Fine impunità israeliana

L’impunità israeliana sta per terminare

Maureen Clare Murphy

19 luglio 2020 – The Electronic Intifada

 

Il tempo dell’impunità di Israele si sta riducendo man mano che il Tribunale Penale Internazionale si avvicina all’apertura di un’indagine completa sui crimini di guerra in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Un’offensiva diplomatica israeliana e le sanzioni da parte degli Stati Uniti non hanno ancora piegato la corte.

La sentenza della camera preliminare in merito alla giurisdizione della corte sulla Palestina è attesa in tempi brevi (la Corte Penale Internazionale si è appena aggiornata per le vacanze estive e si riunirà nuovamente a metà agosto), e il governo israeliano non prevede che i giudici decideranno a suo favore.

Il quotidiano di Tel Aviv Haaretz ha riferito questa settimana che Israele sta compilando “una lista segreta di funzionari militari e dell’intelligence che potrebbero essere soggetti ad arresti all’estero” nel caso in cui  un’indagine della CPI dovesse proseguire .

Il giornale afferma che a quanto si dice, l’elenco “ora comprende tra 200 e 300 funzionari”.

Il documento, ha aggiunto Haaretz, rimane segreto perchè la CPI “probabilmente considererebbe un elenco di nomi come un’ammissione ufficiale israeliana del coinvolgimento di questi funzionari nei casi sotto inchiesta”.

Tra i probabili sospetti, ministri di alto livello e gerarchie militari che hanno supervisionato e portato avanti l’offensiva israeliana del 2014 contro la Striscia di Gaza. Tra i potenziali sospetti di alto rango citati da Haaretz ci sono Benjamin Netanyahu e l’ex capo dell’esercito Benny Gantz, che guidano congiuntamente il governo di coalizione israeliano.

La lista potrebbe comprendere anche funzionari di livello inferiore coinvolti nella costruzione di colonie in Cisgiordania.

Ma il numero di persone responsabili di crimini di guerra perseguibili penalmente aumenta ad ogni esecuzione in strada di un palestinese da parte della polizia e dei militari israeliani.

Disarmato e indifeso”

Decine di organizzazioni per i diritti umani hanno dichiarato questa settimana alle Nazioni Unite  che i responsabili dell’esecuzione extragiudiziale del 26enne Ahmad Erakat ad un checkpoint il mese scorso devono essere chiamati a risponderne.

Israele ha sostenuto che Erakat sia andato intenzionalmente a sbattere contro il checkpoint con la sua auto, causando lievi ferite a una soldatessa. Il video dell’incidente mostra che i soldati hanno sparato a Erakat quando è uscito dal suo veicolo con le mani in alto.

Le organizzazioni per i diritti umani affermano nel loro appello che, quando è stato ucciso, Erakat  stava sbrigando delle commissioni poco prima del matrimonio di sua sorella. La sposa “stava già indossando il suo abito per il matrimonio quando ha saputo che suo fratello era stato ucciso”.

Erakat avrebbe dovuto sposarsi a settembre dopo che il suo matrimonio, previsto a maggio, era stato posticipato a causa della pandemia.

Le associazioni per i diritti umani affermano che Erekat, “palesemente disarmato e indifeso”, è stato lasciato morire dissanguato per circa 90 minuti, durante  i quali le forze di occupazione gli hanno negato le cure mediche.

I soldati israeliani presenti non hanno fornito ad Erakat nessun intervento di pronto soccorso. Dieci minuti dopo la sparatoria, un’ambulanza israeliana è arrivata al posto di blocco. Quei medici hanno curato solo la soldatessa leggermente ferita senza fornire aiuto a Erakat.

“Avendo curato un soldato israeliano ferito ma lasciando (Erakat) senza assistenza medica nonostante fosse gravemente ferito, la condotta di Israele equivale a una illegale discriminazione razziale”, aggiungono le organizzazioni a favore dei diritti umani.

I soldati israeliani hanno impedito ai paramedici palestinesi di avvicinarsi ad Erakat.

Le organizzazioni per i diritti umani affermano che negare le cure ai palestinesi feriti dalle forze israeliane “deve essere inteso come parte integrante di una diffusa e sistematica politica israeliana nei confronti dei palestinesi consistente nello sparare per uccidere”.

L’intento di questa politica, aggiungono le associazioni, “è quello di mantenere il regime israeliano di sistematica oppressione razziale e dominio sul popolo palestinese”.

Solo nel corso del 2019 l’esercito israeliano non ha prestato le cure ai palestinesi feriti in almeno 114 occasioni .

“La negazione di un’assistenza medica il prima possibile” proseguono nell’appello urgente le organizzazioni, equivale a “violazioni dei diritti alla salute e alla vita.”

“Clima di paura”

Israele sta trattenendo il corpo di Erakat come parte di una politica che consiste nel negare i resti dei palestinesi uccisi in quelli che sostiene siano stati attacchi a soldati e civili.

Dall’inizio dell’attuazione di tale politica, nel 2015, Israele ha ritardato la restituzione dei corpi di oltre 250 palestinesi uccisi dai propri soldati.

Continua a trattenere 63 di questi corpi in modo che possano essere usati come oggetto di contrattazione nei futuri scambi di prigionieri.

Questa pratica, approvata dalla corte suprema israeliana, è una forma di punizione collettiva che, affermano le organizzazioni per i diritti umani, “equivale a tortura e maltrattamenti nei confronti delle famiglie delle vittime”.

L’appello precisa che le pratiche israeliane di punizione collettiva “intendono creare un clima di paura, repressione e intimidazione” e “indebolire la capacità del popolo palestinese di opporsi efficacemente al regime”.

L’uccisione intenzionale di Ahmad Erakat è una grave violazione della Quarta Convenzione di Ginevra, affermano le organizzazioni per i diritti umani. Gli Stati firmatari, incluso Israele, sono obbligati a portare le persone sospettate di aver commesso tali violazioni dinanzi ai loro tribunali.

Tuttavia, aggiungono le associazioni, le procedure investigative interne da parte dell’esercito israeliano “hanno più volte dimostrato di non essere minimamente all’altezza degli standard internazionali per garantire indagini efficaci, oneste e credibili”.

Data la mancanza di accesso alla giustizia nei tribunali israeliani, le organizzazioni affermano che “le reali responsabilità riguardo le vittime palestinesi possono essere accertate solo attraverso la giustizia penale internazionale e i tribunali con giurisdizione internazionale.”

“La (Corte Penale Internazionale) a questo proposito rappresenta per i palestinesi un tribunale di ultima istanza”, aggiungono. Le organizzazioni esortano gli esperti delle Nazioni Unite per i diritti umani “a chiedere alla CPI di deliberare, senza indugio, a favore del riconoscimento della giurisdizione territoriale della corte” in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza.

Fino a quando non sarà garantita la giustizia, ci saranno nuove famiglie palestinesi in lutto per un figlio o una figlia, settimana dopo settimana, mese dopo mese, anno dopo anno.

 

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Il coronavirus accentua la crisi politica in Israele

La crisi dovuta al coronavirus accentua lo scontro tra Netanyahu e Gantz

 

La crisi dovuta al coronavirus e le gravi difficoltà economiche non hanno fatto che approfondire la distanza tra il primo ministro Benjamin Netanyahu e il suo alleato di coalizione, il primo ministro che lo dovrebbe sostituire e attuale ministro della Difesa Benny Gantz.

Mazal Mualem

16 luglio 2020 – Al Monitor

 

Il capo di Blu e Bianco, Benny Gantz, che è il primo ministro di riserva e il ministro della Difesa, sperava che la serie di interviste che ha rilasciato dalla casa in cui è in quarantena a Rosh HaAyin alle tre principali stazioni televisive del Paese il 15 luglio avrebbe mitigato, almeno parzialmente, le sue carenze nel campo delle pubbliche relazioni.

Le interviste sono state registrate e si pensava che sarebbero state messe in onda in prima serata, con l’obiettivo di suscitare attenzione. Gantz è arrivato preparato, con una pagina di messaggi al pubblico e due importanti notizie: una riguardo alla possibilità che Israele, alla luce dell’incremento giornaliero della diffusione del virus del COVID-19, rinnovi una chiusura totale del Paese; la seconda in merito all’insistenza di Gantz per un bilancio biennale, a differenza del primo ministro Benjamin Netanyahu, che vorrebbe un bilancio annuale. Quest’ultima differenza di opinione potrebbe persino portare, in uno scenario improbabile, alle elezioni.

Ma mentre Gantz si stava preparando a queste importanti interviste, Netanyahu e il ministro delle Finanze Israel Katz erano impegnati a dare gli ultimi ritocchi a un altro turbinoso piano economico da presentare durante una conferenza stampa. Quel giorno Netanyahu intendeva occupare l’attenzione dell’opinione pubblica, proprio mentre Gantz si stava preparando a fare altrettanto.

Negli ultimi giorni Netanyahu ha dovuto occuparsi di una crescente ondata di proteste e manifestazioni; aveva bisogno di una “soluzione” immediata per calmare le masse. La notte precedente, il 14 luglio, davanti alla casa di Netanyahu su via Balfour a Gerusalemme si era svolta una turbolenta manifestazione, terminata con decine di arresti e una sensazione di perdita di controllo. Alla stregua della decisione del presidente USA Donald Trump di distribuire soldi alla popolazione all’inizio della crisi di coronavirus, Netanyahu ha deciso un’immediata elargizione di fondi a tutti i cittadini del Paese.

Gantz è stato aggiornato da Netanyahu e da Katz riguardo alla loro intenzione di distribuire 6 miliardi di shekel (circa 1 miliardo e mezzo di euro) solo poche ore prima della conferenza stampa del 15 luglio.

Benché Gantz si fregi del titolo di primo ministro in alternanza, Netanyahu e la sua gente non lo hanno consultato né hanno preso in considerazione l’opposizione di principio di Gantz a distribuire denaro senza fare differenze tra chi ha realmente bisogno di aiuto e chi invece no. L’approccio di Gantz è quello consigliato dai più alti livelli del ministero delle Finanze, guidato dal governatore della Banca di Israele.

Netanyahu ha semplicemente annunciato la sua decisione al primo ministro che lo dovrebbe sostituire. È vero, il primo ministro ha suggerito che lo stesso Gantz partecipasse alla conferenza stampa, ma persino Gantz ha capito che ciò gli avrebbe provocato più danni che benefici, e si è rifiutato di essere presente.

Il risultato finale è stato che le interviste a Gantz sono state oscurate dalla grande discussione provocata dalla conferenza stampa in diretta, con centinaia di migliaia di cittadini incollati agli schermi televisivi. Ancora una volta Netanyahu ha preso il controllo dell’agenda pubblica e, dopo una serie di lunghe settimane di “ibernazione da COVID-19”, è tornato in prima linea. Come prevedibile, la proposta di Netanyahu e Katz è stata attaccata da ogni parte e deve ancora essere approvata dal governo.

Ma ha ottenuto il suo scopo: nelle strade si parla meno delle manifestazioni e, se Gantz si dovesse opporre all’iniziativa, Netanyahu apparirà ancora come la figura che cerca di assistere e aiutare la popolazione.

L’avvenimento qui descritto è un’ulteriore manifestazione della grave crisi di fiducia tra Netanyahu e Gantz, due persone che hanno promesso ai cittadini di risolvere la crisi del coronavirus. Ma non hanno avuto successo nel creare un meccanismo per lavorare insieme in armonia e collaborazione per risolvere una delle maggiori crisi vissute dallo Stato di Israele da sempre.

Quasi ogni cosa diventa argomento di discussioni e tensioni tra le due parti: il bilancio, la “guerra” di Netanyahu contro il sistema giudiziario, opposte visioni del mondo. A ciò si aggiungono “ego ipertrofici” e l’enorme numero di ministeri di ambo le parti che stanno lottando per ottenere “rilevanza” – a spese gli uni degli altri.

Gantz è certo che Netanyahu stia preparando il terreno per elezioni anticipate e non abbia intenzione di lasciare libero il posto di primo ministro tra un anno e mezzo, come stabilito nell’accordo di unità tra i partiti Likud e Blu e Bianco. Nel caso specifico non si tratta di paranoia, ma di una possibilità concreta. Netanyahu, da parte sua, detesta in ogni momento questo governo. Si è abituato a comandare con il pugno di ferro, praticamente da solo, senza una vera opposizione all’interno del governo. Ma ora, mentre gestisce la crisi e si scontra con degli ostacoli, deve prendere in considerazione le opinioni dei ministri di Blu e Bianco. Il 14 luglio ha cercato di richiudere le piscine e le palestre del Paese, ed è stato bloccato dai ministri; la questione è arrivata alla commissione COVID-19 della Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.], che ha annullato la sua decisione. Le piscine e le palestre non sono state chiuse, provocando la sensazione tra la popolazione che il modo in cui il Pase è governato non funzioni.

“Netanyahu si sente come Gulliver nella terra di Lilliput. Nelle riunioni del governo ogni sorta di giovane ministro di Blu e Bianco gli fa la predica. Ne soffre e, secondo me, rimpiange di non aver convocato le elezioni quando era avanti nei sondaggi,” afferma ad Al-Monitor un ministro del Likud che vuole rimanere anonimo.

La sera del 14 luglio, sullo sfondo della pessima pubblicità riguardante la vastissima diffusione del coronavirus, un importante membro del Likud ha duramente criticato Gantz, e le sue parole sono state citate dai media. Il membro del Likud ha detto che il primo ministro è furioso con Gantz e il suo partito perché bloccano le iniziative necessarie a impedire la diffusione dell’infezione, e che Blu e Bianco lo fa per ragioni politiche. “Gantz e Blu e Bianco devono smetterla immediatamente con i giochetti politici riguardo al COVID-19; questo comportamento mette in pericolo le vite dei cittadini israeliani. Da quando il governo di unità ha stabilito che ogni decisione debba essere presa in accordo tra il Likud e Blu e Bianco, loro (Blu e Bianco) silurano ogni risoluzione non in linea con le loro valutazioni populiste,” ha affermato il referente, che ricopre un ruolo importante, gettando così benzina sul fuoco.

Gantz non ha nessun dubbio sul fatto che le parole del politico del Likud siano arrivate direttamente dall’ufficio di Netanyahu, ed ha reagito. Poco dopo un politico di Blu e Bianco ha accusato Netanyahu di cercare di dare la colpa a Gantz della sua fallimentare gestione della crisi del COVID-19, e che il primo ministro non consente a Gantz, in quanto ministro della Difesa, di condurre lui la lotta contro il COVID-19. “Questo non è tempo per la politica e scontri (interni), solo per battaglie per risanare l’economia, il sistema sanitario e la società… Ci sono quelli che affrontano questi problemi, e quelli che sfuggono alle proprie responsabilità a questo riguardo,” ha detto alla stampa, citato come fonte anonima, il politico di Blu e Bianco.

Fino a stamattina sono stati fatti tentativi da entrambe le parti di spegnere le fiamme del conflitto interno. Sono stati intervistati ministri di Blu e Bianco, compreso il ministro degli Esteri Gabi Ashkenazi, che si è limitato a critiche moderate contro la munificenza di Netanyahu nei confronti della Nazione. È quello che succede quando due parti opposte sono imprigionate in un governo da incubo sull’orlo di una gravissima crisi e non hanno nessuna via di fuga.

Ma i segnali indicano un altro imminente scontro politico, che si prevede scoppierà molto presto. La prossima settimana Netanyahu deve far approvare dal governo il suo programma di distribuzione del denaro.

 

 

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)

 

 




“Il macabro piano di Israele culmina nell’annessione”

Richard Falk

24 giugno 2020 Nena News

Grazie a Trump, scrive l’ex relatore speciale delle Nazioni Unite, il governo israeliano insiste sui Territori palestinesi occupati: «Sono una necessità per la nostra sicurezza». Nessuno pensa ai diritti dei palestinesi, nessuno ha intenzione di ascoltarli. È una geopolitica da gangster nella giungla globale in aperta violazione della Carta dell’Onu.

Viviamo in tempi strani. In giro per il mondo le vite sono devastate dal Covid-19 oppure da crisi sociali, economiche e politiche. In momenti così, non sorprende che emergano il peggio e il meglio dell’umanità. Eppure la geopolitica da gangster nelle sue varie manifestazioni sembra spingersi ancora oltre.

Si pensi all’inasprimento delle sanzioni statunitensi nel bel mezzo della crisi sanitaria che colpisce società già gravemente provate e popolazioni sofferenti in Iran, Venezuela, Siria e Cuba.

Un’altra pagina nera è la danza macabra di Israele intorno alla plateale illegalità dell’annessione che il premier Benjamin Netanyahu ha promesso di avviare da luglio, grazie all’assenso del rivale e alleato di governo Benny Gantz. Israele è pronta ad annettere i territori senza nemmeno cercare di giustificare la violazione del diritto internazionale, secondo il quale uno Stato sovrano non può annettere un territorio estero occupato militarmente.

QUESTA MOSSA unilaterale di Israele per riclassificare il territorio che «occupa» nella West Bank e per incorporarlo stabilmente nell’autorità sovrana israeliana viola completamente il diritto internazionale umanitario della Quarta convenzione di Ginevra. Quella che perfino al tempo della Lega delle Nazioni era sempre stata una «norma sacra», nell’era della geopolitica post-coloniale da gangster diventa disprezzo patente per i popoli e i loro diritti.

LA MOSSA annessionista è così estrema che anche alcuni pesi massimi di Israele, fra i quali gli ex capi del Mossad e dello Shin Bet, e ufficiali in pensione delle Israel Defence Forces, lanciano l’allarme. Alcuni militanti sionisti sono contrari all’annessione in questo momento perché svelerebbe l’illusione della democrazia israeliana, e perché montano i timori che assorbire i palestinesi della West Bank minaccerebbe a tempo debito l’egemonia etnica ebraica. Naturalmente, nessuno di questi «ripensamenti» contesta l’annessione perché viola il diritto internazionale, scavalca e mina l’autorità dell’Onu e ignora i diritti inalienabili dei palestinesi. Le preoccupazioni riguardano gli impatti negativi per il paese, in termini di sicurezza a livello interno e regionale israeliana, e di status internazionale.

I critici nell’establishment della sicurezza nazionale temono di disturbare i vicini arabi e di alienarsi ulteriormente l’opinione pubblica internazionale, soprattutto in Europa; in una certa misura si dicono preoccupati anche della reazione dei «sionisti liberal», con il conseguente indebolimento dei legami di solidarietà con Israele da parte della diaspora ebraica che vive negli Stati uniti e in Europa.

ANCHE LA PARTE pro-annessione evoca la sicurezza, specialmente rispetto alla Valle del Giordano e agli insediamenti, ma in misura molto minore. Gli annessionisti fanno riferimento alla Giudea e alla Samaria di cui parla la Bibbia (il nome noto internazionalmente è West Bank). Il diritto verrebbe rafforzato dal riferimento alle profonde tradizioni culturali ebraiche nonché a secoli di connessioni storiche fra una piccola e stabile presenza ebraica in Palestina e questo territorio considerato sacro custode del popolo ebraico.

IN OGNI CASO, tanto gli israeliani critici sull’annessione quanto i favorevoli non sentono alcun bisogno di confrontarsi con i diritti e le istanze dei palestinesi. Come è sempre avvenuto lungo tutta la narrazione sionista, le aspirazioni e le rivendicazioni del popolo palestinese e la sua stessa esistenza non fanno parte dell’immaginario sionista: salvo quando si frappongono ostacoli o si crea una minaccia demografica alla regola della maggioranza ebraica. Se si considera l’evoluzione della principale corrente del sionismo, l’obiettivo di lungo periodo di emarginare i palestinesi in un unico Stato ebraico dominante che comprenda tutta la «terra promessa» di Israele non è mai stato abbandonato.

In questo senso il piano di partizione messo a punto dalle Nazioni unite, benché accettato nel 1947 dalla dirigenza sionista come soluzione del momento, è da interpretarsi piuttosto come una pietra miliare per il recupero della maggiore quantità possibile di terra promessa. Nel corso degli ultimi cent’anni, dal punto di vista israeliano l’utopia è diventata una realtà, mentre da quello palestinese è diventata una distopia.

IL MODO IN CUI Israele e Stati uniti affrontano questo preludio all’annessione sconcerta quanto la conseguente «scomparsa» dei palestinesi. Israele ha già privilegiato l’annessione nell’accordo di coalizione Gantz-Netanyahu, che prevede di presentare una proposta alla Knesset (Parlamento) a partire dal 1 luglio. L’unica precondizione accettata con l’accordo alla base del governo Gantz-Netanyahu fa coincidere l’annessione con le allocazioni territoriali incorporate nelle famose proposte unilaterali Trump-Kushher «Dalla pace alla prosperità».

COME PREVEDIBILE, gli Stati uniti di Trump non creano frizioni, né suggeriscono a Netanyahu di offrire una parvenza di giustificazione legale o di esplicitare gli effetti negativi dell’annessione sulle prospettive del processo di pace israelo-palestinese. Finora, il segretario di Stato americano Mike Pompeo ha dato luce verde all’annessione della West Bank ancora prima che Israele formalizzasse il proprio piano, dichiarando provocatoriamente che sono gli israeliani a dover decidere in materia: come se né i palestinesi né la legge internazionale avessero la minima importanza. Ecco un’altra indicazione del fatto che le relazioni israelo-statunitensi sono all’insegna di una geopolitica da gangster.

Ma forse, i segnali di possibili ripercussioni indurranno Washington a chiedere a Netanyahu di posticipare l’annessione o ridimensionarne la portata. E, anche se questa geopolitica sembra esaurire le residue speranze palestinesi di un compromesso politico e di una diplomazia basata su un genuino impegno di equità ed eguaglianza, voci di resistenza e solidarietà si levano contro quest’ultimo oltraggio. Nena News




Furto di terre e deportazioni: ecco cosa prevede per il dopo annessione un importante avvocato israeliano

Meron Rapoport

20 maggio 2020 – Middle East Eye

Nella sua intervista con MEE, Michael Sfard dice che a Israele si è presentata l’occasione del secolo di annettere la Cisgiordania

A quasi 53 anni dall’occupazione della Cisgiordania, Israele è più vicina che mai ad annettere parti del territorio palestinese.

L’articolo 39 del patto di coalizione firmato dal primo ministro Benjamin Netanyahu del Likud e Benny Gantz di Blu e Bianco permette al premier, in accordo con la Casa Bianca, di proporre alla discussione nel governo un disegno di legge per mettere in pratica la sovranità di Israele e per l’approvazione in parlamento entro il primo luglio.

Dato che nella Knesset, il parlamento israeliano, c’è una chiara maggioranza per l’”applicazione della sovranità”, la nuova parola che si usa per ‘annessione’, in teoria, tra appena due mesi e mezzo, Israele potrà annettere parti della Cisgiordania – indubbiamente la mossa più significativa da quando l’ha occupata nel 1967.

Il governo insediatosi domenica metterà l’annessione come primo punto all’ordine del giorno.

Questo “in teoria”, perché con il passar del tempo dalla firma dell’accordo, la pressione su Israele sta salendo.

Solo venerdì Josep Borrrell, l’Alto rappresentante della politica estera dell’Unione europea, ha detto che l’UE userà “tutte le sue capacità diplomatiche ” per fermare l’annessione e il re di Giordania Abdullah ha previsto un “gravissimo conflitto” se si procedesse all’annessione.

Persino l’amministrazione Trump sembra meno entusiasta che alcune settimane fa. L’annessione dovrebbe far “parte di negoziati fra israeliani e palestinesi”, ha detto Morgan Ortagus, portavoce di Mike Pompeo, dopo la visita in Israele del Segretario di Stato della scorsa settimana.

Sebbene nelle ultime elezioni la sinistra israeliana sia stata pesantemente sconfitta, all’interno del Paese c’è ancora opposizione. Una figura prominente è Michael Sfard, avvocato israeliano specializzato in leggi sulla difesa dei diritti umani, consulente legale per organizzazioni di diritti umani in Israele e autore de The Wall and the Gate: Israel, Palestine, and the Legal Battle for Human Rights, [Il muro e la porta: Israele, Palestina e la battaglia legale per i diritti umani ndtr.].

In un’intervista della scorsa settimana Sfard ha messo in guardia contro le disastrose conseguenze per i palestinesi residenti nei territori annessi e per le loro proprietà. Eppure, allo stesso tempo, sostiene che, se l’annessione venisse fermata adesso, scomparirebbe dal dibattito “per cent’anni”.

Middle East Eye: Si è spesso sostenuto, persino da parte dei palestinesi, che sostanzialmente l’annessione sia già avvenuta e quindi un atto formale non farebbe una grande differenza.

Michael Sfard: Questo è un errore molto comune e rivela scarsa comprensione del significato per i singoli individui e per le comunità palestinesi e di quanto profondamente inciderà sulle loro vite e i loro diritti. Quasi sicuramente vorrà dire “nazionalizzazione” della maggior parte del territorio. Grandi porzioni di terra di proprietà di palestinesi che non vivono sul territorio saranno considerate come ‘proprietà di assenti ’.

MEE: Può spiegare meglio?

MS: La Absentee Property Act, la legge sulla proprietà degli assenti del 1950 permette di impossessarsi di proprietà di rifugiati palestinesi che se ne andarono, fuggirono o vennero deportati da ciò che nel 1948 diventò Israele. La legge definisce ‘assente’ un individuo che risiede in un “territorio nemico” o in “qualsiasi parte della Palestina Mandataria che non sia lo Stato di Israele”.

Nel 1967, quando Israele ha applicato questa legge a Gerusalemme Est, molti abitanti della Cisgiordania che avevano là delle proprietà furono definiti ‘assenti’, sebbene non avessero fatto nulla per diventarlo, non se ne erano andati. È una condizione fittizia, ma legale.

MEE: Cosa le fa pensare che ora useranno questa legge?

MS: Per molto tempo [il governo israeliano] non l’ha applicata a Gerusalemme Est, ma negli ultimi 20 anni lo sta facendo. La lobby dei coloni ha persuaso il Procuratore generale a fare eccezioni che sono state approvate dalla Corte Suprema di Israele. Sappiamo per esperienza che ogni eccezione diventa una regola, e quindi c’è l’enorme pericolo che gran parte del territorio venga dichiarato ‘proprietà di assenti’.

Un altro meccanismo con cui Israele esproprierà terre è la confisca per pubblica utilità. In ogni Paese ci sono delle leggi simili, per costruire strade, ecc.

MEE: Al momento ciò non è possibile in Cisgiordania?

MS: Ora no, secondo le leggi dell’occupazione e i principi applicati in questi anni dalla Corte suprema di Israele e dal Ministro della giustizia. Questa è la ragione per cui Israele ha usato ogni stratagemma giuridico, come dichiararle terre pubbliche. Ma una volta che un territorio è annesso, allora il “pubblico” sono gli israeliani e si può espropriare nel loro interesse. È chiaro che è questo che sarà fatto. Ecco il motivo per cui Israele sta annettendo questi territori.

MEE: É questa la ragione? Non è un gesto simbolico e politico?

MS: Naturalmente c’è un aspetto simbolico e di orgoglio nazionale, ma senza impadronirsi delle terre, l’annessione non soddisferebbe le fantasie annessioniste. Già ora i coloni nei loro insediamenti si sentono parte di Israele. L’unica restrizione è lo sviluppo, il fatto che ci sono molte terre agricole intorno ad essi sulle quali è difficile per loro espandersi.

MEE: Quindi il motivo principale è impossessarsi di terre?

MS: Ne è decisamente l’aspetto principale. Il conflitto israelo-palestinese è sostanzialmente per il territorio, non è né religioso né culturale, è territoriale. L’annessione, senza impadronirsi delle terre, non è una vittoria.

Questa è la prima cosa. La seconda è che alcune, probabilmente molte, delle comunità palestinesi che saranno coinvolte dovranno fronteggiare il pericolo della deportazione forzata. Per 53 anni Israele ha avuto il controllo del registro della popolazione palestinese e la sua politica ha impedito ai palestinesi di cambiare l’indirizzo in certe zone, come quelle a sud del Monte Hebron, nella Valle del Giordano e nel cosiddetto ‘Jerusalem Envelope’.

Quindi ci sono molte comunità, la maggior parte piccole e deboli che, se controlli la carta d’identità rilasciata ai loro abitanti dall’amministrazione civile israeliana [l’autorità militare che controlla i territori occupati ndtr.], sono registrate altrove in Cisgiordania. Dopo l’annessione diventeranno stranieri illegali in Israele e a rischio di deportazione. Naturalmente non avverrà il giorno dopo, ma alla lunga questo sarà il loro destino.

MEE: Lei è uno di quelli che da molto tempo ha sostenuto che quello che Israele sta facendo in Cisgiordania sia un tipo di apartheid. L’annessione non la aiuterà a convincere la comunità internazionale che è così? 

MS: L’accusa di apartheid è stata mossa a Israele da molti anni, espressa dagli attivisti dei diritti umani più radicali e politicamente periferici. L’annessione sposterà questo modo di pensare in un campo politico più convenzionale. Se Israele in passato ha sostenuto che non vuole governare i palestinesi e che la situazione presente è temporanea, l’annessione significherà perpetuare il dominio sui palestinesi e la loro oppressione, una situazione che si penserà che sia definitiva. 

MEE: Quindi non aiuterà persone come lei?

MS: Sicuramente rafforzerà questo argomento, ma non voglio barattare la forza del mio ragionamento in cambio dell’occupazione dei territori e della deportazione dei palestinesi. La gente che pensa che questo sia uno sviluppo positivo perché genererà un’opposizione più forte contro le politiche israeliane non valuta o non capisce appieno le conseguenze enormi dell’annessione e probabilmente sopravvaluta l’opposizione internazionale. Israele è uno Stato molto potente e più volte ci sono state cose commesse da Israele che si pensava che la comunità internazionale non avrebbe perdonato – ma l’ha fatto.

MEE: Cosa potrebbe fermare Israele? 

MS: Ci sono tre campi in Israele che voteranno a favore. Uno è quello ideologico, niente cambierà il suo punto di vista. Il secondo lo farà per motivi politici interni. Per loro i costi superano i benefici, potrebbero opporre resistenza. Fra i costi ci sarebbero la sicurezza, costi economici e, più importante di tutti, il danno alla posizione di Israele all’interno della comunità internazionale.

Il terzo gruppo è Netanyahu stesso. Un uomo, una missione. I suoi interessi sono completamente diversi. Non penso che al momento siano ideologici. Il problema principale è la sua sopravvivenza e il ruolo che può giocare l’annessione.

C’è ancora una cosa. Si tratta probabilmente del passo più importante di Israele dalla sua dichiarazione di indipendenza, eppure, per la maggior parte, la decisione non avverrà a Gerusalemme, ma a Washington.

MEE: Molti centri di potere della sicurezza israeliana, al centro e persino a destra, vogliono fermarla per continuare con lo status quo dell’occupazione. Non si sente a disagio a trovarsi insieme a loro? 

MS: Lo chieda a loro, ma io penso che non capiscano che in Medio Oriente lo status quo non esiste. Se si ferma l’annessione, non torneremo alla situazione precedente. In realtà io penso che fermarla sarà il passo più importante per far avanzare una giusta soluzione del conflitto israelo-palestinese.

Molti tasselli del puzzle vanno al loro posto, una situazione che la destra israeliana non avrebbe mai potuto sognarsi: un presidente alla Casa Bianca che non solo sostiene l’annessione, ma anzi ci spinge a farla, un’Europa molto debole, una maggioranza nel parlamento israeliano, l’opinione pubblica israeliana che negli ultimi vent’anni ha virato costantemente a destra e i palestinesi più deboli che mai.

Lo dicono le stelle. Se, in questa situazione che sembra perfetta, si previene l’annessione significherà che i confini di una possibile soluzione al conflitto israelo-palestinese saranno ridefiniti. Se oggi non potessimo annettere, allora probabilmente non succederà nei prossimi cent’anni.

Questo creerà un’enorme frattura nel campo degli annessionisti. Hanno aspettato 2000 anni, il messia è arrivato, si è fermato alla nostra porta, ma non l’ha aperta e se n’è andato.

MEE: Quindi lei è ottimista?

MS: Non sono sicuro che scommetterei che non succeda. Ma credo che ci sia un percorso ragionevole per far sì che non accada e la comunità internazionale gioca un ruolo primario. Il nostro compito è la mobilitazione di quelle forze che lo impediranno.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




L’opposizione israeliana è disunita quanto la coalizione di governo

Afif Abu Much

19 maggio 2020 – Al Monitor

Il nuovo governo israeliano, il più numeroso di sempre, ha prestato giuramento il 17 maggio. E’ caratterizzato da ogni sorta di ministeri di recente invenzione, come quello per la Valorizzazione e il Progresso della Comunità e quello dell’Istruzione Superiore. Nel frattempo, il partito a favore dei coloni Yamina [alleanza di partiti di destra e di estrema destra, ndtr.], guidato da Naftali Bennett [leader del partito La Casa Ebraica, ndtr.], si è trovato ad occupare i banchi dell’opposizione, un’opposizione straordinariamente diversificata. Questa include tutti, dalla Lista Unita [coalizione di partiti che rappresentano gli arabo-israeliani, ndtr.] e Meretz [partito d’ispirazione laica, sionista e socialdemocratica, ndtr.] a sinistra, Yesh Atid-Telem [partito politico centrista e laico fondato dal giornalista Yair Lapid nel 2012, ndtr.] al centro, fino a Yisrael Beitenu [nazionalista, sionista e laico, marcatamente anticlericale, ndtr.] e Yamina all’estrema destra. Ahmad Tibi, membro della Knesset, ha twittato: “Sto pensando di votare la sfiducia nei confronti dell’opposizione se includesse anche Yamina.”

La situazione solleva nuove domande. Quale sarà il ruolo della Lista Unita nell’opposizione? Ha un peso il numero di seggi alla Knesset [il parlamento israeliano, ndtr.] conquistati nelle ultime elezioni? Vale la pena ricordare che, con 15 seggi, la Lista Unita è giunta molto vicino a svolgere un ruolo decisivo nel determinare chi avrebbe governato il Paese. Sarebbe successo se il leader del partito Blu e Bianco Benny Gantz avesse formato un governo di minoranza, dopo che la Lista Unita lo aveva appoggiato in occasione delle consultazioni del presidente [della repubblica Reuven Rivlin, ndtr.] .

La Lista Unita ha presentato, per la candidatura a presidente della Knesset, Ahmad Tibi [politico israeliano arabo-musulmano, già consigliere politico del defunto presidente palestinese Yasser Arafat, ndtr.], evidenziando la gravità delle differenze all’interno dell’opposizione. La Lista Unita ha annunciato: “Non esiste un’opposizione omogenea. Insieme al nostro elettorato abbiamo posizioni politiche che ci distinguono e ci differenziano dal resto dei partiti di opposizione”.

Nel frattempo, Yesh Atid-Telem ha proposto per la presidenza alla Knesset un’altra candidata, Karin Elharar. L’opposizione si è ovviamente spaccata, con 20 membri che hanno votato per Tibi mentre altri 23 hanno votato per Elharar. Yariv Levin, della coalizione governativa, ha raccolto i frutti e ha ottenuto la nomina.

Il membro della Knesset Jaber Asaqla, della corrente Hadash [acronimo di una formula la cui traduzione italiana è: Fronte Democratico per la Pace e l’Uguaglianza] della Lista Unita, ha dichiarato ad Al-Monitor: “Non abbandoneremo i nostri principi. Non lavoreremo fianco a fianco con Yesh Atid-Telem su ogni questione.” Nel discutere gli argomenti all’ordine del giorno della Lista Unita in quanto partito di opposizione, ha affermato: “Il fatto che esista un governo di coalizione con 73 eletti rivela quanto sia pesante il lavoro che ci attende nella prossima Knesset. Il tema caldo che ci sta di fronte è l’ ’accordo del secolo’ del presidente Donald Trump, che include l’annessione di parti della Cisgiordania. Useremo tutti gli strumenti a nostra disposizione per opporci a tale progetto. Ci sono anche questioni interne, come la violenza nella società araba, la brutalità della polizia contro i cittadini arabi, la pianificazione, la realizzazione e l’abrogazione della legge “Kaminitz” [che rende più facile la demolizione di case arabe costruite senza permessi] e la legge sulla nazionalità, anche se, data la composizione dell’attuale Knesset, le possibilità che ciò accada sono scarse. E, naturalmente, non possiamo dimenticare la grave situazione economica, in particolare con la società araba che conta oltre 200.000 cittadini israeliani disoccupati”.

Questa sarà una grande sfida e fonte di notevoli frustrazioni per la Lista Unita. Può aver conquistato un numero record di seggi, ma il suo lavoro quotidiano si concentrerà più sui discorsi e sulle dichiarazioni attraverso i media che sui fatti, in quanto non ha gli strumenti sufficienti per influenzare le decisioni. Tuttavia, i suoi elettori si aspettano che il partito entri a far parte di chi prende le decisioni politiche e riesca a combinare qualcosa.

Tuttavia, non solo l’opposizione è eterogenea; lo è anche la coalizione di governo. E sono le differenze nel governo tra Likud e Blu e Bianco che potrebbero offrire alla Lista Unita alcune opportunità per incidere sul governo, specialmente quando Netanyahu avrà bisogno dei suoi voti su una questione o l’altra. Nel 2019 Netanyahu ha presumibilmente ottenuto dall’ opposizione due voti a favore del suo candidato come Revisore dei Conti dello Stato, Matanyahu Engelman. Il Likud ha affermato che i due candidati della Lista Unita hanno sostenuto tranquillamente Engelman in cambio di finanziamenti a favore di alcune località arabe.

L’opinione pubblica araba potrebbe non opporsi alla cooperazione con il governo in cambio di determinati benefici per la comunità araba. Ad esempio, esiste la risoluzione 922, nota anche come Piano Quinquennale per lo Sviluppo Economico per la Società Araba. Membri della Lista Unita hanno collaborato con i vari ministeri per portare avanti tale piano.

Yoav Stern, giornalista ed ex commentatore sulle questioni arabe per Haaretz [quotidiano israeliano di centro sinistra, ndtr.], ha detto ad Al-Monitor che in effetti esiste un’opportunità di collaborazione politica con il governo su ogni sorta di questioni. “Ora ci sono richieste nella società araba per una collaborazione nel processo decisionale. Una parte [della Lista Unita], ma non tutta, può finire per cooperare con il governo e con Netanyahu.” Stern ha aggiunto: “Io sostengo che la Lista Unita e i partiti di centrosinistra non abbiano ancora sfruttato appieno la quantità di preferenze all’interno della società araba, soprattutto in base al fatto che l’opinione pubblica araba vuole integrarsi nella società e influire su di essa “.

Tuttavia, è importante ricordare che Yamina si sta unendo all’opposizione, il che potrebbe cambiare i giochi per quanto riguarda la società araba. L’alleanza del 2013 tra il leader di Yesh Atid Yair Lapid e il leader di Yamina Naftali Bennett, che costrinse Netanyahu a includere entrambi nel suo governo, potrebbe essere ora riproposta, come dimostrato dalla reazione di Lapid a un post di Bennett del 13 maggio su Facebook, che annunciava l’uscita di Yamina dalla coalizione. Lapid ha risposto: “Benvenuto fratello! Il sionismo religioso avrebbe mai dovuto essere innanzitutto un giubbotto antiproiettile per chi fosse sospettato di aver commesso un delitto [in riferimento alle imputazioni per corruzione contro Netanyahu, ndtr.]”. La grande domanda è se a lungo termine Lapid preferirà unire le forze con Bennett o cooperare con la Lista Unita.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




David Friedman a proposito di “quando i palestinesi diventeranno canadesi”

JONATHAN OFIR 

11 maggio 2020 – Mondoweiss

Due giorni fa sul quotidiano gratuito Israel Hayom [giornale israeliano di estrema destra, ndtr.], finanziato da Sheldon Adelson [miliardario statunitense finanziatore di Trump e delle colonie israeliane, ndtr.], organo della propaganda di Netanyahu noto in ebraico anche come “Bibiton” (“Bibi” per Benjamin, “iton” che significa carta in ebraico) è apparsa un’intervista con l’ambasciatore degli Stati Uniti in Israele David Friedman.

L’intervista è un potente strizzata d’occhio a Israele perché prosegua con l’annessione di un terzo della Cisgiordania, una importante prospettiva aperta dall’“accordo del secolo” di Trump e un progetto alla base del nuovo accordo Netanyahu-Gantz per il governo di unità. L’annessione dovrebbe iniziare il 1° luglio.

“Stiamo dialogando, e tutti concordano che a luglio la gente che sta dalla parte degli israeliani vuole essere pronta il 1° luglio a procedere”, afferma Friedman. “Non siamo noi che stiamo dichiarando la sovranità – il governo di Israele deve dichiararla. E allora saremo pronti a riconoscerla in base a quello. Come ha affermato il segretario di Stato, è in primo luogo una decisione di Israele. Quindi, dovete procedere voi per primi.”

Dobbiamo ricordare che chi parla così è un patrono delle colonie ebraiche. Friedman ha curato una delle maggiori raccolte di fondi per la colonia di Beit El, costruita interamente su proprietà privata palestinese rubata. Come Jared Kushner, che con il patrimonio familiare ha finanziato gli insediamenti dei coloni religiosi più fondamentalisti (come la yeshiva [scuola religiosa, ndtr.] Od Yosef Chai a Yitzhar), il fatto che Friedman qui finga “imparzialità” è assolutamente ridicolo.

Il suo “non siamo noi che stiamo dichiarando la sovranità” è un clamoroso falso, in quanto non spetta comunque agli Stati Uniti farlo, e quindi non è che quella frase esprima in realtà alcun tipo di ripensamento. In pratica sta dicendo “andate avanti e noi vi seguiremo”. La cosa si aggiunge poi ai recenti riconoscimenti statunitensi delle annessioni unilaterali israeliane, prima di Gerusalemme est (con lo spostamento dell’ambasciata) e poi delle alture siriane occupate del Jolan (Golan). È quasi come se Friedman stesse pregando Israele: “Fallo, siamo proprio qui per metterci il timbro d’approvazione”. E Friedman sa che non ha davvero bisogno di pregare molto.

Ma, come per gli accordi di Oslo (anche se Rabin aveva assicurato che sarebbe finita sicuramente con “meno di uno Stato [palestinese]”), qualcuno a destra si preoccupa che questo “accordo del secolo” possa in qualche modo tradursi in una qualche specie di Stato palestinese, fosse anche solo uno Stato-bantustan a tutti gli effetti e scopi pratici.

E qui arriva la potente strizzata d’occhio razzista di Friedman:

“Li capisco, ma [stiamo dicendo] che non dovete convivere con quello Stato palestinese, dovrete convivere con uno Stato palestinese quando i palestinesi diventeranno canadesi. E quando i palestinesi diventeranno canadesi, tutti i vostri problemi saranno scomparsi.

Questo a molti può sembrare un linguaggio mistico – invece è un linguaggio chiaramente codificato per coloro a cui Friedman si rivolge. In pratica sta dicendo “Non preoccupatevi, comunque non succederà mai”, perché i palestinesi non diventeranno mai canadesi.

E le sue espressioni fanno chiaramente eco a quelle di un ex consigliere capo del primo ministro israeliano Ariel Sharon, Dov Weissglas, che nel 2004 cercava di sopire la preoccupazione che l’imminente piano di “disimpegno” da Gaza del 2005 potesse in qualche modo dare come risultato uno Stato palestinese.

Weissglas diceva:

Ciò su cui sono totalmente d’accordo con gli americani è che una parte degli accordi non sarebbe stata per niente concordata [con i palestinesi, ndtr.], e che non ci saremo occupati neppure del resto fino a quando i palestinesi non diventeranno finlandesi. Questo è il senso di ciò che abbiamo fatto.” (sottolineatura mia).

Vale la pena di leggere una sezione più ampia dell’intervista di Weissglas ad Haaretz nel 2004, per scoprire la logica complessiva:

Il significato del piano di disimpegno è il congelamento del processo di pace. E congelando quel processo si impedisce la creazione di uno Stato palestinese e si impedisce una discussione sui rifugiati, i confini e Gerusalemme. In effetti, l’intero pacchetto chiamato Stato palestinese, con tutto ciò che comporta, è stato rimosso a tempo indefinito dalla nostra agenda. E tutto questo con autorevolezza e con il nulla osta. Tutto con la benedizione del presidente e la ratifica di entrambe le aule del Congresso. […] Questo è esattamente ciò che è successo. Infine, il termine “processo di pace” è un insieme di concetti e impegni. Il processo di pace è l’istituzione di uno Stato palestinese con tutti i rischi per la sicurezza che questo comporta. Il processo di pace è l’evacuazione delle colonie, è il ritorno dei rifugiati, è la divisione di Gerusalemme. E tutto questo è stato ora congelato … Ciò su cui sono totalmente d’accordo con gli americani è che una parte degli accordi non sarebbe stata per niente concordata [con i palestinesi, ndtr.], e che non ci saremmo occupati neppure del resto fino a quando i palestinesi non diventeranno finlandesi. Questo è il senso di ciò che abbiamo fatto.

È una logica molto simile a quella di Friedman. Il piano ha lo scopo di congelare le cose. C’è apparentemente anche un congelamento parziale, per un periodo di 4 anni, della costruzione di colonie su metà dell’ “Area C”, poiché questa area è potenzialmente assegnata, secondo il piano Trump, ad una “espansione” delle aree palestinesi A e B. Secondo gli accordi interinali di Oslo, l’area C, che comprende oltre il 60% della Cisgiordania, avrebbe dovuto essere temporaneamente sotto il pieno controllo israeliano per un periodo di cinque anni, durante i quali si sarebbero dovuti iniziare i negoziati sullo status finale. In realtà, Oslo ha permesso a Israele di congelare l’area C e di farne una grande arena di pulizia etnica. L’area A (con i principali centri abitati) era prevista sotto il pieno controllo palestinese e l’area B con un controllo condiviso tramite il coordinamento dell’Autorità Nazionale Palestinese con l’esercito israeliano.

Friedman spiega la diversa logica dell’annessione dell’area C:

“Esistono tre categorie di territorio nell’area C: quella popolata da comunità ebraiche e la sovranità territoriale consente a queste comunità di crescere in maniera significativa. Questa è la maggioranza – diciamo un 97% della popolazione – e in quelle aree non ci sono restrizioni alla crescita. Ad esempio, Ariel diventerà uguale a Tel Aviv (non ci saranno restrizioni). E questa è la prima categoria. Una seconda categoria è rappresentata dalla metà dell’area C riservata ai palestinesi (da destinare a uno Stato palestinese durante i quattro anni concessi), e non vi è prevista alcuna costruzione, né israeliana né palestinese. Poi c’è una terza categoria, e sono le “enclavi” o “bolle”. Questo è un 3%, sono comunità ebraiche lontane. Quindi, ciò che accade a quelle comunità è che Israele dichiara la propria sovranità su di loro, ma non si espandono, possono ingrandirsi ma non possono espandersi. Per quanto riguarda la stragrande maggioranza delle colonie, le regole sarebbero quelle stesse che vigono allinterno della Linea Verde (linea del cessate il fuoco di Israele del 1949). ”

A Friedman viene chiesto “Quando inizia il conto alla rovescia dei quattro anni?” e lui risponde: “Il giorno in cui Israele inizia a far valere la propria sovranità e dichiara il blocco delle costruzioni nelle aree concordate dell’area C.”

Friedman afferma che non ci sono ulteriori termini o condizioni, ma l’intervistatore Ariel Kahana lo sfida: “Qualcun altro ha detto che c’è una nuova condizione dell’impegno israeliano ad accettare la creazione di uno Stato palestinese”.

Friedman dà una risposta di basso profilo, che placa gli espansionisti israeliani, i quali sanno cosa significhi veramente “processo di pace” – in pratica, niente, apparentemente in “buona fede”:

In proposito la condizione è che il primo ministro [israeliano] accetti di negoziare con i palestinesi e li inviti a un incontro, si impegni nelle discussioni, e le mantenga aperte e le persegua in buona fede per quattro anni.”

Kahana offre la prevista propaganda a favore di Netanyahu: “In realtà l’ha già fatto.”

E Friedman prende spunto da questo valzer apologetico israeliano:

E deve continuare così. In questo momento, i palestinesi non sono disposti a venire al tavolo, ma se tra due anni tornano e dicono: “Aspetta, abbiamo fatto un errore e siamo disposti a negoziare”, dovrà essere disposto a sedersi e discutere. Ma solo per un tempo limitato, vogliamo mantenere [valida] questa opzione per quattro anni. Questa è l’idea.”

Ecco, non si pensa che accada davvero. Il tutto è congegnato per porre condizioni che garantiscano che il negoziato non abbia mai luogo, ad esempio l’insistenza dal 2009 di Netanyahu sul fatto che i palestinesi non si limitino a riconoscere Israele (cosa che avevano già fatto con gli accordi del 1993), ma lo riconoscano come Stato ebraico. Questa definizione in sostanza richiede ai palestinesi di rendere onore all’essenza della propria espropriazione, sbattendoci la testa dopo aver già riconosciuto Israele più di quanto Gandhi avesse fatto col Pakistan. Solo allora Netanyahu dirà di essere disposto a parlare “senza precondizioni”.

Questa nella terminologia sionista è la “buona fede”. Allo stesso modo, Friedman sta presentando l’immediata annessione di metà dell’Area C come un fatto compiuto, e qualunque cosa ne verrà ai palestinesi, essi dovrebbero esserne persino felici.

Secondo i suoi criteri è anche generoso:

“Abbiamo gettato le basi di un fondo infrastrutturale che crescerebbe notevolmente se i palestinesi arrivassero al tavolo e vi si impegnassero. Abbiamo identificato i cambiamenti che dovrebbero verificarsi all’interno della società e del governo palestinesi affinché il tutto funzioni – non ignoriamo il fatto che i palestinesi continuano a pagare i terroristi e continuano a incitare alla violenza. E’ molto più in là di dove chiunque altro sia arrivato finora.”

Friedman rilancia il solito argomento dell’hasbara [la propaganda israeliana, ndtr.], secondo cui i palestinesi “pagano i terroristi”, poiché l’Autorità Nazionale Palestinese sostiene le famiglie dei palestinesi incarcerati o uccisi da Israele. Che ci possano essere atti che prendono di mira i civili e quindi rientrino probabilmente nella definizione di “terrorismo” è un fatto, ma la definizione di Israele è molto ampia e considera qualsiasi attacco ai soldati armati come “terrorismo”.

Analogamente, Israele imprigiona regolarmente i palestinesi senza alcun processo legale (“Detenzione Amministrativa”) per periodi di 6 mesi rinnovabili e infligge regolarmente punizioni collettive sotto forma di demolizioni di case, revoca di residenza e permessi di lavoro ai familiari ecc., e dunque l’assistenza economica palestinese deve essere vista anche come un rimedio temporaneo all’essere stati presi di mira. Ma la generalizzazione fatta da Friedman ha lo scopo di etichettare i palestinesi come terroristi e sostenitori del terrorismo.

Ed è improbabile che i terroristi diventino canadesi, no?

Friedman si emoziona per il “cuore biblico di Israele”, non importa che sia in Palestina. E parla della sua creatura, Beit El. Tutta quella terra rubata è come la “Statua della Libertà”:

“E poi Hebron, Shiloh, Beit El, Ariel, intendo dire che questi posti non si discutono (non sono da restituire ai palestinesi). Qualcuno metteva persino in discussione Gush [Etzion, prima colonia israeliana nei territori occupati, ndtr.] e Maaleh Adumim [una delle colonie più grandi, nei pressi di Gerusalemme, ndtr.], forsanche un’ amministrazione democratica può averlo ritenuto possibile, ma nessuno ha mai messo in discussione il cuore biblico di Israele. Era in parte perché non capivamo quanto fosse importante per Israele. È impensabile chiedere a Israele di rinunciarvi. È come chiedere agli Stati Uniti di rinunciare alla Statua della Libertà “.

E questo simbolismo è molto importante, è nel “DNA nazionale” del “popolo ebraico”:

“È una piccola cosa [la Statua della Libertà] ma non l’abbandoneremmo mai, è molto importante per noi. O il memoriale di Lincoln, a nessun costo! Perché è il nostro DNA nazionale. E (lo stesso vale per) il popolo ebraico “.

Mai, a nessun costo! Caspita, che fervore religioso! Ma se i palestinesi vogliono solo Gerusalemme Est come capitale? Oh, dai, siate ragionevoli! È soltanto del popolo ebraico! E se i palestinesi dicono che è “molto importante” per loro, se il diritto internazionale dice che Israele non dovrebbe annetterla? Peggio per loro. E se dicono che non si arrenderanno, ” a nessun costo”? Bene, allora sono solo terroristi fondamentalisti, che insensati!

Friedman sta dicendo a Israele: tieni duro, continua con le pantomime per 4 anni, abbiamo fatto questo per te. I palestinesi non si trasformeranno in canadesi in quattro anni. Faremo questo passo, consolideremo un’altra parte della conquista colonialista della Palestina e poi procederemo a prenderne di più. David Friedman non sta consigliando ai palestinesi di emigrare in Canada – sta dicendo loro di andare all’inferno.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il piano di annessione di Netanyahu è una minaccia alla sicurezza nazionale di Israele

 Ami Ayalon, Tamir Pardo, Gadi Shamni

23 aprile 2020– Foreing Policy

L’annessione della Cisgiordania incrinerebbe i trattati di pace di Israele con l’Egitto e la Giordania, susciterebbe la rabbia degli alleati nel Golfo, minerebbe l’Autorità Nazionale Palestinese e metterebbe in pericolo Israele come democrazia ebraica.

Quattro giorni dopo che la Casa Bianca ha ribadito la decisione di perseguire l'”accordo del secolo” del presidente degli Stati Uniti Donald Trump, la lunga instabilità politica di Israele si è conclusa lunedì con un accordo di coalizione che potrebbe mettere tragicamente fine a qualunque prospettiva di israeliani e palestinesi di tornare al tavolo dei negoziati.

L’ accordo tra il partito Likud di Benjamin Netanyahu e il Blu e Bianco di Benny Gantz fissa il 1 ° luglio come data in cui mettere in atto l’annessione unilaterale israeliana di grandi porzioni del territorio della Cisgiordania, importante elemento del piano Trump. Se il governo congiunto procederà conformemente, le altre caratteristiche del piano diverranno irrilevanti. Questo sta accadendo nonostante 220 generali, ammiragli ed ex dirigenti israeliani di Mossad, Shin Bet e polizia, membri di Commanders for Israel’s Security (CIS) [movimento di ex alti funzionari fondato nel 2014, ndtr.], abbiano firmato una lettera aperta a tutta pagina sui giornali israeliani il 3 aprile esortando i loro ex colleghi nel governo – in particolare Gantz e Gabi Ashkenazi, entrambi ex capi di stato maggiore dell’esercito israeliano – a chiedere di bloccare l’annessione unilaterale dei territori della Cisgiordania. Pochi giorni dopo, 149 eminenti leader ebrei americani si sono uniti a Israel Policy Forum [organizzazione ebraica americana che lavora per una soluzione negoziata a due Stati, ndtr.] in un appello simile, e subito dopo, 11 membri del Congresso degli Stati Uniti hanno espresso un altro monito sulle conseguenze negative di una tale mossa.

A prescindere dalle loro – e nostre – serie riserve riguardo a molti elementi del piano Trump, tutti e tre quei gruppi hanno concordato sugli effetti negativi dell’annessione sulla prospettiva di un’eventuale soluzione a due Stati israeliano e palestinese, e sul rischio di minare un altro pilastro fondamentale della strategia degli Stati Uniti nella regione: i trattati di pace di Israele con Egitto e Giordania.

L’Egitto è un importante attore nella regione e funge da principale intermediario tra Israele e Hamas nel prevenire episodi di violenza o nel porvi fine una volta scoppiati. Il Cairo è anche un partner importante di Israele nella lotta contro lo Stato Islamico, gli affiliati di al Qaeda e altri terroristi che operano nella e dalla penisola del Sinai; l’annessione della Cisgiordania potrebbe scatenare proteste di popolo in Egitto che potrebbero costringere l’amministrazione di Abdel Fattah al-Sisi a riconsiderare quelle relazioni.

La situazione è ancora più precaria in Giordania. Il regno si trova appena oltre il fiume Giordano rispetto alla Cisgiordania e ha una consistente popolazione palestinese. Pertanto, è sempre stato molto sensibile a sviluppi sfavorevoli in Cisgiordania. Per decenni il confine di Israele con la Giordania è stato più sicuro di altre frontiere. Inoltre, il vasto territorio del regno ha fornito a Israele uno spazio strategico insostituibile per la deterrenza, il rilevamento e l’intercettazione – per terra e per aria – di forze ostili, principalmente dall’Iran.

A seguito di un’annessione unilaterale potrebbe fallire un altro obiettivo del piano Trump: la speranza di consolidare i primi risultati dell’amministrazione nell’incoraggiare una maggiore cooperazione tra Israele e i partner regionali statunitensi nel Golfo e altrove. Proprio come la pandemia di coronavirus e il crollo dei prezzi del petrolio hanno contribuito alle preoccupazioni sulla stabilità interna delle monarchie del Golfo, questi regimi saranno anche costretti a prevenire la rabbia popolare reagendo pubblicamente all’annessione israeliana nel timore che i loro avversari, principalmente Iran e Turchia, utilizzino la loro inazione per minarne la legittimità popolare.

Non ha senso rischiare tutto ciò per annettere un territorio su cui Israele ha già il pieno controllo riguardo alla sicurezza. Sia Israele che gli Stati Uniti devono riconsiderare la cosa prima che il danno sia fatto.

Questa mossa sconsiderata non avrebbe solo conseguenze negative per la sicurezza di Israele, ma anche ripercussioni sul futuro di Israele come democrazia ebraica.

I leader ebrei statunitensi e i membri del Congresso hanno sottolineato che sarebbe in pericolo il supporto bipartisan dagli Stati Uniti di cui Israele ha a lungo goduto, un altro importante pilastro nell’equilibrio della sua sicurezza nazionale.

Come la maggior parte degli israeliani, molti politici e opinionisti statunitensi non erano consapevoli, come è risultato dalle nostre discussioni, del rapido passaggio dell’annessione unilaterale da capriccio di una trascurabile minoranza messianica di destra a elemento d’azione fondamentale nell’agenda di Netanyahu nel governo di coalizione che è appena riuscito a formare. Ora ogni dubbio è cancellato.

Il drammatico appello pubblico dei 220 alti funzionari della sicurezza israeliani in pensione era stato pensato per rafforzare l’opposizione all’annessione da parte degli aspiranti partner nella coalizione di Netanyahu guidati da Gantz, proprio nel momento in cui Netanyahu era pressato dagli irriducibili sostenitori dell’annessione (o ne orchestrava la pressione) perché non cedesse in merito ad essa.

Prevedendo tale pressione, per oltre due anni il CIS ha condiviso i risultati riguardanti le molteplici conseguenze dell’annessione unilaterale con i membri della Knesset e il gabinetto israeliani, nonché con la popolazione israeliana. Inoltre è stato spesso chiamato a informare funzionari della Casa Bianca, membri del Congresso, diplomatici statunitensi e leader ebrei statunitensi.

In breve, questo passo irreversibile, una volta fatto, probabilmente scatenerà una reazione a catena fuori controllo in Israele. Il punto di svolta potrebbe essere la fine del coordinamento palestinese della sicurezza con Israele. Già accolte come simbolo delle aspirazioni ad uno Stato, le agenzie di sicurezza palestinesi hanno perso il sostegno popolare poiché lo Stato appariva sempre meno probabile. Peggio ancora, sia gli ufficiali giovani che quelli più anziani riferiscono di aver ricevuto accuse di tradimento, di non essere più al servizio delle aspirazioni nazionali palestinesi ma solo dell’occupazione israeliana.

Durante i momenti di tensione, con una crescente pressione popolare, l’assenteismo dal servizio nelle agenzie si avvicinava al 30%. È nostra opinione (così come di centinaia di altri generali in pensione) che un voto della Knesset sull’annessione potrebbe ridurre la residua legittimità del coordinamento per la sicurezza.

Potrebbe essere irrilevante se la stessa Autorità Nazionale Palestinese (ANP) sopravviverà o meno a questo, o se la sua leadership vorrà ancora che il coordinamento della sicurezza continui. Se quelli che attualmente prestano servizio nelle agenzie di sicurezza si rifiutano di presentarsi al lavoro, si può solo sperare che non partecipino armati alle proteste di massa contro l’annessione.

Se il coordinamento per la sicurezza da parte dei palestinesi cessasse di essere efficace, e con Hamas ben organizzato e pronto a sfruttare il conseguente vuoto nella sicurezza, Israele non avrà altra scelta che rioccupare l’intera Cisgiordania, compresi tutti i centri abitati dalla popolazione palestinese attualmente sotto l’amministrazione dell’ANP. Se questo scenario si materializzasse in Cisgiordania, si può presumere che sia improbabile che Hamas rispetti le sue intese sul cessate il fuoco con Israele a Gaza. Se Hamas dovesse entrare nello scontro, Israele potrebbe non avere altra scelta se non quella di rioccupare anche la Striscia di Gaza.

Di conseguenza, ciò che inizierebbe il 1° luglio con una votazione della Knesset per l’annessione parziale potrebbe presto sfuggire al controllo e portare a una completa acquisizione israeliana della Cisgiordania e di Gaza, il che significa che l’esercito israeliano sarebbe l’unica entità che controlla milioni di palestinesi – senza una strategia per risolvere il problema.

In una situazione del genere svanirebbe ogni speranza che il team di Trump potrebbe aver avuto che il suo ” accordo del secolo” unisse israeliani e palestinesi. Allo stesso modo, nessun altro sforzo diplomatico potrebbe riesumare la prospettiva di un accordo a due Stati. Salvare Israele dall’impossibile dilemma, tra rinunciare alla sua identità ebraica garantendo ai palestinesi annessi pari diritti o rinunciare alla sua democrazia privandoli di quei diritti, potrebbe rivelarsi una missione impossibile.

La presa di coscienza di molti qui in Israele e di alcuni negli Stati Uniti dell’imminenza di questo pericolo offre qualche speranza che nelle prossime 10 settimane si possano prendere provvedimenti in tempo per prevenire questo terribile risultato.

L’abbandono dell’annessione unilaterale è sia urgente che essenziale. Coloro che hanno a cuore il futuro di Israele come democrazia ebraica sicura, che sostiene i valori sanciti nella sua dichiarazione di indipendenza, devono agire ora.

Ami Ayalon, ammiraglio in pensione, è un ex direttore della Shin Bet, ex comandante in capo della Marina israeliana e autore del libro di prossima uscita Friendly Fire [Fuoco Amirco]. È membro del CIS.

Tamir Pardo è un ex direttore del Mossad. È membro del CIS.

Gadi Shamni, generale maggiore in pensione, è un ex comandante del comando centrale delle Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndtr.], segretario militare dell’ex primo ministro Ariel Sharon e ex addetto militare [di Israele] negli Stati Uniti. È membro del CIS.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Gli israeliani Netanyahu e Gantz “vicini ad un accordo” per porre fine allo stallo politico

14 aprile 2020 – Al Jazeera

I due rivali informano di progressi nei colloqui dopo che il presidente ha esteso di altre 48 ore il termine ultimo di Benny Gantz per formare un governo

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo principale rivale, Benny Gantz, hanno affermato di aver raggiunto “significativi progressi” nella formazione di un governo d’emergenza per affrontare la crisi del coronavirus e porre fine allo stallo politico senza precedenti del Paese.

Il mandato di 28 giorni a Gantz per mettere insieme una coalizione di governo dopo le inconcludenti elezioni dello scorso mese avrebbe dovuto terminare alla mezzanotte di martedì [14 aprile], ma il presidente Reuven Rivlin, che sta supervisionando i colloqui per la coalizione, li ha estesi di due giorni.

Secondo il suo ufficio, Rivlin lo ha fatto “nella consapevolezza che si è molto vicini a raggiungere un accordo.”

Gantz e Netanyahu si sono incontrati durante la notte in un ultimo disperato tentativo di ricomporre le loro divergenze. Poi hanno fatto una dichiarazione congiunta affermando di aver fatto “significativi progressi”. Entrambi hanno stabilito di incontrarsi di nuovo con le rispettive equipe di negoziatori più tardi martedì mattina.

Dalle elezioni del 2 marzo, le terze di Israele in meno di un anno, sono state ripetutamente fatte dichiarazioni riguardo al progresso nei colloqui per una coalizione, ma un accordo è rimasto irraggiungibile. Il blocco ha prospettato la possibilità di una quarta tornata elettorale, complicando ogni piano di rilancio economico una volta che l’epidemia di coronavirus si riduca di intensità.

Nella corsa verso la fine del mandato, Gantz ha sollecitato Netanyahu a siglare un accordo o a rischiare di trascinare il Paese verso elezioni non augurabili in un momento di crisi nazionale.

“Netanyahu, questo è il momento della verità. O un governo nazionale d’emergenza o, dio non voglia, quarte elezioni costose ed inutili durante una crisi. La storia non perdonerà nessuno di noi se fuggiamo dalle nostre responsabilità,” ha detto in un discorso diffuso a livello nazionale dalla televisione.

Poi Netanyahu ha invitato Gantz nella sua residenza ufficiale per colloqui che sono andati oltre la mezzanotte di ieri. Mentre le elezioni dello scorso mese sono finite senza un chiaro vincitore, Gantz è stato appoggiato da una ridottissima maggioranza di parlamentari, portando Rivlin a dargli l’incarico di formare un governo.

Con la sua maggioranza parlamentare, Gantz ha iniziato a portare avanti una legge che avrebbe escluso Netanyahu, imputato di corruzione, dalla possibilità di essere nominato primo ministro in futuro.

In carica dal 2009, Netanyahu è il capo del governo più a lungo in carica nella storia di Israele e il primo ad essere imputato durante il suo mandato. Nega le imputazioni per corruzione, frode e abuso di potere presentate contro di lui in gennaio.

Durante tre durissime campagne elettorali Gantz ha affermato che non avrebbe mai fatto parte di un governo guidato da Netanyahu finché questi avesse dovuto affrontare accuse di corruzione. Ma Gantz ha affermato che la gravità della crisi di coronavirus lo ha convinto a cambiare la sua posizione – una decisione che ha attirato pesanti critiche da parte dei suoi sostenitori e provocato lo sgretolamento della sua alleanza, “Blu e Bianco”.

Se fallissero i negoziati prolungati, la Knesset, o parlamento israeliano, avrà tre settimane per scegliere un candidato a primo ministro tra le sue file. Se fallisse anche questo, ci dovranno essere le elezioni. Ciò significherebbe una lunga crisi politica in un momento in cui il Paese sta affrontando l’epidemia di coronavirus.

Israele ha registrato più di 11.500 casi e almeno 116 morti dovuti alla malattia, che ha paralizzato l’economia e portato la disoccupazione a un livello record.

Lunedì, per contrastare la diffusione del coronavirus, Netanyahu ha disposto un bando sugli spostamenti tra le città per gli ultimi giorni delle feste pasquali di questa settimana.

Le restrizioni già in vigore hanno confinato la maggior parte degli israeliani nelle loro case per settimane, obbligando molte attività economiche a chiudere e portando il tasso di disoccupazione a oltre il 25%.

Netanyahu ha affermato che il suo governo potrebbe formulare una “strategia d’uscita” entro questo fine settimana, ma ha avvertito che le limitazioni all’economia e all’educazione saranno ridotte gradualmente e che non ci sarà un ritorno totale alla normalità prima che venga scoperto un vaccino contro il coronavirus.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




In Israele Netanyahu e Gantz si mettono d’accordo su un piano per annettere parti della Cisgiordania

Redazione di MEE

6 aprile 2020 – Middle East Eye

Secondo Haaretz, i due leader israeliani potrebbero presentare quest’estate un piano per il governo

Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu e il suo rivale politico Benny Gantz hanno raggiunto un accordo per annettere parti della Cisgiordania, spianando la strada a un governo di unità dopo mesi di stallo e tre tornate elettorali inconcludenti.

Secondo Haaretz, lunedì, dopo un incontro, i leader israeliani si sono accordati su un piano per iniziare quest’estate un processo formale e reclamare alcune zone dei territori palestinesi occupati come parte di Israele.

Se Washington sarà d’accordo, il progetto verrà presentato al governo, riferisce il quotidiano israeliano. Dopo l’approvazione del gabinetto, il piano richiederà l’approvazione della Knesset, il parlamento israeliano. 

Gli Stati Uniti hanno già espresso la propria disponibilità all’annessione di insediamenti israeliani e della Valle del Giordano in Cisgiordania. 

Accordo del secolo’

A gennaio, il presidente Donald Trump aveva svelato il cosiddetto “accordo del secolo” per risolvere il conflitto, con cui si permetterebbe a Israele di annettere vaste zone della Cisgiordania in cambio del riconoscimento di uno Stato palestinese frammentato, senza controllo delle proprie frontiere o dello spazio aereo.

La maggioranza dei palestinesi ha respinto la proposta.

Sia Netanyahu, che guida il Likud, di destra, che Gantz, il capo del blocco di centro Blu e Bianco, si sono impegnati ad annettere parti della Cisgiordania.

Facendo seguito a tre elezioni che non hanno prodotto un chiaro vincitore, Gantz e Netanyahu sono impegnati in colloqui per formare un governo di unità dopo l’ultima tornata elettorale del 3 marzo.

Dopo segnali iniziali che un accordo avrebbe posto termine all’impasse, Blu e Bianco di Gantz ha dichiarato che i colloqui si erano bloccati sulle nomine dei magistrati.

“Dopo aver raggiunto un accordo su tutti i punti, il Likud ha chiesto di riaprire la questione della Commissione di selezione dei magistrati ” ha detto il partito in una dichiarazione.

“In seguito a ciò i negoziati si sono interrotti: non permetteremo alcun cambiamento nel ruolo della Commissione di selezione della magistratura o un danno per la alla democrazia.” 

Illegale

Gli esperti di diritto internazionale dicono che annettere i territori palestinesi sarebbe illegale.

Israele ha formalmente annesso Gerusalemme Est nel 1980 e le Alture del Golan siriane un anno dopo. Ma la comunità internazionale, compresa Washington, non ha riconosciuto il possesso di Israele di queste zone. Tuttavia alla fine del 2017 Trump ha dichiarato Gerusalemme capitale di Israele e l’anno scorso ha riconosciuto la sovranità di Israele sulle Alture del Golan. 

All’inizio di quest’anno, dopo che Trump ha annunciato il piano per porre fine al conflitto, l’avvocato dei diritti umani Jonathan Kuttab ha detto a MEE che il divieto di acquisire territori con la forza è un principio fondamentale del diritto internazionale.

Dalla Seconda Guerra Mondiale ci sono stati tre tentativi di annessione: l’invasione del Kuwait da parte dell’Iraq nel 1990; l’annessione russa della Crimea a danni dell’Ucraina nel 2014 e l’acquisizione di Israele dei territori arabi a partire dal 1967.

“Per 70 anni, l’intero ordine internazionale è stato costruito sul principio che non ci si può impossessare della terra altrui con la forza e annetterla” ha detto Kuttab.

“Fino a quando è arrivato Israele e ha detto: ‘Noi possiamo farlo’. Nessuno era d’accordo con loro fino a quando è arrivato Trump.”

Ha aggiunto che il riconoscimento della sovranità israeliana sulle Alture del Golan da

parte di Washington stabilisce un “pericoloso” precedente che non ha incontrato l’opposizione della maggioranza dei Paesi arabi.

“Secondo la legge internazionale è chiaro come il sole che l’annessione è illegale. Non si tratta di una questione che si presti a interpretazioni.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Netanyahu per sempre! Gantz abbandona la sua opposizione

Philip Weiss  

26 marzo 2020 – Mondoweiss

Questa mattina c’è una notizia straordinaria da Israele. Lo stallo politico del Paese durato un anno sembra essere stato superato. Il leader dell’opposizione politica a Netanyahu dell’ultimo anno, Benny Gantz, si è piegato ed ha unito le forze con Netanyahu per fare un governo che lo avrà ancora come primo ministro.

Secondo le notizie, Gantz sta rompendo la sua alleanza “Blu e Bianco” di tre fazioni di centro-destra e aggiungendo 15 seggi al blocco di 58 o 59 seggi di Netanyahu per creare una maggioranza forte.

“Benjamin Netanyahu sarà primo ministro…Benny Gantz sarà ministro degli Esteri,” afferma Ellie Hochenberg di i24 News [rete televisiva privata israeliana filogovernativa, ndtr.]. Sostiene che Netanyahu, a differenza di Gantz, è rimasto leale alla sua base e ai suoi alleati politici di destra.

Netanyahu è già il primo ministro di Israele più a lungo in carica, con quattro mandati e 14 anni, di cui 11 di fila dal 2009. È stato salvato dal suo ex- capo di stato maggiore dell’esercito – il generale Gantz ha colpito Gaza nel 2014 [operazione “Margine protettivo”, ndtr.] uccidendo più di 500 minorenni.

Netanyahu sembra essere stato salvato da due fattori: la crisi del coronavirus si sta aggravando in Israele e rendendo gli israeliani poco disposti a sostituirlo, nonostante il fatto che sia accusato di corruzione e debba essere processato, e il palese razzismo.

Solo una settimana fa, più o meno, sembrava che Gantz stesse per cacciare Netanyahu. Ma poi il razzismo ha bloccato ogni speranza di farlo. [La coalizione] “Blu e Bianco” (33 seggi), insieme al partito di destra di Avigdor Lieberman (7 seggi), i resti della sinistra israeliana (7 seggi) e la Lista Unita palestinese (15 seggi), si era impegnata a formare una maggioranza e a mettere al tappeto Netanyahu. I palestinesi non avrebbero fatto parte del governo che ne sarebbe sorto, però è così che funziona uno Stato ebraico.

Poi sono iniziate le defezioni: tre parlamentari della destra ebraica si sono rifiutati di lavorare con i loro colleghi palestinesi persino temporaneamente. Gantz è passato da 62 a 59. Ancora una volta lui e Netanyahu erano praticamente in un vicolo cieco e ci sono stati colloqui per una quarta tornata elettorale, dopo le tre nell’ultimo anno (dall’aprile 2019 al 2 marzo 2020).

Il nuovo governo non è ufficiale: quello che è ufficiale è che Benny Gantz sta per diventare presidente della Knesset, sostituendo l’alleato di Netanyahu Yuli Edelstein e riaprendo il parlamento, che era stato chiuso. “La mossa dovrebbe essere temporanea finché verrà formato un governo di unità nazionale,” scrive Lahav Harkov sul Jerusalem Post [giornale israeliano in inglese, ndtr.].

L’iniziativa di Gantz tradisce molti dei suoi alleati. Il leader politico palestinese Ahmad Tibi ha detto che i parlamentari palestinesi voteranno contro Gantz.

Un altro dirigente palestinese, Ayman Odeh, ha scritto acidamente (traduzione di google dall’ebraico): “Non perdono mai un’occasione per perdere un’occasione,” una battuta sulla falsariga di quella di Abba Eban, secondo il quale gli arabi non perdono mai simili opportunità.

La sinistra ebraica è stata totalmente screditata da questi avvenimenti. Ha giocato una parte nel portare in auge ed elogiare Gantz. Uno di loro ha rifiutato di votare per Gantz se i palestinesi avessero fatto parte della coalizione.

Tibi ha scritto alla CNN che la Lista Unita è la vera opposizione al governo di destra israeliano. Ma Harkov afferma che ci sarà una lotta politica per il ruolo di opposizione tra la Lista Unita e i resti dell’alleanza “Blu e Bianco” – i circa 18 seggi dei partiti di destra di Moshe Ya’alon e di Yair Lapid. Raviv Drucker [noto giornalista investigativo israeliano ostile a Netanyahu, ndtr.] sostiene che il partito di destra di Moshe Ya’alon guiderà l’opposizione. Alcuni osservatori dicono che Gantz sarà giocato dal mago della politica, Netanyahu.

“Con 15 seggi Benny Gantz è completamente nelle mani di Netanyahu. Non sarebbe sorprendente se le promesse di Netanyahu iniziassero a svanire ora che ha ottenuto il suo principale obiettivo – è riuscito a smantellare ‘Blu e Bianco’,” ritiene Raviv Drucker. Chemi Shalev di Haaretz ha la stessa opinione (traduzione di google): “Se fossi Bibi, un minuto dopo che Gantz ha prestato giuramento (come presidente del parlamento), romperei l’accordo per l’unità. [Netanyahu] ha schiacciato l’opposizione senza pagare un centesimo.”

Shalev paragona Gantz a un vice-cancelliere tedesco di breve durata, Franz von Papen, che consentì ad Hitler di arrivare alla cancelleria nel 1933. Chi ha detto che le metafore sul nazismo sono illegittime riguardo a Israele? Ancora Shalev (traduttore google): “Inconcepibile…Come se il coronavirus non fosse abbastanza, Gantz è arrivato e l’ha fatta sulla testa di metà dei civili. C’è di che essere sollevati?”

Shalev dice anche che “gli unici voti sicuri contro Netanyahu saranno quelli di Lieberman e della Lista Unita.” Un altro segno che nell’epoca di Netanyahu la sinistra ebraica è ridotta a brandelli, mentre la Lista Unita è l’unica a cui la sinistra in Israele si può rivolgere. E nella crisi sta assurgendo al ruolo di guida.

Arabi ed ebrei lottano insieme contro il coronavirus, ma gli ebrei non vogliono i palestinesi in politica, scrive Odeh: “Garantisco che, che siate arabi o ebrei, che abbiate votato per noi o meno, che vi abbiano fatti uscire dall’URSS, ridotto lo stipendio o licenziato, avete un punto di riferimento nella Knesset. Siamo qui per voi.”

Philip Weiss è caporedattore di Mondoweiss e fondatore del sito nel 2005-06.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)