Il governo olandese interrompe il finanziamento di un’associazione della società civile palestinese

Zena Al Tahhan

6 gennaio 2022 – Al Jazeera

L’iniziativa giunge nonostante un’indagine esterna non abbia trovato prove delle accuse israeliane di “terrorismo” contro l’Union of Agricultural Work Committees

Ramallah, Cisgiordania occupata – Il governo olandese ha affermato che non finanzierà più una delle sei importanti organizzazioni palestinesi della società civile e dei diritti umani che Israele ha messo fuorilegge come “associazioni terroristiche” nell’ottobre 2021.

In un comunicato che denuncia la decisione di mercoledì, l’Union of Agricultural Work Committees [Unione dei Comitati del Lavoro Agricolo] (UAWC), con sede a Ramallah, – di cui dal 2013 il governo olandese è stato il principale donatore– ha affermato che “questa è la prima volta che un governo interrompe i finanziamenti per la società civile palestinese sulla base di criteri politici.”

L’UAWC fornisce aiuto concreto ai palestinesi, anche recuperando terre a rischio di confisca da parte di Israele. Aiuta decine di migliaia di contadini nell’Area C, più del 60% della Cisgiordania occupata sotto diretto controllo militare israeliano e dove si trova la maggior parte delle illegali colonie israeliane e delle loro infrastrutture.

L’associazione afferma che prenderà in considerazione azioni legali per contrastare “la decisione dannosa e scorretta” del governo olandese che, ha avvertito, probabilmente “avrà ripercussioni ben oltre la nostra organizzazione.”

Nell’ottobre 2021 Israele ha messo fuorilegge sei associazioni in quanto “gruppi terroristici” con il pretesto che sarebbero affiliate al Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (FPLP), di sinistra. La decisione è stata ampiamente condannata dalla comunità internazionale e da organizzazioni per i diritti in quanto “ingiustificata” e “senza fondamento”, poiché il governo israeliano non ha fornito alcuna prova per sostenere le sue accuse.

La definizione israeliana mette in rapporto le sei associazioni con l’ala militare del FPLP, che è stata attiva come gruppo organizzato nella Seconda Intifada (2000-2005), quando ha effettuato attacchi contro obiettivi civili e militari israeliani.

Cinque associazioni sono palestinesi: il gruppo per i diritti dei prigionieri Addameer; l’associazione per i diritti Al-Haq; l’Union of Palestinian Women’s Committees [Unione dei Comitati delle Donne Palestinesi] (UPWC); il Bisan Center for Research and Development [Centro Bisan per la Ricerca e lo Sviluppo]; l’UAWC. La sesta è la sezione palestinese dell’organizzazione Defence for Children International [Difesa Internazionale dei Bambini], con sede a Ginevra.

Verifica esterna

La decisione del governo olandese ha fatto seguito a una sospensione di 18 mesi dei finanziamenti all’UAWC.

Nel luglio 2020, in seguito all’arresto di due collaboratori palestinesi dell’associazione, il ministero olandese del Commercio Estero e della Cooperazione per lo Sviluppo ha ordinato una verifica. Gli ormai ex-dipendenti sono accusati da Israele di essere stati responsabili nell’agosto 2019 di un attacco dinamitardo lungo una strada che ha ucciso una ragazza israeliana di 17 anni nei pressi della colonia illegale di Dolev, nella Cisgiordania occupata.

La verifica, condotta dall’associazione olandese Proximities Risk Consultancy [Consulenza di Priorità di Rischio], è iniziata nel febbraio 2021 ed ha riguardato il periodo tra il 2007 e il 2020, durante il quale l’UAWC ha ricevuto finanziamenti olandesi. I suoi risultati sono stati presentati mercoledì al parlamento olandese.

Mentre la verifica esterna ha affermato che i due ex-dipendenti hanno “ricevuto parte dei loro stipendi da spese generali finanziate dall’Olanda”, non sono state trovate prove di flussi finanziari tra l’UAWC e il FPLP né di legami tra l’UAWC e l’ala militare del FPLP. L’indagine ha anche affermato che non è stata trovata alcuna prova che personale o membri del consiglio di amministrazione abbiano utilizzato la propria posizione nell’organizzazione per organizzare attacchi armati.

Né è stata trovata alcuna prova di unità organizzativa tra l’UAWC e il FPLP o che il FPLP abbia fornito indicazioni all’UAWC,” afferma il rapporto di verifica, che ha trovato legami con i rami politici e civili del FPLP “a livello individuale tra il personale dell’UAWC e membri della direzione del FPLP.”

Proximities afferma che non si poteva pretendere che l’UAWC fosse al corrente di rapporti di singoli [dipendenti] con il FPLP,” continua il rapporto.

Colpo durissimo”

Nel suo comunicato di mercoledì l’UAWC afferma che la decisione “scioccante e sconvolgente” del governo olandese si è “basata su un certo numero di ‘rapporti di singoli’ che Proximities ha individuato – presunti collegamenti con il FPLP a titolo individuale di membri della direzione o del personale dell’UAWC.”

Evidenziando che “non può (e non vuole) interferire con le convinzioni e affiliazioni politiche personali dei propri dipendenti e membri della dirigenza,” l’UAWC afferma che la decisione legittima ed incoraggia “la strategia israeliana di attaccare le ong palestinesi” attraverso presunti legami politici delle persone che lavorano con esse.

Tutto ciò sta spostando l’attenzione internazionale dal furto e confisca di altra terra palestinese da parte di Israele e dalla sua brutale espulsione del popolo palestinese che vive sotto occupazione militare,” afferma l’UAWC.

Ryvka Barnard, vicedirettrice della Palestine Solidarity Campaign [Campagna di Solidarietà con la Palestina], con sede nel Regno Unito, ha definito l’iniziativa come “vergognosa” e ha affermato che “segna un precedente molto pericoloso” per le associazioni della società civile palestinese.

Con crescenti attacchi in tutto il mondo contro difensori della terra, popoli indigeni e contadini che producono per l’autoconsumo, la decisione del governo olandese di non finanziare più l’UAWC con queste false motivazioni è un gravissimo colpo e passerà alla storia come una vera battuta d’arresto nel progresso,” ha detto Barnard ad Al Jazeera. “Per decenni il lavoro di UAWC è stato fondamentale per appoggiare i contadini palestinesi nelle situazioni più vulnerabili, sottoposti a una terribile violenza dei coloni e a un’illegale furto di terre.”

Osservando che l’UAWC “ha fatto parte di un potente movimento per la sovranità alimentare in Palestina e a livello internazionale,” Barnard ha affermato che “queste sono le persone che ora più che mai dovremmo sostenere, e invece vengono attaccate.”

Martin Konecny, direttore di European Middle East Project [Progetto Europeo per il Medio Oriente], con sede in Belgio, ha affermato che la decisione è “assolutamente politica” e “non fondata su basi legali né su requisiti riguardanti la lotta al terrorismo”. Ha detto che la verifica contraddice la maggior parte delle affermazioni del governo israeliano.

Dal 1967 Israele ha messo fuorilegge più di 400 organizzazioni locali palestinesi e internazionali in quanto “ostili” o “illegali”, compresi tutti i principali partiti politici palestinesi, come Fatah, che governa l’Autorità Nazionale Palestinese, e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP), che raggruppa varie organizzazioni e con cui nel 1993 Israele firmò gli Accordi di Oslo.

Le autorità israeliane hanno imposto questa etichetta anche a decine di associazioni di beneficienza e mezzi di comunicazione in Palestina e l’hanno utilizzata per fare irruzione nei loro uffici, emettere ordini di chiusura, di arresto e di detenzione contro persone e processarle per un lavoro con cui esercitavano diritti civili e per aver criticato l’occupazione israeliana, considerata illegale in base alle leggi internazionali.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Cresce il numero dei minori palestinesi in prigione durante la pandemia da COVID-19

Yumna Patel

22 aprile 2020 – Mondoweiss

Da gennaio c’è stato un incremento del 6% del numero dei minorenni imprigionati

Secondo una recente inchiesta dell’associazione Defence for Children International – Palestine (DCIP) [Difesa internazionale dei bambini-Palestina, ente per la difesa e promozione dei diritti dei minori in Cisgiordania, Gerusalemme Est e Striscia di Gaza], nonostante la pandemia globale da coronavirus, Israele ha incrementato gli arresti dei minori palestinesi nelle zone occupate.

Stando al documento pubblicato martedì, 194 minorenni palestinesi si trovano nelle carceri e nei centri di detenzione israeliani, un aumento del 6% da gennaio.

Utilizzando i dati forniti dal Servizio Penitenziario Israeliano (IPS), DCIP ha rilevato che, in data 31 marzo, solo il 28% stava scontando una pena, mentre il rimanente 60%, cioè 117 su 194, erano in custodia cautelare preventiva. 

I dati indicano anche che la maggioranza aveva tra i 16 e i17 anni, mentre 30 avevano 14-15 anni. Sono stati documentati casi in cui forze armate israeliane hanno persino arrestato dei palestinesi di 12 anni. 

Inoltre, più del 70% dei minori è detenuto in carceri in Israele, in violazione dell’articolo 76 della quarta Convenzione di Ginevra che stabilisce che, in caso di detenzione da parte di una potenza occupante, il recluso ha il diritto di rimanere nella zona occupata durante tutte le fasi della detenzione. 

Data la pandemia, DCIP e parecchi altri gruppi di diritti umani avevano già chiesto l’immediata scarcerazione di tutti i minorenni palestinesi. 

Nel comunicato di martedì l’associazione ha reiterato le richieste insistendo che “il fatto che le forze israeliane continuino a mettere in prigione i minori palestinesi e a detenere la gran parte di quelli in custodia cautelare è immorale, dato che chi è privato della libertà corre un rischio maggiore di contrarre il COVID-19.”

Questi minorenni vivono a stretto contatto l’uno con l’altro, spesso in cattive condizioni sanitarie e con un accesso limitato ai prodotti per mantenere un minimo di igiene,” specifica il documento.  

L’impatto del COVID-19 è esacerbato da tali condizioni di vita che rendono i ragazzini ancora più vulnerabili.”

Secondo la DCIP, Israele arresta fra i 500 e i 700 minorenni palestinesi all’anno. 

Dal momento dell’arresto, che di solito avviene nel cuore della notte, fino al momento del processo in tribunale, i minorenni sono vittime di varie violazioni dei loro diritti, incluse violenze fisiche e verbali, anche negli interrogatori, durante i quali viene negata la presenza dei genitori o degli avvocati. 

DCIP stima che “circa 3 su 4 minori subiscano qualche forma di violenza”

I minorenni, come gli adulti, sono processati dai tribunali militari israeliani che si vantano di avere un tasso di condanne dei palestinesi del 99,7%. 

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Sempre più vittorie nella campagna contro la diffamazione a favore di Israele

Nasim Ahmed

12 marzo 2020 – Middle East Monitor

Calunniare a mezzo stampa gli attivisti per i diritti umani che denunciano la brutale realtà dell’occupazione militare, a quanto pare eterna, di Israele in Palestina è stato il modus operandi dei gruppi anti-palestinesi. Questa tattica ha avuto un relativo successo negli ultimi anni perché alcuni governi occidentali, incluso quello britannico, vedono le voci che si levano per la Palestina e l’opposizione alla brutale occupazione israeliana con la lente deformante del “terrorismo palestinese” e non, come ci si aspetterebbe, nell’ambito del legittimo diritto di resistere all’occupazione e di opporsi al razzismo. Inoltre, una discutibile “definizione attuale di antisemitismo” che assimila le critiche a Israele all’ostilità antiebraica ha consentito ai sostenitori di Israele di diffamare chi critichi lo Stato sionista e l’ideologia razzista su cui si fonda.

Anche se effettivamente entrambi i fattori hanno avuto un pesante effetto sulla libertà di parola in Europa e negli Stati Uniti quando si tratti di denunciare i crimini di Israele, ci sono buone ragioni per credere che, nonostante università e istituzioni pubbliche capitolino di fronte alle attuali pressioni e reprimano l’attivismo filo-palestinese, portare in tribunale le campagne di diffamazione costruite dalla rete israeliana di organizzazioni sociali può dare i suoi frutti. Una di queste organizzazioni è UK Lawyers for Israel [Giuristi Britannici per Israele] (UKLfI).

Recentemente Defence for Children International – Palestine [Difesa Internazionale dei Bambini-Palestina] (DCIP), associazione per la difesa e la promozione dei diritti dei bambini che vivono nella Cisgiordania occupata, comprese Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza, ha portato UKLfI in tribunale. DCIP ha vinto presso l’Alta Corte di Giustizia di Londra la causa contro il gruppo di avvocati di UKLfI per aver pubblicato post sul blog del loro sito web e inviato lettere ai sostenitori istituzionali in cui si affermava che DCIP avesse forti “legami” con un “certo gruppo terroristico”. Secondo DCIP, si era trattato di “una campagna di disinformazione politica e mediatica ben organizzata” iniziata nel 2018.

Secondo DCIP, UKLfI fa parte di una rete di gruppi israeliani e dei loro soci a livello mondiale “con il sostegno del Ministero degli Affari Strategici israeliano” che ha condotto “campagne di diffamazione articolate e mirate per delegittimare le organizzazioni umanitarie e per i diritti umani” in Palestina.

Anche se non è chiara l’importanza del ruolo di UKLfI in questa rete, il fine del Ministero degli Affari Strategici di Israele è chiarissimo. Il primo ministro Benjamin Netanyahu ha incaricato personalmente il Ministero di guidare i simpatizzanti filo-israeliani e di creare gruppi anonimi segreti per attaccare gli attivisti filo-palestinesi, spesso con l’aiuto di consulenti politici professionali. Dal varo del ministero, Israele ha stabilito uno stanziamento di guerra di un milione di dollari e un esercito stimato in 15.000 troll per attaccare i gruppi pro-palestinesi.

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Il mese scorso, il DCIP ha affermato di essere stato bersaglio di una feroce campagna di diffamazione da parte dell’ambasciatore israeliano presso le Nazioni Unite Danny Danon, del Ministero israeliano per gli Affari Strategici, della ONG Monitor [filo-israeliana di Gerusalemme, analizza l’attività internazionale delle ONG contrarie all’occupazione, ndtr.] e di UKLfI. Tutto è stato fatto, ha affermato DCIP, per impedire al loro gruppo per i diritti umani di fornire prove al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a New York. Brad Parker, consigliere capo del DCIP per la politica e la difesa, ha descritto la campagna in un lungo articolo intitolato: “Dovevo parlare di bambini palestinesi alle Nazioni Unite. Israele me lo ha impedito”.

La vittoria legale del DCIP all’Alta Corte è una delle tante vittorie simili contro la lobby filo-israeliana e anti-palestinese. A febbraio, il britannico Jewish Chronicle [il più antico giornale ebraico al mondo, ndtr.] è stato costretto a scusarsi con un’attivista laburista per averla ingiustamente accusata di presunto “antisemitismo”. Electronic Intifada  ha riferito che la proprietà del quotidiano ha ammesso sul suo sito web di aver pubblicato “accuse contro la signora Audrey White” totalmente “false”.

La condanna per diffamazione a quanto pare è giunta quando in dicembre il garante della stampa britannica ha sentenziato che il giornale filo-israeliano di destra, che aveva pubblicato quattro articoli su White, era stato “estremamente fuorviante” e aveva anche posto ostacoli “inaccettabili” alle indagini.

L’anno scorso, il Jewish Chronicle ha presentato le proprie scuse al consiglio di amministrazione di Interpal, organizzazione benefica britannica che fornisce aiuti umanitari e allo sviluppo per i palestinesi in difficoltà, e ha anche accettato di risarcire i danni. Sempre l’anno scorso Associated Newspapers, editore del Daily Mail e di MailOnline, ha pubblicato le sue profonde scuse e pagato 120.000 sterline [circa 132.000 euro] di danni sempre all’amministrazione di Interpal, accollandosi le spese legali delle cause per diffamazione. A febbraio, “ai sensi del paragrafo 15 (2) della Legge sulla Diffamazione del 1996”, UKLfI ha pubblicato sul suo sito web una dichiarazione del Consiglio di Amministrazione di Interpal.

Il Jewish Chronicle è stato uno dei principali attori nella rete israeliana di gruppi anti-palestinesi. Nel 2014 si è scusato e ha pagato ingenti danni a Human Appeal International [organizzazione benefica di sviluppo e soccorso britannica, ndtr.] dopo averlo accusato di essere un ente inserito nella lista nera negli Stati Uniti e aver falsamente affermato che avesse appoggiato gli attentati suicidi. Nello stesso anno il Jewish Chronicle ha dovuto scusarsi con il direttore della Campagna di Solidarietà con la Palestina [organizzazione britannica solidale con il popolo palestinese].

Il pagamento di ingenti somme per danni avrebbe spinto il Jewish Chronicle verso la rovina finanziaria. L’anno scorso è stato riferito che per evitare la chiusura il giornale avrebbe chiesto alle “persone attente alla comunità” un’importante iniezione di denaro. A febbraio, la testata settimanale ha annunciato la propria fusione con Jewish News [quotidiano e sito web ebraici molto noti in Gran Bretagna] “per garantire il futuro finanziario di entrambi i giornali”. Secondo Electronic Intifada, il gruppo che possiede il giornale e il sito web Jewish Chronicle opera con una perdita di oltre 2 milioni di dollari l’anno, mentre il Jewish News avrebbe un passivo di oltre 1,9 milioni di dollari.

Nel frattempo, negli Stati Uniti un negozio di alimentari pro-BDS ha ottenuto un’importante vittoria in tribunale contro i legali di Israele per la sua decisione di boicottare i prodotti israeliani per motivi morali. La vittoria di questo suo sostegno alla campagna di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni [BDS] è stata vissuta come un’imbarazzante sconfitta dai legali di Israele nella decennale causa di denuncia dell’Olympia Food Co-op [cooperativa no profit di Washington che vende alimenti e prodotti naturali, ndtr.]

Come nel caso del DCIP, gli avvocati che agiscono per conto della Olympia Food Co-op hanno affermato che la causa contro il negozio era parte di un ampio e crescente schema di attivismo per reprimere chiunque sostenga i diritti dei palestinesi. Il Centro per i Diritti Costituzionali [organizzazione progressista di patrocinio legale senza scopo di lucro con sede a New York, ndtr.], che ha rappresentato l’Olympia Food Co-op durante i 10 anni di battaglia legale, ha denunciato la campagna di eliminazione delle voci filo-palestinesi come un’ “eccezione palestinese” alla libertà di parola.

Un altro caso che sottolinea come il ricorso alla giustizia possa dare frutti è quello dell’organizzazione britannica riconosciuta dall’ONU che sostiene i profughi palestinesi. Nel 2019 un tribunale britannico ha ordinato a World-Check, una consociata di Reuters, di pagare un risarcimento a Majed Al-Zeer, presidente del Palestinian Return Center (RPC) [Centro per il Ritorno dei Palestinesi, gruppo londinese di patrocinio storico, politico e giuridico dei rifugiati palestinesi, ndtr.], per aver inserito nel suo database mondiale online l’organizzazione fra i gruppi terroristici. Secondo Al-Zeer, il lavoro della RPC nel denunciare le colpe di Israele per la difficile situazione dei rifugiati e la sua responsabilità legale alla luce del diritto internazionale avrebbero messo l’associazione nel mirino del governo israeliano.

Mentre Israele rafforza ulteriormente la sua occupazione e assoggetta sei milioni di persone a un sistema oppressivo, è probabile che l’attacco ai gruppi per i diritti umani da parte della sua rete di organizzazioni della società civile si espanderà. Invece di chiedere la fine della brutale occupazione della Palestina da parte di Israele e della repressione dei diritti dei palestinesi, i gruppi filoisraeliani diventeranno ancora più fanatici e frenetici nel loro tentativo di mettere a tacere ed eliminare il legittimo lavoro per i diritti umani. Dopo la vittoria del DCIP presso l’Alta Corte di Londra, si vede l’opportunità di sfidare la lobby anti-palestinese dove sa che non può vincere: in un tribunale.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)