione con gli assassini della giunta argentina, del regime di Pinochet in Cile e dello Sri Lanka. L’avvocato Mack ha intenzione di presentare ulteriori casi entro la fine dell’anno. Anche se fosse interesse dello Stato respingere questi ricorsi, la Corte Suprema deve smettere di aiutare a coprire questi crimini – se non per il desiderio di perseguire gli autori delle atrocità del passato, almeno per fermarli nel tempo presente.

*John Brown è lo pseudonimo di un accademico e blogger israeliano. Questo articolo è comparso per la prima volta in ebraico su ‘Local Call’, di cui egli è un blogger.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




I palestinesi condannano il ribaltamento della politica USA sulle colonie israeliane

Al Jazeera e agenzie di informazione

19 novembre 2019 – Al Jazeera

Gli USA dicono di non considerare più illegali le colonie israeliane, provocando aspre critiche da parte dei palestinesi e delle associazioni per i diritti

Palestinesi, associazioni per i diritti, politici ed altri hanno aspramente criticato l’amministrazione Trump dopo l’annuncio che gli Stati Uniti non considerano più le colonie israeliane nella Cisgiordania occupata come “incompatibili” con il diritto internazionale.

Dopo aver studiato attentamente tutti gli aspetti del dibattito legale, questa amministrazione concorda ….che l’insediamento di colonie civili israeliane in Cisgiordania non è di per sé in contrasto con il diritto internazionale”, ha detto lunedì il Segretario di Stato USA Mike Pompeo quando ha dato l’annuncio.

Ha detto che l’amministrazione del presidente USA Donald Trump non si atterrà più all’opinione legale del Dipartimento di Stato del 1978 che affermava che le colonie erano “contrarie al diritto internazionale”.

Secondo diverse Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza ONU, la più recente nel 2016, le colonie israeliane sono illegali in base al diritto internazionale, in quanto violano la Quarta Convenzione di Ginevra, che vieta ad una potenza occupante di trasferire la propria popolazione nell’area da essa occupata.

L’annuncio USA, l’ultimo di una serie di iniziative dell’amministrazione Trump a favore di Israele, ha sollevato critiche immediate da parte di palestinesi, associazioni per i diritti e politici in tutto il mondo.

Un portavoce del presidente palestinese Mahmoud Abbas ha detto che la decisione degli USA “è totalmente contraria al diritto internazionale.”

Washington “non è qualificata né autorizzata ad annullare le risoluzioni del diritto internazionale e non ha il diritto di concedere legittimità ad alcuna colonia israeliana”, ha dichiarato il portavoce della presidenza palestinese Nabil Abu Rudeinah.

Hanan Ashrawi, una importante negoziatrice palestinese e membro del comitato esecutivo dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina, ha scritto su Twitter, di fronte alla dichiarazione di Pompeo, che l’iniziativa rappresenta un altro colpo “al diritto internazionale, alla giustizia e alla pace.”

Il Ministro degli Esteri della Giordania, Ayman Safadi, ha avvertito che il cambiamento di posizione degli USA potrebbe comportare “pericolose conseguenze” sulle prospettive di riavviare il processo di pace in Medio Oriente.

Safadi ha detto in un tweet che le colonie israeliane nel territorio sono illegali ed annientano la prospettiva di una soluzione con due Stati, in cui uno Stato palestinese dovrebbe esistere a fianco di Israele, cosa che i Paesi arabi ritengono essere l’unica via per risolvere il pluridecennale conflitto arabo-israeliano.

‘Un regalo a Netanyahu’

Più di 600.000 israeliani vivono attualmente in colonie nella Cisgiordania occupata, compresa Gerusalemme est occupata. Vi risiedono circa 3 milioni di palestinesi.

Le colonie sono state considerate per molto tempo un gravissimo ostacolo ad un accordo di pace israelo-palestinese.

Gruppi di monitoraggio hanno detto che, da quando Trump è diventato presidente, Israele ha accelerato la creazione di colonie.

L’annuncio di lunedì ha segnato un’altra significativa tappa in cui l’amministrazione Trump si è schierata a favore di Israele e contro le posizioni dei palestinesi e degli Stati arabi ancor prima di svelare il suo piano di pace israelo-palestinese a lungo rinviato.

Nel 2017 Trump ha riconosciuto Gerusalemme capitale di Israele e nel 2018 gli USA hanno aperto ufficialmente un’ambasciata nella città. La posizione politica USA precedentemente era stata che lo status di Gerusalemme doveva essere definito dalle parti in conflitto.

Nel 2018 gli USA hanno anche annunciato la cancellazione dei finanziamenti all’UN Relief and Works Agency [Agenzia ONU per l’Aiuto e il Lavoro] (UNRWA), l’agenzia ONU per i rifugiati palestinesi.

E in marzo Trump ha riconosciuto l’annessione israeliana delle Alture del Golan occupate nel 1981, facendo un favore al Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, cosa che ha provocato una dura risposta da parte della Siria, che un tempo deteneva lo strategico territorio.

Lunedì Netanyahu ha plaudito al cambio di politica, dicendo che la mossa degli USA “corregge uno storico errore”.

Yousef Munayyer, direttore esecutivo della Campagna per i diritti dei palestinesi, ha definito l’annuncio di Pompeo “un altro regalo a Netanyahu e un semaforo verde ai leader israeliani per accelerare la costruzione di colonie e anticipare un’ annessione formale.”

Attualmente Netanyahu sta subendo pressioni interne su due fronti, dopo che all’inizio dell’anno in Israele si sono svolte elezioni inconcludenti. Il suo principale rivale politico, l’ex capo di stato maggiore Benny Gantz, ha due giorni per cercare di formare un governo per sostituire Netanyahu, che sta anche affrontando una possibile incriminazione in tre casi di corruzione.

Nell’ultima campagna elettorale Netanyahu ha promesso di annettere ampie parti della Cisgiordania, una mossa che metterebbe ulteriormente a rischio una soluzione con due Stati.

Gantz ha accolto positivamente l’iniziativa statunitense, dicendo in un tweet che “il destino delle colonie dovrebbe essere deciso da accordi che rispettino le esigenze di sicurezza e promuovano la pace.”

Pompeo ha negato la volontà di dare sostegno a Netanyahu, dicendo: “La tempistica di questo (annuncio) non è collegata a niente che abbia a che fare con politiche interne in Israele o altrove.”

Reazioni

Un portavoce dell’Ufficio ONU per i Diritti Umani (OHCHR) ha detto di “condividere la posizione da tempo adottata dall’ONU sulla questione che le colonie israeliane violano il diritto internazionale.”

Rupert Colville ha detto anche che ci sono diverse risoluzioni ONU, come anche sentenze della Corte Internazionale di Giustizia (CIG) che si riferiscono alla questione.

Il 9 luglio 2004 la CIG nel suo parere consultivo ha affermato che la costruzione da parte di Israele del muro di separazione e l’espansione delle colonie sono illegali ed alterano la composizione demografica dei Territori Palestinesi Occupati (TPO), compromettendo in tal modo gravemente la possibilità per i palestinesi di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione”, ha detto martedì ai giornalisti.

Al contempo l’Unione Europea ha detto di continuare a credere che l’attività di colonizzazione israeliana nei territori palestinesi occupati sia illegale in base al diritto internazionale e vanifichi le prospettive di una pace duratura.

La UE chiede ad Israele di porre fine all’attività di colonizzazione, in conformità con i suoi obblighi in quanto potenza occupante”, ha detto il capo della politica estera europea Federica Mogherini in una dichiarazione in seguito all’iniziativa USA.

Kenneth Roth, direttore esecutivo di Human Rights Watch, ha tweettato: “La fittizia dichiarazione di Pompeo non cambia niente. Trump non può spazzare via con questo annuncio decenni di diritto internazionale consolidato secondo cui le colonie israeliane sono un crimine di guerra.”

Anche il senatore USA Bernie Sanders, uno dei più importanti candidati democratici alle elezioni presidenziali USA, , ha detto la sua su Twitter: “Le colonie israeliane nei territori occupati sono illegali.

Risulta chiaro dal diritto internazionale e da molte risoluzioni delle Nazioni Unite. Ancora una volta il signor Trump sta isolando gli Stati Uniti e compromettendo la diplomazia per assecondare la propria base [elettorale] estremista”, ha detto Sanders.

 

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)