La risposta della Corte Penale Internazionale alla Palestina e all’Ucraina solleva preoccupazioni su imparzialità e peso politico: il parere degli esperti

Agenzia Anadolu

24 ottobre 2023 – Middle East Monitor

Lo sconvolgente costo umano dellincessante attacco israeliano contro la Striscia di Gaza continua ad aumentare di ora in ora.

Nei bombardamenti israeliani, che hanno preso di mira tutte le aree dell’enclave palestinese assediata, sono stati uccisi più di 5000 uomini, donne e bambini palestinesi.

Gli attacchi aerei hanno colpito aree residenziali densamente popolate, ospedali e altri siti civili, causando anche la morte di decine di operatori umanitari, operatori sanitari e giornalisti.

Nella Striscia Israele ha tagliato le forniture di base, come acqua, elettricità e aiuti umanitari a più di 2,2 milioni di persone, imponendo inoltre attraverso un ordine di evacuazione dal nord della Striscia, quello che alcuni esperti chiamano lo sfollamento forzato di oltre 1.100.000 persone.

Per Israele tutto ciò rappresenta una risposta allattacco del 7 ottobre di Hamas e ai successivi attacchi missilistici sulle aree israeliane che hanno causato la morte di oltre 1.400 persone.

Ma molti in tutto il mondo hanno contestato la forza eccessiva e sproporzionata utilizzata da Israele e sono emerse numerose segnalazioni di crimini di guerra contro lumanità da parte di esperti di diritto e persino funzionari come Francesca Albanese, relatrice speciale delle Nazioni Unite per i Territori Palestinesi Occupati.

Una delle aree di interesse è stata il ruolo, o lapparente mancanza di esso, di istituzioni come la Corte Internazionale di Giustizia delle Nazioni Unite (CIG) o la Corte Penale Internazionale indipendente (CPI) che, per sua stessa definizione, ha il mandato specifico di agire contro i crimini più gravi riguardanti la comunità internazionale: il genocidio, i crimini di guerra, i crimini contro lumanità e il crimine di aggressione”.

Lunedì la CIG ha annunciato che terrà delle udienze pubbliche sulla richiesta di un parere consultivo riguardo alle conseguenze giuridiche derivanti dalle politiche e dalle pratiche di Israele nei Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme Est”.

Tuttavia le udienze inizieranno il 19 febbraio del prossimo anno.

Per quanto riguarda la CPI, diversi esperti lhanno invitata ad agire immediatamente di fronte alla crescente escalation a Gaza.

Mentre la CPI ha risposto rapidamente alle accuse di crimini di guerra in Ucraina a partire dallo scorso anno, sembra essere molto lenta nell’affrontare i crimini in Palestina da quando ha iniziato le sue indagini nel 2015”

ha affermato Ben Saul, recentemente nominato relatore speciale delle Nazioni Unite sulla promozione e protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali nella lotta al terrorismo.

Saul, attualmente titolare della cattedra Challis di diritto internazionale presso l’Università di Sydney in Australia, assumerà l’incarico questo novembre.

Ha sostenuto che la ICC deve mostrare la stessa urgenza e mobilitazione di risorse per rassicurare il mondo sulla sua imparzialità e sul fatto che la sua legittimità non è minata da costrizioni geopolitiche”.

Tutti gli Stati dovrebbero collaborare con la Corte se in possesso di informazioni sui crimini”, ha detto ad Anadolu, sottolineando che nell’attuale escalation ci sono state diverse violazioni sia da parte di Hamas che delle forze israeliane.

Riguardo ad Israele afferma che lassedio totale di Gaza è una violazione del diritto internazionale e potrebbe configurare il crimine di guerra dell’uso della fame”.

Israele ha lobbligo di consentire e facilitare aiuti umanitari rapidi e senza ostacoli, compresi cibo e medicine. Gli avvertimenti di Israele ai civili sugli attacchi imminenti devono essere efficaci [per la popolazione, ndt.] e il suo ordine di evacuare oltre 1 milione di persone nel nord di Gaza, in condizioni di assedio, è inammissibile”, afferma.

Sono necessarie maggiori informazioni sulle decisioni e l’intelligence di Israele riguardo gli obiettivi ma è credibile che alcune delle migliaia di bombardamenti israeliani a Gaza possano aver comportato un numero eccessivo di vittime civili o di attacchi indiscriminati”.

Riguardo ad Hamas Saul afferma che le uccisioni di massa di civili israeliani potrebbero configurare il crimine internazionale di genocidio se specificamente intese a distruggere parte del popolo israeliano e/o ebraico in quanto tale”.

Potrebbero inoltre costituire vari crimini contro lumanità”, aggiunge.

La risposta della CPI mostra una disparità carica di influenze politiche

Secondo Khalil Dewan, responsabile delle indagini giuridiche presso lo studio legale britannico Stoke White, che ha preso parte a precedenti casi presso la CPI che coinvolgevano Israele, la Corte Penale Internazionale ha confermato la sua giurisdizione sui crimini di guerra in Palestina riguardanti tutte le parti coinvolte.

La CPI sta acquisendo prove di crimini di guerra e ha recentemente annunciato che il procuratore ha giurisdizione attraverso la Palestina [la Palestina, al contrario di Israele ha ratificato il trattato istitutivo della ICC, ndt.]”, ha detto ad Anadolu.

La giurisdizione della Corte sui crimini di guerra comprende Gerusalemme, Cisgiordania e Gaza con riferimento a tutte le parti in conflitto”.

Afferma che molti studi legali stanno raccogliendo prove,comprese quelle inerenti le ostilità attuali, che riguardano l’attacco a civili o infrastrutture protette e le punizioni collettive”.

Le azioni ancora in sospeso delle forze di terra israeliane saranno attentamente esaminate e sottoposte alla CPI”, riferisce.

Dewan sottolinea che Israele rifiuterà la giurisdizione della CPI”, ma ha aggiunto che questa è già stata rivendicata dal Procuratore (della CPI).

In ogni caso la mancanza di urgenza nell’approccio della CPI nei confronti dei crimini di guerra in Palestina rispetto alla risposta allUcraina dimostra una disparità carica di conseguenze politiche”, afferma.

Dewan dice che il diritto internazionale rimane un sistema giuridico indeterminato” e che alcuni Stati impiegano la strategia del lawfare[uso strumentale dei sistemi e delle istituzioni giuridiche contro individui o popoli, ndt.] per raggiungere obiettivi militari, anche attraverso la politica e le narrazioni dei media”.

Sostiene che i palestinesi hanno esaurito tutte le vie inerenti il diritto e la politica internazionali rivolte alla ricerca della giustizia”.

Gli appelli allOrganizzazione per la Cooperazione Islamica a formare un meccanismo regionale separato per la pace e la salvaguardia della sicurezza della Palestina sarebbero uniniziativa accolta con favore”, ha affermato.

Se le risoluzioni delle Nazioni Unite sulla Palestina non vengono rispettate allora è fondamentale cercare approcci decoloniali al diritto internazionale ed eliminare le leggi progettate per mettere a tacere e sottomettere gli Stati non occidentali”.

‘“La CPI può emettere mandati di arresto”

Ahmet Necip Arslan, un avvocato con sede a Istanbul, ha riportato le stesse opinioni affermando che i meccanismi di funzionamento della CPI sono molto lenti”.

Spesso le decisioni, in qualsiasi sede, possono essere prese sotto la forte influenza dei governi e della politica”, ha detto ad Anadolu.

Arslan rileva che la CPI può emettere mandati di arresto”, sottolineando che questo può essere un metodo efficace per fermare un conflitto armato”.

Ha detto che le notizie provenienti da Gaza

rivelano che Israele sta impiegando armi proibite come il fosforo bianco e prendendo di mira luoghi di culto e proprietà culturali, azioni considerate entrambe crimini di guerra”

Israele, conclude, sta privando i civili di beni essenziali come cibo, acqua, aiuti umanitari, antibiotici e forniture mediche, e ha aggiunto che queste potrebbero essere violazioni del diritto internazionale che potrebbero essere potenziali crimini di guerra”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Come Israele codifica il suo sistema di esclusione e oppressione

Dania Abul Haj*

1 agosto 2023 – Middle East Eye

La cinica, vaga e opprimente procedura Cogat 2022 è stata attentamente progettata per mantenere il controllo dell’occupante sui palestinesi

Nel corso degli anni gli architetti dell’occupazione israeliana hanno incessantemente creato politiche che cercano di consolidare ulteriormente la frammentazione del popolo palestinese, non solo fisicamente ma anche psicologicamente.

Può essere facile per le persone osservare la politica e separarla dalle esperienze vissute di coloro che ne sono interessati. Ma le tattiche israeliane di divisione e conquista hanno portato alla creazione di realtà differenziate per il popolo palestinese.

Gerosolimitani, palestinesi nella Cisgiordania occupata, abitanti palestinesi di Gaza, cittadini palestinesi di Israele, rifugiati e palestinesi della diaspora sono sempre meno in grado di comprendere la situazione vissuta da ciascun gruppo sotto un’occupazione che è brutale, domina e disumanizza.

Un esempio calzante è l’ultima procedura del Coordinator of Government Activities in the Territories [Coordinatore delle attività di governo nei territori, ndt] (Cogat), nota come Procedura 2022, entrata in vigore alla fine dello scorso anno. Un corpo militare israeliano, il Cogat, usa un nome eufemistico per il potere draconiano che esercita sui territori occupati palestinesi

La Procedura 2022 è progettata per promuovere il controllo militare di Israele e rendere difficile per i palestinesi della diaspora insegnare, studiare, fare volontariato, lavorare o vivere nella Cisgiordania occupata.

Di recente sono stata coautrice di un rapporto intitolato “Recinti: le regole israeliane del 2022 sull’ingresso di cittadini stranieri in Cisgiordania”. Il rapporto dimostra come i regolamenti siano basati sul totale disprezzo di Israele per i suoi doveri e obblighi riguardo al diritto internazionale umanitario e alle leggi internazionali sui diritti umani.

Questi includono i diritti alla privacy e alla vita familiare, la libertà di movimento, lo sviluppo economico, l’istruzione e il godimento dei diritti culturali.

Radicare l’apartheid

La Procedura 2022 è tutta incentrata sull’ulteriore stretta dell’occupazione israeliana, dell’annessione e dell’apartheid. Impedendo alle famiglie palestinesi in cui almeno un membro è cittadino straniero di poter vivere insieme, Israele sta creando un ambiente coercitivo progettato per provocare un “trasferimento silenzioso” di intere famiglie dalla Cisgiordania occupata.

Le regole rafforzano anche il contesto di sorveglianza e controllo da “Grande Fratello” mantenuto dal regime militare israeliano, progettato per rendere insopportabile la vita quotidiana nella Cisgiordania occupata.

Non conosciamo ancora l’impatto complessivo dei regolamenti, perché sono ancora molto recenti, ma ora siamo alla prima estate della loro attuazione. È un momento in cui i palestinesi della diaspora di tutto il mondo visitano le loro famiglie e le loro case nella Cisgiordania occupata.

La nuova procedura Cogat potrebbe comportare il rifiuto arbitrario di entrare nella Cisgiordania occupata attraverso il ponte di Allenby [che collega la Giordania con la Cisgiordania occupata, ndt.]. Tali casi devono essere monitorati e documentati e i governi dovrebbero agire a favore dei loro cittadini a cui viene negato l’ingresso.

C’è anche un impatto invisibile della procedura Cogat che non vedremo né saremo in grado di misurare: molte persone saranno così confuse e intimidite da queste norme che non si sentiranno nemmeno abbastanza sicure da viaggiare.

Questa è un’altra barriera che impedirà alle persone di vedere la realtà quotidiana dell’occupazione israeliana e dell’oppressione dei palestinesi.

Una spaventosa indifferenza

Quando la bozza del regolamento è stata resa pubblica per la prima volta, io e il mio team ci siamo seduti [a studiarla, ndt.] e siamo stati completamente assorbiti per settimane da un documento disordinato di 97 pagine.

Mi sono resa conto che anche per un professionista con quasi otto anni di esperienza nel campo capire queste regole era una sfida. Erano intenzionalmente vaghe e confuse.

Dopo una quantità di proteste da parte dell’opinione pubblica e di una serie di organizzazioni per i diritti umani, alcune disposizioni sono state infine modificate o abrogate, ma questi cambiamenti sono stati solo una goccia nell’oceano in confronto alla serie di disposizioni crudeli della procedura. Una politica che segrega un’intera popolazione dal mondo esterno con ogni mezzo possibile, incluso il controllo su chi è autorizzato a entrare nel territorio, solleva allarmanti preoccupazioni.

Se, come anticipato, nei prossimi mesi la Procedura 2022 verrà applicata essa approfondirà la situazione di frammentazione per il popolo palestinese, lontana da tutte le promesse e i valori che costituiscono i pilastri del consenso postbellico della comunità internazionale.

Il silenzio assordante della comunità internazionale e dei Paesi terzi non trasmette più solo disprezzo verso i palestinesi e i loro diritti, ma anche una spaventosa indifferenza verso uno Stato che continua a commettere i crimini contro l’umanità dell’apartheid e della persecuzione.

Questo ricorda che una prigione non significa sempre una cella con muri e una guardia; a volte significa un intero Paese posto alla mercé dell’arroganza di un’occupazione militare.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la linea editoriale di Middle East Eye.

*Dania Abul Haj è un avvocatessa specializzata palestinese di Gerusalemme. attualmente lavora come legale presso il Centro internazionale di giustizia per i palestinesi a Londra. Ha conseguito un LLM [master in materie giuridiche, ndt] in diritto internazionale presso l’Università di Edimburgo.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




ONG internazionali di difesa dei diritti umani condannano fermamente il vertice UE-Israele

Elis Gjevori

3 ottobre 2022 – Middle East Eye

Mentre l’Unione Europea affronta una crisi energetica legata alla guerra in Ucraina, Israele intende approfittare del vertice per consolidare i propri interessi.

Organizzazioni internazionali di difesa dei diritti umani condannano il vertice UE-Israele previsto oggi, affermando che non farebbe altro che legittimare l’“apartheid” che colpisce attualmente i palestinesi.

Secondo un comunicato di Amnesty International “Israele commette un crimine di apartheid nei confronti dei palestinesi” e “qualunque forma di cooperazione deve focalizzarsi sullo smantellamento del brutale sistema di oppressione e di dominazione attuato da Israele.”

L’UE cerca di rilanciare i suoi rapporti con Israele in occasione del vertice previsto questo lunedì, il primo tra le due parti dal 2012, soprattutto a causa della necessità di diversificare le proprie risorse energetiche in seguito alla guerra in Ukraina.

Questo vertice, denominato “Consiglio di associazione UE-Israele”, è stato annullato da Israele nel 2013 dopo la pubblicazione da parte dell’UE di una direttiva che ha avuto l’effetto di una bomba, in base alla quale tutti i futuri accordi con Israele escluderebbero le colonie israeliane nei territori palestinesi occupati.

Gli organismi israeliani che vogliono ottenere un finanziamento dall’UE dovevano quindi dimostrare attivamente l’assenza di qualunque legame diretto o indiretto con la Cisgiordania, Gerusalemme est o le alture del Golan occupate.

Pur se la politica ufficiale dell’UE a questo riguardo non è cambiata, Israele ha deciso di confermare il vertice. Tuttavia alcune organizzazioni in difesa dei diritti umani temono che Bruxelles finisca per cedere.

Le autorità israeliane impongono ai palestinesi requisizioni di terre, omicidi illegali, trasferimenti forzati e severe restrizioni alla circolazione, negando la loro umanità e l’eguaglianza di cittadinanza e di status”, afferma Amnesty International a proposito del vertice.

L’UE non può pretendere di condividere degli impegni in materia di diritti umani con uno Stato che pratica l’apartheid e che nei mesi scorsi ha chiuso gli uffici di note organizzazioni della società civile palestinese”, sottolinea Amnesty.

All’inizio di quest’anno le forze israeliane hanno perquisito e chiuso gli uffici di sette ONG palestinesi: Al-Haq, Addameer, Centro Bisan per la ricerca e lo sviluppo, Difesa dei Bambini Internazionale-Palestina, Unione dei comitati di donne palestinesi, Unione dei comitati del lavoro agricolo e Unione dei comitati dei lavoratori della sanità.

Crimini contro l’umanità”

In un comunicato anche Human Rights Watch (HRW) ha condannato il vertice.

I responsabili europei devono sapere che stringeranno la mano a rappresentanti di un governo che commette crimini contro l’umanità e che ha messo al bando importanti associazioni della società civile che si oppongono a questi abusi”, afferma la ONG.

Grace O’Sullivan, eurodeputata del partito dei verdi irlandesi, intervistata da Middle East Eye, sottolinea che è anche improbabile che questo vertice offra ai dirigenti UE l’occasione di esternare le loro preoccupazioni ai dirigenti israeliani.

Mi è stato detto che il Primo Ministro Lapid non vi parteciperà nemmeno di persona”, aggiunge, ritenendo “deludente il fatto che l’UE abbia organizzato questo incontro nella settimana di Yom Kippur (importante ricorrenza religiosa ebraica, ndt.), poiché questo limiterà il (suo) impegno nei confronti dei dirigenti israeliani.”

L’eurodeputata precisa che seguirà da vicino ciò che Josep Borrell, alto rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la politica di sicurezza, dichiarerà dopo l’incontro con i suoi interlocutori israeliani, in particolare per sapere se verranno menzionati i diritti umani e le colonie occupate.

Il trattamento dei palestinesi e la messa in atto di misure reali a favore di uno Stato palestinese dovranno essere al centro di questi incontri”, ritiene.

Mi piacerebbe anche vedere dei progressi per quanto riguarda l’uccisione della giornalista americana-palestinese Shireen Abu Akleh e l’arresto di oltre 25 giornalisti palestinesi da parte di Israele solo in quest’anno. La libertà di stampa è gravemente minacciata in Israele e nei territori occupati.”

Un ordine del giorno completamente diverso

Tuttavia l’attuale atmosfera a Bruxelles e a Tel Aviv lascia prevedere un ordine del giorno completamente diverso.

La visita effettuata il mese scorso in Israele dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, allo scopo di rafforzare la cooperazione energetica, non è passata inosservata in Israele, alla luce delle opportunità che potrebbe offrire al Paese.

Traduzione [del discorso di Von der Leyen]: “Sono molto felice di essere in Israele. Lavoriamo fianco a fianco per rafforzare la collaborazione tra UE ed Israele. La mia visita sarà incentrata sulla sicurezza energetica e alimentare, l’intensificazione della cooperazione nell’ambito della ricerca, della sanità e della protezione ambientale. Discuteremo anche della situazione regionale e degli sforzi verso la costruzione di un Medio Oriente sicuro.”

Contemporaneamente alla visita della dirigente, Oded Eran, ex ambasciatore di Israele presso l’Unione Europea, ha dichiarato che la delicata situazione energetica in Europa offre a Israele l’occasione di approfondire i suoi rapporti con Bruxelles.

In agosto Israele ha registrato un aumento del 50% delle tariffe derivanti dalle esportazioni di gas nel 2022, sostenuto da prezzi mondiali record, mentre l’Europa affronta una imminente scarsità energetica in seguito all’invasione russa dell’Ucraina.

Anche se limitata, la capacità di Israele di rispondere alla domanda europea non è trascurabile. Così, mentre nel 2021 l’UE ha importato circa 155 miliardi di m3 dalla Russia, Israele potrebbe essere in grado di fornirle circa 10 miliardi di metri cubi all’anno.

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




I palestinesi del Cile celebrano la cancellazione da parte di Boric della cerimonia delle credenziali dell’ambasciatore israeliano e si aspettano altro ancora

Eman Abusidu

17 settembre 2022 – Middle East Monitor

Giovedì mattina il trentaseienne Gabriel Boric, il più giovane presidente cileno che sia mai stato eletto, ha rifiutato di ricevere il nuovo ambasciatore israeliano in Cile, Gil Artzyeli, che è stato convocato presso il palazzo presidenziale cileno per presentare le sue credenziali.

La notizia è stata riferita dal giornale cileno Ex-Ante, tuttavia il governo cileno ha negato il fatto, dichiarando che la presentazione dei documenti diplomatici è stata semplicemente rimandata: “Non è stato sospeso, ma gli è stato chiesto di rimandare fino alla seconda settimana di ottobre”. Ex-Ante ha confermato che la decisione è stata presa in considerazione: “a causa dell’uccisione di minori da parte dello Stato di Israele nella recente escalation in Cisgiordania e la crescente attività militare israeliana contro i palestinesi”.

In risposta ad una domanda da parte di Ex-ante, il ministero degli Esteri cileno ha dichiarato: “La presentazione delle credenziali dello Stato di Israele è stata riprogrammata per la seconda settimana di ottobre perchè oggi è un giorno molto sensibile a causa dell’uccisione di un ragazzo nella Cisgiordania”. Artzyeli afferma che il ministero degli Esteri cileno si è scusato con lui e con il governo israeliano per il rinvio [della cerimonia, ndt.].

Il rifiuto di Boric di ricevere il nuovo ambasciatore israeliano è stato accolto calorosamente dalla comunità palestinese in Cile. La comunità palestinese si è precipitata a complimentarsi per la decisione di Boric mediante una dichiarazione firmata dal suo presidente, Maurice Khamis Massu. La dichiarazione afferma: “La comunità palestinese del Cile apprezza molto la decisione del presidente Gabriel Boric Font di rimandare la cerimonia di accettazione delle credenziali diplomatiche del nuovo ambasciatore israeliano, perché l’esercito di occupazione israeliano ha ucciso l’adolescente Oday Salah, abitante di Kafr Dan a Jenin, nei territori palestinesi occupati.”

Massu ha anche ringraziato il presidente per il suo continuo appoggio a favore della Palestina: “Crediamo fermamente che fino a quando il mondo continuerà a trattare Israele e i suoi diplomatici come se niente fosse, la situazione dei palestinesi non migliorerà. Israele commette sistematicamente crimini di guerra, crimini contro l’umanità, violazioni dei diritti umani e sottomette la popolazione palestinese ad un regime di apartheid.




Il Consiglio per i Diritti Umani adotta la prima risoluzione a favore della Palestina

31 marzo 2022 – Middle East Monitor

Martedì il Consiglio per i Diritti Umani dell’Organizzazione delle Nazioni Unite ha approvato [quasi, n.d.t.] all’unanimità una risoluzione per accertare le responsabilità e per il conseguimento della giustizia in Palestina.

37 Paesi hanno votato a favore della risoluzione, 7 si sono astenuti e 3 hanno votato contro.

Il ministero palestinese per gli Affari Esteri e per gli Emigrati ha accolto positivamente la risoluzione dell’UNHRC, ringraziando gli Stati membri che hanno votato a favore della bozza di risoluzione presentata dallo Stato di Palestina.

In una dichiarazione il ministero ha affermato che il voto unanime riflette “la salda posizione degli Stati membri sull’importanza della responsabilità del regime coloniale e di apartheid israeliano”.

Secondo il comunicato, 37 Nazioni hanno votato a favore della risoluzione, tra cui Paesi arabi ed europei, la Cina e importanti Nazioni in Africa e in Asia, mentre sette si sono astenute, cioè Ucraina, Regno Unito, Camerun, Isole Marshall, India, Nepal e Honduras. Malawi, Brasile e Stati Uniti hanno votato contro la risoluzione.

Il ministero ha affermato che “il consenso internazionale e il voto in favore della risoluzione sulla Palestina è una forma di protezione per il popolo palestinese e per preservare i suoi diritti, il che condurrebbe in ultima istanza allo smantellamento del regime israeliano di apartheid,” aggiungendo che il voto è una prova “dell’impegno di queste Nazioni nel garantire che sia chiesto conto a coloro che si sono macchiati di crimini di guerra e crimini contro l’umanità a danno del popolo palestinese.

Il ministero ha sollecitato la comunità internazionale a “chiedere conto allo Stato di Israele e ai criminali di guerra israeliani” e ha sottolineato che “la politica dei doppi standard e del carattere selettivo nell’implementazione delle leggi del diritto internazionale rischia di indebolire l’ordine internazionale basato sul diritto.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Palestina e Ucraina: un esperto di diritto internazionale parla dei doppi standard della Corte Penale Internazionale (INTERVISTA ESCLUSIVA)

Romana Rubeo

7 marzo 2022 – PALESTINE CHRONICLE

Il 2 marzo la Corte Penale Internazionale (CPI) ha annunciato che procederà immediatamente ad un’indagine sull’operazione militare russa in Ucraina. Quella che è stata denominata “invasione” dall’Occidente e “operazione militare speciale” da Mosca, ha immediatamente generato una rapida condanna e reazione internazionale. La CPI è stata in prima linea in questa reazione.

Il procuratore della CPI Karim Khan ha affermato in un intervento che l’indagine è stata richiesta da 39 Stati membri e che il suo ufficio ha già trovato una base ragionevole per ritenere che siano stati commessi crimini rientranti nell’ambito giurisdizionale della Corte e ha identificato dei casi come potenzialmente ammissibili.”

Mentre qualsiasi procedura genuina e non politicizzata volta a indagare su possibili crimini di guerra e crimini contro l’umanità in qualsiasi parte del mondo dovrebbe, in effetti, essere accolta favorevolmente, il doppio standard della CPI è palpabile. Tra le altre nazioni, i palestinesi e i loro sostenitori sono perplessi in considerazione dei numerosi indugi da parte della CPI nell’indagare sui crimini di guerra e contro l’umanità in Palestina, che si trova da decenni sotto l’occupazione militare israeliana.

Per comprendere meglio questo argomento ho parlato con il Dr. Triestino Mariniello, professore associato di diritto presso la Liverpool John Moores University, e membro della squadra di avvocati per le vittime di Gaza presso la Corte Penale Internazionale. Gli ho chiesto:

D. Per prima cosa, ci faccia conoscere a quale stadio si trova attualmente il procedimento della CPI sulla Palestina.

R. Il 3 marzo 2021 l’ex procuratrice della CPI Fatou Bensouda ha aperto ufficialmente un’indagine, attualmente incentrata su possibili crimini di guerra, in particolare legati all’aggressione militare del 2014 a Gaza, alla Grande Marcia del Ritorno e alle colonie israeliane illegali in Cisgiordania.

Tecnicamente, il passo successivo dovrebbe essere la richiesta di mandati di arresto o di comparizione, passando quindi da una fase procedurale” a una fase processuale”, sulla base dello Statuto di Roma [trattato internazionale istitutivo della Corte Penale Internazionale, ndtr.].

D. Tuttavia, finora non è successo nulla.

R. Tutto è iniziato molto prima del 2021. La situazione della Palestina è stata inizialmente portata all’attenzione della Corte nel 2009. Nel 2015, a seguito dell’aggressione israeliana alla Striscia di Gaza assediata, lo Stato di Palestina ha formalmente accettato l’autorità della Corte e ha ratificato lo Statuto di Roma. Ci sono voluti quasi sei anni (dicembre 2019) perché Bensouda dichiarasse che sussisteva “una base ragionevole per procedere ad un’indagine sulla situazione in Palestina”. La questione è stata deferita alla Camera preliminare, alla quale è stato chiesto di deliberare in merito alla giurisdizione sulla Palestina. La Camera ha emesso una decisione solo più di un anno dopo, nel febbraio 2021.

D. Come descriverebbe le differenze tra i due casi: Russia in Ucraina, Israele in Palestina? E perché nel caso russo il tribunale ha potuto agire immediatamente e senza indugi?

R. Ovviamente è difficile mettere a confronto le due situazioni.

L’Ucraina ha accettato l’autorità della CPI nel 2013 e l’ex procuratore capo della CPI Bensouda aveva già dichiarato che esisteva una base ragionevole per procedere.

Dopo l’inizio dell’operazione militare russa, l’attuale procuratore della CPI Khan ha annunciato l’apertura ufficiale delle indagini.

Avendo già ricevuto mandati da 39 Stati contraenti la CPI il suo ufficio non è tenuto a richiedere un’autorizzazione alla Camera preliminare competente. In realtà anche nella situazione della Palestina la Corte non necessitava di ulteriori autorizzazioni e la richiesta della Procura alla Camera era del tutto facoltativa.

In qualità di rappresentanti legali delle vittime, abbiamo espresso ai giudici della CPI le nostre preoccupazioni sul fatto che questa richiesta non necessaria della Procura avrebbe causato un ulteriore ritardo nell’apertura delle indagini.

Tra i 39 Stati ci sono tre paesi che si erano apertamente opposti alle indagini in ambito israelo-palestinese, ovvero Austria, Germania e Ungheria.

 Generalmente si dice che i procedimenti penali internazionali siano particolarmente lunghi. Se questo è vero nel caso della Palestina, per l’Ucraina la durata è ridotta al minimo. Lo stesso è accaduto per la situazione libica, dove la decisione di aprire un’indagine è stata presa con una rapidità senza precedenti, a soli sette giorni dal deferimento del Consiglio di Sicurezza [dell’ONU, ndtr.].

Tuttavia, nel caso della Palestina la quantità di prove è molto più significativa. Anche prima di avviare le indagini la Corte dispone di una quantità impressionante di prove, grazie al meticoloso lavoro della società civile palestinese, che non ha mai smesso di raccogliere prove, anche durante le guerre israeliane.

D. Lei fa parte di una squadra che difende le vittime di Gaza. Ritenete che da parte della CPI ci sia una politica di doppio standard?

R. Indagare su gravi violazioni dei diritti umani è sempre un’iniziativa lodevole. Ciò che è meno lodevole è la politica del doppio standard. La realtà dolorosa è che dopo 13 anni non abbiamo ancora un procedimento.

Per decenni i civili palestinesi hanno subito le più gravi violazioni dei loro diritti fondamentali, equivalenti a crimini di guerra e crimini contro l’umanità. L’interesse principale delle vittime di Gaza è che l’indagine tanto attesa e tanto necessaria passi immediatamente alla fase successiva: l’identificazione dei presunti colpevoli. Per loro è davvero difficile capire quali siano gli ostacoli che gli impediscono di presentarsi in tribunale per raccontare finalmente le loro vicende e ottenere giustizia.

L’assenza fino ad ora di misure efficaci adottate dalla Corte rafforza l’opinione delle vittime di aver subito per lungo tempo una negazione della giustizia. Inoltre l’impunità concessa da tanto tempo a Israele incoraggia i responsabili a commettere nuovi crimini.

Dall’inizio dell’operazione militare russa in Ucraina abbiamo assistito al ritorno del diritto internazionale nell’arena globale. Quello che sta accadendo ora mostra che il diritto internazionale può essere, nei fatti, uno strumento efficace, se attuato correttamente.

Le vittime palestinesi continuano a nutrire grandi speranze per le indagini della CPI, ma sono seriamente preoccupate che “la giustizia rimandata sia giustizia negata”.

D. Cosa può fare la società civile per accelerare le procedure relative alla Palestina?

È essenziale continuare a fare pressione sulla CPI anche presentando ulteriori prove che possano attestare gravi violazioni dei diritti umani in corso, equivalenti a crimini di guerra. Pensiamo, ad esempio, ai crimini di guerra commessi lo scorso maggio a Gaza, che dovrebbero essere immediatamente inseriti nell’indagine in corso.

Inoltre, la società civile dovrebbe invitare la CPI ad ampliare l’ambito delle indagini per includere altri crimini internazionali, in particolare crimini contro l’umanità, compreso il crimine di apartheid, anche alla luce dei recenti rapporti di Amnesty International e di altre organizzazioni per i diritti umani.

Il messaggio alla Corte e alla comunità internazionale deve essere chiarissimo: i palestinesi non sono vittime di serie B e continueranno a far sentire la loro voce.

Sebbene apprezziamo gli sforzi della CPI per fare luce sulla situazione ucraina, dobbiamo ribadire che altri casi non dovrebbero essere dimenticati o archiviati.

La CPI è stata creata per porre fine all’impunità di cui godono gli autori dei crimini più gravi. Dopo vent’anni, dovremmo pretendere che lo Statuto sia pienamente attuato, indipendentemente dall’origine geografica delle vittime.

Romana Rubeo è una scrittrice italiana e caporedattrice di The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi su molti giornali online e riviste accademiche. Ha conseguito un Master in Lingue e Letterature Straniere ed è specializzata in traduzione audiovisiva e giornalistica.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Alcune riflessioni sulla decisione della Corte Penale Internazionale riguardante la sua giurisdizione territoriale in Palestina

François Dubuisson

6 febbraio 2021 – Mondoweiss

La decisione della CPI di indagare sui crimini di guerra in Palestina ha un enorme significato simbolico e, date le recenti denunce, prenderà probabilmente in considerazione il crimine di apartheid.

È eufemistico affermare che la decisione della Camera di prima istanza della Corte penale internazionale sull’apertura di un’indagine riguardante la situazione della Palestina fosse attesa, dato che, da quando nel 2009 è stato fatto il primo tentativo, l’iter per portare davanti alla CPI l’indagine sui crimini internazionali commessi in territorio palestinese nel contesto dell’occupazione israeliana è stato lungo e tumultuoso. Nella sua decisione del 5 febbraio il giudice del dibattimento preliminare ha confermato la posizione dell’Ufficio del Procuratore, esposta nel documento a lui trasmesso nel dicembre 2019, secondo cui la Corte ha giurisdizione per indagare su tutti i crimini commessi in tutti i Territori Palestinesi Occupati, compresa Gerusalemme est.

Nella sua decisione la Camera ha adottato un approccio cauto per limitare la portata del suo ragionamento al quadro specifico dello Statuto di Roma e della competenza della Corte, senza influenzare l’esito più ampio della controversia tra Palestina e Israele. Tuttavia, il significato simbolico di questa decisione va al di là del quadro relativo esclusivamente alla Corte penale internazionale.

La Camera ha stabilito per la prima volta che la Palestina debba essere considerata uno “Stato contraente dello Statuto di Roma”, a seguito del riconoscimento, nel 2012, attraverso l’adozione della Risoluzione 67/19, di uno “status di Stato osservatore non membro presso le Nazioni Unite”. In quanto Stato membro la Palestina può quindi fare appello alla giurisdizione della CPI, in particolare alla sua giurisdizione territoriale, e può anche presentare un deferimento all’Ufficio del Procuratore, cosa che ha fatto nel 2018. Il secondo punto cruciale è stato determinare l’estensione precisa dei territori sui quali la Corte può esercitare la propria giurisdizione penale. Secondo lo Statuto di Roma, la Corte può esercitare la giurisdizione sui crimini commessi nel territorio di uno Stato contraente. Nel caso specifico la questione era determinare la precisa estensione del territorio della Palestina, tenendo conto dell’occupazione israeliana e dell’annessione di Gerusalemme est. Al riguardo sono state sollevate varie obiezioni dinanzi alla Camera, osservando che non dovesse spettare alla CPI determinare i confini dello Stato palestinese, che restano oggetto di contenzioso da parte di Israele, e che persistessero troppe incertezze al riguardo. Ancora una volta, la Camera è stata cauta nell’indicare che avrebbe dovuto solo determinare il quadro relativo alla giurisdizione penale territoriale nel contesto dello Statuto di Roma, e non indicare i confini tra Palestina e Israele. Al fine di stabilire che il territorio della Palestina su cui la Corte ha giurisdizione comprende tutti i territori palestinesi occupati, la Camera si è basata principalmente sul diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese, come stabilito in numerose risoluzioni dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. In particolare, la Camera ha fatto riferimento alla risoluzione 67/19 che concede alla Palestina lo status di Paese osservatore, il che “riafferma il diritto del popolo palestinese all’autodeterminazione e all’indipendenza del proprio Stato di Palestina nel territorio palestinese occupato dal 1967″. Infine, la Camera ha ritenuto che gli Accordi di Oslo, che escludono i cittadini israeliani dalla giurisdizione penale dell’Autorità Nazionale Palestinese, non avessero effetti sulla determinazione della giurisdizione territoriale della Corte.

La Camera ha quindi convalidato la giurisdizione della Corte nella massima misura possibile, senza restrizioni territoriali, il che consentirà all’Ufficio del Procuratore di condurre le proprie indagini su tutti i crimini commessi dal giugno 2014 sul territorio palestinese, compresa Gerusalemme Est. Quali saranno le esatte conseguenze della decisione della Camera riguardo il procedimento dinanzi alla CPI ma anche, più in generale, nel contesto del conflitto israelo-palestinese?

L’Ufficio del Procuratore (OTP) potrà ora aprire formalmente un’indagine per stabilire le responsabilità penali individuali per i crimini previsti dallo Statuto (in particolare crimini di guerra e crimini contro l’umanità). Finora l’OTP ha identificato quattro categorie principali di crimini di guerra che intende indagare: crimini commessi da Hamas e altre organizzazioni palestinesi nel contesto della guerra di Gaza del 2014 (Operazione “Margine Protettivo”), consistenti principalmente nel lancio di missili sulla popolazione civile israeliana; crimini commessi nello stesso contesto dall’esercito israeliano, consistenti principalmente nel prendere di mira e uccidere civili palestinesi e nella distruzione di edifici civili; crimini commessi dall’esercito israeliano nel contesto della “Grande Marcia del Ritorno” del 2018 a Gaza, durante la quale i soldati hanno aperto il fuoco e ucciso circa 200 civili palestinesi e ferito molti altri; crimini commessi nel contesto della politica di colonizzazione del territorio palestinese, in particolare l’insediamento della popolazione civile ebraica israeliana.

L’Ufficio del Procuratore ha rilevato che nel corso delle indagini questi diversi fatti potrebbero essere integrati da altri. In effetti, sono stati identificati solo i crimini di guerra, mentre molti rapporti internazionali si riferiscono a crimini contro l’umanità, specialmente se si considera la politica di occupazione israeliana nel suo insieme. A questo proposito, si dovrà probabilmente prendere in considerazione l’esame del crimine di apartheid, in particolare alla luce dei recenti rapporti delle associazioni israeliane Yesh Din e B’Tselem [ONG impegnate nella testimonianza delle violazioni dei diritti umani dei palestinesi nei territori occupati, ndtr.], che hanno stabilito l’esistenza di un crimine di apartheid imputabile all’autorità israeliana, tenendo conto di tutte le caratteristiche della politica di occupazione, che discrimina sistematicamente tra i coloni israeliani e la popolazione palestinese.

Il compito dell’Ufficio del Procuratore sarà ora quello di indagare in modo più accurato sui fatti più gravi e identificare le persone responsabili, nei cui confronti dovrebbe essere tenuto un processo. Da questo punto di vista la situazione sarà diversa per i sospetti palestinesi e israeliani. Per i primi, la Corte può fare affidamento sull’obbligo di cooperazione incombente sulla Palestina in quanto Stato contraente dello Statuto, che riguarderà sia l’indagine sui fatti che il possibile arresto delle persone nei cui confronti fossero mosse delle accuse. Per i crimini che coinvolgono funzionari israeliani, la situazione sarà più complicata, poiché Israele rifiuterà la cooperazione e ostacolerà l’accesso degli investigatori al territorio sia israeliano che palestinese. L’indagine dovrà quindi basarsi principalmente su informazioni fornite da altre fonti e da rapporti internazionali esistenti. Sarà anche estremamente difficile ottenere l’arresto di israeliani sospettati. Tuttavia, per gli aspetti più evidenti dei crimini commessi da governanti israeliani, come la politica di insediamento portata avanti in modo molto ufficiale, attraverso canali decisionali abbastanza facilmente identificabili, la determinazione della responsabilità penale individuale sarà normalmente più facile e potrà essere fatta risalire ai massimi livelli dello Stato. Anche se lo svolgimento di un processo all’Aia contro governanti israeliani potrebbe rivelarsi molto ipotetico, il semplice atto d’accusa o l’emissione di un mandato di arresto contro alti responsabili militari o politici israeliani avrebbe già una grande forza simbolica, probabilmente in grado di stabilire un certo grado di pressione sugli Stati occidentali, alleati dello Stato di Israele.

Sebbene la Camera sia stata attenta a limitare la portata della sua decisione al quadro rigoroso della Corte penale internazionale, è necessario notare che la posizione giuridica della Palestina sulla scena internazionale viene di conseguenza rafforzata. In primo luogo, la Palestina deve effettivamente essere considerata come uno Stato per tutti i procedimenti legali che è probabile che intraprenda davanti alla Corte Penale Internazionale o altrove (come i procedimenti pendenti dinanzi alla Corte internazionale di giustizia relativi al trasferimento dell’ambasciata americana a Gerusalemme). In secondo luogo, e ancora più fondamentale, si riconosce che il diritto del popolo palestinese a uno Stato si applica a tutti i territori occupati dal 1967, compresa Gerusalemme Est. Sebbene la Camera abbia formalmente sottolineato che si stesse pronunciando solo sulla giurisdizione penale della Corte, in realtà la sua decisione si riferisce alla sostanza del diritto all’autodeterminazione e al quadro territoriale entro il quale debba essere esercitato. Viene quindi riconosciuto che i palestinesi “hanno diritto” a tutti i territori occupati al di là della linea verde [confine dello Stato di Israele dal 1949, sulla base degli accordi dell’armistizio tra Israele e Stati arabi, fino alla Guerra dei Sei Giorni del 1967, ndtr.] e che le rivendicazioni territoriali di Israele a questo riguardo, che si sono recentemente manifestate attraverso i piani di annessione, sono infondate. Questo punto è cruciale nella prospettiva di qualsiasi soluzione, sia essa una soluzione a due Stati o a uno Stato.

La prosecuzione del processo di indagine dell’OTP richiederà probabilmente molti altri anni, quindi ci vorrà del tempo perché emergano risultati concreti. Ma il significato pratico e simbolico della decisione è già un dato di fatto.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Portare finalmente di fronte alla giustizia i criminali di guerra israeliani?

Dana Farraj, Asem Khalil

4 settembre 2020Chronique de Palestine

Le informazioni secondo cui Israele avrebbe stilato degli elenchi di responsabili che potrebbero essere arrestati se viaggiassero all’estero, nel caso in cui la Corte Penale Internazionale decidesse di indagare sui crimini di guerra in Palestina, mettono in evidenza il potere e le potenzialità della Corte. Gli analisti politici di Al-Shabaka Dana Farraj e Asem Khalil dissertano su tre indicatori chiave che confermano la seria possibilità di un intervento della CPI contro i presunti criminali di guerra.

In queste ultime settimane i media hanno parlato di elenchi segreti che Israele starebbe compilando, relativi a militari e agenti dei servizi di intelligence che potrebbero essere arrestati nel momento in cui si recassero all’estero, nel caso che la CPI [Corte Penale Internazionale, ndtr.] decidesse di indagare sui crimini di guerra nei territori palestinesi occupati (TPO) .

Infatti, nei cinque anni trascorsi da quando la procuratrice della CPI ha avviato l’esame preliminare sugli eventuali crimini di guerra nei TPO, l’esercito israeliano ha ucciso più di 700 palestinesi e ne ha feriti decine di migliaia.

Questi morti e questi feriti non sono incidenti isolati, ma fanno parte di una più ampia politica che mira a sopprimere la resistenza palestinese alla colonizzazione della terra. In conseguenza del furto delle terre da parte di Israele e delle sue colonie illegali e del trasferimento dei suoi cittadini nei TPO, le famiglie palestinesi sono state separate, sottoposte a detenzione arbitraria, poste in stato d’assedio e si sono viste negare, tra molti altri abusi, la libertà di movimento.

Si può quindi affermare che Israele è responsabile di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra, cosa che forse spiega perché essa [la CPI] non ha voluto indagare ulteriormente sulle denunce e le pratiche in suo possesso.

La CPI si fonda sul principio di complementarietà, il che significa che è autorizzata ad esercitare la propria competenza solo quando i sistemi giuridici nazionali non sono conformi alle norme internazionali. È tuttavia importante notare che ciò comprende le situazioni in cui questi sistemi asseriscono di agire, ma non vogliono e/o non possono attivare reali processi.

La persistente reticenza di Israele ad avviare procedimenti nazionali contro persone che si presume abbiano compiuto crimini di guerra e crimini contro l’umanità in Palestina apre quindi la seria possibilità di un intervento della CPI.

In questo articolo gli analisti politici di Al-Shabaka Dana Ferraj e Asem Khalil pongono in evidenza parecchi indicatori che dovrebbero portare l’Ufficio della Procuratrice (d’ora in poi citato come Ufficio o UdP) a questa conclusione. In particolare lo scritto si concentra su tre indicatori coerenti che fanno riferimento al quadro giuridico e politico approvato dall’Ufficio nel suo documento di politica generale del 2013 che riguarda gli esami preliminari.

Questi indicatori devono essere perciò presi in considerazione dall’Ufficio quando esamina la reticenza di Israele a indagare sui crimini e ad avviare azioni penali (1).

Il primo indicatore è il numero di denunce e di pratiche che sono state archiviate senza indagini degne di tal nome, indipendenti e imparziali. Il secondo riguarda le inchieste fittizie contro soldati di basso rango che proteggono in realtà i decisori politici contro le incriminazioni. Il terzo è il persistente rifiuto di Israele di rispettare il diritto internazionale umanitario e le leggi internazionali sui diritti umani.

Inoltre il dossier si occupa del ruolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite per quanto riguarda la CPI.

Mancanza di indipendenza, di imparzialità o di volontà

Durante l’offensiva militare contro Gaza del 2014, che Israele ha chiamato “Operazione Margine Protettivo”, molti osservatori indipendenti, tra cui una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ed organizzazioni locali e internazionali di difesa dei diritti umani, hanno documentato numerosi attacchi illegali, tra cui evidenti crimini di guerra.

Alcuni si sono spinti oltre ed hanno denunciato “l’incapacità e il rifiuto” di Israele di chiamarne a rispondere “coloro che sono sospettati di aver commesso crimini contro civili palestinesi”, indagando in modo imparziale sui presunti crimini di guerra. (2)

Durante l’offensiva israeliana sono stati uccisi oltre 1500 civili palestinesi, sono stati danneggiati ospedali e altre infrastrutture civili e sono state distrutte le case di più di 100.000 persone.

La vastità di queste distruzioni probabilmente non sarà mai conosciuta perché Israele ha impedito agli investigatori internazionali di entrare nella Striscia di Gaza (come anche in Cisgiordania e in Israele). Perciò dopo l’attacco del 2014 gli inquirenti militari israeliani hanno incriminato solo 3 soldati.

Ancor prima, nel 2011, un rapporto della Federazione internazionale dei diritti umani [che rappresenta 164 organizzazioni nazionali di difesa dei diritti umani in oltre 100 paesi, ndtr.] aveva denunciato il rifiuto di Israele di avviare indagini indipendenti, efficaci, rapide ed imparziali sui presunti crimini di guerra nei TPO e l’aveva descritto come una sistematica negazione di giustizia per le vittime. E qualche anno dopo Amnesty International ha constatato che, nei casi in cui dei palestinesi sarebbero stati uccisi illegalmente dalle forze di sicurezza israeliane (sia in Israele che nei TPO), Israele non aveva aperto inchieste o aveva archiviato quelle in corso.

Infatti indagini su moltissimi casi e violazioni che coprono un lungo periodo di tempo sono state archiviate. In un caso particolarmente importante, nell’agosto 2018 gli inquirenti militari hanno deciso di chiudere i fascicoli sulle morti del “venerdì nero”, durante il quale a Rafah, nei quattro giorni nel corso dell’attacco a Gaza del 2014, sono stati uccisi più di 200 civili palestinesi. Di fatto, tra il 2001 e il 2008 sono state trasmesse all’Ispettorato delle Denunce dell’Agenzia per la Sicurezza israeliana più di 600 denunce di comportamenti scorretti, ma nessuna di esse ha portato ad un’indagine penale. Inoltre, secondo le osservazioni conclusive della Commissione delle Nazioni Unite contro la tortura, “su 550 esami di denunce di tortura avviati dall’ispettore dei servizi di sicurezza generale tra il 2002 e il 2007, solo 4 hanno portato a misure disciplinari e nessuno ad azioni penali.”

Nel febbraio 2019 è stata creata una Commissione d’inchiesta dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite incaricata di indagare sulle circostanze relative alle manifestazioni del 2018 nella Striscia di Gaza di commemorazione della Nakba. (3) Dopo che la Commissione ha criticato la mancanza di volontà di Israele ad avviare dei processi, il governo israeliano ha denunciato l’esistenza stessa della Commissione ed ha affermato che ciò forniva una prova ulteriore del partito preso contro Israele da parte del Consiglio. Ha quindi vietato ai membri dell’equipe di tre persone di recarsi in Israele o nella Striscia di Gaza. Il documento di orientamento dell’Ufficio della Procuratrice del 2013 sulle indagini preliminari osserva che questo tipo di risposta è prevedibile, dal momento che gli stessi funzionari che hanno contribuito a redigere e firmare i regolamenti sono gli stessi che sono responsabili in ultima istanza di decidere se essi devono essere oggetto di un’indagine e di incriminazioni.

Le esperte di diritto internazionale Valentina Azarova e Sharon Weill parlano anche di “legami tra i presunti autori [dei crimini, ndtr.] e le autorità competenti incaricate dell’indagine, delle incriminazioni e/o di giudicare i crimini.” Sottolineano che in Israele l’avvocato generale dell’esercito “esercita i tre poteri – legislativo (definire le regole di condotta dell’esercito), esecutivo (fornire consulenze giuridiche “in tempo reale” durante le operazioni militari) e quasi giudiziario (decidere sulle indagini e le incriminazioni).” Ciò consente di evitare che i decisori debbano essere chiamati a risponderne e di evitare la minaccia di un’inchiesta o di incriminazioni da parte della CPI. I tribunali israeliani diventano di fatto “l’esempio per eccellenza di un sistema giuridico che ‘non vuole o non può’ indagare e perseguire i crimini di guerra commessi sotto la propria giurisdizione nazionale.”

Indagini fittizie e poco credibili e protezione dei responsabili

Quando si verificano violazioni di diritti nei TPO soltanto i soldati di basso livello sono tenuti a renderne conto, ricevendo solo una lieve reprimenda. Per esempio, il soldato israeliano il cui assassinio di un palestinese ferito a Hebron nel 2018 è stato ripreso da una videocamera è stato ritenuto colpevole di omicidio volontario e condannato ad una pena di 18 mesi di prigione. La condanna è stata confermata in appello, ma il capo di stato maggiore militare israeliano in seguito l’ha ridotta a 14 mesi. Senza tener conto della clemenza della pena, questa sentenza non riconosce il carattere strutturale o sistematico della violenza che Israele infligge ai palestinesi. Come fa notare Thomas Obei Hansen a proposito dell’approccio complessivo dell’Ufficio della Procuratrice:

In certe situazioni l’Ufficio della Procuratrice ha osservato che, quando le prove indicano crimini sistematici, non basta che un limitato numero di responsabili diretti siano perseguiti e, su questa premessa, ha chiesto alla Camera [per gli esami preliminari, ndtr.] di autorizzare un’inchiesta.”

Anche quando l’Avvocatura Generale dell’esercito ha condotto un’inchiesta sull’offensiva militare del 2014, si è concentrata in particolare su ciò che ha descritto in modo errato come “episodi fuori dalle regole” che avevano provocato un centinaio di denunce. (4) Benché in seguito siano state aperte 19 inchieste penali contro soldati sospettati di aver violato le leggi di guerra, la loro portata è stata limitata ed è parsa essere concentrata esclusivamente su responsabili di basso rango.

Nada Kiswanson, una rappresentante di Al-Haq [organizzazione palestinese per i diritti umani, ndtr.], ha sottolineato: “Nei rarissimi casi in cui un soldato israeliano di grado minore è stato oggetto di un’inchiesta e di incriminazioni, la pena infine comminata non è stata adeguata alla gravità del comportamento criminale.” Tuttavia il rapporto della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite è andato oltre, rilevando che la questione principale non sta nella portata limitata o nelle carenze di queste inchieste individuali: al contrario, “è la politica in sé che può violare le leggi di guerra”. (5)

L’accento posto sugli autori dei crimini ai livelli più bassi della gerarchia dimostra che Israele non è disposto a riconoscere, e ancor meno ad affrontare, questa impostazione. Al contrario, si intende implicitamente che queste prassi giudiziarie garantiscano che le persone che presumibilmente hanno commesso crimini di guerra e contro l’umanità non siano sottoposte a vere indagini interne e siano inoltre al riparo da ogni responsabilità. Questo aspetto è nuovamente chiarito dall’osservazione di Al-Haq secondo cui il fatto che le indagini si limitino agli “incidenti eccezionali” impedisce di indagare sulle decisioni prese a livello politico ed impedisce anche di intraprendere misure nei confronti degli alti comandi militari e civili le cui azioni ed omissioni provocano crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Per esempio, l’inchiesta politica condotta dalla Commissione Turkel [commissione israeliana incaricata di indagare sul massacro della nave turca Mavi Marmara nel 2010, ndtr.] nei suoi due rapporti del 2011 e 2013 ha constatato che i sistemi di indagine delle forze di sicurezza israeliane appaiono inadeguati, ma ciò non ha comportato cambiamenti significativi e nulla indica che le raccomandazioni dei rapporti verranno attuate. (6)

Rifiuto di rispettare le norme del diritto internazionale umanitario e delle leggi internazionali sui diritti umani

Israele ha costantemente negato l’applicabilità del diritto internazionale umanitario in Cisgiordania. Non definisce nemmeno la situazione come territorio occupato, perseguendo invece l’impresa di colonizzazione e le violazioni dei diritti umani dei palestinesi. Molti organismi delle Nazioni Unite e altre organizzazioni hanno pubblicato rapporti che dimostrano il mancato rispetto da parte di Israele del diritto umanitario internazionale e delle leggi internazionali sui diritti umani, che sono applicabili nella situazione di occupazione. Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia emesso nel 2004 [che ha condannato la costruzione del muro in Cisgiordania da parte di Israele, ndtr.] è particolarmente duro.

La Risoluzione 2334 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, adottata il 23 dicembre 2016, ha riaffermato lo status di occupazione della Cisgiordania e della Striscia di Gaza ed ha esplicitamente condannato “la costruzione e l’espansione delle colonie, il trasferimento di coloni israeliani, la confisca delle terre, la demolizione di case e l’espulsione di civili palestinesi.” Ha rimarcato che tali azioni “violano il diritto internazionale umanitario e le relative risoluzioni.” In risposta, il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha approvato la costruzione di nuove unità abitative in Cisgiordania e a Gerusalemme. La sua flagrante sfida al diritto internazionale ha portato alcuni analisti a suggerire che la Procuratrice potrebbe reagire trattando questa attività come crimine di guerra.

Israele nega che le sue attività di colonizzazione in Cisgiordania costituiscano un crimine di guerra, benché tali atti siano esplicitamente vietati dallo Statuto di Roma [costitutivo della CPI, ndtr.], in particolare il “trasferimento, diretto o indiretto, da parte della potenza occupante di una parte della propria popolazione civile nel territorio che occupa” (art. 8 (2)(b)(viii)), come anche, su larga scala, “la distruzione e l’appropriazione di beni, non giustificate da necessità militari ed eseguite in forma illecita ed arbitraria” (art.8 (2)(a)(iv)).

Netanyahu ha chiaramente fatto sapere che Israele continuerà ad agire come vuole, nonostante il fatto che i suoi atti violino la Quarta Convenzione di Ginevra del 1949 ( a cui Israele ha aderito), come anche lo Statuto di Roma, di cui Israele è firmatario. Quest’ultimo fatto impone un “obbligo minimo di non contrastare l’oggetto e il fine del trattato”.

Per fare qualche esempio recente del modo in cui Israele continua a violare il diritto umanitario internazionale e le leggi internazionali sui diritti umani, tra agosto 2016 e settembre 2017 le autorità israeliane hanno confiscato e/o demolito 734 strutture appartenenti a palestinesi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, trasferendo 1029 persone, ed hanno perseguito i loro progetti di ricollocamento delle comunità di beduini e di altri contadini. Come citato precedentemente, il trasferimento forzato, l’appropriazione illecita, la distruzione di proprietà private e le demolizioni di case costituiscono crimini di guerra e violazioni dei diritti umani. Questi crimini fanno parte di una politica di punizione collettiva sistematica contro i palestinesi.

Il ruolo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite

Le agenzie delle Nazioni Unite e le organizzazioni internazionali possono prendere delle posizioni o redigere dei rapporti che incoraggiano la CPI ad aprire un’inchiesta o almeno a non sospendere un’inchiesta già in corso. Tuttavia l’art.16 dello Statuto di Roma stabilisce che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite può, a condizione che venga adottata una risoluzione in base al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite con un voto favorevole di nove membri senza diritto di veto, rinviare un’inchiesta o delle incriminazioni per un periodo rinnovabile di 12 mesi. Questo fornisce al Consiglio di Sicurezza uno strumento per impedire le inchieste nei conflitti in cui sono coinvolti Stati potenti, tanto più che queste risoluzioni possono essere rinnovate ogni anno.

Anche se il Consiglio di Sicurezza non ha ancora utilizzato questo potere di rinvio, la sua sussistenza rappresenta una minaccia permanente all’obbligo di rendere conto, soprattutto alla luce della posizione degli Stati Uniti sulla questione palestinese. È tuttavia immaginabile che il Consiglio di Sicurezza possa giocare un ruolo positivo in altre circostanze, come ha fatto nei confronti dell’apartheid in Sudafrica: il 4 febbraio 1972 ha fatto ricorso al capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite in appoggio ad un embargo obbligatorio sulle armi destinate al regime sudafricano. Pur se molti esperti hanno sostenuto l’applicabilità del crimine di apartheid al contesto palestinese, in particolare un rapporto delle Nazioni Unite sull’apartheid israeliano contro il popolo palestinese, questo punto non compare all’ordine del giorno della CPI riguardante la Palestina.

Il potere di rinvio del Consiglio di Sicurezza deve essere considerato nel contesto della continua pressione degli Stati Uniti sulla CPI. Il Segretario di Stato americano Mike Pompeo, per esempio, ha dichiarato che qualunque membro della CPI coinvolto in un’inchiesta penale riguardante israeliani avrà il divieto di ingresso negli Stati Uniti e potrebbe subire sanzioni finanziarie. È esattamente ciò che è già accaduto l’anno scorso al personale ufficiale della CPI che si occupava dell’apertura di un’inchiesta sulla questione dell’Afghanistan. Inoltre John Bolton, che è stato consigliere per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti fino al settembre 2019, ha parimenti affermato che gli Stati Uniti avrebbero utilizzato il Consiglio di Sicurezza dell’ONU per imporsi sulla CPI, e che avrebbero negoziato accordi bilaterali con gli Stati per impedire che dei cittadini americani siano portati davanti alla CPI. Gli attuali sforzi degli Stati Uniti per far fallire e delegittimare la CPI si inscrivono infatti in un attacco diretto contro l’indipendenza della Procura e del potere giudiziario.

Le prossime tappe per la Palestina e la CPI

Come dimostra questo dossier, è molto improbabile che Israele apra delle inchieste penali a livello nazionale. Nonostante la sua prolungata occupazione e la continua annessione de jure di territori nei TPO e le annessioni de facto della sua impresa di colonizzazione, e malgrado le tre offensive militari contro Gaza e molti altri crimini e violazioni del diritto umanitario internazionale e delle leggi internazionali sui diritti umani, Israele resta poco disponibile ad avviare delle indagini. Tuttavia un’inchiesta della CPI può utilizzare questa reticenza, che finora ha fatto il gioco di Israele, come un’opportunità per proseguire il suo lavoro. L’assenza di anche un solo atto di accusa per crimini di guerra ed il numero di morti civili che non sono oggetto di inchiesta dovrebbero essere presi in considerazione dalla CPI nella valutazione della complementarietà.

Inoltre, come sottolineato da Hanson, “le attività di colonizzazione non sono oggetto di alcuna inchiesta penale” in Israele e la decisione di indagare su questa tipologia di reati, contrariamente ad altri crimini rilevati, presenterebbe assai minori difficoltà per la procuratrice della CPI. È un fatto che dovrebbe essere ampiamente evidenziato dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e dalla società civile palestinese, accompagnato da appelli all’azione.

Al momento attuale la CPI è l’unico organo giudiziario indipendente in grado di porre fine all’impunità dei crimini passati e di impedire che ne vengano commessi in futuro. Tenuto conto dell’impunità delle violazioni documentate e generalizzate del diritto umanitario internazionale da parte di Israele, oltre all’obbligo di informare la commissione su gravi crimini internazionali, la Procura della CPI deve proseguire la sua inchiesta mostrando le prove dei crimini e identificando le persone da perseguire, nel quadro di procedure credibili ed efficaci.

Inoltre l’OLP e l’Autorità Nazionale Palestinese, come anche la società civile palestinese, dovrebbero fare tutto il possibile per porre sul tavolo la responsabilità israeliana per il crimine di apartheid, in modo da poterlo inserire all’ordine del giorno della CPI.

Note :

1) Si noti che l’ufficio della procuratrice dispone di altri indicatori per definire la questione della complementarietà, ma questo dossier si concentra sugli aspetti rilevanti per le argomentazioni degli autori.

2) Nel dicembre 2017 sono stati presentati alla procura della CPI da parte di Al-Haq e della PHRC, oltre che da due altre organizzazioni palestinesi per la difesa dei diritti dell’uomo, dei documenti che sollecitano la sua attenzione su 369 denunce penali relative all’offensiva del 2014 che erano state depositate all’ufficio dell’avvocatura generale militare israeliana. Queste organizzazioni hanno notato che la stragrande maggioranza di queste denunce non erano state prese in considerazione e che non era stato emesso alcun atto di accusa.

3) La Nakba (Catastrofe) è il modo in cui i palestinesi si riferiscono alla guerra del 1947-48, quando le forze sioniste obbligarono più di 700.000 palestinesi a lasciare le loro case, creando in questo modo lo Stato d’Israele.

4) La definizione « fuori dalle norme » implica che per quanto riguarda tutti il resto la campagna militare era « regolare » (cioè conforme alle norme e obbligazioni stabilite). Ciò punta chiaramente ad evitare le inchieste internazionali indipendenti.

5) Si veda il « Rapporto delle conclusioni dettagliate della Commissione d’inchiesta indipendente creata in applicazione della risoluzione S-21/1 del Consiglio dei Diritti dell’Uomo », p. 640-41.

6) Israele ha creato la commissione nel 2010 per indagare sull’incursione contro la flottilla di Gaza.

* Dana Farraj è ricercatrice di diritto e avvocatessa iscritta dal 2019 all’Ordine degli avvocati palestinesi. Ha ottenuto il master in diritto internazionale presso l’universita di Aix-Marsiglia e la laurea in diritto all’università di Birzeit. Le sue ricerche riguardano il diritto dei rifugiati, la legislazione sui diritti umani e il diritto penale internazionale.

* Asem Khalil, membro della redazione politica di Al-Shabaka, è docente di diritto pubblico e titolare della cattedra di diritto costituzionale e internazionale S.A. Shaikh Hamad Bin Khalifa Al-Thani all’università di Birzeit. Khalil ha conseguito un dottorato in diritto pubblico all’università di Friburgo, in Svizzera, un master in amministrazione pubblica alla Scuola Nazionale di Amministrazione, in Francia, e un dottorato in Utriusque Juris [sia in diritto civile che ecclesiastico, ndtr.] presso la Pontificia Università Lateranense, in Italia. E’ stato ricercatore invitato alla Scuola di Diritto dell’università di New York (2009-2010 e 2015-2016) e all’Istituto Max Planck in Germania (estate 2015).

(Traduzione dal francese di Cristiana Cavagna




Vittoria in tribunale per i 3 di Humboldt e per la Palestina

Qassam Muaddi

24 agosto 2020  Quds News Network

Il movimento di solidarietà con la Palestina nel mondo sta crescendo. Così come la pressione esercitata contro di esso da gruppi di lobby ed organizzazioni pro-Israele; alcune sponsorizzate dallo stesso governo d’Israele.

In Europa, dove il movimento BDS ha affrontato gravi tentativi di delegittimazione, il movimento è stato al centro di un dibattito pubblico negli ultimi anni, soprattutto in Francia e in Germania, polarizzando le posizioni intorno alla questione palestinese.

La vittoria giudiziaria dei tre attivisti nei tribunali tedeschi, due settimane fa, ha segnato un precedente in questa storia. I tre di Humboldt – Ronnie Barkan, Stavit Sinai e Majed Abusalama – hanno affrontato un’accusa per aver protestato contro la visita dell’israeliana Aliza Lavie, membro della Knesset,  a Berlino nel 2017, e la Corte tedesca ha alla fine li ha assolti, condannando solo Sinai per accuse di lievissima entità.

Il caso è particolarmente importante in Germania, un paese che ha stretti legami con lo Stato di occupazione e il cui parlamento ha condannato il movimento BDS come forma di antisemitismo.

Il Network Quds News ha intervistato Majed Abusalama, che ha condiviso le sue opinioni sul caso Humboldt 3, così come alcuni dettagli del processo, che è diventato una storia a sé quando gli attivisti lo hanno usato per dar voce al loro messaggio.

Ha condiviso anche le sue opinioni e quelle dei suoi compagni sul rapporto tra la Germania e lo Stato di occupazione, la battaglia per la narrazione storica, e il ruolo del movimento di solidarietà con la Palestina in questo momento.

Qual è l’importanza della vostra vittoria per il movimento di solidarietà con la Palestina in Europa e nel mondo?

Dovremmo considerare che il nostro caso è avvenuto in un contesto molto complicato, in cui la lobby sionista cerca continuamente di far sembrare noi, il movimento di solidarietà con la Palestina, dei perdenti senza alcuna possibilità di vincere. Siamo stati in grado di dimostrare che non lo siamo. L’abbiamo fatto nell’ambiente più ostile, perché la Germania, come Stato, è smisuratamente complice dello Stato di apartheid di Israele.

I palestinesi in Germania costituiscono la più grande comunità palestinese in Europa, ma noi siamo soffocati. Il nostro diritto di protestare ed esprimerci ci è rubato, sempre intimiditi dalle accuse di antisemitismo, fatta sparire completamente ed esclusa la nostra narrativa palestinese.

Che cosa definisce esattamente come complicità tedesca con lo Stato di apartheid, e come lo spiega?

La Germania è in prima linea nel nascondere i crimini d’Israele contro l’umanità. Attraverso il suo ruolo guida nell’Unione Europea, lo Stato tedesco impone la soppressione del movimento di solidarietà con la Palestina e la sua condanna.

La Germania ha persino venduto sottomarini nucleari allo Stato dell’apartheid. In parte ciò deriva dal senso di colpa tedesco verso la Seconda Guerra Mondiale. Ma questo uso della colpevolezza, a mio parere, non si basa sui valori umani. Si tratta più che altro di un tentativo da parte dello Stato tedesco di costruire un atteggiamento di comodo nei confronti del passato della Germania, anche se è a scapito del discorso sui diritti umani del popolo palestinese.

Credo che questo atteggiamento, e ripulitura dell’apartheid israeliana e del crimine contro l’umanità che ne deriva, dicano molto di quanto questo Stato non abbia imparato la lezione della Seconda Guerra Mondiale. Questa lezione non riguarda la protezione di un gruppo specifico o di uno Stato, ma piuttosto la protezione dei diritti umani e dei valori umani. Questo è il motivo per cui diciamo che lo Stato tedesco ha fallito sul piano dell’umanità nella questione della Palestina.

Vede qualche evoluzione nella società tedesca rispetto alla posizione verso la causa palestinese?

Recenti sondaggi mostrano che un numero crescente di tedeschi è favorevole alla causa palestinese e direi piuttosto che la maggioranza sostiene la Palestina. Questo sostegno è aumentato dopo la seconda Intifada e l’assedio e l’aggressione continua a Gaza.

Inoltre, il pubblico tedesco non poteva restare cieco di fronte all’atteggiamento di Israele verso i diritti umani degli attivisti, come la deportazione del direttore locale in Palestina di Human Rights Watch, Omar Shakir, lo scorso novembre. Il flusso di informazioni libere grazie a Internet ha mostrato troppo perché i tedeschi rimanessero ciechi e indifferenti.

Come ha reagito il pubblico tedesco al vostro caso?

C’era una solidarietà schiacciante con noi, nel tribunale e fuori di esso. Abbiamo trasformato il nostro processo in un processo in cui eravamo gli accusatori, e siamo andati con un messaggio e il pubblico tedesco lo ha ricevuto. Poiché vogliamo che lo Stato dell’apartheid sia processato in un tribunale tedesco, abbiamo deciso di ricorrere al nostro stesso processo per farlo.

Ci siamo concentrati sul membro della knesset Aliza Lavie. Eravamo sotto processo per aver protestato contro la sua visita a Berlino nel 2017. Aliza Lavie è stata direttamente responsabile dell’attacco a Gaza nel 2014 perché ha partecipato nel prendere la decisione di quell’attacco, che ha ucciso oltre 2000 palestinesi, tra cui 500 bambini.

E’ anche la presidentessa della lobby anti-BDS, che promuove la repressione del BDS e di tutti gli attivisti palestinesi. La lobby sionista ha cercato di manipolare il caso, come al solito rigirando e fabbricando la verità sul fatto che saremmo violenti, ma questo non ha avuto successo. Era un tentativo di spostare l’attenzione nostra e del pubblico, ma ci siamo concentrati sul nostro messaggio politico e morale.

Ho detto al giudice che sono di Gaza e che Lavie aveva la responsabilità criminale dell’uccisione dei miei amici e della mia gente a casa, e che era a pochi metri da me. L’ho sfidato su come si sarebbe sentito al mio posto.

I miei compagni hanno anche sfidato Lavie direttamente e le hanno detto che è una criminale e che appartiene alla prigione della Corte Penale Internazionale. Quella era l’intera discussione durante il processo. Non abbiamo deviato da essa.

Com’è stato l’atteggiamento della corte nei confronti del vostro messaggio?

Non hanno trovato niente e siamo stati assolti. Ma hanno multato Sinai per la pena minima di 450 euro, perché ha bussato alla porta tre volte, chiedendo di chiedere i dettagli di qualcuno che l’aveva assalita quando eravamo stati tirati fuori. La decisione della corte è ridicola. Era solo un tentativo di salvare la faccia del tribunale difronte alla lobby sionista e a Israele, e dice quanto le istituzioni tedesche sono prigioniere della pressione di questa lobby, e persino complici dell’occupazione e dello Stato di apartheid.

Qualcuno potrebbe dire che è un’accusa dura per le istituzioni tedesche. Perché, secondo voi, sono complici?

Il parlamento tedesco dichiarò il movimento BDS antisemita contro il sistema giudiziario tedesco. In tutta la Germania, molti tribunali hanno dichiarato il movimento BDS una forma legittima di libertà di espressione e di protesta, ma il parlamento tedesco mantiene la sua accusa diffamatoria verso di noi, cosa che mostra che quella del BDS è solo una dichiarazione politica.

Ora c’è anche una decisione giuridica europea, dopo che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata a favore dei nostri compagni in Francia, anch’essi accusati di antisemitismo nei tribunali francesi. Questa complicità è politica ai massimi livelli.

Quali lezioni si possono trarre dal vostro caso?

Vogliamo chiarire che questa storia non riguarda noi personalmente. Questa è la storia della Palestina e della solidarietà globale con essa. La nostra vittoria è una vittoria per la lotta palestinese, che è lotta di tutti gli uomini e le donne di coscienza in tutto il mondo. In secondo luogo, vogliamo potenziare la nostra comunità, in Germania, in Europa, in tutto il mondo e in Palestina. Noi non siamo soli. Tutti quelli che si oppongono al colonialismo, alle violazioni dei diritti umani e all’apartheid nel mondo intero sono dalla parte della lotta palestinese.

Quale messaggio trasmette la vostra storia al popolo palestinese, nel momento in cui alcuni Stati arabi stanno normalizzando le loro relazioni con lo Stato di occupazione, specialmente dopo gli accordi di pace tra Israele e gli Emirati?

La narrazione di Israele è rimasta così a lungo perché molte persone non conoscevano la realtà della nostra causa, ma questa narrazione sionista sta cadendo a pezzi e Israele non può più nascondere il suo vero volto criminale e di apartheid. Questo è il momento giusto per il nostro popolo di diventare più autosufficiente e contare su se stesso nella lotta.

Sappiamo troppo bene che gli Stati cercheranno di normalizzare, ma noi possiamo contare sul movimento di base di persone coscienti nei paesi arabi e su tutte le persone di coscienza nel mondo per continuare a sfidare la normalizzazione, intensificando il BDS e tutte le forme di resistenza per ritenere Israele responsabile. La causa palestinese sarà sempre sul tavolo per esaminare la coscienza delle persone in tutto il mondo ed è un movimento di cittadinanza globale che la sostiene.

Ma siamo noi, palestinesi, a dover condurre questa lotta. Noi, il popolo palestinese, e la Palestina siamo al centro della nostra lotta.

Traduzione di Flavia Lepre

da Contropiano




L’inchiesta della CPI renderà giustizia alla Palestina?

Romana Rubeo, Ramzy Baroud

9 luglio 2020 – Chronicle de Palestine

In passato ci sono stati numerosi tentativi di obbligare i criminali di guerra israeliani a rispondere del proprio operato.

Il caso dell’ex primo ministro israeliano Ariel Sharon (noto, tra l’altro, con il soprannome di “macellaio di Sabra e Shatila”), è particolarmente significativo, in quanto nel 2002 le sue vittime tentarono di farlo comparire davanti a un tribunale belga.

Come ogni altra iniziativa, la possibilità di un processo in Belgio è stata abbandonata in seguito a pressioni americane. La storia sembra ripetersi.

Il 20 dicembre la procuratrice generale della Corte Penale Internazionale (CPI), Fatou Bensouda, ha deciso di aver raccolto elementi sufficientemente solidi per avviare un’inchiesta per presunti crimini di guerra commessi nella Cisgiordania occupata, a Gerusalemme est e nella Striscia di Gaza. La decisione senza precedenti della CPI concludeva che non c’era “nessuna ragione sostanziale per credere che un’inchiesta non fosse al servizio degli interessi della giustizia.”

Da quando Bensouda, benché con molto ritardo, ha preso la decisione, l’amministrazione americana ha rapidamente preso misure per bloccare il tentativo della Corte di far sì che i responsabili israeliani rispondano del proprio operato. L’11 giugno il presidente americano Donald Trump ha firmato un decreto che impone sanzioni contro i membri dell’organo giudiziario internazionale, in riferimento alle inchieste della CPI sui crimini di guerra americani in Afghanistan e quelli israeliani in Palestina.

Gli Stati Uniti riusciranno ancora una volta a bloccare un’indagine internazionale?

Il 19 giugno abbiamo parlato con il dottor Triestino Mariniello, membro del gruppo di giuristi che rappresenta le vittime di Gaza davanti alla CPI. Mariniello è anche docente all’università John Moore di Liverpool, nel Regno Unito.

Ci sono molti dubbi sulla serietà, la volontà o la capacità della CPI di arrivare a questo processo. A un certo punto sono state poste questioni tecniche per sapere se la giurisdizione della CPI si estendesse alla Palestina occupata. Questi dubbi sono stati superati?

Lo scorso dicembre la procuratrice ha deciso di porre la seguente domanda alla Camera preliminare: “La CPI è competente, cioè, in base allo Statuto di Roma, la Palestina è uno Stato, non in generale in base al diritto internazionale, ma almeno secondo lo Statuto istitutivo della CPI? E, in caso affermativo, qual è la competenza territoriale della Corte?”

La procuratrice ha sostenuto che la Corte è competente per i crimini commessi in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e a Gaza. Questa richiesta alla Camera preliminare non era necessaria per una ragione molto semplice: la domanda è stata presentata dallo Stato di Palestina. Così, quando uno Stato (che faccia parte della CPI) deferisce una situazione alla procura, questa non ha bisogno dell’autorizzazione della Camera preliminare. Ma analizziamo le cose in un contesto più ampio.

L’impegno ufficiale dello Stato di Palestina con la CPI è iniziato nel 2009, in seguito alla guerra di Gaza (l’operazione “Piombo fuso”). All’epoca la Palestina aveva già accettato la giurisdizione della CPI. Al precedente procuratore ci sono voluti più di due anni per decidere se la Palestina fosse o meno uno Stato. Dopo tre anni ha dichiarato: “Non sappiamo se la Palestina è uno Stato, quindi non sappiamo se possiamo riconoscere la giurisdizione della CPI.” In seguito questa questione è stata sollevata davanti all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite e all’assemblea degli Stati Membri. In altri termini, hanno delegato la risposta a degli organi politici e non alla Camera preliminare.

Questa indagine non c’è mai stata e non abbiamo mai ottenuto giustizia per le vittime di quella guerra.

Nel 2015 la Palestina ha accettato la giurisdizione della Corte ed è anche diventata uno Stato Membro. Tuttavia la Camera preliminare ha deciso di coinvolgere un certo numero di Stati, organizzazioni della società civile, Ong, accademici ed esperti per porre loro la domanda: in base allo Statuto di Roma la Palestina è uno Stato? La risposta è stata la seguente: la Camera preliminare si pronuncerà su questa questione dopo aver ricevuto le opinioni delle vittime, degli Stati, delle organizzazioni della società civile… e si pronuncerà nelle prossime settimane o nei prossimi mesi.

Oltre all’amministrazione Trump, altri Paesi occidentali, come la Germania e l’Australia, fanno pressione sulla CPI perché abbandoni l’inchiesta. Ci riusciranno?

Ci sono almeno otto Paesi che sono apertamente contrari a un’indagine sulla situazione palestinese. La Germania è una di essi. Certi altri Paesi, ad essere onesti, ci hanno sorpresi perché almeno quattro di essi, l’Uganda, il Brasile, la Repubblica Ceca e l’Ungheria, avevano esplicitamente riconosciuto che la Palestina è uno Stato di diritto internazionale, e tuttavia ora presentano dichiarazioni davanti alla Camera preliminare della CPI in cui sostengono che non lo è più.

Naturalmente la questione è un po’ più complessa, ma in fondo questi Paesi sollevano davanti alla CPI argomenti politici che non hanno alcuna base giuridica. È sorprendente che questi Stati da una parte sostengano di essere favorevoli a una Corte Penale Internazionale indipendente, ma da un’altra cerchino di esercitare una pressione politica (su questo stesso organo giudiziario).

L’11 giugno Trump ha firmato un decreto in cui impone sanzioni alle persone legate alla CPI. Gli Stati Uniti e i loro alleati possono bloccare l’inchiesta della CPI?

La risposta è no. L’amministrazione Trump fa pressione sulla CPI. Per “pressione” intendo principalmente riguardo alla situazione in Afghanistan, ma anche a quella israelo-palestinese. Così ogni volta che c’è una dichiarazione di Trump o del segretario di Stato Mike Pompeo riguardo alla CPI, non dimenticano mai di citare la questione dell’Afghanistan.

In effetti la procuratrice sta facendo un’indagine anche su presunti crimini di guerra commessi da membri della CIA e soldati americani. Finora questa pressione non è stata particolarmente efficace. Nel caso dell’Afghanistan la Corte d’appello ha direttamente autorizzato la procuratrice ad aprire un’inchiesta, modificando una decisione presa dalla Camera preliminare.

Le successive amministrazioni americane non sono mai state molto favorevoli alla CPI e il principale problema a Roma durante la redazione dello Statuto nel 1998 riguardava proprio il ruolo del Procuratore. Fin dall’inizio gli Stati Uniti si sono opposti a un ruolo indipendente del Procuratore, o che egli potesse aprire un’inchiesta senza l’autorizzazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. Questa opposizione risale alle amministrazioni Clinton, Bush, Obama e Trump.

Tuttavia oggi assistiamo a una situazione totalmente nuova, in quanto l’amministrazione americana è pronta ad imporre sanzioni economiche e restrizioni al rilascio di visti al personale legato alla CPI e forse anche ad altre organizzazioni.

L’articolo 5 dello Statuto di Roma – il documento che ha fondato la CPI – presenta una definizione allargata di ciò che costituisce “crimini gravi”, cioè crimini di genocidio, contro l’umanità, di guerra e di aggressione. Si potrebbe quindi sostenere che Israele dovrebbe essere considerato responsabile di tutti questi “crimini gravi”. Tuttavia la CPI ha scelto quello che si chiama il “campo di applicazione ristretto”, per cui l’indagine riguarderà solo la componente dei crimini di guerra. Perché?

Se esaminiamo la richiesta della procuratrice alla Camera preliminare, in particolare il paragrafo 94, è sorprendente constatare che la portata dell’inchiesta è piuttosto ridotta, e le vittime lo sanno. Non include (nel quadro della sua inchiesta sui crimini di guerra) che alcuni avvenimenti legati alla guerra di Gaza del 2014, crimini commessi nel contesto della “Grande Marcia del Ritorno” e le colonie ebraiche (illegali).

È sorprendente che non ci sia nessun riferimento alle presunte azioni di “crimini contro l’umanità” che, come dicono le vittime, sono ampiamente documentate. Non c’è alcun riferimento agli attacchi sistematici condotti dalle autorità israeliane contro la popolazione civile in Cisgiordania, a Gerusalemme est o a Gaza. L’ “ambito di applicazione ridotto”, che esclude i crimini contro l’umanità, è un elemento sul quale la procuratrice dovrebbe riflettere. La situazione generale a Gaza è ampiamente ignorata; non c’è alcun riferimento all’assedio che dura da 14 anni; non c’è alcun riferimento all’insieme delle vittime della guerra contro Gaza nel 2014.

Ciò detto, il campo d’indagine non è vincolante per il futuro. La procuratrice può decidere, in qualunque momento, di includere altri crimini. Speriamo che ciò avvenga, perché in caso contrario molte vittime non otterranno mai giustizia.

Ma perché la Striscia di Gaza viene esclusa? È a causa del modo in cui i palestinesi hanno presentato la loro causa o di come la CPI ha interpretato il caso palestinese?

Non penso che si debba dare la colpa ai palestinesi, perché le organizzazioni palestinesi hanno presentato (una grande quantità di) prove. Penso che si tratti di una strategia di perseguimento giudiziario a questo stadio e speriamo che ciò cambi in futuro, in particolare riguardo alla situazione a Gaza, dove è stato ignorato persino il numero totale di vittime. Più di 1.600 civili, tra cui donne e minori, sono stati uccisi.

A mio parere ci sono parecchi riferimenti al concetto stesso di conflitto. La parola “conflitto” si basa sul presupposto che ci siano due parti che si affrontano allo stesso livello e che l’occupazione israeliana in sé non sia oggetto di un’attenzione sufficiente.

Inoltre sono stati esclusi tutti i crimini commessi contro i prigionieri palestinesi, come la tortura e i trattamenti inumani e degradanti. Non è stato incluso neppure l’apartheid in quanto crimine contro l’umanità. Ancora una volta, ci sono prove schiaccianti che questi crimini vengono commessi contro i palestinesi. Speriamo che in futuro ci sarà un approccio diverso.

Quali sono secondo lei i diversi scenari e tempi che potrebbero risultare dall’inchiesta della CPI? Cosa dobbiamo aspettarci?

Penso che se esaminiamo i possibili scenari dal punto di vista dello Statuto di Roma, della legge vincolante, non credo che i giudici abbiano altra possibilità che confermare alla procura che in base allo Statuto di Roma la Palestina sia uno Stato e che la giurisdizione territoriale comprenda la Cisgiordania, Gerusalemme est e Gaza.

Mi sembrerebbe estremamente sorprendente se i giudici arrivassero ad una conclusione diversa. Lo Stato palestinese è stato ratificato nel 2015, e quindi non si può tornare dai palestinesi e dire loro: “No, voi non siete più membri.” Nel frattempo la Palestina ha partecipato all’assemblea degli Stati Membri, fa parte della commissione di sorveglianza della CPI ed ha preso parte a decisioni importanti.

È probabile che la procuratrice ottenga in via libera dalla Camera preliminare. Se ciò non avviene la procuratrice può (ancora) portare avanti l’inchiesta.

Gli altri possibili scenari non possono essere che negativi, perché impedirebbero alle vittime di ottenere giustizia. Se la questione viene portata davanti alla CPI è perché le vittime non hanno mai ottenuto giustizia davanti ai tribunali nazionali: lo Stato di Palestina non può giudicare i cittadini israeliani, mentre le autorità israeliane non vogliono giudicare le persone che hanno commesso dei crimini internazionali.

Se i giudici della CPI decidessero di non accettare la giurisdizione sui crimini di guerra commessi in Palestina, ciò priverebbe le vittime dell’unica possibilità di ottenere giustizia.

Uno scenario particolarmente pericoloso sarebbe la decisione dei giudici di confermare la competenza della CPI su certe parti del territorio palestinese escludendone altre, cosa che non ha alcun fondamento giuridico in base al diritto internazionale. Ciò sarebbe pericoloso, perché darebbe una legittimità internazionale a tutte le misure illegali che le autorità israeliane, ed ora anche l’amministrazione Trump, mettono in atto, compreso il piano di annessione, totalmente illegale (in base al diritto internazionale).

* Ramzy Baroud è giornalista, scrittore e direttore di Palestine Chronicle. Il suo prossimo libro è “The Last Earth: A Palestinian Story” [L’ultima terra: una storia palestinese] (Pluto Press). Baroud ha un dottorato di studi sulla Palestina dell’università di Exeter ed è ricercatore associato al Centro Orfalea di studi mondiali e internazionali, università della California.

* Romana Rubeo è traduttrice freelance e vive in Italia. È titolare di un master in lingua e letteratura straniera ed è specializzata in traduzione audiovisiva e giornalistica. Lettrice accanita, si interessa di musica, politica e geopolitica.

(traduzione dal francese di Amedeo Rossi)