Israele ammette di possedere munizioni al fosforo bianco

Redazione di MEMO

12 dicembre 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’esercito di occupazione israeliano ha ammesso di possedere munizioni contenenti fosforo bianco dopo che la Casa Bianca ha espresso preoccupazione sull’uso di tali materiali incendiari in attacchi contro il Libano del sud.

La radio ufficiale dell’esercito israeliano ha affermato: “Abbiamo proiettili fumogeni contenenti fosforo bianco destinati alla mimetizzazione e non con lo scopo di attaccare o provocare incendi.”

Come molti eserciti occidentali, l’esercito israeliano possiede anche ordigni fumogeni contenenti fosforo bianco.”

In precedenza ieri il portavoce del Consiglio Nazionale di Sicurezza statunitense alla Casa Bianca, John Kirby, ha affermato che gli Stati Uniti sono preoccupati per i resoconti secondo cui a ottobre Israele avrebbe usato munizioni al fosforo bianco fornite dagli Stati Uniti in un attacco contro il Libano del sud, aggiungendo: “Abbiamo visto le informazioni. Certamente siamo preoccupati di questo. Faremo domande per provare a capire un po’ di più.”

A fine ottobre, Amnesty International ha reso noto prove secondo cui l’esercito israeliano ha usato fosforo bianco nei suoi attacchi in Libano.

All’epoca l’organizzazione aveva affermato in una dichiarazione: “Un attacco alla città di Dhayra il 16 ottobre deve essere indagato come crimine di guerra, perché è stato un attacco indiscriminato che ha ferito almeno nove civili e danneggiato obiettivi civili ed è stato perciò illegittimo.”

Il Laboratorio delle Prove di Crisi di Amnesty International ha verificato video e foto che mostrano l’uso di granate fumogene al fosforo bianco a Dhayra il 16 ottobre.”

[L’organizzazione] ha spiegato che il fosforo bianco è un’arma incendiaria “’progettata principalmente’ per provocare incendi e bruciare le persone, escludendo l’uso delle armi incendiarie per altri scopi, come le cortine fumogene.”

Ha aggiunto che “il fosforo bianco può incendiarsi nuovamente quando esposto all’ossigeno anche settimane dopo che è stato impiegato.”

Le bombe al fosforo sono armi internazionalmente proibite secondo la convenzione di Ginevra del 1980, che stabilisce la proibizione dell’uso del fosforo bianco come arma incendiaria contro gli esseri umani e l’ambiente.

Si è scoperto che Israele ha usato il fosforo bianco anche contro la popolazione civile a Gaza assediata, dove l’occupazione ha ucciso oltre 18.200 palestinesi e ne ha feriti circa 50.000.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




“Allarmante”: i palestinesi accusano il procuratore generale della CPI di parzialità dopo la visita in Israele

Mat Nashed e Zena Al Tahhan

9 dicembre 2023 – Al Jazeera

Sebbene la CPI rappresenti un’alternativa ai tribunali israeliani, nessun mandato di arresto è stato emesso contro politici e comandanti militari israeliani

Cisgiordania occupata – Il 2 dicembre Eman Nafii è stata una delle decine di palestinesi invitati a un incontro con il procuratore generale della Corte Penale Internazionale nella Cisgiordania occupata Karim Khan. In quanto moglie del prigioniero palestinese detenuto da più anni in Israele, Nafii voleva parlare a Khan di suo marito e dell’occupazione israeliana.

Ma Khan ha passato la maggior parte dell’incontro a parlare prima che i suoi collaboratori dessero a Nafii e ad altre vittime palestinesi solo 10 minuti per condividere le loro storie.

Le persone erano arrabbiate. Gli hanno detto: ‘Sei venuto per ascoltarci 10 minuti? Come possiamo venire a parlarti delle nostre vicende in 10 minuti?” dice Nafii ad Al Jazeera.

Una delle donne (tra noi) era di Gaza. Ha perso 30 membri della sua famiglia nella (guerra in corso). Ha gridato: ‘Come possiamo spiegare questo in 10 minuti?’”

Benché alla fine Khan abbia ascoltato le vittime per circa un’ora, i palestinesi temono che egli applichi un doppio standard concentrando il suo impegno contro Hamas e ignorando i gravi crimini che Israele è accusato di aver perpetrato in oltre due mesi di una guerra letale.

Molti sono stati delusi del fatto che Khan abbia accettato un invito israeliano a visitare le comunità e le zone israeliane attaccate da Hamas il 7 ottobre rifiutando invece l’invito dei palestinesi a visitare centinaia di colonie illegali e posti di blocco israeliani e campi di rifugiati nella Cisgiordania occupata.

Durante la sua visita di 3 giorni Israele non ha consentito a Khan di entrare a Gaza, dove dal 7 ottobre Israele ha ucciso più di 17.000 persone ed espulso dalla propria casa la maggioranza dei 2.3 milioni di abitanti dell’enclave assediata.

La maggior parte delle persone uccise sono donne e minori, mentre migliaia di giovani ora sono stati rastrellati, molti denudati e portati in località sconosciute. Alcuni giuristi hanno segnalato che le atrocità di Israele a Gaza potrebbero presto configurare un genocidio.

Secondo politici, vittime e giuristi palestinesi, nonostante le crescenti prove e le continue atrocità, Khan ha evidenziato scarso interesse nel mettere seriamente sotto inchiesta Israele.

Khan si è dimostrato entusiasta di iniziare questa indagine (nei territori occupati) dopo il 7 ottobre. Ciò è allarmante,” afferma Omar Awadallah, che monitora le organizzazioni ONU per i diritti umani come membro dell’Autorità Palestinese, l’entità politica che governa la Cisgiordania.

(L’Autorità Palestinese) gli ha attribuito la competenza retroattivamente a partire dal 2014. (Khan) non può dire di non vedere i crimini commessi (nei territori occupati) dal 2014 fino al 7 ottobre,” ha detto Awadallah ad Al Jazeera.

Un’alternativa possibile?

Il 2 gennaio 2015 lo Stato di Palestina ha firmato lo Statuto di Roma, attribuendo alla CPI la competenza per indagare su atrocità come crimini di guerra, crimini contro l’umanità e genocidio nella Cisgiordania occupata e a Gaza.

L’iniziativa era stata accolta come una vittoria dalle associazioni per i diritti umani palestinesi e israeliane, che ne avevano abbastanza del sistema giudiziario israeliano perché non puniva politici, militari e coloni israeliani responsabili di crimini come il furto di terre e uccisioni extragiudiziarie nei territori occupati.

Secondo Yesh Din, un’organizzazione israeliana per i diritti umani che si oppone alla colonizzazione illegale in Cisgiordania, i palestinesi vittime di soldati israeliani hanno meno dell’1% di probabilità di ottenere giustizia se presentano una denuncia in Israele.

Secondo un esperto giuridico di Al Mezan, un’organizzazione per i diritti umani che chiede giustizia per Gaza, benché la CPI rappresenti un’alternativa ai tribunali israeliani, nessun mandato di arresto è stato emesso contro politici o militari israeliani per aver commesso crimini di guerra e contro l’umanità a Gaza e in Cisgiordania.

Abbiamo sottoposto parecchie analisi legali e prove all’ufficio del procuratore generale anche prima che Khan venisse eletto” dice ad Al Jazeera l’esperto, che chiede di rimanere anonimo per timore di rappresaglie da parte delle autorità israeliane. “Pensiamo che l’ufficio (di Khan) abbia già sufficienti prove per emettere mandati di arresto contro dirigenti politici e militari israeliani.”

Dopo essere tornato dalla sua visita di tre giorni in Israele e Cisgiordania, Khan ha rilasciato una dichiarazione in cui ha appena accennato alle crescenti prove che coinvolgono Israele nella commissione di crimini contro l’umanità, come quello di apartheid in Cisgiordania e crimini di guerra in Cisgiordania e Gaza.

Khan ha semplicemente affermato che la sua visita non era “di natura investigativa” e ha chiesto a Israele di rispettare i principi giuridici di “distinzione, precauzione e proporzionalità” nella sua campagna di bombardamenti e nell’offensiva di terra in corso a Gaza.

Khan ha utilizzato un tono diverso quando si è riferito agli attacchi di Hamas il 7 ottobre, definendoli “gravi crimini internazionali che sconvolgono le coscienze dell’umanità.”

Il comunicato di Khan ha indignato le vittime palestinesi che aveva incontrato brevemente a Ramallah.

Ciò che ci ha veramente contrariati è stato quello che ha scritto dopo la visita,” afferma Nafii. “Non avrebbe dovuto tracciare un’equivalenza tra la vittima e i suoi assassini. Volevamo che dicesse agli israeliani di smettere di fare quello che stanno facendo ai detenuti e di (fermare) quello che stanno facendo a Gaza.”

Al Jazeera ha inviato alcune domande scritte all’ufficio di Khan che accolgono le critiche palestinesi alla sua visita in Cisgiordania e al suo comunicato. L’ufficio ha risposto inviando ad Al Jazeera alcune precedenti dichiarazioni di Khan senza rispondere ad alcuna delle domande.

Politicamente compromesso?

Nel settembre 2021 Khan aveva affermato che avrebbe dato minore priorità ai crimini commessi dalle forze statunitensi in Afghanistan e concentrato la sua indagine sulle atrocità commesse dai talebani e dallo Stato Islamico ISKP (ISIS-K) nella provincia del Khorasan.

I critici pensano che Khan si sia inchinato alle pressioni politiche da parte degli Stati Uniti, uno Stato che non aderisce allo Statuto di Roma e che aveva sanzionato il predecessore di Khan per aver osato aprire un’indagine contro le truppe americane in Afghanistan.

Ma Khan ha giustificato la propria decisione sostenendo che la Corte ha risorse limitate e che i talebani e lo Stato Islamico hanno commesso crimini più gravi. Ora i palestinesi temono che Khan possa far ricorso a una giustificazione simile per indagare contro Hamas ma non contro Israele.

Non abbiamo ancora visto un procuratore generale che prenda seriamente in considerazione la questione della Palestina, il che dimostra che tutto il sistema delle leggi internazionali è stato fatto a pezzi,” afferma Diana Buttu, una giurista palestinese.

Butto aggiunge che la CPI è di fatto diventata un tribunale che agisce per gli interessi politici di potenti Stati occidentali invece che in base a principi strettamente giuridici.

Cita la decisione di Khan di incriminare il presidente russo Vladimir Putin per crimini di guerra commessi durante l’invasione russa dell’Ucraina.

La CPI è diventata un tribunale politico che è riuscito ad emettere un’incriminazione contro Putin. Ma, dopo otto settimane da quello che è presumibilmente il peggior disastro (a Gaza) per mano dell’uomo, il procuratore generale è rimasto in silenzio ed è venuto (in visita) su richiesta di Israele.”

Nafii è d’accordo e aggiunge che Khan non può sostenere di non sapere o di essere all’oscuro delle atrocità israeliane contro i palestinesi.

Quante persone vuole vedere morte prima di parlare?” dice ad Al Jazeera. “Vorrei che fosse abbastanza coraggioso da dire la verità e dirla pubblicamente.”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Nella guerra di Israele a Gaza le redazioni sono diventate campo di battaglia

Somdeep Sen


8 dicembre 2023, Al Jazeera

E nella battaglia su come viene raccontata la guerra da Gaza, i giornalisti sono le vittime principali.

Non molto tempo fa il mondo è stato testimone di immagini fortemente contrastanti.

Da un lato abbiamo visto sui nostri schermi il giornalista televisivo palestinese Salman al-Bashir visibilmente distrutto dal dolore alla notizia della morte del suo collega Mohammad Abu Hatab. Hatab era in onda 30 minuti prima. Tornato a casa Hatab e undici membri della sua famiglia sono stati uccisi in un attacco aereo israeliano.

Al-Bashir era in lacrime: “Non ne possiamo più. Siamo esausti, siamo qui vittime e martiri in attesa della morte, uno dopo l’altro, e nessuno si preoccupa di noi o della immane catastrofe e del crimine a Gaza”. Poi si è tolto l’equipaggiamento protettivo aggiungendo: “Nessuna protezione, nessuna protezione internazionale, nessuna immunità verso nulla, questo equipaggiamento protettivo non ci protegge e nemmeno i caschi”.

Abbiamo visto anche le immagini della CNN, attentamente preparate e selezionate, che seguono l’operazione di terra dell’esercito israeliano a Gaza. Ci è stato detto che la CNN era “integrata” all’esercito. Come condizione per entrare a Gaza con il supporto aereo israeliano, i media sono tenuti a “presentare all’esercito israeliano tutto il materiale e i filmati all’esercito israeliano per la revisione prima della pubblicazione”. La CNN aveva accettato.

Se non era già abbastanza evidente, i media e il giornalismo sono diventati un campo di battaglia fondamentale in questa guerra Israele-Gaza. E nella lotta su come viene raccontata la guerra i giornalisti sono stati le vittime principali.

Il 3 dicembre Shima El-Gazzar, giornalista palestinese della rete Almajedat, è stata uccisa insieme ai suoi familiari in un attacco aereo israeliano sulla città di Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Il 23 novembre un attacco aereo sulla sua casa nel campo profughi di Nuseirat, al centro di Gaza, è costato la vita al giornalista Muhammad Moin Ayyash e a circa 20 membri della sua famiglia.

Il 19 novembre Bilal Jadallah, direttore di Press House-Palestine, un’organizzazione non-profit che sostiene lo sviluppo dei media palestinesi indipendenti, è stato ucciso da un attacco aereo israeliano contro la sua auto.

Il 7 novembre è stato riferito che il giornalista palestinese Mohammad Abu Hasira è stato ucciso insieme a 42 membri della sua famiglia in un attacco aereo israeliano sulla sua casa vicino a Gaza City.

Solo due giorni prima i media avevano riportato che Mohamed al-Jaja, un altro operatore dei media per Press House-Palestine, era stato ucciso insieme a sua moglie e due figli in un attacco aereo nel nord di Gaza.

Il 30 ottobre anche Nazmi al-Nadim, vicedirettore delle finanze e dell’amministrazione della TV palestinese, è stato ucciso in un attacco aereo insieme ai suoi familiari.

Il 26 ottobre, il mondo ha visto il capo dell’ufficio arabo di Al Jazeera Wael Dahdouh seppellire “moglie, figlio, figlia e nipote” uccisi in un attacco aereo sul campo di Nuseirat. In una dichiarazione l’esercito israeliano ha affermato che stava prendendo di mira “infrastrutture terroristiche nell’area”.

Il 13 ottobre Issam Abdallah, eminente giornalista di Reuters– che indossava indumenti protettivi con sopra la dicitura “stampa” – è stato ucciso da un razzo israeliano lanciato attraverso il confine tra Israele e Libano.

In totale, secondo il Committee to Protect Journalists (CPJ) [organizzazione indipendente e senza scopo di lucro che promuove la libertà di stampa in tutto il mondo, ndt.] nel periodo dei due mesi tra il 7 ottobre e il 6 dicembre dentro e intorno alla Striscia di Gaza sono stati uccisi 63 giornalisti e operatori dei media, per lo più palestinesi. Jonathan Dagher, responsabile dell’ufficio Medio Oriente di Reporter Senza Frontiere, ha dichiarato: “Ciò che sta accadendo nella Striscia di Gaza è una tragedia per il giornalismo… La situazione è drammatica. Chiediamo la protezione dei giornalisti nella Striscia e che sia consentito l’ingresso nel territorio a giornalisti stranieri che possano lavorare liberamente”.

Tuttavia la battaglia non riguarda solo chi potrà riferire di questa guerra. È anche una battaglia su come viene raccontata la guerra. Sono importanti le parole, le frasi e le immagini utilizzate in onda per descrivere gli eventi sul campo.

Durante una conversazione John Collins, professore di studi globali alla St Lawrence University e direttore del quotidiano indipendente Weave News, mi diceva: “Le parole costruiscono per noi la realtà. In tempo di guerra le parole usate dai giornalisti dovrebbero aiutarci a chiarire cosa sta succedendo e perché. Ma troppo spesso quelle parole servono a distrarci, a fuorviarci o a proteggere i potenti dalle loro responsabilità”.

Questo giornalismo fuorviante avviene a un livello molto elementare nel modo in cui le morti palestinesi vengono descritte nelle notizie. Mentre si dice che i palestinesi sono “morti”, gli israeliani vengono “uccisi”. La seconda formulazione riconosce un’azione attiva di uccisione da parte di qualcuno, ma la prima è passiva. Come a dire che nessuno è responsabile delle morti palestinesi o suggerire – come ha fatto il portavoce militare israeliano tenente colonnello Richard Hecht in seguito all’attacco al campo profughi di Jabalia – che le morti palestinesi siano semplicemente un’inevitabile “tragedia di guerra”.

Certamente una minimizzazione del bilancio delle vittime palestinesi è stata fatta anche dal presidente Biden quando ha messo in dubbio l’accuratezza dei numeri, visto che il Ministero della Sanità a Gaza è gestito da Hamas. Ha detto: “Sono sicuro che degli innocenti siano stati uccisi, ed è il prezzo da pagare nell’intraprendere una guerra… Ma non credo al numero che i palestinesi stanno dando”. Tale accusa ha effettivamente piantato il seme del dubbio sull’effettiva gravità della sofferenza palestinese, con diversi organi di stampa che hanno valutato e riportato il modo in cui il Ministero della Salute ha calcolato le vittime – questo mentre le agenzie umanitarie internazionali insistono che i numeri del ministero sono effettivamente affidabili.

Anche il modo in cui i media inquadrano il “perché”, il “come”, e il “cosa accadrà dopo” di questa guerra in corso, influenza l’opinione pubblica. In qualità di studioso di disinformazione e propaganda Nicholas Rabb ha scoperto che “la retorica fuorviante e la copertura incessantemente unilaterale” da parte dei media statunitensi e israeliani ha consentito la “demonizzazione acritica dei palestinesi”.

Ciò include i media di destra negli Stati Uniti che seminano allarme su un’imminente “Giornata globale della Jihad” indetta da Hamas. Un funzionario della Sicurezza Nazionale ha affermato che non c’erano prove credibili di una minaccia imminente sul suolo americano. Tuttavia, dopo aver ascoltato un discorso conservatore alla radio ed essersi allarmato per un imminente “Giorno della Jihad”, un uomo di 71 anni ha aggredito la sua inquilina, una donna palestinese americana, prima di pugnalarne a morte il figlio di sei anni.

Il gruppo Honest Reporting, che monitora e denuncia i pregiudizi anti-israeliani nei media, ha anche sollevato questioni etiche sui fotoreporter residenti a Gaza che lavorano con aziende del calibro di Reuters, Associated Press, CNN e New York Times e su come siano riusciti a catturare immagini dalle aree di confine forzate il 7 ottobre. Si chiedeva: “Cosa stavano facendo lì così presto in quello che normalmente sarebbe stato un tranquillo sabato mattina? È stato coordinato con Hamas? Le rispettabili agenzie di stampa che hanno pubblicato le loro foto avevano approvato la loro presenza in territorio nemico, insieme agli infiltrati terroristi?”

Mentre tutte le agenzie accusate negavano con veemenza le accuse secondo cui fossero a conoscenza dell’attacco, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha cavalcato la cosa e ha detto: “Questi giornalisti sono complici di crimini contro l’umanità, le loro azioni sono contrarie all’etica professionale”.

Indignati per gli attacchi ai giornalisti, al giornalismo indipendente e alla rappresentazione della guerra da parte dei media, 750 giornalisti hanno firmato una lettera aperta chiedendo la protezione dei giornalisti. La lettera incoraggia inoltre i giornalisti a “dire tutta la verità senza timore o favoritismi” e a utilizzare “termini precisi e ben definiti dalle organizzazioni internazionali per i diritti umani” come “apartheid”, “pulizia etnica” e “genocidio” nei servizi giornalistici. La lettera si conclude dicendo: “Riconoscere che distorcere le nostre parole per nascondere prove di crimini di guerra o di oppressione dei palestinesi da parte di Israele è una negligenza giornalistica e un’abdicazione alla limpidezza morale. L’urgenza del momento non può essere sottovalutata. È necessario cambiare rotta”.

Considerando la crisi umanitaria a Gaza pochi possono negare l’urgenza di questo momento. Tuttavia, solo il tempo dirà se ciò si tradurrà nel riconoscimento dell’importanza di proteggere i giornalisti e il giornalismo in un momento di crisi estrema.

Somdeep Sen è professore associato di Studi sullo Sviluppo Internazionale presso l’Università di Roskilde in Danimarca. È autore di Decolonizing Palestine: Hamas between the Anticolonial and the Postcolonial (Decolonizzare la Palestina: Hamas tra anticoloniale e postcoloniale, Cornell University Press, 2020).

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




La Palestina è il genocidio che noi, popolo ebraico, possiamo fermare

Amanda Gelender

24 novemebre 2023 – Middle East Eye

Non possiamo consentire che l’anima morale dell’ebraismo muoia a causa del nostro silenzio collettivo sulla guerra genocida contro i palestinesi a Gaza

Mi siedo per scrivere questa lettera d’amore al mio amato popolo ebraico, mentre un genocidio si svolge sul mio schermo.

Questa lettera sgorga dal mio cuore verso i vostri. È un appello all’azione per risollevarci in solidarietà con la Palestina. Ho tanta profonda tenerezza per noi, la nostra storia e le orgogliose tradizioni che abbiamo mantenuto attraverso secoli di indicibili ingiustizie.

Sono cresciuta come alcuni di voi andando alla sinagoga in una comunità ebraica progressista americana. Celebrare e sostenere Israele era parte di quello che significava essere ebrea dal punto di vista culturale e religioso. Quando sono arrivata per la prima volta a comprendere quanto stava realmente succedendo nei territori palestinesi occupati avevo 18 anni ed ero iscritta al primo anno di college. Una coetanea ebrea mi parlò dei soprusi che Israele commette nel nostro nome.

Non sono orgogliosa di ammettere che il fatto che lei fosse ebrea fu probabilmente la sola ragione per cui le diedi ascolto: mi era stato insegnato dalla mia comunità che solo il popolo ebraico può realmente capire quanto Israele sia importante per la nostra sicurezza e il nostro benessere. Ripensandoci, vorrei aver creduto prima ai palestinesi.

I palestinesi hanno autorità sulla loro lotta per la libertà. Ma l’indottrinamento e il timore instillatimi in quanto bambina ebrea era troppo forte da superare finché la bolla del sionismo è scoppiata. Quando sono arrivata ad apprendere per la prima volta la dimensione della continua brutalità di Israele contro il popolo palestinese ho stentato a crederci. Gli adulti ebrei della mia famiglia mi parlavano di giustizia, diritti umani e dell’obbligo morale degli ebrei di coltivare il cambiamento sociale e di “migliorare il mondo” (tikkun olam). 

Com’è possibile che il mio popolo possa omettere la verità riguardo all’apartheid e all’occupazione israeliane? Mi è stato insegnato che Israele venne fondato su un pezzo di terra vuoto, non che le bande terroristiche sioniste fecero irruzione nei villaggi uccidendo 15.000 palestinesi e cacciandone altri 750.000 durante la Nakba [la pulizia etnica del 1947-49, ndt.]. Semplicemente non ne sapevano niente, come me?

L’inganno sionista

La posizione secondo cui “chiunque critichi Israele è antisemita” è diventata sempre più debole di fronte alla crescente lista di crimini di guerra commessi da Israele. Se tutto quello che mi era stato detto riguardo a Israele non era vero, cos’altro era falso?

E cosa significa continuare a far parte della comunità ebraica, dato che di fatto tutti i miei coetanei ebrei sono ancora tacitamente o attivamente coinvolti nella menzogna del nazionalismo sionista?

Una volta svanita la negazione, è arrivata la rabbia. Persone di cui ci fidavamo ci avevano mentito; siamo stati ingannati in modo che sostenessimo uno Stato di apartheid che maltratta minorenni e tortura senza pietà nel nostro nome. Giovani ebrei, compresa me, sono stati coinvolti in un continuo genocidio contro il popolo palestinese durato 75 anni.

Ci sono state terribili, inimmaginabili violazioni dei diritti umani commesse con la scusa di proteggere le vite degli ebrei, quando in realtà una tranquilla pace coloniale è possibile solo attraverso la continua repressione dei palestinesi. Non c’è nessuna sicurezza per chi è sotto occupazione.

Ci è stato insegnato che Israele rappresenta una speranza di rifugio ritagliato per gli ebrei dopo l’Olocausto, qualcosa di prezioso che dobbiamo proteggere a ogni costo. Era “l’unica Nazione per il popolo ebraico”, la nostra patria, il nostro retaggio: Israele.

Ci è stato insegnato [che abbiamo] un intrinseco diritto su un pezzo di terra dall’altra parte del mondo. Israele era una seconda, possibile patria per noi, ma la storia guarda caso ometteva il fatto che la Palestina è l’unica patria per i palestinesi, che hanno posseduto la terra per generazioni.

Israele continua a negare ai palestinesi il diritto di visitarla e il diritto inalienabile di tornare inpatria, ma in quanto ebrea nata in California posso visitarla quando voglio e Israele mi pagherà persino per andarci a vivere su terra rubata ai palestinesi.

Non ci è stato insegnato che Israele è totalmente finanziato dagli USA e funge da avamposto strategico dell’Occidente imperialista per l’estrazione di materie prime, la sperimentazione di armi, l’addestramento della polizia statunitense e altro. Nessuno mi ha detto che la nascita di Israele ha richiesto la morte di palestinesi, una pulizia etnica opportunamente nascosta sotto il tappeto in modo che il popolo ebraico possa avere qualcosa di scintillante e pulito; che è una Nazione militarizzata fondata su mucchi di corpi di palestinesi bruciati, una patria ebraica costruita su fosse comuni di nativi.

Lotta per la libertà contro la colonizzazione

La storia di Israele non è nuova. È ben nota ai popoli colonizzati in tutto il mondo. Perpetua lo stesso suprematismo bianco, la menzogna colonialista che i coloni arrivati all’isola della Tortuga (nel Nord America) dissero a se stessi per giustificare il genocidio dei popoli indigeni: in nome del progresso, della modernità e della democrazia il colonizzatore deve demolire, uccidere e distruggere.

In base a questa menzogna il colonizzatore deve saccheggiare la terra come destino manifesto, dall’Atlantico al Pacifico, e uccidendo violentemente quanti più “terroristi nativi selvaggi” possibile per espandere le conquiste territoriali e costruire case sicure per le famiglie di coloni.

La Palestina non è impegnata in una guerra santa, è una lotta per la libertà dal colonialismo. I palestinesi non hanno scelto il popolo ebraico perché colonizzasse la loro terra e hanno il diritto morale e giuridico di resistere all’occupazione indipendentemente da chi sia l’occupante. La sicurezza degli ebrei è destinata al fallimento finché continuerà la violenta occupazione della Palestina. La nostra liberazione è strettamente collegata a ciò.

Siamo in un momento senza precedenti nella storia. Si sta svolgendo un genocidio davanti ai nostri occhi, mentre corpi sono ammassati in fosse comuni fuori dagli ospedali bombardati e dai campi profughi. Un movimento di solidarietà globale con la Palestina ha penetrato il velo di benessere occidentale, un’evasione dalla prigione dell’assedio.

E mentre l’esercito israeliano appoggiato dagli USA continua a far piovere bombe sul popolo di Gaza assediato, molti del mio popolo ebraico stanno seduti a guardare, o lo stanno appoggiando attivamente.

Con il nostro silenzio noi popolo ebraico nel mondo siamo co-firmatari di questo genocidio. Molti hanno considerato che è “troppo complicato”, con la minaccia di essere allontanati da amici, famiglia e colleghi. Non vogliamo rischiare conseguenze concrete.

Deludente asimmetria

Ma famiglie palestinesi vengono uccise nel sonno, brutalizzate con il fosforo bianco incendiario, prese di mira da cecchini nei reparti di maternità degli ospedali, fatti morire di fame e disidratati, senza acqua potabile e obbligati a marce della morte. Stanno estraendo morti, bambini insanguinati dalle polverose rovine di macerie bombardate.

Eppure i miei coetanei ebrei in Occidente dicono che sono loro a temere un genocidio. Questa deludente asimmetria deve finire, in modo che possiamo concentrare risorse e attenzione verso quelli che affrontano una minaccia concreta di eliminazione in questo massacro della dignità umana assolutamente evitabile.

La richiesta dei palestinesi in questo momento è chiara: cessate il fuoco subito. Fine dell’assedio contro Gaza e dell’occupazione illegale. Rispetto del diritto al ritorno. I palestinesi ci stanno chiedendo di testimoniare il loro genocidio, fare pressione sui nostri rappresentanti per un immediato cessate il fuoco e boicottare quanti stanno traendo profitto dall’occupazione illegale. Ogni giorno senza cessate il fuoco il numero di morti aumenta e Israele cancella altre famiglie dall’anagrafe.

La Palestina è il genocidio che il popolo ebraico può fermare. Non abbiamo potuto intervenire per bloccare la morte dei nostri predecessori nei campi della morte, ma possiamo e dobbiamo fermare questo genocidio dal continuare un giorno in più. Non sprechiamo il nostro urgente e sacro dovere sfruttando la sofferenza degli ebrei come scudo e clava per la violenza contro i palestinesi.

Se vi considerate persone ebree con una coscienza comprenderete che questo massacro non ha una giustificazione morale o giuridica. Questo è il momento di parlare. I palestinesi non possono aspettare che la storia li risarcisca, perché, mentre scrivo questa lettera di amore e rabbia a voi, miei fratelli ebrei, i bombardamenti aerei continuano a colpirli.

Non possiamo consentire che l’anima morale dell’ebraismo perisca con il suono del nostro silenzio collettivo sul genocidio. La nostra voce sia una preghiera per i nostri antenati ebrei e una benedizione per i nostri discendenti dicendo una volta per tutte: mai più.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dell’autrice e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Amanda Gelender è una scrittrice ebrea americana antisionista che vive in Olanda. Fa parte del movimento di solidarietà con i palestinesi dal 2006.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘Israeliani Contro l’Apartheid’ chiede alla CPI di agire per proteggere i palestinesi dal genocidio

Israeliani Contro l’Apartheid

6 novembre 2023 – Mondoweiss

Noi, Israeliani Contro l’Apartheid, associazione di ebrei israeliani per la decolonizzazione, che rappresenta oltre 1.500 cittadini preoccupati, chiediamo alla CPI (Corte Penale Internazionale) di agire prontamente contro i crescenti crimini di guerra israeliani e il genocidio del popolo palestinese.

Nota dell’Editore: I membri dell’associazione Israeliani Contro l’Apartheid, che raggruppa 1500 persone, il 2 novembre 2023 hanno inviato la seguente lettera a Karim A.A. Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale, chiedendo un immediato intervento internazionale per fermare il massacro a Gaza.

2.11.2023

A Karim A.A. Khan, Procuratore della Corte Penale Internazionale,

Noi, ‘Israeliani Contro l’Apartheid’, associazione di ebrei israeliani per la decolonizzazione, che rappresenta oltre 1.500 cittadini preoccupati, chiediamo alla CPI (Corte Penale Internazionale) di agire prontamente contro i crescenti crimini di guerra israeliani e il genocidio del popolo palestinese. Per la sicurezza e il futuro della regione devono essere applicati tutti gli elementi del diritto internazionale e devono essere indagati i crimini di guerra. Apprezziamo la vostra profonda preoccupazione per le vite dei palestinesi, degli israeliani e di altri, e traiamo coraggio dalla vostra determinazione a svolgere un’indagine approfondita sulle perduranti violazioni del diritto internazionale.

Come attivisti israeliani anticolonialisti abbiamo unito le nostre voci a quelle dei palestinesi che da decenni mettono in guardia sulla pericolosa deriva perseguita dallo Stato israeliano e hanno ripetutamente chiesto l’intervento internazionale.

La persistente impunità ha creato le condizioni per il consolidamento del regime di apartheid israeliano, che intende perpetrare la pulizia etnica e il genocidio della popolazione indigena palestinese. Il grave deterioramento delle imprescindibili condizioni di vita a cui ora stiamo assistendo avrebbe potuto essere evitato se Israele non avesse costantemente goduto dell’impunità per i suoi continui crimini.

Siamo riconoscenti per le vostre dichiarazioni del 29 ottobre che hanno sottolineato che impedire gli aiuti umanitari a Gaza potrebbe costituire un crimine che ricade sotto la giurisdizione della CPI e che Israele deve fare “manifesti sforzi, senza ulteriore ritardo, per garantire che i civili ricevano essenziale cibo, acqua e farmaci”. La fornitura immediata di aiuti agli abitanti di Gaza è essenziale per impedire le atrocità della fame e della sete per cause umane tra la popolazione palestinese occupata.

Ad aprile 2018, in seguito alla sistematica uccisione di manifestanti disarmati durante la Grande Marcia del Ritorno, la sua predecessora, Fatou Bensouda, avvertì: “La violenza contro i civili in una situazione come quella di Gaza potrebbe configurare crimini ai sensi dello Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale.” Vi scongiuriamo di assumervi la vostra responsabilità di emettere mandati di arresto e di chiamare a rispondere coloro che commettono questi atti criminali.

L’attuale escalation, dopo l’attacco di Hamas a Israele e l’incursione di gruppi armati palestinesi il 7 ottobre 2023, in cui sono stati uccisi più di mille israeliani e presi in ostaggio più di 200, ha condotto ad un’ondata di violenza e a crimini di guerra compiuti dallo Stato di Israele. Riteniamo cruciale che i tempi dell’inchiesta siano pertanto accelerati. Apprezziamo la vostra dichiarazione che le istituzioni preposte a proteggere la popolazione civile debbano indagare questi possibili crimini e ci aspettiamo che voi agiate con la stessa rapidità messa in atto nel caso dell’Ucraina, per garantire che venga fatta giustizia e vengano salvate vite innocenti.

Siamo estremamente preoccupati dagli inviti istituzionali da parte di Israele al genocidio, che vengono espressi a gran voce in ebraico e crediamo che dovrebbero essere seriamente presi in considerazione in quanto sono in gioco migliaia, se non milioni, di vite umane. Il 29 ottobre 2023 Benjamin Netanyahu ha fatto una dichiarazione pubblica riferendosi al popolo palestinese come “Amalek” [nipote di Esaù, è stato secondo la Bibbia il primo nemico ad attaccare gli Israeliti, subito dopo che questi avevano attraversato il Mar Rosso. Ha finito per rappresentare il male assoluto, il Demonio, ndt.] e citando la Bibbia: “distruggere completamente tutto quanto Amalek possiede e non risparmiare nessuno; bensì uccidere sia uomini che donne e bambini…”

Il personale militare e i giornalisti israeliani ora si appellano apertamente alla pulizia etnica e al genocidio. E’ evidente che Israele disprezza le vite dei civili a Gaza, ordinando loro di evacuare vaste aree anche se a Gaza non esiste un luogo sicuro dove la gente possa fuggire. E non dovrebbero neanche essere costretti a lasciare le proprie case: al contrario, la Risoluzione 194 dell’ONU promette loro il diritto al ritorno alle originarie abitazioni in quello che ora è lo Stato di Israele.

Ci dispiace moltissimo che, nonostante l’avvio di un’inchiesta, seguita dalla decisione del 2021 della Prima Camera Preliminare, secondo cui la Corte può esercitare la sua giurisdizione penale sulla situazione in Palestina, voi finora non abbiate intrapreso azioni concrete per fermare la tragica parabola di eventi nella nostra regione, accertando rendendo Israele responsabile.

Organizzazioni palestinesi, internazionali ed israeliane hanno fatto più volte appello al vostro ufficio perché intraprendiate azioni contro le sistematiche violazioni del diritto internazionale, i continui crimini di guerra e l’immane disprezzo dei più basilari diritti umani del popolo palestinese.

I crimini di guerra israeliani sono sistematici e continui e stanno aumentando. Le chiare e ben documentate prove di essi sono state sottoposte al vostro ufficio per anni. Vi invitiamo pressantemente a intraprendere azioni concrete e immediate.

Considerando l’intensificarsi della violenza e con l’obiettivo di salvare quante più vite possibile, vi esortiamo di:

  1. Emettere immediati mandati di arresto contro i dirigenti israeliani politici e della sicurezza militare che stanno commettendo crimini di guerra e crimini contro l’umanità;

  2. Accelerare la vostra inchiesta sui continui crimini perpetrati in questo momento dallo Stato di Israele, dalle sue forze militari e da cittadini israeliani armati sotto protezione dell’esercito; e

  3. Essere una tribuna valida ed equilibrata per presunti crimini che derivano dall’attuale situazione, piuttosto che fare riferimento ad accuse non convalidate e non verificate.

Allegato: Inviti al genocidio / Giustificazione del genocidio

Alcuni esempi di prove di dirigenti israeliani che invitano al genocidio:

  • Venerdì 13 ottobre il Presidente israeliano Isaac Herzog ha detto che tutti i cittadini di Gaza sono responsabili per gli attacchi che Hamas ha compiuto in Israele e che non ci sono civili innocenti a Gaza. Un elenco di simili inviti da parte di personaggi pubblici israeliani si può trovare qui.

  • Mercoledì 25 ottobre il sindaco di Sderot, ex deputato (n.3 del partito di Naftali Bennet) Alon Davidi ha detto: “Ogni abitante di Gaza è ISIS. Devono essere colpiti tutti…Non ho pietà per loro. Coloro che vivono là, due milioni di persone, sono nazisti. E’ una zona di nazisti e di ISIS che fornisce totale appoggio a Hamas e alla Jihad e, per quanto mi riguarda, ogni abitante di Gaza è di Hamas e dell’ISIS e dobbiamo ritenerli responsabili.” Davidi sottolinea che questo è il sentimento condiviso da tutti gli abitanti del sud (di Israele) con cui lui parla: “La gente vuole dirlo chiaramente: o noi o loro.” 

  • L’ex deputato Moshe Feiglin ha esortato alla completa distruzione di Gaza, come Hiroshima (senza armi nucleari)  

  • L’ex ambasciatore israeliano all’ONU Dan Gillerman ha definito i palestinesi “orribili animali disumani”

  • Un gruppo di esperti del governo israeliano ha recentemente delineato un piano per la completa pulizia etnica di Gaza.

Personaggi o organizzazioni pubbliche:

  • Eyal Golan, un popolare cantante israeliano, ha ribadito alla televisione israeliana la connotazione della popolazione di Gaza come “animali umani”, aggiungendo: “Dobbiamo cancellare Gaza e non lasciarvi nessuno vivo.”

  • Una propaganda distribuita sui social media da un movimento di destra dal titolo “Questa volta vinceremo – Eliminare Gaza” esplicita i suoi obbiettivi per la Striscia di Gaza: “Radere al suolo, Occupare, Colonizzare.”

Un opuscolo con “Codice Etico” fatto circolare ampiamente tra civili e soldati dalla “organizzazione per i diritti umani” di destra israeliana “Btsalmo” auspica il genocidio:

Codice etico per l’esercito di Israele”:

. Desidero offrire la mia anima per salvare il popolo ebraico.

. Il nemico deve essere eliminato piuttosto che neutralizzato.

. Una popolazione che appoggia il terrore è il nemico

. Un ordine di mettere a rischio le vite di civili o soldati allo scopo di

proteggere il nemico è manifestamente illegale.

. Lo sradicamento del male è un precetto morale ed è per il bene

dell’Umanità. Perseguiterò i miei nemici, li raggiungerò e non tornerò

prima della loro morte.

Firmato: Israeliani Contro l’Apartheid.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Guerra Israele-Palestina: lo scopo di Israele è molto più sinistro del ripristino della ‘sicurezza’

Richard Falk

3 novembre 2023 – Middle East Eye

Israele ha colto questa opportunità per realizzare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’ provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi

Antonio Guterres, Segretario Generale dell’ONU è stato recentemente messo alla gogna da Israele per aver affermato un’ovvietà quando ha osservato che l’attacco di Hamas del 7 ottobre “non è avvenuto in un vuoto”.

Guterres ha richiamato l’attenzione di tutto il mondo sulla lunga storia di gravi provocazioni criminose israeliane nella Palestina occupata che avvengono sin da quando divenne la potenza occupante dopo la guerra del 1967. 

 All’occupante, ruolo che ci si aspetta essere temporaneo, è affidato in tali circostanze il mantenimento del diritto umanitario internazionale assicurando la sicurezza e l’incolumità della popolazione civile occupata, come esplicitato nella Quarta Convenzione di Ginevra.

Israele ha reagito con tale rabbia alle osservazioni di Guterres, assolutamente appropriate e accurate, che potevano essere interpretate solo implicando che Israele “se lo doveva aspettare” alla luce dei suoi gravi e vari abusi contro il popolo nei territori palestinesi occupati, i più plateali a Gaza, ma anche in Cisgiordania e Gerusalemme. 

Dopo tutto, se Israele potesse presentarsi al mondo come vittima innocente dell’attacco del 7 ottobre, un episodio in sé stesso ricolmo di crimini di guerra, potrebbe ragionevolmente sperare di ottenere carta bianca dai suoi sostenitori in Occidente per vendicarsi a piacimento, senza preoccuparsi di essere limitato dal diritto internazionale, dall’autorità dell’ONU o dalla morale comune. 

Invece Israele ha reagito all’attacco del 7 ottobre con la sua tipica abilità nel manipolare il dibattito globale che influenza l’opinione pubblica e guida la politica estera di molti e importanti Paesi. Qui tali tattiche sembrano quasi superflue, dato che gli Usa e l’UE hanno rapidamente concesso una totale approvazione in bianco a qualsiasi cosa faccia Israele in risposta, per quanto vendicativa, crudele o estranea a ripristinare la sicurezza del confine israeliano. 

Il discorso di Guterres all’ONU ha avuto un impatto così eclatante perché ha fatto scoppiare il palloncino israeliano dell’innocenza costruita ad arte secondo cui l’attacco del 7 ottobre è arrivato inaspettatamente. Escludere il contesto ha distolto l’attenzione dalla devastazione di Gaza e dall’assalto genocida contro la sua popolazione di 2.3 milioni di persone, prevalentemente innocenti e da lungo tempo perseguitate.

Incredibili falle

Ciò che trovo strano e inquietante è che da quel giorno questo fattore è stato raramente preso in considerazione, nonostante il consenso sul fatto che l’attacco di Hamas sia stato possibile solo per le incredibili falle nelle capacità israeliana di intelligence e di rigida sicurezza sui confini, che si supponevano seconde a nessuno.

Invece di un giorno dopo pieno di furia vendicativa, perché l’attenzione in Israele e altrove non si è concentrata nell’attuare interventi di emergenza per restaurare la sicurezza di Israele tappando queste costose falle, ciò che sembrerebbe il modo più efficace per garantire che nulla di simile al 7 ottobre possa ripetersi?

Io posso capire la riluttanza del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu a sottolineare questa spiegazione o a sostenere questa forma di risposta che equivarrebbe a una confessione della sua personale corresponsabilità per la tragedia traumaticamente subita da Israele quando i combattenti palestinesi si sono riversati oltre il confine. 

Ma quella d’altri in Israele e fra i governi suoi sostenitori?

 Indubbiamente Israele con tutta probabilità sta impiegando tutti i mezzi a sua disposizione, con un senso di urgenza, per tappare queste incredibili falle nel suo sistema di intelligence e per rimpolpare il suo potenziale militare sui relativamente brevi confini di Gaza. 

Non è necessario essere un genio della sicurezza per concludere che occuparsi in modo affidabile di questi problemi di sicurezza farebbe di più per prevenire e scoraggiare futuri attacchi di Hamas che questa continua saga che infligge punizioni devastanti contro la popolazione palestinese di Gaza, tra cui in pochissimi fanno parte dell’ala militare di Hamas. 

 Furia genocida

A settembre Netanyahu, in un discorso all’ONU durante il quale ha parlato di una nuova pace in Medio Oriente fra le prospettive di una normalizzazione Israele-Arabia Saudita, ha fornito ulteriore plausibilità a tali speculazioni presentando una mappa del Medio Oriente senza includere la Palestina, cancellando di fatto i palestinesi dalla propria patria. La sua presentazione rappresenta un diniego implicito del consenso dell’ONU sulla formula dei due Stati come una roadmap per la pace. 

Nel frattempo la furia genocida della risposta israeliana all’attacco di Hamas sta facendo infuriare il mondo arabo, anzi tutto il mondo, persino i Paesi occidentali. Ma dopo più di tre settimane di spietati bombardamenti, assedio totale e uno spostamento forzato di massa, la decisione di Israele di scatenare questo torrente di violenza contro Gaza deve essere ancora contrastata dai suoi sostenitori in Occidente. 

In particolare gli USA stanno sostenendo Israele presso l’ONU usando il loro veto quando necessario al Consiglio di Sicurezza e votando quasi senza nessuna condivisione da parte di Paesi importanti contro un cessate il fuoco all’Assemblea Generale. Persino la Francia ha votato la risoluzione dell’Assemblea Generale e il Regno Unito ha avuto un minimo di decenza e si è astenuto, entrambi probabilmente reagendo pragmaticamente alla pressione popolare che sale da grandi e infuriate dimostrazioni di piazza a casa. 

Nelle reazioni alle tattiche israeliane a Gaza si è anche dimenticato che, fin dall’inizio, questo governo estremista ha iniziato una serie scioccante di violente provocazioni nella Cisgiordania occupata. Molti hanno interpretato questo palese scatenarsi di violenza dei coloni come parte dell’obiettivo del progetto sionista mirante ad ottenere la vittoria su ciò che resta della resistenza palestinese. 

Ci sono poche ragioni per dubitare che Israele abbia deliberatamente reagito in modo sproporzionato al 7 ottobre nell’iniziare immediatamente una risposta genocida, soprattutto se il suo proposito era di distogliere l’attenzione dall’escalation della violenza dei coloni in Cisgiordania, esacerbata dalla distribuzione da parte del governo di armi “ai gruppi di sicurezza civile”. 

Il piano finale del governo israeliano sembra porre fine una volta per tutte a fantasie di partizione dell’ONU, al servizio dell’obiettivo massimalista sionista di un’annessione o di una totale sottomissione dei palestinesi cisgiordani.

In effetti, per quanto possa sembrare macabro, la leadership israeliana ha colto l’occasione del 7 ottobre “per finire il lavoro” commettendo un genocidio a Gaza, con la scusa che Hamas è un pericolo tale da giustificare non solo la sua distruzione, ma questo attacco indiscriminato contro l’intera popolazione. 

La mia analisi mi porta a concludere che la guerra in corso non sia principalmente per la sicurezza a Gaza o contro le minacce alla sicurezza poste da Hamas, ma piuttosto per qualcosa di molto più sinistro e incredibilmente cinico. 

Israele ha colto questa opportunità per soddisfare le ambizioni territoriali sioniste nel mezzo della ‘nebbia di guerra’, provocando un’ultima ondata di catastrofico spossessamento dei palestinesi. È di secondaria importanza se chiamarla “pulizia etnica” o “genocidio” anche se ci sono i requisiti per definirla la maggiore catastrofe umanitaria del XXI secolo. 

In effetti il popolo palestinese è perseguitato da due convergenti catastrofi: una politica e l’altra umanitaria.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Richard Falk, studioso di diritto internazionale e relazioni internazionali, ha insegnato presso la Princeton University per quarant’anni. Nel 2008 è stato nominato alle Nazioni Unite per sei anni come Relatore speciale per i diritti umani dei palestinesi.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La giustizia non è negoziabile: perché Israele non può distruggere la resistenza palestinese

Ramzy Baroud

1 novemebre 2023 Palestine Chronicle

È tempo di parlare di giustizia, vera giustizia, il cui risultato non è negoziabile: uguaglianza, pieni diritti politici, libertà e il diritto al ritorno.

Gaza ha modificato l’equazione politica in Palestina.

Anzi, è probabile che le ripercussioni di questa guerra devastante cambino l’equazione politica di tutto il Medioriente e rimettano al centro la Palestina come la crisi politica più urgente al mondo nei prossimi anni.

Dalla fondazione di Israele, agevolata dalla Gran Bretagna e protetta dagli Stati Uniti e da altri Paesi occidentali, le priorità sono state interamente quelle di Israele.

“Sicurezza” di Israele, “superiorità militare” di Israele, “il diritto a difendersi” di Israele, e molto altro hanno definito il discorso politico dell’Occidente sull’occupazione e l’apartheid di Israele in Palestina.

Questa bizzarra concezione del cosiddetto conflitto da parte di USA e Occidente, secondo cui un oppressore ha “diritti” sull’oppresso, ha consentito a Israele di mantenere un’occupazione militare sui territori palestinesi che è durata oltre 56 anni.

Ha anche permesso a Israele di ignorare le radici di questo “conflitto”, cioè la pulizia etnica della Palestina nel 1948 e il diritto al ritorno a lungo negato ai profughi palestinesi.

All’interno di questo contesto ogni disponibilità alla pace dei palestinesi e degli arabi è stata rifiutata, ogni presunto “processo di pace”, cioè gli accordi di Oslo, trasformato in un’opportunità per Tel Aviv di rafforzare la sua occupazione militare, espandere le colonie e rinchiudere i palestinesi in spazi simili a Bantustan [le aree riservate ai nativi africani nel Sudafrica dell’apartheid, ndt.], umiliati e segregati su base razziale.

Alcuni palestinesi, sedotti dall’elemosina americana o distrutti da una persistente sensazione di sconfitta, si sono messi in fila per ricevere i dividendi della pace statunitense-israeliana, misere briciole di falso prestigio, titoli vuoti e potere limitato, concessi e negati da Israele stesso.

Tuttavia la guerra israeliana contro Gaza sta già cambiando molto di questo penoso status quo.

La costante enfasi israeliana sul fatto che la sua guerra letale sia contro Hamas, contro il “terrorismo”, contro il fondamentalismo islamico e tutto il resto, potrebbe aver convinto quelli che sono già pronti ad accettare per oro colato la versione israeliana degli eventi.

Ma, mentre i corpi di migliaia di civili palestinesi, migliaia dei quali sono minori, iniziano a accumularsi nelle sale mortuarie degli ospedali e tragicamente nelle strade di Gaza, la narrazione inizia a cambiare.

I corpi fatti a pezzi di minori palestinesi, le cui famiglie sono morte insieme a loro, testimoniano della brutalità di Israele, dell’appoggio immorale dei suoi alleati, della disumanità di un ordine internazionale che premia l’assassino e reprime la vittima.

Di tutte le dichiarazioni di parte fatte dal presidente USA Joe Biden quella in cui ha suggerito che i palestinesi mentono riguardo al conto dei loro morti è stata forse la più inumana.

Washington potrebbe non averlo ancora capito, ma le ripercussioni dell’appoggio incondizionato a Israele in futuro si dimostreranno disastrose, soprattutto in una regione che ne ha abbastanza di guerre, egemonia, doppio standard, divisioni settarie e conflitto senza fine.

Ma il maggior impatto si farà sentire nello stesso Israele.

Quando il 26 ottobre l’ambasciatore palestinese all’ONU Riyad Mansour ha fatto un potente ed emotivo discorso, non ha potuto trattenere le lacrime. Delegazioni internazionali all’Assemblea Generale dell’ONU hanno continuato ad applaudire, riflettendo il crescente appoggio alla Palestina, non solo all’ONU ma in centinaia di città e cittadine e in innumerevoli angoli di strada in tutto il mondo.

Quando ha parlato l’ambasciatore israeliano all’ONU Gilad Erdan, che ha ispirato la maggior parte delle menzogne comunicate da Tel Aviv, soprattutto nei primi giorni di guerra, nessuno ha applaudito.

La narrazione israeliana si è chiaramente sbriciolata in mille pezzi. In effetti Israele non è mai stato così isolato. Questo non è affatto il “Nuovo Medio Oriente” che Netanyahu aveva profetizzato nel suo discorso all’Assemblea Generale dell’ONU il 22 settembre.

Incapace di capire come mai l’iniziale simpatia con Israele si sia rapidamente trasformata in vero e proprio sdegno, Israele ha fatto ricorso alle vecchie tattiche.

Il 25 ottobre Erdan ha chiesto le dimissioni del segretario generale dell’ONU António Guterres in quanto “inadeguato a guidare l’ONU”. Il presunto imperdonabile delitto di Guterres è il fatto di aver affermato che “gli attacchi di Hamas non sono avvenuti dal nulla.”

Per Israele e i suoi benefattori americani nessun contesto è permesso di macchiare l’immagine perfetta che Israele ha creato per il suo genocidio a Gaza. In questo mondo perfetto israeliano a nessuno è consentito parlare di occupazione militare, di assedio, di mancanza di prospettive politiche, dell’assenza di una pace giusta per i palestinesi.

Benché nella sua dichiarazione Amnesty International abbia detto che entrambe le parti hanno commesso “gravi violazioni delle leggi umanitarie internazionali, compresi crimini di guerra”, Israele lo attacca ancora, accusando l’organizzazione di essere “antisemita”.

Perché, secondo Israele, neppure alla principale associazione internazionale per i diritti umani al mondo è permesso contestualizzare le atrocità a Gaza o di avere il coraggio di suggerire che una delle “cause alla radice del conflitto” è “il sistema israeliano di apartheid imposto ai palestinesi”.

Israele non è più onnipotente, come vuole farci credere. Gli ultimi eventi hanno dimostrato che “l’invincibile esercito” israeliano, un’etichetta che ha consentito a Israele di diventare nel 2022 il decimo principale esportatore di armi al mondo, si è dimostrato una tigre di carta.

Questo è ciò che ha fatto infuriare di più Israele. “I musulmani non hanno più paura di noi,” ha detto l’ex- parlamentare della Knesset Moshe Feiglin in un’intervista ad Arutz Sheva-Israel National News [Canale 7-Notizie Nazionali Israeliane, rete israeliana di estrema destra, ndt.]. Per ripristinare questa paura il politico estremista israeliano ha chiesto di “ridurre immediatamente in cenere Gaza.”

Ma niente ridurrà in cenere Gaza, anche se, secondo l’ufficio umanitario dell’ONU, le oltre 12.000 tonnellate di esplosivo lanciate contro la Striscia nelle prime due settimane di guerra hanno già ridotto in cenere almeno il 45% delle abitazioni nella Striscia.

Gaza non morirà perché è un’idea potente profondamente radicata nei cuori e nelle menti di ogni arabo, di ogni musulmano e di milioni di persone in tutto il mondo.

Questa nuova idea sta sfidando la convinzione a lungo coltivata che il mondo debba provvedere alle priorità, alla sicurezza, alla definizione egocentrica di pace e ad altre illusioni di Israele.

Il dibattito dovrebbe ora tornare a quello che avrebbe sempre dovuto essere: le priorità dell’oppresso e non dell’oppressore.

È giunto il tempo in cui si parli dei diritti dei palestinesi, della sicurezza dei palestinesi e del diritto del popolo palestinese, di fatto un obbligo, di difendere se stesso.

È tempo per noi di parlare di giustizia, vera giustizia, il cui risultato non è negoziabile: uguaglianza, pieni diritti politici, libertà e diritto al ritorno.

Gaza ci ha detto tutto questo e molto altro. Ed è tempo che noi le diamo ascolto.

Ramzy Baroud è giornalista, autore ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. L’ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è Our Vision for Liberation: Engaged Palestines Leaders and Intellectuals Speak out [La nostra visione della liberazione: parlano i leader e gli intellettuali impegnati della Palestina]. Baroud è ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA).

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La raccomandazione di un ministero del governo israeliano: espellere tutti i palestinesi da Gaza

Yuval Abraham

30 ottobre 2023 – +972 Magazine

Un documento del ministero israeliano dell’Intelligence reso pubblico da Local Call e +972 mostra come l’idea di un trasferimento della popolazione nel Sinai stia raggiungendo il dibattito a livello ufficiale.

Secondo un documento ufficiale rivelato integralmente per la prima volta ieri da Local Call, sito partner di +972, il ministero israeliano dell’Intelligence propone il trasferimento forzato e permanente nella penisola del Sinai, Egitto, dei 2,2 milioni di palestinesi che abitano nella Striscia di Gaza

Il documento di 10 pagine datato 13 ottobre 2023 reca il logo del ministero dell’Intelligence, un piccolo organismo governativo che sforna ricerche politiche e condivide le sue proposte con agenzie di intelligence, esercito e altri ministeri. Esso valuta tre alternative riguardanti il futuro dei palestinesi della Striscia nel quadro della guerra in corso e raccomanda un trasferimento totale della popolazione quale linea d’azione da privilegiare. Sollecita anche Israele a coinvolgere a sostegno dell’impresa la comunità internazionale. Il documento, la cui autenticità è stata confermata dal ministero, è stato tradotto in inglese e si trova integralmente sul sito di +972.

L’esistenza del documento non indica necessariamente che le sue raccomandazioni verranno prese in considerazione dalle istituzioni militari di Israele. Nonostante il suo nome, il ministero dell’Intelligence non è direttamente responsabile di nessun ente di intelligence, ma piuttosto prepara in modo indipendente studi e documenti programmatici che sono sottoposti all’esame di organismi governativi e di sicurezza israeliani, senza essere vincolanti. Il suo budget annuale è di 25 milioni di shekel (circa 5 milioni di euro) e la sua influenza è considerata relativamente limitata. È attualmente guidato da Gila Gamliel del Likud, il partito del primo ministro Benjamin Netanyahu.

Comunque il fatto che un ministero del governo israeliano abbia preparato una proposta così dettagliata nel corso di un’offensiva militare su larga scala contro Gaza, in seguito all’assalto mortale di Hamas e ai massacri nelle comunità nel sud di Israele il 7 ottobre, riflette come l’idea di un trasferimento forzato di popolazione abbia raggiunto il livello del dibattito politico ufficiale. Timori di un piano simile, che costituirebbe un grave crimine di guerra ai sensi del diritto internazionale, sono cresciuti nelle ultime settimane, specialmente dopo che l’esercito israeliano ha ordinato a circa 1 milione di palestinesi di evacuare la parte settentrionale della Striscia in previsione dell’escalation di bombardamenti e crescenti incursioni di terra.

Il documento raccomanda ad Israele di agire per “evacuare la popolazione civile nel Sinai” durante la guerra, di erigere tendopoli temporanee e in seguito città più permanenti nel Sinai settentrionale che assorbiranno la popolazione espulsa e poi creare “una zona cuscinetto di parecchi chilometri… in Egitto e [di impedire] il ritorno della popolazione ad attività/residenza vicino al confine con Israele.” Allo stesso tempo i vari governi nel mondo, capeggiati dagli Stati Uniti, devono essere mobilitati per realizzare lo spostamento.

Una fonte del ministero dell’Intelligence ha confermato a Local Call/+972 che il documento è autentico, che era stato distribuito ai settori della difesa da parte della divisione per le politiche del ministero e che “non sarebbe dovuto arrivare ai media.”

Chiarite che non c’è speranza di ritornare’

Il documento raccomanda inequivocabilmente ed esplicitamente il trasferimento di civili palestinesi da Gaza come risultato auspicato della guerra. L’esistenza del piano è stata per la prima volta riportata la scorsa settimana dal quotidiano di affari israeliano Calcalist e il testo completo del documento vi è pubblicato e tradotto.

Il piano di trasferimento consta di parecchi stadi. Nel primo stadio l’azione deve essere condotta in modo tale che la popolazione di Gaza “evacui verso sud,” mentre gli attacchi aerei si concentrano nella parte settentrionale della Striscia. Il secondo comincerà un’incursione via terra che porterà all’occupazione di tutta la Striscia da nord a sud, e la “pulizia dei bunker sotterranei dei combattenti di Hamas.”

Contemporaneamente alla rioccupazione di Gaza i civili palestinesi saranno spostati in territorio egiziano senza possibilità di ritorno. “È importante lasciare aperte le strade per raggiungere il sud e permettere l’evacuazione della popolazione civile verso Rafah,” afferma il documento.

Secondo un funzionario del ministero dell’Intelligence, dietro a tali raccomandazioni ci sarebbe il personale del ministero. La fonte sottolinea che la ricerca del ministero “non si fonda sull’intelligence militare” e serve solo come base per discussioni all’interno del governo.

Il documento propone di promuovere una campagna rivolta ai civili palestinesi a Gaza che “li motiverà ad accettare questo piano” e li porterà a rinunciare alla propria terra. “I messaggi dovrebbero essere incentrati sulla perdita di terra, chiarendo che non ci sarà speranza di ritornare nei territori che Israele presto occuperà, che questo sia vero o meno. Il messaggio deve essere: ‘Allah ha voluto che perdeste questa terra a causa dei leader di Hamas, non c’è altra scelta che trasferirsi in un altro posto con l’aiuto dei vostri fratelli mussulmani,’” dice il documento.

Inoltre esso invita il governo a condurre una campagna pubblica nel mondo occidentale per promuovere il piano di trasferimento “in modo che non inciti a denigrare Israele.” Per ottenere il sostegno internazionale ciò verrà fatto presentando l’espulsione come una necessità umanitaria e sostenendo che il trasferimento darà come risultato “un numero di vittime civili minore rispetto a quelle che ci sarebbero se la popolazione rimanesse.”

Il documento dice anche che gli Stati Uniti dovrebbero essere coinvolti nel processo per imporre una pressione sull’Egitto affinché accolga gli abitanti palestinesi di Gaza e che altri Paesi europei — in particolare Grecia e Spagna— ma anche Canada, dovrebbero contribuire ad accogliere e insediare i rifugiati palestinesi. il ministero dell’Intelligence ha detto che il documento non era ancora stato ufficialmente distribuito a funzionari USA, ma solo al governo e enti di sicurezza israeliani.

Una discussione politica più ampia

La scorsa settimana l’Istituto Misgav, un think tank di destra guidata da Meir Ben-Shabbat, stretto collaboratore del primo ministro Netanyahu ed ex direttore del Consiglio per la Sicurezza Nazionale di Israele, ha pubblicato una memoria ufficiale che suggeriva un simile trasferimento forzato della popolazione di Gaza nel Sinai. L’istituto ha recentemente rimosso il post da Twitter e dal suo sito web in seguito a una forte condanna internazionale.

Lo studio rimosso è stato scritto da Amir Weitmann, un attivista del Likud e, secondo fonti a lui vicine, uno stretto collaboratore della ministra dell’intelligence Gila Gamliel. La scorsa settimana, su una pagina Facebook intitolata “Il piano per reinserire Gaza in Egitto,” Weitmann ha intervistato il parlamentare del Likud Ariel Kallner che gli ha detto che “la soluzione che proponi di spostare la popolazione in Egitto è logica e necessaria.”

Questo non è il solo legame fra Likud, il ministero dell’Intelligence e il think tank di destra. Circa un mese fa il ministero dell’Intelligence ha promesso un trasferimento di circa 1 milione di shekel dal suo bilancio all’Istituto Misgav per condurre ricerche nei Paesi arabi. Che l’Istituto Misgav sia stato in un modo o in un altro coinvolto nella bozza delle raccomandazioni del ministero per il trasferimento dei gazawi, il suo logo comunque non appare sul documento.

Fonti presso il ministero dell’Intelligence dicono che il rapporto su Gaza è uno studio indipendente condotto dalla divisione delle politiche ministeriali senza un contributo esterno, ma non hanno confermato che recentemente il ministero abbia iniziato a lavorare con l’Istituto Misgav, sottolineando che l’ente governativo collabora con vari gruppi di ricerca con programmi politici diversi. L’Istituto Misgav non ha ancora risposto alle nostre domande per questo articolo.

Inoltre il documento è prima stato fatto trapelare a un piccolo gruppo interno WhatsApp di attivisti di destra che, insieme al sostenitore del Likud Whiteman, promuove il reinsediamento delle colonie israeliane nella Striscia di Gaza e il trasferimento dei palestinesi che ci vivono.

Secondo uno di questi attivisti il documento del ministero dell’Intelligence è arrivato a loro tramite la mediazione di una “fonte del Likud,” e la sua distribuzione pubblica è legata al tentativo di scoprire se “l’opinione pubblica israeliana è pronta ad accettare l’idea del trasferimento da Gaza.”

L’opzione preferita

Le possibilità di implementare completamente tale piano, che costituirebbe una totale pulizia etnica della Striscia di Gaza, sono molto scarse sotto molti aspetti. Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi ha dichiarato di opporsi fermamente all’apertura del valico di Rafah per assorbire la popolazione palestinese di Gaza. Ha affermato che il trasferimento dei palestinesi nel Sinai minaccerebbe la pace fra Israele ed Egitto e ha ammonito che porterebbe i palestinesi a usare il territorio egiziano come base per continuare gli scontri armati contro Israele. Un piano simile era stato presentato in passato da funzionari israeliani e, fino ad ora, non si è mai sviluppato in una seria discussione politica.

Inoltre, dopo settimane di segnalazioni che gli Stati Uniti stavano cercando di sollevare l’idea di spostare i palestinesi in Egitto quale parte di un “corridoio umanitario,” ieri Joe Biden ha affermato che lui e Sisi erano impegnati a “garantire che i palestinesi di Gaza non fossero evacuati in Egitto o in nessuna altra Nazione.”

Il documento del ministero afferma che l’Egitto avrà l’“obbligo ai sensi del diritto internazionale di permettere il passaggio della popolazione,” e che gli Stati Uniti possono contribuire al processo “esercitando una pressione su Egitto, Turchia, Qatar, Arabia Saudita, e gli EAU perché contribuiscano all’iniziativa, o con risorse o assorbendo rifugiati.” Propone anche di condurre una campagna pubblica specifica mirata al mondo arabo “che si concentri sul messaggio di assistere i fratelli palestinesi e di reinserirli, anche al costo di usare un tono che incolpi o persino danneggi Israele.”

In conclusione il documento evidenzia che “la migrazione su larga scala” di non combattenti da zone di combattimento è un “esito naturale e ambito” che si è anche verificato in Siria, Afghanistan e Ucraina, per poi concludere che solo l’espulsione della popolazione palestinese costituirà “una risposta appropriata [che] permetterà la creazione di una deterrenza significativa nell’intera regione.”

Il documento offre altre due opzioni su cosa fare degli abitanti di Gaza alla fine della guerra. La prima permette all’Autorità Palestinese (AP), guidata dal partito Fatah della Cisgiordania occupata, di governare Gaza sotto l’egida di Israele. La seconda è di far nascere un’altra “autorità locale araba” come alternativa ad Hamas. Entrambe le alternative, afferma il documento, per Israele sono indesiderabili da una prospettiva strategica e di sicurezza e non costituiranno un sufficiente messaggio di deterrenza, specialmente per Hezbollah in Libano.

Gli autori dello studio precisano inoltre che delle tre alternative quella di portare a Gaza l’AP sarebbe la più pericolosa, perché potrebbe portare all’insediamento di uno Stato palestinese. “La divisione tra la popolazione palestinese in Giudea e Samaria [cioè la Cisgiordania, ndt.] e quella di Gaza è oggi uno degli ostacoli principali alla formazione di uno Stato palestinese. È inconcepibile che il risultato di questo attacco [i massacri di Hamas del 7ottobre] sia una vittoria senza precedenti del movimento nazionale palestinese e un percorso per la creazione di uno Stato palestinese,” precisa il documento.

Esso continua affermando che un modello di governo militare israeliano e uno civile dell’AP, come in Cisgiordania, probabilmente a Gaza fallirebbe. “Non si può mantenere un’efficace occupazione militare a Gaza solo sulla base di una presenza militare senza colonie [israeliane] ed entro un breve lasso di tempo nascerebbe una pressione interna israeliana e una internazionale per il ritiro.”

Gli autori aggiungono che in tale situazione lo Stato di Israele “sarebbe considerato una potenza coloniale con un esercito di occupazione—simile alla presente situazione in Giudea e Samaria, o anche peggio.” Essi osservano che l’AP ha una scarsa legittimità presso l’opinione pubblica palestinese e che, basandosi sulla precedente esperienza di Israele, nel passaggio del controllo di Gaza all’AP l’eventuale presa di potere di Hamas, Israele non dovrebbe “ripetere lo stesso errore che ha portato alla situazione attuale.”

L’altra alternativa, la formazione di una leadership araba locale per rimpiazzare Hamas, secondo il documento non è desiderabile, perché non c’è un movimento locale di opposizione ad Hamas ed è possibile che una nuova leadership sarebbe più radicale. “Lo scenario più plausibile non è … uno spostamento ideologico ma piuttosto l’emergere di movimenti islamisti nuovi e forse persino più estremisti,” si dice. Gli autori menzionano la necessità di “creare un cambiamento ideologico” nella popolazione palestinese tramite un processo che paragona alla “denazificazione,” che richiederebbe che Israele “scrivesse i programmi scolastici e ne imponesse l’uso a un’intera generazione.”

In conclusione il documento sostiene che se la popolazione di Gaza rimanesse nella Striscia ci sarebbero “molte vittime arabe” durante la prevista rioccupazione del territorio, cosa che danneggerebbe l’immagine internazionale di Israele persino più dell’espulsione della popolazione. Per tutte queste ragioni, la raccomandazione del ministero dell’Intelligence è di promuovere il trasferimento permanente di tutti i civili palestinesi da Gaza al Sinai.

Al momento della pubblicazione di questo articolo né il ministero della Difesa, né l’ufficio del portavoce dell’esercito e neppure l’Istituto Misgav avevano ancora risposto alle richieste da parte di +972 di un commento. Ogni risposta ricevuta verrà aggiunta qui.

Yuval Abraham è un giornalista e attivista residente a Gerusalemme.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Dirigo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi. La storia ci giudicherà tutti se non ci sarà un cessate il fuoco a Gaza

Philippe Lazzarini

26 ottobre 2023-The Guardian

Philippe Lazzarini è commissario generale dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine Refugees in the Near East)

Ormai da più di due settimane riceviamo da Gaza immagini insopportabili della tragedia dei suoi abitanti. Donne, bambini e anziani vengono uccisi, ospedali e scuole vengono bombardati, nessuno viene risparmiato. Mentre scrivo l’UNRWA, l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi, ha già tragicamente perso 35 membri del suo personale, molti dei quali uccisi mentre erano nelle loro case con le loro famiglie.

Interi quartieri vengono rasi al suolo sulle teste dei civili in uno dei luoghi più sovraffollati della Terra. Le IDF [Forze di Difesa Israeliane, ndt.] hanno avvertito i palestinesi di Gaza di spostarsi nella parte meridionale della Striscia mentre bombardano il nord; ma i bombardamenti continuano anche al sud. Non c’è nessun posto sicuro a Gaza.

Quasi 600.000 persone trovano rifugio in 150 scuole e altri edifici dell’UNRWA dove sopravvivono in pessime condizioni igieniche, con poca acqua pulita, poco cibo e medicine. Le madri non sanno come pulire i propri figli. Le donne incinte pregano per non dover affrontare complicazioni durante il parto perché gli ospedali non hanno la capacità di accoglierle. Intere famiglie ora vivono nei nostri edifici perché non hanno nessun altro posto dove andare. Ma le nostre strutture non sono sicure: 40 edifici dell’UNRWA, tra cui scuole e magazzini, sono stati danneggiati dai bombardamenti. Molti civili che si sono rifugiati al loro interno sono stati tragicamente uccisi.

Gaza è stata descritta negli ultimi 15 anni come una grande prigione a cielo aperto, con un blocco aereo, marittimo e terrestre che soffoca 2,2 milioni di persone in un raggio di 365 kmq. La maggior parte dei giovani non ha mai lasciato Gaza. Oggi questa prigione sta diventando il cimitero di una popolazione intrappolata da guerra, assedio e mancanza di tutto.

Negli ultimi giorni frenetici negoziati ai massimi livelli hanno finalmente consentito l’ingresso nella Striscia di forniture umanitarie molto limitate. Anche se la svolta è benvenuta, questi camion rappresentano un rivolo piuttosto che il flusso di aiuti che una situazione umanitaria di questa portata richiede. Venti camion carichi di cibo e medicinali sono una goccia nell’oceano per i bisogni di oltre 2 milioni di civili. Il carburante, però, è stato fermamente negato a Gaza. Senza di esso non ci sarà alcuna risposta umanitaria, nessun aiuto potrà raggiungere le persone bisognose, nessuna elettricità per gli ospedali, niente acqua, niente pane.

Prima del 7 ottobre Gaza riceveva ogni giorno circa 500 camion di cibo e altre forniture, inclusi 45 camion di carburante per alimentare le auto della Striscia, gli impianti di desalinizzazione dell’acqua e i panifici. Oggi Gaza viene strangolata e i pochi convogli che stanno entrando non placheranno la consapevolezza della popolazione civile di essere stata abbandonata e sacrificata dal resto del mondo.

Il 7 ottobre Hamas ha commesso massacri indicibili di civili israeliani che potrebbero costituire crimini di guerra. L’ONU ha condannato questo atto orribile con la massima fermezza. Ma non vi può essere ombra di dubbio: ciò non giustifica i crimini in corso contro la popolazione civile di Gaza, un milione di bambini compresi.

La Carta delle Nazioni Unite e i nostri impegni sono un vincolo per la nostra comune umanità. I civili – ovunque si trovino – devono essere protetti allo stesso modo. I civili di Gaza non hanno scelto questa guerra. Le atrocità non dovrebbero essere seguite da altre atrocità. La risposta ai crimini di guerra non è altri crimini di guerra. Il quadro del diritto internazionale su questo punto è molto chiaro e ben consolidato.

Saranno necessari sforzi autentici e coraggiosi per affrontare le radici di questa situazione di stallo mortale e offrire opzioni politiche che siano praticabili e possano creare un ambiente di pace, stabilità e sicurezza. Fino ad allora dobbiamo assicurarci che le norme del diritto umanitario internazionale siano rispettate e che i civili siano risparmiati e protetti. È necessario attuare un cessate il fuoco umanitario immediato per consentire un accesso sicuro, continuo e senza restrizioni a carburante, medicine, acqua e cibo nella Striscia di Gaza.

Dag Hammarskjöld, il secondo segretario generale dell’ONU, una volta disse: “L’ONU non è stata creata per portarci in paradiso, ma per salvarci dall’inferno”. La realtà oggi a Gaza è che non è rimasta molta umanità e l’inferno sta prendendo il sopravvento.

Le generazioni a venire sapranno che abbiamo visto questa tragedia umana svolgersi sui social media e sui canali di notizie. Non potremo dire che non lo sapevamo. La storia si chiederà perché il mondo non ha avuto il coraggio di agire con decisione e fermare questo inferno sulla Terra.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra Israele-Palestina: funzionari del Dipartimento di Stato preparano dispacci di dissenso contro l’assalto a Gaza

Azad Essa, New York e Umar A Farooq, Washington

25 ottobre 2023 – Middle East Eye

Il presidente degli Stati Uniti Joe Biden ha insediato l’Amministrazione più diversificata della storia, ma diversi funzionari ritengono di aver avuto solo incarichi simbolici.

Middle East Eye è a conoscenza del fatto che lo staff del Dipartimento di Stato americano sta preparando urgenti messaggi di dissenso sul sostegno di Washington all’incessante campagna di bombardamenti israeliani su Gaza.

Diverse fonti hanno riferito a MEE che allinterno del dipartimento le tensioni sono al culmine poiché i funzionari sono sempre più frustrati dallaperto sostegno dellamministrazione Biden a ciò che gli attivisti per i diritti umani chiamano crimini di guerra contro i palestinesi all’interno della Striscia di Gaza assediata.

MEE è venuta a conoscenza che diversi diplomatici sono combattuti tra restare al lavoro per cercare di influenzare la politica o andarsene per protestare contro il sostegno incondizionato di Biden ai bombardamenti israeliani e allimminente invasione di terra.

Da quando Israele ha iniziato il bombardamento aereo di Gaza in seguito allattacco del 7 ottobre da parte dei combattenti palestinesi provenienti da Gaza sono stati uccisi più di 6.000 palestinesi tra cui 2.000 minorenni.

Da quando i combattenti guidati da Hamas hanno sfondato la barriera che separa la Striscia di Gaza assediata da Israele sono stati uccisi circa 1.400 israeliani.

IIn una bozza di dissenso visionata da MEE i diplomatici scrivono che l’attacco di Hamas contro Israele non può essere usato come giustificazione per portare Israele a compiere l’uccisione indiscriminata di persone innocenti a Gaza.

La bozza chiede la cessazione immediata delle ostilità in Israele, a Gaza e nella Cisgiordania occupata e supplica Washington di promuovere messaggi pubblici veritieri ed equilibrati verso la risoluzione della crisi che sta lentamente andando fuori controllo.

“Fino a quando i funzionari israeliani non faranno distinzione tra Hamas e i civili di Gaza e gli attacchi prenderanno di mira o minacceranno istituzioni civili come luoghi di culto, scuole o strutture mediche – Israele dovrà lavorare il doppio per rientrare nella adesione alle norme internazionali che tanto orgogliosamente, e giustamente, predichiamo ad altre nazioni”, dice il messaggio.

Il messaggio di dissenso è un documento presentato attraverso un canale interno che consente ai diplomatici di sollevare preoccupazioni o questioni contro le dannose decisioni di politica estera degli Stati Uniti e fa seguito alle voci secondo cui all’interno del Dipartimento di Stato si sta preparando “un ammutinamento” a causa del fermo sostegno pubblico di Biden alle azioni di Israele a Gaza.

Contattato per un commento un portavoce del Dipartimento di Stato ha detto a MEE: “Come pratica generale, non commentiamo i resoconti delle comunicazioni interne del Dipartimento”.

“In linea generale il canale del dissenso è stato a disposizione dei dipendenti fin dalla guerra del Vietnam e siamo orgogliosi che il Dipartimento abbia una procedura consolidata che consente ai dipendenti di articolare i disaccordi politici direttamente all’attenzione dei principali dirigenti del Dipartimento senza timore di ritorsioni.”

“L’ultima chance prima delle dimissioni”

Un diplomatico del Dipartimento di Stato ha detto a MEE che c’è la sensazione che i normali metodi di elaborazione delle politiche nel dipartimento abbiano fallito.

Nonostante le proteste dei nostri stessi funzionari, le denunce provenienti dal territorio, dalle organizzazioni internazionali e dall’opinione pubblica americana, non c’è stato alcun cambiamento nella politica estera degli Stati Uniti con Israele se non quello di aumentare il sostegno e i finanziamenti per continuare a uccidere civili palestinesi innocenti,” riferisce la fonte chiedendo di parlare sotto anonimato.

“Un messaggio di dissenso è una delle nostre ultime chance, a parte le dimissioni, per informare il Segretario della gravità di questa situazione e far sapere al Dipartimento di Stato e alla leadership della Casa Bianca che chiediamo con decisione un cessate il fuoco immediato.

“Per lo meno verrà ufficialmente registrato che ci sono e ci sono stati tentativi da parte di funzionari del Dipartimento di Stato di fermare il genocidio in modo che le generazioni future possano assicurarsi che ciò non si ripeta mai più”, aggiunge la fonte.

La settimana scorsa diversi funzionari hanno riferito all’HuffPost che c’era una frustrazione diffusa per il rifiuto del segretario di Stato americano Antony Blinken di prestare ascolto a critiche e preoccupazioni.

Un altro funzionario dellamministrazione Biden, che ha parlato anche lui a condizione di anonimato, ha affermato che i vari messaggi sono stati presi in considerazione separatamente piuttosto che come un grande messaggio unitario di dissenso.

“Sembra davvero che ci siano molteplici iniziative diffuse e ciò è piuttosto raro. Per quello che posso dire non circola un’istanza organizzativa unitaria”, afferma il funzionario.

“Ci sono molte persone che non sono d’accordo con l’attuale politica stabilita dai vertici.”

Solo voci simboliche

Alcuni giorni dopo l’attacco a Israele, Blinken è volato per offrire le sue condoglianze al popolo israeliano. Durante la sua visita, ha equiparato Hamas all’organizzazione dello Stato Islamico (ISIS), una mossa che secondo gli osservatori è stato interpretata come un via libera a Israele per ritorsioni con ogni mezzo necessario.

Lunedì Blinken ha tenuto un’audizione con rappresentanti di organizzazioni palestinesi e arabo-americane durante la quale si è discusso della loro crescente rabbia nei confronti di Biden per la sua gestione della guerra Israele-Gaza, ha riferito una fonte a The National.

Un articolo di Politico pubblicato martedì afferma che lamministrazione ha anche tenuto un’audizione con dipendenti musulmani, arabi e palestinesi.

Un funzionario ha detto a MEE che negli ultimi giorni c’è stato un maggior coinvolgimento tra i livelli più alti dellamministrazione e altri funzionari, compresi gli incaricati musulmani, più di 100 nellattuale amministrazione.

In precedenza Biden aveva pubblicizzato la sua amministrazione come la più diversificata nella storia degli Stati Uniti. Ma finora lamministrazione ha fatto ben poco per modificare il suo pieno sostegno agli sforzi bellici di Israele. Ha chiesto una pausa umanitaria per consentire l’ingresso degli aiuti a Gaza, ma ha detto che non sosterrà un cessate il fuoco.

Il portavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale della Casa Bianca, John Kirby ha detto martedì che Washington non sosterrà un cessate il fuoco e che “in futuro civili innocenti verranno colpiti” a Gaza.

“Ciò contro cui io e molti dei miei colleghi ci scontriamo è il fatto che queste persone vengono coinvolte per poter sentire le loro varie voci. Ma se non ti sforzi di ascoltarle, sono solo dei gesti simbolici“, sostiene il funzionario, aggiungendo che molti dei dipendenti hanno in mente di dimettersi.

“So che alcuni di loro sono alla ricerca di un altro impiego perché attualmente non si sentono a proprio agio nel rappresentare l’amministrazione”, dice il funzionario.

Le voci dissenzienti sono la maggioranza

Secondo il funzionario uno dei motivi è che alcuni individui che non sono d’accordo con la politica dell’amministrazione e cercano di esprimere la loro opposizione “non vengono presi in considerazione”.

Finora solo un funzionario si è dimesso affermando di non poter sostenere moralmente il sostegno incondizionato di Washington alle azioni militari di Israele.

“Vorrei essere chiaro: l’attacco di Hamas a Israele non è stato solo una mostruosità ma la peggiore delle mostruosità”, ha scritto in una nota Josh Paul che ha lavorato per più di un decennio presso l’Ufficio per gli affari politico-militari del Dipartimento di Stato.

“Ma credo nel profondo della mia anima che la risposta che Israele sta dando, e con essa il sostegno americano sia a quella risposta che allo status quo dell’occupazione, porterà solo a sofferenze maggiori e più profonde sia per gli israeliani che per il popolo palestinese, e questo non va nella direzione degli interessi americani”.

Inoltre lapproccio dellamministrazione Biden non sembra corrispondere alla visione della guerra da parte dell’opinione pubblica americana. Secondo un recente sondaggio condotto dallorganizzazione progressista Data for Progress, il 66% di tutti i probabili elettori sostiene un cessate il fuoco e una riduzione del conflitto.

Penso che le manifestazioni di dissenso siano importanti in questi tempi, soprattutto per quelle persone che sono al servizio di questa amministrazione”, ha detto a MEE Ahmad Abuznaid, direttore esecutivo della Campagna Statunitense per i Diritti dei Palestinesi.

“Ma ciò che mi colpisce è che sembra che questa volta in realtà sia la maggioranza a dissentire e che il presidente stia operando sulla base di una posizione sostenuta in effetti da una piccola minoranza di persone”, aggiunge.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)