Ci sarà un’operazione di terra? Come è cambiato il discorso ufficiale di Israele sulla guerra contro Gaza – Analisi

Redazione di Palestine Chronicle

23 ottobre 2023 – Palestine Chronicle

Il discorso politico ufficiale israeliano sull’invasione di terra a Gaza è progressivamente mutato negli ultimi 17 giorni di guerra.

Dal 7 ottobre le dichiarazioni dei vertici politici e militari israeliani non si sono allontanate dalla linea secondo cui solo una massiccia operazione militare di terra a Gaza distruggerà il movimento Hamas e la sua ala combattente, le Brigate Al-Qassam.

Di fatto questa posizione viene ancora ripetuta. I media israeliani, citati lunedì dal canale Al Jazeera in arabo, hanno informato che l’esercito israeliano ha detto al governo che per sconfiggere Hamas non si può evitare un’invasione di terra.

Ciò detto, non c’è più coerenza col messaggio iniziale.

Qual è la ragione del rinvio?

Sì, l’esercito israeliano continua ad ammassarsi nei pressi della barriera di Gaza assediata ed ha ripetutamente affermato di essere “assolutamente pronto” ad entrare. Questa indicazione è stata comunicata ripetutamente quasi ogni giorno ai governanti.

Il ritardo iniziale è stato spiegato dall’esercito con le presunte “cattive condizioni metereologiche”, benché il tempo a Gaza fosse buono allora e continui ad esserlo ancora adesso.

In seguito ci è stato detto dai mezzi di comunicazione statunitensi che il rinvio era dovuto alle pressioni di Washington. Lunedì 23 ottobre la radio militare israeliana ha confermato la teoria delle “pressioni”, arrivando al punto di informare che Israele ha già accettato la richiesta americana di posporre l’operazione.

Da parte sua una fonte di Hamas, ripresa da media arabi e da The Palestine Chronicle, ha detto che la vera ragione dietro il rinvio in realtà è direttamente legata all’incapacità di Israele di trovare una soluzione per i missili anticarro utilizzati dalla resistenza.

Invasione sì o no?

Indipendentemente dalla ragione dietro tale dilazione, non si può negare che il linguaggio ufficiale israeliano su questa tanto decantata invasione di terra abbia iniziato a cambiare.

A volte gli israeliani sembrano discutere di una manovra limitata invece di una rioccupazione totale di Gaza.

Ma recenti affermazioni del portavoce dell’esercito israeliano, il tenente colonnello Jonathan Conricus, sono particolarmente interessanti.

Lunedì, in un’intervista con la radiotelevisione australiana ABC, Conricus ha inizialmente evitato una domanda sul perché Israele sembra stia rimandando l’operazione di terra.

Invece ha semplicemente assicurato che l’esercito israeliano “smantellerà totalmente Hamas” e “riporterà a casa la nostra gente.”

Poi ha affermato:

“Se Hamas dovesse uscire dai nascondigli in cui  occulta sotto i civili… e restituisse i nostri ostaggi, tutti e 212, e si arrendesse senza condizioni, allora la guerra finirebbe.”

A parte il fatto che Conricus ha eluso le responsabilità di Israele per la morte di migliaia di civili palestinesi, il militare israeliano sembrava suggerire che Israele ha intenzione di prendere in considerazione misure alternative all’operazione militare di terra, benché in questo caso sia altamente improbabile.

Cornicus versus Gallant

Si potrebbe sostenere che le affermazioni di Cornicus siano essenzialmente in linea con le considerazioni, fatte un giorno prima, del ministro della Difesa Yoav Gallant, secondo cui “questa deve essere l’ultima operazione militare (di terra) a Gaza, per la semplice ragione che poi Hamas non ci sarà più.”

D’altro canto vale la pena evidenziare che anche solo suggerire che un’invasione di terra non è più inevitabile è una novità rispetto al discorso politico israeliano sulla guerra.

Insieme alle recenti dichiarazioni dello stesso Gallant, sempre domenica, secondo cui l’operazione di terra a Gaza potrebbe durare tre mesi, le affermazioni di Cornicus nell’intervista ad ABC diventano ancor più rilevanti.

Indipendentemente dal fatto se Israele effettuerà un’invasione di terra vasta, limitata o non la farà affatto, è praticamente certo che il ritardo è dovuto alla resistenza di Gaza sul terreno.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Ostilità nella Striscia di Gaza e in Israele

Aggiornamento Flash n.18 del 24 ottobre 2023

OCHA

VITTIME PALESTINESI

Nella striscia di Gaza uccise 5.791 persone

ferite 16.297

in Cisgiordania uccise 95

ferire 1.833

VITTIME ISRAELIANE

In Israele uccise 1.400 persone

ferite 5.431

In Cisgiordania uccisa 1

ferite 11

PUNTI CHIAVE

Secondo il Ministero della Sanità (MoH) di Gaza, nelle ultime 24 ore (alle 18:00 del 24 ottobre), sono stati uccisi un totale di 704 palestinesi, tra cui 305 minori. Questo è il numero di vittime più alto registrato, in un solo giorno, a Gaza, durante questa tornata di ostilità. Secondo il Ministero della Salute, il numero complessivo di palestinesi uccisi a Gaza ha raggiunto i 5.791, di cui il 68% sono minori e donne. Circa 1.550 persone, tra cui 870 minori, risultano scomparse e potrebbero essere ancora sotto le macerie. Ciò consegue ai bombardamenti e agli attacchi aerei israeliani più intensi su Gaza dall’inizio dell’escalation.

L’UNRWA, di gran lunga il più grande fornitore umanitario a Gaza, ha avvertito che se non verrà consentito immediatamente l’ingresso di carburante a Gaza, l’Agenzia sarà costretta a sospendere tutte le operazioni, a partire dalla notte di domani, 25 ottobre. Dall’11 ottobre, Gaza è stata completamente in blackout elettrico, rendendo gli ospedali e le strutture idriche dipendenti da generatori di riserva alimentati a carburante.

A causa dei danni causati dalle ostilità o della mancanza di carburante, oltre un terzo degli ospedali di Gaza (12 su 35) e quasi due terzi delle cliniche di assistenza sanitaria di base (46 su 72) hanno chiuso.

Il 24 ottobre, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha consegnato 51 pallet di medicinali salvavita, attrezzature chirurgiche e altre forniture all’ospedale Shifa, il più grande centro medico di Gaza, situato nella città di Gaza. Questo è uno dei sette ospedali che hanno beneficiato delle forniture mediche consentite a Gaza attraverso il valico di Rafah, tra il 21 e il 23 ottobre.

Il 22 ottobre sono state fatte entrare 44.000 bottiglie di acqua in bottiglia, rispondendo al bisogno di bere di 22.000 persone per un giorno. Tre dei camion entrati a Gaza il 23 ottobre, attraverso il valico di Rafah, trasportavano 4.000 taniche di acqua potabile (10 litri ciascuna), 2.400 kit igienici e 2.000 dispositivi per la depurazione dell’acqua. L’acqua coprirà il fabbisogno potabile di circa 13.000 persone per un solo giorno. Undici dei 20 camion entrati a Gaza attraverso il valico di Rafah, il 23 ottobre, trasportavano generi alimentari, tra cui pacchi alimentari, tonno in scatola e farina di frumento. Nel complesso, le scorte alimentari, l’acqua e i beni non alimentari entrati tra il 21 e il 23 ottobre sono stati distribuiti principalmente nei rifugi dell’UNRWA DES nel sud di Gaza.

Si stima che a Gaza siano 1,4 milioni le persone sfollate interne (IDP), di cui circa 590.000 trovano rifugio nei 150 rifugi di emergenza (DES) designati dall’UNRWA. Il sovraffollamento è una preoccupazione crescente, poiché il numero medio di sfollati interni per rifugio ha raggiunto 2,6 volte la capacità prevista; quello più sovraffollato ha raggiunto 11 volte la capacità prevista.

È continuato il lancio indiscriminato di razzi da parte dei gruppi armati palestinesi contro i centri abitati israeliani, raggiungendo, secondo quanto riferito, anche la Cisgiordania settentrionale. Complessivamente, secondo le autorità israeliane, dal 7 ottobre sono stati uccisi circa 1.400 israeliani e cittadini stranieri, la maggior parte il primo giorno.

Secondo le autorità israeliane, almeno 220 persone sono tenute prigioniere a Gaza, tra cui israeliani e cittadini stranieri. Il Segretario generale delle Nazioni Unite ha invitato Hamas a rilasciare gli ostaggi immediatamente e senza condizioni. Due ostaggi con cittadinanza statunitense sono stati rilasciati il 20 ottobre e due israeliani il 23 ottobre.

Non sono state registrate vittime palestinesi in Cisgiordania dal pomeriggio del 23 ottobre (alle 21:00 del 24 ottobre). In totale, dal 7 ottobre, 95 palestinesi sono stati uccisi dalle forze o dai coloni israeliani, tra cui 28 minori.

Traduzione di Assopace Rivoli




Guerra Israele-Palestina: come i media statunitensi legittimano la barbarie di Israele contro i palestinesi

Gregory Shupak

20 ottobre 2023, Middle East Eye

Presentando la campagna terroristica di Israele contro i palestinesi come se fosse giustificabile, i media statunitensi fanno la loro parte nel farla continuare

I recenti editoriali apparsi sui principali giornali liberal statunitensi hanno regolarmente presentato l’incessante terrore di massa che Israele infligge ai palestinesi come legittimo.

I media hanno appoggiato l’assalto israeliano a Gaza e il finanziamento americano dell’attacco criticando allo stesso tempo coloro che propongono opinioni anche leggermente dissenzienti. La stampa americana ha ripetutamente conferito alla violenza israeliana un aspetto virtuoso, anche quando falcidia le persone – generosità non concessa alla controparte palestinese.

Il 12 ottobre il Washington Post ha pubblicato un editoriale in cui elogiava il presidente americano Joe Biden per la sua “condanna senza riserve del terrorismo di Hamas”, affermando: “A questo riguardo, le ferme parole di Biden sono anche in gradito contrasto con le ambiguità di un piccolo numero di membri di sinistra del suo stesso partito al Congresso che la portavoce della Casa Bianca Karine Jean-Pierre ha espressamente sconfessato.”

Il collegamento alle parole di Jean-Pierre segnala che le “ambiguità” contestate dal Washigton Post sono le affermazioni che “suggeriscono che l’attacco di Hamas contro Israele dovrebbe essere considerato nel contesto delle precedenti azioni di Israele”, o che “si oppongono sui social media agli aiuti militari statunitensi per Israele e chiedono un immediato cessate il fuoco nel conflitto.”

Il giorno prima della pubblicazione di quest’editoriale le associazioni per i diritti umani Mezan, al-Haq e il Centro Palestinese per i Diritti Umani avevano documentato congiuntamente che solo nel periodo tra il mezzogiorno del 10 e dell’11 ottobre Israele aveva distrutto gli interi quartieri di al-Qarm, Ezbet Abdrabbo e al-Sikka, con le squadre di soccorso che “recuperano dozzine di corpi” mentre “altri sono ancora sotto le macerie”; “hanno preso di mira l’Università islamica di Gaza e hanno bombardato l’edificio del Programma di Borse di Studio Al-Fakhoura”, attacchi che hanno ucciso 57 palestinesi, tra cui 20 bambini. Hanno inoltre segnalato gli attacchi aerei e i bombardamenti di Israele sui terreni agricoli del Distretto dell’Area Centrale e sulle “aree residenziali, in particolare nei tre campi profughi densamente popolati di Al-Bureij, Al-Nusairat e Deir al-Balah”, uccidendo almeno 49 palestinesi 15 dei quali bambini.

Per il Post, “equivocare” sulla questione se gli Stati Uniti debbano finanziare tali atrocità o cercare di mettervi fine con un cessate il fuoco è “[in]accettabile”.

Giustificare il linguaggio “genocida”.

Nel suo editoriale più recente, il Washington Post esprime preoccupazione per i palestinesi ma continua a sostenere la campagna militare di Israele: “Dopo il massacro dei suoi civili, Israele – come qualsiasi altro Stato – ha tutto il diritto di rispondere militarmente”.

Per il Washington Post la violenza dell’occupante è giusta e quella degli occupati no: Israele può “rispondere militarmente” alle forze palestinesi che uccidono israeliani ma i palestinesi non hanno lo stesso diritto, anche dopo 75 anni di pulizia etnica, anche sotto un regime di apartheid.

Un editoriale del New York Times del 14 ottobre sostiene fermamente gli attacchi di Israele, affermando che Israele “è determinato a spezzare il potere di Hamas e in questo sforzo merita il sostegno degli Stati Uniti e del resto del mondo”. Gli autori proseguono affermando che “la fine del controllo di Hamas su Gaza è un passo essenziale”.

L’editoriale del New York Times contiene specificazioni quali: Israele “non dovrebbe perdere di vista il suo impegno a salvaguardare coloro che non hanno imbracciato le armi”.

Il comitato editoriale contraddice le proprie affermazioni sul presunto “impegno” di Israele a proteggere i civili citando il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant che definisce i palestinesi “animali umani”, cosa che gli autori giustificano dicendo che l’osservazione avviene “in un’atmosfera di intensa emozione”.

Naturalmente, Gallant non è l’unico funzionario israeliano ad usare un linguaggio genocida dopo l’escalation della guerra contro la Palestina. Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha affermato che Israele ha sganciato “centinaia di tonnellate di bombe” su Gaza e che “l’accento è sui danni e non sulla precisione”.

Il presidente israeliano Isaac Herzog ha detto: “C’è là un’intera nazione che è responsabile. Non è vera questa retorica sui civili non consapevoli, non coinvolti. Non è assolutamente vera”. Ha aggiunto: “Stiamo difendendo le nostre case, stiamo proteggendo le nostre case, questa è la verità, e quando una nazione protegge la sua casa combatte e noi combatteremo finché non gli spezzeremo le reni”.

Non solo i leader israeliani hanno ripetutamente segnalato di non aver intenzione di “tutelare” i non combattenti, ma Israele li ha deliberatamente massacrati in massa.

Ad esempio il giorno prima della pubblicazione dell’editoriale il pluripremiato gruppo per i diritti umani Defense for Children International Palestine ha riferito che nell’attacco contro Gaza Israele aveva ucciso fino a quel momento quasi 600 bambini palestinesi, un terzo del bilancio complessivo delle vittime.

Affermazioni assurde

Anche se Israele respinge qualsiasi impegno a proteggere i civili sia nelle parole che nei fatti, il New York Times mette ripetutamente in buona luce la politica militare israeliana a fronte di quella delle forze palestinesi, scrivendo che “Israele si sta preparando a mandare i suoi giovani uomini e donne in battaglia, dove affronteranno un nemico che non rispetta le stesse regole di guerra a cui loro si sono impegnati.”

Dire che la violenza dello Stato israeliano è moralmente superiore a quella dei gruppi di resistenza palestinesi trasmette il chiaro messaggio che la prima è legittima mentre la seconda no.

Il New York Times ha fatto la stravagante affermazione secondo cui “Israele sta combattendo per difendere una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”.

Dal momento che non viene fatta alcuna affermazione del genere sui “valori” palestinesi, il messaggio è che massacrare i palestinesi sia legittimo: se la società palestinese (o importanti settori di essa) valorizza la criminalità omicida, allora è implicito che sia auspicabile venga spazzata via da una forza che si presume più civile.

Nel frattempo, due giorni prima che l’editoriale andasse in stampa, Human Rights Watch (HRW) ha affermato che Israele aveva utilizzato il fosforo bianco – che, al contatto, può “bruciare le persone, termicamente e chimicamente, fino alle ossa” – sia sul porto di Gaza City che in aree rurali lungo la linea dell’armistizio tra Israele e il Libano.

HRW ha affermato che l’uso del fosforo bianco a Gaza, una delle aree più densamente popolate del mondo, “amplifica il rischio per i civili e viola il divieto del diritto umanitario internazionale di esporre i civili a rischi inutili”.

Come ha osservato HRW, Israele ha utilizzato quest’arma a Gaza anche nel 2009 e nell’attuale ciclo di combattimenti Israele ha “tagliato elettricità, acqua, carburante e cibo a Gaza in violazione al divieto del diritto umanitario internazionale contro la punizione collettiva”.

Per “una società che valorizza la vita umana e lo stato di diritto”, Israele compie un’enorme quantità di uccisioni e di violazioni della legge.

Una patina etica

Allo stesso modo il Los Angeles Times ha dichiarato che “Israele ha tutto il diritto di usare la forza militare per prevenire” attacchi come quelli compiuti da Hamas il 7 ottobre e che Israele “deve rimanere fedele ai suoi valori facendo tutto il possibile per ridurre al minimo le sofferenze degli innocenti residenti palestinesi di Gaza.”

Il pezzo applaude Biden per aver affermato che chiederà al Congresso “un pacchetto di sostegno senza precedenti per la difesa di Israele” e per aver vagamente suggerito a Israele di riflettere se l’uccisione di migliaia di palestinesi aiuterà a “raggiungere i [suoi] obiettivi”.

L’editoriale poi afferma: “Che Israele non prenda di mira i civili è di scarso conforto per le famiglie delle persone uccise o ferite”.

Forse gli autori ritengono che sia magnanimo menzionare le circa 3.000 vite palestinesi che Israele ha ucciso in 11 giorni. Ma tali simpatie sono peggio che inutili quando sono confezionate con una menzogna che giustifica tutte le uccisioni e crea alibi per tutte le uccisioni future: ad esempio, due giorni prima dell’editoriale l’Ufficio delle Nazioni Unite per il Coordinamento degli Affari Umanitari (OCHA) osservava: “Molti edifici residenziali in aree densamente popolate sono stati presi di mira e distrutti” da Israele, tra cui un “edificio residenziale a Jabalia, nel nord di Gaza, dove sono stati uccisi dieci palestinesi; un edificio residenziale nella zona Musabah di Rafah, dove almeno 11 palestinesi, tra cui donne e bambini, sono stati uccisi; e l’edificio di un’organizzazione di beneficenza a Rafah, dove sono stati uccisi 11 palestinesi e molti altri sono rimasti feriti. Il 16 ottobre, al mattino, secondo quanto riferito, le forze israeliane hanno preso di mira un edificio residenziale a Khan Yunis, uccidendo 22 palestinesi.”

Inoltre il 15 ottobre l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha dichiarato: “Quattro ospedali nel nord di Gaza non funzionano più a causa di danni e attacchi. 21 ospedali nella Striscia di Gaza hanno ricevuto istruzioni dalle forze israeliane di evacuare. L’OMS ribadisce che devono essere prese tutte le precauzioni per proteggere gli operatori sanitari e le strutture sanitarie, compresi i pazienti e i civili che vi trovano rifugio.”

Queste fantasie su un presunto risparmiare i civili da parte di Israele e sui suoi presunti “valori” umani presentano tutta la crudeltà – le uccisioni spietate, le raccapriccianti ferite fisiche e psichiche, il sadismo dell’assedio – come incidenti in buona fede lungo il percorso verso una giusta causa; è retorica intesa a mascherare la brutalità israeliana con una patina etica.

Ma la causa di Israele è la violenza coloniale. La violenza dell’espropriazione, della tortura e di un massacro dopo l’altro. Perché nessuno Stato etnico in cui i palestinesi rimangano una minoranza perseguitata nella propria patria è possibile senza una violenza spietata e incessante.

Presentando tutta questa barbarie come se fosse giustificabile, i media statunitensi stanno facendo la loro parte affinché continui.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Gregory Shupak insegna Inglese e Studi sui Media all’Università di Guelph-Humber a Toronto. È autore del libro The Wrong Story: Palestine, Israel, and the Media [La storia sbagliata: Palestina, Israele e i media].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




500 arrestati al Campidoglio tra gli attivisti ebrei che chiedono il cessate il fuoco a Gaza

Michael Arria

19 ottobre 2023 – Mondoweiss

Se non recuperiamo la nostra comune umanità non credo che potremo mai tornare indietro da tutto questo”, ha detto ai manifestanti la deputata Rashida Tlaib. “E al nostro Presidente: voglio che sappia che come palestinese-americana e persona di fede musulmana, non dimenticherò. E credo che molte persone non dimenticheranno.”

Cinquecento persone, comprese due dozzine di rabbini, sono state arrestate mercoledì a Washington quando attivisti ebrei hanno guidato una protesta dentro e fuori Capitol Hill. I manifestanti chiedevano ai deputati di appoggiare un cessate il fuoco a Gaza.

Centinaia di manifestanti sono entrati nella rotonda dell’edificio principale della Camera dei Rappresentanti dove hanno cantato, scandito slogan ed esposto cartelli che chiedevano un immediato cessate il fuoco. Gli attivisti indossavano magliette con davanti la scritta “Non in nostro nome” e “Gli ebrei dicono cessate il fuoco adesso”.

La polizia del Campidoglio ha comunicato che stava chiudendo le vie intorno al Campidoglio per garantire la sicurezza dei manifestanti all’esterno.

Al mattino presto più di 5.000 ebrei americani e loro alleati si sono radunati sul National Mall (il viale monumentale). La folla era guidata dalle deputate Rashida Tlaib (del Minnesota) e Cori Bush (del Montana). “Ringraziamo la nostra comunità ebraica per essere qui a dire ‘Mai più’ “, ha detto Bush.

Il 16 ottobre Tlaib, Bush e diversi altri rappresentanti progressisti hanno presentato una risoluzione che chiede all’amministrazione Biden di premere per un immediato cessate il fuoco a Gaza.

L’impegno legislativo è appoggiato da decine di associazioni per i diritti umani, comprese Adalah Justice Project, American Muslims for Palestine (AMP) e U.S.Campaign for Palestinian Rights (USCPR).

Se non recuperiamo la nostra comune umanità non credo che potremo mai tornare indietro da tutto questo”, ha detto Tlaib. “E al nostro Presidente: voglio che sappia che come palestinese-americana e persona di fede musulmana, non dimenticherò. E credo che molte persone non dimenticheranno.”

Jewish Voice for Peace’ ha messo in evidenza l’azione in un post su Twitter:

Oggi 500 ebrei sono stati arrestati e 10.000 sono scesi in strada per sostenere e chiedere un cessate il fuoco e la fine del genocidio palestinese. Fermiamo il congresso per attirare una massiccia attenzione alla complicità degli USA nella continua oppressione di Israele sui palestinesi. Ma il nostro lavoro non è finito.

Possiamo fermare il genocidio a Gaza e lo faremo. Ma questa orribile situazione è stata resa possibile solo grazie al lavoro di fondo condotto dallo Stato israeliano da 75 anni. Dal 1948 il governo israeliano ha costruito un sistema di apartheid e di occupazione illegale.

Così come chiediamo la fine del genocidio a Gaza, dobbiamo compiere lo stesso sforzo per smantellare il sistema di sionismo, apartheid e colonialismo che ci ha portati a questa situazione.

L’unica strada per la pace e la sicurezza – per tutti – passa attraverso la giustizia e l’uguaglianza per tutti. Ciò significa essere solidali con i palestinesi. Significa costruire un mondo al di là del sionismo. Significa creare sistemi di sicurezza attraverso la solidarietà. Volete unirvi a noi?

La manifestazione di mercoledì si è svolta solo due giorni dopo che attivisti ebrei avevano bloccato tutti gli ingressi alla Casa Bianca, chiedendo a Biden di sostenere un cessate il fuoco.

Fin da bambini molti di noi si sono detti che non sarebbero stati a guardare se fossero mai stati testimoni di violenza genocida. Ci siamo detti che avremmo alzato la voce. Ci siamo detti che avremmo frapposto i nostri corpi. Abbiamo promesso che tali orrori non sarebbero mai più avvenuti sotto i nostri occhi”, ha detto la scrittrice e attivista Naomi Klein, che ha parlato anch’essa ai manifestanti. “Il ‘mai più’ di tutta la nostra vita sta accadendo proprio adesso a Gaza. E noi ci rifiutiamo di stare a guardare.”

La sezione di Washington della Anti-Defamation League (ADL) [associazione ebraica contro l’antisemitismo, fondata negli USA, ndt.] ha calunniato i manifestanti in una dichiarazione e ha affermato che gli anti-sionisti sono antisemiti. L’amministratore delegato dell’ADL Jonathan Greenblatt in un tweet ha paragonato gli attivisti ai suprematisti bianchi.

L’ADL è spaventata perché loro, come altre organizzazioni ebraiche istituzionali, hanno la sensazione di perdere il controllo di chi può parlare a nome degli ebrei americani”, ha scritto Ben Lorber, un membro di IfNotNow (Se non ora) e JVP (Jewish Voice for Peace). “Francamente, fanno bene a spaventarsi. Il loro fallimentare centrismo è il passato e le associazioni come IfNotNow e JVP sono il presente e il futuro.”

Michael Arria è il corrispondente USA per Mondoweiss.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)





Analisi: Gaza sarà la Stalingrado di Israele?

Zoran Kusovac

18 ottobre 2023 – Al Jazeera

Nonostante potenzialità militari molto superiori, a Gaza Israele potrebbe trovarsi in trappola.

Il micidiale bombardamento martedì notte dell’Al-Ahli Arab Hospital nella città di Gaza, che secondo funzionari sanitari ha ucciso almeno 500 persone, ha seminato indignazione in tutto il mondo e scatenato un’altra serie di accuse reciproche.

I palestinesi sono convinti che l’esplosione sia stata provocata da una bomba intelligente sganciata da un aereo militare israeliano, ma Israele si è affrettato ad accusare i combattenti palestinesi sostenendo che l’esplosione è stata causata da un razzo lanciato da Gaza che non è riuscito a raggiungere una traiettoria di volo corretta.

Le scarse prove a disposizione subito dopo il fatto sono insufficienti per stabilire conclusioni definitive. Solo un’attenta analisi dei detriti lasciati presso l’ospedale che possa rilevare frammenti dell’involucro esterno dell’ordigno esploso potrebbero dare come risultato un’identificazione chiara.

Anche prima di quest’ultimo attacco c’era un crescente numero di prove che indicavano il fatto che i raid aerei israeliani contro i palestinesi a Gaza sono stati in buona misura indiscriminati. La maggioranza delle attente analisi dei bersagli non riesce a svelare le chiare caratteristiche militari degli incessanti bombardamenti aerei, imponendo una domanda: quale logica ha motivato la scorsa settimana la richiesta israeliana ai palestinesi di evacuare la parte settentrionale di Gaza?

Dalla prospettiva della strategia militare ci sono due risposte possibili. Per Israele entrambe sarebbero potenzialmente un errore.

La prima potrebbe essere quella di creare un tale caos sulle strade della Striscia di Gaza che ai combattenti del movimento Hamas risulterebbe difficile o quasi impossibile muoversi. Questa logica seguirebbe un classico pensiero militare, verificato molte volte in differenti guerre. Ma questa non è una guerra classica con due parti uguali, né i combattenti di Hamas sono una classica formazione militare. Nessun approccio israeliano che non ne tenga conto può garantire un successo neppure limitato.

Nel corso degli anni in cui Israele ha bloccato l’enclave, i combattenti di Hamas hanno creato una ragnatela di tunnel scavati sotto la Striscia di Gaza. Per ovvie ragioni militari la loro stessa esistenza è stata un segreto palestinese gelosamente custodito, e persino quando la loro presenza non poteva più essere negata, si è permesso che filtrasse solo un’informazione molto generica, per cui essi sono ancora avvolti nel mistero.

Pare che la pratica di scavare passaggi sottoterra sia iniziata per la necessità di prevalere sull’occupazione israeliana del territorio durata fino al 2005. Le prime congetture riguardo al fatto che i palestinesi di Gaza facessero entrare di nascosto beni, forniture militari e il classico contrabbando comparvero negli anni ’90, quando la Striscia era ancora sotto il controllo politico di Fatah.

Inizialmente si presumeva che questi tunnel fossero molto rudimentali, lunghi quel tanto da passare sotto le barriere di confine con l’Egitto con ingressi da entrambi i lati nascosti dalle case. Correvano per qualche centinaio di metri ed erano così piccoli che le persone dovevano percorrerli accovacciate. Chiunque abbia visitato il Tunnel di Sarajevo, una struttura frettolosamente scavata dall’esercito della Bosnia Erzegovina a metà del 1993 per alleviare l’assedio della città, può immaginare come fossero probabilmente i primi tunnel tra Egitto e Gaza: un cunicolo stretto, angusto e scavato a mano con il soffitto basso sostenuto da travi e pali.

Con il tempo i tunnel che attraversavano il confine divennero mezzi molto efficaci per contrabbandare rifornimenti a Gaza. La rete si estese anche all’interno del territorio palestinese, consentendo di spostarsi liberamente al riparo da cittadini indiscreti che potessero essere informatori del nemico e da sistemi di sorveglianza israeliani che vanno dai satelliti agli aeroplani ed elicotteri fino ai droni senza pilota. Nel frattempo gli scavatori divennero molto esperti e migliorarono la qualità delle strutture sotterranee.

Video di Hamas resi noti la scorsa settimana mostrano tunnel di sorprendenti dimensioni e complessità, costruiti con appositi elementi prefabbricati di cemento, abbastanza alti da consentire di stare eretti e abbastanza larghi che i combattenti vi si possano muovere a passo veloce, e anche abbastanza ampi da fungere come magazzini ben protetti per armi e munizioni, compresi i razzi.

Non si sa quali siano l’estensione e l’esatta ubicazione dei tunnel, ma non ci sono dubbi che la rete sia estesa e che consenta un efficace movimento di truppe e munizioni sottoterra. Per ogni scopo pratico la relativamente piccola forza militare di Hamas potrebbe riposizionarsi da uno scontro a fuoco a quello successivo attraverso i tunnel, sia per operazioni difensive che offensive. Così, se l’ordine israeliano perché la gente nel nord di Gaza se ne vada intendeva rallentare lo spostamento di truppe di Hamas, si tratterebbe di una lettura errata della situazione sul terreno, o meglio, nel sottosuolo.

La seconda linea di pensiero possibile dei comandanti militari israeliani per spiegare questo ordine potrebbe essere il desiderio di svuotare la zona dai non-combattenti e rendere l’offensiva più semplice e più facile da condurre.

In teoria c’è una logica valida in questo: se la maggioranza dei civili se ne va, gli attaccanti possono supporre che chiunque sia ancora presente sul terreno sia un combattente e quindi un bersaglio militare legittimo. Oltretutto questo sviluppo ridurrebbe le vittime civili collaterali e le accuse secondo cui le Forze di Difesa Israeliane [l’esercito israeliano, ndt.] uccidono indiscriminatamente i civili.

In realtà Israele dovrebbe sapere che, come hanno sottolineato le Nazioni Unite e varie organizzazioni umanitarie, sarebbe impossibile per 1.1 milioni di persone in un territorio già densamente abitato spostarsi di notte, soprattutto se sottoposte a condizioni di assedio in cui scarseggiano cibo, acqua, medicine e carburanti.

Ma anche se tutti i non combattenti seguissero le direttive e miracolosamente riuscissero a lasciare le zone a nord, un’offensiva di terra israeliana non sarebbe affatto una passeggiata, nonostante il vantaggio sproporzionato della forza di una fanteria addestrata, armata ed equipaggiata, il controllo incontrastato dei cieli e il predominio quanto a sofisticati dispositivi altamente tecnologici di ultima generazione.

Una vecchia massima militare afferma che un comandante può considerare di aver conquistato un territorio solo quando le scarpe dei suoi soldati sono sul terreno in ogni angolo e nel centro di quell’area. Un terreno densamente urbanizzato pieno di macerie, in cui gli edifici sono già stati in buona misura distrutti o danneggiati da bombardamenti aerei e dal fuoco di sbarramento dell’artiglieria, è presumibilmente il tipo di terreno più impegnativo e complesso per un’avanzata militare.

Cercando un precedente viene in mente Stalingrado. Là, nonostante l’addestramento ed esperienza militare migliori e la grande superiorità tecnologica, gli eserciti tedeschi combatterono per otto mesi per conquistare la città in rovine per poi essere sopraffatti dalla determinazione e dal sacrificio dei difensori sovietici.

In città semidistrutte gli attaccanti sono in una situazione molto più difficile che in ogni altro terreno, e il classico rapporto 3 a 1 necessario perché l’esercito attaccante abbia una possibilità di successo non è sufficiente, ed è molto più realistico un rapporto di 5 a 1 o superiore.

Paradossalmente, se i civili di Gaza tenessero conto delle richieste di Israele e svuotassero il nord, renderebbero più facile ai miliziani di Hamas combattere, in quanto non avrebbero da preoccuparsi degli effetti delle loro azioni sui loro fratelli e sorelle. Potrebbero colpire chiunque si muova sul terreno senza pensarci, sapendo che i loro compagni utilizzeranno i corridoi sotterranei per sparire da un posto e riapparire altrove in modo inaspettato.

Sicuramente Israele si sta preparando per la fase successiva. Nei prossimi giorni esamineremo le sue opzioni, capacità e possibili tattiche militari.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: perché le affermazioni di Israele sono accolte con tanto scetticismo?

Alex MacDonald

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Israele ha accusato dell’attacco contro l’ospedale arabo al-Ahli di Gaza il Jihad Islamico palestinese. Ma ha una lunga storia di affermazioni false.

Martedì notte circa 500 palestinesi sono stati uccisi nell’ospedale arabo al-Ahli di Gaza City.

Subito dopo la distruzione è iniziato un gioco di accuse reciproche. Il ministero della Sanità palestinese ha detto che l’ospedale è stato preso di mira da un attacco aereo israeliano.

Hananya Naftali, un collaboratore informatico del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha twittato inizialmente che “le forze aeree israeliane hanno colpito una base terroristica di Hamas all’interno di un ospedale a Gaza. È morto un gran numero di terroristi.”

Poi Naftali ha cambiato versione, definendo l’esplosione “misteriosa” e affermando che si era trattato “di un razzo difettoso” o di “qualcosa che è stato fatto di proposito per ottenere appoggio internazionale.”

Quando Israele ha risposto ufficialmente, ha negato ogni responsabilità per l’attacco e ha cercato di attribuirne la responsabilità a un razzo mal lanciato dal gruppo palestinese Jihad Islamico (PIJ).

Le conseguenze del disastro sono subito state molto estese, con manifestanti che hanno incendiato l’ambasciata israeliana in Giordania, mentre altri hanno invaso la città palestinese di Ramallah chiedendo le dimissioni del presidente palestinese Mahmoud Abbas.

Lo scetticismo con cui sono state accolte le dichiarazioni di innocenza da parte di Israele è il risultato di anni di disinformazione diramata dall’esercito israeliano a seguito di attacchi e uccisioni controversi.

Durante una conferenza stampa israeliana tenutasi dopo il massacro, un giornalista ha fatto riferimento alla lista “tutt’altro che impeccabile” dell’esercito quando si è trattato di fornire informazioni credibili, citando le false affermazioni secondo cui miliziani palestinesi avrebbero ucciso la giornalista di Al Jazeera Shireen Abu Akleh nel 2022.

Un portavoce dell’esercito ha risposto: “In passato siamo stati molto frettolosi nell’arrivare a conclusioni. È per questa ragione che in questo caso ci siamo presi tempo, più di cinque ore. Volevamo fare un doppio controllo su tutto.”

Tuttavia da molti punti di vista la risposta iniziale di Israele all’attacco contro l’ospedale ha seguito le stesse caratteristiche di avvenimenti precedenti.

Cos’è successo?

L’attacco contro l’ospedale è la peggiore atrocità avvenuta a Gaza da quando Israele ha iniziato a bombardare l’enclave costiera assediata in seguito all’attacco guidato da Hamas contro Israele il 7 ottobre.

Foto e video da Gaza City hanno mostrato il fuoco che si diffondeva dagli ingressi della struttura, vetri e parti di corpi umani sparsi sul pavimento dell’ospedale.

Un medico ha descritto “scene orripilanti, surreali”, e ha detto a Middle East Eye che l’attacco ha messo “in ginocchio” il sistema sanitario di Gaza.

Al momento dell’incidente l’ospedale, gestito dalla chiesa anglicana, stava fornendo cure e rifugio a centinaia di palestinesi feriti e cacciati dalla guerra israeliana di 11 giorni contro l’enclave assediata.

Foto e video ottenuti da Middle East Eye mostrano paramedici e abitanti che corrono a soccorrere i feriti, con molti minori tra le vittime.

Attorno a loro sul prato ci sono lenzuola, zainetti per la scuola e altri oggetti.

Cos’è successo secondo Israele?

Il ministero della Sanità palestinese ha affermato sul suo canale Telegram che l’ospedale aveva ricevuto minacce da parte di Israele perché venisse evacuato altrimenti sarebbe stato bombardato, e in effetti sabato era stato colpito da un raid aereo come avvertimento per il personale e i pazienti di andarsene.

Mercoledì anche Hamas ha ripetuto la sua convinzione che l’attacco fosse un bombardamento aereo israeliano.

Tuttavia finora Israele ha rifiutato di prendersi la responsabilità della distruzione dell’ospedale.

Al contrario, sostiene che un razzo lanciato dal PIJ è caduto sull’ospedale, una cosa che il gruppo armato nega recisamente, affermando in un comunicato di “non utilizzare luoghi di culto o edifici pubblici, soprattutto ospedali, come centri militari o magazzini per le armi.”

L’account “israeliano” di X martedì notte ha twittato quella che sostiene essere una prova della responsabilità del PIJ nell’attacco, affermando che “dalle analisi dei sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano, ndt.] una raffica di razzi nemici è stata lanciata verso Israele ed è passata nelle vicinanze dell’ospedale quando questo è stato colpito.”

Tuttavia la versione originale del post includeva un video dei razzi sparati dai dintorni di Gaza City.

In seguito il video è stato rimosso dall’account, mentre alcuni analisti hanno notato che la prima menzione pubblica del bombardamento è stata alle 19,20 ora locale, mentre il video condiviso da Israele come prova segnava un’ora tra le 19,59 e le 20 ora locale.

Mercoledì quello stesso account ha condiviso un audio dell’esercito israeliano presentata come una conversazione in cui combattenti di Hamas discutono della distruzione dell’ospedale e la attribuiscono al PIJ.

Ma Muhammad Shehada, un attivista per i diritti umani di Gaza che per un decennio ha scritto rapporti contro Hamas, ha postato che la citazione era stata mal tradotta da “loro dicono” in “noi diciamo”.

“Sta descrivendo una diceria, non una prova,” ha scritto Shehada, prima di proseguire elencando altre ragioni per credere che l’audio sia parte di una campagna di disinformazione.

Alex Thomson, un inviato di Channel 4 News [notiziario britannico, ndt.], ha affermato che “molti esperti” gli hanno detto che “la registrazione dei miliziani di Hamas che parlano del cattivo funzionamento del missile è un falso. Dicono che il tono, la sintassi, l’accento e la lingua sono inverosimili.”

Si può sentire uno di loro che dice: “Lo hanno sparato dal cimitero dietro l’ospedale.”

Francesco Sebregondi, architetto e ricercatore che attualmente lavora con l’ong investigativa Index [associazione francese esperta in analisi e ricerche su questioni di interesse pubblico, ndt.], ha detto a Middle East Eye che Israele si è affrettato a dare subito materiale perché gli analisti vi basassero le proprie conclusioni.

“Fornendo rapidamente un certo numero di ‘prove’ poco concrete, per esempio nella forma di riprese del luogo fatte da un drone, l’esercito israeliano può contare anche sull’impazienza di alcuni attori di Open Source Intelligence [informazioni liberamente disponibili al pubblico, ndt.] (OSINT) che usano qualunque immagine/materiale/dato per pubblicare rapidamente nuovi contenuti o ‘analisi’, e di conseguenza appoggiare più o meno direttamente la sua versione degli eventi,” ha detto.

Una reputazione “tutt’altro che impeccabile”

Una serie di episodi passati ha macchiato la reputazione dell’esercito israeliano riguardo alla disinformazione.

Forse l’esempio più noto negli ultimi anni è stata l’uccisione della giornalista palestinese Shireen Abu Akleh.

Abu Akleh, che era anche cittadina statunitense, è stata colpita a morte da forze israeliane l’11 maggio 2022 mentre stava informando su un’operazione militare israeliana a Jenin, nella Cisgiordania occupata. Anche il suo collega Ali al-Samoudi è stato colpito e ferito.

In un primo tempo Israele ha accusato uomini armati palestinesi di averle sparato, ma poi ha concluso che c’erano “molte probabilità che Abu Akleh sia stata accidentalmente colpita da fuoco dell’IDF (l’esercito israeliano) sparato verso sospetti identificati come palestinesi armati.”

L’ufficio della procura generale dell’esercito israeliano ha affermato che non avrebbe aperto un’inchiesta riguardo ai soldati coinvolti nell’incidente in quanto “non ci sono sospetti che sia stato commesso un reato penale.”

Un altro esempio fu la morte del dodicenne Mohammed al-Durah nel 2000, uno degli avvenimenti fondamentali della Seconda Intifada (2000-2005).

Il video del ragazzino rannicchiato con il padre in mezzo ad uno scambio di colpi e che poi si accascia morto scatenò l’indignazione internazionale e rimane un’immagine iconica della repressione israeliana contro i palestinesi.

Benché inizialmente abbiano accettato la responsabilità della sua morte, sostenendo che era stato usato come scudo umano, in seguito, nel 2005, gli israeliani ritrattarono.

Denunce e contro-denunce vennero lanciate avanti e indietro, e alcuni sostennero che France 2 [rete televisiva pubblica francese, ndt.], che inizialmente aveva diffuso il video, avesse inscenato l’incidente. La rete rispose con una serie di denunce per diffamazione che ebbero successo.

“Si parlò molto di questo video, affermazioni che si trattava di un falso. Ma la gente che lo diceva non conosceva neppure la zona,” disse nel 2020 ad Al Jazeera Talal Abu Rahma, il cameraman che aveva ripreso le immagini.

“Ci furono un sacco di chiamate e inchieste nei miei confronti riguardo a quanto fossero veritiere le immagini. Gli ho dato una sola risposta: la telecamera non mente.”

Infine, continueranno ad esserci una serie di narrazioni in conflitto anche riguardo a quanto è avvenuto all’ospedale arabo al-Ahli. Al momento un’inchiesta sul campo sembra assolutamente impossibile e la serie di immagini e riprese diffuse in rete continuerà probabilmente ad essere la principale fonte di informazione.

“Cerchiamo di non essere ingenui riguardo ai pregiudizi politici e analitici di un gran numero di attori nelle attuali comunità OSINT in rete,” afferma Sebregondi.

“Lo stesso termine OSINT viene dal mondo militare e dell’intelligence. Queste comunità in rete comprendono molti (ex) militari e personale dell’intelligence che, sotto le mentite spoglie di reporter totalmente indipendenti, possono anche essere propensi ad appoggiare la continua brutale azione militare israeliana in quella che è ancora definita da molti importanti mezzi di comunicazione come una ‘guerra al terrorismo.’”

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Guerra Israele-Palestina: deraglia la politica USA per il Medio Oriente Da quando è scoppiato il conflitto Washington ha fatto una serie di errori marchiani, portando la regione sull’orlo di una guerra più ampia

David Hearst

18 ottobre 2023 – Middle East Eye

Joe Biden non sta avendo una bella guerra. Tre giorni dopo l’attacco di Hamas il presidente USA ha pronunciato un discorso da far invidia persino a David Friedman, ex ambasciatore in Israele sotto la presidenza Trump e difensore dei coloni.

Biden ha erroneamente sostenuto l’affermazione che Hamas avrebbe decapitato neonati, con affermazioni che la Casa Bianca ha poi dovuto smentire; ha promesso il sostegno USA per dare a Israele tutto il necessario per “rispondere a questo attacco” e ha poi erroneamente asserito che i civili a Gaza erano usati come scudi umani.

In quei tre giorni la leadership di Israele ha reso chiarissimo che sarebbe andata giù pesante e che lo Stato nella sua risposta all’attacco di Hamas non avrebbe rispettato le regole di guerra.

Gli eventi si sono svolti di conseguenza e Israele in 10 giorni ha colpito Gaza con una potenza esplosiva equivalente a un quarto di una bomba nucleare.

Mentre Biden stava decollando per il suo ultimo viaggio in Medio Oriente, a Gaza le forze israeliane hanno colpito un ospedale che avevano attaccato pochi giorni prima, dopo aver avvertito di evacuarlo. Oltre 20 altri ospedali hanno ricevuto minacce simili.

Questa volta sono state uccise circa 500 persone. La carneficina all’al-Ahli, uno dei più vecchi ospedali di Gaza, ha fatto un tale piacere a Itamar Ben Gvir, il ministro israeliano della Sicurezza Nazionale, che se ne è prematuramente attribuito la responsabilità: “Fino a quando Hamas non libererà gli ostaggi l’unica cosa che si deve far entrare a Gaza sono centinaia di tonnellate di esplosivo lanciate dall’aeronautica militare, non un grammo di aiuti umanitari.”

Anche Hananya Naftali, che lavorava per il team digitale del Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu, ha postato su X: “ULTIMISSIME: l’aeronautica militare israeliana ha colpito una base terrorista di Hamas dentro un ospedale a Gaza.” Ha velocemente tolto il post.

Più tardi lo stesso giorno un portavoce dell’esercito israeliano ha detto che un “razzo nemico” lanciato contro Israele era uscito dalla traiettoria colpendo l’ospedale. Tali razzi non hanno una potenza esplosiva tale da uccidere 500 persone. Inizialmente l’esercito aveva pubblicato immagini che mostravano un razzo del Jihad Islamico, ma dopo la scoperta che questo video era di 40 minuti successivi al bombardamento, l’esercito ha rimosso il filmato.

Sembra che qualcuno stia facendo gli straordinari al suo laptop per cancellare le tracce dell’attacco contro l’ospedale. C’è persino un audio che rivelerebbe la discussione fra miliziani di Hamas che discuterebbero del fallito lancio, salvo il fatto che, secondo Channel 4 [notiziario britannico, ndt.], sarebbe un falso che usa tono, sintassi e accento sbagliati.

Semaforo verdissimo

Mercoledì, quando Biden è atterrato in Israele, gran parte del tour regionale pianificato era stato cancellato. Tale era la rabbia nella Cisgiordania occupata, in Giordania, Libano ed Egitto che nessun leader arabo per garantire la propria sicurezza ha voluto incontrarlo.

Con centinaia di persone radunate davanti alle ambasciate di USA e Israele in Giordania che invocavano l’espulsione dell’ambasciatore israeliano e la revoca del trattato di pace con Israele, la visita ad Amman è stata annullata. 

Ma poco dopo l’arrivo in Israele Biden si è scavato una fossa ancora più profonda quando ha detto a Netanyahu, a proposito dell’attacco all’ospedale: “Basandomi su quanto ho visto sembra che sia stato fatto dall’altra parte, non da voi.”

Dietro le quinte la politica USA per il Medio Oriente sembrava stesse deragliando.

Per essere chiari le azioni intraprese dagli USA dietro le quinte nel periodo immediatamente seguente all’attacco di Hamas ha spianato la strada alla crisi in cui si trova ora la regione. 

Gli USA non hanno solo dato il semaforo più verde possibile alla campagna di bombardamento mirante a spingere più di un milione di persone dalla metà settentrionale della Striscia di Gaza verso il confine egiziano. Non hanno solo dato a Israele, secondo funzionari della difesa, bombe guidate equipaggiate con il sistema JDAM e parecchie migliaia di proiettili di artiglieria 155 mm.

Secondo vari e credibili rapporti, inizialmente hanno anche cercato di persuadere l’Egitto ad accogliere un milione di rifugiati da Gaza. Al Akhbar [quotidiano in lingua araba pubblicato a Beirut, ndt.] all’inizio ha riferito che gli USA hanno cercato di coordinarsi con l’ONU e “organizzazioni internazionali che ricevono finanziamenti dall’ONU” per convincere il Cairo ad aprire il valico di Rafah. Naturalmente c’era di mezzo una bustarella.

Fonti hanno parlato della possibilità che gli USA dessero dei significativi finanziamenti all’Egitto, oltre 20 miliardi di dollari, se avesse accettato. Hanno menzionato una richiesta del Cairo di “facilitare il trasferimento di molte e numerose organizzazioni operanti nel settore del soccorso al confine con Rafah senza entrare a Gaza”.

Anche il sito egiziano Mada Masr ha riferito che funzionari egiziani si sono consultati sul trasferimento di una significativa parte della popolazione di Gaza. Tale affermazione così delicata ha fatto sì che le autorità egiziane intervenissero pesantemente sul sito: i direttori sono stati convocati e il Consiglio Supremo per la regolamentazione dei media ha iniziato un’indagine sulla pubblicazione di “notizie false”. 

Senza dubbio questi incontri si sono svolti prima che il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi si rendesse conto del pericolo per lui in un anno di rielezioni. 

L’11 settembre di Israele

Gli USA hanno commesso tre errori nella loro reazione all’attacco di Hamas. Hanno incoraggiato Israele a colpire senza limiti, hanno inizialmente contemplato lo scenario di un esodo di massa dei palestinesi in Egitto e hanno portato il Medio Oriente sull’orlo di una guerra regionale. 

Fin dall’inizio la narrazione usata da Israele e dagli USA è stata che per Israele l’attacco di Hamas era paragonabile all’11 settembre, che Hamas non era in alcun modo diverso dallo Stato Islamico e che Israele aveva il dovere morale non solo di rispondere all’attacco di Hamas ma anche di sradicare l’intero movimento.

Ciò ha permesso a Israele di pensare che avrebbe potuto usare raid aerei contro Gaza non solo per distruggere Hamas, ma anche per apportare modifiche strutturali all’equilibrio di potere nel Medio Oriente, cioè confrontarsi con Hezbollah e infine con l’Iran.

Sia Netanyahu che il leader dell’opposizione Benny Gantz hanno alluso a un piano che avrebbe, nelle parole di Gantz, “cambiato la situazione strategica e della sicurezza nella regione”. Non mi è chiaro se gli USA avrebbero permesso a Israele di procedere con un piano più ampio che contro Hamas e Gaza, ma chiaramente il piano c’era.

Michael Milshtein, capo del Forum di Studi Palestinesi presso il centro Moshe Dayan all’università di Tel Aviv scrive: “Questa guerra è molto di più di un conflitto fra Israele e Hamas. In Occidente si sta sviluppando l’idea che la guerra delle Spade di Ferro [nome dell’operazione militare israeliana contro Gaza, ndt.] sia un momento qualificante, un’opportunità unica di rimodellare l’architettura del Medio Oriente che ci si aspetta influenzerà anche i rapporti di potere in tutto il mondo.”

Per alcuni giorni sembrava che l’espulsione forzata di metà di Gaza travestita da corridori umanitari potesse funzionare. Il confine nord con il Libano è rimasto tranquillo. Inizialmente Hezbollah non ha reagito. I media occidentali hanno accettato il piano di conquistare Hamas e rioccupare Gaza.

La svolta è arrivata quando il Segretario di Stato USA Antony Blinken sembra si sia reso conto che un’altra Nakba delle dimensioni di quanto accadde nel 1948 sarebbe stata una linea rossa. 

Dopo un incontro di ministri degli esteri, Ayman Safadi, vice primo ministro giordano, ha detto che tutti i paesi arabi si impegnavano in un’azione collettiva contro ogni tentativo di espellere i palestinesi dalla loro patria. Lo stesso messaggio è arrivato dal re  di Giordania Abdullah II durante il suo recente viaggio europeo.

L’urlo di protesta levatosi da Giordania, Egitto, Turchia e Arabia Saudita è stato tale che Blinken ha dovuto ammettere che “non avrebbe avuto seguito”. Biden ha anche detto che la rioccupazione di Gaza sarebbe stato un “errore enorme”. Il Primo Ministro britannico Rishi Sunak ha detto che tutti dovrebbero evitare l’escalation. 

Tutto ciò è stato accompagnato da altri avvertimenti chiari. Hossein Amir-Abdollahian, ministro degli Esteri iraniano, ha messo in guardia che l’asse della resistenza avrebbe aperto “fronti multipli” contro Israele se gli attacchi contro Gaza fossero continuati, dicendo alla televisione nazionale iraniana: “Non c’è più molto tempo. Se i crimini di guerra contro i palestinesi non si fermano immediatamente, si apriranno altri fronti multipli e questo è inevitabile.”

Se gli USA non capiranno hanno solo da guardare fuori dalla finestra dove ci sono proteste di massa senza precedenti in tutta la regione.

Guerra regionale

All’arrivo di Biden in Israele mercoledì la regione era in ebollizione. A parte la questione morale, l’esercito USA è chiaramente impreparato per tale impresa avendo speso gli ultimi anni a ridurre le sue risorse militari.

Secondo il Wall Street Journal l’anno scorso ha ritirato più di otto batterie di missili Patriot da Iraq, Kuwait, Giordania e Arabia Saudita, oltre a un sistema Terminal High Altitude Area Defense [Difesa d’area terminale ad alta quota] (Thaad) dall’Arabia Saudita. Ha svuotato le scorte di munizioni da 155mm in Israele per mandarli in Ucraina. Ha spostato la marina nel Pacifico.

In poco tempo ha dovuto far marcia indietro. Nel Mediterraneo c’è già una portaerei e un’altra sta arrivando [in realtà è già arrivata. ndt.]. L’ultima volta che gli USA hanno impiegato due portaerei in Medio Oriente fu nel 2020. Insieme alle sue navi ha dovuto riportare nel Golfo gli aerei da attacco A-10 e i caccia F-15 e F-16. 

Tutto ciò dovrebbe costituire un deterrente per l’Iran. Non lo sarà. Non mi capita spesso di citare le analisi su Israele dell’editorialista Thomas Friedman [noto giornalista USA tradizionalmente schierato con Israele, ndt.] del New York Times, ma in questa occasione farò eccezione.

Friedman ha scritto: “Se Israele entra in Gaza adesso farà saltare gli Accordi di Abramo, destabilizzerà ancora di più due dei più importanti alleati dell’America (Egitto e Giordania) e renderà impossibile la normalizzazione con l’Arabia Saudita: una gigantesca battuta di arresto. Permetterebbe anche ad Hamas di incendiare veramente la Cisgiordania e fare partire una guerra di pastori fra i coloni ebrei e i palestinesi. Complessivamente farebbe il gioco della strategia iraniana di attrarre Israele verso una eccessiva espansione imperiale, indebolendo in tal modo la democrazia ebraica dall’interno.”

Hamas non ha bisogno di infiammare la Cisgiordania occupata, dato che ci sono enormi proteste in tutte le città principali per chiedere al Presidente Mahmoud Abbas di andarsene, dopo che le forze dell’Autorità Palestinese (AP) hanno usato proiettili veri contro i manifestanti. Ma sul punto strategico sono d’accordo con Friedman, anche se mi addolora dirlo.

Ha anche ragione a dire che un’invasione di terra di 360.000 soldati israeliani afflitti è la ricetta per massacri forse peggiori e di più vaste dimensioni di quelli mai visti fino ad ora.

Perdita del sostegno

C’è una discussione a Washington su come l’attacco di Hamas abbia cambiate la natura, la velocità e l’estensione del sistema del Medio Oriente sostenuto dagli USA. James Jeffrey, ex ambasciatore USA nella regione, ha detto a Middle East Eye: “La capacità di Hamas di sconfiggere l’intera difesa militare israeliana mette questa guerra sullo stesso piano della guerra dello Yom Kippur (la guerra in Medio Oriente del 1973). Nessun conflitto recente ha minacciato il sistema mediorientale sostenuto dagli USA tanto come questo, e tale lo considera l’amministrazione [Biden].”

Ma questa analisi fa partire il conto alla rovescia fino all’attacco stesso, non a tutti i segnali che l’hanno preceduto: il collasso dell’AP, gli sconfinamenti israeliani nella moschea di Al-Aqsa, l’impossibilità dei negoziati, i tentativi di stringere un accordo con l’Arabia Saudita passando sopra le teste dei palestinesi e l’impossibilità di tutti i palestinesi di uscire dalle gabbie collettive in cui sono rinchiusi.

Potrebbe anche essere che “il sistema mediorientale sostenuto dagli USA”, basato sul cieco supporto a Israele, non funzioni più? La lettera di dimissioni di Josh Paul, un funzionario ad alto livello del Dipartimento di Stato USA, dimissioni causate dalla posizione della sua amministrazione sulla guerra di Gaza, è una lettura interessante.

Paul ha definito l’attacco di Hamas la “mostruosità delle mostruosità”, ma poi continua: “La reazione di questa amministrazione e anche di gran parte del Congresso è una reazione impulsiva, basata su un pregiudizio confermato, sulla convenienza politica, sulla bancarotta intellettuale e sull’inerzia burocratica. Decenni con lo stesso approccio hanno mostrato che la sicurezza in cambio di pace non porta né alla sicurezza né alla pace. Il fatto che un supporto cieco a una parte sul lungo periodo è distruttivo per gli interessi dei popoli di entrambe le parti.”

Forse Biden ha capito il messaggio. Ma, avendo tolto 12 giorni fa il piede dal freno della rabbia collettiva di Israele, adesso avrà un compito difficile per rimettercelo.

Ho parlato prima di deragliamento, e in realtà è un traballante carro tirato da cavalli. Quello che gli scorsi dodici giorni hanno dimostrato più di ogni altra cosa è l’incapacità degli USA a essere un leader mondiale. Manca dei requisiti: capacità analitica, conoscenza della regione e capacità intellettuale. Spara commenti affrettati e solo dopo pensa alle conseguenze. E’ coinvolto in guerre per le quali è palesemente impreparata.

Accecata dal dogma, sempre entusiasta di dividere il mondo in opposizioni manichee: democrazia contro autocrazia, il mondo giudeo-cristiano contro l’Islam, l’America ha perso contatto con i valori che sostiene di difendere. Mentire a favore di Israele sui crimini di guerra che sta commettendo significa difenderlo?

Washington sta perdendo il sostegno dei suoi alleati. Vedendo le azioni degli USA nessuno può avere molta fiducia che siano state veramente meditate. Le conseguenze di questi 12 giorni e di quelli che seguiranno provocherà sconvolgimenti in lungo e in largo. 

Biden ha tutto l’interesse a chiudere l’episodio ora, fermando l’assalto via terra e costringendo a far entrare a Gaza gli aiuti umanitari essenziali. 

Solo allora potranno avvenire i negoziati con Hamas per uno scambio di prigionieri. Se non riesce a ottenere questi obiettivi base, anche lui scoprirà quali danni un Israele senza limiti può infliggere a sè stesso, alla regione, agli USA e invero al mondo. 

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

David Hearst è cofondatore e capo-redattore di Middle East Eye. È commentatore e conferenziere sulla regione e analista dell’Arabia Saudita. Ha scritto di politica estera per il Guardian, è stato corrispondente da Russia, Europa e Belfast. È arrivato al Guardian da The Scotsman, dove era corrispondente per il settore dell’istruzione.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Cambio di passo: un funzionario del Dipartimento di Stato si dimette a causa della politica su Gaza

MICHAEL ARRIA 

19 ottobre 2023, Mondoweiss

Il funzionario del Dipartimento di Stato Josh Paul si è dimesso a causa della politica su Gaza dell’amministrazione Biden. Nella dichiarazione in cui annunciava il suo abbandono ha definito la politica americana “miope, devastante, ingiusta e contraddittoria rispetto agli stessi valori che sosteniamo pubblicamente “.

Dimissioni al Dipartimento di Stato nella crescente preoccupazione per la politica di Biden su Gaza

Il funzionario del Dipartimento di Stato Josh Paul si è dimesso dalla sua carica a causa della politica dell’amministrazione Biden su Gaza. Lavorava presso l’Ufficio di Stato per gli Affari Politico-militari.

Sono fermamente convinto che in tali conflitti, quelli in cui siamo terzi, la parte con cui schierarsi non è quella di uno dei combattenti, ma quella delle persone intrappolate nel mezzo, e quella delle generazioni ancora a venire”, ha scritto Paul in un post su Linkedin annunciando il suo abbandono. “È nostra responsabilità aiutare le parti in conflitto a costruire un mondo migliore. Mettere al centro i diritti umani, non cercare di accantonarli o eluderli attraverso programmi di crescita economica o manovre diplomatiche. E, quando accadono, essere in grado di denunciare gravi violazioni dei diritti umani, indipendentemente da chi le commette, ed essere in grado di riconoscerne gli autori responsabili quando sono avversari, il che è facile, ma soprattutto quando sono partner. “

“Non posso lavorare a sostegno di una serie di importanti decisioni politiche incluso l’invio di più armi a una parte del conflitto, decisione che ritengo miope, devastante, ingiusta e contraddittoria proprio rispetto ai valori che sosteniamo pubblicamente”, ha continuato.

Le dimissioni di Paul sono avvenute poco dopo che l’HuffPost ha pubblicato un articolo di Akbar Shahid Ahmed sui membri dello staff di Biden che si sentono messi a tacere sulle loro preoccupazioni per i palestinesi.

Sto cercando di informare le persone sulla Palestina attraverso i social media, ma ho paura di perdere il mio certificato di sicurezza [che determina l’affidabilità e l’idoneità a ricoprire una posizione sensibile, ndt.] per aver criticato il presidente o biasimato gli Stati Uniti per il massacro di civili”, ha detto al sito web un membro dello staff. “Sento che non c’è più posto per me in America, e sono sul filo del rasoio per il mio certificato [di sicurezza] a causa del mio retaggio e perché mi importa se la mia gente muore.”

Ci si sente come dopo l’11 settembre, quando ci sentivamo come se i pensieri fossero controllati e c’era davvero paura di essere visti come antiamericani o antisemiti”, ha detto un altro funzionario.

La scorsa settimana Ahmed ha riferito di una nota interna del Dipartimento di Stato che ordinava ai diplomatici di utilizzare precisamente tre frasi: “riduzione dell’escalation/cessate il fuoco”, “fine alla violenza/spargimento di sangue” e “ripristino della calma”.

Gli Stati Uniti pongono il veto alla risoluzione del Consiglio di Sicurezza su Gaza

Mercoledì gli Stati Uniti hanno posto il veto a una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite sostenuta dal Brasile che chiedeva “tregue umanitarie” a Gaza per consentire l’ingresso degli aiuti.

L’ambasciatrice USA alle Nazioni Unite Linda Thomas-Greenfield ha affermato che gli Stati Uniti non possono sostenere la misura perché “non fa menzione del diritto all’autodifesa di Israele”.

“Anche se non abbiamo potuto sostenere questa risoluzione, in futuro continueremo a lavorare a stretto contatto con tutti i membri del Consiglio su questo urgente problema”, ha aggiunto. “Così come continueremo a ribadire la necessità di proteggere i civili, compresi i lavoratori dei media, gli operatori umanitari e i funzionari delle Nazioni Unite”.

L’ambasciatore brasiliano Sérgio França Danese ha espresso frustrazione per il veto. “Abbiamo accolto un appello con un senso di urgenza e responsabilità, a nostro avviso il Consiglio di Sicurezza doveva agire e operare molto rapidamente”, ha affermato. “La paralisi del Consiglio di fronte a una catastrofe umanitaria non è nell’interesse della comunità internazionale”

Attivisti ebrei protestano davanti all’ufficio di Warren

Almeno sei attivisti ebrei sono stati arrestati davanti all’ufficio di Boston della senatrice Elizabeth Warren (Massachusetts), dove più di 100 manifestanti le chiedevano di fare pressione per un cessate il fuoco a Gaza.

Il Boston Globe ha riferito che gli attivisti sono entrati nell’edificio federale John Fitzgerald Kennedy e hanno tentato di organizzare un sit-in nell’ufficio.

La senatrice Warren ha il potere di chiedere il permesso di far entrare gli oltre 100 camion di aiuti umanitari bloccati fuori Gaza”, ha detto Mira Revesz, membro di If Not Now Boston [movimento di ebrei americani che chiede la fine del sostegno statunitense al sistema di apartheid israeliano, ndt.] “Ma tutto ciò che la senatrice Warren ha fatto finora è stato chiedere a Israele di ridurre al minimo i danni ai civili. Gli ultimi quattro giorni hanno dimostrato in modo straziante che Israele non sta affatto minimizzando i danni ai civili”.

Apprezzo che delle persone siano venute nel mio ufficio a condividere le loro opinioni ed esperienze: ecco in cosa consiste la democrazia. Israele ha sia il diritto di difendersi dagli attacchi terroristici sia l’obbligo di proteggere i civili innocenti secondo le leggi internazionali di guerra”, ha affermato Warren in una dichiarazione successiva. “I civili palestinesi hanno diritto agli aiuti umanitari comprendenti cibo, acqua, alloggio e medicine. C’è urgente bisogno di corridoi sicuri a Gaza per fornire aiuti umanitari e continuerò a sottolineare l’imperativo di proteggere i civili”.

500 arresti a Washington fra gli attivisti ebrei che chiedono il cessate il fuoco

Mercoledì cinquecento ebrei americani e loro sostenitori, tra cui più di venti rabbini, sono stati arrestati all’interno del Campidoglio. I manifestanti chiedevano che i parlamentari adottassero alla Camera una risoluzione per il cessate il fuoco a Gaza.

Gli attivisti indossavano magliette con davanti la scritta “Non nel nostro nome” e “Gli ebrei dicono cessate il fuoco adesso”. Cantavano, scandivano slogan e esponevano cartelli.

Migliaia di persone hanno protestato per le strade di Washington per poi entrare nella rotonda del Cannon House Office [il più antico edificio del Congresso a Washington, ndt.]

Se non recuperiamo la nostra comune umanità non credo che ci riprenderemo mai più da tutto ciò”, ha detto alla folla la deputata Rashida Tlaib, sostenitrice della risoluzione. “E al nostro Presidente: voglio che sappia che, in quanto palestinese-americana e di fede musulmana, non dimenticherò. E penso che molte persone non dimenticheranno”.

L’ADL calunnia gli attivisti ebrei

La sezione di Washington dell’Anti-Defamation League (ADL) [associazione ebraica negli Stati Uniti dal 1913 di contrasto all’antisemitismo, ndt.] ha insultato in una dichiarazione i manifestanti del Campidoglio e ha affermato che l’antisionismo è antisemitismo. Il CEO di ADL Jonathan Greenblatt è arrivato al punto di paragonare in un tweet gli attivisti ebrei ai suprematisti bianchi.

Questa settimana, in una delle sue numerose apparizioni nei notiziari via cavo, Greenblatt ha affermato che “l’antisionismo è in realtà un preludio al genocidio”. In un’altra intervista è stato ancora più diretto: “l’antisionismo è un genocidio”, ha dichiarato.

Con i funzionari dell’ADL che compaiono sulle televisioni di tutto il mondo denunciando [come antisemite] le tante manifestazioni che chiedono la fine della violenza genocida di Israele contro i palestinesi stiamo assistendo all’esito più pericoloso della lunga storia dell’ADL di affermarsi come gruppo per i diritti civili”, scrive Emmaia Gelman sul sito.

La propria definizione dell’ADL come baluardo contro i pregiudizi è completamente smentita dalla sua difesa della politica islamofobica, dal suo lavoro per promuovere la polizia militarizzata e l’iper-sorveglianza, e dal suo ruolo chiaramente espresso a sostegno delle politiche israeliane, compreso l’apartheid. L’ADL strumentalizza grossolanamente le reali preoccupazioni del pubblico riguardo all’antisemitismo, producendo statistiche scandalosamente gonfiate che elencano centinaia di proteste contro la violenza israeliana come ‘episodi di antisemitismo’. Come risultato di questo atteggiamento ipocrita, l’ADL viene consultata come esperta su questa guerra”.

Gli attivisti hanno raccolto alcuni materiali per i genitori preoccupati del fatto che i loro figli tornino a casa dalla scuola con materiale ADL.

(Traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Quello che sappiamo finora dell’attacco mortale ad un ospedale di Gaza

Redazione di Al Jazeera

18 ottobre 2023 – Al Jazeera

Funzionari palestinesi affermano che almeno 500 persone sono state uccise in un raid aereo israeliano sull’ospedale arabo Al-Ahli a Gaza.

Almeno 500 persone sono state uccise in un attacco aereo israeliano contro l’ospedale arabo Al-Ahli nella Striscia di Gaza assediata, hanno detto funzionari palestinesi.

Il ministero della Sanità di Gaza ha affermato che l’esplosione nell’ospedale è stata causata da un raid aereo israeliano. Israele ha attribuito l’esplosione ad un lancio difettoso di un razzo da parte del gruppo armato della Jihad islamica palestinese (PIJ). La PIJ ha negato l’accusa.

Al Jazeera non è stata in grado di verificare in modo indipendente i resoconti.

Mentre la tensione continua a crescere, ecco cosa sappiamo finora dell’esplosione:

Centinaia di morti

Il ministero della Sanità di Gaza afferma che almeno 500 persone sono state uccise nell’esplosione, di gran lunga il più alto numero di vittime di qualsiasi singolo incidente avvenuto a Gaza durante l’attuale guerra tra Israele e Hamas.

Il ministero ha detto che centinaia di altre vittime sono rimaste sotto le macerie.

Hamas ha affermato che l’esplosione ha ucciso soprattutto sfollati.

Il ministro della Sanità dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mai Alkaila, ha accusato Israele di aver compiuto “un massacro”.

Situato nel centro di Gaza l’ospedale, gestito dalla diocesi episcopale di Gerusalemme, è stato colpito mentre era ultra affollato da migliaia di palestinesi in cerca di rifugio nel mezzo di una campagna di brutali attacchi aerei israeliani su gran parte della Striscia di Gaza assediata.

Come ha reagito il mondo?

I leader mondiali hanno denunciato il bombardamento e i leader di tutto il Medio Oriente hanno rilasciato le dichiarazioni più ferme.

Inoltre proteste sono scoppiate in tutto il Medio Oriente compresa la Giordania e la Cisgiordania occupata da Israele dove le proteste palestinesi si sono scontrate con le forze di sicurezza dell’Autorità Nazionale Palestinese.

La Giordania ha annullato il vertice previsto nella capitale Amman con il presidente degli Stati Uniti Joe Biden e i leader arabi.

Il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi ha affermato che l’incontro si terrà in un momento in cui tutti i presenti potranno concordare di lavorare per porre fine alla “guerra e ai massacri contro i palestinesi”.

Il presidente egiziano Abdel Fattah el-Sisi, che avrebbe dovuto partecipare al vertice, ha dichiarato di condannare “nei termini più forti possibili” il bombardamento israeliano dell’ospedale di Gaza.

Anche l’Arabia Saudita ha rilasciato una ferma dichiarazione, condannando “nei termini più forti possibili l’atroce crimine commesso dalle forze di occupazione israeliane con il bombardamento dell’ospedale battista Al Ahli a Gaza”.

I leader occidentali non hanno incolpato Israele per l’attacco, il presidente francese Emmanuel Macron ha affermato in un post sui social media che “niente può giustificare un attacco contro un ospedale” e ha aggiunto che “bisogna far luce sulle circostanze”.

Biden in un comunicato ha espresso “le più sentite condoglianze per le vite innocenti perse nell’esplosione dell’ospedale di Gaza”.

Cosa dice Israele?

Le autorità israeliane hanno detto che l’ospedale è stato colpito da un razzo vagante lanciato dalla Jihad islamica palestinese che opera all’interno della Striscia di Gaza.

“Un’analisi compiuta dai sistemi operativi dell’IDF [l’esercito israeliano] indica che una raffica di razzi è stata lanciata da terroristi a Gaza, passando in prossimità dell’ospedale Al Ahli di Gaza nel momento in cui è stato colpito”, ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu in un post sui social media.

Le informazioni provenienti da molteplici fonti che in nostro possesso indicano che la Jihad islamica è responsabile del fallito lancio di un razzo che ha colpito l’ospedale di Gaza”.

Il portavoce militare israeliano, il contrammiraglio Daniel Hagari, ha detto ai giornalisti che i razzi lanciati dalla PIJ sono passati vicino all’ospedale al momento dell’attacco che, secondo lui, ha colpito il parcheggio della struttura.

Hagari ha affermato che non c’è stato alcun attacco diretto sulla struttura e che le riprese dei droni militari hanno mostrato “una sorta di impatto nel parcheggio”.

Ha detto che in effetti nel momento dell’esplosione all’ospedale i militari avevano un’operazione dell’aeronautica israeliana in corso nell’area “ma è stato impiegato un tipo diverso di munizioni che non… si adatta al filmato che abbiamo [dell’] ospedale”.

Cosa dice PIJ?

La PIJ ha respinto l’accusa israeliana secondo cui sarebbe stata responsabile dell’attacco.

In un comunicato ha affermato: “Il nemico sionista sta facendo del suo meglio per eludere le proprie responsabilità per il brutale massacro commesso con il bombardamento dell’Ospedale nazionale arabo battista di Gaza attraverso la sua consueta fabbricazione di bugie e puntando il dito contro il movimento della Jihad islamica in Palestina”.

Il comunicato prosegue: “Affermiamo quindi che le accuse avanzate dal nemico sono false e infondate”

Imran Khan, giornalista di Al Jazeera, ha notato che alcuni osservatori hanno messo in dubbio la versione israeliana degli eventi e inoltre hanno sottolineato che Israele ha una lunga storia di false attribuzioni degli atti compiuti dalle sue stesse forze a gruppi armati palestinesi.

Martedì Khan ha affermato; “Abbiamo già visto questo tipo di cose da parte degli israeliani”.

Prendiamo ad esempio l’uccisione della nostra collega Shireen Abu Akleh. All’inizio gli israeliani hanno incolpato i combattenti all’interno del campo di Jenin per la sua morte. Solo più tardi hanno ammesso che era stato uno di loro”.

(Traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




L’ordine israeliano di evacuazione non è altro che una copertura per la pulizia etnica

Yara Hawari

16 ottobre 2023 – Al Jazeera

L’ordine offre la copertura al governo israeliana per commettere atrocità di massa, impadronirsi delle terre e continuare la Nakba cominciata nel 1948.

Il 12 ottobre, dopo giorni di bombardamenti, il governo israeliano ha ordinato a 1,1 milioni di palestinesi che vivono nel nord della Striscia di Gaza, che comprende Gaza City, l’area urbana più popolata al mondo, di spostarsi a sud del territorio assediato. Ha promesso che per 24 ore le strade saranno sicure per coloro che vogliano fuggire dall’imminente invasione di terra. Molti hanno cominciato subito a spostarsi verso sud a piedi, altri sono saliti sui camion e i “fortunati” si sono ammassati sulle proprie auto.

Israele bombarda da giorni le strade della parte settentrionale della Striscia, rendendo lento e faticoso ogni tentativo di evacuazione. Peggio ancora, ci sono state segnalazioni secondo cui il governo israeliano avrebbe infranto la promessa e preso di mira i convogli che si spostavano verso sud. Secondo il Ministero della Sanità palestinese il 13 ottobre un attacco israeliano sulla strada Salah al-Din, una delle arterie principali del territorio sovraffollato e temporaneamente dichiarata “sicura” dall’esercito israeliano, ha ucciso 70 persone che stavano tentando di fuggire verso sud.

Alla fine molti sono fuggiti, ma molti di più non ci sono riusciti. Alcuni non sono in grado di muoversi, perché disabili o feriti. In diversi ospedali medici e infermieri si stanno rifiutando di abbandonare i pazienti che non è possibile spostare. Ci sono anche altri che si rifiutano di partire perché temono l’esilio permanente.

Il trauma della Nakba del 1948, quando 750.000 palestinesi furono permanentemente esiliati dalle loro case, non ha mai abbandonato i palestinesi. Questo sentimento è particolarmente palpabile tra i palestinesi di Gaza, la maggior parte dei quali proviene da famiglie sfollate nel 1948.

Il governo israeliano lo sa. Sa anche che spostare nel giro di poche ore 1,1 milioni di persone in uno spazio come Gaza è logisticamente impossibile. Ma l’ordine di evacuazione serve al suo scopo: fornisce al governo israeliano la copertura per commettere atrocità di massa sfruttando la menzogna ripetuta da anni secondo cui Hamas fa uso di scudi umani.

Le agenzie internazionali hanno chiarito che l’ordine di evacuazione non esonera il governo israeliano dai suoi obblighi e responsabilità ai sensi del diritto umanitario internazionale e hanno invitato i leader israeliani a revocarlo. Tuttavia, da parte sua il governo israeliano non ha fatto grandi sforzi per nascondere il fatto che questo ordine di evacuazione o i suoi piani più ampi per Gaza sono un tentativo di pulizia etnica. Nel corso della scorsa settimana vari ministri e politici israeliani hanno invocato l’eliminazione di Gaza utilizzando un linguaggio disumanizzante. Il ministro della Difesa israeliano ha addirittura definito i palestinesi di Gaza “animali umani”.

Nel frattempo gli Stati Uniti stanno spingendo l’Egitto affinché consenta un corridoio umanitario tra Gaza e la penisola del Sinai attraverso il valico di frontiera di Rafah. Sebbene sia fondamentale che venga compiuto ogni sforzo per aiutare le persone a sfuggire ai bombardamenti e affinché gli aiuti vengano consegnati, il timore è che chiunque sia costretto a lasciare Gaza adesso possa finire per essere permanentemente esiliato. Questa non è una paura irrazionale, poiché si è verificato continuamente nel corso della storia palestinese. In effetti il governo israeliano ha persistentemente ignorato varie convenzioni internazionali che regolano i diritti dei rifugiati, comprese quelle che riconoscono il loro diritto al ritorno alle proprie case. Si stima che più di sette milioni di palestinesi vivano attualmente in esilio permanente e non abbiano il permesso di tornare, e in molti casi nemmeno di visitare, la propria patria.

Mentre i palestinesi nel nord di Gaza prendono la decisione impossibile se restare nelle proprie case o rischiare di tentare l’evacuazione, il governo israeliano sta preparando un’invasione di terra. Centinaia di carri armati israeliani sono stati spostati lungo la recinzione israeliana che ha ingabbiato i palestinesi a Gaza per così tanto tempo.

Nel frattempo politici e generali dell’esercito israeliani stanno fomentando discorsi deliranti. Per sollevare il morale tra i soldati hanno anche coinvolto un criminale di guerra israeliano, che partecipò al massacro di Deir Yassin del 1948. Ha detto loro “cancellatene il ricordo… Cancellate loro, le loro famiglie, madri e figli. Questi animali non possono più vivere”.

Tutto ci dice che l’invasione sarà spietata. Il pretesto di voler spazzare via “i vertici della leadership politica e militare di Hamas” è esattamente ciò: un pretesto. L’invasione fornirà al governo israeliano l’opportunità di conquistare la parte settentrionale di Gaza e spingere i palestinesi in una prigione ancora più piccola o, per molte migliaia di loro, oltre i confini di Gaza. Comunque la si guardi, la situazione può essere descritta solo come una pulizia etnica e la continuazione della Nakba iniziata nel 1948.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autrice e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Yara Hawari è esperta di politica palestinese per Al-Shabaka, The Palestinian Policy Network (Rete di Politica Palestinese).

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)