Disegno di legge finlandese metterebbe fuorilegge i prodotti delle colonie

Ali Abunimah

22 dicembre 2021 – The Electronic Intifada

In Finlandia un nuovo disegno di legge vieterebbe l’importazione di prodotti dalle colonie israeliane costruite su terra palestinese e siriana occupate.

I palestinesi stanno soffrendo per la più lunga occupazione della storia contemporanea e le politiche israeliane che infrangono sistematicamente le leggi internazionali e violano i diritti umani,” afferma Veronika Honkasalo, la parlamentare dell’Alleanza di Sinistra che ha presentato la legge. “Dobbiamo smettere di appoggiare le illegali colonie israeliane.”

La legge non cita specificamente alcun Paese.

Si applicherebbe a qualunque situazione di occupazione militare e di colonizzazione riconosciuta a livello internazionale, tra cui potenzialmente il Sahara occidentale o la Crimea.

Interventi legislativi di questo genere sono totalmente a favore del e coerenti con il diritto internazionale,” afferma Michael Lynk, consulente speciale dell’ONU sui diritti umani nella Cisgiordania e nella Striscia di Gaza occupate.

Lynk, un esperto indipendente nominato dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU, ha parlato a una tavola rotonda del 15 dicembre presieduta da Honkasalo.

È coerente con le decisioni delle Nazioni Unite,” ha aggiunto Lynk, “e, cosa più importante, è coerente con un approccio basato sui diritti umani che potrebbe realmente portare a una pace giusta e durevole in Medio Oriente.”

Attualmente ci sono circa 700.000 coloni che vivono in quasi 300 colonie in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est, e altri 20.000 sulle Alture del Golan siriane, tutte costruite da quando Israele occupò i territori nel 1967.

L’illegalità delle colonie israeliane è “estremamente chiara”, ha affermato Lynk, sottolineando che almeno in sette occasioni il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha dichiarato che la loro costruzione è una “flagrante violazione” delle leggi internazionali.

Lo Statuto di Roma, il documento costitutivo della Corte Penale Internazionale, definisce l’insediamento di civili in un territorio occupato un crimine di guerra.

Più di quarant’anni fa il Consiglio di Sicurezza dell’ONU ha chiesto a tutti gli Stati “di non fornire alcuna assistenza che possa essere utilizzata specificamente in relazione con le colonie nei territori occupati.”

Lynk ha detto che la formulazione era “sufficientemente ampia” da “includere qualunque rapporto commerciale con queste colonie, perché ciò fornisce loro l’ossigeno economico di cui hanno bisogno per poter essere sostenibili e in grado di crescere.”

Bruxelles non la può bloccare

La proposta di legge di Honkasalo non è il primo tentativo all’interno dell’Unione Europea di vietare l’importazione dalle colonie.

La legge irlandese sui territori occupati, che ha lo stesso scopo, è stata approvata da entrambi i rami del parlamento di quel Paese.

Tuttavia il governo irlandese ha bloccato la sua applicazione in quanto sarebbe in contrasto con le leggi dell’UE.

Ma all’inizio di quest’anno questo pretesto è stato spazzato via. In seguito alla sentenza di un tribunale, l’UE è stata obbligata a riconoscere che il bando contro i prodotti delle colonie è una questione commerciale piuttosto che una forma di sanzione. Secondo Tom Moerenhout, un esperto di diritto commerciale internazionale che insegna alla Columbia University di New York, questa astrusa distinzione ha importanti implicazioni giuridiche.

Ciò significa che singoli Stati membri dell’UE come Irlanda e Finlandia hanno il pieno diritto di vietare prodotti delle colonie senza il permesso di Bruxelles, ha affermato Moerenhout durante la tavola rotonda del 15 dicembre.

Egli ha affermato che in base alle leggi internazionali gli Stati sono vincolati a non riconoscere o prestare assistenza all’annessione o alla colonizzazione di un territorio occupato.

Benché l’UE non conceda ai prodotti delle colonie israeliane il trattamento preferenziale in base agli accordi commerciali con Israele, essa tuttavia consente loro un accesso regolare ai suoi mercati. Questa è una forma di “riconoscimento implicito” delle colonie, ha spiegato Moerenhout.

Un modello per altri Paesi

I sostenitori della legge di Honkasalo, che probabilmente non verrà votata prima della primavera, devono ora raccogliere consensi tra i parlamentari finlandesi. Anche se sarà indubbiamente un lavoro duro, ci sono basi su cui costruire.

In Finlandia attualmente c’è un impegno di lunga data da parte del partito Socialdemocratico, condiviso dai suoi omologhi di Svezia, Norvegia e Islanda, che si sono impegnati a lavorare per un bando internazionale sui prodotti delle colonie,” ha affermato Syksy Räsänen, un fisico che è presidente di ICAHD Finlandia, un’associazione apartitica che sostiene i diritti dei palestinesi.

Attualmente il partito Socialdemocratico guida la coalizione di governo a Helsinki.

La legge “rispetterebbe parzialmente l’obbligo per lo Stato finlandese di non riconoscere una situazione illegale,” ha detto Räsänen alla tavola rotonda.

Ciò perché essa vieterebbe solo le importazioni, senza affrontare gli altri modi in cui i rapporti economici con l’estero sostengono la colonizzazione illegale attraverso investimenti, finanziamenti o la fornitura di servizi alle colonie.

Ma secondo Räsänen la legge modificherebbe comunque il modo di trattare le colonie “dal contesto della politica di potenza e dai rapporti tra Stati a essere guidato piuttosto da obiettivi riguardanti i diritti umani e più fondato sulle leggi internazionali.”

Benché la sua proposta di legge sia in una fase iniziale, Honkasalo ha affermato di aver già ricevuto richieste da parlamentari di altri Paesi che sono interessati a utilizzarla come modello per le loro iniziative.

Sono molto contenta di quante reazioni positive questa legge ha ottenuto,” ha affermato Honkasalo.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Israele uccide due persone in Cisgiordania

Maureen Clare Murphy

14 dicembre 2021 – THE ELECTRONIC INTIFADA

Nei giorni scorsi Israele ha ucciso due palestinesi nella Cisgiordania occupata settentrionale.

Jamil Kayyal è stato ucciso domenica notte a Nablus, mentre venerdì Jamil Abu Ayyash è stato colpito alla testa da uno sparo durante una protesta nel vicino villaggio di Beita.

La loro morte giunge quando Defense for Children International-Palestine [ONG internazionale per la difesa e sostegno dei diritti dei minori, ndtr.] ha dichiarato che questo è stato l’anno più letale per i ragazzi e le ragazze palestinesi dal 2014.

Jamil Kayyal, di 31 anni, è stato ucciso a colpi di arma da fuoco quando i palestinesi hanno tentato di respingere le forze di occupazione che domenica notte stavano effettuando a Nablus un’incursione a scopo di arresto.

Secondo i resoconti dei media Kayyal è stato ferito al petto, e successivamente dichiarato morto in ospedale dove è stato trasportato dai paramedici palestinesi.

Le autorità israeliane hanno affermato che le truppe gli avrebbero sparato contro dopo che Kayyal avrebbe lanciato un “ordigno esplosivo” – come esse sono solite denominare le bottiglie molotov – contro i soldati responsabili dell’assalto.

Nel corso degli ultimi anni diversi palestinesi sono stati uccisi con il pretesto di aver detenuto o lanciato bottiglie molotov, inclusa l’imboscata di ottobre del quattordicenne Amjad Abu Sultan vicino alla città di Betlemme in Cisgiordania.

Un articolo del quotidiano di Tel Aviv Haaretz suggerisce che la sparatoria mortale contro l’adolescente sia stata premeditata.

Uso eccessivo della forza

L’uso eccessivo della forza è una caratteristica importante dell’occupazione militare israeliana della Cisgiordania e della Striscia di Gaza.

Secondo il Palestinian Center for Human Rights l’uccisione del trentunenne Jamil Abu Ayyash a Beita, un villaggio vicino a Nablus, il 10 dicembre è stato un “ulteriore crimine legato ad un uso eccessivo della forza”.

Secondo l’organizzazione per i diritti umani i soldati hanno sparato ad Abu Ayyash colpendolo al capo anche se “non rappresentava alcuna minaccia imminente”, durante una delle frequenti proteste a Beita contro l’esproprio delle terre del villaggio.

A settembre un altro uomo, Muhammad Ali Khabisa, è stato ucciso dalle truppe israeliane con uno sparo alla testa nel corso delle proteste a Beita.

Gli abitanti di Beita protestano contro la costruzione di una colonia su una collina appartenente ai villaggi palestinesi.

Il nuovo avamposto, chiamato Evyatar, è stato fondato a maggio. Israele ha precedentemente evacuato Evyatar ma in seguito ad un accordo stipulato con i coloni ha permesso che gli edifici vi restassero.

Nel contesto delle proteste di Beita, dal momento del loro inizio a maggio, sono rimasti uccisi diversi palestinesi inclusi due amici, entrambi minorenni.

I due si aggiungono, secondo Defense for Children International-Palestine, ad altri 76 ragazzi e ragazze uccisi fino ad ora nel corso di quest’anno dalle forze di occupazione israeliane e da civili israeliani armati, rendendolo l’anno più letale per i minori dal 2014.

Quell’anno Israele condusse un’offensiva di 51 giorni nella Striscia di Gaza uccidendo più di 2.200 palestinesi, tra cui circa 550 bambini.

Nel 2021, secondo un monitoraggio delle vittime da parte di The Electronic Intifada, in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, e a Gaza, sono stati uccisi dalle forze di occupazione israeliane e da civili armati in totale circa 325 palestinesi.

Nello stesso periodo, nel contesto dell’occupazione, sono stati uccise dai palestinesi sedici persone tra israeliani e cittadini stranieri in Israele.

Secondo Defense for Children International-Palestine, nel maggio di quest’anno sessanta minorenni palestinesi sono stati uccisi in seguito agli attacchi israeliani a Gaza durante un’offensiva militare di 11 giorni.

Inoltre sette minori sono stati uccisi da razzi lanciati da gruppi palestinesi a Gaza, che sono caduti a breve distanza mancando i loro obiettivi situati in ​​Israele.

Secondo Defense for Children International-Palestine durante l’aggressione di maggio le forze israeliane hanno ucciso minori palestinesi usando proiettili sparati da carri armati, munizioni vere e missili lanciati da droni armati, aerei da guerra ed elicotteri Apache di origine statunitense.

Israele prende di mira le case

Molti minori sono stati uccisi insieme a più generazioni della loro famiglia nella sacralità delle loro abitazioni.

Dal 2008 Israele ha preso di mira indiscriminatamente le case palestinesi a Gaza come parte della sua strategia militare durante ripetute offensive contro l’enclave costiera assediata.

Secondo Al Mezan, un’organizzazione per i diritti umani con sede nel territorio, quasi la metà dei palestinesi uccisi a Gaza durante l’assalto del 2014 “sono stati presi come bersaglio all’interno delle loro case”.

Tra il 2008 e il 2019 “le forze israeliane hanno preso di mira nella Striscia di Gaza 46.599 case, di cui 11.291 distrutte e 35.308 parzialmente distrutte”, aggiunge l’associazione per i diritti umani.

Non solo questa pratica uccide intere famiglie all’interno delle loro case, ma il prendere come obiettivo le abitazioni “serve a ridurre gli standard abitativi” e contribuisce al deterioramento delle “condizioni sociali ed economiche e del tenore di vita delle famiglie nella Striscia di Gaza”, rileva Al Mezan.

La politica e la pratica sono “mirate a distruggere e impedire la vita familiare a Gaza” e costituiscono un atto disumano che configura il crimine di apartheid.

Le organizzazioni per i diritti umani, tra cui Al Mezan, chiedono alla Corte Penale Internazionale di mettere al centro l’apartheid nelle sue indagini sui crimini di guerra in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Un tribunale olandese conferma l’immunità per crimini di guerra dell’israeliano Benny Gantz

Adri Nieuwhof

7 dicembre 2021 The electronic intifada

I giudici olandesi hanno stabilito martedì che due alti comandanti militari israeliani non possono essere citati in giudizio per aver ucciso una famiglia palestinese nella Striscia di Gaza.

La corte d’appello dell’Aia ha deciso che i comandanti godono di “immunità funzionale” perché agivano per conto dello Stato israeliano.

La decisione è uno schiaffo in faccia per Ismail Ziada e per tutti i palestinesi che ancora una volta trovano impedito il loro cammino verso la giustizia.

Parlando con i suoi sostenitori fuori dal tribunale, Ziada ha definito la decisione “vergognosa” e “vigliacca”.

“Oggi non è facile per me perché a Gaza subiamo un massacro dal punto di vista militare, mentre all’Aja il massacro è quello legale”, ha aggiunto Ziada.

È solo perché si tratta di Israele. Nient’altro. Non si tratta di giustizia”, ​​ha detto Ziada a proposito della sentenza.

Il cittadino olandese-palestinese ha citato in giudizio Benny Gantz, all’epoca capo dell’esercito israeliano, e Amir Eshel, allora capo dell’aviazione, per la decisione di bombardare la casa della sua famiglia durante l’assalto israeliano del 2014 a Gaza.

Gantz è attualmente ministro della difesa e vice primo ministro israeliano.

Ziada chiede centinaia di migliaia di dollari di danni ai comandanti israeliani.

L’attacco israeliano ha completamente distrutto l’edificio di tre piani nel campo profughi di al-Bureij. Ha ucciso la madre settantenne di Ziada, Muftia, i suoi fratelli Jamil, Yousif e Omar, la cognata Bayan e il nipote di 12 anni Shaban, nonché una settima persona in visita alla famiglia.

Non c’è posto per la giustizia

Nel gennaio 2020, il tribunale distrettuale dell’Aja ha concesso l’immunità a Gantz ed Eshel.

La decisione di martedì è arrivata dopo l’appello di Ziada alla sentenza del tribunale di grado inferiore.

L’avvocato per i diritti umani Liesbeth Zegveld aveva sostenuto nell’appello che concedere l’immunità ai due comandanti militari israeliani non era giustificabile.

Israele ha tolto ai palestinesi di Gaza ogni possibilità di accesso alla giustizia, dichiarando l’enclave costiera una “entità nemica” e i suoi residenti “sudditi nemici”, ha affermato Zegveld.

Inoltre, la legge israeliana proibisce ai cittadini “nemici” di avanzare richieste di risarcimento contro lo Stato nei tribunali israeliani.

Nella sentenza di martedì, la corte d’appello olandese ha respinto tali argomenti. Ha accettato che, quando si tratta di responsabilità penale per crimini di guerra, i funzionari statali non hanno alcuna garanzia di immunità.

Ma i giudici hanno concluso che quando si tratta di diritto civile, i funzionari di governi stranieri non possono essere citati in giudizio per i loro atti ufficiali nei tribunali di un’altra nazione a causa del principio consuetudinario dell’immunità statale.

La sentenza tiene conto di tutti i precedenti che confermano questa immunità e respinge tutti gli argomenti e i precedenti addotti da Ziada  a favore della tesi che chi è accusato di crimini di guerra o crimini contro l’umanità dovrebbe anche affrontare un giudizio di responsabilità civile.

In un caso del 2012 citato da Ziada il tribunale distrettuale dell’Aia aveva autorizzato una causa civile per tortura contro 12 funzionari libici anonimi. Lo aveva fatto in base a una disposizione della legge olandese che, secondo una sintesi del caso, “consente ai tribunali olandesi di esercitare la giurisdizione su cause civili laddove sia impossibile intentare tali cause al di fuori dei Paesi Bassi per ragioni legali o pratiche”.

Al querelante – un medico palestinese che aveva vissuto in Libia – è stata concessa una condanna in contumacia contro i funzionari libici condannati a pagare un milione di euro.

Nella sentenza di martedì, la corte d’appello olandese ha respinto quel precedente senza una spiegazione coerente del perché la stessa logica – la impossibilità per Ziada di chiedere un risarcimento in un diverso tribunale – non si applicasse.

Di altissimo grado”

La decisione nel caso di Ziada sottolinea l’urgenza di indagini della Corte penale internazionale sui crimini di guerra nella Cisgiordania occupata e nella Striscia di Gaza.

L’CPI è un tribunale di ultima istanza, che interviene quando i tribunali nazionali non possono o non vogliono agire, come è chiaramente il caso delle violazioni dei diritti dei palestinesi da parte di Israele.

La corte non è cieca rispetto alla sofferenza di [Ziada]. Né la corte è cieca di fronte agli sviluppi del diritto penale per quanto riguarda l’immunità dalla giurisdizione funzionale”, affermano comunque i giudici olandesi.

Riconoscono che in una recente decisione in Germania si afferma che un soldato afghano di basso rango potrebbe affrontare un processo penale in un tribunale tedesco per crimini di guerra.

Nella misura in cui vi sia una qualche ragione per estendere questo sviluppo al diritto civile”, ciò non si applicherebbe nel caso di Ziada, “in cui è coinvolto personale militare di altissimo grado”, affermano i giudici olandesi.

In altre parole, il tribunale olandese sta dicendo che, anche se avesse deciso di rimuovere l’immunità di funzionari stranieri citati civilmente per crimini di guerra, non potrebbe comunque farlo nel caso di Gantz ed Eshel, proprio a causa del loro alto grado.

Ciò sembra andare contro qualsiasi nozione naturale di giustizia, in cui coloro che hanno maggiori responsabilità dovrebbero portare il peso della massima responsabilità.

Anzi, in effetti la sentenza riconosce che, a causa delle alte posizioni ricoperte da Gantz ed Eshel, “un giudizio sulla loro condotta sarebbe necessariamente anche un giudizio sulla condotta dello Stato di Israele”.

Durante l’udienza sul suo appello a settembre, Ziada aveva invitato i giudici a “non venir meno alla giustizia”. Ma per lui è esattamente quello che hanno fatto.

“La mia causa legale non riguardava me o la famiglia Ziada”, ha detto martedì. “Non voglio che nessuno su questa terra soffra quello che abbiamo sofferto e stiamo ancora soffrendo”.

“Questo è vostro caso tanto quanto il mio”, ha detto Ziada, rivolgendosi ai sostenitori di tutto il mondo. “Senza di voi non sarei stato in grado di fare nulla di quello che abbiamo fatto fino ad ora.”

Ha aggiunto che avrebbe discusso i prossimi passi con i suoi avvocati, ma avrebbe “continuato la lotta”.

“Mia madre mi dà la forza per andare avanti”, ha detto Ziada. “Lei è dentro di me e mi dà lo spirito necessario per combattere. Non lasceremo che questi giudici codardi ci impediscano di combattere per la Palestina”.

Ali Abunimah ha contribuito alla ricerca.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele cattura gli ultimi due palestinesi fuggiti

Israele cattura gli ultimi due palestinesi fuggiti

Tamara Nassar

20 settembre 2021-The Electronic Intifada

 

Nella notte di domenica, le forze di occupazione israeliane hanno catturato i due palestinesi ancora in fuga dall’inizio di questo mese da una delle prigioni più fortificate del paese.

Ayham Kamamji e Munadel Infiat sono stati arrestati nella città di Jenin, nel nord della Cisgiordania occupata.

Secondo il quotidiano di Tel Aviv Haaretz, l’agenzia di spionaggio e tortura nazionale israeliana Shin Bet ha ricevuto informazioni sulla posizione dei due uomini poche ore prima dell’arresto.

La polizia e i soldati israeliani hanno circondato la casa in cui alloggiavano.

Gli israeliani sapevano, secondo quanto da loro affermato, che i due erano a Jenin da diversi giorni. Il capo della polizia Kobi Shabtai ha detto che Israele stava preparando una “operazione complessa” per catturare gli uomini.

Ma entrambi gli uomini, disarmati, si sono arresi senza opporre resistenza.

In un’intervista con i media locali, il padre di Kamamji ha detto che suo figlio lo ha chiamato nelle prime ore di domenica e ha spiegato che aveva deciso di costituirsi per proteggere i residenti dell’edificio.

Ciò è credibile, dato che Israele ha regolarmente utilizzato la cosiddetta “procedura della pentola a pressione” per costringere i palestinesi ricercati ad arrendersi uscendo da un edificio in cui si nascondono, oppure a essere uccisi in una esecuzione extragiudiziale.

Le forze israeliane usano macchine edili come armi, insieme ad armi da fuoco ed esplosivi, per distruggere gradualmente l’edificio sopra quelli che si nascondono all’interno se si rifiutano di arrendersi.

Altri si sono chiesti perché i due uomini non siano andati al campo profughi di Jenin, che è vicino alla città e un’area che Israele evita a causa della forte resistenza.

Tuttavia, la loro capacità di evitare la cattura per quasi due settimane, pur entrando nella Cisgiordania occupata nel mezzo di una massiccia caccia all’uomo, è stata un grande imbarazzo e umiliazione per Israele.

Nonostante la loro cattura, la fuga dei sei uomini è vista come una vittoria che solleva il morale dei palestinesi di tutto il mondo, che vedono la loro impresa come un colpo devastante per il cosiddetto apparato di sicurezza di Israele.

Non è chiaro se l’Autorità Nazionale Palestinese o altri informatori abbiano avuto un ruolo nella cattura degli uomini, dato il cosiddetto coordinamento della sicurezza – collaborazione – dell’A.N.P. con Israele.

I sei uomini erano fuggiti dalla prigione di Gilboa nel nord di Israele il 6 settembre attraverso un tunnel sotterraneo dal bagno della loro cella.

Il tunnel sbucava appena fuori le mura della prigione direttamente sotto una torre di guardia.

Mahmoud Arda e Yacoub Qadri sono stati catturati nella città di Nazareth, nel nord di Israele, il 10 settembre, mentre Muhammad Arda e Zakaria Zubeidi sono stati arrestati all’inizio del giorno successivo a Shibli Umm al-Ghanam, una città palestinese nel nord di Israele.

L’intelligence israeliana e le autorità carcerarie hanno interrogato i quattro uomini che devono affrontare nuove accuse relative alla loro fuga.

 

(Traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Le forze armate israeliane uccidono un palestinese a Gerusalemme

Maureen Clare Murphy

10 settembre 2021 The Electronic Intifada

Venerdì le forze di occupazione israeliane hanno sparato e ucciso un palestinese nella città vecchia di Gerusalemme.

La polizia israeliana ha dichiarato che l’uomo, il cinquantenne Hazem al-Joulani, stava tentando di accoltellare un poliziotto prima che gli sparassero.

Una dichiarazione rilasciata dalla polizia israeliana sembra essere un’ammissione che l’esecuzione di al-Joulani è stata la prima e unica opzione messa in atto.

La polizia sostiene che “l’assalitore … armato con un coltello” si è avvicinato a un gruppo di poliziotti di guardia al complesso della moschea di al-Aqsa “e ha tentato di ferirne qualcuno”.

La dichiarazione prosegue: “Una rapida reazione da parte dei poliziotti e delle guardie di frontiera, che hanno aperto il fuoco sull’assalitore, lo ha neutralizzato prima che potesse realizzare la sua intenzione.”

In altre parole, le forze di occupazione hanno ucciso al-Joulani piuttosto che tentare di disarmarlo e trattenerlo usando metodi non letali.

Il video

La polizia israeliana ha rilasciato uno spezzone ricavato da una telecamera di sicurezza con l’intenzione di mostrare al-Joulani mentre attacca con un coltello le forze di occupazione.

Il montaggio del video sembra mostrare al-Joulani mentre cammina in un vicolo della città vecchia portando una borsa. Lascia cadere la borsa e si mette a correre mentre si avvicina al posto di polizia.

Il video sembra poi mostrare al-Joulani che si sporge verso un poliziotto di frontiera israeliano con la mano sinistra mentre tiene il coltello nella destra. Il poliziotto arretra da al-Joulani per qualche secondo prima di sparargli e, a quel punto, al-Joulani cade al suolo.

In nessun momento il video mostra al-Joulani che si protende verso il poliziotto con la mano che tiene il coltello, che tiene dietro la schiena.

La polizia israeliana rilascia spezzoni delle riprese delle telecamere di sicurezza quando sembrano confermare le sue affermazioni. In altri casi, come l’esecuzione di Iyad Hallaq, un palestinese affetto da autismo, ha impedito la pubblicazione di tali spezzoni.

Un breve clip circolato sui social venerdì mostra il piede di un poliziotto sulla schiena di al-Joulani mentre sanguina riverso sulla strada

Secondo i media israeliani al-Joulani è stato trasportato in condizioni critiche in ospedale con una ferita da arma da fuoco nella parte superiore del corpo. In seguito è deceduto a causa delle ferite.

Un poliziotto israeliano è stato leggermente ferito a una gamba da una pallottola di rimbalzo sparata dalla polizia.

Testimoni oculari hanno detto ai media palestinesi che le forze israeliane hanno impedito agli spettatori di avvicinarsi. Non è chiaro se le forze israeliane hanno fornito i primi soccorsi ad al-Joulani immediatamente dopo il suo ferimento.

Secondo gli organi di informazione palestinesi forze israeliane hanno perquisito la casa di al-Joulani a Shuafat, un quartiere di Gerusalemme est, e hanno arrestato due dei suoi fratelli e due dei suoi figli.

I media israeliani hanno riportato che al-Joulani, direttore di una scuola di medicina alternativa, era afflitto da problemi finanziari e che recentemente aveva tentato di suicidarsi.

Khaldoun Najm, un avvocato contattato dalla famiglia di al-Joulani, afferma che la polizia avrebbe potuto sparare in aria o alle gambe, “ma hanno deciso di ucciderlo.”

L’avvocato ha aggiunto che sono in corso trattative con le autorità israeliane per la restituzione nei prossimi giorni del corpo di al-Joulani per la sepoltura.

La politica di sparare per uccidere

Le organizzazioni per i diritti umani hanno condannato da lungo tempo la politica dello sparare per uccidere messa in atto da Israele contro dozzine di palestinesi negli ultimi anni.

In molti casi le forze di occupazione non hanno fornito i primi soccorsi ai palestinesi dopo aver loro sparato e averli feriti.

Amnesty International ha affermato che l’impedire o ritardare intenzionalmente i soccorsi medici “viola la proibizione della tortura e di altre punizioni crudeli, inumane e degradanti.”

Nel frattempo Israele trattiene i corpi dei palestinesi assassinati nel corso di pretesi attacchi a soldati e civili.

La corte suprema israeliana ha approvato questa pratica di trattenere i corpi dei palestinesi assassinati in modo da poterli usare come strumento di pressione in negoziati politici.

L’uccisione con arma da fuoco di al-Joulani è avvenuta mentre Israele è in massima allerta in seguito alla fuga di sei palestinesi da una prigione di massima sicurezza in Israele.

Secondo i media israeliani due dei prigionieri fuggitivi – Mahmoud Aradeh and Yaqoub Qadri –sono stati arrestati a Nazareth venerdì.

(traduzione dall’Inglese di Giuseppe Ponsetti)




Israele fa marcire il cibo di Gaza

Abdallah al-Naami

20 luglio 2021 The Electronic Intifada

Suhaila al-Louh soffre alla vista del suo vivaio. “Ogni volta che ci vado muore una parte di me,” dice.

Durante gli attacchi di maggio contro Gaza Israele ha ripetutamente bombardato il suo vivaio – situato vicino alla città di Beit Lahiya. Le piantine di pomodori, cetrioli, peperoni e patate piantate da Suhaila e dalla sua squadra sono andate distrutte, così come le serre e l’impianto di irrigazione.

I bombardamenti hanno inoltre riportato alla memoria ricordi estremamente dolorosi. Israele uccise Khader, il marito di Suhaila, nel luglio 2014, quando colpì Gaza con un altro massiccio attacco.

Il mantenimento di otto familiari di Suhaila dipende dal modesto reddito derivante dalle sue coltivazioni.

Dopo che Israele ha bombardato il suo vivaio la prima volta a maggio, Suhaila è andata a controllare con i figli e le nuore. “Abbiamo provato a recuperare qualcosa che non fosse stato danneggiato,” dice. “Ma non siamo riusciti a trovare niente.”

“Ho 60 anni,” aggiunge. “Ho investito tutto quel che potevo per sviluppare l’attività. E in un battibaleno tutto è andato distrutto.”

Anche se quasi tutte le immagini arrivate da Gaza al resto del mondo si concentravano sulle aree urbane prese di mira da Israele, non si deve trascurare la triste situazione degli agricoltori.

Condizioni assurde

Un recente rapporto dell’Unione Europea, la Banca Mondiale e le Nazioni Unite stima che le aziende agricole e le imprese dipendenti dall’agricoltura abbiano subito danni che ammontano fino a 45 milioni di dollari [38,23 milioni di euro].

Il ministero dell’Agricoltura di Gaza ha pubblicato cifre ben più elevate. Secondo i suoi calcoli il settore agricolo ha subito oltre 200 milioni di dollari [170 milioni di euro] di perdite, fra quelle dirette e indirette.

Oltre a bombardare le aziende agricole, Israele ha impedito il trasporto delle derrate alimentari da Gaza alla Cisgiordania occupata.

Le restrizioni imposte a maggio non sono state tolte che a giugno inoltrato.

E questa revoca era soggetta a condizioni assurde.

Israele ha insistito che si togliessero i gambi dai pomodori. In caso contrario non avrebbero potuto passare per Kerem Shalom, il valico sotto controllo israeliano da cui entra ed esce la merce per Gaza.

La clausola di Israele – che imponeva costi aggiuntivi ai coltivatori di pomodori e riduceva la durata dei loro prodotti – in seguito è stata tolta. Israele ha però minacciato di reintrodurla in agosto.

Ahmad al-Astal dirige un’azienda agricola di 50 acri nella zona di Khan Younis, nella parte meridionale di Gaza.

Di solito vende la sua produzione di patate, pomodori, melanzane e peperoni in Cisgiordania.

Tuttavia recentemente Israele gli ha impedito per diverse settimane di trasportare qualsiasi prodotto fuori di Gaza.

“I nostri magazzini sono pieni di ortaggi che stanno marcendo,” ha detto. “Abbiamo interrotto la raccolta delle colture ed ora non si vede altro che mucchi di ortaggi marci dappertutto.”

“Nessuna scelta”

Vendere i suoi prodotti all’interno di Gaza non era economicamente sostenibile. A causa delle restrizioni imposte da Israele sui trasporti, c’era un eccesso di produzione a Gaza.

Di conseguenza i prezzi nei mercati locali sono crollati.

“Prendere i prodotti del raccolto e trasportarli al mercato mi costa di più di quanto finirei col guadagnare vendendoli al mercato,” dice Ahmad. “Così non posso fare altro che lasciare il raccolto in deposito, sperando di riuscire a tornare a venderlo fuori di Gaza entro breve.”

Ahmad ha dovuto ridurre il personale da 70 ad appena sette.

Ali al-Astal, uno dei suoi collaboratori, dice: “Normalmente qui si vedrebbero in giro per le serre i lavoratori che curano le piante e raccolgono i prodotti. Ma ora il nostro lavoro consiste solamente nell’eliminare gli ortaggi marci.”

Le restrizioni imposte da Israele hanno avuto un effetto rilevante sui pescatori di Gaza e sul settore dell’acquacoltura.

Yasser al-Haaj è il proprietario dell’azienda ittica al-Bahhar.

Dice che ogni mese circa 30 tonnellate di pesce vengono trasportate da Gaza in Cisgiordania.

Si calcola che oltre 18.000 pesci siano morti nelle aziende ittiche di Gaza a causa delle restrizioni israeliane.

Gli ultimi mesi sono stati disastrosi per al-Haaj.

Non soltanto i pannelli solari e le vasche della sua azienda ittica sono stati danneggiati nel corso degli attacchi israeliani, ma Yasser non è neppure riuscito a vendere in Cisgiordania, un mercato vitale per lui.

“I mercati di Gaza non possono assorbire la nostra produzione,” dice. “Quando si sono fermate le esportazioni, non abbiamo potuto vendere i pesci, così li abbiamo dovuti tenere nelle vasche. Al momento ogni vasca ha circa tre volte la quantità di pesci che è in grado di contenere. E i pesci hanno incominciato a morire. Le nostre perdite aumentano di giorno in giorno.”

Abdallah al-Naami è un giornalista e fotografo che vive a Gaza.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero




Secondo un sondaggio, un terzo dei giovani ebrei statunitensi vede Israele come genocida

Ali Abunimah

15 luglio 2021 –Electronic Intifada

Sono in crescita i tentativi da parte di Israele e della sua lobby di assimilare la contestazione dei crimini israeliani contro il popolo palestinese al pregiudizio anti-ebraico.

Eppure un recente sondaggio indica che questa campagna è fallita persino tra la stragrande maggioranza degli elettori ebrei americani.

Il sondaggio commissionato dal Jewish Electorate Institute [Istituto per l’elettorato ebraico, ndtr.], un’organizzazione guidata da sostenitori del Partito Democratico, riporta diversi dati interessanti.

Un quarto degli elettori ebrei americani concorda sul fatto che Israele sia uno Stato di apartheid, un numero che sale fino al 38% tra coloro che hanno meno di 40 anni.

Nel complesso il 22% degli elettori ebrei concorda sul fatto che Israele stia commettendo un genocidio nei confronti dei palestinesi, cifra che sale fino ad un sorprendente 33% nella categoria dei più giovani.

Inoltre secondo il 34% degli elettori ebrei intervistati la condotta di Israele nei confronti dei palestinesi è simile al razzismo negli Stati Uniti. Cifra che va oltre i due su cinque tra chi ha meno di 40 anni.

E’probabile che tali risultati provochino sgomento tra i leader dei gruppi di pressione che sono da tempo preoccupati per l’erosione del sostegno a Israele tra gli ebrei americani, in particolare tra i più giovani.

Ciò che inoltre colpisce è che anche gli ebrei che non sono d’accordo sul fatto che Israele commetta apartheid e genocidio spesso non considerano tali dichiarazioni come antisemite.

Ad esempio, il 62% degli intervistati non è d’accordo sul fatto che Israele stia commettendo un genocidio, ma di questi solo la metà considera tale affermazione come “antisemita”.

Aperti alla soluzione a uno Stato

Gli ebrei americani sono anche più aperti di quanto generalmente si creda riguardo alla questione di una soluzione politica per palestinesi e israeliani.

Mentre il 61% degli intervistati sostiene ancora la soluzione ormai moribonda dei due Stati, una minoranza considerevole – il 20 % – è favorevole a una soluzione democratica di uno Stato con uguali diritti per tutti coloro che vivono tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo.

Solo il 19% è a favore dell’annessione formale da parte di Israele della Cisgiordania occupata senza la concessione di uguali diritti ai palestinesi – in effetti quella che è, se non di nome, di fatto, la situazione attuale.

E riguardo la questione degli aiuti statunitensi a Israele, il 71% complessivamente li considera “importanti”.

Ma il 58% concorda sul fatto che gli Stati Uniti dovrebbero impedire l’utilizzo da parte di Israele di tali aiuti per la costruzione di insediamenti coloniali nella Cisgiordania occupata. Contemporaneamente, il 62% è favorevole al fatto che gli Stati Uniti ristabiliscano gli aiuti ai palestinesi tagliati dall’amministrazione Trump.

Questa indagine non ha chiesto agli intervistati opinioni sul movimento di boicottaggio, disinvestimento e sanzioni guidato dai palestinesi, ma lo ha fatto un sondaggio tra ebrei americani del Pew Research Center [agenzia statunitense di ricerca su problemi sociali, opinione pubblica, andamenti demografici sugli Stati Uniti ed il mondo in generale, ndtr.] pubblicato a maggio.

Quest‘ultimo rivela che il 34% degli ebrei americani “si oppone fortemente” al movimento BDS. In linea con i risultati di altre indagini, si sono mostrati maggiormente ostili al BDS le persone più anziane, i repubblicani e i religiosi.

Affermazioni false sull’antisemitismo

Ogni volta che l’attenzione mondiale è focalizzata sulle atrocità di Israele, i gruppi di pressione israeliani spesso cercano di deviare l’attenzione verso una presunta ondata di antisemitismo.

Neppure lo scorso maggio, quando Israele ha massacrato decine di bambini a Gaza, è stata un’eccezione.

I principali lobbisti israeliani e i mass-media hanno parlato di un’ondata di presunti attacchi antiebraici negli Stati Uniti.

Eppure una meticolosa indagine del giornalista Max Blumenthal ha rivelato che queste affermazioni erano infondate.

Quello che stanno facendo negli Stati Uniti è fondamentalmente cercare di trovare una via di fuga dalle scene che anche la CNN stava mostrando, come le torri sede degli organi di informazione a Gaza venivano distrutte senza motivo … o di intere famiglie sterminate, per sostituire l’immagine delle vittime palestinesi con quella di … ebrei americani”, ha detto Blumenthal a The Electronic Intifada Podcast il mese scorso.

Questo non vuol dire che non ci sia fanatismo antiebraico e che non debba costituire un problema. In effetti, il 90% degli intervistati – una cifra che varia a malapena in base all’età o all’osservanza religiosa – è preoccupato per l’antisemitismo negli Stati Uniti.

Ma tra uomini e donne e in tutte le fasce d’età il 61% degli elettori ebrei intervistati è più preoccupato per l’antisemitismo della destra politica. Nel complesso, solo il 22% ha dichiarato di essere preoccupato per “l’antisemitismo di sinistra”.

Ciò indica che in generale gli ebrei americani non sono vittime della propaganda secondo cui la sinistra è piena di animosità antiebraica, anche se i gruppi di pressione hanno ignorato o minimizzato il fanatismo e persino la violenza letale della destra contro gli ebrei per concentrarsi invece nell’attaccare e colpevolizzare il movimento di solidarietà con i Palestinesi.

Dato che le persone di sinistra tendono ad appoggiare maggiormente i diritti dei palestinesi e ad essere più critiche nei confronti di Israele i gruppi di pressione si sono concentrati nel diffamare con falsi i partiti e i leader della sinistra, ad esempio la deputata democratica Ilhan Omar e l’ex leader del partito laburista britannico Jeremy Corbyn – come antisemiti.

È una strategia fondata sulla malafede che mira a punire e spaventare le persone fino a portarle a tacere sulla Palestina e ad utilizzare tutta l’energia che potrebbe essere investita nel sostegno ai diritti dei palestinesi in un dibattito difensivo su cosa sia o non sia antisemita.

Mira anche a dividere i movimenti di sinistra e a cooptare nell’azione di sostegno a Israele figure influenti che si atteggiano ancora come “progressisti”.

Tuttavia il sondaggio del Jewish Electorate Institute suggerisce che la maggior parte degli ebrei americani capisce che la più grande minaccia alla loro sicurezza non viene dai sostenitori dei diritti dei palestinesi, ma dalla destra politica bianca anti-palestinese, anti-musulmana, suprematista e razzista.

Difficile da far accettare

Può sembrare sorprendente che un numero significativo di ebrei americani ora accetti che Israele sia uno Stato genocida e di apartheid.

Ma ciò riflette tendenze più ampie nella società americana, specialmente tra i giovani, di crescente sostegno per i diritti dei palestinesi e di scetticismo nei confronti di Israele.

A parte gli ebrei ortodossi, gli ebrei americani costituiscono un collegio elettorale particolarmente aperto e progressista: nel complesso il 68% afferma che se si tenesse un’elezione oggi voterebbe per il Partito Democratico.

L’82% degli elettori ebrei intervistati si descrive come moderato, di ampie vedute o progressista. Solo il 16% si identifica come conservatore.

È davvero difficile far accettare Israele – uno Stato segregazionista e di apartheid – a un gruppo che in enorme maggioranza professa di sostenere la giustizia razziale e i valori progressisti negli Stati Uniti.

Un indicatore di questa realtà è la clamorosa svolta su Israele annunciata l’anno scorso da Peter Beinart. Influente commentatore sionista progressista, Beinart ha difeso a lungo la soluzione dei due Stati e si è opposto al BDS.

Beinart ha riconosciuto che il suo approccio era arrivato a un vicolo cieco e ha abbracciato la soluzione di un unico Stato basato sull’uguaglianza dei diritti, provocando costernazione e rabbia tra i leader della lobby pro Israele.

La questione è stata affrontata anche da Marisa Kabas in un articolo su Rolling Stone scritto a maggio nel corso dell’attacco israeliano a Gaza.

Kabas scrive come lei e molti dei suoi giovani coetanei ebrei americani siano “alle prese con la versione di Israele presentata in viaggi organizzati da enti come Birthright [ONLUS israeliana che sponsorizza viaggi gratuiti in Israele, Gerusalemme e le alture del Golan per giovani adulti di origine ebraica di età compresa tra 18 e 32, ndtr.] rispetto a ciò che hanno visto accadere nella realtà“.

Sostiene che fanno fatica a “conciliare l’amore per la loro gente e la loro storia con l’impegno per la giustizia razziale e sociale, e che le azioni di Israele in Palestina sembrano andare contro il ‘tikkun olam’ – il principio ebraico di migliorare il mondo attraverso l’azione”.

Questione con bassa priorità

E contrariamente all’impressione che si potrebbe avere seguendo le principali lobby israeliane o ascoltando i politici compiacenti, il sondaggio indica che per la maggior parte degli ebrei americani Israele ha una priorità molto scarsa.

È vero che il 62% degli intervistati afferma di essere “legato affettivamente” a Israele, mentre il 38% afferma di non esserlo. Tuttavia quest’attaccamento si indebolisce un po’ tra i più giovani o i meno religiosi.

Ma quanto sarebbero diversi questi numeri se un sondaggista interrogasse un campione che rappresentasse tutti gli americani sul loro “legame affettivocon Israele?

Per decenni, dopotutto, i leader politici statunitensi hanno dichiarato agli americani di avere un legame speciale e indissolubile con Israele, diverso che con qualsiasi altro Paese.

Influenti personalità americane di religione cristiana come il pastore John Hagee, il fondatore di Christians United for Israel [organizzazione cristiana americana che sostiene Israele, ndtr.], addirittura dicono ai loro fedeli che sostenere Israele è un dovere religioso.

In ogni caso, il legame affettivo – qualunque cosa significhi – non si traduce apparentemente in priorità politiche.

Solo il 4% degli elettori ebrei indica Israele come una delle due questioni principali su cui vorrebbe che il governo degli Stati Uniti si concentrasse, mentre il 3% elenca l’Iran, un’altra ossessione delle lobby pro Israele.

Invece, con un ampio margine di vantaggio, le principali preoccupazioni sono il cambiamento climatico, i diritti di voto e le questioni economiche. Solo tra gli ebrei ortodossi una minoranza significativa – il 18% – vede Israele come una priorità.

Per la maggior parte degli elettori ebrei, secondo il Jewish Electorate Institute, Israele è una “questione con bassa priorità“.

Non è mai successo che gli ebrei americani sostenessero in modo omogeneo Israele o la sua ideologia sionista di Stato colonialista, sebbene sia gli antisemiti che i sionisti siano stati felici di permettere che questa idea prosperasse per i propri fini.

Questo sondaggio, che si aggiunge ad altre testimonianze, aiuta a sfatare questo mito.

Ali Abunimah

Co-fondatore di The Electronic Intifada e autore di The Battle for Justice in Palestine [ La battaglia per la giustizia in Palestina, ndtr.] ora pubblicato da Haymarket Books.

Ha scritto anche One Country : A Bold-Proposal to End the Israeli-Palestinian Impasse [Un Paese: una proposta coraggiosa per porre fine all’impasse israelo-palestinese, ndtr.]. Le opinioni sono solo mie.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




I portuali di Oakland rifiutano di scaricare una nave mercantile Israeliana

Nora Barrows-Friedman

5-giugno-2021 The Electronic Intifada

Centinaia di attivisti e portuali hanno risposto a un appello internazionale e venerdì sono riusciti a bloccare le operazioni di scarico di una nave israeliana nel porto californiano di Oakland.

Alle 18 circa la Volans, una nave da carico gestita e posseduta dalla compagnia di navigazione ZIM, è uscita dal porto con tutto il suo carico ancora a bordo

Secondo una tabella su internet, sembra fosse diretta a Los Angeles.

Per più di due settimane dalla data prevista per il suo arrivo, le persone che protestavano hanno impedito alla nave di attraccare a Oakland.

Con ogni probabilità la nave ha tentato di evitare i picchetti dei dimostranti.

Rifiutandosi di scaricare un cargo israeliano i lavoratori di Oakland hanno gettato un cuneo negli ingranaggi dell’economia israeliana e ostacolato concretamente la politica israeliana di apartheid,” ha twittato Jewish Voice for Peace [associazione di ebrei americani antisionisti, ndtr.].

Questa organizzazione ha aggiunto: “Ogni giorno senza poter scaricare la nave della ZIM costa milioni di dollari alla più grande compagnia di navigazione israeliana.”

Lara Kiswani, direttrice esecutiva del Arab Resource and Organizing Center [Centro Arabo per le Risorse e l’Organizzazione, associazione di base della comunità araba negli USA, ndtr.] ha affermato: “stiamo inviando un chiaro e forte messaggio che chi trae profitti dalle politiche di apartheid di Israele e dalle continue violenze contro i palestinesi non sarà benvenuto nella Bay Area.

La sua organizzazione ha guidato la campagna della coalizione globale #BlokTheBoat che coordina le azioni tese ad impedire alle navi israeliane di scaricare.

All’alba almeno 500 attivisti hanno formato picchetti a sei diversi cancelli per essere sicuri che la nave non potesse depositare a terra i suoi container.

Mohamed Shekh del Arab Resource and Organizing Center ha dichiarato a The Electronic Intifada: “Abbiamo appena dichiarato vittoria perché abbiamo bloccato lavoratori del turno del mattino: questi ultimi hanno accettato le indicazioni dei nostri picchetti e non hanno scaricato una nave della ZIM al porto di Oakland”

Più tardi gli attivisti hanno ripreso i picchetti all’arrivo del nuovo turno dei portuali.

I lavoratori di 10 sezioni locali della International Longshore and Warehouse Union (ILWU) [principale sindacato dei portuali sulla costa ovest degli USA, ndtr.] nel nord della California hanno rilasciato dichiarazioni di solidarietà ai sindacalisti palestinesi in occasione dello sciopero generale dei palestinesi il 25 maggio, condannando nel contempo gli attacchi israeliani a Gaza e l’espulsione in corso di palestinesi dalle loro case di Gerusalemme.

La ILWU ha sostenuto con forza i diritti dei palestinesi e impedito alle navi della ZIM di attraccare nel 2010 e nuovamente nel 2014, l’ultima volta che una nave della ZIM ha potuto usare il porto di Oakland.

Da allora le navi della ZIM non hanno più tentato di attraccare al porto di Oakland – sino al mese appena trascorso.

Il membro del sindacato Jimmy Salameh ha affermato: “Gli iscritti di base della sezione 10 della ILWU sono contro le politiche di apartheid di Israele e con i nostri fratelli e sorelle in Palestina”.

Shekh ha dichiarato a The Electronic Intifada che gli attivisti sociali hanno lavorato assieme con i membri della ILWU per continuare la protesta.

Ha poi aggiunto: “La base degli iscritti al sindacato ha fatto la cosa giusta: è stata al fianco dei picchetti e ha affermato che non avrebbe tentato di superarli, mostrando così la loro effettiva solidarietà con i lavoratori della Palestina.”

In altri porti della costa orientale degli Stati Uniti e del Canada sono state pianificate azioni simili, come pure sulle banchine degli Stati di New York e New Jersey e a Huston, in Texas.

Gli attivisti affermano che sono pronti a continuare le azioni di picchettaggio sin quando necessario per impedire l’attracco e lo scarico della nave della ZIM.

Sheikh afferma: “Continueremo sino quando sarà chiaro alla ZIM che non potrà scaricare e che dovrà andarsene.”

Sostegno alle azioni di picchettaggio pro Palestina.

La ILWU ha una lunga storia di sostegno alle azioni di picchettaggio.

Nel 1978 e 1980 la ILWU si rifiutò di caricare materiale militare diretto rispettivamente in Cile e nel Salvador. Nel 1984 si rifiutò di scaricare una nave sudafricana per 11 giorni consecutivi.

Ma lavoratori portuali di tutte le parti del mondo hanno sostenuto l’appello al boicottaggio dei sindacalisti palestinesi per più di un decennio.

Nel 2009 la South African Transport and Allied Workers Union di Durban rifiutò di scaricare una nave di proprietà israeliana.

I portuali di Durban hanno compito la stessa azione il mese scorso per protestare contro i crimini di Israele a Gaza.

All’inizio di maggio, mentre i raid israeliani martellavano Gaza, i portuali di Livorno hanno dichiarato che si rifiutavano di caricare una spedizione di armamenti diretti in Israele.

Membri dell’Unione Sindacale di Base hanno affermato: “Il porto di Livorno non sarà complice del massacro del popolo palestinese.”

Secondo la JTA [Jewish Telegraphic Agency, agenzia internazionale che si rivolge a un pubblico ebraico, ndtr.] il sindacato più grande di Israele, l’Histadrut [storico sindacato sionista legato al partito Laburista israeliano, ndtr.] “ha ordinato, come ritorsione, ai lavoratori dei porti di Ashdod e Haifa di rifiutarsi di prestare i loro servizi alle navi dirette in Italia.”

Anche l’ambasciata d’Italia in Israele ha fatto pressione sui portuali italiani affinché interrompessero lo sciopero.

Anche i lavoratori del porto italiano di Ravenna avevano programmato uno sciopero per il 3 giugno dichiarando che “si rifiutano di caricare armi, esplosivi e altro materiale bellico destinato a Israele.”

Lo sciopero è stato revocato dopo che il proprietario della nave ha deciso di cancellare la spedizione – una vittoria per i lavoratori.

L’ Arab Resource and Organizing Center ha affermato che la vittoria al porto di Oakaland “è una vittoria del movimento internazionale per il Boicottaggio, il Disinvestimento e le Sanzioni [BDS] contro Israele in quanto Stato basato sull’apartheid.”

Un grande ringraziamento a tutte le organizzazioni sindacali che dimostrano solidarietà nelle azioni per una giusta causa.

Finalmente il vento sta cambiando in Medio Oriente. La lotta non è finita ed ora è importante raddoppiare i nostri sforzi per raggiungere infine una pace giusta e duratura per la Palestina. I crimini stanno venendo alla luce ed iniziano ad essere riconosciuti come tali.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




“Oggi siamo noi i nazisti,” afferma il membro di un gruppo israeliano di ebrei estremisti

Ali Abunimah e Tamara Nassar

19 maggio 2021 The Electronic Intifada

Ebrei israeliani estremisti hanno utilizzato servizi di messaggistica istantanea per organizzare milizie armate con lo scopo di attaccare palestinesi di cittadinanza israeliana.

Messaggi vocali, sms e altro indicano che hanno coordinato attacchi in città dove i palestinesi vivono in stretta vicinanza con gli ebrei – quali Haifa, Bat Yam e Tiberiade a nord, Ramla e Lydd – Lod in ebraico – al centro fino a Beersheba [Be’er Sheva in ebraico, ndtr] nel sud di Israele.

Agli attacchi coordinati si sono uniti anche coloni di insediamenti coloniali ebraici in Cisgiordania, sembra con la conoscenza e collusione di funzionari israeliani.

La comunicazione è avvenuta tramite WhatsApp e Telegram, oltre a gruppi Facebook.

In molti casi gli estremisti organizzatori hanno detto di avere contato sul sostegno attivo o passivo delle autorità israeliane.

Gli organismi di ricerca israeliani Fake Reporter e HaBloc hanno intercettato dei messaggi di alcuni gruppi e hanno riferito le loro scoperte alla polizia israeliana definendole una “bomba ad orologeria.”

“E’ triste sapere che nonostante i nostri sforzi, si sia fatto concretamente pochissimo,”, ha dichiarato Fake Reporter.

“Nessuna autorità competente potrebbe sostenere di non avere saputo,”, ha dichiarato HaBloc.

“Siamo noi i nazisti”

Fake Reporter ha pubblicato schermate dove membri di quei gruppi discutevano quali armi usare e decidevano dove incontrarsi per attaccare palestinesi e bruciare moschee. Animati da violento razzismo, impegnati nelle provocazioni contro i palestinesi.

Tali messaggi venivano diffusi contestualmente a recenti attacchi di estremisti ebrei israeliani contro i palestinesi, le loro case e imprese, e mentre Israele nell’ultima settimana intensificava gli attacchi contro Gaza e la Cisgiordania occupata.

“Non siamo più ebrei oggi,” scriveva un utente di un gruppo Telegram che si definisce “Il popolo di Holon, Bat Yam e Rishon Lezion scende in guerra.”

“Oggi siamo nazisti.”

Questi paesi si trovano nella cintura meridionale di Tel Aviv.

I video postati da HaBloc, che sembra siano stati girati il 12 e 13 maggio, mostrano persone già presenti a Bat Yam o che lo stanno raggiungendo, ed alcuni di loro scandiscono “morte agli arabi.”

Il 12 maggio una gran folla di ebrei israeliani ha trascinato fuori dalla macchina un palestinese e lo ha brutalmente percosso mentre l’aggressione veniva trasmessa dal vivo in televisione.

La vittima, Said Musa, è rimasto gravemente ferito prima di venire trasportato in ospedale.

“Mi hanno chiesto se fossi arabo, credevo che avessero bisogno di aiuto e ho detto: sì, posso aiutarvi?” ha raccontato Musa ad un giornalista israeliano.

In un gruppo WhatsApp che si chiama “Gruppo di combattimento – Morte agli arabi di Haifa”, i partecipanti avevano ricevuto istruzioni di portare bandiere israeliane e di trovarsi mascherati all’ingresso della città vecchia di Acri.

In un altro gruppo WhatsApp denominato “Fanculo gli arabi, sede di Afula, morte agli arabi” che conta 165 membri, uno ha postato la foto di una fiocina.

Sempre lo stesso ha scritto, “bottiglie molotov, ecco l’arma per oggi.”

Un video postato nello stesso gruppo mostra due uomini mascherati, uno dei quali impugna due grandi coltelli e dice, “coltellate in testa, oggi terrore.”

In un altro messaggio per i membri del gruppo La Familia, una persona incita a dar fuoco ad una moschea a Lydd.

La Familia è il famigerato gruppo di ultrà del Beitar Jerusalem, la squadra di calcio che dall’anno scorso è proprietà congiunta di un membro della famiglia reale di Abu Dhabi.

I tifosi del club sono tristemente noti per le violenze ai danni dei palestinesi, generalmente accompagnate da cori di “morte agli arabi.”

La polizia “ci darà man forte”

Adalah, gruppo che sostiene i diritti dei palestinesi in Israele, è venuto in possesso di messaggi vocali e comunicazioni interne fra estremisti ebrei che concertavano aggressioni contro i palestinesi.

Tutti i messaggi vocali pubblicati da Adalah sono del 13 maggio, serata che numerosi osservatori hanno paragonato ad un pogrom.

“La polizia non ci farà nulla, ci darà man forte e farà finta di niente,” dice un israeliano in un messaggio vocale ad altri attivisti ebrei di estrema destra.

“Le regole non valgono più. Tutto brucia,” dice una persona.

“In marcia con le armi, in marcia con quello che ti pare,” dice un altro.

“I tizi di Yitzhar, loro sono già arrivati, arrivati con sei pullman,” dice un altro in un diverso messaggio vocale.

Yitzhar è una colonia costruita su centinaia di acri di terra rubati ad Urif e ad altri villaggi palestinesi nella Cisgiordania occupata.

E’ abitata da coloni estremamente violenti, che attaccano sovente sia i palestinesi sia le loro greggi, frutteti e proprietà.

“Sei pullman vuol dire 380 persone, 380 persone tutte armate, raga. Tutti mascherati,” aggiunge.

“Ognuno di loro, raga, non vede l’ora di ammazzare gli arabi, raga. Vogliono ammazzare gli arabi.”

L’Alto Comitato di Controllo per i Cittadini Arabi di Israele (High Follow-Up Committee for Arab Citizens of Israel) ha dichiarato che “le autorità di polizia conoscono bene questi gruppi” e “risulta che proteggano i giustizieri ebrei israeliani e i gruppi dei coloni.”

L’Alto Comitato di Controllo, formato da rappresentanti eletti, dirigenti di partito e rappresentanti della comunità, è l’organismo rappresentante de facto dei palestinesi di cittadinanza israeliana.

Con l’approvazione delle autorità

Ci sono ulteriori prove che le autorità israeliane non solo ne fossero al corrente, ma che addirittura abbiano sostenuto le premeditate violenze di massa.

Un video diffuso il 12 maggio da alcuni giornalisti israeliani mostra Yossi Harush, vicesindaco di Lydd, mentre dice a diversi parlamentari di primo piano che centinaia di coloni stavano arrivando dalla Cisgiordania per “proteggere” le case degli ebrei.

“Il consiglio che darei a tutti i cittadini arabi è di non lasciare le proprie case,” dice Harush.

Ha poi detto che i coloni si erano “offerti volontari” per “incrementare la sicurezza.”

Un video in possesso di Adalah mostra una dozzina di auto in sosta con diverse persone intorno e un uomo che parla in ebraico.

“Questa è gente della Giudea e Samaria,” dice, usando i nomi con cui Israele chiama la Cisgiordania occupata.

“Fucili a canna corta M-16, chiunque voglia venire a proteggere lo Stato è il benvenuto,” dice.

“Oggi gli spacchiamo le ossa.”

Adalah ha annunciato che avrebbe proceduto per vie legali contro le autorità israeliane per non avere impedito le aggressioni contro i palestinesi da parte di queste bande di ultranazionalisti.

In diverse schermate di messaggi Telegram e WhatsApp postate da israeliani e utenti di social media si vedono tattiche e istigazioni simili.

Il gruppo israeliano di diritti umani B’Tselem ha rivelato che gruppi di coloni, quali l’organizzazione di estrema destra Regavim e un’altra chiamata My Israel, stavano costituendo milizie armate per recarsi in città miste all’interno di Israele il 13 maggio.

My Israel ha chiamato a raccolta “veterani militari armati”, “proprietari di mezzi corazzati” e “diplomati a corsi per ufficiali di combattimento” perché si coalizzassero.

Le bande ultranazionaliste sono state di parola: la scorsa settimana hanno devastato città, distrutto imprese commerciali palestinesi, marchiato case di palestinesi e aggredito cittadini palestinesi nelle strade.

Morti e feriti

I palestinesi di cittadinanza israeliana hanno protestato nelle strade in solidarietà con i palestinesi di Gaza e della Cisgiordania occupata.

Sono stati segnalati i casi di una sinagoga di Lydd data alle fiamme e di aggressioni ad israeliani, poliziotti e militari compresi.

Lunedì scorso Yigal Yehoshua, un ebreo di 56 anni, è deceduto per una ferita alla testa che sembra sia stata causata da un mattone scagliato contro la sua macchina durante una rivolta palestinese avvenuta a Lydd il martedì precedente.

Secondo quanto riferito da Sheikh Yusef al-Bazz, l’imam locale, Yehoshua sarebbe stato aggredito da ebrei israeliani che lo avevano scambiato per un arabo.

La causa della ferita mortale di Yehoshua non è stata ancora chiarita.

La sera prima che Yehoshua rimanesse ucciso, Moussa Hassouna, palestinese con cittadinanza israeliana, era stato colpito a morte da abitanti ebrei di Lydd, che avevano invocato la “legittima difesa”, secondo il Times of Israel.

Secondo quanto scritto dal giornale, l’inchiesta iniziale aveva evidenziato che “Hassouna si trovava a decine di metri dagli ebrei indiziati quando è stato colpito dallo sparo.”

Le autorità israeliane hanno arrestato per poi rilasciarli quattro ebrei sospettati del crimine.

E a Giaffa un dodicenne palestinese ha riportato gravi ustioni dopo che la sua casa è stata attaccata con bombe incendiarie. Anche la sorellina di dieci anni ha riportato ferite, seppur meno gravi, nel corso dell’attacco.

Sembra che le videocamere di sorveglianza abbiano ripreso prima dell’attacco due uomini incappucciati in un vicolo contiguo.

La polizia ha arrestato un sospetto arabo. Ma secondo Haaretz, il padre dei bambini “stenta a credere che chi ha aggredito la sua famiglia fosse un arabo, e che la polizia abbia fatto un errore di identificazione.”

Infatti la sua casa era decorata con mezzelune per il Ramadan – anche se le luci delle decorazioni non funzionavano.

In un discorso del 15 maggio, il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha esortato i cittadini ebrei e palestinesi di Israele ad astenersi dall’uso della violenza. Il suo linguaggio, però, rifletteva il razzismo sistemico dello Stato di Israele.

“Non lasceremo che i nostri cittadini ebrei vengano linciati o minacciati da bande di arabi assassini,” ha dichiarato Netanyahu, che contestualmente si è limitato ad ammonire i cittadini ebrei a non “farsi giustizia da soli e aggredire arabi innocenti, o linciare un arabo innocente.”

Minimizzando la portata della violenza degli ebrei israeliani, Netanyahu ha dichiarato che “si era in effetti verificato un caso simile.”

Adalah ha affermato che Netanyahu “continua a rimarcare che la polizia israeliana, che agisce con brutale violenza nei confronti dei cittadini palestinesi, otterrà il pieno sostegno politico alle sue azioni.”

I palestinesi con cittadinanza israeliana sono i sopravvissuti e discendenti della Nakba, la pulizia etnica della Palestina perpetrata dalle milizie sioniste prima e dopo la creazione dello Stato di Israele nel 1948.

A differenza dei milioni di palestinesi che vivono in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, essi godono di qualche diritto civile, quale il diritto di voto. Sono però soggetti a radicate forme di discriminazione sancite da decine di leggi.

“La certezza del diritto non vale quando si tratta di palestinesi” e questo riguarda l’intera Palestina storica, aggiunge Adalah. Come affermato all’inizio dell’anno da B’Tselem, la “supremazia ebraica” è “l’unico principio guida” di Israele.

“I cittadini palestinesi, a livello collettivo, temono per la propria vita,” ha dichiarato domenica l’Alto Comitato di Controllo per i Cittadini Arabi di Israele, appellandosi alla comunità internazionale perché intervenga per aiutare a proteggerli “sia dallo Stato sia dai privati.”

Tamara Nassar è direttore associato e Ali Abunimah è direttore esecutivo di The Electronic Intifada.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero




Stavolta è diverso

Ahmed Abu Artema

14 maggio 2021 The Electronic Intifada

Mentre scrivo l’edificio dove vivo qui a Gaza trema incessantemente. Sopra di noi gli aerei da combattimento israeliani F-16 ci attaccano con una bordata apparentemente incessante di bombe.

Mentre scrivo gli eventi si succedono rapidi, quindi sicuramente quando l’articolo verrà pubblicato è probabile che ci saranno stati molti cambiamenti, ma voglio tentare di evidenziare le caratteristiche generali dell’attuale fase di escalation in Palestina.

L’escalation è iniziata a Gerusalemme durante il mese di Ramadan, con una serie di provocazioni messe in atto dalle autorità di occupazione israeliane.

La prima della serie, alla fine di aprile, è stata la decisione di impedire ai palestinesi di radunarsi a Bab al-Amoud [Porta di Damasco, una delle entrate principali alla Città Vecchia, ndtr] in Gerusalemme. Questo ha dato origine a diverse proteste che alla fine hanno costretto Israele a ritirare l’ordine.

Un’altra provocazione – tuttora in corso – che ha attirato qualche attenzione internazionale, è costituita dalle ordinanze di espulsione in corso contro le famiglie palestinesi dalle loro case di Sheikh Jarrah [quartiere prevalentemente palestinese a Gerusalemme Est,ndtr] – una concessione dei tribunali ai coloni israeliani.

Una terza provocazione israeliana è stata l’irruzione nella moschea di al-Aqsa durante la preghiera di venerdì 7 maggio. Le forze israeliane hanno sparato gas lacrimogeni e pallottole metalliche ricoperte di gomma sui fedeli, causando oltre 200 feriti.

In una quarta provocazione i coloni hanno annunciato che avrebbero marciato a Gerusalemme il 10 maggio per celebrare quello che essi definiscono il Giorno di Gerusalemme [festa nazionale israeliana che commemora la riunificazione di Gerusalemme e l’istituzione del controllo israeliano sulla Città Vecchia all’indomani della guerra dei sei giorni nel 1967, ndtr]. L’intenzione era di sfilare vicino alla moschea di al-Aqsa.

Questa marcia è poi degenerata, la mattina del 10 maggio, in una quinta provocazione quando, per la seconda volta in una settimana, le forze israeliane hanno fatto irruzione ad al-Aqsa, attaccando i fedeli che pregavano all’interno e devastando il luogo sacro. Più di trecento palestinesi sono rimasti feriti.

Un’ondata di rabbia

Queste provocazioni si sono protratte per tutto il Ramadan e hanno provocato un’ondata di rabbia che ha investito i palestinesi in tutta la loro patria storica. Sono scoppiate proteste ad Haifa, Giaffa, Ramallah e Gaza.

A Gaza i manifestanti hanno chiesto alle Brigate Qassam, il braccio armato di Hamas, di intervenire. I palestinesi di Gaza hanno sostenuto con forza la necessità di una pronta risposta da parte delle fazioni della resistenza in ritorsione alle violazioni a Gerusalemme.

Ho letto sui social media qualcosa come centinaia di messaggi di attivisti che chiedevano ad Hamas perché la rappresaglia ci mettesse così tanto ad arrivare. Tassisti, negozianti, gente comune: tutti facevano la stessa domanda.

Alla fine è arrivato l’avvertimento da Qassam che i soldati israeliani avevano due ore per evacuare al-Aqsa, togliere l’assedio ai murabitoun – i fedeli che rimangono giorno e notte nel sito per proteggerlo con la loro presenza – e liberare tutti i prigionieri.

Allo scadere del termine fissato, non avendo ricevuto alcuna risposta da Israele, Qassam ha lanciato una raffica di razzi verso Gerusalemme.

L’esercito israeliano ha risposto bombardando la città di Beit Hanoun nel nord della Striscia di Gaza.

Nove persone, compresi tre bambini, sono stati uccisi mentre si preparavano ad interrompere il digiuno.

I combattenti per la libertà di Gaza hanno continuato con le ritorsioni ed Israele ha intensificato i bombardamenti colpendo abitazioni residenziali.

L’aviazione israeliana ha distrutto diverse torri residenziali che ospitavano anche dozzine di sedi di organi di stampa e imprese commerciali.

Israele ha inoltre attaccato stazioni di polizia e vari edifici governativi, tutti obiettivi civili.

Perché è diverso

L’attuale escalation si distingue per il fatto che il popolo palestinese chiedeva una risposta alle pratiche dell’occupazione israeliana. Poiché Hamas ha risposto, esso viene considerato eroico.

Non c’è critica o denuncia della decisione di agire da parte di Hamas, nonostante siano i cittadini a pagare il prezzo più alto dell’aggressione israeliana con la perdita dei propri cari e delle loro case.

Gaza mostra con chiarezza che i palestinesi credono fermamente nella resistenza come via verso la liberazione dall’occupazione.

Questa ondata di combattimenti è significativa anche perché è nata come risposta alle continue violazioni avvenute a Gerusalemme.

Tutti i precedenti casi di escalation da parte di Hamas erano stati provocati da aggressioni israeliane contro la Striscia di Gaza. Così. quando Gerusalemme ha chiesto aiuto a Gaza e questa si è sollevata in sua difesa, si è rafforzato un sentimento nascente di unità nazionale palestinese e si è liberata dall’isolamento la resistenza palestinese di Gaza.

Che si tratti di Gaza o di qualsiasi altro luogo in Palestina, i palestinesi lottano contro l’occupazione che li ferisce ovunque con aggressioni ed abusi.

Questa escalation si è caratterizzata anche per un aumento del livello di sfida all’interno dei movimenti di resistenza. La cancellazione della marcia per il Giorno di Gerusalemme ha rappresentato una delle prime vittorie.

Gli attacchi israeliani contro Gaza hanno sempre comportato sofferenze e tragedie. Tuttavia, stavolta l’escalation viene percepita come particolarmente significativa, come eroica.

In tutta la Palestina la gente aveva un disperato bisogno di qualcuno che la facesse sentire sostenuta e difesa. I palestinesi hanno bisogno di sentire che non sono soli a pagare il prezzo. E’ pertanto estremamente significativo che la resistenza sia esplosa in tutta la Palestina storica.

Israele si è impegnato a distruggere l’identità palestinese, specialmente in città, paesi e villaggi all’interno dei confini del 1948 che ha volutamente tenuto in stato di povertà – le zone cioè dove quell’anno veniva proclamato lo Stato di Israele durante la Nakba, la pulizia etnica della Palestina.

In quelle aree le proteste di massa, le stazioni di polizia incendiate, la sostituzione delle bandiere israeliane con quelle palestinesi, tutto sembra indicare un nuovo risveglio dello spirito palestinese.

I palestinesi sono ancora profondamente radicati nella propria terra, attaccati alla loro identità, il loro profondo senso di unità è più significativo di qualsiasi fattore che li possa tenere separati, e la loro capacità di sopravvivere agli orrori e ai crimini di Israele non finisce mai di sorprendere.

Israele possiede un potente arsenale missilistico e nel tentativo di recuperare la dignità perduta a fronte della resistenza palestinese, Israele continua a commettere crimini contro la popolazione civile di Gaza.

Tuttavia la potenza di Israele non gli garantisce legittimazione né stabilità. Il progetto sionista in Palestina è estraneo a questa terra, e tutti gli sforzi di neutralizzare o rimuovere la presenza palestinese sono falliti da più di settanta anni.

Il popolo palestinese potrà anche indebolirsi, ma non morirà. Ha la volontà di combattere fino alla fine e alla vittoria certa.

Ahmed Abu Artema è uno scrittore residente a Gaza, ricercatore presso il Centro di Studi di Politica e Sviluppo.

traduzione dall’inglese di Stefania Fusero