“Gli ho chiesto se avesse fatto irruzione a casa mia perché smettessi di fare il giornalista”

Basil Adra

5 febbraio 2023 – +972 Magazine

Prima di interrogarlo riguardo alla sua attività di giornalista, forze israeliane hanno arrestato Abdul Mohsen Shalaldeh di notte a casa sua, terrorizzando la sua famiglia.

Il 18 gennaio col favore delle tenebre un gruppo di soldati israeliani ha fatto irruzione in casa di un giornalista palestinese nel villaggio di Sa’ir, nella Cisgiordania occupata, tenendolo in arresto per 4 giorni sotto interrogatorio dello Shin Bet [servizio di sicurezza interna israeliano, ndt.] prima di rilasciarlo senza imputazioni. Il giornalista, Abdul Mohsen Shalaldeh, dice che durante l’irruzione sua sorella, che soffre di un disturbo nervoso, è svenuta per la paura, un incidente che gli investigatori dello Shin Bet gli hanno riferito durante l’interrogatorio, secondo lui nel tentativo di intimidirlo.

Alle due di notte alcuni soldati sono entrati in casa mia e hanno detto di essere venuti ad arrestarmi,” racconta Shalaldeh, giornalista dell’organo di stampa palestinese di notizie J-Media. “Un uomo dello Shin Bet, che si è presentato come ‘Captain Kerem” [Capitano Kerem], è entrato in camera da letto e mi ha detto che vestirmi e seguirlo.”

L’irruzione in casa ha scioccato la sorella più giovane di Shalaldeh, la ventiduenne Rula, con cui egli vive insieme ad altri famigliari e che è svenuta in quanto l’irruzione ha scatenato il suo problema neurologico. “Quando si è svegliata e ha visto i soldati entrare in casa, Rula ha perso i sensi,” ricorda Shalaldeh. I soldati allora l’hanno bendato e l’hanno portato in una cella a Gush Etzion [colonia israeliana nei territori occupati, ndt.].

Prima dell’inizio dell’interrogatorio gli agenti hanno consentito a Shalaldeh di chiamare la sorella. “Ho cercato di calmarla, ma era in preda a un’estrema agitazione ed è stata ancora peggio quando ha sentito la mia voce,” afferma. Poi, durante l’interrogatorio, “Captain Kerem” ha menzionato la questione della salute di sua sorella, forse nel tentativo di spaventarlo riguardo alla condizione di lei.

Mi ha chiesto: ‘Ti sta bene quello che è successo in casa tua? Che tua sorella sia stata così male?’” Shalaldeh ricorda: “Gli ho detto: ‘Cosa intendi dire con bene? Non ti ho chiesto io di fare irruzione in casa mia nel cuore della notte. Perché non mi hai telefonato? Sarei venuto la mattina dopo.’”

Poi quello che l’ha interrogato ha passato la maggior parte del tempo a chiedere a Shalaldeh del suo lavoro come giornalista. “Ha chiesto perché vado a fotografare i prigionieri e le loro famiglie. Gli ho detto che è il mio lavoro. Gli ho chiesto se voleva che io smettessi di fare il giornalista e se era per questo che aveva fatto irruzione a casa mia. Ha detto di no, ovviamente no. Ma tutto l’interrogatorio ha riguardato quello che faccio come giornalista, e uno dei poliziotti mi ha persino chiamato ‘istigatore.’”

Lo scorso anno, durante un’inchiesta congiunta di +972, Local Call [edizione in ebraico di +972, ndt.] e The Intercept [sito internazionale di controinformazione, ndt.], abbiamo intervistato giornalisti palestinesi in Cisgiordania che hanno descritto il modo in cui lo Shin Bet conduce gli interrogatori: gli investigatori regolarmente etichettano i reportage giornalistici e la documentazione riguardante prigionieri, funerali e manifestazioni come “incitamento” e un pretesto per compiere arresti, per lo più senza alcuna base giuridica. In qualche caso i funzionari dello Shin Bet hanno cercato di reclutare i giornalisti come collaboratori.

L’inchiesta ha anche riscontrato che dall’inizio del 2020 fino all’aprile 2022 Israele ha incarcerato almeno 26 giornalisti palestinesi per periodi che vanno da qualche settimana a un anno e mezzo, nella maggior parte dei casi senza basi legali e senza accuse, tenendoli nel limbo giudiziario della detenzione amministrativa.

L’obiettivo è dissuadermi dal fare il mio lavoro”

Shalaldeh afferma che nel 2019 lo stesso funzionario dello Shin Bet lo aveva interrogato sul suo lavoro come giornalista e poi lo aveva messo in detenzione amministrativa. Allora è successo qualcosa di insolito: un tribunale ha accettato di accogliere il ricorso contro la sua detenzione, stabilendo che le affermazioni dello Shin Bet per tenerlo in arresto erano infondate. È stato rilasciato e rimandato a casa.

Non c’è niente di nuovo,” sostiene Shalaldeh. “L’interrogatorio riguardava esclusivamente il mio lavoro di giornalista. Non hanno niente di cui accusarmi. L’obiettivo è dissuadermi dal continuare il mio lavoro, così fanno irruzione in casa mia di notte e terrorizzano la mia famiglia e mia sorella. È anche per questo che mi hanno arrestato un giovedì mattina presto, in modo che potessero tenermi in carcere per tutto il fine-settimana con la scusa che i tribunali sono chiusi.”

Secondo Shalaldeh le condizioni nella prigione di Gush Etzion sono pessime. “Non ci sono materassi. Ti danno una coperta da mettere su una rete metallica. Venerdì le guardie ci hanno portato pezzi di pollo crudo che avevano bollito velocemente per darceli da mangiare. I prigionieri hanno rimandato indietro il cibo chiedendo di cuocerli con più cura, ma le guardie li hanno appena immersi nell’acqua e li hanno riportati ancora crudi. I prigionieri sono rimasti digiuni per un giorno e mezzo, chiedendo del cibo decente. L’ufficiale ci ha detto che avrebbero affrontato il problema della cucina, ma non so se l’hanno fatto dopo che sono stato rilasciato.”

Gli attacchi fisici contro giornalisti palestinesi hanno suscitato una sempre maggiore attenzione internazionale dopo che nel maggio del 2022 l’esercito israeliano ha ucciso Shireen Abu Akleh, la famosa giornalista di Al-Jazeera. Come a molti suoi colleghi, negli ultimi anni i soldati israeliani hanno sparato anche a Shalaldeh, ed è stato persino ferito.

Nel 2020, durante una manifestazione all’università di Hebron, è stato colpito alla testa da un proiettile ricoperto di gomma, che gli ha fratturato il cranio “nonostante indossassi un giubbotto con la scritta ‘stampa’ e i soldati potessero vedere che ero un giornalista.” Lo scorso anno è stato ferito di nuovo a Hebron, questa volta mentre fotografava scontri tra giovani palestinesi e soldati israeliani, “Tutti i giornalisti erano nei pressi di un muro. I soldati ci hanno visti ed era evidente che eravamo giornalisti, non eravamo neppure vicini ai giovani che lanciavano pietre. Ma (i soldati) hanno sparato deliberatamente contro di noi e mi hanno ferito a una mano con un proiettile ricoperto di gomma.”

Rispondendo alle domande di +972 riguardo all’arresto di Shalaldeh, il portavoce delle IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] ha affermato: “Le strutture detentive in Giudea e Samaria (la Cisgiordania) operano in conformità con gli ordini e le procedure e si fanno carico del benessere e delle condizioni di vita dei detenuti. Da quando è arrivato, il detenuto ha ricevuto un materasso e una coperta, come ogni carcerato della struttura, e non risulta alcuna negligenza nella sua sistemazione. I pasti che i prigionieri ricevono regolarmente sono forniti dalla cucina della struttura. È stata ricevuta una lamentela del detenuto riguardo al cibo e gli è stato sostituito con altra carne.” Lo Shin Bet si è rifiutato di rispondere.

Basil Adraa è un attivista, giornalista e fotografo del villaggio di a-Tuwani, sulle colline meridionali di Hebron.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Domenica Israele ha espulso Salah Hammouri dalla sua patria, ignorando le proteste della Francia

Ali Abunimah

18 dicembre 2022 – Electronic Intifada

Padre palestinese e madre francese, è arrivato a Parigi accolto da un benvenuto entusiasta della moglie Elsa Lefort e dei suoi sostenitori e ha promesso di continuare a lottare in nome dei palestinesi.

All’aeroporto di Parigi Hammouri, nato a Gerusalemme, ha detto ai giornalisti che l’obiettivo di Israele è “svuotare la Palestina dei suoi cittadini.”

Oggi sento di avere un’enorme responsabilità per la causa mia e del mio popolo,” ha aggiunto Hammouri.

Non rinunceremo alla Palestina, soprattutto perché non permetteremo che le future generazioni debbano patire quello che abbiamo sofferto noi. È nostro diritto resistere.”

Alla domanda se cercherà di ritornare in Palestina, Hammouri, visibilmente emozionato, ha risposto: “Ho lasciato l’anima nella mia patria. E continuerò a lottare per questo, perché secondo me è mio diritto vivere a Gerusalemme, vivere nella mia patria, ed è diritto della mia famiglia stare là.”

Il fatto che Hammouri abbia la cittadinanza di un altro Paese, la Francia, non mitiga in alcun modo la gravità di espellerlo dalla sua città e patria contro la sua volontà” ha dichiarato l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem, avvertendo che la sua espulsione stabilisce “un pericoloso precedente per altre deportazioni di palestinesi dai territori occupati.”

Il pretesto israeliano per espellere Hammouri è la “violazione dell’obbligo di fedeltà” dell’avvocato per i diritti umani a una potenza occupante che l’ha sottoposto a varie forme di persecuzione, inclusi parecchi periodi di detenzione da quando aveva 15 anni e a cui non deve alcuna fedeltà.

Da marzo fino alla sua espulsione, Israele l’ha tenuto in “detenzione amministrativa”, reclusione senza accuse o processo basato su supposte “prove segrete.”

Prima della sua forzata espulsione Hammouri ha anche rilasciato un messaggio vocale ai suoi sostenitori in Palestina.

Condanna e silenzio francese

Resta molta rabbia sull’inazione del governo del presidente Emmanuel Macron per impedire a Israele di perpetrare un crimine di guerra.

Patrice Leclerc, sindaco del quartiere parigino di Gennevilliers e uno dei molti politici eletti che hanno accolto Hammouri all’aeroporto, ha espresso la sua “vergogna per l’incapacità”, presumibilmente del governo francese.

Oggi condanniamo la decisione, contraria alla legge, delle autorità israeliane di espellere Salah Hammouri in Francia,” ha detto domenica il ministero degli Esteri a Parigi.

Il ministero degli Esteri si è vantato di aver detto ripetutamente alle autorità israeliane “nel modo più chiaro che si oppone a questa espulsione di un abitante palestinese di Gerusalemme Est, un territorio occupato ai sensi della Quarta Convenzione di Ginevra.”

Come ha detto domenica Amnesty International Francia, l’espulsione di palestinesi dai territori occupati da parte di Israele “costituisce una grave violazione del diritto internazionale e della Quarta Convenzione di Ginevra e un potenziale crimine di guerra.”

L’espulsione potrebbe costituire un crimine contro l’umanità, ha aggiunto Amnesty, notando che tutti questi crimini ricadono sotto la giurisdizione della Corte Penale Internazionale.

Ma piuttosto che affermare quanto sia stata diligente e attiva la Francia a favore di Hammouri, la dichiarazione del ministero degli Esteri va letta come una dichiarazione di un fallimento.

Questo non sorprende poiché, in nessun momento l’amministrazione Macron, strenuamente filoisraeliana, ha neppure accennato al fatto che Israele avrebbe dovuto affrontare delle conseguenza per l’espulsione di Hammouri.

Appelli alle linee aeree

Recentemente, Addameer, l’associazione palestinese per i diritti dei prigionieri per la quale Hammouri lavora, si è unita alla campagna per invitare Easy Jet, Air France e Transavia a non collaborare all’espulsione di Hammouri.

Chiediamo alle linee aeree commerciali di fare tutto il possibile per non collaborare a quello che potrebbe equivalere a un crimine di guerra rifiutando di trasportare individui sottoposti a deportazione forzata illegale e di rilasciare una dichiarazione pubblica a riguardo,” ha detto Addameer.

C’è un precedente recente, quando varie linee aeree hanno rifiutato di aiutare il governo britannico a trasportare richiedenti asilo in Ruanda, una politica che è stata messa in discussione perché crudele e illegale.

Alla fine l’espulsione di Hammouri è avvenuta grazie a una linea nazionale israeliana.

Electronic Intifada ha saputo che Hammouri è rimasto ammanettato dal momento in cui le autorità israeliane l’hanno prelevato dalla prigione di Hadarim e spinto a bordo di un volo della El Al, fino all’apertura del portellone a Parigi.

Porgere scuse

Nel frattempo i sostenitori di Israele in Francia hanno portato a livelli assurdi i loro sforzi per difendere le azioni di Tel Aviv.

Jacques Attali, noto personaggio pubblico ed ex consigliere del presidente François Mitterand, ha rimproverato a una deputata del blocco parlamentare di sinistra La France Insoumise (LFI) di descrivere l’espulsione di Hammouri da Israele come una deportazione.

Qualsiasi cosa si pensi della situazione in Palestina e delle politiche del governo israeliano, usare qui la parola ‘deportazione’ è spregevole e ancora una volta rivela i numerosi slittamenti nell’antisemitismo dei parlamentari di LFI,” ha affermato Attali in risposta a un tweet della parlamentare Ersilia Soudais.

Attali stava presumibilmente alludendo a come la parola francese “deportazione” sia usata per descrivere le azioni dei collaborazionisti francesi che mandarono migliaia di ebrei francesi a morire nei campi di concentramento del governo tedesco durante la Seconda Guerra Mondiale.

Ma il testo ufficiale in francese della Quarta Convenzione di Ginevra, che persino l’amministrazione Macron ammette si applichi ai territori occupati da Israele inclusa Gerusalemme Est, usa la parola “déportation” per descrivere il trasferimento forzato proibito di civili dai territori occupati da parte di una potenza occupante, esattamente quello che è successo ad Hammouri.

Spregevole sarebbe quindi una definizione più accurata dell’uso da parte di Attali degli orribili crimini commessi dai collaborazionisti francesi con i nazisti per spostare l’attenzione dai crimini israeliani di oggi contro i palestinesi.

I propagandisti di Israele definiscono Hammouri anche un “terrorista” perché Israele l’ha accusato nel 2005 sostenendo che abbia fatto parte di un complotto del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina”, [gruppo storico della resistenza armata marxista con numerosi appartenenti di origine cristiana, N.d.T.] per uccidere Ovadia Yosef, un famoso rabbino israeliano che ha abitualmente incitato a livelli di violenza genocida per “annientare” i palestinesi.

Hamouri ha sempre proclamato la propria innocenza. È stato tenuto per tre anni in detenzione amministrativa prima di accettare un patteggiamento del tribunale militare israeliano per ottenere una sentenza più breve dei 14 anni che gli accusatori militari avrebbero voluto.

Il tribunale militare israeliano ha un tasso di condanne per i palestinesi quasi del 100%.

Ora che è ritornato in Francia Hammouri probabilmente dovrà fronteggiare continue campagne di calunnie e diffamazione da parte dei lobbisti israeliani.

Ma prendendo ispirazione da altre lotte anticoloniali resta convinto che alla fine i palestinesi otterranno la libertà.

Gli israeliani non sono più forti degli americani e noi non siamo più deboli dei vietnamiti. Continueremo la lotta fino alla fine” ha detto Hammouri all’aeroporto di Paris. “Finché resistiamo significa che esistiamo.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Lo Stato di Israele rinvia la deportazione dell’avvocato franco-palestinese Salah Hamouri

The New Arab, PC, SOCIAL

3 dicembre 2022 – The Palestine Chronicle

Sabato The New Arab ha riferito che la deportazione forzata dell’avvocato palestinese Salah Hamouri, che si occupa dei diritti umani, molto probabilmente non avrà luogo domenica come precedentemente annunciato.

Giovedì alla famiglia di Hamouri è stato detto che il cittadino franco-palestinese, sotto detenzione amministrativa [cioè senza accuse né processo, ndt.] israeliana, questo fine settimana sarebbe stato deportato in Francia contro la sua volontà. Ciò accade dopo che il suo permesso di residenza è stato revocato per “violazione della lealtà”

Tuttavia venerdì il legale e la famiglia di Hamouri hanno tenuto una conferenza stampa a Gerusalemme spiegando che l’avvocato non sarà deportato questo fine settimana e che gli è stata concessa un’ udienza che si terrà martedì prossimo.

Ma i suoi sostenitori hanno affermato che la minaccia di deportare l’avvocato resta molto grave e Hamouri potrebbe essere costretto a salire su un aereo per la Francia in qualunque momento.

Hanno anche detto che, nonostante la sua duplice nazionalità franco-palestinese, Hamouri è nato e cresciuto a Gerusalemme che considera la sua casa.

Il permesso di residenza di Hamouri è stato revocato dalla ministra dell’Interno israeliana Ayelet Shaked nell’ottobre 2021. Egli non ha solo perso il diritto di risiedere a Gerusalemme, la sua città natale, ma anche la libertà di movimento e la possibilità di lavorare.

Lo Stato di Israele, che ha illegalmente occupato e annesso Gerusalemme Est, revoca regolarmente i permessi permanenti di residenza dei palestinesi in quella parte della città.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Palestinese colpito a morte in Cisgiordania dopo aver ucciso degli israeliani

Redazione di AL Jazeera 

15 novembre 2022 Al Jazeera e Agenzie di stampa

Mohammad Souf, di 18 anni, ha accoltellato diversi israeliani all’ingresso industriale della colonia di Ariel nella Cisgiordania occupata.

Un palestinese ha ucciso tre israeliani e ne ha feriti altri tre in un attacco in una colonia nella Cisgiordania occupata, prima di essere colpito e ucciso da agenti della sicurezza israeliani: questo è quanto hanno riferito paramedici israeliani e funzionari palestinesi.

Il servizio paramedico Zaka ha detto che i tre feriti nell’attacco nella colonia illegale di Ariel sono stati curati in ospedale e sono in gravi condizioni.

E’ stato l’ultimo attacco di un’ondata di violenza tra israeliani e palestinesi in questo anno, che ha visto incursioni israeliane quasi quotidiane nella Cisgiordania occupata, con arresti e uccisioni di palestinesi, così come attacchi di palestinesi contro israeliani.

L’esercito israeliano ha affermato che il palestinese, identificato dal Ministero della Salute palestinese come il 18enne Mohammad Souf, prima ha attaccato gli israeliani all’entrata della zona industriale della colonia, poi ha proseguito fino ad un vicino distributore di benzina e lì ha accoltellato altre persone. L’esercito ha detto che poi l’uomo ha rubato un’auto, si è intenzionalmente scontrato con un’automobile sulla vicina strada principale ed ha colpito ed ucciso un’altra persona prima di fuggire a piedi.

Ha riferito che l’aggressore è stato colpito da un soldato e che le truppe stavano perlustrando l’area per cercare altri sospetti.

Un video amatoriale diffuso dalla televisione israeliana sembra mostrare il sospetto aggressore percorrere di corsa una strada e crollare a terra dopo essere stato colpito. Più tardi il Ministero della Salute ha dichiarato che Souf proveniva dal vicino villaggio di Hares.

Le forze israeliane hanno fatto irruzione nella casa di famiglia di Souf e, secondo organi di stampa palestinesi, hanno aggredito fisicamente membri della famiglia.

Nessuna fazione palestinese ha rivendicato la responsabilità dell’attacco, ma esso è stato acclamato da portavoce di Hamas, Jihad islamica e Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina.

In una dichiarazione il portavoce di Hamas Abdel Latif al-Qanou ha affermato che l’operazione ha dimostrato “la capacità del nostro popolo di proseguire la sua rivoluzione e difendere la Moschea di Al-Aqsa da quotidiane incursioni”.

Il FPLP, di sinistra, ha affermato che l’attacco è stato una risposta “alla politica di esecuzioni sul campo perseguita dall’occupazione israeliana e dai suoi servizi di sicurezza contro il nostro popolo, delle quali l’uccisione della ragazza palestinese Fulla Masalmeh ieri a Beitunia non sarà l’ultima.”

L’anno più sanguinoso

Il Primo Ministro israeliano uscente Yair Lapid ha inviato le condoglianze alle famiglie degli israeliani uccisi nell’attacco e ha detto che Israele “sta combattendo il terrorismo senza sosta e col massimo delle forze.”

Le nostre forze di sicurezza lavorano 24 ore al giorno per proteggere i cittadini israeliani e danneggiano senza sosta le infrastrutture del terrorismo”, ha detto.

Quest’anno l’ondata di violenza tra israeliani e palestinesi in Cisgiordania e Gerusalemme est ha fatto almeno 25 morti dalla parte israeliana e più di 130 da quella palestinese, rendendo il 2022 l’anno con più vittime dal 2006.

Israele afferma che le sue incursioni ed arresti che avvengono quasi ogni notte in Cisgiordania sono necessari per smantellare le reti armate in un momento in cui le forze di sicurezza palestinesi non sono capaci o non vogliono farlo.

L’Autorità Nazionale Palestinese afferma che le incursioni indeboliscono le sue forze di sicurezza ed hanno lo scopo di consolidare l’occupazione illegale di Israele che continua da 55 anni nei territori che i palestinesi vogliono per il loro auspicato Stato.

In queste incursioni sono state fermate centinaia di palestinesi, molti dei quali sottoposti alla cosiddetta detenzione amministrativa, che consente ad Israele di detenerli a tempo indefinito senza processo né imputazione.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Al-Haq: “65 organizzazioni inviano una lettera al nuovo alto commissario per i diritti umani, sollecitando misure concrete per assicurare giustizia e responsabilizzazione per il popolo palestinese”

Al-Haq

18 ottobre 2022 – IMEMC

Il 17 ottobre 65 organizzazioni palestinesi, regionali ed internazionali hanno inviato una lettera congiunta al nuovo alto commissario per i diritti umani, Volker Türk, dandogli il benvenuto per questa sua nuova posizione ed evidenziando alcune delle recenti e allarmanti politiche e pratiche israeliane imposte ai palestinesi.

In modo specifico la lettera sottolinea i 15 anni di chiusura e assedio della Striscia di Gaza da parte di Israele; l’inasprimento delle incursioni militari intrusive di Israele nelle città palestinesi nei mesi scorsi; la chiusura come atto di punizione collettiva dei campi profughi di Shuafat e ‘Anata, così come un aggravamento nell’uso della politica “sparare per uccidere” delle forze di occupazione israeliane.

Inoltre la lettera sottolinea l’incremento della campagna israeliana di arresti e detenzioni arbitrari di massa, inclusa l’arbitraria, coercitiva e punitiva politica della detenzione amministrativa [cioè senza processo né accuse e rinnovabile a tempo indeterminato, ndt.].

Notando come al popolo palestinese sia stato negato per decenni il diritto all’autodeterminazione, la lettera congiunta evidenzia che la situazione dei diritti umani in Palestina dovrebbe essere in cima all’agenda dell’alto commissario, incluso un incremento della priorità dell’aggiornamento annuale del database ONU sulle attività commerciali delle colonie, come prescritto [dalle norme dell’ONU, ndt.].

La lettera fa notare con preoccupazione i ripetuti e inspiegabili ritardi dell’aggiornamento del database che sono senza precedenti nel modo in cui l’ufficio dell’alto commissariato per i diritti umani (OHCHR) ha gestito i mandati precedenti e sono causati da pressioni e interferenze politiche esercitate su OHCHR.

A tal fine la lettera evidenzia gli sforzi sistematici di Israele per silenziare i difensori dei diritti umani che alzano la loro voce contro le politiche e pratiche illegali di Israele, inclusa la messa al bando arbitraria di sei importanti organizzazioni della società civile palestinese, e spingono per la giustizia e la responsabilizzazione internazionale Ciò detto, le organizzazioni hanno espresso la loro fiducia che tale pressione non farà sviare l’OHCHR dal suo impegno per i diritti umani, per la giustizia, e la responsabilizzazione e sollecitano il nuovo alto commissario e il suo ufficio a:

    1. Riconoscere e prendere atto delle cause prime della prolungata negazione dei diritti dei palestinesi, radicata nel colonialismo di insediamento e nell’apartheid dello Stato di Israele;
    2. Dare priorità all’aggiornamento annuale del database ONU, come prescritto dalla Risoluzione 31/36 del Consiglio per i Diritti Umani (HRC) ed assicurare che siano allocate le opportune risorse per permettere uno sviluppo continuativo del database;
    3. Continuare a lavorare con le organizzazioni della società civile e con i difensori dei diritti umani in piena trasparenza per il completamento e l’aggiornamento continuativo del database;
    4. Affrontare l’aggressione istituzionale e sistematica da parte di Israele del popolo palestinese, inclusi i 15 anni di blocco della Striscia di Gaza e le massicce e arbitrarie politiche di “sparare per uccidere” e detenzione amministrativa
    5. Indagare e segnalare, con visite in loco o altro, attacchi contro i difensori dei diritti umani che lavorano sulle questioni palestinesi e che affrontano intimidazioni o arbitrarie restrizioni legislative o amministrative e assicurarne la protezione

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Israele ritarda il rilascio concordato di un prigioniero dopo 172 giorni di sciopero della fame

Redazione di MEMO

3 ottobre 2022 – Middle East Monitor

Domenica un tribunale israeliano ha rimandato fino ad oggi il rilascio concordato del prigioniero Khalil Awawdeh. Awawdeh di quarant’anni e abitante a Idna, nel distretto di Hebron nella Cisgiordania del sud, ha interrotto lo sciopero della fame il 21 giugno dopo che le autorità israeliane gli avevano promesso che non avrebbero rinnovato la sua detenzione amministrativa.

Una settimana dopo ha ricominciato la sua protesta dopo che le autorità dell’occupazione si sono rimangiate la promessa e hanno deciso di prolungare la sua detenzione. Egli ha interrotto nuovamente lo sciopero della fame il 21 agosto quando si era concordato il suo rilascio il 2 ottobre.

Tuttavia il tribunale israeliano di Rishon LeZion, vicino a Tel Aviv, lo scorso mercoledì ha sentenziato che Awawdeh sarebbe stato trattenuto almeno fino al 9 ottobre. Nondimeno le autorità poi si sono accordate per il rilascio in data odierna, anche se il ministero palestinese dei prigionieri a Gaza si aspettava che ciò avrebbe significato che la detenzione sarebbe ricominciata.

Questa estensione è apparentemente dovuta al fatto che egli è stato accusato di cercare di portare con sé all’infermeria della prigione di Ramla il telefono cellulare che aveva all’ospedale Assaf Harofeh.

Proviamo frustrazione e dolore” ha detto Dalal, la moglie di Awawdeh. “Questa è una occupazione e non è una novità per noi che cerchino di rovinare la gioia e il trionfo di Khalil dopo che si era riconquistato la libertà da loro”.

Amnesty International ha descritto l’uso da parte di Israele della detenzione amministrativa come una “crudele e ingiusta pratica che contribuisce a mantenere il sistema di apartheid di Israele nei confronti dei palestinesi.”

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Tribunale israeliano prolunga per la quinta volta l’arresto di una giornalista palestinese con due figli

Redazione di PNN

12 settembre 2022 – Palestine News Network

Secondo fonti locali, oggi un tribunale israeliano ha esteso per la quinta volta la detenzione di una giornalista palestinese residente a Gerusalemme est occupata e madre di due bambini.

Dopo due udienze, oggi la corte ha esteso fino a domenica prossima la detenzione della giornalista palestinese Lama Ghosheh.

Secondo il Palestinian Prisoner’s Society (PPS) [organizzazione che si occupa delle condizioni dei detenuti, n.d.t.] Ghosheh è stata portata ammanettata all’udienza e si è lamentata delle difficili condizioni della sua detenzione in isolamento nella prigione israeliana di Hasharon. È stato riportato che la giornalista ha pianto e ha implorato di essere rilasciata per riunirsi ai suoi bambini.

Lama Ghosheh, di 32 anni, sposata, madre di due bambini di due e cinque anni, laureata alla università di Birzeit, è stata posta agli arresti domiciliari nella sua casa di Sheikh Jarrah a Gerusalemme Est occupata il 4 di questo mese, quando il suo cellulare e il suo computer sono stati sequestrati.

Si ritiene che la sua detenzione sia collegata al suo lavoro di giornalista e alla difesa delle case di Sheikh Jarrah contro l’occupazione da parte dei coloni israeliani.

Il numero di giornalisti attualmente detenuti nelle prigioni israeliane è salito a 17, con tre giornaliste donne, ha affermato il PPS.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Palestina: una delegazione UE “scioccata” dalle immagini del prigioniero da quasi 200 giorni in sciopero della fame

Redazione di MEE

29 agosto 2022 – Middle East Eye

I medici avvertono che Khalil Awawdeh è a rischio di morte imminente dopo essere stato trattenuto per mesi in una prigione israeliana senza accuse.***

Domenica la delegazione dell’Unione Europea per i palestinesi ha affermato di essere rimasta “scioccata” dalle foto del gracile corpo del detenuto Khalil Awawdeh, da marzo in sciopero della fame in una prigione israeliana.

La delegazione ha twittato: “Siamo scioccati dalle orribili immagini di Awawdeh che sta facendo lo sciopero della fame…per protestare contro la sua detenzione senza accuse ed è in imminente pericolo di vita. A meno che non sia immediatamente incriminato, deve essere rilasciato.”

Nel messaggio Awawdeh afferma che “questo corpo, di cui rimangono solo pelle e ossa, non riflette la debolezza e la nudità del popolo palestinese, ma piuttosto riflette e rispecchia il volto concreto dell’occupazione.”

Egli aggiunge che Israele “sostiene di essere uno Stato democratico, mentre c’è un prigioniero senza accuse che si è schierato contro la barbara detenzione amministrativa, per dire con la sua carne e il suo sangue ‘no’ alla detenzione amministrativa.”

I medici hanno avvertito che Awawdeh è a rischio di morte imminente; dopo aver perso decine di chili il suo corpo ha raggiunto un grave livello di fragilità e la sua ossatura e il suo torace sono sporgenti.

Anni di detenzione amministrativa

Il quarantenne è originario del villaggio di Idhna, nei pressi di Hebron, nel sud della Cisgiordania occupata. Nel corso della sua vita è stato arrestato cinque volte ed ha passato un totale di 13 anni nelle prigioni israeliane.

Israele lo accusa di essere un attivista del gruppo Jihad Islamico Palestinese (PIJ).

Lo scorso mese l’organizzazione ha affermato di aver raggiunto un accordo con Israele per il rilascio di Awawdeh e Bassam al-Saadi, importante personalità del PIJ di Jenin, come parte dell’accordo di cessate il fuoco in seguito all’operazione militare israeliana contro la Striscia di Gaza a luglio.

Tuttavia funzionari israeliani lo hanno smentito e rimangono irremovibili riguardo al fatto che sia Saadi che Awawdeh rimarranno in carcere.

Awawdeh ha passato un totale di sei anni in detenzione amministrativa senza accuse. È sposato e padre di quattro figlie.

Ci sono 4.450 detenuti palestinesi nelle carceri israeliane, 560 dei quali in detenzione amministrativa.

Questa prassi molto criticata, in uso quasi esclusivamente contro i palestinesi, consente la detenzione senza accuse né processo per periodi rinnovabili da tre a sei mesi, senza possibilità di appello o senza sapere quali accuse siano mosse al prigioniero.

Molti detenuti palestinesi hanno fatto ricorso allo sciopero della fame per protestare contro questa prassi e imporre il proprio rilascio.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

***

Khalil Awawdeh sospende lo sciopero della fame. Sarà liberato il 2 ottobre

Pagine Esteri




In condizioni critiche palestinese in sciopero della fame trattenuto in carcere da Israele

Ilan Ben Zion e Alon Bernstein

22 agosto 2022 – The Washington Post

GERUSALEMME – Dopo che la Corte Suprema del Paese ha respinto l’appello per la liberazione dell’uomo, un palestinese in sciopero della fame detenuto in carcere da Israele si trova in condizioni critiche e potrebbe morire in qualsiasi momento per una serie di malattie, come ha detto lunedì un medico che lo ha visitato.

Khalil Awadeh, di 40 anni, è in sciopero della fame da marzo per protestare contro la sua cosiddetta detenzione amministrativa, una politica israeliana che consiste nel trattenere i palestinesi per presunto coinvolgimento in attività militanti. I detenuti possono essere trattenuti senza accusa o processo ogni volta per mesi o anni, senza poter prendere visione delle presunte prove a loro carico. Israele descrive tale prassi come una misura di sicurezza necessaria, mentre i critici affermano che è una violazione del giusto processo.

La famiglia afferma che Awawdeh è in sciopero della fame da 170 giorni e assume solo acqua. Le foto di Awawdeh scattate venerdì dal suo avvocato lo mostrano emaciato e disteso in un letto d’ospedale.

La dottoressa Lina Qasem-Hassan, un medico dei Physicians for Human Rights [Medici per i diritti umani, ONG che utilizza medicina e scienza per documentare e difendere contro le atrocità di massa e le gravi violazioni dei diritti umani, ndt.] che ha visitato Awadeh all’inizio di questo mese, ha riferito che è magrissimo e soffre di malnutrizione.

Ha detto che ci sono segni di danni neurologici, con sintomi come perdita di memoria, incapacità di concentrazione, movimenti oculari involontari e una perdita quasi totale della vista. Ha aggiunto che c’è un rischio di insorgenza in qualsiasi momento di un’insufficienza cardiaca o renale.

“Non c’è dubbio che la sua vita è a rischio”, ha affermato.

La scorsa settimana la sua avvocata, Ahlam Haddad, ha presentato appello alla Corte Suprema perché egli venga rilasciato a causa delle sue precarie condizioni di salute. Ma domenica la corte ha respinto il ricorso.

Nella sua sentenza, la corte ha affermato di aver esaminato le informazioni di sicurezza riservate su Awawdeh e di aver stabilito che esiste “una solida e valida giustificazione per la sua detenzione amministrativa”.

Haddad ha detto che avrebbe presentato un’altra richiesta per il suo rilascio non appena le sue condizioni fossero peggiorate. “Questa è l’equazione, un’equazione difficile”, ha detto.

Il servizio di sicurezza [interna, ndt.] israeliano Shin Bet non ha risposto a una richiesta di commento.

L’esercito israeliano ha arrestato Awawdeh lo scorso dicembre, sostenendo che fosse un agente del gruppo armato Jihad islamica palestinese, un’accusa che la sua legale ha respinto.

Awawdeh è uno dei tanti prigionieri palestinesi che negli ultimi anni hanno intrapreso lunghi scioperi della fame per protestare contro la detenzione amministrativa nei loro confronti. Molti hanno continuato a soffrire di problemi di salute permanenti dopo il loro rilascio.

Israele afferma che le detenzioni amministrative aiutano a tenere lontani i militanti pericolosi dalle strade e consentono al governo di trattenere i sospetti senza divulgare informazioni o prove sensibili contro di loro. Le critiche affermano che [tale misura] nega il giusto processo ai prigionieri e mira a reprimere l’opposizione ai 55 anni dell’occupazione israeliana di territori che i palestinesi richiedono [indietro] per un [loro] futuro Stato.

Israele detiene attualmente circa 4.400 prigionieri palestinesi, inclusi militanti che hanno compiuto attacchi letali insieme a persone arrestate durante le proteste o per aver lanciato pietre.

Attualmente circa 670 prigionieri palestinesi si trovano in detenzione amministrativa, un numero che è aumentato da marzo quando Israele ha iniziato delle incursioni mirate ad arresti quasi ogni notte nella Cisgiordania occupata a seguito di una serie di attacchi letali contro israeliani.

La famiglia di Awawdeh dice che egli non assume cibo da marzo, anche se ha preso alcuni integratori vitaminici per due settimane a giugno, quando pensava che il suo caso stesse per essere risolto.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Palestinese in sciopero della fame si appellerà alla Corte Suprema israeliana

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Il prigioniero palestinese Khalil Awawdeh continua uno sciopero della fame durato 165 giorni contro la sua detenzione senza accuse né processo

Secondo la sua legale, il prigioniero palestinese in sciopero della fame Khalil Awawdeh si appellerà alla Corte Suprema israeliana contro la sua detenzione dopo che un tribunale militare israeliano ha respinto una richiesta di rilascio per problemi di salute.

Awawdeh – che secondo la sua famiglia è in sciopero della fame per protesta da 165 giorni – sta contestando il fatto di essere detenuto senza accuse né processo in base a quella che Israele definisce “detenzione amministrativa”.

L’avvocatessa Ahlam Haddad sostiene che la salute del suo cliente sta peggiorando e di aver chiesto che venga rilasciato.

“A quest’uomo non è stata fatta giustizia,” ha detto Haddad riguardo alla sentenza del tribunale militare israeliano. “Ci rivolgiamo alla… Corte Suprema di Gerusalemme per ottenere forse la giusta soluzione, cioè il suo rilascio dalla detenzione amministrativa.”

Awawdeh, quarantenne con quattro figli, è uno dei numerosi prigionieri palestinesi in prolungato sciopero della fame che nel corso degli anni hanno protestato contro la detenzione amministrativa.

Israele sostiene che questa politica contribuisce a mantenere le strade sicure e consente al governo israeliano di detenere i sospettati senza divulgare informazioni di intelligence riservate.

Chi lo critica afferma che questo modo di agire nega il giusto processo ai prigionieri palestinesi.

Israele sostiene che Awawdeh è membro di un gruppo armato, un’accusa che tramite la sua avvocatessa egli ha strenuamente respinto.

Miliziani palestinesi del Jihad Islamico hanno chiesto il rilascio di Awawdeh come parte di un accordo di cessate il fuoco mediato dall’Egitto che ha posto fine all’attacco di tre giorni contro la Striscia di Gaza assediata da parte di forze israeliane all’inizio di questo mese. L’organizzazione non lo ha riconosciuto come un suo membro.

Israele attualmente tiene in carcere circa 4.450 prigionieri palestinesi.

Al momento sono in detenzione amministrativa circa 670 palestinesi, un numero in aumento in marzo quando Israele ha iniziato a effettuare retate quasi ogni sera nella Cisgiordania occupata.

Secondo gli ultimi dati resi pubblici dall’associazione per i diritti dei detenuti Addameer, delle migliaia di palestinesi nelle prigioni israeliane 175 sono minorenni e 27 sono donne.

Haddad ha affermato che, secondo la sua famiglia, durante lo sciopero della fame il suo cliente non ha mai mangiato, salvo che in un periodo di 10 giorni in cui ha ricevuto iniezioni di vitamine.

Il servizio di sicurezza interna israeliano Shin Bet non ha fatto commenti sul suo caso.

Israele ha affermato che la detenzione amministrativa garantisce un giusto processo e imprigiona principalmente chi minaccia la sua sicurezza, benché un piccolo numero di prigionieri sia composto da detenuti per reati minori.

I palestinesi e le associazioni per i diritti umani affermano che il sistema è inteso a reprimere l’opposizione all’occupazione militare israeliana delle loro terre durata 55 anni e che non accenna a finire.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)