Un testo indispensabile per affrontare la ‘guerra delle narrazioni’

Recensione di Romana Rubeo

Dicembre 2022,

Le Parole Divise, Israele/Palestina: Narrazioni, a Confronto. Di Amedeo Rossi, Edizioni Q, Roma, 2022

In “Le Parole Divise, Israele/Palestina: Narrazioni, a Confronto” Amedeo Rossi compie un’operazione tanto mirabile quanto delicata: l’autore stila una sorta di glossario della causa israelo-palestinese, fornendo spiegazioni accurate dei concetti chiave che ne plasmano la narrazione.

Nel condurre questa operazione l’autore non parte da un terreno di assoluta neutralità, ma dalla analisi di testi fortemente filosionisti, che contengono miti e narrazioni da sfatare e scardinare, al fine di riportare la discussione su un terreno di confronto che sia scevro da fanatismi di sorta.

Ormai non esistono più ambiti in cui sia possibile affrontare una discussione pacata tra le due parti,” scrive infatti Rossi nell’introduzione, ponendo tra gli obiettivi del testo proprio “l’ambizione di mettere alcuni punti fermi (…) nel contesto italiano”.

Il testo ha un primo, importantissimo merito: capire che il cosiddetto “conflitto” israelo-palestinese è anche una guerra di narrazioni, di linguaggi, di quelle parole, appunto, evocate già nel titolo.

Da sempre i sostenitori dello stato di Israele pongono molta attenzione a tutto il corredo concettuale e linguistico che ha accompagnato l’impresa coloniale sionista.

Utilizzare un linguaggio che vada a edulcorare le efferatezze della storia non è, d’altra parte, un elemento di novità: ogni narrazione coloniale o neocoloniale ha fatto abbondante uso di questa pratica. Basti pensare ai racconti tesi a dipingere ogni azione coloniale come un’impresa di civilizzazione di popoli altresì “selvaggi” e “barbari”; ma anche, per fornire un esempio più recente, al linguaggio strumentale impiegato durante l’invasione statunitense dell’Afghanistan o dell’Iraq, in cui i concetti di “esportazione della democrazia” e “guerra al terrorismo” servivano a presentare una ricostruzione degli eventi falsata e fortemente manipolata.

L’ideologia sionista si pone in questo solco e ha il merito (se di merito si può parlare) di perfezionare questa manipolazione a livelli estremi. Lo stato di Israele, ben consapevole dell’importanza di tale aspetto del cosiddetto conflitto, impiega fondi ingenti per il mantenimento di un apparato istituzionale teso a perfezionare la hasbara, la propaganda israeliana funzionale a presentare all’esterno un’immagine assolutamente positiva dello stato sionista.

Tutti i miti fondanti di Israele, anche quello del “deserto da far fiorire” che Rossi ricorda nell’incipit del suo volume, sono parte integrante di questa vasta operazione, che può essere immaginata come un’appendice delle azioni militari e politico-istituzionali intraprese nel corso della storia dal regime di Tel Aviv.

Se sul piano militare la buona riuscita di qualsiasi operazione ha bisogno di un esercito strutturato, anche sul piano retorico questa guerra di narrazioni necessita di veri e propri soldati che la portino avanti con risolutezza.

È su questo terreno, che non concede spazi alla dialettica, ma che si presenta, appunto, con i ranghi ben serrati, che vanno interpretati gli scritti dei tre autori magistralmente analizzati da Rossi nel suo volume: Fiamma Nirenstein, Pierluigi Battista e Claudio Vercelli.

“Quasi nessuna delle molte affermazioni fatte da questi autori riguardo a questioni fondamentali della storia e dell’attualità di cui parlano”, si sorprende Rossi, “viene accompagnata da citazioni di testi autorevoli che le possano confermare”. Questo perché, appunto, non è la veridicità della storia a contare, bensì la narrazione edulcorata che, di quella storia, si deve fornire.

Diverso è l’approccio di Amedeo Rossi che, spogliandosi di ogni velleità orientalista e spinto invece da un profondo amore per la verità e la ricerca, elenca ben ventotto concetti chiave, da “Acqua” o “Aliyah”, passando per “Apartheid”, “Intifada”, “Nakba”, “Profughi”, “Shoa” e persino “Terrorismo”.

Pur nella sinteticità richiesta dalla natura di questo testo, a ogni significante viene attribuito un significato che è frutto di approfondite e validissime ricerche. Basterà, al lettore, sfogliare la bibliografia pregevole di questo testo per comprendere che l’autore non si è limitato a fornire ‘opinioni’ sulla base delle sue aprioristiche convinzioni personali – esercizio che ben riesce a chi, in questo libro, viene contestato – ma ha scavato a fondo per corredare le sue dichiarazioni da fonti autorevolissime.

Un esempio lampante della contrapposizione tra una narrazione che muove da fonti fortemente pregiudizievoli e una ricostruzione basata su fonti storiche e di diritto internazionale è il capitolo dedicato a Gerusalemme.

Per spiegare la connessione tra popolo ebraico e Gerusalemme – che nessuno, per inciso, intende negare – Battista si avvale del “puntiglio filologico” di Elie Wiesel, il quale afferma che la città sia citata una sola volta nel Corano e ben 600 volte nelle Sacre Scritture.

Al di là della fallacia lapalissiana di un’argomentazione di tipo spirituale-religioso per difendere pratiche di occupazione contrarie al diritto internazionale, fa riflettere che Battista scelga, come sua fonte Wiesel, per quella che lui definisce una “mitezza universalmente riconosciuta”.

Il “mite” Wiesel era, in realtà, un negazionista delle efferatezze compiute dall’esercito israeliano su Gaza, al punto che nel 2008 persino il Times si rifiutò di pubblicare un suo annuncio (finanziato dall’associazione ‘This World: The Values Network’) in cui si attribuiva la responsabilità della morte dei bambini palestinesi ad Hamas. Vale la pena ricordare che durante quel sanguinoso eccidio almeno 2.000 palestinesi furono trucidati dall’esercito israeliano, e tra loro centinaia di bambini.

Anche sui media israeliani Wiesel viene ricordato per aver deliberatamente scelto di negare, con fermezza, le sofferenze del popolo palestinese, disumanizzandolo oltre ogni limite accettabile.

Fiamma Nirenstein, dal canto suo, non si cura nemmeno di trovare una fonte autorevole e fornisce mere opinioni basate su sue personalissime convinzioni. A partire dall’assunto secondo cui agli ebrei è impedito professare la loro fede, fino ad arrivare a sostenere che Israele non ha alcuna intenzione di “cambiare lo status quo che vige sui luoghi santi di Gerusalemme”.
Rossi controbatte argomentando che, in realtà, era una disposizione rabbinica a vietare agli ebrei, “almeno fino al 1967 (…), di recarsi a pregare sul ‘Monte del Tempio’”: inoltre, l’autore fornisce una dettagliata ricostruzione delle operazioni di ‘ebraicizzazione’ della città, che sono messe nero su bianco da varie organizzazioni sioniste e che vengono denunciate a più riprese non solo dagli islamisti, tanto temuti da Nierenstein, ma anche dai cristiani in terra di Palestina.

Nel 2019, ad esempio, il capo della Chiesa greco-ortodossa a Gerusalemme, l’arcivescovo Atallah Hanna, ebbe a dire, durante una riunione con Médecins Sans Frontières, che “tutto è in pericolo, a Gerusalemme. I siti islamici e cristiani sono sotto attacco perché si vuole cambiare la nostra città, nascondere la sua identità, e marginalizzare l’esistenza degli arabi e dei palestinesi.”

Così come per quello dedicato alla Città Santa, ogni capitolo di questo libro contiene riflessioni autorevoli per smentire e scardinare le posizioni ultrasioniste che, soprattutto nel dibattito italiano, vengono fatte passare per “senso comune”, spesso senza alcun contraddittorio.

“Le parole divise” è, in conclusione, un testo importante, sia per coloro che si avvicinano per la prima volta allo studio di questa annosa questione, sia per chi, pur avendo già adeguati strumenti di analisi, voglia approfondirne i vari aspetti e trovare spunti di riflessione ben esporti e articolati.

Se è vero che esiste una vera e propria guerra delle narrazioni, questo libro è fondamentale per non entrare in un terreno tanto spinoso completamente disarmati.

– Romana Rubeo è una giornalista italiana, caporedattrice del “The Palestine Chronicle”. I suoi articoli appaiono in varie pubblicazioni online e riviste accademiche. Laureata in Lingue e Letterature Straniere, è specializzata in traduzioni giornalistiche e audiovisive.