Rapporto OCHA del periodo 14 – 27 febbraio 2023

1). In Cisgiordania sono continuati gli episodi di violenza quotidiana che hanno coinvolto palestinesi, coloni israeliani e forze israeliane: 16 palestinesi, di cui tre minori, e tre israeliani sono stati uccisi; 1.089 palestinesi e cinque israeliani sono rimasti feriti.

Dal 1° gennaio al 27 febbraio 2023, nei Territori palestinesi occupati e in Israele sono stati uccisi 63 palestinesi e tredici israeliani, oltre a un cittadino straniero e un soldato israeliano; 2.001 palestinesi e almeno 25 israeliani sono rimasti feriti.

2). Nella città vecchia di Nablus, in un’operazione che ha comportato uno scontro a fuoco con palestinesi, forze israeliane hanno ucciso dieci palestinesi e ferito altri 453, di cui 103 con proiettili veri. Un altro palestinese è morto a causa dell’esposizione a gas lacrimogeni che hanno aggravato la sua condizione medica preesistente. Secondo il Ministero della salute questo è il numero più alto di persone uccise in una singola operazione in Cisgiordania da quando, nel 2005, l’OCHA (ONU) iniziò a registrare i dati (seguono dettagli).

Il 22 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella Città Vecchia di Nablus, dove hanno circondato un edificio ed hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi. Secondo l’esercito israeliano, l’operazione aveva lo scopo di arrestare palestinesi sospettati di pianificare attacchi contro israeliani. Durante l’operazione, le forze israeliane hanno distrutto un edificio, all’interno del quale due palestinesi, che si erano rifiutati di arrendersi, sono stati uccisi. Inoltre, durante la stessa operazione, altri quattro palestinesi sono stati colpiti e uccisi in scontri a fuoco con forze israeliane. L’operazione ha innescato ulteriori scontri tra residenti palestinesi e forze israeliane, durante i quali le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni contro i palestinesi che hanno lanciato contro di loro pietre e bottiglie incendiarie. Di conseguenza, quattro palestinesi, tra cui un ragazzo di 16 anni, sono stati colpiti e uccisi con proiettili veri sparati dalle forze israeliane; altri 453 sono rimasti feriti, di cui 103 da proiettili veri. Secondo i media israeliani, due soldati israeliani sono rimasti feriti. Secondo fonti mediche, le forze israeliane hanno impedito alle ambulanze di accedere all’area. Dopo l’operazione, palestinesi di tutta la Cisgiordania e della Striscia di Gaza hanno tenuto manifestazioni, durante le quali sette palestinesi sono rimasti feriti. Il 24 febbraio, un palestinese è morto per le ferite riportate il giorno prima; le forze israeliane gli avevano sparato con proiettili veri durante una di tali manifestazioni, svolta all’interno del Campo profughi di Al ‘Arrub (Hebron), in cui i palestinesi avevano lanciato pietre contro le forze israeliane.

3). Durante il periodo in esame altri quattro palestinesi, tra cui due minori, sono stati uccisi da forze israeliane o sono morti per le ferite riportate in precedenza (seguono dettagli).

Il 14 febbraio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di El Far’a a Tubas, e nel corso di uno scontro a fuoco con palestinesi, hanno ucciso un ragazzo di 17 anni che, secondo l’esercito israeliano, aveva sparato contro di loro; accusa contestata da un testimone oculare e da Organizzazioni per i diritti umani.

Durante lo stesso episodio, un ragazzo di 13 anni è stato morso e ferito da un cane delle forze armate israeliane.

Lo stesso giorno, un palestinese è morto per le ferite riportate il 1° gennaio 2021; in quelle circostanze, accadute nella Comunità Ar Rakeez di Masafer Yatta (Hebron), mentre cercava di impedire la confisca di un generatore elettrico, un soldato israeliano gli aveva sparato al collo .

Il 20 febbraio, un tredicenne palestinese è deceduto per le ferite riportate l’8 febbraio 2023; durante scontri tra palestinesi ed esercito israeliano che scortavano coloni israeliani alla tomba di Giuseppe, nella città di Nablus, un soldato israeliano gli aveva sparato con proiettili veri.

Ad oggi, il numero totale di minori palestinesi uccisi da forze israeliane in Cisgiordania nel 2023 è di dodici (12), rispetto ai due uccisi nel 2022, in un arco di tempo equivalente.

Il 23 febbraio, un altro palestinese è deceduto per le ferite riportate il 12 febbraio durante un’operazione di ricerca-arresto che aveva provocato uno scontro a fuoco tra forze israeliane e palestinesi nel Campo profughi di Jenin.

4). A Nablus, due coloni israeliani e un palestinese sono stati uccisi lo stesso giorno, in due diversi episodi (seguono dettagli).

Il 26 febbraio, due fratelli israeliani dell’insediamento colonico di Har Barcha, mentre stavano percorrendo la strada 60 nella città di Huwwara (Nablus), sono stati uccisi da un uomo armato, ritenuto palestinese. Successivamente, per trovare l’autore, forze israeliane hanno lanciato una caccia all’uomo, imponendo restrizioni agli spostamenti in Città e nell’area circostante (vedi sotto). A seguito dell’attacco, coloni israeliani, secondo quanto riferito, provenienti dagli insediamenti colonici di Yitzhar, Bracha, Kfar Tappuah e altri avamposti di insediamenti adiacenti, hanno lanciato pietre ed hanno aggredito fisicamente abitanti della città di Huwwara e dei villaggi vicini; inoltre hanno appiccato il fuoco a proprietà palestinesi. Nel villaggio di Za’tara, un palestinese è stato colpito e ucciso vicino alla sua casa e un altro è rimasto ferito, entrambi con proiettili veri sparati da coloni israeliani o da forze israeliane. Altri nove palestinesi sono stati feriti da coloni israeliani, tra cui un minore e una donna, e sono stati causati ingenti danni alle proprietà palestinesi. Almeno 37 case abitate hanno subito danni, comprese alcune date alle fiamme da coloni israeliani, provocando lo sfollamento di otto famiglie palestinesi e di parte di altre cinque famiglie. Inoltre, almeno otto strutture commerciali, comprese sei officine di riparazione auto, sono state incendiate, insieme a 55 veicoli privati palestinesi e 1.200 veicoli rottamati. Inoltre, a Huwwara, coloni hanno attaccato un camion dei pompieri, impedendo loro di entrare in città; il veicolo è stato danneggiato e uno dei vigili del fuoco è rimasto ferito. Secondo le forze israeliane un soldato è rimasto ferito da coloni che lo hanno aggredito fisicamente e hanno tentato di investirlo.

5). Il 27 febbraio, in una sparatoria registrata vicino a Gerico, un israeliano, che detiene anche la cittadinanza statunitense, è stato ucciso da un uomo armato (ritenuto palestinese). Lo stesso uomo ha continuato a guidare, sparando contro altri due veicoli, ma non sono stati riportati feriti. Successivamente, forze israeliane hanno lanciato una caccia all’uomo per trovare l’autore, imponendo restrizioni agli spostamento nella città di Gerico (vedi sotto). Ciò porta a tredici, oltre a un cittadino straniero e un soldato, gli israeliani uccisi, dall’inizio dell’anno, in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est e Israele; nel 2022, nello stesso arco di tempo non erano state registrate uccisioni.

6). In Cisgiordania, durante il periodo in esame, 1.068 palestinesi, tra cui almeno 102 minori, sono stati feriti da forze israeliane, di cui 119 colpiti da proiettili veri (seguono dettagli).

Oltre ai 453 palestinesi feriti da forze israeliane, il 22 febbraio, nell’operazione nella Città Vecchia di Nablus, altri 39 feriti sono stati registrati durante dieci operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane in tutta la Cisgiordania.

In altri quindici episodi, registrati a Betlemme, Hebron, Nablus e Tubas, 451 palestinesi sono stati feriti da forze israeliane, in seguito all’ingresso di coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, nelle stesse Comunità palestinesi; la maggior parte dei feriti è stata curata per inalazione di gas lacrimogeni. Il novanta per cento di questi feriti è stato registrato nella città di Huwwara, tra il 26 e il 27 febbraio, contestualmente all’attacco di coloni.

Altri 125 dei feriti totali sono stati registrati in varie manifestazioni, compresa quella che contestava la creazione di un avamposto israeliano presso la Comunità Wadi Seeq (Ramallah), e contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso legate agli insediamenti a Beit Dajan e Beita (entrambe a Nablus), e Kafr Qaddum (Qalqilya) e in altre manifestazioni contro l’operazione Nablus che hanno provocato la morte di undici palestinesi.

Complessivamente, 866 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 120 sono stati colpiti da proiettili veri, 19 sono stati feriti da proiettili di gomma, 55 da schegge, cinque sono stati aggrediti fisicamente, due sono stati colpiti da granate sonore e uno è stato colpito da candelotti lacrimogeni.

7). In Cisgiordania, altri otto palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti da coloni israeliani; persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in altri 39 casi. Oltre ai palestinesi feriti da forze israeliane e da coloni nei già citati episodi collegati a coloni (seguono dettagli).

Tra il 14 e il 25 febbraio, coloni israeliani hanno ferito cinque palestinesi, tra cui un minore. Due dei feriti sono stati provocati da proiettili veri sparati da coloni.

In altri 24 episodi registrati a Ramallah, Betlemme, Hebron, Gerusalemme e Nablus, secondo testimoni oculari e fonti delle Comunità locali, più di 300 alberi sono stati vandalizzati su terre palestinesi, comprese le terre prossime agli insediamenti israeliani e agli avamposti degli insediamenti israeliani di nuova costituzione; sono state forate le gomme di venticinque auto di proprietà palestinese; coloni israeliani hanno scritto sui muri di tre case, hanno dato fuoco alle coltivazioni in un terreno agricolo, hanno rubato attrezzature agricole e danneggiato serbatoi d’acqua.

Inoltre, tra il 26 e il 27 febbraio, in seguito alla uccisione di due coloni (di cui sopra), in Cisgiordania sono stati segnalati altri 18 episodi di violenza: coloni israeliani hanno ferito tre palestinesi, tra cui una donna, hanno lanciato pietre, hanno vandalizzando 17 veicoli palestinesi ed hanno forato le gomme di altri sette o dato fuoco a proprietà palestinesi vicino a Tubas, Hebron, Ramallah, Salfit e Nablus.

8). Vicino a Nablus, una donna israeliana è rimasta ferita e il suo veicolo ha subito danni, secondo quanto riferito, ad opera di palestinesi che hanno sparato al suo veicolo. In altri cinque casi, due coloni israeliani sono rimasti feriti e sono stati causati danni ad almeno cinque veicoli israeliani da persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali, che hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania.

9). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto le persone a demolire 66 strutture comprese 18 strutture residenziali Ventidue (22) delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 60 palestinesi, tra cui 29 minori, sono stati sfollati e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di oltre 200 altri (seguono dettagli).

Quarantanove (49) delle strutture si trovavano in Area C, di cui sedici (tutte finanziate da donatori) demolite in un unico episodio registrato nella Comunità di Lifjim a Nablus; tre famiglie, comprendenti 17 persone, tra cui dieci minori, sono state sfollate. Altre 17 strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, di cui otto demolite dai proprietari, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. Il mese di febbraio 2023 ha registrato il maggior numero di strutture demolite a Gerusalemme est, dall’aprile 2019, in un solo mese; con un totale di 36 strutture demolite, a fronte di una media mensile di undici demolizioni nel 2022.

10). Il 16 febbraio, nell’Area C della città di Hebron, per motivi punitivi, le autorità israeliane hanno demolito con esplosivi l’appartamento al quarto piano di un edificio residenziale a più piani, sfollando una famiglia composta da quattro persone, tra cui tre minori. L’appartamento apparteneva alla famiglia dell’uomo che sparò e uccise un colono israeliano il 29 ottobre 2022 a Hebron. Dall’inizio del 2023, per motivi punitivi, sono state demolite sei case e una struttura agricola, rispetto alle undici case e tre strutture demolite in tutto il 2022; erano state tre in tutto il 2021 e sette nel 2020. Le demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva e in quanto tali sono illegali ai sensi del diritto internazionale in quanto prendono di mira le famiglie di un autore, o presunto autore.

11). In diverse località della Cisgiordania, forze israeliane hanno limitato gli spostamenti dei palestinesi, interrompendo l’accesso di migliaia di persone a mezzi di sussistenza e servizi (seguono dettagli).

Il 26 febbraio, in seguito alla uccisione di due coloni israeliani (di cui sopra), l’esercito israeliano ha imposto la chiusura della città di Huwwara (Nablus) e ha chiuso i checkpoints nelle vicinanze; ha inoltre ostruito l’ingresso del villaggio di Beita (Nablus) con blocchi di cemento, ostacolando il movimento di più di 19.000 palestinesi.

Il 27 febbraio, in seguito all’uccisione di un israeliano, avvenuta lo stesso giorno, vicino a Gerico, l’esercito israeliano ha dispiegato posti di blocco volanti davanti a tutte le entrate/uscite della città di Gerico, inclusi blocchi di cemento, ostacolando il movimento di almeno 50.000 palestinesi.

In due episodi separati, registrati il 17 e il 24 febbraio, forze israeliane hanno limitato il movimento di oltre 10.000 palestinesi, chiudendo i cancelli stradali all’ingresso dei villaggi di Azzun (Qalqilya) e An Nabi Salih (Ramallah), rispettivamente per quattro e tre ore.

12). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 33 occasioni, forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso; quattro pescatori sono stati arrestati e un peschereccio è stato sequestrato; non sono stati riportati feriti o danni. In un altro caso, quattro minori palestinesi sono stati arrestati da forze israeliane mentre cercavano di entrare in Israele attraverso la recinzione perimetrale. Inoltre, il 26 febbraio, si sono svolte manifestazioni lungo la recinzione perimetrale di Israele con Gaza, contro l’operazione di Nablus che ha provocato la morte di undici palestinesi (vedi sopra). I palestinesi hanno bruciato pneumatici e lanciato pietre e altri oggetti contro la recinzione e le forze israeliane, posizionate dall’altra parte della recinzione, hanno sparato proiettili veri, proiettili di gomma e lacrimogeni, ferendo quattro palestinesi, tra cui un minore.

13). Sempre nella Striscia di Gaza, il 23 febbraio, gruppi armati palestinesi hanno lanciato sei razzi e altri proiettili verso il sud di Israele; cinque razzi sono stati intercettati dal sistema israeliano Iron Dome e uno è caduto in un’area aperta in Israele. Secondo quanto riferito, forze israeliane hanno lanciato attacchi aerei contro siti militari appartenenti a gruppi armati della Striscia di Gaza. Non sono stati segnalati feriti.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

Ultimi sviluppi (al di fuori del periodo di riferimento)

Questa sezione si basa su informazioni iniziali provenienti da diverse fonti. Ulteriori dettagli confermati saranno forniti nel prossimo rapporto.

Il 1° marzo, un palestinese è deceduto per le ferite da arma da fuoco riportate il giorno precedente, quando, durante un’operazione di ricerca-arresto nel Campo profughi di Aqbat Jaber (Gerico), era stato colpito dalle forze israeliane, nel contesto di uno scontro a fuoco con palestinesi.

Il 2 marzo, le forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nel villaggio di Azzun (Qalqilya), dove hanno colpito, con arma da fuoco, e ucciso un minore palestinese.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




È iniziata la guerra di Ben-Gvir a Gerusalemme

MARIAM BARGHOUTI e YUMNA PATEL

18 febbraio 2023 Mondoweiss   

Gli eventi degli ultimi giorni a Gerusalemme dimostrano che la guerra dichiarata da Ben Gvir a Gerusalemme Est [sezione palestinese della città, ndt.] è già iniziata, con le autorità israeliane che inaspriscono il controllo sui palestinesi in tutta la città.

La scorsa settimana tre israeliani sono stati uccisi quando un palestinese di Gerusalemme est ha diretto la sua auto contro una fermata dell’autobus nell’insediamento illegale di Ramot Alon.

L’irruzione in auto a Gerusalemme è stata l’ultima di una serie di attacchi di “lupi solitari” da parte di palestinesi nella città occupata, inclusa una sparatoria nell’insediamento di Neve Yaacov che ha ucciso sette israeliani il 27 gennaio, il giorno dopo che le forze israeliane avevano sparato e ucciso 9 palestinesi nel campo profughi di Jenin.

Dopo ogni incidente la risposta del governo israeliano è stata quasi identica: immediati appelli alla punizione collettiva della famiglia del palestinese autore dell’attacco, con arresti di massa e demolizioni punitive di case. Il governo ha anche chiesto l’espulsione delle famiglie dei palestinesi accusati di aver compiuto attacchi contro israeliani e l’allentamento delle norme sulle armi per rendere più facile portare armi agli israeliani.

In seguito all’irruzione di Ramot Alon, l’ultranazionalista israeliano e parlamentare di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha chiesto alla polizia israeliana, sulla quale ha il controllo in qualità di Ministro della Sicurezza nazionale, di “riportare l’ordine a Gerusalemme est.”

La repressione proposta da Ben-Gvir a Gerusalemme Est include la richiesta di chiudere interi quartieri, erigere posti di blocco volanti, istituire blocchi e perquisizioni per tutti i palestinesi che entrano ed escono da determinati quartieri e accelerare la demolizione di case a Gerusalemme Est.

Sebbene si sia parlato di dissidi tra Ben-Gvir e il capo della polizia israeliana Kobi Shabtai su quando e come la polizia dovrebbe agire in base ai radicali ordini di Ben-Gvir, gli eventi degli ultimi giorni a Gerusalemme hanno segnalato che, indipendentemente dal fatto se ci sia o meno un accordo a livello governativo, la guerra dichiarata da Ben-Gvir a Gerusalemme est è già in corso.

È documentato che nei quartieri cittadini la polizia israeliana e le forze di polizia di frontiera molestano e attaccano i palestinesi senza essere provocati. Sono stati documentati diversi casi di minori fermati e perquisiti mentre andavano a scuola, passanti e negozianti palestinesi attaccati da agenti di polizia e, in un caso, un palestinese a cui le forze israeliane hanno sparato arbitrariamente e indiscriminatamente mentre guidava.

Nel frattempo le forze israeliane hanno intensificato la demolizione di case palestinesi a Gerusalemme est, con il pretesto che sono prive dei permessi di costruzione rilasciati da Israele.

Persecuzione e aggressioni ai civili

Negli ultimi giorni sono apparsi numerosi rapporti che documentano le punizioni e le vessazioni collettive sulla popolazione palestinese a Gerusalemme est.

Molti degli incidenti sono avvenuti dentro e intorno all’area di Shu’fat, dopo che nel campo profughi di Shu’fat le forze israeliane hanno sparato e ferito un adolescente palestinese che avrebbe tentato di accoltellare un soldato al posto di blocco fuori dal campo. Durante il presunto tentativo di accoltellamento un ufficiale della polizia di frontiera israeliana ha sparato e ucciso un collega.

Nei giorni e ore successive all’uccisione del soldato ad opera del collega, le forze israeliane hanno imposto la chiusura totale del posto di blocco, effettuato arresti e perquisizioni casuali dei residenti e hanno fatto irruzione nel campo profughi vessando e aggredendo i palestinesi nell’area.

In un video che è diventato virale sui social media, un ragazzo palestinese viene picchiato dalla polizia di frontiera israeliana a un posto di blocco fuori dal posto di blocco militare di Shu’fat dopo che gli agenti gli avevano ordinato di spogliarsi durante una perquisizione casuale.

In altri casi documentati sui social media si vedono le forze di polizia di frontiera israeliane aggredire una donna che passa nel campo profughi di Shu’fat, aggredire minori e impedire loro di attraversare un posto di blocco militare per recarsi a scuola, e fermare e perquisire bambini e i loro zaini nella Città Vecchia di Gerusalemme Est.

In un altro caso, un palestinese è stato ferito da proiettili veri quando agenti israeliani hanno crivellato la sua auto di proiettili affermando che aveva tentato di speronarli con il suo veicolo. I media palestinesi e i testimoni oculari hanno riferito che l’uomo stava semplicemente attraversando un’area in cui i soldati stavano conducendo un raid e che gli hanno sparato senza motivo.

L’anno scorso, prima di assumere l’incarico di ministro, Ben-Gvir aveva chiesto di allentare le regole di ingaggio contro coloro che “odiano Israele”.

Aumentano le demolizioni di case e le famiglie dei detenuti sono prese di mira

Venerdì 17 febbraio sei proprietari di case palestinesi sono stati informati dei piani del comune di Gerusalemme di distruggere le loro case nel quartiere di Issawiya a Gerusalemme Est, dove risiedeva Hussein Qaraqe, il palestinese che ha effettuato l’attacco con l’auto a Ramot Alon. 

Secondo Wafa News Agency, gli edifici non erano di nuova costruzione, alcuni hanno 25 anni. All’inizio della settimana un altro palestinese di Issawiya è stato costretto a demolire un ampliamento di due stanze della sua casa, e altre due case sono state demolite nel quartiere di Jabal al-Mukaber.

Al Jazeera ha riferito che dall’inizio dell’anno le forze israeliane hanno demolito almeno 47 strutture palestinesi a Gerusalemme Est e che al 7 febbraio almeno 60 palestinesi sono rimasti senza casa a causa delle demolizioni.

Secondo l’analisi di Mondoweiss sui dati OCHA delle demolizioni, tra il 2018 e il 2021 c’è stato un aumento del 156% delle espulsioni di palestinesi dalle loro case in Cisgiordania e a Gerusalemme. Nello stesso periodo, c’è stato un aumento del 99% delle espulsioni dei palestinesi dalle loro case nella sola Gerusalemme Est.

In aggiunta, giovedì a Gerusalemme le forze israeliane hanno saccheggiato le case di detenuti ed ex detenuti palestinesi, sequestrando alle famiglie denaro, oro e beni personali di valore.

Le forze israeliane hanno in passato preso di mira ex detenuti a Gerusalemme, dove le forze armate hanno fatto irruzione nelle case e preso con la forza tutto il denaro trovato. La casa della famiglia di Ahmad Manasra, processato come un adulto all’età di 13 anni, era una di quelle case.

Secondo Amjad Abu Asab, capo del Comitato per le famiglie dei prigionieri a Gerusalemme, prendere di mira i detenuti palestinesi e le loro famiglie serve a cacciare i palestinesi da Gerusalemme, come la demolizione delle case. “L’occupazione mira a compiacere i coloni e l’estrema destra razzista premendo per ulteriori politiche discriminatorie contro i detenuti”, ha detto Abu Asab in un’intervista ad Al-Qastal.

“Una nuova Nakba”

“Il governo israeliano fascista di destra sta lanciando un attacco senza precedenti contro il nostro popolo a Gerusalemme”, ha dichiarato giovedì 17 febbraio Qadura Faris, direttore dell’Associazione dei Prigionieri Palestinesi.

In un’escalation di campagne di perquisizioni e arresti, le forze israeliane continuano a detenere in massa palestinesi in Cisgiordania e a Gerusalemme. Il più alto tasso di arresti si concentra a Gerusalemme.

Secondo il dipartimento di monitoraggio dell’Associazione dei Prigionieri Palestinesi, a gennaio più di 255 palestinesi sono stati arrestati a Gerusalemme, facendo di Gerusalemme il luogo con il tasso più alto di arresti di palestinesi per mano delle autorità israeliane.

Nelle ultime settimane, le autorità israeliane hanno sequestrato il denaro fornito dall’Autorità Nazionale Palestinese alle famiglie dei detenuti politici palestinesi a Gerusalemme, che considerano pagamento da “entità ostili”.

L’ANP è incaricata della fornitura di stipendi e sostegno monetario ai detenuti palestinesi e alle loro famiglie in caso di detenzione da parte di Israele. Ciò è in gran parte dovuto alla considerazione che molti dei detenuti sono spesso il principale sostegno delle loro famiglie.

“Quello che sta accadendo nel prendere di mira le famiglie dei prigionieri e gli ex detenuti politici”, ha detto Faris, “è una nuova Nakba, che l’occupazione sta sviluppando con l’uso di nuovi mezzi tecnologici”.

Questo concentrarsi su Gerusalemme fa molto aumentare le preoccupazioni palestinesi che Gerusalemme venga espropriata alla comunità palestinese.

Dal 2021, i responsabili politici e il personale militare israeliani chiedono la revoca della residenza a Gerusalemme ai palestinesi come misura punitiva contro coloro che hanno partecipato alle proteste della Rivolta dell’Unità nel 2021 [contro lo sgombero di residenti palestinesi a Sheikh Jarrah, quartiere di Gerusalemme Est, ndt.].

Nel 2018 questo potere è stato affidato al Ministro degli Interni ad interim, che ha il potere di revocare la residenza permanente dei gerosolimitani, una politica che è stata applicata solo contro i palestinesi.

Proteste israeliane contro il governo mentre aumentano gli insediamenti

Il 13 febbraio decine di migliaia di ebrei israeliani si sono riuniti a Gerusalemme per protestare contro le nuove misure del Parlamento che cercano di indebolire la Corte Suprema israeliana, consolidando ulteriormente il potere delle forze armate israeliane.

Ciò è avvenuto il giorno dopo che il nuovo governo israeliano ha approvato e legalizzato nove avamposti in Cisgiordania. “È ora che il mondo punisca Israele per aver sfidato le risoluzioni delle Nazioni Unite e le politiche americane ed europee che chiedono di fermare gli insediamenti”, ha detto in una dichiarazione il primo ministro palestinese Mohammad Shtayyeh.

L’anno scorso l’esercito israeliano ha dotato gli avamposti e le colonie israeliane in Cisgiordania di tecnologia e supporto.

Questa ribellione contro il diritto internazionale e la legittimità internazionale deve essere perseguita con gravi ripercussioni”, ha proseguito Shtayyeh, chiedendo il boicottaggio di Israele “in quanto Stato al di fuori della legalità”.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Aggressione con un’auto uccide due persone nella Gerusalemme est occupata

Al Jazeera e agenzie di notizie

10 febbraio 2023 – Al Jazeera

Il conducente ha lanciato la sua macchina contro un’affollata fermata dell’autobus nell’illegale colonia di Ramot prima di essere colpito e ucciso.

La polizia e i medici israeliani affermano che un palestinese ha lanciato la sua auto contro un’affollata fermata d’autobus nella Gerusalemme est occupata, uccidendo due persone, tra cui un bambino, prima di essere colpito e ucciso.

L’attacco con l’auto di venerdì è avvenuto nella colonia israeliana illegale di Ramot. Le tensioni sono notevolmente cresciute nella parte orientale della città dopo che il 27 gennaio, compiendo l’aggressione più mortale a Gerusalemme da oltre un decennio, un palestinese ha condotto un attacco a mano armata fuori da una sinagoga uccidendo sette persone.

Il pronto soccorso ha identificato le due persone uccise venerdì come un bambino di sei anni e un uomo ventenne. Ha affermato che i medici stanno curando cinque feriti, compreso un bambino di otto anni in condizioni critiche ricoverato in rianimazione. Gli altri feriti vanno dai 10 ai 40 anni e si trovano in condizioni da moderate a gravi.

È stata una scena scioccante,” afferma il paramedico Lishai Shemesh, che si trovava nei pressi nel momento dell’attacco. “Ero in auto con mia moglie e i miei figli e ho notato un’auto che si è lanciata a tutta velocità contro una fermata dell’autobus investendo le persone in attesa.”

La polizia ha affermato che un agente fuori servizio ha sparato al sospetto e lo ha ucciso sul posto. Non ci sono informazioni immediate sulla sua identità.

Immagini mostrano poliziotti e paramedici che si affollano attorno a una Mazda blu incidentata e schiantatasi contro la fermata dell’autobus. Corpi sanguinanti giacciono sparsi sul luogo.

La casa del sospetto verrà demolita

Le organizzazioni palestinesi Jihad Islamico e Hamas, che governa la Striscia di Gaza, hanno lodato l’attacco ma non lo hanno rivendicato.

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha definito l’incidente un’aggressione “terroristica” e ha ordinato che le forze di sicurezza vengano potenziate.

Il sito di notizie israeliano i24 ha informato che Netanyahu ha deciso di far sigillare e distruggere la casa del sospetto.

Il segretario di Stato USA Antony Blinken ha duramente condannato l’attacco in vista della sua visita nella regione intesa a ridurre le tensioni.

Prendere di mira deliberatamente civili innocenti è ripugnante e inconcepibile,” ha detto Blinken in un comunicato.

La colonia israeliana di Ramot venne costruita nel 1974 su terreni confiscati ai villaggi palestinesi di Beit Iksa e Beit Hanina.

Israele rivendica tutta Gerusalemme come sua capitale indivisibile, mentre l’Autorità Nazionale Palestinese vorrebbe Gerusalemme est, conquistata da Israele nella guerra dei Sei Giorni del 1967, come capitale del suo futuro Stato.

Da quando lo scorso anno Israele ha incrementato le incursioni e i palestinesi gli “attacchi individuali” in Israele, a Gerusalemme est e in Cisgiordania occupate le ostilità sono aumentate vertiginosamente.

Secondo l’importante associazione israeliana per i diritti umani B’Tselem nel 2022, l’anno più letale in quei territori dal 2004, circa 150 palestinesi sono stati uccisi a Gerusalemme est e in Cisgiordania occupate.

L’anno scorso 30 persone sono morte in attacchi palestinesi contro israeliani.

In base a un calcolo dell’Associated Press [agenzia di notizie USA, ndt.] finora quest’anno sono stati uccisi 43 palestinesi, 10 dei quali in un conflitto a fuoco durante un’incursione dell’esercito a Jenin, in Cisgiordania.

Il nuovo governo israeliano di estrema destra guidato da Netanyahu ha accusato il precedente esecutivo di inazione dopo una serie di attacchi palestinesi, sollevando interrogativi riguardo alla sua posizione nei confronti dei palestinesi in un momento di accresciute tensioni.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Esperimento fallito: tre motivi per cui Israele teme un ampio conflitto contro Gaza 

Ramzy Baroud

6 febbraio 2023 Middle East Monitor

Sebbene le precedenti guerre di Israele contro Gaza siano spesso state giustificate da Tel Aviv come risposta ai razzi palestinesi o generalmente come azioni di autodifesa, la verità è diversa. Storicamente la relazione di Israele con Gaza è stata determinata dalla necessità di Tel Aviv di creare diversivi alla propria complicata politica, per mostrare i muscoli ai suoi nemici nella regione e per testare le sue innovazioni belliche.

Sebbene la Cisgiordania occupata, e in effetti anche altri Paesi arabi, siano stati usati come campi di prova per la macchina militare israeliana, nessun altro luogo ha permesso a Israele di sperimentare le proprie armi così a lungo come Gaza, facendo di Israele nel 2022 il decimo esportatore globale di armi.

C’è un motivo per cui Gaza è ideale per tali grandiosi, seppur tragici, esperimenti.

Gaza è il posto perfetto per raccogliere informazioni dopo che le nuove armi sono state schierate e usate sul campo di battaglia. Nella Striscia abitano, ammassati in 365 km², due milioni di palestinesi che vivono una misera esistenza, praticamente senza acqua potabile e poco cibo. Infatti, grazie alle cosiddette ‘cinture di sicurezza’ di Israele, gran parte del terreno coltivabile di Gaza che confina con Israele è off limits. I contadini sono spesso uccisi da cecchini israeliani quasi con la stessa frequenza con cui anche i pescatori di Gaza sono presi di mira se si avventurano oltre le tre miglia nautiche a loro assegnate dalla marina israeliana.

The Lab“, [Il laboratorio, N.d.T.], un premiato documentario israeliano uscito nel 2013, descrive con angosciosi dettagli come Israele abbia trasformato milioni di palestinesi in un vero e proprio laboratorio umano per testare nuove armi. Anche prima, ma soprattutto da allora, Gaza è il principale campo di prova per usare questi armamenti.

Gaza è stato ‘ il laboratorio’ anche per esperimenti politici israeliani.

Dal dicembre 2008 al gennaio 2009, quando l’allora prima ministra israeliana pro-tempore Tzipi Livni decise, parole sue, di ” andarci giù pesante”, lanciò contro Gaza una delle guerre più letali sperando che la sua avventura militare l’avrebbe aiutata a consolidare il sostegno al suo partito nella Knesset.

All’epoca Livni era a capo di Kadima [partito politico israeliano centrista, N.d.T.], fondato nel 2005 dall’ex leader del Likud Ariel Sharon. Subentratagli, Livni volle dimostrare il suo valore di personalità forte capace di dare una lezione ai palestinesi.

Sebbene il suo esperimento le avesse guadagnato un certo consenso nelle elezioni del febbraio 2009, dopo la guerra del novembre 2012 le si ritorse contro, nelle elezioni del gennaio 2013 Kadima fu quasi annientata e alla fine scomparve completamente dalla mappa politica israeliana.

Quella non è stata né la prima né l’ultima volta in cui i politici israeliani hanno cercato di usare Gaza e distrarre dalle proprie sventure politiche o per dimostrare le loro credenziali come protettori di Israele uccidendo palestinesi.

Tuttavia nessuno ha perfezionato l’uso della violenza per guadagnare consensi politici quanto l’attuale primo ministro Benjamin Netanyahu. Ritornando a capo del governo più estremista nella storia di Israele, Netanyahu è ansioso di restare al potere, soprattutto perché la sua coalizione di destra ha un sostegno più solido nella Knesset di tutti gli altri cinque governi degli ultimi tre anni.

Con un elettorato di destra a favore della guerra che è molto più interessato all’espansione illegale delle colonie e alla ‘sicurezza’ che alla crescita economica o all’uguaglianza socioeconomica, Netanyahu dovrebbe, almeno tecnicamente, essere in una posizione più forte per lanciare un’altra guerra contro Gaza. Allora perché sta esitando?

Il primo febbraio un gruppo palestinese ha lanciato un razzo verso il sud di Israele causando una risposta israeliana intenzionalmente limitata.

Secondo le fazioni palestinesi della Striscia assediata il razzo fa parte della continua ribellione armata dei palestinesi della Cisgiordania. Doveva servire a dimostrare l’unità politica fra Gaza, Gerusalemme e la Cisgiordania.

La Cisgiordania sta vivendo i suoi giorni più cupi. Solo a gennaio sono stati uccisi dall’esercito israeliano 35 palestinesi, dieci dei quali sono morti a Jenin in un solo raid israeliano. Un palestinese che ha agito da solo ha reagito uccidendo sette coloni ebrei nella Gerusalemme Est occupata, la scintilla perfetta di quella che normalmente avrebbe causato una massiccia risposta israeliana.

Ma tale risposta per ora è stata limitata alla demolizione di case, arresti e tortura dei famigliari degli aggressori, assedio militare di varie città palestinesi e centinaia di attacchi individuali di coloni ebrei contro i palestinesi.

Una guerra vera e propria, specialmente a Gaza, non si è ancora concretizzata. Ma perché?

Primo, i rischi politici di attaccare Gaza con una lunga guerra, almeno per ora, prevalgono sui vantaggi. Sebbene la coalizione di Netanyahu sia relativamente stabile, le aspettative degli alleati estremisti del primo ministro sono molto alte. Una guerra con un esito incerto potrebbe essere considerato dai palestinesi come una vittoria, un’idea che da sola potrebbe mandare in pezzi la coalizione. Anche se Netanyahu potrebbe scatenare una guerra come ultima risorsa, al momento non ha bisogno di un’alternativa così rischiosa.

Secondo, la resistenza palestinese è più forte che mai. Il 26 gennaio Hamas ha dichiarato di aver usato missili terra-aria per respingere un attacco israeliano contro Gaza. Sebbene l’arsenale militare del gruppo di Gaza sia piuttosto rudimentale, quasi tutto prodotto in loco, è molto più avanzato e sofisticato se confrontato con le armi usate durante la cosiddetta “Operazione [israeliana] Piombo fuso ” nel 2008.

E infine le riserve di munizioni israeliane devono essere al loro punto più basso da molto tempo. Ora che gli USA, il maggiore fornitore di armi a Israele, ha attinto alla sua riserva di armi strategiche a causa della guerra Russia-Ucraina, Washington non sarà in grado di rifornire gli arsenali israeliani con costanti forniture di armamenti come aveva fatto l’amministrazione Obama durante la guerra del 2014. Persino più preoccupante per l’esercito israeliano, a gennaio il New York Times ha rivelato che “il Pentagono sta attingendo a una vasta, ma poco nota, scorta di forniture militari americane in Israele per andare incontro alla disperata necessità di proiettili di artiglieria in Ucraina …”

Sebbene ci sia un maggiore rischio di guerre israeliane contro Gaza rispetto al passato, un Netanyahu intrappolato e messo in difficoltà potrebbe ancora far ricorso a un tale scenario se avesse la sensazione che la sua leadership fosse in pericolo. Infatti nel maggio 2021 il leader israeliano ha fatto proprio questo. Eppure anche allora non ha potuto salvare sé stesso o il proprio governo da una sconfitta umiliante.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




A Gerusalemme non c’è nessuna spirale di violenza, solo un’oppressione mortale del mio popolo da parte di Israele

Jalal Abukhater

martedì 7 febbraio 2023 – The Guardian

Dalle demolizioni di case alla detenzione militare, la violenza che noi palestinesi affrontiamo quotidianamente riflette lo squilibrio di potere tra occupante e occupato

I bulldozer sono quasi quotidianamente in azione. Nei quartieri palestinesi di Gerusalemme, la mia città, le forze israeliane demoliscono case quasi ogni giorno. L’espropriazione e la discriminazione sono una realtà di lunga data qui nella parte orientale della città, da 56 anni sotto l’occupazione militare israeliana, ma con il nuovo governo israeliano di estrema destra Gerusalemme ha visto un picco di demolizioni: nel solo mese di gennaio sono stati distrutti più di 30 edifici.

Le notizie che giungono dalla nostra regione nelle capitali occidentali e nei media tendono a parlare prevalentemente di spargimenti di sangue e il popolo palestinese sta attraversando alcuni dei giorni più violenti, distruttivi e letali degli ultimi tempi. Nella Cisgiordania occupata il 2022 è stato l’anno più letale in quasi due decenni. A gennaio altri 31 palestinesi sono stati uccisi dal fuoco israeliano. Disperazione, frustrazione e angoscia aleggiano su tutti noi come una nuvola scura. Ma i numeri da soli non esprimono la portata di questa crudeltà.

I numeri delle vittime e i luoghi comuni su spirali di violenza riportati da media male informati, prevenuti o servili non sono corretti o sufficienti per trasmettere lo squilibrio di potere tra un occupante e un occupato. La violenza a cui noi palestinesi siamo esposti quotidianamente non proviene solo dalle armi dell’esercito israeliano, ma è insieme profonda e strutturale.

Non ci sono cicli di demolizioni di case” o espulsioni per ritorsione” – i palestinesi non confiscano proprietà israeliane né imprigionano migliaia di israeliani con l’impiego di tribunali militari. Qualsiasi approccio che suggerisca una simmetria di potere o di responsabilità – è concettualmente e moralmente sbagliato.

Un microcosmo di questa violenza strutturale si trova proprio qui, nella mia città natale, Gerusalemme. Il mese scorso un palestinese armato ha ucciso sette israeliani nell’insediamento coloniale di Neve Yaakov nella Gerusalemme est occupata. Il ministro della sicurezza nazionale israeliano, Itamar Ben-Gvir, si è successivamente impegnato a intensificare le demolizioni delle case palestinesi costruite senza permessi, formulando tale mossa come una risposta all’attacco.

La maggior parte delle case palestinesi sono prese di mira per assenza di autorizzazione; infatti, nella mia città, almeno un terzo delle abitazioni palestinesi non dispone del rilascio di un’autorizzazione da parte di Israele, il che in qualsiasi momento pone a rischio di sfollamento forzato 100.000 residenti di Gerusalemme est occupata.

Infatti, dall’inizio dell’occupazione israeliana di Gerusalemme est nel 1967, praticamente non è stata condotta alcuna pianificazione pubblica riguardante i quartieri palestinesi. Nella parte orientale della città sono state costruite con ogni tipo di sostegno governativo cinquantacinquemila case per gli ebrei israeliani mentre per i palestinesi ne sono state costruite meno di 600. Questa politica ha assicurato non solo che i palestinesi avessero alloggi inadeguati, ma anche che nella città rappresentassero una minoranza.

Nonostante i palestinesi costituiscano oltre il 37% dei residenti di Gerusalemme, solo l’8,5% del terreno della città è destinato ai loro bisogni residenziali (e anche lì il potenziale edificabile è limitato). Tra il 1991 e il 2018, solo il 16,5% di tutti i permessi di costruzione di alloggi rilasciati dal comune di Gerusalemme hanno riguardato quartieri palestinesi nella zona est occupata e annessa illegalmente. La cosiddetta costruzione illegale o non autorizzata da parte dei palestinesi è una risposta alla cronica carenza di alloggi basata sulla discriminazione.

Più di recente, Ben-Gvir e il vicesindaco di Gerusalemme, Aryeh King, hanno annunciato l’imminente demolizione di un edificio abitativo a Wadi Qaddum, Silwan [quartiere di Gerusalemme est, ndt.], sulla base del fatto che è stato costruito su un terreno destinato a “sport e tempo libero”, e non ad uso residenziale. Una volta iniziata, sauna demolizione di grandi dimensioni, con lo sfollamento di circa 100 residenti. Solo negli ultimi 10 anni a Gerusalemme Est sono stati demoliti 1.508 edifici palestinesi, facendo sì che 2.893 persone, metà delle quali minorenni, restassero senza casa.

Anche la Cisgiordania occupata è segnata da una realtà brutale.

Nella cosiddetta Area C (60% della Cisgiordania) [sotto il temporaneo completo controllo israeliano secondo gli accordi di Oslo del 1993, ndt.] non è consentita quasi alcuna costruzione palestinese. Le autorità israeliane demoliscono costantemente case, strade, cisterne, pannelli solari e altro ancora di proprietà palestinese. Gli insediamenti coloniali, considerati illegali dal diritto internazionale, sono in espansione, mentre i palestinesi sono confinati in enclavi frammentate.

Con l’aumento del numero di demolizioni ed espulsioni a Gerusalemme e in Cisgiordania sono minacciate intere comunità. Ma dovremmo ricordare che il costo più evidente è a livello individuale: il singolo nucleo famigliare che perde tutto ciò che ha al mondo. I muri crollano, i bambini piangono e i genitori si affrettano a capire cosa fare o dove andare dopo. È una catastrofe ed è continua.

La mancanza di un’autorizzazione impossibile da ottenere non è l’unico pretesto per demolire proprietà palestinesi; le autorità di occupazione israeliane stanno anche distruggendo o sigillando le case come forma di punizione collettiva, severamente vietata dal diritto internazionale. Gli atti di espulsione forzata di una popolazione occupata costituiscono un crimine di guerra. E’ una crudeltà incredibile.

Queste demolizioni ed evacuazioni sono una parte della violenza strutturale che noi palestinesi affrontiamo ogni giorno. Questo governo israeliano può mettere in atto nuove crudeli manifestazioni dell’occupazione, ma le basi sono state gettate dalle coalizioni che si sono succedute al governo dal 1967, dai laburisti al Likud.

Ecco perché noi palestinesi non ci sentiamo sollevati per la folla di israeliani che protestano contro le riforme giudiziarie proposte. Per decenni le nostre terre sono state confiscate e le persone sfollate da politici israeliani eletti di vari partiti, con approvazione da parte di ogni livello del sistema giudiziario. Occupazione e politiche razziste ci sono state imposte da chi si trova all’interno dell’attuale coalizione di governo e da molti che attualmente ne stanno fuori.

Questa violenza è la nostra realtà e affrontare una tale realtà è un primo passo necessario nella nostra lotta per la dignità e la giustizia. Incolpare le vittime o chiudere il dialogo [con loro] non farà che prolungare la nostra sofferenza. Non è una spirale di violenza, è un sistema di apartheid e deve essere trattato come tale dal mondo esterno.

Jalal Abukhater è un giornalista di Gerusalemme

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Rapporto OCHA del periodo 10 – 30 Gennaio 2023

Questo rapporto copre eccezionalmente tre settimane.

1). In Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, durante il periodo di riferimento, sono stati uccisi 31 palestinesi, 6 israeliani e un cittadino straniero; sono rimasti feriti 441 palestinesi e nove israeliani, compreso un membro delle forze israeliane.

2). Durante una operazione condotta da forze israeliane nel Campo profughi di Jenin sono stati uccisi dieci palestinesi, tra cui due minori e una donna, e altri 26 sono rimasti feriti: tutti colpiti con proiettili veri. Questo è il numero più alto di palestinesi uccisi in una singola operazione da quando, nel 2005, l’OCHA iniziò a registrare in Cisgiordania il numero di vittime. Lo stesso giorno, un undicesimo palestinese è stato ucciso da forze israeliane nella città di Ar Ram (Gerusalemme), nel corso di una protesta contro l’operazione condotta a Jenin (seguono dettagli). Il 26 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo. Secondo l’esercito israeliano, citato dai media israeliani, l’operazione era finalizzata all’arresto di palestinesi sospettati di pianificare attacchi contro israeliani. Durante l’operazione le forze israeliane hanno circondato un edificio; ne è nato uno scambio a fuoco con palestinesi, tre dei quali sono stati uccisi e un altro è stato arrestato; tutti e quattro sono stati rivendicati dalla Jihad islamica come affiliati. Altri tre palestinesi sono stati uccisi in scontri a fuoco con forze israeliane: costoro sono stati rivendicati come affiliati sia dalla Brigata dei martiri di Al-Aqsa che dalla Jihad islamica. Inoltre, tre palestinesi, tra cui due minori (16 e 17 anni) e una donna palestinese di 61 anni, sono stati colpiti e uccisi con proiettili veri da forze israeliane, benché, secondo quanto riferito, non costituissero alcuna minaccia immediata. Durante l’operazione di cui sopra, le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni nelle vicinanze dell’ospedale di Jenin, colpendo l’unità pediatrica e rendendo necessaria l’evacuazione dei pazienti, compresi i minori. Quando le forze israeliane hanno sparato con missili a spalla contro l’edificio residenziale dove sono stati uccisi i tre palestinesi, sono stati distrutti diversi appartamenti, provocando lo sfollamento di tre persone. Durante l’operazione nessun soldato israeliano ha riportato ferite. Un palestinese, rivendicato come affiliato dalla Brigata dei martiri di Al-Aqsa, è deceduto il 29 gennaio per le ferite da arma da fuoco riportate il 26 gennaio nel Campo profughi di Jenin. Dopo l’operazione, in tutta la Cisgiordania, i palestinesi hanno tenuto manifestazioni; nel corso di alcune di esse i partecipanti hanno lanciato pietre e mortaretti contro le forze israeliane che, a loro volta, hanno sparato lacrimogeni, proiettili di gomma e proiettili veri. Un palestinese è stato ucciso vicino alla città di Ar Ram (Gerusalemme) durante una protesta contro l’operazione di Jenin e almeno altri 147 sono rimasti feriti (vedi sotto).

3). In un insediamento israeliano a Gerusalemme est, un palestinese ha sparato, uccidendo sei israeliani, tra cui un minore, e un cittadino straniero (per un totale di sette vittime); cinque israeliani sono rimasti feriti in questo e in un altro attacco palestinese, sempre in Gerusalemme est (seguono dettagli). Il 27 gennaio, un palestinese ha sparato, uccidendo sei israeliani, tra cui un ragazzo di 14 anni, e un cittadino straniero; ne ha quindi feriti altri tre nell’insediamento israeliano di Neve Ya’acov a Gerusalemme est. L’aggressore è stato successivamente colpito e ucciso dalla polizia israeliana. Dal 2008 questo è l’attacco più mortale condotto da palestinesi contro israeliani.

Il 28 gennaio, a Silwan, Gerusalemme est, un palestinese di 13 anni ha sparato, ferendo due israeliani, prima di essere colpito e ferito. Sono state segnalate altre due sparatoria: una vicino ad Almog, un insediamento israeliano a sud di Gerico, e un secondo contro un autobus israeliano sulla strada 60 vicino all’insediamento di Karmei Tsur, a nord di Hebron. Non sono stati segnalati feriti, solo danni al bus. Sulle strade della Cisgiordania, in ulteriori tre episodi separati, almeno tre veicoli israeliani sono stati danneggiati da pietre o bottiglie incendiarie lanciate da persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali.

4). In Cisgiordania, forze israeliane hanno ucciso sette palestinesi, tra cui un ragazzo; altri due palestinesi sono morti per le ferite riportate durante operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte da forze israeliane (seguono dettagli). L’11 gennaio, nel Campo profughi di Balata (Nablus), durante uno scontro a fuoco seguito a un’incursione sotto copertura di un’unità dell’esercito israeliano, forze israeliane hanno sparato con proiettili veri, ferendo un palestinese che in seguito è morto per le ferite riportate.

Il 12 gennaio, nel Campo profughi di Qalandiya (Gerusalemme), durante un’operazione di ricerca-arresto, un palestinese è stato ucciso da forze israeliane mentre cercava di impedire loro di arrestare il figlio.

Il 16 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Ad Duheisha (Betlemme), innescando scontri con palestinesi che hanno lanciato pietre e bottiglie molotov, mentre le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni: un ragazzo palestinese di 14 anni è rimasto ucciso, colpito da proiettili veri.

Il 19 gennaio, forze israeliane hanno effettuato una operazione nel Campo profughi di Jenin, dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi; due palestinesi sono stati uccisi, tra cui un insegnante che stava cercando di aiutare uno dei palestinesi feriti durante l’operazione. Durante la stessa operazione, secondo quanto riferito, un soldato israeliano è stato ferito da un ordigno esplosivo lanciato da un palestinese e tre palestinesi sono stati arrestati.

Il 12 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nella città di Qabatiya (Jenin), dove hanno avuto uno scontro a fuoco con palestinesi, due dei quali sono stati colpiti e uccisi.

Inoltre, il 14 e il 25 gennaio, un palestinese è morto per le ferite riportate il 2 gennaio ad opera delle forze israeliane a Kafr Dan (Jenin); un altro è stato ucciso nel Campo profughi di Shu’fat (Gerusalemme), colpito da proiettili veri sparati da forze israeliane durante scontri tra manifestanti e forze israeliane; entrambi sono rimasti uccisi durante demolizioni punitive di case di due palestinesi che avevano ucciso soldati israeliani prima di essere uccisi a loro volta.

5). In episodi separati, alcuni dei quali avvenuti ai checkpoints militari israeliani prossimi a Ramallah, Qalqilya e Hebron, forze israeliane hanno ucciso altri sette palestinesi, compreso un minore (seguono dettagli). Il 14 gennaio, nei pressi di Al Fandaqumiya (Jenin), forze israeliane hanno inseguito due palestinesi, colpendoli ed uccidendoli nel loro veicolo; secondo l’esercito israeliano, avevano aperto il fuoco contro soldati nei presi di Jaba’ (Jenin).

Il 15 gennaio, a un checkpoint volante disposto all’ingresso di Silwad (Ramallah), forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese; secondo testimoni oculari, è stato colpito da una distanza ravvicinata, dopo essere sceso dall’auto per controllare il figlio, che era stato spruzzato da forze israeliane con spray al peperoncino. Secondo i media israeliani, le forze israeliane hanno inizialmente affermato che l’uomo aveva lanciato pietre o aveva cercato di sottrarre l’arma ad un soldato; tuttavia, successivamente hanno ammesso che l’uccisione potrebbe essere stata ingiustificata.

Il 17 gennaio, un palestinese ha aperto il fuoco contro soldati in servizio ad un checkpoint militare vicino all’ingresso di Halhul (Hebron); è stato colpito e ucciso. Secondo le forze israeliane, che ne hanno trattenuto il corpo, l’uomo era sospettato di aver sparato contro un autobus il 15 gennaio. Durante l’episodio, due passanti palestinesi sono stati colpiti e feriti con proiettili veri dalle forze israeliane.

In un altro episodio, accaduto il 30 gennaio al checkpoint militare di Al Salaymeh, nell’area H2 della città di Hebron, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, aveva cercato di fuggire dopo essere passato con l’auto sul piede di un soldato.

Altri due distinti episodi sono stati registrati nei pressi dell’insediamento israeliano di Kedumim a est di Qalqiliya. Nel primo, accaduto il 25 gennaio, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, aveva cercato di accoltellare soldati israeliani posizionati a un checkpoint. Nel secondo caso, accaduto il 29 gennaio, una guardia dell’insediamento israeliano ha sparato, uccidendo un palestinese che, secondo le forze israeliane, era stato avvistato vicino all’insediamento con una pistola. In nessuno dei cinque episodi sopra descritti è stato registrato alcun ferimento di israeliani.

Il 27 gennaio, un sedicenne palestinese è deceduto per ferite: il 25 gennaio era stato colpito da forze israeliane durante una manifestazione palestinese tenutasi nell’area di Silwan a Gerusalemme Est per protestare contro una demolizione punitiva avvenuta nel Campo profughi di Shu’fat (altri dettagli sotto).

6). Nei pressi degli avamposti di insediamenti di nuova costituzione a Hebron e Ramallah, coloni israeliani hanno sparato, uccidendo due palestinesi: il primo aveva accoltellato un colono israeliano; il secondo aveva tentato l’accoltellamento (seguono dettagli). L’11 gennaio, nei pressi di un nuovo avamposto colonico costruito su un terreno appartenente a palestinesi di As Samu’ (Hebron), un palestinese ha aggredito e ferito con un coltello un colono israeliano; a sua volta l’aggressore è stato colpito, con arma da fuoco, e ucciso da un altro colono.

Il 21 gennaio, nei pressi di un avamposto colonico di nuova costituzione vicino a Kafr Ni’ma (Ramallah), un altro palestinese è stato colpito e ucciso da un colono israeliano; come mostrato in un filmato pubblicato sui media israeliani, il palestinese aveva tentato un accoltellamento. I corpi di entrambi i palestinesi sono stati trattenuti dalle autorità israeliane.

7). In Cisgiordania, durante il periodo di riferimento, 422 palestinesi, tra cui almeno 49 minori, sono stati feriti da forze israeliane; 74 di loro (18%) sono stati colpiti da proiettili veri (seguono dettagli). Dei feriti, 249 (59 %) sono stati registrati in varie manifestazioni, comprese quelle contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso relative agli insediamenti vicino a Kafr Qaddum (Qalqilya), Beit Dajan, Beita e Jurish (tutte a Nablus) e altre manifestazioni contro l’operazione Jenin che ha comportato la morte di dieci palestinesi (vedi sopra).

In altri sette episodi separati, tutti registrati nel governatorato di Nablus, 95 palestinesi sono rimasti feriti in seguito all’ingresso di coloni israeliani nelle Comunità palestinesi, accompagnati dalle forze israeliane.

Altri 70 feriti si sono avuti in operazioni di ricerca-arresto e in altre operazioni condotte da forze israeliane; tre si sono verificati durante demolizioni (vedi sotto); altri cinque feriti sono stati registrati a Tulkarm, Jenin e Qalqilya, quando forze israeliane hanno sparato proiettili veri contro palestinesi che cercavano di attraversare varchi nella Barriera per raggiungere il loro posto di lavoro in Israele. Complessivamente, 288 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 74 sono stati colpiti da proiettili veri, 45 sono stati feriti con proiettili di gomma, sei sono stati aggrediti fisicamente, uno è stato colpito da una granata assordante, quattro da lacrimogeni e quattro da schegge.

8). Coloni israeliani hanno ferito 18 palestinesi, tra cui almeno un minore, in nove episodi, e persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno causato danni a proprietà palestinesi in altri 42 casi (oltre a quelli feriti da forze israeliane nel summenzionato episodio riferito a coloni / seguono dettagli). Il 27 gennaio, sulla strada 60 vicino all’ingresso di Beita (Nablus), cinque palestinesi sono stati colpiti e feriti con proiettili veri sparati da coloni israeliani che hanno aperto il fuoco su un gruppo di palestinesi.

L’11 e il 28 gennaio, su una strada principale, vicino a Huwwara e Qusra (entrambe a Nablus), coloni israeliani hanno preso a sassate un veicolo palestinese, ferendo tre palestinesi.

Il 13 gennaio, in prossimità della Comunità di Al Mu’arrajat East (Ramallah), coloni israeliani hanno attaccato con bastoni e manganelli escursionisti palestinesi, ferendo due donne.

Il 18 gennaio, nelle vicinanze della Comunità di Khirbet Bir Al Idd di Masafer Yatta (Hebron), coloni israeliani hanno ferito due pastori palestinesi ed hanno attaccato il loro bestiame.

Il 20 gennaio, nel villaggio di Jurish (Nablus), coloni avevano collocato delle roulottes per impossessarsi di terreni di proprietà palestinese; ne è seguito uno scontro, con reciproco lancio di pietre, tra coloni israeliani e palestinesi e due palestinesi e un colono sono rimasti feriti.

Il 28 gennaio, a Qusra, coloni israeliani hanno attaccato i residenti palestinesi con pietre: due palestinesi sono rimasti feriti e sono stati segnalati danni a due veicoli e a una casa.

Il 27 e il 29 gennaio, in altri due distinti episodi, coloni israeliani hanno attaccato palestinesi che viaggiavano sulle strade vicino a Salfit e Huwwara, aggredendoli fisicamente e spruzzandoli con gas al peperoncino, ferendo due uomini e provocando danni ai loro veicoli.

In altri diciassette episodi, più di 1.500 alberi sono stati vandalizzati su terreni palestinesi, alcuni dei quali vicino a insediamenti israeliani, comprese aree in cui l’accesso palestinese richiede l’approvazione dell’esercito israeliano (comunemente indicato come “previo coordinamento”).

In altre tredici occasioni, persone conosciute come coloni, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, danneggiandone almeno ventuno. Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate in dodici episodi registrati nei pressi di Al Ganoub e A Seefer (entrambi a Hebron), Kisan (Betlemme), Ras ‘Ein al ‘Auja (Gerico) e Beit Sira, Al Mazra’a al Qibliya, Turmus’ayya (tutti a Ramallah); secondo testimoni oculari e fonti della Comunità locale, questi includevano strutture agricole, trattori, raccolti e bestiame.

9). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto la gente a demolire 88 strutture, comprese 21 abitazioni. Tre delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 99 palestinesi, tra cui 54 minori, sono stati sfollati e i mezzi di sussistenza di oltre 21.000 altri ne sono stati colpiti. Cinquantacinque delle strutture si trovavano in Area C, comprese cinque strutture demolite in base al Military Order 1797, che fornisce solo un preavviso di 96 ore e motivi molto limitati per impugnare legalmente una demolizione. Le restanti ventisei strutture sono state demolite a Gerusalemme est, di cui otto sono state distrutte dai loro proprietari, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. In Area B della Cisgiordania, le autorità israeliane hanno sigillato due pozzi d’acqua artigianali in costruzione, uno ad Habla e un altro a Kaqr Laqif (entrambi a Qalqiliya); entrambi i pozzi avrebbero fornito la principale fonte di acqua potabile e irrigazione per almeno 1.500 famiglie palestinesi in quattro Comunità.

10). Il 25 gennaio forze israeliane hanno fatto irruzione nel Campo profughi di Shu’fat, e il 28 gennaio a Ras al ‘Amud, entrambi a Gerusalemme est, dove hanno demolito o sigillato due edifici a più piani appartenenti a famiglie i cui membri avevano ucciso un soldato israeliano il 19 ottobre 2022, e sei israeliani e un cittadino straniero il 27 gennaio 2023. Di conseguenza, due famiglie, composte da 13 persone, tra cui cinque minori, sono state sfollate. Durante la demolizione nel Campo profughi di Shu’fat, i palestinesi hanno lanciato pietre contro le forze israeliane, che hanno sparato proiettili veri: un palestinese è stato ucciso (riportato sopra). Dall’inizio dell’anno, le autorità israeliane hanno demolito o sigillato, per motivi punitivi, quattro case e un’altra struttura, rispetto alle undici in tutto il 2022 e tre nel 2021. Queste includono tre strutture in Area B e due a Gerusalemme est. Queste demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva, proibita dal diritto internazionale e spesso innescano scontri tra le Comunità palestinesi e le forze israeliane, con conseguenti vittime.

11). Nel sud di Hebron una scuola finanziata da donatori è a rischio imminente di demolizione. Il 18 gennaio, l’Alta Corte di giustizia israeliana ha stabilito che il piano delle autorità israeliane di demolire la scuola può procedere a partire dal 28 gennaio. La scuola finanziata da donatori è frequentata da 47 minori della Comunità beduina palestinese di Khashm Al Karem, situata in un’area designata come “Zona a fuoco 917” nel sud di Hebron.

12). In Cisgiordania le chiusure continuano a interrompere l’accesso di migliaia di palestinesi a mezzi di sussistenza e servizi. A seguito di un attacco con armi da fuoco, accaduto il 28 gennaio nei pressi di Almog (un insediamento israeliano a sud di Gerico) dove non sono stati segnalati feriti o danni, forze israeliane hanno dispiegato checkpoints volanti davanti a tutti gli ingressi e le uscite della città di Gerico, e successivamente hanno chiuso tutti e cinque i punti di accesso da e per Jericho City per un giorno intero (28 gennaio). Da allora sono stati eretti cinque checkpoints, compreso l’utilizzo di blocchi di cemento, e gli ingressi principali della città sono presidiati da forze israeliane. Ai checkpoints sono state effettuate lunghe perquisizioni, soprattutto all’uscita dalla città di Gerico. Ciò ha limitato il movimento di circa 50.000 persone, costringendo i residenti a utilizzare strade sterrate alternative e lunghe deviazioni per accedere a cliniche, scuole e mercati. In altri due circostanze, il 23 e il 29 gennaio, nell’area H2 della città di Hebron, forze israeliane hanno chiuso l’As Salaymeh (Checkpoint 160) per diverse ore durante l’orario scolastico. Ciò ha limitato gli spostamenti di circa 1.200 residenti della zona ed ha pregiudicato l’accesso di circa 300 studenti alle undici scuole vicine. In una di queste occasioni, le forze israeliane hanno applicato limiti di età, consentendo di attraversare il checkpoint solo ai minori sotto i 13 anni. Il 15 gennaio, l’esercito israeliano ha bloccato, con cumuli di terra e blocchi di cemento, l’ingresso della Comunità di Khirbet ‘Atuf a Tubas, ostacolando il movimento di almeno 120 palestinesi; secondo quanto riferito in risposta al lancio di pietre palestinesi contro veicoli israeliani.

13). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso, in almeno 56 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento; non sono stati segnalati feriti o danni. In una occasione, bulldozer militari israeliani hanno spianato terreni all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale a est di Khan Younis.

14). Sempre nella Striscia di Gaza, il 25 e 26 gennaio, gruppi armati palestinesi hanno lanciato una serie di razzi e proiettili verso il sud di Israele; i razzi sono stati intercettati o sono caduti in aree aperte a Gaza e in Israele. Forze israeliane hanno lanciato una serie di attacchi aerei contro siti militari appartenenti a gruppi armati della Striscia di Gaza. Non sono stati segnalati feriti da entrambe le parti, ma sono stati provocati danni ai siti presi di mira a Gaza.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Manifestazioni dopo le minacce israeliane di distruggere un villaggio palestinese

Redazione di Al Jazeera

23 gennaio 2023 – Al Jazeera

Khan al-Ahmar si trova nella Cisgiordania occupata in un corridoio che Israele progetta di usare per collegare colonie israeliane illegali.

Decine di palestinesi hanno manifestato contro le minacce dei massimi dirigenti politici israeliani di attuare a breve lo spostamento forzato del villaggio beduino palestinese di Khan al-Ahmar, situato alla periferia orientale di Gerusalemme, ove risiedono circa 180 persone.

La protesta si è svolta lunedì dopo che Itamar Ben-Gvir, politico di estrema destra e ministro della Sicurezza Nazionale, ha detto che avrebbe proceduto con la rimozione forzata del villaggio e dopo che sono emersi i piani per una visita alla località dei ministri di estrema destra, inclusi Ben-Gvir e Bezalel Smotrich.

Alla fine vari politici del Likud, il principale partito del parlamento israeliano, si sono riuniti vicino al villaggio per poi andarsene.

Sabato Ben-Gvir ha detto che il governo del primo ministro Benjamin Netanyahu “non adotterà norme giuridiche diverse per ebrei e per arabi” dopo lo sgombero da parte delle forze israeliane di un avamposto illegale ebraico nella Cisgiordania settentrionale occupata.

Comunque i palestinesi hanno precisato che si oppongono al paragone, secondo loro falso, fra Khan al-Ahmar e le colonie israeliane che sono illegali secondo il diritto internazionale.

Eid Jahalin, che si definisce il portavoce del villaggio, alle manifestazioni di lunedì ha detto che “dal 1967 ci sono state ordinanze militari per demolire case, istituire aree militari chiuse e altre che poi queste zone sono state trasformate in colonie illegali e riserve naturali”.

Il nostro destino è di rimanere in questa zona,” sostiene Jahalin. “E non si pensi che si tratti solo di Khan al-Ahmar, ci sono demolizioni nella valle del Giordano, a Masafer Yatta, nella città di Gerusalemme, succede continuamente in tutta la Palestina.”

Il destino di Khan al-Ahmar ha attirato l’attenzione internazionale per la sua pluriennale battaglia legale per la sopravvivenza contro le autorità israeliane.[ cfr. i molti articoli su Zeitun riguardo all’argomento]

Nel settembre 2018, la Corte Suprema Israeliana ha dato il via libera alla rimozione del villaggio, ora in pericolo di essere smantellato in ogni momento, ma da allora i piani di demolizione sono stati sospesi parecchie volte.

Il governo ha fino al primo febbraio per spiegare alla Corte Suprema perché il villaggio non è ancora stato demolito e per presentare un progetto.

Il governo israeliano ha detto che il villaggio è stato “costruito senza permesso”, ma le autorità rendono estremamente difficile ai palestinesi l’ottenimento di permessi di costruzione nella Gerusalemme Est occupata e in quella che è conosciuta come Area C, [sotto il totale ma temporaneo controllo israeliano, N.d.T.] che occupa più del 60% della Cisgiordania occupata. I palestinesi e le organizzazioni per i diritti umani dicono che la politica è parte di una più vasta strategia israeliana per rafforzare e mantenere nella regione una maggioranza demografica ebraica.

Il trasferimento forzato di persone protette in territori occupati è classificata come crimine di guerra ai sensi del diritto internazionale.

Precedentemente Amnesty International ha definito gli sforzi per spostare gli abitanti di Khan al-Ahmar “non solo spietati e discriminatori [ma anche] illegali”.

Nel 2018 Amnesty ha affermato che “il trasferimento forzato della comunità di Khan al-Ahmar costituisce un crimine di guerra”. Israele deve porre termine alla sua politica di distruzione delle abitazioni dei palestinesi e dei loro mezzi di sostentamento per far posto alle colonie.”

Khan al-Ahmar è situato in Cisgiordania, a pochi chilometri da Gerusalemme, e fra le due più grandi colonie illegali israeliane, Maale Adumim e Kfar Adumim.

È situato lungo un corridoio chiave che si estende alla valle del Giordano dove Israele mira a espandere e collegare le colonie, in pratica tagliando in due la Cisgiordania.

Il nostro messaggio principale ai leader palestinesi: … se questo villaggio sarà distrutto, ci sarà una Cisgiordania settentrionale e una Cisgiordania meridionale,” dice Jahalin. “In ciò risiede l’importanza di Khan al-Ahmar.”

Maarouf Rifai, consulente legale della commissione contro il muro e le colonie dell’Autorità Palestinese (AP), ha detto ad Al Jazeera che l’AP non permetterà la demolizione del villaggio.

Questa è terra palestinese. È terra palestinese privata,” ha aggiunto. “Non ci sono altre scuse per il governo israeliano se non lo sviluppo del piano per una ‘Gerusalemme più grande’ e per collegare le colonie intorno Gerusalemme Est e scacciare da questa zona gli arabi palestinesi. Siamo qui per far sentire la nostra voce, per dire che non permetteremo che ciò accada.”

Secondo Amnesty International dall’inizio della sua occupazione della Cisgiordania nel 1967, Israele ha sfrattato forzosamente e sfollato intere comunità e demolito oltre 50.000 abitazioni e strutture palestinesi.

Anche un’altra comunità palestinese, una costellazione di villaggi nota come Masafer Yatta dove vivono oltre 1000 palestinesi vicino a Hebron, nella Cisgiordania meridionale, sta affrontando uno sfratto forzoso imminente da parte del governo israeliano.

L’attivista palestinese Khairy Hanoun, che era presente alla manifestazione a Khan al-Ahmar, dice: “Siamo qui per sfidare la decisione di Ben-Gvir’ e le scelte di tutto questo governo di destra.”

Siamo venuti qui per dir loro: voi demolite i nostri villaggi, le nostre città e le nostre abitazioni, ma non distruggerete la nostra perseveranza,” ha ripetuto ad Al Jazeera.

Usando l’esempio di al-Araqib, un villaggio demolito e ricostruito 211 volte, Hanoun conclude: “Se demolite Khan al-Ahmar, anche se lo demolite 100 volte, noi continueremo a ricostruirlo.”

(Traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 20 dicembre 2022 – 9 gennaio 2023

Questo rapporto copre eccezionalmente tre settimane.

1). Il 21 dicembre, nella città di Nablus, vicino alla tomba di Giuseppe, forze israeliane hanno ucciso un palestinese di 23 anni (seguono dettagli). Le forze israeliane avevano fatto irruzione nella città per consentire a centinaia di coloni israeliani di entrare nel sito, ed avevano collocato postazioni di cecchini sui tetti. I palestinesi hanno protestato contro queste attività, anche lanciando pietre e bruciando pneumatici; sono stati segnalati anche scontri a fuoco. Un palestinese è stato colpito e ucciso e 35 sono rimasti feriti, di cui tre colpiti da proiettili veri sparati dalle forze israeliane; un’ambulanza è stata danneggiata durante un tentativo di evacuazione dei feriti e tre palestinesi sono stati arrestati. Ciò porta a sette il numero totale di palestinesi uccisi, nel 2022, da forze israeliane in accompagnamento di coloni israeliani al sito citato.

2). Forze israeliane hanno ucciso altri quattro palestinesi, tra cui tre minori, e ne hanno feriti altri dodici a Jenin, Betlemme e Nablus (seguono dettagli). Il 2 gennaio, forze israeliane hanno fatto irruzione nel villaggio di Kafr Dan (Jenin) ed hanno usato esplosivi per la “demolizione punitiva” delle case di due palestinesi che, il 14 settembre, uccisero un soldato israeliano al checkpoint militare di Al Jalama, a Jenin; nel susseguente scontro a fuoco i due uomini furono uccisi. Durante la suindicata operazione “punitiva” di Kafr Dan, durata più di 24 ore, le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni, mentre i palestinesi hanno sparato proiettili veri ed hanno lanciato pietre e bottiglie incendiarie. Due palestinesi, di 22 e 17 anni, sono stati colpiti e uccisi e altri dieci sono rimasti feriti, di cui sei con proiettili veri.

Il 3 e 5 gennaio, forze israeliane hanno condotto operazioni di ricerca-arresto nei Campi profughi di Ad Duheisha (Betlemme) e Balata (Nablus). Entrambe le operazioni si sono trasformate in scontri tra palestinesi e forze israeliane; a Balata, si è trattato di scontro a fuoco: due ragazzi di 15 e 16 anni sono rimasti uccisi. Altri due sono stati feriti da proiettili veri e tre persone sono state arrestate.

Durante il periodo in esame, le forze israeliane hanno effettuato 202 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 315 palestinesi, tra cui almeno 30 minori.

3). In Cisgiordania, complessivamente, sono stati feriti dalle forze israeliane 394 palestinesi, tra cui almeno 40 minori. Dei feriti, 210 (55%) sono stati registrati in undici manifestazioni. Questi includevano 205 ferimenti riportati in manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso legate agli insediamenti vicino a Kafr Qaddum (Qalqilya), Beit Dajan (Nablus) e Umm ad Daraj a sud di Hebron. Cinque feriti sono stati segnalati in altre manifestazioni: di solidarietà con la famiglia di un prigioniero palestinese morto il 20 dicembre durante la custodia israeliana, e per chiedere alle autorità israeliane la restituzione dei corpi di palestinesi uccisi e trattenuti dalle forze israeliane. Altri trentaquattro feriti si sono avuti vicino alla tomba di Giuseppe (di cui sopra); 140 registrati in operazioni di ricerca-arresto e altre operazioni condotte dalle forze israeliane; dieci durante una demolizione punitiva a Kafr Dan (Jenin) (vedi anche sotto). Complessivamente, 318 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, 36 sono stati colpiti da proiettili veri, 21 sono stati feriti da proiettili di gomma, cinque sono stati aggrediti fisicamente, uno è stato colpito da una granata assordante, quattro da candelotti lacrimogeni e nove da schegge.

4). Coloni israeliani, in otto casi, hanno ferito venti palestinesi, tra cui cinque minori, e sette donne; e persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno causato danni alle proprietà palestinese in altri 24 casi (seguono dettagli). Oltre ai 35 palestinesi feriti da forze israeliane nel suddetto episodio relativo a coloni accompagnati alla tomba di Giuseppe, 13 palestinesi, tra cui un bambino di 18 mesi e altri due minori, sono stati feriti direttamente da coloni israeliani in quattro episodi accaduti il 23, 28 e il 29 dicembre, su strade principali prossime alla città di Huwwara e al villaggio di Osarin (entrambi a Nablus): in questi casi, coloni hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi.

Il 20 dicembre, due minori sono stati aggrediti fisicamente e feriti quando coloni israeliani sono entrati in un parco pubblico nel villaggio di Al Mazra’a al Qabaliya (Ramallah) hanno aggredendo fisicamente i minori, anche con bastoni.

Il 25 dicembre, il 7 e il 9 gennaio, nella zona di Wadi al Joz di Gerusalemme Est e a Khallet al Louza (Betlemme), coloni israeliani hanno aggredito fisicamente palestinesi, anche con bastoni, ferendone quattro, tra cui due donne, e danneggiando almeno tre case e veicoli palestinesi.

In altri otto casi registrati vicino a Sinjil e Al Mughayir (entrambi a Ramallah), Jit, Kafr Thulth, Immatin, Azzun e Hajja (tutti a Qalqiliya) e Mantiqat Shi’b al Butum (Hebron), circa 400 ulivi sono stati vandalizzati su terreni palestinesi prossimi a insediamenti israeliani; comprese le aree in cui l’accesso da parte di palestinesi richiede l’approvazione dell’esercito israeliano (comunemente indicato come “previo coordinamento”).

In altre sette occasioni, persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli palestinesi, danneggiandone almeno dieci.

Altre proprietà palestinesi sono state danneggiate in dieci episodi accaduti a Nablus o nelle vicinanze, nell’area H2 di Hebron, a Tulkarm e Salfit; in questi casi, secondo testimoni oculari e fonti della Comunità locale, si trattava di strutture agricole, recinzioni in pietra e metallo, telecamere di sorveglianza e raccolti.

5). In cinque episodi, un colono israeliano e un paramedico israeliano sono rimasti feriti e sono stati danneggiati almeno cinque veicoli israeliani, ad opera di persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali; secondo fonti israeliane, avrebbero lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania. Gli episodi sono avvenuti sulle strade vicine a Betlemme, Ramallah e Gerusalemme.

6). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto a demolire 66 strutture, comprese undici case, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere. Ventuno delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 53 palestinesi, tra cui 21 minori, sono stati sfollati e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di oltre 700 altri (seguono dettagli). Sessantuno delle strutture si trovavano in Area C, comprese tre strutture demolite in base a un “Ordine militare 1797” che concede solo un preavviso di 96 ore e motivi molto limitati per impugnare legalmente la demolizione. Le restanti cinque strutture sono state demolite a Gerusalemme est, di cui tre demolite dal proprietario, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane. In un episodio separato, registrato il 27 dicembre, le autorità israeliane hanno confiscato due contenitori d’acqua e due trattori agricoli, di proprietà della Comunità di pastori di Hammamat al Maleh nella valle del Giordano (Tubas); i pastori raccoglievano l’acqua dalla sorgente di Ein al Hilweh. La sorgente, che è una delle principali fonti d’acqua per il consumo domestico e per il bestiame della zona, si trova su un terreno designato come “zona di fuoco” per le esercitazioni militari israeliane e dove l’accesso palestinese è vietato dalle autorità israeliane. Hammamat al Maleh è una delle Comunità più vulnerabili della Cisgiordania, con accesso limitato all’istruzione e ai servizi sanitari, nonché alle infrastrutture idriche, igienico-sanitarie ed elettriche.

7). Il 2 gennaio 2023, forze israeliane hanno fatto irruzione nel villaggio di Kafr Dan (Jenin), in Area B, ed hanno demolito per ragioni “punitive” due case a più piani e una struttura agricola appartenenti a famiglie i cui membri uccisero un soldato israeliano nel settembre 2022. Le case vicine sono state danneggiate. Le famiglie sfollate comprendono 17 persone, tra cui due minori. Durante l’operazione sono stati uccisi due palestinesi (vedi sopra). Nel 2022, sono state demolite per “motivi punitivi” undici case e altre tre strutture; erano state tre nel 2021. Le demolizioni punitive sono una forma di punizione collettiva, in quanto prendono di mira le famiglie di un aggressore, o presunto aggressore, e come tali sono illegali ai sensi del diritto internazionale.

8). Forze israeliane hanno bloccato gli ingressi principali di tre villaggi, interrompendo l’accesso di migliaia di palestinesi a mezzi di sussistenza e ai servizi (seguono dettagli). Il 23 e 24 dicembre e l’8 gennaio, l’esercito israeliano ha limitato il movimento di oltre 15.000 palestinesi chiudendo i cancelli stradali agli ingressi di Azzun (Qalqiliya), Madama (Nablus) e Tuqu’ (Betlemme). La prima sede è rimasta chiusa per alcune ore mentre le ultime due risultava ancora chiuse al termine del presente bollettino. Secondo quanto riferito, tutte le chiusure sono state attuate in risposta al lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli di coloni israeliani.

9). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 50 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, presumibilmente per far rispettare le restrizioni all’accesso; una casa ha subito lievi danni, ma non sono stati registrati feriti. In due occasioni, a est di Gaza City e a est di Khan Younis, bulldozer militari israeliani hanno spianato terreni all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale. In un caso, forze israeliane hanno arrestato un palestinese di Gaza mentre usciva dal valico di Erez. Il 3 gennaio, secondo quanto riferito, un razzo è stato lanciato dalla Striscia di Gaza, ricadendo all’interno della Striscia, vicino alla recinzione perimetrale, senza causare feriti o danni.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

1). Il 16 gennaio, forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nel Campo profughi di Ad Duheisheh (Betlemme), dove hanno sparato a un minore che è morto poco dopo per le ferite riportate.

2). Il 15 gennaio, a un posto di blocco volante approntato all’ingresso di Silwad (Ramallah), forze israeliane hanno ucciso un palestinese.

3). Il 14 gennaio, all’ingresso di Jaba’ (Jenin), forze israeliane hanno ucciso due palestinesi; secondo le prime informazioni provenienti dai media, è stato segnalato uno scontro a fuoco. Lo stesso giorno è deceduto un altro palestinese a causa delle ferite riportate il 2 gennaio a Kafr Dan (Jenin).

4). Il 12 gennaio, forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nel Campo profughi di Qalandia (Gerusalemme) dove hanno sparato, uccidendo un palestinese.

5). Il 12 gennaio, forze israeliane hanno effettuato un’operazione militare nella città di Qabatiya (Jenin), dove ha avuto luogo uno scontro a fuoco con palestinesi; due palestinesi sono rimasti uccisi.

6). L’11 gennaio, in una nuova fattoria colonica nel sud di Hebron, un palestinese ha accoltellato un colono israeliano, ferendolo; a sua volta, è stato colpito con arma da fuoco e ucciso da un altro colono.

7) L’11 gennaio, forze israeliane hanno condotto un’operazione militare nel Campo profughi di Balata (Nablus) e, nel corso di uno scontro a fuoco, un palestinese è rimasto ucciso.

(Maggiori dettagli sugli episodi sopra menzionati saranno forniti nella prossima relazione)

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Rapporto OCHA del periodo 6 -19 Dicembre 2022

1- A Jenin, nel corso di due operazioni di ricerca-arresto, forze israeliane hanno ucciso quattro palestinesi, tra cui una ragazza (seguono dettagli). L’8 dicembre, prima dell’alba, forze israeliane hanno condotto un’operazione di ricerca-arresto nella città di Jenin e nel Campo profughi di Jenin, dove ha avuto luogo uno scontro a fuoco con palestinesi: tre palestinesi sono stati uccisi e altri due sono rimasti feriti, di cui uno colpito con munizioni vere. Una ambulanza ha subito danni, presumibilmente a causa del fuoco delle forze israeliane, e tre persone sono state arrestate. Secondo i media israeliani, che citano l’esercito israeliano, tutte e tre le vittime erano armate ed hanno partecipato allo scontro a fuoco; un’accusa contestata da testimoni oculari e Organizzazioni per i diritti umani che affermano che nessuno dei tre era coinvolto negli scontri.

L’11 dicembre, forze israeliane sotto copertura hanno condotto un’altra operazione di ricerca-arresto nel Campo profughi di Jenin, arrestando tre palestinesi. Si è verificato uno scontro a fuoco con palestinesi durante il quale una ragazza palestinese di 15 anni, che si trovava sul tetto della propria casa, è stata colpita da proiettili veri alla testa e al petto, rimanendo uccisa. Altri tre palestinesi sono rimasti feriti. Secondo l’esercito israeliano, la ragazza è stata colpita involontariamente. In Cisgiordania, ad oggi, per quest’anno, sale a 75 il numero totale (compresi 16 minori) di palestinesi uccisi dalle forze israeliane in operazioni di ricerca-arresto. Complessivamente, durante il periodo in esame, le forze israeliane hanno effettuato 144 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 251 palestinesi, tra cui almeno 24 minori.

2- In Cisgiordania, in altri due episodi, forze israeliane hanno ucciso altri due palestinesi, tra cui un ragazzo (seguono dettagli).

Il 7 dicembre, nei pressi dell’insediamento di Ofra (Ramalla ), un palestinese ha aperto il fuoco contro una postazione militare israeliana. Ne è seguito un inseguimento ed uno scontro a fuoco tra lui e le forze israeliane e l’uomo è stato colpito e ucciso.

L’8 dicembre, lungo la Route 465, vicino al villaggio di Abud (Ramallah), un ragazzo palestinese di 16 anni è stato ucciso con proiettili veri sparati da forze israeliane. Secondo fonti israeliane, i soldati avrebbero aperto il fuoco contro cinque palestinesi che lanciavano pietre e bottiglie di vernice contro veicoli di coloni israeliani in transito sulla strada 465; tale accusa è contestata da testimoni oculari. Durante lo stesso episodio, tre palestinesi sono stati feriti con proiettili veri, compreso uno che è stato poi arrestato dalle forze israeliane.

3- In Cisgiordania, complessivamente, sono stati feriti da forze israeliane 171 palestinesi, tra cui almeno 44 minori (seguono dettagli).

La maggior parte dei ferimenti (116 – 68%) è stata registrata nel governatorato di Nablus. Complessivamente, 126 palestinesi sono stati curati per inalazione di gas lacrimogeni, dodici sono stati feriti da proiettili di gomma, 23 sono stati colpiti da proiettili veri, quattro sono stati aggrediti fisicamente, due sono rimasti feriti da schegge e spray al peperoncino e quattro sono stati colpiti da candelotti di lacrimogeni. 22 di tali feriti sono stati registrati in episodi che hanno coinvolto coloni israeliani, altri 101 feriti sono stati segnalati in operazioni militari e scontri, comprese operazioni di ricerca-arresto; i restanti 48 ferimenti di palestinesi sono avvenuti in manifestazioni contro l’espansione degli insediamenti e le restrizioni di accesso relative agli insediamenti vicino Kafr Qaddum (Qalqilya), Beit Dajan (Nablus) e An Nabi Salih (Ramallah). In due casi, accaduti il 9 e il 16 dicembre, in scontri scoppiati all’ingresso del villaggio di Osarin (Nablus), vicino a una torretta militare, forze israeliane hanno ferito 74 palestinesi, di cui tre con proiettili veri. I palestinesi hanno lanciato pietre contro le forze in servizio presso la torretta e queste hanno risposto con proiettili veri e proiettili di gomma.

4– Coloni israeliani hanno ferito sei palestinesi, tra cui un minore, in sei casi, e persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno causato danni a proprietà palestinesi in 20 casi Oltre ai 22 palestinesi feriti da forze israeliane in circostanze legate ai coloni, sei palestinesi sono stati feriti da coloni israeliani(seguono dettagli). Il 16 dicembre, un ragazzo di 16 anni è stato aggredito fisicamente e ferito quando circa 50 coloni israeliani, secondo quanto riferito provenienti dall’insediamento di Yitzhar, hanno fatto irruzione nel villaggio di Madama (Nablus) e hanno lanciato pietre contro case e veicoli palestinesi. Durante lo stesso episodio, forze israeliane hanno sparato lacrimogeni e ferito altri otto palestinesi.

In tre episodi accaduti, il 7, 9 e 14 dicembre, vicino a Huwwara e Madama, entrambi a Nablus, tre palestinesi sono rimasti feriti da coloni israeliani che hanno lanciato pietre contro i loro veicoli.

Il 9 e il 15 dicembre, coloni israeliani, secondo quanto riferito, provenienti dagli insediamenti di Efrata e Sde Boaz, hanno attaccato agricoltori palestinesi di Khirbet An Nahla e Al Khadr (Betlemme), ferendone due.

In altri otto episodi accaduti vicino a Turmus’ayya (Ramallah), Jit (Qalqiliya), Urif, Madama e Beit Dajan (tutti a Nablus), Yasuf (Salfit), Tuqu’ (Betlemme) e Mantiqat Shi’ al Butum (Hebron), secondo fonti della Comunità locale, circa 900 ulivi sono stati vandalizzati su terra palestinese prossima agli insediamenti israeliani, dove, in alcune aree, l’accesso palestinese richiede l’approvazione dell’esercito israeliano (comunemente indicato come “previo coordinamento”). Inoltre, proprietà palestinesi sono state danneggiate e il bestiame è stato ferito in sette episodi accaduti vicino a Qalqiliya, Nablus, Hebron e Betlemme; le proprietà danneggiate comprendevano 12 veicoli, strutture agricole, due serbatoi d’acqua e recinzioni in pietra.

5- Secondo fonti israeliane, un colono israeliano è stato ferito e sono stati segnalati danni ad almeno sei veicoli israeliani in sei episodi, quando persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali, hanno lanciato pietre contro veicoli israeliani che viaggiavano sulle strade della Cisgiordania. In un altro episodio accaduto vicino a Nablus, un veicolo israeliano ha subito danni dopo che, secondo quanto riferito, palestinesi hanno sparato contro il veicolo.

Inoltre, l’8 dicembre, secondo fonti dei media israeliani, nella città di Tel Aviv (Israele), forze israeliane hanno arrestato un palestinese del villaggio di Silwad dopo che questi aveva colpito e ferito un motociclista israeliano con il suo veicolo, in un presunto attacco con tamponamento. Secondo i media israeliani, il palestinese avrebbe ammesso di aver speronato deliberatamente il veicolo. L’accusa è stata confutata dalla famiglia del palestinese che ha affermato che la confessione sarebbe stata estorta, durante le indagini, sotto costrizione.

6- A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, che sono quasi impossibili da ottenere, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato, o costretto i proprietari a demolire, 57 strutture, comprese diciassette abitazioni (seguono dettagli). Tredici delle strutture erano state fornite da donatori come assistenza umanitaria. Di conseguenza, 44 palestinesi, tra cui 22 minori, sono stati sfollati e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di quasi altri 2.000. Quarantasei delle strutture si trovavano in Area C, comprese due strutture demolite in base al “Military Order 1797”, che fornisce solo un preavviso di 96 ore e motivi molto limitati per impugnare legalmente una demolizione.

Il 6 dicembre, forze israeliane hanno confiscato due tende finanziate da donatori e un’unità di latrine a Isfey al Fauqa (Hebron), in un’area designata dalle autorità israeliane come “Zona a fuoco 918”. Queste strutture erano state fornite in risposta a una precedente demolizione (avvenuta il 23 novembre 2022) della scuola della Comunità da parte delle autorità israeliane, in quanto priva di permesso di costruzione. La scuola serviva 21 studenti di tre Comunità nel sud di Hebron.

Le restanti sette strutture sono state demolite a Gerusalemme est, inclusa una distrutta dal proprietario ad Al ‘Isawiya, per evitare il pagamento di multe alle autorità israeliane.

7– Il 18 dicembre, le autorità israeliane hanno espulso un avvocato palestinese che, senza processo, si trovava in detenzione amministrativa, dal 7 marzo 2022. L’avvocato di Gerusalemme Est è stato inviato in Francia, dove ha la cittadinanza; il suo status di “residente permanente” è stato revocato per una non specificata “violazione della fedeltà allo Stato di Israele”.

8- Durante il periodo in esame, per tre giorni consecutivi (13-15 dicembre), forze israeliane hanno condotto una esercitazione militare a Masafer Yatta, nel sud di Hebron. Questa zona è stata designata dalle autorità israeliane come “zona di fuoco” e dichiarata chiusa. L’addestramento, che ha coinvolto veicoli blindati ma senza munizioni vere, ha limitato l’accesso dei palestinesi ai servizi di base. Questa è la terza volta, dall’inizio dell’anno, che tali attività si svolgono nell’area di Masafer Yatta, dove oltre 1.000 palestinesi, tra cui 560 minori, vivono in 13 Comunità di pastori. Tali pratiche fanno parte di un contesto coercitivo che spinge i palestinesi a lasciare le loro Comunità e potrebbe produrre trasferimenti forzati.

9- Nella Striscia di Gaza, vicino al recinto perimetrale israeliano o al largo della costa, in almeno 39 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso; non sono stati segnalati feriti o danni. In tre occasioni, all’interno di Gaza, bulldozer militari israeliani hanno spianato terreni prossimi alla recinzione perimetrale a est di Gaza e a est di Rafah.

Questo rapporto riflette le informazioni disponibili al momento della pubblicazione. I dati più aggiornati e ulteriori analisi sono disponibili su ochaopt.org/data.

Ultimi sviluppi (al di fuori del periodo di riferimento)

Secondo le prime informazioni provenienti da fonti della Comunità locale, il 21 dicembre, durante scontri tra palestinesi e forze israeliane, scatenati da una visita di coloni israeliani alla tomba di Giuseppe (Nablus), un palestinese è stato ucciso e almeno 26 palestinesi sono rimasti feriti.

(Maggiori dettagli saranno forniti sugli incidenti sopra menzionati nella prossima relazione)

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it




Perché il New York Times non è al passo coi tempi su Israele-Palestina

Maha Nassar

21 dicembre 2022 – +972 Magazine

Un recente editoriale che critica il nuovo governo israeliano riflette gli stessi punti ciechi che hanno afflitto per decenni il giornale americano più autorevole.

Sabato scorso il comitato di redazione del New York Times ha fatto notizia nel pubblicare un articolo intitolato “L’ideale di democrazia nello Stato ebraico è in pericolo”. Pur ribadendo il proprio sostegno a Israele e alla soluzione dei due Stati l’editoriale avverte che il nuovo governo israeliano, che sarà guidato dal partito di destra Likud e comprende partner di estrema destra come Sionismo Religioso, Otzma Yehudit (Potere Ebraico) e l’anti-LGBTQ Noam rappresenta una “minaccia significativa” per il futuro del Paese e “potrebbe rendere militarmente e politicamente impossibile lo sviluppo di una soluzione a due Stati”.

Rispondendo via Twitter, il primo ministro entrante Benjamin Netanyahu si è offeso per quello che ha descritto come un “parere infondato” del comitato. Accusando il giornale di “demonizzare Israele da decenni”, ha criticato l’editoriale come tentativo di minare il suo governo eletto e di “delegittimare l’unica vera democrazia in Medio Oriente e il miglior alleato dell’America nella regione”.

Nonostante l’importante riconoscimento dell’editoriale dei pericoli della coalizione di estrema destra israeliana, come lettrice (e critica) di lunga data del New York Times ho comunque trovato l’articolo una perfetta riflessione sui punti ciechi che ancora affliggono il “giornale più autorevole.” In effetti l’ostinato rifiuto del comitato di includere nei suoi editoriali le prospettive palestinesi, nonostante gli assordanti inviti a farlo, lo porta a dare una interpretazione essenzialmente errata della realtà sul campo e, di conseguenza, fa sì che il giornale mantenga una comprensione deplorevolmente obsoleta di Israele-Palestina.

Pensiero unico e “da entrambe le parti”

Due anni fa ho pubblicato su +972 un’analisi che documentava la storica esclusione delle voci palestinesi dalle pagine di opinione di quattro importanti quotidiani e riviste americani: The Washington Post, The Nation, The New Republic e The New York Times. Sebbene il Times non fosse il peggiore, il suo curriculum è comunque spaventoso. Dei 2.490 articoli di opinione sui palestinesi che il giornale ha pubblicato tra il 1970 e il 2019 solo 46 sono stati scritti da palestinesi, una media inferiore al 2%.

E l’altro 98%? Secondo i database che ho consultato, la stragrande maggioranza è stata scritta dagli editorialisti del giornale e dai membri del comitato di redazione. È difficile sapere dove finiscano le opinioni di un gruppo e inizino quelle dell’altro; questo perché, secondo il sito web del Times, il comitato di redazioneè composto da giornalisti d’opinione che si affidano a ricerche, dibattiti e competenze individuali per raggiungere una visione condivisa su questioni importanti”. (È significativo che l’editoriale di domenica abbia citato un recente articolo di Thomas Friedman, editorialista e commentatore di lunga data sul Medio Oriente, che ha ripreso gran parte delle posizioni del comitato.)

Data questa coincidenza tra i giornalisti d’opinione e il comitato di redazione – e la mancanza tra loro di editorialisti palestinesi o arabi – non sorprende che sia emersa una sorta di pensiero unico. E questo pensiero unico colloca costantemente Israele, le opinioni e le prospettive israeliane al di sopra di quelle dei palestinesi.

Lo conferma una ricerca per parola chiave degli editoriali del Times che parlano di palestinesi. Tra il 1970 e il 2019, la parola pace” è apparsa 1.112 volte, ma giustizia” è apparsa solo 86 volte; terrore” è stato menzionato 649 volte, ma occupazionesolo 219 volte; la sicurezza di Israele” è stata invocata 90 volte, ma la libertà palestinese” è stata menzionata solo tre volte. Anche se le ricerche per parole chiave da sole non raccontano l’intera storia, ci aiutano a farci un’idea del tenore generale della copertura del Times: negli ultimi cinquant’anni Israele è stato senza dubbio presentato dai redattori del Times come uno stretto alleato, mentre i palestinesi sono stati costantemente inquadrati come un “problema”.

Ma per i palestinesi e per i loro alleati nella regione e nel mondo la Palestina non è un problemada risolvere per Israele, ma una causa per cui lottare. Dal 1948 lo Stato israeliano ha impedito ai palestinesi di vivere nella loro patria con libertà e dignità, vietando ai rifugiati di tornare alle loro case, discriminando i cittadini palestinesi all’interno di Israele e tenendo milioni di palestinesi sotto occupazione militare. Se c’è un problema da risolvere, il problema è quel regime.

Questo semplice fatto sembra essere sfuggito alla redazione del Times. Piuttosto che riconoscere la violenza sistemica, la discriminazione e la colonizzazione perpetrate da Israele contro i palestinesi, il comitato incolpa “entrambe le parti” per una situazione ampiamente asimmetrica. Ad esempio, l’editoriale di sabato attribuisce in parte lo spostamento a destra dell’elettorato israeliano ad “autentiche preoccupazioni per la criminalità e la sicurezza, specialmente dopo gli episodi di violenza tra arabi ed ebrei israeliani dello scorso anno”. Non fa menzione della violenza della polizia israeliana – a volte in collaborazione con milizie di vigilanti, anche negli insediamenti coloniali della Cisgiordania – a cui i cittadini palestinesi sono stati sottoposti durante quel periodo né della campagna di arresti di massa e punizioni collettive contro le comunità arabe nei mesi successivi.

Allo stesso modo, l’editoriale afferma che “le speranze per uno Stato palestinese si sono affievolite sotto la pressione combinata della resistenza di Israele e della corruzione, l’inettitudine e le divisioni interne palestinesi”. Questo “da entrambe le parti” può dare l’apparenza di un equilibrio, ma non riflette una realtà in cui Israele detiene il potere politico, economico e militare quasi totale sulla vita di ogni palestinese, in un sistema che un numero crescente di studiosi, organizzazioni per i diritti umani ed esperti legali definiscono di apartheid.

Prendiamo, ad esempio, il fatto che centinaia di case palestinesi vengono demolite ogni anno dai bulldozer israeliani per far posto agli insediamenti coloniali ebraici, ma non viceversa. O che centinaia di palestinesi sono minacciati di essere espropriati della loro terra a causa di una “zona per esercitazioni” militari israeliana, mentre gli abitanti israeliani non hanno tali paure. O che i palestinesi nei territori occupati debbono attraversare posti di blocco israeliani militarizzati con permessi o documenti d’identità rilasciati da Israele, ma nessun israeliano è costretto attraversare un posto di blocco palestinese. O che centinaia di migliaia di palestinesi sono stati arrestati e detenuti nelle carceri israeliane dal 1967, ma che non esiste un tale sistema di incarcerazione di massa imposto agli israeliani. O che i tribunali militari israeliani condannano i palestinesi con una percentuale superiore al 99%, ma nessun israeliano ha dovuto essere processato in un tribunale palestinese. Non ci sono “entrambe le parti” in tutto ciò.

Promuovere un quadro di giustizia

Questa ostinata insistenza nell’incolpare entrambe le parti riflette un “quadro di pace” profondamente imperfetto che ha dominato per decenni la lettura internazionale di Israele-Palestina. Questo quadro è incentrato sulla politica dell’identità e ignora la violenza strutturale che lo Stato perpetra contro i gruppi oppressi. Si concentra invece su atti di violenza spettacolare commessi da quei gruppi in risposta all’oppressione che devono affrontare, li incolpa per l’escalation del conflitto, quindi li usa per giustificare la violenza repressiva inflitta dalle forze armate più potenti.

Molti degli editoriali del Times degli ultimi 30 anni, dall’avvento degli Accordi di Oslo, sono improntati ad un quadro di pace. Trattano israeliani e palestinesi come aventi pari potere quando chiaramente non è così. Lodano Israele per i piccoli aggiustamenti alla sua violenza strutturale quotidiana contro i palestinesi, ma rimproverano i leader e la società palestinesi per gli atti di violenza compiuti a loro volta. Se la redazione del Times oggi suona antiquata, è perché la sua visione del mondo rimane bloccata agli anni ’90.

Più di recente stiamo assistendo al riemergere di quello che può essere definito un “quadro di giustizia”. Questo quadro presta maggiore attenzione a tutte le forme di violenza strutturale che le comunità affrontano, indipendentemente dalla loro identità. Piuttosto che parlare delle persone come problemi, i fautori pongono al centro le esperienze degli oppressi e lavorano per smantellare le strutture che li sovrastano.

Tale quadro sta diventando saliente specie negli Stati Uniti, grazie al lavoro di organizzazioni per la giustizia sociale e movimenti come Black Lives Matter. Queste forze hanno spinto sostenitori progressisti come il New York Times a prestare maggiore attenzione alle voci che vengono incluse e a quelle che continuano ad essere emarginate. Tali principi stanno lentamente trapelando anche nel modo in cui i media americani si occupano di Israele-Palestina. Lo abbiamo visto in evidenza durante gli eventi del maggio 2021: dei 27 articoli di opinione pubblicati sul Times quel mese sei erano di palestinesi, tra cui quelli della regista di Gerusalemme Rula Salameh e degli scrittori di Gaza Refaat Alareer e Basma Ghalayini.

A suo merito, il Times ha recentemente assunto più giornalisti palestinesi e arabi, tra cui Hiba Yazbek e Raja Abdulrahim. La loro cronaca è stata cruciale nel portare voci, esperienze e prospettive palestinesi a lettori che altrimenti non vi avrebbero avuto accesso. Il Times ha anche continuato a pubblicare editoriali di palestinesi, tra cui due recenti articoli dell’avvocata palestinese di Haifa Diana Buttu e uno del direttore generale di Al-Haq Shawan Jabarin.

È bello vedere una maggiore rappresentanza palestinese nella redazione notizie e nelle pagine editoriali. Ma questi cambiamenti non sono sufficienti finché la maggior parte delle opinioni presentate sul Times continuano a essere prodotte da progressisti filo-israeliani come Thomas Friedman e conservatori come Bret Stephens. Come abbiamo visto con l’editoriale di sabato, quando si parla di Israele-Palestina la redazione del Times soffre ancora dell’assenza di voci palestinesi. E di conseguenza i suoi membri si aggrappano ancora a miti vecchi e screditati sulla democrazia israeliana e su un futuro a due Stati.

Il comitato di redazione del Times è da molto tempo in ritardo quando si tratta di riconoscere ciò che sta accadendo sul campo in Israele-Palestina. Mentre le loro posizioni divengono sempre meno aderenti alla realtà forse i membri del comitato finalmente ascolteranno – ascolteranno davvero – ciò che i palestinesi hanno sempre sostenuto.

La Dott.ssa Maha Nassar è Professoressa Associata presso la School of Middle Eastern and North African Studies dell’Università dell’Arizona. È autrice di Brothers Apart: Palestines Citizens of Israel and the Arab World [Fratelli separati: cittadini palestinesi di Israele e del mondo arabo] (Stanford University Press, 2017).

Twitter: @mtnassar.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)