Gli USA minacciano di tagliare i fondi all’Autorità Palestinese se ottiene il riconoscimento da parte dell’ONU e se appoggia la causa contro Israele presso la CPI

Redazione di Middle East Monitor

25 marzo 2024 – Middle East Monitor

Il governo degli Stati Uniti ha approvato una legge che minaccia di limitare il finanziamento all’ Autorità Nazionale Palestinese (ANP) se ottiene il riconoscimento come Stato presso le Nazioni Unite e se cerca di agire contro Israele alla Corte Penale Internazionale (CPI), insieme ad una miriade di altre restrizioni su aiuti e finanziamenti ai palestinesi sotto occupazione.

Nella risoluzione votata sabato dal Senato statunitense e firmato dal presidente Joe Biden, si afferma che “nessuno dei fondi stanziato sotto la voce ‘Fondo di supporto economico’ in questa legge può essere disponibile per assistenza all’Autorità Nazionale Palestinese se dopo la data di adozione di questa legge …i palestinesi otterranno lo stesso riconoscimento degli Stati membri oppure la piena affiliazione come Stato presso le Nazioni Unite o ogni singola agenzia [ONU] fuori da un accordo negoziato tra Israele ed i palestinesi.”

Un’altra ragione per tagliare il supporto economico per l’ANP sarebbe se “i palestinesi iniziassero un’indagine autorizzata per via giudiziaria presso la Corte Penale Internazionale (CPI), o la supportassero attivamente, che sottoponga cittadini israeliani ad una inchiesta per presunti crimini contro i palestinesi.”

Nel documento si afferma comunque che “il Segretario di Stato” degli Stati Uniti “può revocare la restrizione” riguardo al riconoscimento ONU della sovranità palestinese “se il segretario certifica alle Commissioni sugli Stanziamenti [del parlamento USA] che farlo è nell’interesse della sicurezza nazionale degli Stati Uniti.” Lo stessa autorizzazione per una revoca a quanto pare non si applica alla seconda restrizione sui procedimenti legali contro Israele presso la CPI.

Un’altra parte rilevante della legge di finanziamento da 1.200 miliardi di dollari – che è rivolta a prevenire il blocco del governo statunitense e chiudere il bilancio annuale – è la prosecuzione del divieto di finanziamento per il United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees [Agenzia ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.] (UNRWA) fino al 2025, nonostante il fatto che sia la principale agenzia sul terreno nella Striscia di Gaza nel pieno della crescente carestia e la crisi umanitaria laggiù.

Allo stesso tempo, la legge alloca 3,8 miliardi di dollari aggiuntivi per aiuti militari ad Israele dal budget di 886 miliardi di dollari per il Dipartimento della Difesa statunitense, consentendo all’occupazione [isreliana] di continuare la sua offensiva contro il territorio palestinese assediato e di commettere crimini di guerra contro la popolazione, di cui sono già state uccise oltre 32.000 persone.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




100 avvocati cileni presentano denuncia alla CPI contro Netanyahu per crimini di guerra a Gaza

Redazione di Palestine Chronicle

9 gennaio 2024, Palestine Chronicle

I ricorrenti, in maggioranza di ascendenza palestinese, chiedono che sia emesso un mandato di arresto contro Netanyahu.

Circa 100 avvocati cileni hanno sporto denuncia presso la Corte Penale Internazionale (CPI) contro il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, accusandolo di commettere crimini contro l’umanità, genocidio e crimini di guerra a Gaza.

Il Middle East Monitor, citando la Quds Press, ha riferito che la denuncia, presentata all’Aja il 22 dicembre, è stata diretta dall’ex ambasciatore Nelson Hadad.

I querelanti, per la maggior parte di ascendenza palestinese, chiedono che sia spiccato un mandato di arresto contro Netanyahu ed altre persone responsabili di questi presunti crimini, riferisce MEMO.

Hanno evidenziato i bombardamenti indiscriminati di Gaza dal 7 ottobre e la distruzione di interi quartieri residenziali senza far distinzione tra civili e combattenti.

Tutti i Paesi devono denunciare i criminali di guerra, assicurando che vengano ritenuti responsabili, assumano le proprie responsabilità, affrontino la punizione conformemente alle sanzioni dello Statuto di Roma e offrano riparazioni alle vittime”, avrebbe affermato Hadad.

L’obbiettivo dell’istanza è provare che a Gaza si stanno perpetrando genocidio, espulsione forzata, crimini di guerra e violazioni del diritto umanitario internazionale, conclude il rapporto.

A dicembre il Sudafrica ha presentato alla CIG tutta la documentazione necessaria, formulando accuse di crimini di guerra contro Israele per la sua guerra genocida a Gaza.

Come Sudafrica, insieme a molti altri Paesi del mondo, abbiamo concordemente ritenuto opportuno deferire questa azione dell’intero governo israeliano davanti alla CIG. Abbiamo promosso il deferimento perché riteniamo che là si stiano commettendo crimini di guerra”, ha detto il Presidente del Sudafrica Cyril Ramaphosa.

Ramaphosa ha definito “totalmente inaccettabile” che Israele “si sia fatto giustizia da solo”.

Secondo il Ministero della Sanità di Gaza sono stati uccisi 23.210 palestinesi e feriti 59.167 nel corso del perdurante genocidio israeliano a Gaza iniziato il 7 ottobre.

Stime palestinesi e internazionali dicono che la maggioranza delle vittime e dei feriti sono donne e bambini.

(PC, MEMO) (Palestine Chronicle, Middle East Monitor)

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Guerra contro Gaza: il Sudafrica avvia una denuncia alla Corte Internazionale di Giustizia accusando Israele di genocidio

Redazione di MEE

29 dicembre 2023 – Middle East Eye

Città del Capo chiede alla Corte di fermare la campagna militare di Israele a Gaza, definendola una misura necessaria per proteggere i diritti del popolo palestinese

Il Sudafrica ha avviato una procedura affinché La Corte Internazionale di Giustizia (CIG) dichiari che Israele, nella sua campagna militare a Gaza, sta commettendo un genocidio contro i palestinesi.

La richiesta avviata da Città del Capo, che afferma che Israele viola i suoi obblighi in base alla Convenzione sul Genocidio, invoca la fine delle operazioni militari di Israele nell’enclave assediata. Sostiene che tale ingiunzione è “necessaria in questo caso per proteggere contro ulteriori, gravi e irreparabili danni ai diritti del popolo palestinese.”

“Israele è impegnato, si sta impegnando e rischia di impegnarsi ulteriormente in azioni genocidarie contro il popolo palestinese a Gaza,” afferma la denuncia del Sudafrica.

Sostiene di aver chiesto che la CIG dichiari “urgentemente che Israele sta violando i suoi doveri in base alla Convenzione sul Genocidio e dovrebbe interrompere immediatamente ogni azione e misura che contravvenga a questi obblighi e prendere una serie di azioni correlate.”

La presentazione della richiesta è l’ultima iniziativa del Sudafrica per fare pressione affinché Israele ponga fine alla sua guerra contro Gaza. Lo scorso mese i parlamentari del Paese hanno approvato la chiusura dell’ambasciata israeliana a Pretoria e l’interruzione dei rapporti diplomatici con Israele finché non verrà concordato un cessate il fuoco.

Israele ha violentemente respinto l’annuncio di venerdì da parte del Sudafrica, definendo il procedimento “infondato”, per poi continuare ad accusare Hamas delle sofferenze e delle morti della popolazione palestinese a Gaza.

“Israele ha chiarito che gli abitanti della Striscia di Gaza non sono il nemico e sta facendo ogni sforzo per limitare i danni per chi non è coinvolto [negli scontri] e per consentire l’ingresso nella Striscia di Gaza di aiuti umanitari,” ha affermato in un comunicato il ministero degli Esteri israeliano.

La CIG è uno dei sei principali organismi delle Nazioni Unite ed non è legata alla Corte Penale Internazionale (CPI), che processa singoli individui per crimini di guerra e contro l’umanità. Mentre la Corte giudica conflitti tra Paesi, non ha il potere di far rispettare le sue decisioni, nonostante esse siano legalmente vincolanti.

Alcuni analisti avevano in precedenza detto a MEE che, mentre le decisioni della CIG sono difficili da applicare, esse possono contribuire a cambiare la narrazione nel resto del mondo. E la valutazione riguardo a se Israele sta commettendo un genocidio potrebbe provocare gravi danni alla reputazione internazionale di Israele.

La guerra è scoppiata in Israele e a Gaza il 7 ottobre, quando Hamas e gruppi armati palestinesi hanno lanciato un attacco contro Israele che, secondo il bilancio del governo [israeliano], ha ucciso 1.200 israeliani e cittadini di altri Paesi.

Nel contempo secondo il ministero della Sanità palestinese durante la sua campagna di bombardamenti aerei e l’attacco via terra Israele ha ucciso più di 21.000 palestinesi, la maggioranza dei quali donne e minorenni.

Le forze militari israeliane hanno preso di mira infrastrutture civili di vario genere, tra cui ospedali, quartieri residenziali, ambulanze e moschee. Interi quartieri dell’enclave assediata sono stati completamente distrutti.

La convenzione dell’ONU sul Genocidio e lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale definiscono come genocidio azioni “commesse con l’intenzione di distruggere, totalmente o parzialmente, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso.”

Esperti di diritto, funzionari dell’ONU e più di 800 studiosi hanno già segnalato che Israele sta tendenzialmente commettendo un genocidio contro i palestinesi.

Da molto tempo il Sudafrica appoggia la costituzione di uno Stato palestinese ed ha anche equiparato la situazione critica dei palestinesi a quella della maggioranza nera nel suo stesso Paese durante il periodo dell’apartheid. Israele nega recisamente di praticare l’apartheid. Tuttavia parecchie importanti associazioni per i diritti umani hanno affermato che, per come tratta i palestinesi, Israele sta mettendo in atto pratiche di apartheid.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Non ci si può fidare che il capo della Corte Penale Internazionale metta sotto processo i criminali di guerra israeliani

David Cronin

2 ottobre 2023 – Electronic Intifada

La Corte Penale Internazionale smetterà mai di fare giochetti?

Lo scorso dicembre Karim Khan il procuratore capo ha dichiarato che aveva l’obiettivodi visitare la Palestina questanno.

Ora siamo a ottobre e Khan non ha ancora intrapreso un viaggio del genere.

Quando ho contattato la corte chiedendo se ne fosse stato programmato uno, lufficio di Khan ha risposto che starebbe facendo ogni sforzo per raggiungere questo obiettivo”.

Il rifiuto della Corte Penale Internazionale di rispondere a una semplice domanda con un sì” o un no” è sintomatico di un problema più grande. Anche se a volte Khan può gettare qualche briciola ai palestinesi, non ha nessuna fretta di concedere qualcosa che somigli alla giustizia.

Un esame delle circostanze in cui Khan ha ottenuto il suo attuale incarico potrebbe spiegare il suo disinteresse.

Formalmente proposto per la carica dalla Gran Bretagna, Khan ha ottenuto la promozione in seguito ad una votazione tenutasi presso la sede delle Nazioni Unite a New York il 12 febbraio 2021.

Esattamente una settimana prima i giudici della CPI avevano dato il via libera a unindagine sui crimini di guerra commessi nella Cisgiordania occupata (compresa Gerusalemme Est) e a Gaza.

Boris Johnson era primo ministro britannico quando il suo governo nominò Khan.

Nell’aprile 2021 Johnson rispose alle lamentele sulla CPI espresse dal gruppo di pressione Conservative Friends of Israel.

Johnson scrisse che la Gran Bretagna desiderava apportare cambiamenti positivialla CPI, sostenendo che la nomina di Khan a procuratore capo contribuirà a realizzare la riforma. Johnson dichiarò in seguito: Ci opponiamo alle indagini della CPI sui crimini di guerra in Palestina”.

Ho presentato una richiesta sulla base della libertà di informazione al Foreign Office di Londra, chiedendo se la Gran Bretagna avesse qualche accordo particolare con Khan. “Il governo britannico non ha concluso un accordo con il signor Khan prima della sua nomina”, ha dichiarato il Ministero degli Esteri.

Forse il Ministero degli Esteri dice la verità.

Forse non si è ritenuto necessario specificare per iscritto cosa la Gran Bretagna si aspettasse da Khan.

Antenne politiche

Khan, avvocato britannico a cui era stato conferito il titolo formale di avvocato esperto del consiglio della regina, fa parte integrante dellestablishment. Quindi era improbabile che avrebbe agito contro gli interessi sensibili della Gran Bretagna.

E indipendentemente dal fatto che avesse un accordo formale con Khan la Gran Bretagna ha espresso la sua fiducia in lui. Il comunicato ufficiale britannico di nomina elogia le antenne politichedi Khan.

Il principale rivale di Khan per la carica di procuratore capo della CPI era Fergal Gaynor, un avvocato irlandese.

Nella sua domanda di promozione Gaynor ha fatto menzione di essere stato primo avvocato di un gruppo di vittime palestinesidurante dei procedimenti presso la Corte Penale Internazionale nel 2020. Tali procedimenti hanno aperto la strada allannuncio, lanno successivo, che la corte avrebbe aperto unindagine sulla Palestina.

Gaynor avrebbe portato avanti l’indagine se la sua candidatura alla carica di procuratore capo avesse avuto esito positivo? È impossibile dirlo.

Tuttavia è significativo il fatto che la Gran Bretagna con un governo ostile alla semplice ipotesi di ritenere Israele responsabile dei suoi crimini abbia appoggiato Khan, sapendo che il suo principale rivale (Gaynor) era stato determinante nel garantire unindagine su quei crimini.

Quello che sappiamo per certo è che Khan da quando ha assunto lincarico di procuratore capo della CPI ha generalmente evitato di dire qualsiasi cosa in pubblico sulla Palestina.

“Mi dispiace, sono occupato”

Nel maggio di questanno Kristen Saloomey di Al Jazeera si è rivolta a Khan chiedendogli se la CPI avrebbe preso in esame luccisione della sua collega Shireen Abu Akleh da parte di Israele 12 mesi prima.

La risposta di Khan? “Mi dispiace, sono occupato.”

La sua reticenza sullaggressione israeliana contrasta con il duro approccio adottato nei confronti dellinvasione russa dellUcraina.

Non solo la CPI ha aperto [un procedimento] poche settimane dopo linvasione del febbraio 2022, ma ha anche emesso un mandato di arresto nei confronti di Vladimir Putin, il presidente russo.

E’ successo con una rapidità fulminea considerando che ci sono voluti anni perché il tribunale decidesse finalmente di aprire formalmente unindagine sulla situazione in Palestina, unindagine che non ha prodotto un solo atto daccusa e sembra nel suo complesso in una fase di stallo.

Sebbene gli Stati Uniti abbiano respinto il documento costitutivo della CPI, lo Statuto di Roma, stanno collaborando allindagine della Corte sullUcraina.

L’indagine è guidata da Brenda Hollis, un colonnello in pensione dell’aeronautica americana.

Il fatto di detenere il grado di colonnello in un esercito noto per condurre guerre non provocate dovrebbe automaticamente escludere quella persona dall’incarico di investigatore su crimini di guerra.

Perché la CPI tarda a indagare su Israele e agisce invece rapidamente quando la Russia attacca lUcraina?

Quando ho chiesto spiegazioni alla Corte lufficio di Khan ha dichiarato che dopo aver assunto il suo incarico di procuratore egli ha messo in piedi una squadra specifica che portasse avanti le indagini sulla Palestina”.

Nel 2022 l’ufficio di Khan aveva richiesto risorse aggiuntiveai governi che sostengono la CPI. L’ufficio ha aggiunto che starebbe ancora alla ricerca di un aumento significativo delle risorse nel suo bilancio per il 2024 per una serie di pratiche, inclusa quella riguardante lo Stato palestinese.”

Sembra poco incoraggiante.

Lungi dallessere un procuratore davvero indipendente, Khan è alla mercé dei donatori.

La Gran Bretagna, uno Stato che vuole proteggere Israele da indagini e agisce costantemente come un cagnolino per gli Stati Uniti, è tra i quattro principali finanziatori della Corte.

Nelle indagini della CPI sullAfghanistan Khan ha condotto un intervento palesemente di parte citando dei vincoli finanziari.

Il risultato è che lindagine si concentrerà solo sui nemici dellOccidente: i talebani e lo Stato islamico. Gli Stati Uniti la faranno franca riguardo la violenza inflitta nell’arco di due decenni ai civili afghani.

Cosa intendeva esattamente il governo britannico quando elogiava le antenne politichedi Khan? Stava dicendo che ci si poteva fidare di lui perché non mettesse in imbarazzo lOccidente, verso cui Israele rivendica un forte legame?

Se Karim Khan fatica a raggiungere un obiettivo talmente fondamentale come una visita in Palestina, sembra estremamente improbabile che porrà sotto processo i criminali di guerra israeliani.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Giudea vs “Fantasy Israel”: Ilan Pappe sul crollo dei pilastri israeliani e le opportunità per la Palestina

Ilan Pappe

31 luglio 2023 – Palestine Chronicle

La futura Palestina libera e affrancata dal sionismo può sembrare ora una fantasia, ma a differenza del “Fantasy Israel”, ha la migliore chance di coinvolgere a livello locale, regionale e globale chiunque possegga un minimo senso etico.

Infatti la legittimità di Israele, la sua stessa possibilità di sopravvivenza, poggia su due pilastri principali.

In primo luogo, il pilastro materiale, che comprende la sua forza militare, le risorse legate all’alta tecnologia e un solido sistema economico.

I suddetti fattori consentono allo Stato di costruire una solida rete di alleanze con Paesi che vorrebbero beneficiare di ciò che Israele ha da offrire: armi, risorse in materia di sicurezza, spyware, conoscenze di alta tecnologia e sistemi modernizzati di produzione agricola.

In cambio Israele non chiede solo denaro ma anche sostegno nel contrastare il degrado della sua immagine internazionale.

In secondo luogo, il pilastro morale. Questo aspetto è stato particolarmente importante nei primi momenti del progetto sionista e della costruzione dello Stato.

Israele ha venduto al mondo una duplice narrazione: la creazione di Israele come l’unica panacea per l’antisemitismo e la fondazione di Israele in un luogo appartenente sul piano religioso e culturale al popolo ebraico.

La presenza di una popolazione indigena, il popolo palestinese, è stata inizialmente negata del tutto; poi, è stata sminuita. E quando l’esistenza dei palestinesi è stata finalmente riconosciuta, è stata presentata come una sfortunata coincidenza.

Allora Israele, l’autoproclamata “unica democrazia in Medio Oriente”, si è ridefinito come un generoso pacificatore disposto a risolvere il problema offrendo “concessioni” sul suo presunto diritto all’intera Palestina storica.

Crollo della “Moralità”

È difficile individuare esattamente quando il pilastro morale su cui si reggeva Israele ha iniziato a erodersi, al punto che ora si sta sgretolando davanti ai nostri occhi.

Qualcuno potrebbe dire che questo processo sia stato avviato nel 1982 con l’invasione israeliana del Libano, mentre altri considerano come momento di trasformazione la Prima Intifada palestinese nel 1987. Ad ogni modo, l’immagine di Israele agli occhi dell’opinione pubblica mondiale si sta modificando da decenni.

Ma ciò che spesso viene ignorato è che, se non fosse stato per la resistenza e la resilienza palestinese, la legittimità e la moralità dello Stato ebraico non sarebbero state messe alla prova, mentre ora [il suo agire] è continuamente considerato come contrario al diritto internazionale, il buon senso e l’etica comportamentale.

Direi che già nel 1948 – quando Israele fu dichiarato uno Stato sorto sulle rovine della Palestina storica – i fatti sul campo divennero noti a sempre più persone in tutto il mondo. Questo è stato un risultato diretto degli sforzi compiuti dai palestinesi e dalle loro reti di solidarietà in continua crescita.

L’immagine di Israele – sia sul piano interno che internazionale – come Stato democratico e membro delle “nazioni civili” non sembrava corrispondere alle nuove informazioni. Sempre di più la cosiddetta democrazia israeliana è stata smascherata come un regime di apartheid, che abusa quotidianamente dei diritti civili e umani dei palestinesi.

Tuttavia, non sembra che la rivelazione della vera natura di Israele e il diffuso rifiuto pubblico della narrazione israeliana abbiano avuto un riscontro da parte delle élite politiche al potere e dei governi di tutto il mondo, il cui atteggiamento nei confronti di Israele è rimasto sostanzialmente invariato.

Al contrario, i governi del nord del mondo sono quelli che conducono la battaglia contro i vari movimenti di solidarietà con i palestinesi. Sembrano determinati a sopprimere la libertà di parola delle proprie comunità legiferando contro le iniziative civili che richiedono boicottaggio, sanzioni e disinvestimento nei confronti di Tel Aviv.

Non va molto meglio nell’emisfero sud, dove governi e autorità politiche ignorano la richiesta delle loro società di prendere una posizione ferma contro Israele. Tra di loro i regimi arabi, che fanno la fila per normalizzare i loro rapporti diplomatici con Tel Aviv.

Fino alle ultime elezioni del novembre 2022 in Israele sembrava che il silenzio e/o la complicità internazionale avessero protetto Israele dal tradurre il cambiamento dell’opinione pubblica in azioni concrete. La prova di ciò è stata che il lavoro coraggioso e davvero impressionante di organizzazioni come il Movimento per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni (BDS) non ha influenzato minimamente la realtà sul terreno.

Fino al novembre 2022 pensavo che l’incapacità di tradurre l’opinione pubblica in politiche concrete fosse il risultato del cinismo dei nostri sistemi politici in tutto il mondo. Tuttavia ora credo fortemente che solo un cambiamento nella conduzione della politica dall’alto tradurrà l’incredibile solidarietà con i palestinesi in un effetto determinante sul terreno.

Quando Israele ha offerto alla Germania missili del valore di 4 miliardi di euro e ai Paesi Bassi un altro tipo di missile del valore di 300 milioni di euro (per proteggerli da cosa esattamente?), i commentatori politici in Israele hanno sostenuto che tali armi sarebbero servite come il miglior antidoto contro ciò che chiamavano la campagna per delegittimare Israele.

I media israeliani hanno annunciato con grande orgoglio che le armi avrebbero consentito al Paese di comprare il silenzio dell’Europa in modo che qualsiasi parola di condanna delle atrocità commesse dai soldati e dai coloni israeliani in Palestina non si traducesse in azione.

Fantasy Israel” vs la Giudea

Eppure c’è di più. Un certo elettorato ebraico all’interno di Israele si è persino ingannato – anzi, lo fa tuttora – nel credere che l’Occidente appoggi Israele perché aderirebbe a un sistema di valori” occidentale basato sulla democrazia e sul liberalismo.

Io chiamo questo costrutto culturale “Fantasy Israel”

Nel novembre 2022, “Fantasy Israel” è crollato a tutti gli effetti.

L’elettorato ebraico israeliano che ha vinto le elezioni non ha mai avuto molta ammirazione per i “sistemi di valori” occidentali di democrazia e liberalismo.

Al contrario, desidera vivere in uno Stato ebraico più teocratico, nazionalista, razzista e persino fascista; uno Stato che si estenda su tutta la Palestina storica, compresa la Cisgiordania e la Striscia di Gaza.

Gli israeliani chiamano questa idea alternativa dello Stato, “Giudea”, che ora è in guerra con “Fantasy Israel”.

Al popolo della Giudea non interessa la legittimità internazionale. I loro leader e guru sono molto colpiti dai nuovi alleati di Israele nel mondo, siano essi i leader dei partiti di estrema destra in Occidente o i movimenti di estrema destra in Paesi come l’India.

Questi leader nazionalisti e fascisti sembrano ammirare lo Stato della Giudea e sono disposti a fornirgli una rete internazionale di sostegno. Questo si è già tradotto in politica in Paesi dove l’estrema destra è molto potente, come Italia, Ungheria, Polonia, Grecia, Svezia, Spagna e, se Trump vincerà nuovamente, anche Stati Uniti.

In apparenza, lo scenario apertosi nel novembre 2022 sembrava molto cupo.

Tuttavia questo non è del tutto vero.

Il fallimento di “Fantasy Israel” ha messo in luce una interessante connessione tra i pilastri morali e materiali.

È emerso che il sistema capitalista neoliberista non ha motivo di investire nello Stato della Giudea se effettivamente sostituisce “Fantasy Israel”. Le società finanziarie e l’industria di alta tecnologia internazionali considerano Stati come la Giudea delle mete imprevedibili e rischiose per gli investimenti stranieri.

In effetti stanno già ritirando da Israele i loro fondi e investimenti da Israele. Il movimento BDS dovrebbe lavorare molto duramente per convincere sindacati e chiese di tutto il mondo a disinvestire da Israele miliardi di dollari per eguagliare i fondi che sono già stati portati fuori da Israele dal novembre 2022.

Questo tipo di disinvestimento non nasce da ragioni morali. In passato Israele, nonostante la sua spietata oppressione dei palestinesi, è stata una destinazione attraente per gli investimenti finanziari internazionali.

Ma sembra che l’immagine del “Fantasy Israel”, e in particolare l’idea che il suo sistema giudiziario fosse in grado di proteggere gli investimenti neoliberisti e capitalisti, convincesse gli investitori stranieri a versare denaro in Israele pregustando in cambio buoni dividendi.

Ora le prospettive dello Stato della Giudea in sostituzione del “Fantasy Israel” stanno seriamente compromettendo la sopravvivenza economica dello Stato ebraico. Pertanto, la capacità di Israele di usare la sua industria o il suo denaro per influenzare le politiche di altri Paesi nei confronti dello Stato ebraico è più limitata.

Tempo di mobilitazione

Il crollo del “Fantasy Israel” ha anche messo in luce crepe nella coesione sociale e nella prontezza di molti israeliani a dedicare tanto tempo ed energia al servizio militare quanto in passato.

Inoltre, l’attacco al sistema giudiziario israeliano e l’erosione della sua presunta indipendenza esporrà soldati e piloti israeliani a possibili incriminazioni come criminali di guerra all’estero da parte di singoli Paesi o della Corte Penale Internazionale (CPI). Infatti il diritto internazionale non può intervenire nelle questioni interne se i sistemi giudiziari locali sono considerati indipendenti e solidi.

Questo è un raro momento nella storia che apre opportunità per coloro che lottano per la liberazione e la giustizia in Palestina.

In un incontro a Teheran l’Iran ha consigliato al movimento palestinese Hamas e al movimento libanese Hezbollah di astenersi da qualsiasi azione e consentire un’implosione di Israele dal suo interno.

Non sono d’accordo, anche se non voglio dire che ci sia, o ci sia mai stata, una possibilità per liberare militarmente la Palestina. Tuttavia questo è il momento di rinvigorire la resistenza popolare palestinese e unire sia i palestinesi che i loro sostenitori intorno a una visione e un programma concordati. Questa mobilitazione è radicata nella lotta nazionale palestinese per la democrazia e l’autodeterminazione fin dal 1918.

La futura Palestina liberata e affrancata dal sionismo può sembrare ora una fantasia ma a differenza del Fantasy Israel” ha la migliore chance di coinvolgere a livello locale, regionale e globale chiunque possegga un minimo senso etico. Fornirebbe anche un posto sicuro per chiunque viva attualmente nella Palestina storica o per chiunque ne sia stato espulso: i rifugiati palestinesi sparsi in tutto il mondo.

Ilan Pappé è docente all’Università di Exeter. In precedenza è stato professore associato di scienze politiche presso l’Università di Haifa. È autore di The Ethnic Cleansing of Palestine [La pulizia Etnica della Palestina, Fazi, 2008, ndt.], The Modern Middle East [Il Medio Oriente Moderno, ndt.], A History of Modern Palestine: One Land, Two Peoples, [Storia della Palestina moderna: Una terra, due popoli, Ed. It. Einaudi 2014, ndt.] e Ten Myths about Israel, [Dieci miti su Israele, Tamu, 2022 ndt.]. Pappé è considerato uno dei “Nuovi storici” di Israele che, sin dalla pubblicazione nei primi anni ’80 di documenti relativi alle amministrazioni britannica e israeliana, ha riscritto la storia della creazione di Israele nel 1948.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Perché Karim Khan ha congelato il fascicolo sulla Palestina: la CPI e i crimini di guerra israeliani a Gaza

Romana Rubeo Dott. Ramzy Baroud

24 maggio 2023 – Middle East Monitor

L’ultima guerra di Israele contro Gaza, iniziata il 9 maggio, ha causato la morte di 33 palestinesi, tra cui sei bambini, e il ferimento di altre centinaia. La maggior parte delle persone uccise e ferite erano civili.

Il primo giorno di guerra Maurice Hirsh, ex capo della procura militare dell’IDF [esercito israeliano, ndt.], ha espresso una giustificazione “giuridica” della guerra israeliana. Ha scritto il seguente passaggio su Twitter: “Se si considera il vantaggio militare ottenuto eliminando questi importanti terroristi è irrilevante chiedersi quanti bambini siano stati uccisi accidentalmente”.

Hirsh ha già usato in precedenza questo tipo di logica. Ad esempio, nell’agosto 2022 ha scritto un articolo sul quotidiano israeliano Jerusalem Post in cui ha giustificato gli attacchi dell’esercito israeliano contro la popolazione civile di Gaza. “Nel mondo della propaganda anti-israeliana e dei cicli apparentemente infiniti di violenza contro i terroristi a Gaza, la moltitudine di odiatori e irragionevolmente ignoranti spesso usa le parole ‘sproporzionato’ e ‘proporzionalità’ come mezzo per rimproverare lo Stato ebraico.”

Sebbene per molti tale logica equivalga all’incitamento all’odio e alla totale giustificazione dei crimini di guerra abbiamo deciso di chiedere il parere legale di un esperto di diritto internazionale. Gli abbiamo chiesto se le opinioni di Hirsh sono in qualche modo giustificate.

Triestino Mariniello è un esperto di diritto internazionale e membro del team legale che rappresenta le vittime di Gaza davanti alla Corte penale internazionale (CPI).

Abbiamo chiesto al dott. Mariniello un parere sui commenti di Hirsh all’interno del contesto della legalità, o illegalità, dell’ultima guerra israeliana a Gaza.

“Il principio di distinzione”

“La dichiarazione di Hirsh non ha validità in termini di diritto internazionale o diritto umanitario”, afferma Mariniello.

“Anche in quest’ultima operazione militare le autorità israeliane sembrano aver violato i principi fondamentali della legge sui conflitti armati, in particolare il principio di distinzione, che vieta a qualsiasi Paese di attaccare direttamente obiettivi civili”, aggiunge.

Secondo Mariniello il comportamento dell’esercito israeliano nel suo ultimo attacco alla Striscia assediata ha seguito uno schema simile alle guerre precedenti.

“I crimini più evidenti presumibilmente commessi durante l’ultima operazione militare israeliana sono gli attacchi deliberati e intenzionali contro obiettivi civili e l’uso eccessivo della forza. Queste violazioni non sono una novità. Hanno caratterizzato nel corso degli anni ogni singola operazione militare israeliana contro Gaza assediata, compresi gli attacchi contro scuole, ospedali, luoghi religiosi e uffici giornalistici”.

Obiettivi militari?

Tuttavia Israele ribatte sostenendo che i suoi attacchi prenderebbero di mira le infrastrutture militari e accusa i cosiddetti militanti di rifugiarsi in mezzo ai civili.

Ma è così?

Gli attacchi israeliani sono stati effettuati su edifici residenziali di notte, mentre la popolazione civile dormiva, con la presenza di persone non direttamente coinvolte nelle ostilità, e in assenza di ostilità in corso. In sostanza, secondo le leggi internazionali non erano obiettivi militari”, dice Mariniello.

Nel suo articolo sul Jerusalem Post Hirsh attacca “la moltitudine di denigratori e irriducibili ignoranti” per aver enfatizzato concetti come proporzionalità e sproporzione nel diritto internazionale.

Tuttavia per Mariniello questi principi non sono opinabili ma fondamentali per il diritto internazionale durante i conflitti armati.

“L’altro pilastro del diritto internazionale e umanitario che sembra essere stato ignorato da Israele è il principio di proporzionalità che proibisce attacchi sproporzionati. Questo è già accaduto nei precedenti attacchi militari a Gaza”.

Mariniello prosegue parlando di altri due importanti principi del diritto internazionale anch’essi ‘presumibilmente’ violati da Israele, in questa guerra e nelle guerre precedenti: “Il principio di necessità e l’obbligo di precauzione, che prevede che ‘la popolazione civile e i singoli civili godano di una protezione globale contro i pericoli derivanti dalle operazioni militari.'”

Israele ha agito in aperta violazione di questi principi “perché non c’è stato alcun preavviso (nonostante) la consapevolezza che i civili si trovassero nell’edificio durante la notte”.

Contesto mancante

Quello che di solito manca nelle tipiche analisi delle operazioni militari israeliane sulla [Striscia di] Gaza assediata è il più ampio contesto. Ma questo contesto è rilevante quando si esamina la legalità o illegalità della guerra secondo il diritto internazionale?

Mariniello risponde: Contesto e ostilità non possono essere analizzati separatamente. Lanci di razzi e bombardamenti fanno notizia, ma bisogna ricordare l’impatto permanente e quotidiano dell’occupazione israeliana e del controllo militare sulla popolazione civile (che ne paga il prezzo più alto), sia in Cisgiordania e Gaza”.

“Gaza è ancora in stato di occupazione sulla base del diritto internazionale ed è soggetta a un blocco che è entrato nel suo 17esimo anno. Il blocco ha un impatto devastante sulla vita dei residenti della Striscia, come evidenziato dalle organizzazioni per i diritti umani palestinesi, internazionali e israeliane, che lo descrivono apertamente come una catastrofe umanitaria.”

Giustizia ritardata

Una cosa che frustra costantemente i palestinesi è il doppio standard esibito dalle istituzioni legali e politiche internazionali nei riguardi di Israele come violatore seriale del diritto internazionale, rispetto a molti altri Paesi o entità.

Israele non è mai stato veramente chiamato a rispondere della sua occupazione militare, del regime di apartheid o dei numerosi crimini di guerra commessi contro i palestinesi.

Ma i palestinesi e i loro sostenitori non si arrendono.

Abbiamo chiesto a Mariniello se le vittime palestinesi possono sperare in qualche forma di giustizia e risarcimento.

“Gli attacchi rivolti contro i civili e l’uso sproporzionato della forza non sono solo violazioni del diritto umanitario ma sono anche crimini di guerra, che possono essere perseguiti anche in conformità con l’articolo 8 dello Statuto di Roma”, che riguarda i crimini di guerra, dice Mariniello.

Doppi standard

La storia recente ci ha insegnato che quando la comunità internazionale è decisa a punire e sanzionare un Paese che viola il diritto internazionale sono molte le misure che possono essere adottate. Immediatamente dopo il lancio dell’operazione militare russa in Ucraina nel febbraio 2022, ad esempio, sono state imposte migliaia di sanzioni a Mosca.

La Corte Penale Internazionale (CPI) ha emesso mandati di arresto per il presidente russo Vladimir Putin e la Commissaria per i diritti dell’infanzia Maria Lvova-Belova, nonostante il fatto che né la Russia né l’Ucraina siano membri della CPI. Ciò significa che alla Corte non è stata concessa una giurisdizione automatica per indagare sui crimini commessi durante il conflitto in corso.

Nel caso della Palestina, nonostante l’avvio di un’indagine nel marzo 2021, il procedimento investigativo della CPI sembra trovarsi a un punto morto. Come spiegare tutto questo? Questo è l’ennesimo caso di doppi standard?

Spiega Mariniello: Dal punto di vista legale la politica del doppio standard applicata dai Paesi occidentali è inaccettabile. I meccanismi del diritto internazionale non possono essere applicati in alcuni casi e ignorati in altri. Ad esempio, nel caso dell’Ucraina 43 Paesi si sono rivolti alla CPI, di cui cinque si sono opposti all’indagine della CPI in Palestina”.

“Questa selettività non riguarda solo la comunità internazionale ma anche la CPI. La CPI rappresenta l’unica possibilità di giustizia per le vittime di crimini di guerra o crimini contro l’umanità, considerando gli attacchi sistematici contro le popolazioni civili”.

Quanto all’affermazione che Israele è una democrazia con un sistema giudiziario vitale e plausibilmente in grado di processare i propri presunti criminali di guerra, Mariniello ribatte: “Il sistema giudiziario israeliano ha dimostrato più e più volte di non essere in grado di rendere giustizia alle vittime di questi abusi. Ne abbiamo avuto recentemente la conferma nel caso dell’uccisione della giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh”.

Karim Khan

Considerando che la CPI è uno dei più importanti tribunali in cui le vittime di crimini di guerra possano in una qualche misura ottenere giustizia, pur tenendo presente i doppi standard e le carenze della stessa CPI, cosa possono aspettarsi i palestinesi?

Questa domanda diventa ancora più rilevante se teniamo presente il fatto che, secondo il rapporto dell’Assemblea degli Stati aderenti alla CPI, il budget stanziato per l’indagine sulla Palestina è molto piccolo. Ciò non è affatto promettente.

“Sfortunatamente, dall’avvento di Karim Khan come procuratore capo della CPI le indagini si sono fermate”, dice Mariniello. “Khan ha dimostrato che in altri casi le procedure possono essere molto rapide, quando c’è la volontà di andare avanti, come nel caso dell’Ucraina”.

Purtroppo la “volontà di procedere” sembra assente nel caso della Palestina.

“Nonostante il procedimento relativo alla Palestina sia ben documentato e sia stato avviato già nel 2009, l’attuale Procuratore non sembra avere alcuna intenzione di portarlo avanti”. Per Khan, “la Palestina non sembra una priorità”.

Molte voci critiche hanno condannato questo atteggiamento, sottolineando come la Procura sia interessata solo alle indagini che godono dell’appoggio degli Stati Uniti e dei suoi potenti alleati. Queste accuse sembrano trovare riscontro nella decisione di congelare le indagini su presunti crimini di guerra sia in Afghanistan che in Palestina”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




CPJ: Israele “non si assume alcuna responsabilità” per l’uccisione di giornalisti

AL JAZEERA

9 maggio 2023 – Aljazeera

L’impunità dell’esercito israeliano nell’uccisione di almeno 20 giornalisti negli ultimi 20 anni mina “gravemente” la libertà di stampa, afferma il rapporto del CPJ.

Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) afferma in un nuovo duro rapporto che l’esercito israeliano non si è assunto alcuna responsabilità per l’uccisione di almeno 20 giornalisti, 18 dei quali palestinesi, negli ultimi 20 anni.

Nel suo rapporto, Deadly Pattern, pubblicato martedì, questa organizzazione a tutela della libertà di stampa dichiara di aver riscontrato “uno schema sistematico nelle uccisioni di giornalisti da parte [dell’esercito israeliano]”.

“Nessuno è mai stato accusato o ritenuto responsabile di queste morti… minando con ciò gravemente la libertà di stampa”, aggiunge.

Il CPJ afferma che i palestinesi costituiscono l’80% dei giornalisti e degli operatori dei media uccisi dall’esercito israeliano.

Queste cifre riflettono in parte l’andamento generale del conflitto israelo-palestinese; secondo i dati delle Nazioni Unite negli ultimi 15 anni i sono stati uccisi 21 volte più palestinesi che israeliani, aggiunge il rapporto.

Inoltre il rapporto evidenzia che “gli ufficiali israeliani sminuiscono le prove e le affermazioni dei testimoni, e spesso sembrano scagionare i soldati per le uccisioni mentre le indagini sono ancora in corso”, e aggiunge che le indagini dell’esercito israeliano sulle uccisioni sono una “scatola nera”, con risultati tenuti segreti.

Nello svolgimento delle indagini l’esercito israeliano spesso impiega mesi o anni per investigare sugli omicidi, e le famiglie dei giornalisti, per lo più palestinesi, hanno poche risorse all’interno di Israele per perseguire la giustizia”, afferma il CPJ.

Hagai El-Ad, direttore esecutivo dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, afferma nel rapporto che l’esame da parte di Israele delle azioni dei suoi soldati è meno seria di una “rappresentazione teatrale di un’indagine”.

Vogliono renderla credibile. Eseguono gli atti, le procedure richiedono molto tempo, molte scartoffie”, riferisce a CPJ. “Ma alla fine … è l’impunità quasi totale per le forze di sicurezza”.

Il rapporto afferma che le organizzazioni per i diritti umani hanno costantemente sollevato preoccupazioni circa “la… lentezza di queste valutazioni totalmente riservate, che possono trascinarsi per mesi o anni”, durante le quali “i ricordi dei testimoni svaniscono, le prove possono scomparire o essere distrutte e i soldati coinvolti possono far coincidere le testimonianze”.

L’uccisione di Shireen Abu Akleh

Il rapporto arriva due giorni prima del primo anniversario dell’uccisione della giornalista veterana di Al Jazeera Shireen Abu Akleh da parte di un proiettile israeliano alla testa mentre l’11 maggio 2022 conduceva un reportage su un raid militare israeliano nella città occupata di Jenin in Cisgiordania.

Nel settembre 2022 un’indagine congiunta di Forensic Architecture, organizzazione di ricerca multidisciplinare, e dell’organizzazione per i diritti dei palestinesi Al-Haq ha rivelato che le prove confutavano la versione di Israele secondo cui Abu Akleh sarebbe stata uccisa per “errore”.

L’inchiesta ha esaminato l’angolo di tiro del cecchino israeliano e ha concluso che era in grado di vedere chiaramente che in quel luogo c’erano i giornalisti. Ha anche escluso la possibilità che in quel momento ci fossero degli scontri tra forze israeliane e palestinesi, che avrebbero potuto dar luogo ad un fuoco incrociato.

Secondo l’inchiesta, per la quale Al Jazeera ha fornito del materiale, il cecchino israeliano ha sparato per due minuti e ha preso di mira coloro che cercavano di soccorrere Abu Akleh.

I risultati sono arrivati lo stesso giorno in cui la famiglia della giornalista palestinese americana di 51 anni ha formalmente presentato una denuncia ufficiale alla Corte Penale Internazionale (CPI) chiedendo giustizia per la sua uccisione.

Israele ha dichiarato a settembre che c’era una “alta possibilità” che Abu Akleh fosse stata “accidentalmente colpita” dal fuoco dell’esercito israeliano, ma ha aggiunto che non avrebbe avviato un’indagine penale.

“Mancato rispetto” della stampa cercando di imporre false narrazioni

Come Abu Akleh, che quando è stata uccisa indossava un casco e un giubbotto protettivo blu con la scritta “Press”, la maggior parte dei 20 giornalisti uccisi al momento della loro morte erano “chiaramente identificabili come membri dei media o si trovavano all’interno di veicoli con insegne della stampa, si legge nel rapporto.

Il rapporto afferma anche che dopo che un giornalista viene ucciso dalle forze di sicurezza israeliane gli ufficiali israeliani “spesso inviano ai media una contro-narrazione” nel tentativo di allontanare ogni responsabilità dai loro soldati.

Il CPJ ha sottolineato che nel caso di Abu Akleh gli ufficiali israeliani hanno iniziato a incolpare dei palestinesi nonostante i testimoni e il ministero della salute palestinese affermassero che era stata uccisa dalle truppe israeliane. Israele ha anche accusato alcuni giornalisti palestinesi uccisi dai suoi sodati di “attività terroristica e militante”.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Una lobby israeliana ammette di aver mentito riguardo ad un’associazione palestinese per i diritti

Maureen Clare Murphy

13 dicembre 2022 – The Electronic Intifada

Il principale gruppo lobbistico olandese a favore di Israele ha rimosso dal proprio sito web tre articoli contenenti diffamazioni nei confronti di Al-Haq, una nota associazione palestinese per i diritti umani.

Dopo che Al-Haq ha avviato un’azione legale contro di esso il Centro di Informazione e Documentazione Israele (CIDI) ha ammesso che gli articoli contenevano false accuse che danneggiavano “il buon nome dell’organizzazione”.

Una di tali accuse è che Al-Haq avrebbe “stretti legami con gruppi terroristi palestinesi” e farebbe parte del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), una fazione marxista-leninista bandita da Israele, USA e UE.

Nell’ottobre 2021 Israele ha etichettato Al-Haq e diverse altre famose associazioni della società civile palestinese come organizzazioni terroriste, sostenendo che esse erano organizzazioni collaterali al FPLP. Israele non ha fornito alcuna prova a riscontro delle sue accuse, che sono state respinte da 10 Paesi europei, compresa l’Olanda, che finanziano le organizzazioni.

Il CIDI ha anche ammesso che è “falso sostenere che Al-Haq compaia in diversi elenchi internazionali di terroristi” e che non vi è prova dell’accusa che essa storni i finanziamenti europei al FPLP o che sia stata bandita dalle società di carte di credito.

Al-Haq ha accusato il CIDI di diffamazione per aver amplificato le infondate accuse nei suoi confronti.

Concordando con la veridicità dell’accusa di Al-Haq, il CIDI di fatto riconosce che la definizione di organizzazione “terroristica” da parte del governo israeliano è senza fondamento e diffamatoria.

Il CIDI ha condotto a lungo una campagna per porre fine all’assistenza olandese alle associazioni palestinesi ed ha ricalcato le campagne del governo israeliano che le diffamavano come fiancheggiatrici di organizzazioni terroristiche.

Israele e strutture di copertura come il CIDI hanno preso di mira Al-Haq soprattutto a causa dell’attività dell’organizzazione in difesa della giustizia internazionale, in particolare presso la Corte Penale Internazionale (CPI).

Circa 200 organizzazioni in Palestina e in tutto il mondo hanno chiesto a Karim Khan, il procuratore capo della CPI, di condannare le definizioni di Israele contro Al-Haq e due altre associazioni palestinesi, fornendo prove e rappresentando le vittime presso la Corte.

Il problema della “arbitraria criminalizzazione” da parte di Israele di associazioni della società civile palestinese è stato sollevato nel corso dell’assemblea degli Stati membri della CPI la settimana scorsa.

In una dichiarazione comune, Al-Haq e altre organizzazioni, comprese Human Rights Watch, Al Mezan e il Centro Palestinese per i Diritti Umani, hanno chiesto di agire rispetto alle minacce e agli attacchi contro i difensori dei diritti umani che collaborano con la Corte.

Al-Haq, Al Mezan e il Centro Palestinese per i Diritti Umani hanno convenuto, durante l’assemblea degli Stati membri, di mettere in evidenza l’ostruzionismo di Khan rispetto all’indagine sulla Palestina avviata dal suo predecessore all’inizio dello scorso anno.

I critici affermano che il doppio standard della generosa allocazione delle risorse della Corte per l’indagine in Ucraina mentre viene affossata l’inchiesta sulla Palestina ha ulteriormente compromesso la credibilità della CPI.

Se la CPI non agirà sulla Palestina, verrà disconosciuta in quanto strumento al servizio degli interessi dei potenti Stati occidentali, lasciando che i palestinesi prendano le leggi nelle proprie mani, hanno dichiarato i difensori dei diritti umani durante l’evento in corso all’Aja.

Maureen Clare Murphy è caporedattrice di The Electronic Intifada.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Al Jazeera porta l’uccisione di Shireen Abu Akleh alla Corte Penale Internazionale CPI

La rete afferma che le prove presentate ribaltano le affermazioni delle autorità israeliane secondo cui la giornalista palestinese sarebbe stata uccisa da un fuoco incrociato.

Annette Ekin

6 dicembre 2022 – Al Jazeera

L’Aia, Paesi Bassi Al Jazeera Media Network ha presentato una richiesta formale alla Corte Penale Internazionale (CPI) per indagare e perseguire i responsabili dell’uccisione dell’esperta giornalista palestinese-americana Shireen Abu Akleh.

Abu Akleh, corrispondente televisiva di Al Jazeera per 25 anni, è stata uccisa dalle forze israeliane l’11 maggio mentre stava documentando un raid militare israeliano in un campo profughi a Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

La 51enne nativa di Gerusalemme e cittadina statunitense era un nome familiare e una giornalista molto rispettata che ha dato voce ai palestinesi attraverso la sua copertura dell’occupazione israeliana.

Una strategia più ampia’

La richiesta include un dossier con un’indagine approfondita svolta nell’arco di sei mesi da Al Jazeera che raccoglie tutte le prove rese disponibili da testimoni oculari e riprese video, oltre a nuovo materiale sull’uccisione di Abu Akleh.

La richiesta è presentata alla CPI “nel contesto di un più ampio attacco contro Al Jazeera e i giornalisti in Palestina”, ha affermato Rodney Dixon KC, un avvocato di Al Jazeera, riferendosi ad episodi come il bombardamento degli uffici della rete a Gaza il 15 maggio 2021.

“Non è un incidente isolato, è un omicidio che fa parte di una strategia più ampia su cui l’accusa dovrebbe indagare per identificare e incriminare i responsabili dell’omicidio”, ha detto.

Il focus è su Shireen, e su questo particolare omicidio, questo vergognoso omicidio. Ma le prove che presentiamo prendono in esame tutte le azioni contro Al Jazeera perché essa è stata presa di mira come organizzazione mediatica internazionale.

“E le prove dimostrano che ciò che le autorità [israeliane] stanno cercando di fare è farla tacere”, afferma Dixon.

Al Jazeera spera che il procuratore della CPI “avvii effettivamente le indagini su questo caso” dopo la richiesta della rete, dice Dixon. La richiesta integra la denuncia presentata alla CPI dalla famiglia di Abu Akleh a settembre, sostenuta dal Sindacato della stampa palestinese e dalla Federazione internazionale dei giornalisti.

Un nuovo documentario su Fault Lines [programma televisivo americano di attualità e documentari trasmesso su Al Jazeera English, ndt.] di Al Jazeera mostra come Abu Akleh e altri giornalisti, indossando elmetti protettivi e giubbotti antiproiettile chiaramente contrassegnati con la parola “PRESS”, stavano camminando lungo una strada in vista delle forze israeliane quando sono finiti sotto il fuoco.

Abu Akleh è stata colpita alla testa mentre cercava di proteggersi dietro un albero di carrubo. Anche il produttore di Al Jazeera Ali al-Samoudi è stato colpito alla spalla.

Le nuove prove presentate da Al Jazeera mostrano che “Shireen e i suoi colleghi sono stati colpiti direttamente dalle forze di occupazione israeliane (IOF)”, ha dichiarato martedì Al Jazeera Media Network in un comunicato.

Il comunicato precisa che le prove ribaltano le affermazioni delle autorità israeliane secondo cui Shireen sarebbe stata uccisa in un fuoco incrociato e “conferma, senza alcun dubbio, che non ci sono stati spari nell’area in cui si trovava Shireen, a parte quelli delle IOF diretti contro di lei”.

“Le prove dimostrano che questa uccisione deliberata è stata parte di una campagna più ampia che ha lo scopo di prendere di mira e mettere a tacere Al Jazeera”, afferma la dichiarazione.

Le truppe delle forze di difesa israeliane (IDF) non saranno mai interrogate, ha dichiarato martedì il primo ministro israeliano Yair Lapid.

“Nessuno interrogherà i soldati dell’IDF e nessuno ci farà prediche sulla morale del combattimento, certamente non la rete Al Jazeera”, ha detto Lapid.

Il ministro della Difesa Benny Gantz ha espresso le sue condoglianze alla famiglia Abu Akleh e ha affermato che l’esercito israeliano opera secondo “gli standard più elevati”.

I prossimi passi

Parlando davanti all’ingresso della CPI nella mattinata nuvolosa e frizzante dopo che Al Jazeera ha presentato la sua richiesta, Lina Abu Akleh, che indossava un distintivo con il volto di sua zia, ha detto che la famiglia spera di vedere “presto risultati positivi”.

“Ci aspettiamo che il pubblico ministero cerchi verità e giustizia e ci aspettiamo che il tribunale si impegni a condurre in giudizio per l’uccisione di mia zia le istituzioni e gli individui responsabili di questo crimine”, ha detto.

Il fratello maggiore di Abu Akleh, Anton, ha affermato che la presentazione [della richiesta di indagine] da parte della rete è stata importante per la famiglia.

“Questo per noi è molto importante, non solo per Shireen – niente può riportare indietro Shireen – ma come garanzia che tali crimini vengano fermati e, si spera, la CPI sarà in grado di agire immediatamente per porre fine a questa impunità“.

Walid al-Omari, a capo dell’ufficio di Al Jazeera a Gerusalemme e amico e collega di Abu Akleh, ha affermato che è fondamentale mantenere vivo il caso tra l’opinione pubblica. “Non pensiamo che Israele dovrebbe sfuggire all’obbligo di rispondere giuridicamente”.

Una volta che la CPI avrà esaminato le prove deciderà se indagare sull’uccisione di Abu Akleh nell’ambito delle indagini in corso.

Portare a giudizio i responsabili’

Nel 2021 la CPI ha stabilito la propria giurisdizione sulla situazione nei territori palestinesi occupati. La presentazione di Al Jazeera richiede che l’uccisione di Abu Akleh diventi parte di questa indagine più ampia.

“Stiamo facendo una richiesta per un’indagine che porti alla presentazione di accuse e al perseguimento dei responsabili”, ha affermato Dixon.

Le indagini condotte dalle Nazioni Unite, dalle organizzazioni per i diritti umani palestinesi e israeliane e dagli organi di informazione internazionali hanno concluso che Abu Akleh è stata uccisa da un soldato israeliano.

La famiglia Abu Akleh ha chiesto un’ “indagine approfondita e trasparente” da parte dell’FBI e del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti per rivelare la catena di comando che ha portato alla morte di una cittadina statunitense.

“In breve, vorremmo che [il presidente degli Stati Uniti Joe] Biden facesse nel caso di Shireen ciò che la sua e le precedenti amministrazioni statunitensi non sono riuscite a fare quando altri cittadini americani sono stati uccisi da Israele: portare a giudizio gli assassini”, ha scritto Lina Abu Akleh su Al Jazeera nel mese di luglio.

A novembre gli Stati Uniti hanno annunciato un’indagine dell’FBI sull’uccisione di Abu Akleh, notizia accolta favorevolmente dalla sua famiglia.

Ma, ha ammonito Dixon, questa indagine non dovrebbe essere un motivo per cui la Corte penale internazionale non agisca.

“Possono, possono collaborare con… l’FBI, in modo che questo caso non scivoli tra le crepe e che i responsabili siano identificati e processati”.

Poco dopo la presentazione della richiesta alla Corte Penale Internazionale, gli Stati Uniti hanno dichiarato di respingere l’iniziativa.

“La CPI dovrebbe concentrarsi sulla sua missione principale”, ha detto ai giornalisti il portavoce del Dipartimento di Stato Ned Price. “E tale missione principale è servire come tribunale di ultima istanza per punire e scoraggiare i crimini atroci”.

Sfatare narrazioni mutevoli

Il documentario di Fault Lines esamina attentamente anche le mutevoli narrazioni di Israele.

Israele ha inizialmente incolpato per la morte di Abu Akleh dei palestinesi armati, ma a settembre ha affermato che c’era “un’alta probabilità” che un soldato israeliano avesse “colpito accidentalmente” la giornalista, ma che non avrebbe avviato un’indagine penale.

Hagai El-Ad, direttore dell’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, che ha rapidamente smentito la falsa affermazione di Israele secondo cui un uomo armato palestinese sarebbe stato responsabile della morte di Abu Akleh, ha detto a Fault Lines: Sono anche molto abituati a farla franca sia nell’arena pubblica che in quella legale nel mentire sull’uccisione di palestinesi”.

Il motivo per cui Al Jazeera ha fatto questa richiesta è perché le autorità israeliane non hanno fatto nulla per indagare sul caso. In realtà hanno detto che non indagheranno, che non c’è alcun sospetto di crimine”, afferma Dixon.

Al Jazeera Media Network definisce l’omicidio un “palese omicidio” e un “crimine atroce”.

“Al Jazeera ribadisce il suo impegno a ottenere giustizia per Shireen e ad esplorare tutte le strade per garantire che gli autori siano ritenuti responsabili e assicurati alla giustizia”, ha affermato la rete.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Amnesty sollecita un’inchiesta per possibili crimini di guerra a Gaza

Redazione di Al Jazeera

25 Ottobre 2022 – Al Jazeera

Solo in quest’anno almeno 160 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza

Amnesty International ha sollecitato la Corte Penale Internazionale (CPI) ad indagare su possibili crimini di guerra relativi agli “illegittimi attacchi” condotti nel corso della letale aggressione di Israele alla Striscia di Gaza in agosto.

Le forze israeliane “si sono vantate” della precisione dei loro attacchi su Gaza in agosto, ha affermato Amnesty International in un nuovo rapporto pubblicato martedì, che indaga le circostanze relative a tre specifici attacchi a civili.

Amnesty ha affermato che le vittime dei cosiddetti “attacchi mirati” includono un bambino di quattro anni, un adolescente in visita alla tomba della madre e una studentessa di belle arti uccisa dal fuoco israeliano mentre era in casa a bere un tè con sua madre.

L’organizzazione ha dichiarato che è stato posto sotto indagine anche un attacco che ha ucciso sette civili palestinesi, che sembra essere stato l’esito di un razzo senza guida probabilmente lanciato da gruppi armati palestinesi.

L’ultima offensiva di Israele contro Gaza è durata solo 3 giorni, ma è stato un tempo sufficiente per infliggere nuovi traumi e distruzioni alla popolazione assediata”, ha detto Agnès Callamard, segretaria generale di Amnesty International, in una dichiarazione allegata al rapporto.

I tre attacchi mortali che abbiamo esaminato devono essere indagati come crimini di guerra; tutte le vittime degli attacchi illegittimi e le loro famiglie meritano giustizia e risarcimenti”, ha detto.

Il violento attacco di agosto da parte delle forze israeliane è stato solo uno dei più recenti esempi di violenza indiscriminata contro la popolazione di Gaza “dominata, oppressa e segregata”, che ha subito anni di blocco illegale del territorio, ha aggiunto Callamard.

Oltre ad indagare sui crimini di guerra compiuti a Gaza, la CPI dovrebbe prendere in considerazione, all’interno della sua attuale inchiesta nei Territori Palestinesi Occupati, il crimine contro l’umanità di apartheid”, ha affermato.

Secondo il Ministero della Salute palestinese dall’inizio di quest’anno almeno 160 palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza, compresi 51 palestinesi uccisi durante l’attacco di tre giorni a Gaza in agosto.

31 civili figurano fra i 49 palestinesi che secondo le Nazioni Unite sono stati uccisi nella Striscia di Gaza durante il conflitto di tre giorni, ha dichiarato Amnesty nel nuovo rapporto.

Il conflitto è iniziato il 5 agosto, quando Israele ha scatenato attacchi aerei in ciò che a suo dire era un attacco preventivo mirato al gruppo della Jihad islamica.

Amnesty ha detto che, utilizzando fotografie di frammenti di armi, l’analisi di immagini satellitari e le testimonianze di decine di intervistati, ha ricostruito le circostanze relative ai tre attacchi specifici, due dei quali condotti dalle forze israeliane e uno probabilmente da gruppi armati palestinesi.

La CPI ha avviato un’indagine sul conflitto israelo-palestinese, che ci si attende focalizzata in parte su possibili crimini di guerra compiuti durante il conflitto del 2014 a Gaza. L’inchiesta è appoggiata dall’Autorità Nazionale Palestinese, ma Israele non è membro della CPI e contesta la sua giurisdizione.

Il mese scorso la famiglia della giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh ha inoltrato una denuncia ufficiale alla CPI per chiedere giustizia per la sua morte.

Abu Akleh, che ha lavorato per Al Jazeera per 25 anni ed era conosciuta come “la voce della Palestina”, è stata colpita alla testa ed uccisa dalle forze israeliane l’11 maggio mentre stava documentando un’incursione dell’esercito nel campo profughi di Jenin nella Cisgiordania occupata.

Fonte: Al Jazeera e agenzie di stampa

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)