Germania, da molto tempo hai tradito la tua responsabilità

Amira Hass

16 ottobre 2023 – Haaretz

Giovedì scorso il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha detto che “la sofferenza e le difficoltà della popolazione civile nella Striscia di Gaza non faranno che aumentare. Hamas è responsabile anche di questo.” Ma esiste qualche limite a questo aumento di sofferenza, dato che tu e i tuoi colleghi in occidente avete espresso un sostegno illimitato a Israele?

Acconsentirai all’uccisione di 2.000 bambini palestinesi? 80.000 anziani che potrebbero morire di disidratazione perché a Gaza manca l’acqua sono ai tuoi occhi un legittimo aumento della sofferenza?

Hai anche detto: “la nostra storia, la nostra responsabilità che deriva dall’Olocausto ci obbliga per sempre a schierarci per l’esistenza e la sicurezza dello Stato di Israele.”

Ma, Scholz, vi è una contraddizione tra questa affermazione e quella citata prima.

La sofferenza…non farà che aumentare” è dare carta bianca ad un Israele ferito ed offeso per polverizzare, distruggere e uccidere senza limiti e rischia di trascinare tutti noi in una guerra regionale, se non in una terza guerra mondiale, che danneggerebbe anche la sicurezza e l’esistenza di Israele. Ma “la responsabilità che deriva dall’Olocausto” significa fare tutto il possibile per impedire la guerra, che conduce a disastri che portano a guerre che aumentano le sofferenze, in un ciclo senza fine.

L’ho imparato da mio padre, un sopravvissuto ai carri bestiame tedeschi. Nel lontano 1992 ogni volta che ritornavo da Gaza con i rapporti sull’oppressione israeliana dei suoi abitanti lui mi diceva: “E’ vero, questo non è un genocidio come quello che abbiamo subito noi, ma per noi è finito dopo cinque o sei anni. Per i palestinesi le sofferenze sono continuate incessantemente per decenni.” E’ una continua Nakba.

Voi tedeschi da molto tempo avete tradito la vostra responsabilità, quella “che deriva dall’Olocausto” – cioè dall’assassinio delle famiglie dei miei genitori, tra le altre, e dalla sofferenza dei sopravvissuti. Avete tradito a causa del vostro appoggio senza riserve ad un Israele che occupa, colonizza, priva le persone dell’acqua, ruba la terra, imprigiona due milioni di gazawi in una gabbia sovraffollata, demolisce le case, espelle intere comunità dalle proprie case e incoraggia la violenza dei coloni.

E tutto questo è avvenuto dopo il cosiddetto accordo di pace che voi e altri leader occidentali avete sostenuto. Avete permesso a Israele di agire all’opposto di questo accordo nella sua interpretazione europea – come un percorso verso la creazione di uno Stato palestinese nei territori occupati da Israele nel 1967 e che molti palestinesi hanno appoggiato proprio per il loro desiderio di impedire ulteriori sofferenze e spargimento di sangue.

Non mancano diplomatici e dipendenti delle agenzie di sviluppo che hanno riferito di come centinaia di migliaia di giovani palestinesi abbiano perso ogni speranza e ogni senso della propria vita sotto l’arrogante oppressione di Israele e le sue uccisioni di civili – a volte alla spicciolata, a volte a ondate. Gli attivisti palestinesi per i diritti umani hanno messo in guardia più volte che la politica di Israele poteva solo condurre ad un’eruzione di proporzioni inimmaginabili. Anche attivisti contro l’occupazione israeliani ed ebrei vi hanno avvertiti.

Ma voi vi siete arroccati sulla vostra strada, mandando a Israele il messaggio che tutto andava bene – che nessuno lo avrebbe punito o avrebbe spiegato agli israeliani attraverso convincenti passi diplomatici e politici che non può esserci normalità insieme all’occupazione. E allora voi accusate chi critica Israele di antisemitismo.

No, questo articolo non vuole giustificare l’orgia di assassinii e di sadismo che le milizie armate di Hamas hanno perpetrato. E non è una giustificazione delle reazioni esultanti di alcuni palestinesi e del rifiuto di altri di condannare le atrocità commesse in loro nome.

E’ piuttosto una richiesta a voi perché fermiate l’attuale campagna di morte e distruzione prima che provochi un’altra catastrofe per milioni di israeliani, palestinesi, libanesi e forse anche cittadini di altri Paesi residenti nella regione.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Striscia di Gaza: 371 massacri commessi da Israele contro famiglie palestinesi

Redazione di MEMO

17 ottobre 2023 – Middle East Monitor

Ieri l’ufficio dei media governativi a Gaza ha affermato che dall’inizio dell’aggressione contro la Striscia di Gaza il 7 ottobre l’occupazione israeliana ha commesso 371 massacri contro famiglie palestinesi, le cui case sono state bombardate mentre vi si trovavano senza un precedente avvertimento o preavviso, provocando 1981 martiri, per la maggior parte minori e donne.

Secondo l’ufficio dei media governativi, il numero dei martiri varia in ogni massacro.

Alcune di queste famiglie sono state completamente cancellate dall’anagrafe, come accaduto per le famiglie Shihab, Al-Najjar, Al-Muqaranah, Nawfal e Al-Dallu, ha aggiunto.

L’ufficio ha spiegato in un comunicato stampa che il grande numero di massacri in questo breve periodo di tempo mostra la brutalità ed il livello criminale dell’occupazione israeliana e l’intensità dei bombardamenti che hanno colpito interi quartieri residenziali. Tale numero rivela anche il fallimento della comunità internazionale, che è rimasta in silenzio di fronte a questi massacri contro civili innocenti e privi di difesa.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




L’invasione di terra a Gaza è una catastrofe annunciata

Gideon Levy

15 ottobre 2023, Haaretz

Israele sta per lanciare una catastrofica invasione di terra nella Striscia di Gaza – o l’avrà già iniziata quando apparirà questo articolo. L’invasione rischia di finire in un fallimento di portata tale che Israele e Gaza non hanno mai sperimentato. Le immagini provenienti da Gaza negli ultimi giorni sembrerebbero un trailer. Potremmo assistere ad un massacro di massa.

Un gran numero di soldati israeliani verrebbe ucciso inutilmente. Gli abitanti di Gaza si troverebbero ad affrontare una seconda Nakba, i cui primi segnali sono già evidenti sul campo. Nessuno potrebbe uscire vincente da questi orrori.

Di ora in ora le immagini provenienti da Gaza si fanno più terrificanti. I media israeliani, ormai arruolati nella lotta, tradiscono il loro ruolo impedendo al loro pubblico di vedere quello che sta realmente accadendo.

Si accontentano delle noiose e interminabili chiacchiere dei generali.

Ma il fatto che Israele non mostri quanto avviene a Gaza non significa che non vi sia in corso una catastrofe. Sabato più di un milione di persone, metà delle quali bambini, sono fuggite per salvarsi la vita o sono rimaste in un gesto suicida nelle loro case bombardate.

Anziani, donne, bambini, disabili, malati sono fuggiti verso sud, a piedi, sui cofani delle auto, sugli asini o in motocicletta, con pochissimi beni. Le persone si stanno dirigendo verso la loro rovina e lo sanno.

Non c’è nessuno nell’enorme corteo diretto a sud che creda di avere ancora una casa in cui tornare. Non c’è nessuno a cui non vengano in mente le scene della Nakba vissute dalle loro famiglie della generazione precedente, 75 anni fa. Sabato Gaza somigliava al Nagorno-Karabakh.

Dove andranno i palestinesi di Gaza? Dove si nasconderanno? Dove troveranno rifugio? In mare, forse. Non c’è elettricità né acqua, medicine o internet.

Questa espulsione è una punizione collettiva di massa che offre una premonizione di ciò che avverrà.

Israele sostiene che dal nord della Striscia di Gaza Hamas deve essere spazzato via, e poi si sposterà a sud. A due milioni di persone, o a quelle che rimarranno in vita, verrà quindi ordinato di fuggire di nuovo al nord per ripulire il sud.

La missione sarà compiuta. Le forze di difesa israeliane prenderanno nota della massa di vittime provocata e affermeranno che la maggior parte di esse faceva parte di Hamas. Si dirà che ogni adolescente era membro di Hamas. Più di 600 minori palestinesi sono stati uccisi già sabato pomeriggio, prima di qualsiasi invasione di terra. Non erano di Hamas.

Israele avrà vinto. Gaza sarà rasa al suolo. La rete di tunnel sotterranei di Hamas verrà sgombrata. Gli animali umani saranno assassinati. Il tanfo di morte che si alzerà dalla Striscia si mescolerà alle scene di chi muore di fame e di chi sta per morire negli ospedali stracolmi.

E il mondo continuerà a sostenere Israele. Israele è stato barbaramente attaccato e non aveva alternative. Gli ostaggi israeliani potrebbero pagarne il prezzo con la vita.

E il mattino spunterà su una Gaza in rovina. E poi cosa? Chi vi assumerà le redini del governo? Rappresentanti dell’Agenzia Ebraica [ente parastatale israeliano, ndt.]? Collaborazionisti di Gaza? E cosa ci guadagnerà Israele? E questo per non parlare di una guerra su più fronti che potrebbe anche scoppiare e cambiare completamente le regole del gioco.

Israele si sta imbarcando in un’operazione militare pericolosa e senza alcuna prospettiva di successo. Può chiedere al suo alleato a Washington cosa hanno prodotto le insensate guerre intraprese dall’America per cambiare i regimi nel mondo, quante persone sono state uccise inutilmente e chi ha preso il potere con le armi americane. Ma non abbiamo bisogno dell’America e nemmeno di pensare alla catastrofe palestinese per capire che siamo sulla soglia di un disastro storico anche per Israele.

Se questa missione verrà effettivamente portata a termine, e Israele ribalterà i governanti e gli abitanti della Striscia di Gaza, la cosa rimarrà impressa per generazioni nella coscienza del mondo arabo, del mondo musulmano e del Terzo Mondo. Una seconda Nakba impedirebbe a centinaia di milioni di persone in tutto il mondo di accettare Israele. Potrebbero esserci alcuni regimi arabi che all’inizio darebbero prova di moderazione, ma l’opinione pubblica nei loro Paesi non permetterebbe di mantenere a lungo tale moderazione.

Il prezzo verrebbe pagato da Israele, e sarà più alto di quanto Israele attualmente pensi. Israele sta per imbarcarsi in una guerra catastrofica –potrebbe persino averlo già fatto.

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Il mito Israeliano dell'”esercito più etico” al mondo

Neve Gordon

16 ottobre 2023 – Al jazeera

La manipolazione del diritto internazionale consente a Israele di eludere la condanna per i suoi crimini di guerra.

Mentre Israele ordinava a un milione e centomila palestinesi, molti dei quali figli e nipoti di rifugiati, di lasciare le loro case nel nord di Gaza prima delloffensiva di terra, mi sono chiesto quante altre uccisioni e distruzioni saranno necessarie per soddisfare questa pulsione di morte.

Israele intende chiaramente infliggere una punizione in seguito al terribile attacco di Hamas. Nellimmaginario israeliano il 7 ottobre sarà ricordato per sempre come il giorno in cui Hamas massacrò più di 1.300 persone. I combattenti di Hamas sono entrati negli insediamenti e nelle città israeliane uccidendo centinaia di bambini, uomini e donne. L’attacco ad un festival musicale nel deserto ha causato la morte di oltre 250 israeliani.

Dal punto di vista giuridico questi attacchi costituiscono una serie di crimini di guerra palesi ed eclatanti e quindi è naturale che i leader di tutto il mondo li abbiano denunciati come atroci atti di violenza.

Tuttavia, lattacco di Israele a edifici e infrastrutture civili e luccisione di più di 2.300 bambini, uomini e donne palestinesi è stato accolto dal silenzio dei leader occidentali. Inoltre, la decisione di Israele di tagliare lelettricità, limitare la fornitura dacqua e radere al suolo gran parte della Striscia di Gaza non ha suscitato quasi alcuna critica da parte dellOccidente, anche se queste azioni costituiscono anchesse flagranti crimini di guerra.

Per capire perché la morte di civili palestinesi non riesca a generare indignazione morale tra le élite occidentali e cosa probabilmente accadrà ai palestinesi di Gaza quando le truppe israeliane attraverseranno il confine dobbiamo dare uno sguardo alle narrazioni israeliane dominanti in occasione degli assalti passati.

Nel 2014, ad esempio, durante linvasione israeliana di Gaza, furono uccisi più di 2.200 palestinesi, 556 dei quali minorenni a confronto con i 64 israeliani uccisi in quell’ondata di violenza.

Allora, come è possibile che, anche dopo che Israele ebbe scatenato nel 2014 una violenza così sproporzionata e letale, lOccidente continuasse a credere quasi all’unanimità che lesercito israeliano sia lesercito più etico al mondo, mentre i palestinesi sono stati inesorabilmente considerati aggressori violenti? Perché i leader occidentali non denunciano mai pubblicamente Israele per crimini di guerra?

La risposta è complessa perché ci sono diversi fattori in gioco. Ma uno di questi è la manipolazione incredibilmente astuta del diritto bellico da parte di Israele, che ha contribuito con successo a inquadrare la violenza israeliana come etica.

Le manipolazioni giuridiche di Israele si basano su una serie di ambiguità ed eccezioni all’interno del diritto internazionale, che rivelano come le leggi di guerra favoriscano gli Stati rispetto agli attori non statali e i forti rispetto ai deboli e di conseguenza potrebbero non essere lo strumento migliore per proteggere i civili a Gaza.

Facciamo alcuni esempi concreti. Gli ordini permanenti dati ai soldati che entrarono nella Striscia di Gaza nel 2014 erano chiari: i palestinesi che non avevano prestato ascolto agli avvertimenti di Israele di evacuare le loro case e fuggire a sud diventavano obiettivi militari legittimi. Un soldato ha spiegato allorganizzazione israeliana Breaking the Silence che:

In realtà non cerano regole di ingaggioCi dissero: non dovrebbero esserci civili. Se vedete qualcuno, sparate. Se la persona rappresentasse o meno una minaccia non era nemmeno messo in discussione; e questo per me ha un significato. Se spari a qualcuno a Gaza è ok, non è un grosso problema. Prima di tutto perché è Gaza, e in secondo luogo perché questa è una guerra. Anche questo ci venne chiarito: ci dissero: ‘non abbiate paura di sparare, e misero in chiaro che non esistevano civili non conniventi”.

Si potrebbe pensare che un ordine militare che consenta di sparare indiscriminatamente contro i civili sarebbe considerato illegale ai sensi del diritto internazionale, in particolare alla luce del principio di distinzione (il fondamento del diritto bellico che invita le parti in guerra a distinguere in ogni momento tra civili e combattenti e vieta lattacco intenzionale ai civili) e dato che oltre la metà dei 2,3 milioni di palestinesi che attualmente vivono nella Striscia di Gaza sono minorenni.

Lironia è che Israele in realtà utilizza il diritto di guerra per presentarsi come attore morale. Come ha fatto allinizio di questa settimana, nel 2014 lesercito israeliano ordinò a centinaia di migliaia di palestinesi di lasciare le loro case e di viaggiare verso sud ben sapendo che tra coloro che vivono nella zona ci fossero migliaia di anziani e malati e che il lasso di tempo concesso per liberare l’area non sarebbe stato sufficiente.

Ma Israele sa anche che avvertire i civili palestinesi e ordinare loro di andarsene gli permetterà di negare lesistenza stessa dei civili nel nord di Gaza. Questo è esattamente il significato della frase non ci sono civili non conniventi, poiché marchia tutti coloro che sono rimasti nella zona (anche se i civili sono ancora la maggioranza e non possono andarsene, come hanno affermato le Nazioni Unite sullattuale situazione) come partecipanti alle ostilità” o come scudi umani volontari. Secondo alcune interpretazioni del diritto di guerra tale terminologia rende questi civili “passibili di uccisione”.

E poiché la pretesa di eticità si basa sul rispetto delle leggi di guerra la violenza letale che i soldati israeliani usano contro i civili che rimangono nelle loro case viene quindi congegnata come moralmente giustificabile e persino etica.

Accanto a questa visione giuridica Israele diffonde anche una narrazione coloniale che presenta i palestinesi come animali umaniche non comprendono le leggi della guerra. Combinando questi cliché coloniali e il gergo giuridico si inquadrano i palestinesi come barbari immorali che meritano di morire. Questa mossa retorica, a sua volta, interpreta i soldati israeliani come lopposto, vale a dire, i combattenti civilizzati” e morali.

Inoltre, il collegamento del diritto internazionale con i luoghi comuni coloniali, o quello che potremmo chiamare una visione giuridico-coloniale, aiuta a giustificare lesecuzione di gravi violenze. Circa un mese fa il programma 60 Minutes della CBS News ha intervistato Shira Etting, una pilota israeliana attiva nelle proteste contro i tentativi del governo del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu di riformare la giustizia israeliana. Se si pretende che i piloti possano alzarsi in volo per lanciare bombe e missili sulle case sapendo che potrebbero uccidere bambini, ha detto, è indispensabile che essi abbiano la massima fiducia nei [politici] che prendono quelle decisioni”.

Etting non concepisce in alcun modo una intenzionalità nell’uccisione di minori. Eppure riconosce che quando lei e i suoi colleghi piloti partono per una missione nei cieli di Gaza sanno che può benissimo finire, come spesso capita, che i missili lanciati uccidano dei civili.

In altre parole, i piloti israeliani, come Etting, sanno quando sganciano massicci bombardamenti sui centri urbani di uccidere dei minorenni ma non avendo intenzionedi ucciderli, il diritto internazionale così come i media come CBS News e i leader occidentali considerano le loro azioni moralmente integre. Questo nonostante il bombardamento effettuato da questi piloti abbia provocato la morte di un numero esponenzialmente maggiore di civili, compresi minorenni, rispetto a un attacco di Hamas. I media occidentali li dipingono come eroi che non intendevano uccidere i non combattenti, evenienza eufemisticamente chiamata danno collaterale”.

Si noti tuttavia che allinterno di questa visione giuridico coloniale non sono solo gli autori della violenza ad essere considerati differenti sul piano etico, ma anche le vittime di questa violenza. Le vittime israeliane hanno nomi e storie di vita che sono state tragicamente interrotte. Queste vittime, in altre parole, vengono presentate come persone degne di essere compiante.

Al contrario, le vittime palestinesi restano senza nome; e tendono a essere presentate come semplici numeri piuttosto che come esseri umani in carne ed ossa le cui vite meritino di essere ugualmente compiante. Anche questo contribuisce a perpetuare il mito dellesercito israeliano come etico.

In definitiva, quindi, non solo coloro che utilizzano le armi dei forti sono considerati più etici perché uccidono persone innocenti a distanza, ma anche perché il discorso giuridico coloniale considera le persone uccise come animali umani”, danno collateraleo come dati statistici.

Finché i morti saranno disumanizzati in questo modo e, di conseguenza, presentati come indegni di essere compianti, la pulsione di morte continuerà senza sosta. Questa, temo, è la ricetta per una punizione genocida.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono allautore e non riflettono necessariamente la posizione editoriale di Al Jazeera.

Neve Gordon è docente di diritto internazionale alla Queen Mary University di Londra. È anche autore di Israel’s Occupation [L’occupazione israeliana, ndt.] e coautore di The Human Right to Dominate [Il diritto umano di dominare, ndt.].

[traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Israele distrugge a Gaza 22.639 unità abitative, 10 strutture sanitarie e 48 scuole

Redazione di MEMO

11 ottobre 2023 (aggiornato il 12) – Middle East Monitor

Da sabato gli aerei da guerra israeliani hanno distrutto 22.639 unità abitative, 10 strutture sanitarie e 48 scuole.

Istituzioni locali riferiscono che gli aerei da guerra israeliani hanno completamente distrutto 168 edifici, mentre 12.630 unità abitative sono state parzialmente demolite, incluse 560 unità che sono diventate inabitabili.

Dieci strutture sanitarie sono state bombardate, inclusi sette ospedali, mentre 12 ambulanze sono state colpite direttamente e 48 scuole sono state parzialmente o gravemente danneggiate.

Secondo queste fonti, 70 rifugi ospitano correntemente 187.000 persone che sono state sfollate dai bombardamenti israeliani in corso sulla Striscia di Gaza.

A partire da mercoledì il bilancio dei morti palestinesi è salito a 900, inclusi sette giornalisti,[aggiornato al 12 ottobre i morti sono 1417 dati Onu, ndt]  mentre il numero di feriti ha raggiunto i 4.500,[6268 ultimo aggiornamento dati ONU,ndt] cinque dei quali tra il personale medico.

(traduzione dall’inglese di Gianluca Ramunno)




Cosa c’è da sapere riguardo al mortale attacco di Hamas contro un festival musicale israeliano

Redazione di Al Jazeera

10 ottobre 2023 – Al Jazeera

Almeno 260 persone sono morte durante il festival musicale Supernova dopo che dei combattenti sono arrivati su furgoni e motociclette, indossando giubbotti antiproiettile e brandendo mitra AK-47.

Sabato in migliaia sono stati testimoni di un massacro durante un festival musicale israeliano quando combattenti di Hamas hanno ucciso almeno 260 persone e portato ostaggi all’interno di Gaza.

Ecco quello che se ne sa:

Cos’è successo e quando?

Circa 3.500 giovani erano presenti al festival musicale Supernova, diventato uno dei primi obiettivi degli uomini armati palestinesi che hanno attraversato la barriera di confine di Gaza sabato alla mattina presto da Gaza.

Immagini video circolate sulle reti sociali mostrano uomini armati scendere con parapendii sull’evento. Altri sono arrivati via terra.

Decine di combattenti di Hamas hanno aperto il fuoco sui giovani israeliani che erano arrivati insieme per una notte di musica elettronica per celebrare la festività ebraica di Sukkot.

Filmati realizzati dai primi soccorritori israeliani e postati sulla rete sociale Telegram mostrano uomini armati che si lanciano sulla folla presa dal panico, falciando le persone in festa con raffiche di armi automatiche.

Molte vittime sono state colpite alla schiena mentre scappavano.

Secondo i partecipanti alla festa, mentre piovevano razzi, alcuni combattenti si sono diretti verso il luogo dove si svolgeva il festival mentre altri aspettavano nei pressi dei rifugi antimissile, abbattendo persone che vi cercavano riparo.

Si ritiene che l’attacco di sabato sia il peggior massacro di civili nella storia di Israele.

 Dov’è successo?

La festa si svolgeva in un campo sterrato fuori dal kibbutz di Re’im, a circa 5,3 kilometri dal muro che separa Gaza dal sud di Israele.

Quante vittime?

I servizi d’emergenza israeliani affermano che nel sito del festival sono stati recuperati 260 corpi.

Tuttavia gli organizzatori del festival affermano che stanno aiutando le forze di sicurezza israeliane a individuare i partecipanti che risultano ancora dispersi. Il bilancio dei morti potrebbe salire in quanto ci sono squadre che continuano a perlustrare la zona.

Cos’altro sappiamo riguardo ai combattenti di Hamas che stanno dietro a quanto successo?

Molti dei combattenti, arrivati anche con furgoni e motociclette, indossavano giubbotti antiproiettile e brandivano mitragliette Ak-47 e lanciagranate.

Cosa dicono le vittime?

“Ci siamo nascosti e messi a correre, nascosti e messi a correre, in un campo aperto, il posto peggiore in cui ti possa trovare in quella situazione,” ha detto Arik Nani di Tel Aviv, che era andato alla festa per festeggiare il suo ventiseiesimo compleanno.

“Per un Paese in cui tutti conoscono tutti in quel giro è un trauma che non avrei mai immaginato,” ha detto Maya Alper, 25 anni, all’Associated Press.

“Non posso neppure spiegarmi l’energia che loro (i miliziani) hanno avuto. Era così evidente che non ci vedevano come esseri umani,” afferma. “Ci guardavano con odio, puro odio.”

Elad Hakim, fuggito con altri amici su un’auto da corsa, dice che “era sicuro che sarebbero stati rapiti.”

“Ho scritto ai miei genitori, ho inviato al mio amico una registrazione per dire ai miei genitori che non avevo sofferto e che era… sarebbe andato tutto bene.”

Zohar Maariv, 23 anni, che vive sul confine con Gaza afferma di aver sentito durante l’attacco che “quella era la fine.”

“Vivo sul confine con Gaza e ne ho viste di cose durante la mia vita, ma non lo avevo mai provato così da vicino,” afferma Maariv, che ha dovuto saltare giù dall’auto con cui stava scappando quando è finita sotto un fuoco incrociato.

“Non mi ero mai sentita così vicina alla morte,” aggiunge.

Fonte: Al Jazeera e agenzia di notizie.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




L’operazione Al-Aqsa ha cambiato il rapporto tra Palestina e Israele 

Ramzy Baroud

10 ottobre 2023 Middle East Monitor

A prescindere dalla precisa strategia del Movimento di Resistenza Islamico Palestinese, di Hamas, o di qualsiasi altra fazione palestinese in generale, l’audace campagna militare all’interno di Israele di sabato 7 ottobre è stata possibile solo perché i palestinesi sono semplicemente stufi. Israele, ricordiamolo, ha imposto alla Striscia di Gaza un assedio totale da 17 anni.

La storia dell’assedio è per lo più presentata in due modi nettamente diversi. Per alcuni si tratta di un atto disumano di “punizione collettiva”; per altri è un male necessario affinché Israele possa proteggersi dal cosiddetto terrorismo palestinese. Nel racconto, tuttavia, manca del tutto il fatto che 17 anni sono sufficienti perché un’intera generazione cresca sotto assedio, si arruoli nella Resistenza e combatta per la libertà.

Secondo Save the Children, quasi metà dei 2,3 milioni di palestinesi che vivono oggi a Gaza sono minori. La cosa è spesso citata per definire la sofferenza di una popolazione che non è mai uscita dalla piccola e impoverita Striscia di 365 chilometri quadrati [corrispondente alla provincia di Prato, ndt.]. Di nuovo, anche se i numeri possono sembrare precisi, vengono spesso utilizzati per raccontare una piccola parte di una storia complessa.

Questa generazione di Gaza, cresciuta o nata dopo l’imposizione dell’assedio, ha vissuto almeno cinque importanti e devastanti guerre, in cui bambini come loro, insieme alle loro madri, ai padri e fratelli sono stati il bersaglio principale e quindi le vittime principali.

Nemmeno i tentativi di protestare pacificamente contro l’ingiustizia dell’assedio radunandosi in gran numero presso la recinzione che separa Gaza assediata da Israele sono stati autorizzati dallo Stato occupante. Le proteste di massa, conosciute come la Grande Marcia del Ritorno hanno ricevuto come risposta i proiettili dei cecchini israeliani. Immagini di giovani che trasportavano altri giovani che sanguinavano per ferite da arma da fuoco e gridavano “Dio è grande” erano diventate una scena normale lungo la recinzione. Man mano che le vittime aumentavano, nel tempo l’interesse dei media per la storia semplicemente svaniva.

Le centinaia di combattenti che all’alba di sabato scorso sono entrate in Israele attraverso quattro diversi punti di ingresso erano gli stessi giovani palestinesi che non conoscono altro che la guerra, l’assedio e il bisogno di proteggersi a vicenda. Hanno anche imparato a sopravvivere a tutti i costi, nonostante la scarsità o la totale mancanza di quasi tutto a Gaza, comprese l’acqua pulita e un’adeguata assistenza medica.

È qui che la storia di questa generazione si interseca con quella di Hamas, della Jihad islamica e di altri gruppi palestinesi.

Certo, Hamas ha scelto i tempi e la natura della sua campagna militare inserendola in una strategia molto precisa. Questo, tuttavia, non sarebbe stato possibile se Israele non avesse lasciato a questi giovani palestinesi altra scelta se non quella di contrattaccare.

I video che circolavano sui social media mostravano combattenti palestinesi che urlavano in arabo, con quel caratteristico, spesso aspro accento di Gaza: “Questo è per mio fratello” e “Questo è per mio figlio”. Hanno gridato queste e molte altre affermazioni rabbiose mentre sparavano contro coloni e soldati israeliani in preda al panico. Molti di questi ultimi, a quanto pare, avevano abbandonato le loro postazioni e si erano dati alla fuga.

L’impatto psicologico di questa guerra supererà sicuramente quello dell’ottobre 1973, quando gli eserciti arabi ottennero rapide conquiste contro Israele, anche allora a seguito di un attacco a sorpresa. Questa volta l’impatto devastante sul pensiero collettivo israeliano si rivelerà essere un punto di svolta, dal momento che la “guerra” coinvolge un solo gruppo palestinese, non un intero esercito o tre messi insieme.

L’attacco a sorpresa dell’ottobre 2023, tuttavia, è direttamente collegato alla guerra arabo-israeliana dell’ottobre 1973. Scegliendo il cinquantesimo anniversario di quello che gli arabi considerano un grande trionfo contro Israele, la Resistenza palestinese ha voluto inviare un messaggio chiaro: la causa palestinese è ancora la causa di tutti gli arabi. Tutte le dichiarazioni rilasciate dagli alti comandanti militari e dai leader politici di Hamas erano cariche di questo simbolismo e di altri riferimenti ai paesi e ai popoli arabi.

Il discorso pan-arabo non è casuale ed è comparso nelle dichiarazioni di Mohammed Deif, comandante delle brigate Al-Qassam, di al-Arouri comandante fondatore di Al-Qassam Saleh, del capo dell’Ufficio politico di Hamas Ismail Haniyeh e di Abu Obeida, il portavoce mascherato delle Brigate. Tutti hanno esortato all’unità e hanno insistito sul fatto che la Palestina non è che una componente di una più ampia lotta araba e islamica per la giustizia, la dignità e l’onore collettivo. Hamas ha chiamato la sua campagna “Al-Aqsa Flood” ricentrando l’unità palestinese, araba e musulmana attorno ad Al-Quds [nome arabo di Gerusalemme, ndt.], Gerusalemme e tutti i suoi luoghi santi.

Tutti sembravano scioccati, compreso proprio Israele, non dall’attacco di Hamas in sé ma dal coordinamento e dall’audacia di un’operazione relativamente massiccia e senza precedenti. Invece di attaccare di notte, la Resistenza ha attaccato all’alba. Invece di colpire Israele utilizzando i numerosi tunnel sotto Gaza, hanno semplicemente guidato, fatto parapendio, remato via mare e, in molti casi, attraversato a piedi il preteso confine.

L’elemento sorpresa è diventato ancora più sconcertante quando i combattenti palestinesi hanno messo in discussione i fondamenti stessi della guerriglia: invece di combattere una “guerra di manovra” hanno combattuto, anche se temporaneamente, una “guerra di posizione”, mantenendo per molte ore le aree di cui avevano ottenuto il controllo dell’interno di Israele.

In effetti, per i gruppi di Gaza, l’aspetto psicologico della guerra era essenziale quanto il combattimento fisico. Centinaia di video e immagini sono diventate virali sui social media, come se si sperasse di ridefinire il rapporto tra palestinesi, solitamente le vittime, e Israele, l’occupante militare.

L’insistenza sul non uccidere anziani e bambini è stata sottolineata dai comandanti sul campo. Questo non era destinato solo ai palestinesi. È stato anche un messaggio al pubblico internazionale, che la Resistenza Palestinese si atterrà alle regole universali della guerra.

Il numero di palestinesi che Israele uccide, e ucciderà in futuro, come rappresaglia per l’operazione Al-Aqsa sarà tragico, ma non salverà la reputazione a brandelli di un esercito indisciplinato, una società divisa e una leadership politica concentrata esclusivamente sulla propria sopravvivenza.

È troppo presto per giungere a conclusioni generali sugli esiti di questa guerra senza precedenti. Ciò che è chiarissimo, tuttavia, è che il rapporto di fondo tra l’occupazione israeliana e i palestinesi occupati di qui in poi è cambiato, probabilmente in modo permanente.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)




Guerra Israele-Palestina: questa umiliazione ha profondamente scosso la psiche degli israeliani

Tariq Dana

10 ottobre 2023 – Middle East Eye

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Non più.

La recente operazione militare contro Israele lanciata da Hamas da Gaza rappresenta un potenziale punto di svolta nel conflitto e potrebbe sostanzialmente riconfigurare le annose dinamiche di potere fra la resistenza palestinese e Israele.

Descritta da un funzionario israeliano come una “data che per la sua infamia perdurerà in Israele”, l’operazione, soprannominata in codice Alluvione Al-Aqsa è riverberata profondamente in Israele e ha sollevato timori fra i suoi alleati sia nella regione che a livello internazionale.

Il 7 ottobre i gruppi della resistenza palestinese a Gaza hanno iniziato una complessa operazione militare con lancio di razzi contro Israele, un massiccio attacco via terra che ha sfondato le barriere difensive israeliane intorno a Gaza.

I combattenti palestinesi sono riusciti a impadronirsi di colonie israeliane e siti militari confinanti con Gaza.

Secondo Hamas, l’operazione ha causato centinaia di morti e migliaia di feriti fra gli israeliani e oltre 100 ostaggi portati a Gaza. Il numero finale delle vittime israeliane potrebbe essere più elevato di quello riferito fino ad ora. 

Se non si sono ancora avvertite tutte le implicazioni, le dimensioni e il coordinamento dell’attacco suggeriscono una capacità operativa audace e avanzata della resistenza palestinese.

L’impatto psicologico sullo status quo, e la sua distruzione, è stato profondo. Israele, la sua aura di supremazia militare scossa, sta vivendo la sua peggiore sconfitta strategica di fronte alla resistenza palestinese dalla sua creazione 75 anni fa.

Umiliazione

L’operazione non ha solo ribaltato le norme stabilite che governano il conflitto di carattere coloniale, ma anche evidenziato la futilità dell’approccio che da tempo Israele ha verso i palestinesi nel mutevole contesto regionale.

Il quadro offerto dai media su questo evento, uno “shock per gli israeliani”, è rivelatore per parecchi motivi.

In primis evidenzia le crescenti capacità della resistenza palestinese di umiliare l’esercito israeliano fortemente sostenuto dagli USA. Questo livello di innovazione tattica fra i gruppi della resistenza palestinese suggerisce un cambio di paradigma.

Storicamente gli scontri fra le fazioni palestinesi e le forze israeliane hanno seguito uno schema ciclico: azioni di rappresaglia e il ritorno a uno status quo fragile, ma in qualche modo prevedibile.

Ma questa operazione è sfuggita a queste norme. Ha mostrato un livello senza precedenti di coordinamento e di pianificazione strategica, tecniche avanzate di guerra elettronica, operazioni psicologiche e tattiche di guerriglia che hanno annullato efficacemente la superiorità tecnologica e la sproporzionata potenza di fuoco di Israele.

La causa immediata di questo crollo va oltre i soli fallimenti di intelligence e sicurezza, perché questi fallimenti derivano dalle tattiche innovative impiegate dai gruppi di resistenza palestinesi.

Esse sono riuscite ad attraversare la “recinzione che uccide automaticamente” a più livelli, disattivando il suo sistema “Vedi-Spara”, una complessa rete di mitragliatrici automatiche e cecchini robot progettati per rafforzare l’area vietata.

I combattenti palestinesi hanno rapidamente smontato, eluso e neutralizzato questa costosa infrastruttura di sicurezza israeliana tanto magnificata, rendendola inefficace e permettendo ai combattenti palestinesi un accesso illimitato nei territori palestinesi sotto il controllo israeliano.

Quindi la dottrina della deterrenza israeliana è completamente crollata.

Reazione a catena

In secondo luogo la destabilizzazione psicologica seguita a questa operazione potrebbe, in molti modi, essere impattante quanto il danno fisico.

Per gli israeliani l’esercito è un motivo di orgoglio nazionale, una forza inespugnabile che garantisce la sostenibilità del progetto sionista del colonialismo di insediamento. Questa patina di invincibilità si è seriamente incrinata, sollevando domande che potrebbero avere conseguenze a lungo termine per la psiche nazionale israeliana e persino per il suo senso di identità.

L’impatto psicologico di questo evento sulla fiducia di Israele nella sua superiorità militare potrebbe potenzialmente penetrare attraverso molti aspetti della sua società. In una cultura dove il militarismo e il servizio militare obbligatorio sono profondamente intrecciati con la vita quotidiana, uno scossone di queste proporzioni potrebbe portare a una profonda crisi di fiducia tra gli israeliani.

Potrebbe avere effetti sul livello di arruolamento, sulla fiducia pubblica nella leadership politica e militare e persino sull’economia israeliana, dato che questa si fonda in modo significativo sulle esportazioni delle sue tecnologie militari e di sicurezza.

La reazione a catena di questo colpo al morale degli israeliani potrebbe essere di vasta scala, andando a colpire il tessuto complessivo della società israeliana.

Terzo, e forse il punto più importante, l’operazione serve come potente testimonianza della perdurante rilevanza e resilienza della causa palestinese sia nelle politiche regionali che in quelle internazionali, nonostante i sistematici sforzi di relegarle ai margini. 

Alcune autocrazie arabe che avevano normalizzato le relazioni con Israele si erano schierate strategicamente avevano liquidato la lotta palestinese come una questione datata e non più centrale nella politica regionale. 

Tuttavia questa audace operazione prova che la determinazione della resistenza palestinese resta cruciale, influenzando non solo le politiche regionali ma anche con ripercussioni su scala internazionale.

La lotta palestinese è spesso stata vista come la cartina al tornasole di posizioni politiche e morali nella regione, influenzando collaborazioni, alleanze e persino politiche interne di Paesi ben oltre le sue immediate vicinanze. 

La ricerca palestinese di giustizia e autodeterminazione continuerà ad avere un enorme impatto sugli affari mediorientali. La ricaduta di questa operazione potrebbe costringere attori regionali e globali a riconsiderare le politiche che hanno minimizzato le aspirazioni palestinesi.

Mentre alcuni hanno sottovalutato la centralità della causa palestinese tra le mutevoli questioni geopolitiche, gli eventi in corso hanno dimostrato che la lotta anticolonialista mantiene ancora un peso significativo nella formazione delle realtà regionali.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Tariq Dana è professore associato per i conflitti e gli studi umanitari dell’Istituto di Studi post-universitari di Doha. È anche consulente politico di Al-Shabaka, la Rete Politica Palestinese.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Israele annuncia il blocco “totale” su Gaza.

Redazione di Al Jazeera

9 ottobre 2023 – Al Jazeera

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant afferma che il blocco includerà anche la sospensione delle forniture di cibo, elettricità e carburante.

Israele ha annunciato un blocco “totale” della già assediata Striscia di Gaza, compreso lo stop a cibo e acqua dopo che Hamas ha effettuato il più grande attacco al paese da decenni.

Il ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha detto lunedì che le autorità taglieranno l’elettricità e bloccheranno l’ingresso di cibo e carburante come parte di “un assedio completo” di Gaza governata da Hamas, dove vivono circa 2,3 milioni di persone in una delle aree più densamente popolate del mondo.

Il blocco israeliano della Striscia di Gaza occupata, nella sua forma attuale, è in vigore dal giugno 2007. Israele controlla lo spazio aereo e le acque territoriali di Gaza, nonché due dei tre valichi di frontiera; il terzo è controllato dall’Egitto.

Stiamo imponendo un assedio completo a Gaza… Niente elettricità, niente cibo, niente acqua, niente gas – è tutto chiuso”, ha detto Gallant in una dichiarazione video.

Il portavoce militare capo di Israele, Daniel Hagari, ha detto lunedì ai giornalisti che Israele ha il “controllo” delle sue comunità dopo l’incursione di massa di combattenti di Hamas di sabato nel suo territorio.

Hagari ha detto che lunedì mattina si sono verificati alcuni incidenti isolati, ma che “in questa fase non ci sono combattimenti nelle comunità”.

Ha aggiunto che “potrebbero esserci ancora terroristi nella zona”.

Carri armati e droni israeliani stavano sorvegliando le aperture nella recinzione per impedire ulteriori infiltrazioni, ha detto Hagari, aggiungendo che 15 delle 24 comunità di confine sono state evacuate, mentre il resto dovrebbe essere evacuato nelle prossime 24 ore.

In precedenza il portavoce di Hamas Abdel-Latif al-Qanoua aveva dichiarato all’agenzia di stampa Associated Press che i combattenti del gruppo continuavano a combattere fuori Gaza e avevano catturato altri israeliani ancora lunedì mattina.

Ha detto che il gruppo mira a liberare tutti i prigionieri palestinesi detenuti da Israele, che in passato ha accettato accordi di scambio sbilanciati in cui ha rilasciato un gran numero di prigionieri per singoli prigionieri o addirittura spoglie di soldati.

(traduzione dall’inglese di Giuseppe Ponsetti)




Guerra Israele-Palestina: come Gaza ha ribaltato la situazione a discapito dei suoi carcerieri

David Hearst

9 ottobre 2023 – Middle East Eye

La responsabilità dell’assalto di questo fine settimana ricade su tutti coloro che da tempo hanno smesso di considerare i palestinesi come persone

Nelle ultime 48 ore uno Stato abituato a esercitare un controllo totale su sette milioni di palestinesi ha subito una drammatica inversione di ruoli.

I combattenti palestinesi hanno preso il posto dei coloni armati che terrorizzano gli abitanti dei villaggi palestinesi riuscendo a prendere il controllo di alcuni insediamenti coloniali adiacenti a Gaza.

Invece degli abitanti di Huwwara o Nablus o Jenin, traumatizzati ogni notte dagli attacchi dei coloni e dalle incursioni dellesercito israeliano, sono stati quelli di Sderot a doversi nascondere rannicchiandosi nei loro scantinati e chiedersi quando il loro esercito sarebbe giunto per proteggerli.

I combattenti palestinesi hanno sequestrato decine di soldati e civili israeliani, che ora si trovano negli scantinati di tutta Gaza.

Nessuno dovrebbe vantarsi di questo. Sono stati uccisi civili innocenti; sono state terrorizzate madri incinte e sono morti bambini. Lattacco ha travolto chiunque si trovasse sul suo cammino, indipendentemente dalle appartenenze politiche, dal sesso o dalletà.

Conosco una donna aspramente contraria al trionfalismo nazionalista religioso di destra e convinta sostenitrice dei diritti umani dei palestinesi che è stata trascinata in uno scantinato a Gaza.

Ma le scene sulle quali il mondo ha perso l’uso della parola non sono queste. Sono quelle di soldati israeliani che portano via palestinesi per farli scomparire in galera per periodi indefiniti di detenzione amministrativa.

Secondo gli ultimi rapporti a Gaza potrebbero esserci quasi 100 prigionieri. Lesercito e le forze di polizia meglio equipaggiati del Medio Oriente hanno subito perdite inaudite (lultimo bilancio, compresi i civili, è di 600 morti e più di 1.500 feriti)[al 12ott i morti israeliani sono 1200 e i feriti oltre 2700, ndt] mentre sono rimasti bloccati in violenti scontri a fuoco strada per strada nei villaggi e nelle città attorno a Gaza.

Colossale fallimento dellintelligence

Questa è la prima volta che si assiste a scene del genere dalla guerra del 1948 che diede origine alla prima Nakba e allo Stato di Israele. Per gli israeliani queste scene sono molto peggiori della guerra arabo-israeliana del 1973, scatenata quasi 50 anni fa.

Nel 1973 abbiamo combattuto con un esercito addestrato, ha detto l’esperto analista israeliano Meron Rapoport a Middle East Eye. E qui parliamo di persone che non hanno altro che un Kalashnikov. È inimmaginabile. È un fallimento militare e di intelligence dal quale Israele impiegherà molto tempo per riprendersi in termini di fiducia in sé stesso”.

Lo sfondamento della recinzione meglio difesa e sorvegliata lungo l’intero confine di Israele e unincursione di queste dimensioni insieme alla cattura del quartier generale militare della divisione dellesercito che controlla Gaza rappresentano il peggior fallimento che i servizi di intelligence israeliani hanno subito nella loro storia.

Hamas ha raggiunto l’obiettivo della totale sorpresa. La famosa unità di intelligence militare israeliana, la 8200, in grado di ascoltare ogni conversazione telefonica a Gaza è stata colta di sorpresa, così come lo Shin Bet, il servizio di sicurezza interna.

Gli israeliani si chiedono come il loro esercito abbia potuto commettere un errore talmente grande da schierare 33 battaglioni nella Cisgiordania occupata per proteggere i coloni lasciando il confine meridionale vulnerabile agli attacchi.

Tutto ciò ha innescato unonda durto delle dimensioni di uno tsunami che ha investito una nazione così abituata a impersonare i Signori della Terra. In realtà sono loro che dovrebbero far scattare le sorprese, non i loro sudditi.

Rinascere più forti

Solo due settimane fa il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha sventolato davanti allAssemblea generale delle Nazioni Unite una mappa in cui tutti i territori palestinesi erano stati cancellati.

Sono convinto che ci troviamo sulla soglia di una svolta ancora più epica: una pace storica tra Israele e Arabia Saudita. Una pace di questo tipo contribuirà notevolmente a porre fine al conflitto arabo-israeliano, ha affermato Netanyahu.

I funzionari statunitensi non la pensavano diversamente, dal momento che una figura di alto livello dellamministrazione ha affermato che da molti anni a questa parte la regione è pressoché stabile”.

Come in un unico coro Washington, Tel Aviv e Riad hanno parlato della prospettiva che lArabia Saudita firmasse un accordo di normalizzazione con Israele, quasi che questo fosse di per sé la via verso la pace.

Erano tutti diventati così convinti di escludere i palestinesi da questa equazione, come se lintera popolazione palestinese un giorno avrebbe potuto cancellare la propria bandiera e identità nazionale e avrebbe accettato il ruolo di Gastarbeiter [lavoratore ospite in tedesco, ndt.] nella terra di qualcun altro.

Ora è stato inviato un messaggio molto chiaro: i palestinesi esistono e non sono affatto in procinto di venire sottomessi.

Ogni volta che sono stati annientati come forza combattente, nel 1948, 1967, 1973 e in ogni operazione successiva, rinasceva più forte una nuova generazione di combattenti. E nessuna versione passata di Hamas o Hezbollah è più forte di quelle che Israele si trova ad affrontare oggi.

Hamas ha definito il suo attacco al sud di Israele il diluvio di Al-Aqsa per unottima ragione. Questo attacco non è venuto dal nulla.

Lo status quo di Al-Aqsa

L’8 ottobre 1990, esattamente 33 anni fa, un gruppo di coloni e i Fedeli del Monte del Tempio, un gruppo di estrema destra che pretendeva di svolgere un sacrificio rituale sul Monte del Tempio, un atto proibito dal rabbino capo di Israele, tentarono di porre una prima pietra per la costruzione del Terzo Tempio presso la Moschea di Al-Aqsa.

La popolazione palestinese della Città Vecchia oppose resistenza, lesercito israeliano aprì il fuoco e in pochi minuti vennero uccisi più di 20 palestinesi, con altre centinaia di feriti e arrestati.

Da allora i leader israeliani sono stati continuamente avvertiti di mantenere lo status quo in un luogo sacro rivendicato da entrambe le religioni, e ogni anno hanno ignorato quegli ammonimenti forzando il divieto.

E così anche oggi, quando Al-Aqsa è stata presa dassalto ripetutamente per consentire ai fedeli ebrei laccesso al sito islamico dove visite, preghiere e rituali non graditi da parte dei non musulmani sono vietati sulla base di accordi internazionali pluridecennali.

Un tempo queste violente incursioni erano opera di quelli che tra gli ebrei erano considerati gruppi marginali di estremisti. Ora non più. Adesso sono guidati da Itamar Ben Gvir, che sfila con il titolo di ministro della sicurezza nazionale israeliana.

Giorno dopo giorno, con il sostegno dei parlamentari del Likud, come Amit Halevi, viene elaborata una politica volta a dividere la moschea di Al-Aqsa tra ebrei e musulmani, proprio come fu divisa la moschea Ibrahimi a Hebron negli anni 90.

Ben Gvir, il ministro con il potere di nominare il capo della polizia israeliana, non ha risparmiato i cristiani dalle sue politiche fasciste. Quando cinque ebrei ortodossi sono stati arrestati dalla polizia con laccusa di aver sputato contro i fedeli cristiani nella Città Vecchia di Gerusalemme, il ministro ha risposto: Continuo a pensare che sputare contro i cristiani non sia un reato penale. Penso che dobbiamo intervenire attraverso listruzione e leducazione. Non tutto giustifica un arresto”.

Silenzio internazionale

La pressione continua ad aumentare, sia ad Al-Aqsa che nello spaventoso bilancio quotidiano delle vittime palestinesi, la maggior parte dei quali giovani. Human Rights Watch ha rilevato che nell’arco di più di 15 anni questultimo, fino alla fine di agosto, è stato il più sanguinoso per i minorenni palestinesi nella Cisgiordania occupata, con almeno 34 minori uccisi.

E ciò viene accolto con il silenzio della comunità internazionale, la cui attenzione resta concentrata solo sugli scambi commerciali tra il Mar Rosso e Haifa.

Se c’è qualcuno responsabile dello spargimento di sangue di questo fine settimana e dei massacri di civili che, come è vero che la notte segue il giorno, sono destinati a verificarsi a Gaza mentre lesercito israeliano lancia unoffensiva di terra, sono tutti i leader stranieri che dicono che Israele condivide i loro valori. Tutti questi leader permettono a Israele di dettare la politica, anche se questa danneggi palesemente la loro.

Qualunque cosa accada nei prossimi giorni e settimane a Gaza, e Israele ha già scatenato una vendetta selvaggia a prescindere dallassenza di un obiettivo militare, Hamas ha senza dubbio segnato una vittoria significativa.

Ha portato con sé giornalisti e operatori televisivi che hanno registrato tutto ciò che è accaduto. Queste riprese parleranno a ogni giovane palestinese e arabo che le vedrà.

Le riprese mostrano i palestinesi che ritornano nelle terre da cui i loro padri erano stati cacciati. I rifugiati costituiscono il 67% della popolazione di Gaza, provenienti principalmente dalle terre intorno a Gaza che Hamas ha temporaneamente liberato.

Questo fine settimana hanno esercitato con la forza delle armi il diritto al ritorno che era stato tolto dal tavolo delle trattative 23 anni fa.

Le immagini diranno a tutti i palestinesi che la resistenza non è una causa persa contro un nemico estremamente potente. Diranno che la loro volontà di resistere è più potente di quella del loro oppressore.

Lo scenario è cambiato per sempre

Non ho dubbi che ora i civili palestinesi pagheranno un prezzo enorme mentre Israele persegue la sua vendetta biblica. Ai più di due milioni di persone nella Striscia è stata già tagliata lelettricità.

Ma non ho neanche dubbi che dopo questi eventi le cose non torneranno più come prima.

Dopo aver negato per generazioni lesistenza della Nakba, i parlamentari israeliani ne stanno ora programmando apertamente unaltra. Ariel Kallner ha twittato: Cancellate il nemico adesso! Questo giorno è la nostra Pearl Harbor. Impareremo ancora dalle lezioni. Ora un obiettivo: la Nakba!

Netanyahu non è da meno con il suo appello a tutti i palestinesi di Gaza affinché lascino le loro case, come se ci fosse un posto dove andare.

Se Israele volesse davvero scatenare una guerra regionale un tentativo di ripetere quanto accaduto nel 1948 sarebbe il modo più rapido per farlo. Né lEgitto né la Giordania lo tollererebbero, e i loro accordi di pace con Israele diventerebbero nulli.

Una guerra regionale coinvolgerebbe il movimento di resistenza meglio equipaggiato della regione: Hezbollah, che domenica ha iniziato uno scontro a fuoco con Israele al confine libanese, potrebbe essere riluttante a farsi coinvolgere ma potrebbe anche esservi trascinato dentro. Hezbollah segnala da tempo che unincursione di terra a Gaza costituirebbe per loro una linea rossa.

Nel corso dell’anno i leader politici di Hamas hanno visitato Beirut e hanno avuto incontri con il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Secondo alcune fonti sarebbe già stata presa una decisione riguardo ad una mobilitazione generale. Da tutto ciò si può supporre che il dito di Hezbollah sia sul grilletto.

Israele dovrà anche fare i conti col fatto che Hamas detiene decine di ostaggi. La Direttiva Annibale, un ordine militare top-secret secondo il quale Israele dovrebbe colpire i propri soldati per evitare che cadano nelle mani del nemico, non è più in vigore.

Né lo è lidea che a Gaza 2,3 milioni di persone possano essere rinchiuse in una gabbia costrette a seguire una dieta a basso contenuto proteico e che il loro carceriere butti via le chiavi.

Questa è l’esplosione che io e altri avevamo da tempo avvertito sarebbe arrivata. Ho detto che se Israele non avesse invertito la rotta avviando negoziati seri su una soluzione giusta a questa crisi con la concessione ai palestinesi degli stessi diritti degli ebrei ci sarebbe stata una risposta. Ora è successo. Quando tutto sarà finito lo scenario non sarà più lo stesso.

Mentre tre famiglie allargate di Gaza venivano spazzate via dal colpo diretto sulle loro case da parte delle bombe di precisione israeliane, Rishi Sunak, il primo ministro del Paese che ha più responsabilità di ogni altro per questo conflitto, ha detto che la Gran Bretagna è inequivocabilmente dalla parte di Israele, e ha illuminato Downing Street con una stella di David. Nel frattempo il suo ministro degli Interni ha detto che chiunque venga sorpreso a manifestare per le strade in solidarietà con la Palestina sarà arrestato. Di conseguenza il Regno Unito ha abbandonato qualsiasi suo possibile ruolo futuro nel porre fine a questo terribile conflitto.

La responsabilità di quanto accaduto lo scorso fine settimana ricade su tutti coloro che si sono illusi di pensare che le successive generazioni di leader israeliani avrebbero potuto cavarsela impunemente nel fare quello che volevano. La responsabilità ricade su tutti coloro, compresa la maggior parte dei dittatori arabi, che hanno smesso di considerare i palestinesi come un popolo. Nelle settimane e mesi a venire ognuno imparerà una lezione dolorosa.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

(Traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)