La morte di un palestinese accende le proteste contro la cooperazione dei dirigenti della Cisgiordania con Israele.

Amira Hass, 15 marzo 2017,Haaretz

Basil al-Araj, di 33 anni, è stato ucciso vicino a Ramallah da soldati israeliani, che affermano che lui fosse ricercato dalle forze di sicurezza. Le fonti palestinesi sostengono tutt’altro.

Basil al-Araj, trentatreenne di Betlemme, è stato ucciso da soldati israeliani e poliziotti di frontiera lunedì scorso, nell’appartamento in cui si nascondeva ad Al-Bireh, vicino a Ramallah. L’esercito asserisce che era ricercato dalle forze di sicurezza ed è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco con i soldati arrivati ad arrestarlo. Fonti palestinesi sostengono che l’esercito ha sparato una granata nell’appartamento.

La sua morte ha riacceso il dibattito tra i palestinesi sulla cooperazione per la sicurezza tra l’Autorità Nazionale Palestinese ed Israele ed ha scatenato proteste, come al solito represse dai servizi di sicurezza dell’ANP. E questo, ancora una volta, ha innescato ulteriori proteste.

La repressione della ridotta protesta di domenica davanti al tribunale di Al-Bireh, a cui ha partecipato anche il padre di Al-Araj, non era insolita. I servizi di sicurezza dell’ANP hanno represso molte proteste.

Tuttavia sono state le circostanze ad essere inconsuete: dentro al tribunale sei giovani avrebbero dovuto affrontare un processo con l’accusa di detenere illegalmente armi e di aver messo in pericolo delle vite. Ma solo uno era presente. Altri quattro sono stati arrestati da Israele alcuni mesi fa. Il sesto era Al-Araj.

L’anno scorso tutti e sei sono stati detenuti in un carcere palestinese per circa sei mesi e rilasciati in seguito ad uno sciopero della fame. Poi quattro sono stati arrestati da Israele e Al-Araj è ha fatto perdere le sue tracce. Secondo quanto riportato dai palestinesi, nonostante avesse le prove che quei quattro si trovavano in prigioni israeliane, il giudice ha semplicemente rinviato il loro processo al 30 aprile, adducendo che si trattava di detenuti amministrativi che potrebbero essere rilasciati per quella data. Ha annullato l’incriminazione di Al-Araj solo dopo aver ricevuto il suo certificato di morte.

All’esterno, qualche dozzina di manifestanti, tra cui giovani donne e vecchi militanti contro l’occupazione israeliana, dimostravano contro la cooperazione per la sicurezza con Israele. I servizi di sicurezza dell’ANP hanno cercato di impedire all’emittente Falastin Al-Youm, legata alla Jihad islamica, di trasmettere la manifestazione in diretta.

Poi, nonostante la presenza di donne, i servizi di sicurezza hanno disperso i dimostranti con spintoni, brutali percosse, granate stordenti e gas lacrimogeni. Il gas si è diffuso nella strada dove si trovano anche una scuola ed un asilo.

Tra i feriti trasportati in ospedale c’era il padre del ragazzo morto. Uno dei quattro dimostranti arrestati per parecchie ore era Khader Adnan, famoso per il lungo sciopero della fame contro la sua detenzione senza processo in Israele. La polizia dell’ANP ha detto che i dimostranti sono stati dispersi perché bloccavano una strada importante.

Fotografie della repressione della protesta sono state diffuse nei social media, insieme ad appelli a tornare nelle strade, invece di limitarsi a denunce su Facebook. E’ stata indetta un’altra manifestazione per la giornata di ieri a Ramallah e sono stati sollecitati a parteciparvi giornalisti ed avvocati.

Anche una precedente manifestazione, svoltasi nel campo profughi di Deheishe per commemorare Al-Araj e protestare contro la cooperazione per la sicurezza con Israele, è stata dispersa con la forza. Questo ha spinto il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ad annunciare un boicottaggio delle elezioni amministrative previste in Cisgiordania a maggio.

Come al solito, le opinioni su Facebook erano divergenti. Alcuni avanzavano il sospetto che i servizi di sicurezza dell’ANP avessero aiutato Israele a rintracciare Al-Araj e sostenevano che anche la sua incriminazione costituisse cooperazione con l’occupazione. Altri denunciavano la dispersione della protesta, ma mettevano in guardia dalle accuse di tradimento e dal paragonare la polizia palestinese ai soldati israeliani. Gli attivisti di Fatah non si sono assunti la responsabilità per le azioni della polizia, tralasciando il fatto che la loro organizzazione è il partito al governo e che i suoi membri ricoprono ruoli chiave nei servizi di sicurezza.

Al-Araj, che era farmacista, faceva parte della sinistra palestinese. Ha partecipato a proteste popolari pacifiche contro il progetto di Israele di costruire un muro attraverso Al-Walaja, un villaggio ad ovest di Betlemme, ed espropriare i suoi terreni per costruire un parco pubblico per gli israeliani. Ha partecipato anche alle proteste popolari contro le colonie e la normalizzazione con Israele.

La lotta popolare pacifica è stata sconfitta: il muro è stato costruito, la popolazione ha perso le sue terre o ne è stata scacciata, le colonie si stanno espandendo e la cooperazione per la sicurezza dell’ANP con Israele continua. Gli amici di Al-Araj dicono che questa sconfitta lo ha spinto ad abbracciare i metodi della lotta palestinese del 1936 – armarsi, entrare in clandestinità, salire sulle colline, rischiare l’arresto e la morte. La strada tragica che lui ha intrapreso e che, nonostante tutto, la grande maggioranza non prende, è la prova del vicolo cieco in cui si trova la politica palestinese.

Come sempre, le ultime proteste e i tentativi di reprimerle hanno risvegliato la speranza che si potrà spezzare l’impasse nella politica palestinese, che il monopolio che Mahmuod Abbas detiene sulla politica all’interno dell’OLP, di Fatah e dell’ANP potrà essere indebolito. L’esperienza insegna che, dopo un’iniziale repressione delle proteste, l’ANP trova il modo di disperderle. Ma c’è un accumulo costante di amarezza, disgusto, disperazione e rabbia. Non c’è modo di sapere come, o per quanto tempo, i servizi di sicurezza dell’ANP saranno in grado di arginare questi sentimenti o di reprimere l’attività politica da essi generata.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Comitato: “Un’enorme maggioranza” di minori palestinesi detenuti da Israele viene “torturata”

Ma’an Agency 18 ottobre 2016

Ramallah.(Ma’an).

Martedì il Comitato Palestinese per le Questioni dei Prigionieri, oltre a denunciare un deciso aumento della carcerazione e dei maltrattamenti da parte di Israele dei ragazzi palestinesi, ha dichiarato che nella “stragrande maggioranza” dei casi i minori palestinesi chiusi nelle carceri israeliane di Megiddo e Ofer sono stati torturati durante la detenzione e gli interrogatori.

L’avvocato del comitato Luay Ukka ha dichiarato che, durante una visita al carcere di Ofer, ha constatato che il numero dei giovani prigionieri era notevolmente aumentato nello scorso mese. A metà ottobre, ha detto, il numero dei prigionieri palestinesi sotto i 18 anni ad Ofer è salito a 28, di cui 14 minori di 14 anni.

Secondo l’associazione per i diritti umani Defense for Children International – Palestine (DCIP) [Difesa dei Minori Internationale – Palestina (DCIP)] , Israele ha anche drasticamente incrementato l’uso della detenzione amministrativa – incarcerazione senza accusa né processo – contro i minori.

Secondo la DCIP, nello scorso anno sono stati sottoposti a detenzione amministrativa 19 minori palestinesi. Prima dell’ ottobre 2015 Israele, a quanto risulta, non aveva trattenuto in detenzione amministrativa nessun minore palestinese della Cisgiordania occupata dal dicembre 2011.

Secondo Ukka, “la stragrande maggioranza” dei minori prigionieri detenuti a Ofer ha subito “torture, pestaggi, umiliazioni” durante le incursioni da parte dei militari israeliani per arrestarli e anche durante gli interrogatori.

Ukka ha anche detto che la maggioranza dei minori prigionieri proveniva dal campo profughi di Aida e dalla città di al-Ubeidiya, che si trovano nel distretto di Betlemme, nella parte meridionale della Cisgiordania occupata. Proprio la settimana scorsa militari israeliani in borghese hanno arrestato otto minori palestinesi nel campo profughi di Aida, mentre i residenti del campo – in particolare minori – hanno recentemente subito un’intensificazione di violente incursioni militari.

Il quattordicenne Tamir Abu Salem, arrestato circa un anno fa ad Aida, ha detto a Ukka che le incursioni hanno scatenato scontri tra i giovani del luogo ed i soldati israeliani e che lui è stato colpito alla testa da una pallottola d’acciaio rivestita di gomma prima di essere portato in carcere, dove gli hanno anche dato un pugno in faccia. Tamir ha aggiunto che la pallottola gli ha fratturato un osso della testa e che “quando respiro una parte del mio cuoio capelluto si muove su e giù.”

Il quattordicenne ha raccontato che le uniche cure che ha ricevuto dal servizio carcerario israeliano (IPS) sono state alcuni antidolorifici – lamentela comune tra i prigionieri palestinesi malati e feriti, parte di una deliberata politica di negligenza sanitaria da parte delle autorità carcerarie israeliane.

Lunedì, in una sede diversa, Hiba Masalha, un altro avvocato che lavora con il comitato, ha dichiarato che il numero di minori prigionieri nel carcere di Megiddo è anch’esso recentemente aumentato. “Per la maggior parte i minori prigionieri vengono torturati ed umiliati durante l’arresto”, ha detto, aggiungendo che i minori palestinesi vengono anche perquisiti fisicamente all’arrivo nei centri di detenzione israeliani.

La pubblicazione delle testimonianze è avvenuta un giorno dopo che la DCIP ha pubblicato un rapporto in cui afferma che almeno cinque minori palestinesi sono stati arrestati da Israele senza accuse negli ultimi mesi, in merito a post su Facebook che le autorità israeliane hanno considerato “istigazione”.

Intanto il Comitato Palestinese per le questioni carcerarie in un rapporto di settembre ha segnalato che almeno 1000 minori palestinesi tra gli 11 e i 18 anni sono stati imprigionati da Israele a partire da gennaio, parecchi dei quali hanno riferito di aver subito violenza ed essere stati torturati durante la detenzione.

Secondo l’associazione per i diritti dei prigionieri Addameer, sono attualmente detenuti da Israele come prigionieri politici in totale 340 minori palestinesi.

Gli interrogatori dei minori palestinesi, secondo Addameer, possono durare fino a 90 giorni e, oltre ai pestaggi e alle minacce, sono stati riferiti anche casi di violenza sessuale e reclusione in isolamento per ottenere confessioni, mentre le confessioni che sono costretti a firmare sono in ebraico, lingua che la maggior parte dei minori palestinesi non conosce.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)




Comitato: Oltre 1000 minori palestinesi detenuti da Israele nel 2016 fino ad ora

24 settembre 2016,

Maanews Agency

RAMALLAH (Ma’an) —

Sabato il Comitato Palestinese per le questioni dei prigionieri ha detto che oltre 1000 minori palestinesi sono stati imprigionati dalle forze israeliane dall’inizio dell’anno, registrando un incremento rispetto al 2015.

Il Comitato ha dichiarato che almeno 1000 minori palestinesi, di età compresa tra 11 e 18 anni, sono stati imprigionati da Israele dallo scorso gennaio, inclusi circa 70 bambini di Gerusalemme est occupata, che sono stati posti agli arresti domiciliari.

Un avvocato del Comitato, Hilba Masalha, ha citato parecchi casi in cui i minori palestinesi hanno subito abusi e torture durante la detenzione.

Uno dei ragazzi, il diciassettenne Nidal del quartiere Issawiya di Gerusalemme est, è stato arrestato in giugno e tenuto per 20 giorni nel famigerato “Russian compound” [stazione di polizia nell’omonimo quartiere, così chiamato perché ospita una grande chiesa ortodossa, ndt], prima di essere trasferito alla prigione di Megiddo. Secondo Masalha, Nidal ha riferito di essere stato sistematicamente picchiato brutalmente ed anche insultato, mentre si trovava nel “Russian compound”.

Ha citato in particolare un’occasione in cui una decina di guardie carcerarie lo hanno trascinato dalla sua cella in una stanza senza videocamere di sicurezza e lo hanno brutalmente picchiato per un’ora mentre era ammanettato. Una delle guardie, ha detto Nidal, ha preso un secchio dell’immondizia e glielo ha messo sulla testa, mentre il gruppo rideva e lo scherniva.

Pure Ahmad, un sedicenne anch’egli di Issawiya, arrestato in aprile, è stato portato nel “Russian compound”, dove gli hanno ordinato di stare in ginocchio a testa bassa per tre ore. Prima dell’ interrogatorio, un poliziotto ha tagliato con un coltello il cappio usato per ammanettare Ahmad, ferendolo.

Ahmad ha detto che il profondo taglio sulla sua mano non è stato curato durante l’interrogatorio di tre ore da parte di cinque inquirenti israeliani, che gli urlavano contro e lo hanno picchiato diverse volte anche sulla testa, sostenendo che si stava comportando in modo “irritante”.

Masalha ha anche citato il caso del diciassettenne Umran del distretto di Tulkarem in Cisgiordania, arrestato in maggio mentre camminava per strada. Umran sarebbe stato ripetutamente picchiato mentre era detenuto.

I soldati lo hanno portato da un posto all’altro dal pomeriggio alla sera dopo il suo arresto, lo hanno condotto fino al muro di separazione israeliano e là gli hanno scattato fotografie con in mano la sua carta d’identità, tra le risate. Infine al mattino Umran è stato portato in una struttura di sicurezza prima di essere trasferito in una prigione israeliana.

In agosto il Comitato Palestinese per le questioni dei prigionieri ha dichiarato che le forze israeliane avevano arrestato 560 ragazzi a Gerusalemme est occupata dall’inizio del 2016.

Secondo il Comitato le forze israeliane hanno imprigionato 30 ragazzi palestinesi nel mese di agosto, alcuni dei quali tredicenni, ed hanno incassato 65.000 shekels ( circa 15 dollari) di multa dalle loro famiglie, mentre la maggior parte dei detenuti ha detto di essere stato picchiato e torturato durante la detenzione e l’interrogatorio e di essere stati trasportati da un centro di detenzione all’altro.

Negli ultimi mesi le forze israeliane hanno operato un giro di vite nei confronti dei ragazzini a Gerusalemme est, dal momento che le comunità palestinesi nella città occupata hanno incominciato a risentire delle conseguenze della legislazione approvata tra il 2014 e il 2015, che aumenta le pene per chi lancia pietre, consentendo che siano loro comminate condanne a 20 anni nel caso sia provata l’intenzione di ferire, e fino a 10 anni in caso contrario.

L’associazione per i diritti ‘Defense for Children International-Palestina (DCIP)’ ha citato in un rapporto di luglio molti casi di minori palestinesi che hanno ricevuto condanne al carcere per periodi dai 12 ai 39 mesi, con fino a tre anni di libertà vigilata.

I diffusi arresti fanno luce sugli abusi ampiamente documentati di ragazzi palestinesi da parte delle forze israeliane e sulle dure prassi di interrogatorio utilizzate per estorcere confessioni, che sono da tempo oggetto di critica da parte della comunità internazionale.

Secondo il DCIP, i minori di Gerusalemme, benché in teoria abbiano maggiori diritti dei ragazzi palestinesi nella Cisgiordania occupata, che sono soggetti ad un draconiano sistema di detenzione militare, tuttavia “non godono dei diritti che gli spetterebbero” all’interno del sistema giudiziario civile israeliano.

Su 65 casi documentati dal DCIP nel 2015, “più di un terzo dei ragazzi di Gerusalemme è stato arrestato di notte (38,5%), la grande maggioranza (87,7%) è stata legata durante l’arresto e solo un’esigua minoranza di ragazzi (10,8%) ha potuto avere la presenza di un familiare o un avvocato durante l’interrogatorio.”

Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma di responsabilizzazione del DCIP, è stato citato nel rapporto con queste parole: “Le modifiche del codice penale e delle linee guida politiche a partire dal 2014 sono discriminatorie e hanno come obbiettivo i palestinesi, specificamente i ragazzi. Israele è firmatario della Convenzione per i Diritti dell’Infanzia e facciamo appello perché rispetti le proprie responsabilità.”

Secondo l’associazione per i diritti dei prigionieri Addameer, gli interrogatori dei ragazzini palestinesi possono durare fino a 90 giorni, durante i quali, oltre ad essere picchiati e minacciati, sono spesso riportati casi di violenza sessuale e detenzione in isolamento per ottenere confessioni, mentre i verbali delle confessioni che sono costretti a firmare sono in ebraico – lingua che la maggior parte dei minori palestinesi non parla.

Secondo Addameer, fino ad agosto risultavano essere stati detenuti nelle prigioni israeliane 7000 palestinesi, 340 dei quali erano minori.

Traduzione di Cristiana Cavagna




Rapporto OCHA del periodo 6 – 19 settembre 2016

Nell’arco di quattro giorni (16-19 settembre), sono state registrate sette aggressioni e presunte aggressioni da parte di palestinesi contro israeliani: è il numero più alto a partire dalla precedente escalation di violenza registrata nell’ultimo trimestre del 2015. Sei dei presunti aggressori, tra cui un ragazzo di 17 anni ed un cittadino giordano, sono stati uccisi sul posto;

altri tre sono stati feriti ed arrestati. Cinque soldati ed agenti di polizia e tre coloni israeliani sono stati feriti. Uno degli episodi, verificatosi all’ingresso dell’insediamento colonico di Kir-yat Arba’ (Hebron), è consistito in un sospetto speronamento con auto; negli altri sei casi si è trattato di accoltellamenti, o presunti tentativi di accoltellamento: tre nella Città Vecchia di Hebron, due nella Città Vecchia di Gerusalemme e uno all’ingresso dell’insediamento colonico di Efrata (Betlemme). Da quanto riferito, nessuno dei presunti responsabili risulta affiliato a qualche gruppo armato; tutti avrebbero agito autonomamente.

Due palestinesi sono stati uccisi con armi da fuoco durante scontri con le forze israeliane: il primo nel villaggio di Beit Ula (Hebron), a seguito di una operazione di ricerca-arresto, ed il secondo nei pressi della recinzione che circonda la Striscia di Gaza, nel corso di un episodio di lancio di pietre. La vittima di questo secondo caso è un ragazzo di 16 anni che, secondo le indagini svolte da diverse organizzazioni per i diritti umani, è stato colpito alla testa da un candelotto lacrimogeno sparato dai soldati israeliani. Sale così a 16, dall’inizio dell’anno, il numero di civili palestinesi uccisi dalle forze israeliane durante scontri e proteste.

Complessivamente, durante il periodo di riferimento di due settimane, nel contesto di molteplici scontri, le forze israeliane hanno ferito 98 palestinesi, tra cui 37 minori. Oltre tre quarti di queste lesioni sono dovute ad inalazione di gas richiedente un trattamento medico; la maggior parte dei restanti ferimenti sono da attribuire a proiettili di gomma o ad armi da fuoco. Più della metà dei feriti sono stati registrati durante scontri avvenuti nelle città di Abu Dis e di Al ‘Eizariya (nel governatorato di Gerusalemme), a seguito di lancio di pietre da parte di giovani palestinesi contro le forze israeliane; altri cinque ferimenti si sono verificati durante scontri nei pressi della recinzione che circonda la Striscia di Gaza.

Sempre nella Striscia di Gaza, durante le due settimane di riferimento, in almeno 29 casi le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento verso palestinesi presenti nelle Aree ad Accesso Riservato (ARA) di terra e di mare, costringendoli ad allontanarsi, ma senza provocare vittime. In altri due casi, le forze israeliane sono entrate nella Striscia ed hanno spianato il terreno ed effettuato scavi in prossimità della recinzione perimetrale.

In solidarietà con i prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane e in sciopero della fame per protestare contro la detenzione amministrativa cui sono sottoposti, si sono svolte otto manifestazioni, concluse tutte senza scontri. Il Coordinatore delle Nazioni Unite per l’Assistenza Umanitaria e l’Aiuto allo Sviluppo ha sollecitato Israele a formalizzare le eventuali accuse o a rilasciare senza indugio tutti i detenuti amministrativi. Una ulteriore manifestazione si è tenuta per protestare contro la detenzione di sei palestinesi da parte delle Forze di Sicurezza Palestinesi.

In Cisgiordania le forze israeliane hanno condotto 137 operazioni di ricerca-arresto ed hanno arrestato 183 palestinesi. Il numero più alto di arresti (56) si è avuto nel governatorato di Gerusalemme. Altri tre palestinesi sono stati arrestati nelle vicinanze di tre posti di blocco, secondo quanto riferito perché trovati in possesso di coltello.

Le autorità israeliane hanno restituito alle famiglie i corpi di due palestinesi sospettati di aver compiuto aggressioni contro israeliani; uno dei corpi è stato trattenuto per più di otto mesi. Attualmente, sono ancora trattenuti dalle autorità israeliane i corpi di altri dieci presunti aggressori palestinesi; alcuni da sette mesi.

Il 15 settembre, nella Città Vecchia di Gerusalemme, la polizia israeliana ha sfrattato a forza, dall’appartamento tenuto in affitto fin dagli anni 30, una famiglia palestinese di otto persone; l’alloggio è stato consegnato ad un’organizzazione di coloni israeliani che, secondo quanto riferito, l’aveva acquistato. Il provvedimento è conseguente a prolungati procedimenti legali presso i tribunali israeliani dove la famiglia, sostenendo di essere “affittuari protetti” [categoria di inquilini non sfrattabili], si è opposta, senza successo, allo sfratto. L’appartamento in questione è parte di un più ampio complesso residenziale composto da nove appartamenti; nel luglio 2010, coloni israeliani erano entrati in possesso di otto di essi, causando lo sfollamento di sette famiglie palestinesi appartenenti alla stessa famiglia allargata.

In Area C e Gerusalemme Est, per mancanza di permessi di costruzione, le autorità israeliane hanno demolito 15 strutture di proprietà palestinese, sfollando 23 persone, tra cui 12 minori, e coinvolgendone, in modi diversi, altre 47. Due di queste strutture erano abitazioni di Gerusalemme Est, demolite dai proprietari dopo aver ricevuto ordini di demolizione: l’autodemolizione evita l’addebito dei relativi costi da parte delle autorità israeliane. Altre cinque strutture, situate nel villaggio di Al Aqaba, nel nord della Valle del Giordano, erano ripari di emergenza finanziati da donatori e forniti a seguito di precedenti demolizioni. Quest’ultima comunità è stata anche esposta a proiettili vaganti dovuti ad una lunga esercitazione a fuoco effettuata dai militari israeliani il 12 ed il 13 di settembre in vicinanza dell’area di residenza della comunità; non sono stati segnalati feriti.

In diverse aree della Cisgiordania, secondo i media israeliani, sei episodi di lancio di pietre, da parte di palestinesi contro veicoli israeliani, hanno provocato il ferimento di quattro israeliani, tra cui due donne, e danni a quattro veicoli.

Nei villaggi di Burin (Nablus) e Jinsafut (Qalqiliya), secondo quanto riferito, almeno 45 ulivi sono stati incendiati da coloni israeliani. Sempre in Burin, coloni israeliani accompagnati da forze israeliane, hanno spianato con bulldozer un appezzamento di terreno incolto di proprietà palestinese.

Durante il periodo di riferimento, il valico di Rafah, sotto controllo egiziano, è stato eccezionalmente aperto per tre giorni: due giorni in entrambe le direzioni (6-7 settembre) ed un giorno (18 settembre) solo per consentire il ritorno a Gaza dei pellegrini. Complessivamente, sono entrate in Gaza 916 persone e 1.175 ne sono uscite. Secondo le autorità palestinesi di Gaza circa 27.000 persone sono registrate ed in attesa di attraversare. Dall’inizio del 2016 il valico è stato parzialmente aperto per soli 23 giorni.

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Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 20 settembre, all’ingresso del villaggio di Bani Na’im (Hebron), le forze israeliane hanno ucciso un 16enne palestinese, presumibilmente dopo un suo tentativo di accoltellamento di un soldato; non sono stati segnalati feriti israeliani.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati settimanalmente in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informazio-ni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

sono scaricabili dal sito Web della Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, alla pagina:

https://sites.google.com/site/assopacerivoli/materiali/rapporti-onu/rapporti-settimanali-integrali

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it; Web: https://sites.google.com/site/assopacerivoli




Il sistema giudiziario militare d’Israele sembra essersi spinto troppo lontano.

Editoriale Haaretz 6 giugno, 2016

La crescente resistenza violenta all’occupazione non deve dare a Israele e al suo apparato di sicurezza il diritto di negare la libertà a persone innocenti.

La parlamentare palestinese Khalida Jarrar è stata rilasciata venerdì dopo 14 mesi di detenzione in una prigione israeliana. Jarrar era una prigioniera politica e la sua detenzione è stata una detenzione politica.

Dapprima Israele voleva tenerla in prigione senza processarla; solamente dopo una protesta internazionale è stata giudicata da una corte militare per una serie di accuse, la maggior parte delle quali erano ridicole e assurde: aver partecipato ad una fiera del libro, aver pagato una telefonata di condoglianze a una famiglia palestinese e cose simili. Il fatto che Jarrar, in quanto rappresentante eletta, goda di un certo livello di immunità parlamentare è ininfluente per il sistema giudiziario militare; ci sono altri parlamentari palestinesi nelle carceri israeliane.

Jarrar, che presiedeva la commissione del Consiglio legislativo palestinese sui prigionieri politici, ha trascorso molti anni a lavorare a favore dei prigionieri palestinesi, cercando di ottenere il loro rilascio. Ma 700 palestinesi detenuti amministrativi sono attualmente nelle prigioni israeliane, alcuni dei quali sono stati incarcerati da lungo tempo senza processo. Mentre Jarrar era in carcere è stato raggiunto un altro record; 61 donne palestinesi, 14 delle quali sono minorenni, sono tenute nelle galere israeliane. Il Servizio israeliano delle prigioni [IPS] ha dovuto aprire una nuova ala nel carcere di Damon in aggiunta a quello di Hasharon per tenerle tutte in detenzione.

Insieme il numero totale di minori detenuti da Israele, più di 400 secondo B’Tselem, questi dati sono una prova dell’intollerabile e ignobile politica del sistema giudiziario militare nei confronti dei palestinesi. Nessuno si aspetta che agisca come un vero sistema di giustizia penale, ma persino per un sistema militare di giustizia sembra che si sia spinto troppo lontano nei mesi scorsi, [in quanto] Israele si è arrogato il diritto di negare la libertà alle persone che vivono sotto la sua occupazione in modo quasi illimitato.

(Traduzione di Carlo Tagliacozzo)




La condizione dei prigionieri politici palestinesi

dossier prigionieri 2016-4




I diritti dei minori calpestati in Palestina

I DIRITTI DEI MINORI CALPESTATI IN PALESTINA




Un palestinese in sciopero della fame sta morendo in un ospedale israeliano

di Amira Hass – 17 febbraio 2016

Il detenuto palestinese Mohammad al-Qiq sta morendo nell’ospedale Haemek di Afula. Qiq, la cui detenzione amministrativa è stata sospesa la settimana scorsa quando le sue condizioni sono peggiorate, è cosciente ma non comunica.

Ha perso l’udito e la capacità di parlare. Sabato il suo sciopero della fame è arrivato all’ottantunesimo giorno.[oggi siamo al89° giorno ndr] Nel villaggio di Dura, nella West Bank, la sua famiglia attende notizie, compresa sua moglie Fayhaa e i loro due figli piccoli, Islam e Lur. Non lo vedono dal 20 novembre.

Nel frattempo gli anonimi funzionari della sicurezza dello Shin Bet che hanno raccomandato che Qiq fosse arrestato senza processo né prove continuano a vivere normalmente nelle loro case e uffici. Loro e i politici non faranno una piega di fronte alla foto d’ospedale che ricordano un “muselmann” (detenuto di campo di concentramento che sta lentamente morendo). Per quanto li riguarda Qiq può morire.

La vita a casa e al lavoro prosegue anche come al solito per i giudici Elyakim Rubinstein (vicepresidente della Corte Suprema), Zvi Zylbertal e Daphne Barak-Erez, i giudici della Corte Suprema che hanno approvato la sua detenzione senza processo, senza accuse né diritto alla difesa.

Hanno deciso la sospensione dell’ordine di detenzione il 4 febbraio, ma solo dopo il deterioramento della sua salute. Non è necessario tenerlo ammanettato al letto, hanno affermato, sentenziando contro lo stato. La sua famiglia può fargli visita, hanno decretato magnanimamente. Tuttavia egli resterà nell’unità di cura intensiva dell’ospedale Afula. Non sarà rilasciato né accusato, restando invece un detenuto sospeso. Una nuova invenzione legale.

Questo è quando hanno scritto nella loro contorta sentenza: “Dopo esserci consultati siamo arrivati alla conclusione che a causa delle condizioni mediche del ricorrente, come risultanti dal rapporto dettagliato e aggiornato, e come esseri umani gli auguriamo una rapida guarigione, che egli ha causato a sé stesso, compresa l’incapacità di comunicare e i gravi danni neurologici, un rischio che obbliga ora all’imposizione di un ordine di detenzione inteso a prevenire piuttosto che a punire. Abbiamo perciò deciso di sospendere l’ordine di detenzione amministrativa … in modo tale che quando le sue condizioni si stabilizzeranno ed egli chiederà di lasciare l’ospedale, potrà rivolgersi alle autorità e saranno rispettati i suoi diritti di appellarsi. Questa è una sospensione, con l’interpretazione implicita, e non un’espressione del nostro parere.”

Due attiviste sociali israeliane, Anat Lev e Anat Rimon-Or, sono arrivate giovedì di fronte alla residenza del presidente a Gerusalemme. Hanno tentato di incontrare il presidente Reuven Rivlin affinché egli potesse intervenire per prevenire la morte per fame di un essere umano. Quando il presidente non si è presentato e si avvicinava lo Shabbat, hanno deciso rimanere lì e di iniziare uno sciopero della fame, sedute su materassi sul marciapiede. Dietro di loro c’è un edificio che un tempo ospitò il tribunale militare del Mandato Britannico “in cui avevano luogo processi di combattenti clandestini ebrei che non accettavano la giurisdizione del tribunale” (come scritto su una targa presso il cancello).

Rimon-Or, che insegna filosofia e pedagogia al Beit Berl College, ha detto giovedì: “Vedo una persona che sta dicendo ‘non sto al vostro gioco’. L’oppressione esiste a così tanti livelli e noi … se non possiamo fare qualcosa la nostra battaglia è persa; lasciateci almeno mostrare un po’ di responsabilità personale pronunciando un enfatico”. In precedenza era rimasta fuori dall’ospedale di Afula per due settimane, reggendo un cartello che sollecitava il rilascio di Qiq. “Ero là perché mi sentivo impotente di fronte a tutto ciò che sta accadendo”, ha spiegato.

Dopo che i giudici hanno sospeso l’ordine di detenzione persone hanno cominciato a visitare Qiq, compresi attivisti palestinesi ed ebrei (tutti cittadini israeliani). Lev è entrata nella sua stanza  e ha visto “un uomo che urlava di dolore, senza voce”. Martedì scorso una dozzina di attivisti di destra è venuta all’ospedale “per esprimere sgomento per le espressioni di interesse per un arabo”, come dice Rimon-Or, e per dimostrare contro gli altri attivisti. Due donne hanno lanciato un’incredibile raffica di invettive che Rimon-Or ha trovato difficile ripetere, tra cui “puttane”, “terroriste” e “sequestratrici ebree”. Un israelo-palestinese ha risposto a tono e le donne hanno sporto una denuncia nei suoi confronti. Ora è sospettato di molestie sessuali.

Mercoledì scorso numerosi attivisti hanno chiamato un’ambulanza per portare Qiq in un ospedale di Ramallah. Hanno presunto che là avrebbe accettato di mangiare. L’ospedale si è rapidamente riempito di personale della sicurezza che ha impedito il trasferimento. Giovedì l’Associazione dei Prigionieri Palestinesi ha presentato un’altra petizione presso l’Alta Corte, chiedendo sia ordinato il trasferimento di Qiq a Ramallah. “E’ la nostra ultima risorsa” ha detto l’avvocato Ashraf Abu Sneineh.

Alcuni degli attivisti hanno utilizzato i loro smartphone per mostrare a Qiq un video in cui la sua famiglia esprime il suo sostegno. Sua moglie Fayhaa ha dichiarato a Haaretz: “Ci opponiamo alla decisione dell’Alta Corte che ci consente di fargli visita. Non parteciperemo a questo gioco di ‘bacia i tuoi figli e resta un detenuto sospeso’. Lo vogliamo fuori. Non sappiamo su che cosa si basi lo stato se pensa di poter reggere alle conseguenze del suo sciopero. Noi, la famiglia, sappiamo di essere in grado di sopportare le conseguenze.” “Le sue condizioni sono molto gravi; i bambini sanno che il loro padre è detenuto dall’esercito e che sta male”, ha aggiunto. “Non capiscono bene il significato di uno sciopero della fame. Io dico loro che il loro padre è un eroe e cerco di dir loro che se, Dio non voglia, dovesse succedergli qualcosa egli sarà in paradiso”.

Da ZNetitaly – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: https://zcomm.org/znetarticle/a-palestinian-hunger-striker-is-dying-in-an-israeli-hospital/

Originale: Haaretz

traduzione di Giuseppe Volpe

Traduzione © 2016 ZNET Italy – Licenza Creative Commons CC BY-NC-SA 3.0




Palestinese in sciopero della fame ospedalizzato e legato con la forza

Khader Adnan Musa, al nono periodo di detenzione amministrativa, ha fatto lo sciopero della fame per un mese.

 

Di Amira Hass, 9 giugno 2015

 

Haaretz

 

Un detenuto amministrativo palestinese che è stato in sciopero della fame durante lo scorso mese è stato ospedalizzato con la forza ed incatenato al letto.

Khader Adnan Musa si trova nell’ospedale Assaf Harofeh di Tzrifin con un braccio e una gamba legati al letto 24 ore al giorno e tre poliziotti giorno e notte nella sua stanza, secondo quanto hanno riferito due attivisti israeliani contro l’occupazione, che lo hanno visitato venerdì.

Musa, che è stato posto in detenzione amministrativa per la nona volta 11 mesi fa, ha iniziato lo sciopero della fame per protestare contro la sua prolungata detenzione senza processo. Tre anni fa, durante un altro periodo di detenzione amministrativa, ha ottenuto il rilascio dopo uno sciopero della fame durato 66 giorni. In tutto, ha passato più di sei anni nelle prigioni israeliane.

Il servizio di sicurezza Shin Bet sostiene che egli è un membro attivo della Jihad Islamica, un’organizzazione terroristica.

Secondo il suo avvocato, Jawad Boulus, Musa, che rifiuta di sottoporsi ad esami medici, si è opposto alla propria ospedalizzazione perché sapeva che sarebbe stato ammanettato al letto. Boulus lo ha visitato mercoledì scorso, quando si trovava ancora nella clinica della Polizia Penitenziaria Israeliana a Ramle.

Il regolamento della Polizia Penitenziaria vieta di incatenare un prigioniero tranne nel caso in cui la guardia carceraria tema che egli possa fuggire o aiutare altri a fuggire, o provocare danni a persone o oggetti, danneggiare o distruggere delle prove, o riceva o spedisca un oggetto passibile di essere usato per commettere un crimine o minacciare la disciplina nel suo luogo di custodia. Però, alla domanda da parte di Haaretz di quale tra queste infrazioni la guardia temesse che Musa avrebbe commesso, il portavoce della Polizia Penitenziaria Israeliana Sivan Weizman non ha fornito spiegazioni.

Weizman ha detto che il detenuto è stato trasferito in ospedale in modo che la sua situazione potesse essere monitorata. E’ stato ricoverato in ospedale in base alla decisione del medico. Si tratta di un detenuto di sicurezza che è sorvegliato secondo regolamento, in base alle circostanze e alla adeguata valutazione della situazione.

Una portavoce dell’ospedale Assaf Harofeh ha detto che le decisioni sulla contenzione dei prigionieri sono di esclusiva competenza della Polizia Penitenziaria. Ha aggiunto che loro cooperano con la Polizia Penitenziaria come da regolamento.

Sia Boulus che gli attivisti israeliani hanno riferito che Musa è pienamente cosciente e vitale, benché I media palestinesi abbiano riportato il contrario. Comunque, ha aggiunto Boulus, Musa ha perso molto peso.

Musa potrebbe essere presto affiancato da un’altra persona in sciopero della fame, il segretario generale del Fronte per la Liberazione della Palestina, Ahmad Saadat, che sta scontando una sentenza di 30 anni per il suo ruolo nell’assassinio dell’ex ministro Rehavam Zeevi. Saadat domenica ha informato sia i suoi avvocati che la Polizia Penitenziaria che avrebbe iniziato uno sciopero della fame il 19 giugno, un anno dopo da che la sua famiglia ebbe il permesso di fargli visita per l’ultima volta: questo è stato riferito ad Haaretz dagli avvocati Boulus e Sahar Francis.

Francis ha detto che lo sciopero della fame di Saadat ha lo scopo di protestare non solo per la mancanza delle visite dei suoi famigliari, ma anche per ciò che molti prigionieri lamentano come ripetute violazioni da parte della Polizia Penitenziaria degli accordi che posero fine allo sciopero della fame di massa dei prigionieri palestinesi nel 2012.

Lo sciopero della fame del 2012 fu indetto per protestare contro il divieto delle visite dei famigliari, i prolungati periodi di isolamento ed il largo uso della detenzione amministrativa. Ma secondo Saadat non vengono applicati né gli accordi scritti né quelli orali raggiunti a quel tempo. Tuttora i prigionieri vengono mandati in isolamento, a centinaia di prigionieri vengono negate le visite dei famigliari ed il numero dei detenuti amministrativi è in aumento. Attualmente circa 450 palestinesi sono trattenuti senza processo.

Intanto, secondo Addameer, l’Associazione per l’Appoggio ai Prigionieri e per i Diritti Umani, lo Shin Bet e l’esercito israeliano lunedì hanno arrestato una dottoressa palestinese-americana, Sabreen Abu Sharar, che ha studiato in Egitto. Un tribunale l ‘ha posta in custodia cautelare per sette giorni.

(Traduzione di Cristiana Cavagna)