I droni hanno terrorizzato per anni Gaza. Ora fanno altrettanto in Cisgiordania

Sophia Goodfriend

13 ottobre 2022 – + 972 magazine

L’esercito israeliano sta promuovendo una guerra con i droni come metodo meno sanguinoso per controllare la Cisgiordania. I palestinesi di Gaza sanno che non è così.

La guerra con i droni è ufficialmente arrivata in Cisgiordania. Il 29 settembre i mezzi di comunicazione israeliani, citando fonti anonime dell’esercito, hanno informato che l’esercito israeliano ha autorizzato l’uso di droni armati nei territori occupati.

L’annuncio, anticipato qualche settimana prima, ha fatto seguito a una conferenza internazionale sulla difesa ospitata dall’esercito che ha richiamato rappresentanti militari da tutto il mondo nel complesso informatico delle IDF [Forze di Difesa Israeliane, l’esercito israeliano, ndt.] a Be’er Sheva. Durante l’evento, in stanze con l’aria condizionata in cui sono state esposte mitragliatrici ed armi elettroniche, alcuni generali hanno parlato delle ultime innovazioni belliche. Fuori dall’edificio droni ed elicotteri d’assalto hanno simulato bombardamenti letali in un panorama desertico e disabitato, mentre nella torrida aria del deserto ogni tanto piovevano missili.

La dirigenza politica e militare israeliana afferma che tali innovazioni di guerra automatizzata forniscono rapide soluzioni a un ciclo di violenza che ritengono deplorevolmente cronico. Questa violenza non ha fatto che accrescersi nel tempo e il 2022 si avvia ad essere l’anno più sanguinoso per i palestinesi della Cisgiordania nella storia recente.

Per risolvere questa cosiddetta “crisi della sicurezza”, che in realtà deriva da decenni di occupazione, prospettive economiche precluse e una dirigenza politica frammentata, l’esercito sta richiedendo l’uso di droni per sorvegliare campi profughi e attivisti che organizzano scioperi, per installare torrette con armi a controllo remoto per mettere in sicurezza affollati posti di controllo e per utilizzare telecamere biometriche per monitorare i civili in tutta la Cisgiordania.

In questo senso i droni incarnano una certa illusione di guerra: compatti, raffinati e piccoli, fanno sembrare che uccidere sia meno sanguinoso e più tecnicamente efficiente. Non importa quanto questa illusione non si basi sulla realtà, come evidenziato da 17 anni di guerra letale dall’alto nella Striscia di Gaza. La dirigenza militare israeliana è invece arrivata a credere che l’armamento robotizzato, comprese migliori telecamere, algoritmi sofisticati e missili più precisi, possano sostituire una concreta strategia politica, seminando un’infinita spirale di guerra.

Zanana”

Israele è stato un precoce pioniere nella tecnologia dei droni. Nel 1968 un maggiore della direzione dell’intelligence militare israeliana, Shabtai Brill, applicò mini-telecamere alla fusoliera di aerei a controllo remoto, del tipo di quelli fatti volare dai bambini nel cortile di casa, per sorvegliare clandestinamente i confini con l’Egitto. Nel 1982, all’inizio della guerra del Libano, le Industrie Aerospaziali di Israele produssero droni di sorveglianza di livello militare che potessero volare insieme a jet da caccia per identificare obiettivi e guidare missili. Questi sviluppi tecnologici ispirarono altre superpotenze militari, dagli Stati Uniti alla Cina, a investire milioni nella produzione di droni in proprio.

Dall’inizio degli anni 2000 i droni hanno cambiato in modo radicale il modo in cui le superpotenze affrontano la guerra. La guerra è stata combattuta dall’alto piuttosto che da truppe di terra. Personale militare a migliaia di chilometri di distanza guida velivoli senza pilota, equipaggiati con processori di immagini e missili ad alta tecnologia attraverso lo schermo di un computer. Armamenti automatici hanno ridotto le vittime tra i soldati e reso le guerre del XXI secolo più facili da sostenere a lungo termine, anche se l’impatto su quanti vivono in zone di guerra è tanto devastante e disumanizzante quanto le invasioni di terra tradizionali. E quindi “guerre senza fine” come l’occupazione in Iraq e in Afghanistan, o l’assedio israeliano di Gaza, sono proseguite indefinitamente.

Oggi Israele si autodefinisce una “superpotenza dei droni”. La polizia di frontiera utilizza droni per irrorare con gas lacrimogeni i manifestanti nel complesso della moschea di Al Aqsa. In Cisgiordania i soldati disperdono la folla dai posti di controllo con un drone che spara impulsi sonori contro i bersagli, lasciando i dimostranti intontiti e nauseati. Agenti dell’intelligence militare guidano droni da riconoscimento sulla città di Gaza per definire le coordinate esatte da bombardare.

Molti palestinesi hanno già vissuto per anni all’ombra della guerra con i droni. La loro presenza a Gaza è talmente pervasiva che ai droni ci si riferisce correntemente come a “zanana”, che significa “ronzio”, evocando il costante rumore degli apparecchi che si librano proprio sopra il tetto di casa, come un minaccioso sciame di api.

In anni recenti i generali israeliani si sono vantati che i droni forniscono alle forze armate “un esercito armato senza soldati”. Ciò è in gran parte illusorio, in quanto i droni coinvolgono più soldati nel lavoro di sorveglianza militarizzata e negli omicidi mirati. Nell’unità d’elite 8200 un’equipe di analisti dell’intelligence analizza informazioni fornite dai satelliti, da telecamere a circuito chiuso e da immagini dei droni, fotografie aeree, dati per l’individuazione dei telefonini e decenni di spionaggio sul terreno. L’equipe invia i risultati a sviluppatori della stessa unità che utilizzano i dati della sorveglianza per costruire algoritmi che possono guidare velivoli senza pilota in cielo e determinano quando deve essere effettuato un attacco.

Nel contempo unità di combattimento lavorano con i comandanti dell’intelligence per installare sistemi di apprendimento automatico durante attacchi contro Gaza, in Siria o in Libano. I progressi nell’intelligenza artificiale (IA) hanno reso questi sistemi piuttosto raffinati. Nel maggio 2021 l’esercito israeliano ha annunciato che i droni schierati durante gli 11 giorni della guerra contro Gaza hanno usato intelligenza artificiale piuttosto che operatori umani per determinare quando e dove dovesse avvenire un attacco.

Tuttavia queste innovazioni per uccidere a distanza non hanno affatto reso meno cruenti gli abituali bombardamenti contro Gaza. I quattro principali attacchi israeliani contro la Striscia dal 2007 hanno ucciso più di 4.000 palestinesi, oltre metà dei quali civili. Quando lo scorso anno l’esercito ha annunciato il primo stormo di droni mossi da intelligenza artificiale, The Intercept [sito statunitense di controinformazione, ndt.] ha documentato 192 civili uccisi in soli 11 giorni di combattimenti letali.

L’esercito ha affermato che alcuni sono stati uccisi accidentalmente, ma i soldati della [unità] 8200 hanno anche ammesso che un certo numero di civili disarmati è stato ucciso intenzionalmente durante gli attacchi israeliani a Gaza. I capi dell’esercito sono consapevoli che neppure la tecnologia più avanzata può garantire attacchi precisi contro zone urbane densamente popolate, e pertanto “abbiamo regole nell’esercito riguardo a quanti non combattenti sia consentito uccidere a Gaza insieme a quelli presi di mira per essere uccisi,” ha detto quest’estate a +972 Magazine un reduce.

Anche quando i droni non sganciano bombe vengono usati per operazioni quasi costanti di ricognizione. Durante l’ultimo attacco contro Gaza l’agosto scorso droni armati hanno totalizzato più di 2.000 ore di volo in sole 66 ore di combattimento effettivo. Secondo il Times of Israel [quotidiano on line indipendente israeliano, ndt.], “i droni hanno acquisito dati della Striscia di Gaza nei giorni che hanno portato alla guerra,” fornendo “ricognizione 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.” Le loro telecamere trasmettono un flusso di video in diretta che documentano la vita sul terreno a unità di intelligence che si trovano a chilometri di distanza, dove dei soldati costruiscono gli algoritmi per il prossimo attacco dell’esercito.

Guerra senza vittoria

La costante presenza di droni aggrava il trauma della vita in una zona di guerra, indipendentemente dal fatto che sgancino o meno bombe. Gli psichiatri affermano che molti civili sottoposti alla guerra con i droni soffrono di una forma di ansietà anticipata: il terrore di chiedersi se uno dei droni che volano in alto sparerà e ucciderà anche te. Come lo ha descritto il giornalista di Gaza Kholoud Balata, “di notte ho paura di essere fatto saltare in aria e di giorno mi è stato riferito che il luogo in cui vivo è già stato spazzato via.”

Il filosofo francese Gregoire Chayamou descrive la guerra con i droni come “senza vittoria”. Vivere sotto un costante assedio è talmente disumanizzante, dice Chayamou, che spesso la guerra con i droni spinge più persone a prendere le armi e a unirsi a una qualche organizzazione di miliziani che sia stata presa di mira. E quindi lo scopo di una guerra con i droni viene rapidamente ridotto a sradicare una sempre crescente lista di bersagli, ciò che rende ragionevoli più investimenti nelle stesse tecnologie – immagini a più alta definizione, apparecchi più silenziosi e missili migliori – che fanno sì che la guerra si protragga.

Ciò è sicuramente quanto è avvenuto a Gaza negli anni successivi al ritiro di Israele dalla Striscia nel 2005. Quindici anni di blocco militare e di ripetute guerre hanno portato a un aumento vertiginoso della disoccupazione, alla crescita dei livelli di povertà e a una nuova generazione cresciuta sotto la costante minaccia di una guerra. Persino i generali israeliani hanno affermato che la crisi umanitaria e politica provocata dal blocco israeliano è insostenibile.

Lo scorso anno Shlomo Taban, comandante del valico di Erez che Israele gestisce alla barriera con Gaza, ha affermato: “Gaza dovrebbe essere aperta subito” in modo che “Hamas venga gravemente indebolito.” Ma altri generali hanno apertamente ammesso che la crisi è parte di una strategia militare coordinata per prolungare la guerra più a lungo possibile. Nel 2015 il maggiore generale Gershon Hacohen, capo dell’esercito all’epoca del “disimpegno” israeliano dalla Striscia, disse al Times of Israel di considerare Hamas un alleato di Israele: “Né lui né io vogliamo una soluzione finale,” affermò.

Nel frattempo in Cisgiordania milioni di civili hanno subito a lungo le continue incursioni militari dell’esercito israeliano negli affollati campi profughi, villaggi e città principali; la vita è continuamente stravolta da restrizioni agli spostamenti e da tattiche di sorveglianza pervasiva. Non c’è da sorprendersi che la frammentata dirigenza politica palestinese e la mancanza di prospettive economiche abbiano reso le organizzazioni di miliziani più popolari che mai. Mentre vane promesse di “riduzione del conflitto” lasciano il posto alla guerra aerea in tutta la regione, una cosa è certa: la violenza che è già costata così tante vite quest’anno sicuramente continuerà, anche dall’alto.

Sophia Goodfriend è dottoranda in antropologia presso la Duke University [università statunitense, ndt.] con competenza in diritti digitali e sorveglianza elettronica in Israele/Palestina.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’israeliana Elbit vende la fabbrica di armi britannica presa di mira dagli attivisti

Asa Winstanley  10 gennaio 2022

Electronic Intifada

Lunedì i membri del gruppo Palestine Action hanno celebrato la propria vittoria quando il gigante delle armi israeliano Elbit Systems ha venduto una delle sue fabbriche nel Regno Unito.

Il gruppo ha condotto una prolungata campagna di azione diretta contro la fabbrica da agosto 2020.

Gli attivisti hanno protestato, occupato, bloccato e generalmente interrotto i normali affari, spiega il gruppo.

Questa notizia conferma la nostra strategia a lungo termine”, ha detto lunedì Palestine Action.

“L’azione diretta funziona: le persone coraggiose che hanno occupato la fabbrica nell’ultimo anno possono affermare con orgoglio che la tecnologia dei droni non è più prodotta a Oldham”.

Gli attivisti hanno sistematicamente rotto le finestre della struttura Ferranti di Elbit a Oldham. Hanno anche fatto irruzione nei locali e causato danni all’interno. Il sito è stato costretto a chiudere per giorni e Palestine Action afferma di aver causato “milioni di danni”.

Il gruppo riferisce che 36 dei suoi attivisti sono stati arrestati sul posto dall’anno scorso. Ma ad oggi nessuno è stato condannato.

La fabbrica di componenti Ferranti a Oldham, vicino a Manchester nel nord dell’Inghilterra, era uno dei 10 siti di proprietà di Elbit nel Regno Unito.

Elbit ha annunciato lunedì di aver venduto la parte principale di Ferranti a TT Electronics, una società britannica, per circa 12 milioni di dollari in contanti.

Il produttore dei micidiali droni non ha menzionato la campagna di Palestine Action, sostenendo che la vendita fosse una “riorganizzazione” che aiuterebbe a “concentrare le attività su determinate aree”.

Elbit UK ha affermato in un secondo comunicato stampa che la vendita era solamente finalizzata a “consolidare la posizione di mercato” della società.

Ma Huda Ammori, co-fondatrice di Palestine Action, ha dichiarato lunedì a The Electronic Intifada che la vendita è stata “una vittoria assolutamente straordinaria” che, secondo lei, “dimostra il potere delle persone quando si uniscono”.

Ammori ha affermato che mentre il commercio di armi di Israele trae vantaggio dall’essere parzialmente basato in Gran Bretagna, questo potrebbe rappresentare “anche il suo peggior tracollo perché le persone qui non lo approvano”.

Ha detto che il gruppo intende “continuare la nostra campagna di azione diretta, prendendo di mira tutti i siti di Elbit fino a quando non saranno costretti a lasciare definitivamente la Gran Bretagna”.

Elbit non ha risposto alle e-mail che chiedevano una reazione.

I suoi comunicati stampa di lunedì affermavano che le restanti parti di Ferranti non vendute a TT Electronics sarebbero state integrate in Elbit Systems UK, la cui sede legale è a Bristol, nel sud-ovest dell’Inghilterra.

Fino a novembre, la fabbrica Ferranti sembrava sull’orlo di una improvvisa chiusura con la perdita di posti di lavoro.

La municipalità di Oldham ha elencato sul suo sito web l’edificio di Ferranti come una delle “proprietà commerciali attualmente disponibili” in città, pubblicizzandolo come “luogo perfetto per le aziende che desiderano spazi flessibili per uffici “.

Raggiunto da The Electronic Intifada via telefono a novembre, un portavoce del consiglio comunale ha negato che l’attività fosse chiusa, affermando che l’elenco era “un vecchio link” di circa sei anni fa.

Subito dopo la telefonata, la pagina è stata cancellata dal sito web del consiglio comunale di Oldham.

Palestine Action afferma che lo stesso mese fonti anonime gli hanno rivelato “che erano stati emessi avvisi di licenziamento di massa al personale che lavorava in fabbrica e che i locali erano stati sgomberati in preparazione all’abbandono da parte di Elbit “.

Il mese scorso una giuria ha assolto tre attivisti di Palestine Action per il reato di danni arrecati in un altro sito Elbit a Shenstone vicino a Birmingham.

Gli attivisti hanno sostenuto con successo che, sebbene le loro azioni costituissero un danno alla fabbrica, non si trattava di un reato penale.

Hanno sostenuto invece che le loro azioni erano commisurate a prevenire un crimine molto più grande: quello della violenza israeliana contro i palestinesi, come il bombardamento israeliano di Gaza a maggio.

Elbit è responsabile di oltre l’80% della flotta di droni israeliani.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Attivisti di Palestine Action e di Extinction Rebellion bloccano una fabbrica di armi israeliana.  

Palestine Action      

 2 febbraio 2021 – Mondoweiss  

Otto attivisti di Extinction Rebellion North e Palestine Action sono stati arrestati ieri dopo avere sbarrato tre ingressi di una fabbrica di armi israeliana a Oldham, Gran Bretagna.

 

Nota dell’editore: il seguente comunicato stampa è stato rilasciato da Palestine Action il 2 febbraio 2021. Mondoweiss pubblica saltuariamente comunicati stampa e dichiarazioni di diverse organizzazioni con lo scopo di richiamare l’attenzione su temi altrimenti ignorati.

Ieri sono stati arrestati otto attivisti di Extinction Rebellion North [movimento ecologista internazionale, ndtr.] e Palestine Action per avere causato danni ammontanti a 20.000 sterline [circa 23.000 euro] dopo avere bloccato una fabbrica di armi israeliana a Oldham, Gran Bretagna. Gli attivisti hanno preso d’assalto la fabbrica nelle prime ore del mattino di lunedì 1^ febbraio – sei di loro hanno bloccato tre ingressi e altri due sono saliti sul tetto.

 

Lo stabilimento della Ferranti Technologies, proprietà di Elbit Systems, la maggiore industria bellica israeliana, è stata pitturata con vernice rossa, ha subito alcune finestre spaccate e la perdita dell’insegna “Cairo House”. L’azione ha riscosso ampi consensi, compresi quello di Roger Waters, cofondatore dei Pink Floyd, e del gruppo nazionale di Extinction Rebellion.

 

Durante le sedici ore di occupazione della fabbrica la polizia ha impedito la presenza di osservatori legali, minacciando di multarli o arrestarli in base alle vigenti normative anti-Covid 19 se non avessero sgombrato il campo. Gli attivisti che hanno resistito più a lungo sono stati i due sul tetto, i quali, dopo essersi rifiutati di scendere dalla loro posizione, sono stati trascinati giù ed arrestati mentre, avvolti in bandiere palestinesi, urlavano “Palestina Libera”. Erano circa le 6 del pomeriggio, sedici ore dopo che la fabbrica era stata occupata e la produzione interrotta.

In seguito alla protesta, martedì 1^ febbraio la pagina Facebook di Palestine Action è stata rimossa, con il pretesto che il gruppo “viola le regole della nostra comunità”. Palestine Action ha accusato Facebook di prendere di mira in modo discriminatorio gli attivisti per i diritti umani in Palestina, visto che gli unici post pubblicati lunedì erano quelli dei video in streaming condivisi con la pagina di Extinction Rebellion North, che invece non ha subito conseguenze.

 

Gli otto attivisti si trovano tuttora in stato di fermo. L’assedio della fabbrica è stato il primo caso di collaborazione fra Extinction Rebellion e Palestine Action. I due gruppi di azione diretta si sono impegnati ad intensificare i propri interventi fino alla chiusura definitiva di Elbit Systems e all’eliminazione di ogni ingiustizia sistemica.

Commentando il blocco della fabbrica di Oldham e la censura operata da Facebook contro l’attivismo per i diritti umani in Palestina, un membro di Palestine Action ha dichiarato:

“L’azione di ieri è stata un grande successo e dimostra la forza derivante dall’alleanza fra diversi movimenti, specialmente quando l’umanità e il mondo in cui viviamo si trovano ad affrontare le peggiori sfide alla propria esistenza. Questo non è che l’inizio di tali azioni, onoreremo l’impegno di continuare ad intensificare le nostre attività insieme con Extinction Rebellion per chiudere per sempre Elbit.

Facebook ha sistematicamente censurato i nostri post, dicendo che incitiamo al male, quando invece promuoviamo azioni dirette contro una fabbrica di armi colpevole di estrema violenza in quanto testa le sue armi sui bambini palestinesi prima di esportarle ad altri regimi oppressivi nel resto del mondo. Facebook non riuscirà a zittirci né fermerà il nostro fondamentale lavoro finalizzato alla chiusura di Elbit”.


Parlando dal tetto della fabbrica ieri, gli attivisti di Extinction Rebellion North hanno denunciato la produzione da parte di Elbit di armi “illegali”, il ruolo dei droni nella videosorveglianza contro i profughi e la nefasta tecnologia di simulazione prodotta nella fabbrica ad Oldham, che insegna ai piloti a bombardare gli obiettivi usando simulazioni dei bombardamenti dell’esercito israeliano a Gaza.

La dichiarazione prosegue:

Questo non riguarda solo la Cisgiordania, questo non riguarda solo Gaza, questo riguarda tutte le vite innocenti, tutti i civili innocenti uccisi dall’impresa che gestisce questo edificio.

Pertanto siamo qui in quanto partecipiamo alla collaborazione fra queste due associazioni, e siamo consapevoli della necessità di lavorare insieme come movimento di azione diretta per combattere per il cambiamento e la giustizia sociale; questo include lottare contro il sistema che permette l’esistenza dei combustibili fossili e delle industrie di armamenti.”

  

Negli ultimi sedici anni Elbit Systems UK ha creato una vasta rete nel Regno Unito con l’apertura di dieci stabilimenti in Inghilterra e nel Galles, comprese quattro fabbriche di armi. Ferranti Technologies ad Oldham è stata acquisita da Elbit Systems per 15 milioni di sterline [circa 17 milioni di euro] nel 2007. Le componenti di armi prodotte da Elbit Ferranti includono sistemi di intercettazione per droni.

  

L’obiettivo di Palestine Action è fare chiudere le attività a Elbit UK; dal suo inizio nell’agosto 2020 la campagna ha colpito circa quaranta volte le sedi della ditta, oltre a quelle di LaSalle Investment Management, proprietaria dei siti. Fra queste azioni ricordiamo la chiusura per ben tre volte di UAV Engines a Shenstone (la più clamorosa delle quali sarebbe costata 145.000 sterline [circa 165.000 euro] alla compagnia) e una serie di proteste e occupazioni del quartier generale di Elbit a Londra.

  

Extinction Rebellion è una rete internazionale apolitica che attraverso l’utilizzo di azioni dirette nonviolente cerca di persuadere i governi ad affrontare in modo corretto ed efficace l’emergenza climatica ed ecologica. In generale la missione di Extinction Rebellion North è mobilitare il 3,5% della popolazione per conseguire un cambiamento di sistema. Il gruppo costituisce e collega in tutta la regione comunità resilienti che lavorano insieme e si sostengono reciprocamente, con l’obiettivo di creare un mondo accogliente per le future generazioni.

 

 

(traduzione dall’inglese di Stefania Fusero)