Kafka a Gaza: come Israele ha trasformato un operatore umanitario palestinese in un “terrorista”

Antony Loewenstein

8 settembre 2022 – +972 Magazine

Nel processo di sei anni contro Mohammed Halabi tutte le prove erano “segrete” o non plausibili. Ciò non ha impedito a Israele di condannarlo a 12 anni di prigione.

Dopo uno dei processi più lunghi nella storia israeliana, che ha compreso più di 160 udienze in sei anni, il 30 agosto un tribunale israeliano ha condannato l’operatore umanitario palestinese Mohammed Halabi a 12 anni di prigione con l’accusa di aver dirottato denaro verso Hamas. A giugno Halabi, che era a capo dell’ufficio di Gaza dell’organizzazione umanitaria cristiana World Vision, è stato dichiarato colpevole dal tribunale distrettuale di Be’er Sheva di aver deviato 50 milioni di dollari dei fondi dell’organizzazione alle autorità di Hamas che governano la Striscia di Gaza bloccata.

Durante il processo kafkiano, condotto in quasi totale segretezza dal momento dell’arresto di Halabi nel giugno 2016, e condannato da diverse delle principali organizzazioni mondiali per i diritti umani, il palestinese di 45 anni ha sempre proclamato la sua innocenza. È stato separato dai suoi cinque figli e dalla sua famiglia a Gaza dal momento in cui si è rifiutato di capitolare alle richieste di Israele di ammettere la sua colpevolezza e accettare un patteggiamento fraudolento.

World Vision, che ha sostenuto Halabi durante tutto il processo, ha continuato a difendere il proprio collaboratore dopo la condanna. “Non abbiamo verificato nulla che ci faccia mettere in dubbio le nostre conclusioni che Mohammed sia innocente da tutte le accuse”, ha scritto in una dichiarazione ufficiale.

Omar Shakir, direttore di Human Rights Watch per Israele e Palestina, è stato più diretto, definendo la sentenza un “grave errore giudiziario”. Ha condannato Israele per aver “trattenuto Halabi per sei anni sulla base di prove segrete confutate da numerose indagini” aggiungendo: “Il caso Halabi mostra come Israele usi il suo sistema giudiziario per fornire una patina di legalità al fine di mascherare il suo orrendo sistema di apartheid nei confronti di milioni di palestinesi. “

Il caso di Halabi è l’ultimo esempio di un sistema giudiziario israeliano truccato ed impegnato in una discriminazione contro palestinesi e non ebrei. Ma la sua storia fornisce più di un semplice spaccato dell’occupazione israeliana. Oltre al silenzio assordante degli alleati di Israele che pretendono di sostenere la democrazia, la sentenza di Halabi è un paradigma di quanto lontano si possa spingere Israele nel suo assalto alla società civile palestinese.

Parlando da Gaza alla rivista +972 dopo la sentenza il padre di Mohammed, Khalil, ha detto che “continuerà a lottare prima nei tribunali [distrettuali] israeliani e poi appellandosi [alla Corte suprema israeliana]” per ottenere giustizia. “Dopodiché [si rivolgerà] ai tribunali dei Paesi europei e in America”, fino a quando Israele non avanzerà le sue scuse per aver arrestato Mohammed, aggiunge.

Khalil, che ha lavorato per anni presso l’Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e il lavoro (UNRWA) a Gaza, ha affermato che i figli di Mohammed comprendono che il loro padre è innocente. Ho sollevato loro il morale fornendo delle spiegazioni. Dico sempre loro che nel procedimento contro il padre la giustizia prevarrà. Il mondo è con lui così come gli israeliani che amano la giustizia e la pace”.

Una totale mancanza di prove

Israele ha arrestato Halabi al valico di Erez tra Israele e la Striscia di Gaza assediata nel giugno 2016 e per settimane non si è saputo niente di lui. Due mesi dopo, Israele ha annunciato che Halabi avrebbe confessato di aver dirottato 50 milioni di dollari nelle casse di Hamas, mentre l’allora primo ministro Benjamin Netanyahu ha fatto riferimento all’arresto senza menzionare il nome di Halabi.

Organizzazioni umanitarie internazionali e Paesi donatori come la Germania e l’Australia hanno interrotto immediatamente tutti gli aiuti in denaro alla sede di World Vision a Gaza, lasciando migliaia di palestinesi in uno stato di incertezza sugli aiuti e centinaia senza lavoro. Da allora World Vision non è più stata in grado di operare a Gaza.

World Vision ha intrapreso una costosa verifica del suo lavoro a Gaza per determinare se mancasse del denaro. La società di revisione Deloitte e lo studio legale statunitense DLA Piper non hanno trovato prove di illeciti, azioni illegali e nessuna prova credibile che Halabi lavorasse per Hamas (in effetti, la sua famiglia era nota per l’opposizione al gruppo). L’organizzazione umanitaria ha anche affermato che il suo intero budget decennale per Gaza era di 22,5 milioni di dollari, ridicolizzando l’affermazione che El-Halabi avrebbe rubato 50 milioni di dollari.

L’Australia, uno dei principali finanziatori dei programmi di World Vision a Gaza, ha immediatamente condotto la propria indagine sulle gravi accuse di Israele. Anch’esso non ha trovato nulla.

L’allora capo di World Vision Australia, il ministro battista Tim Costello, ha detto a +972 che l’intero caso era un “insulto ai contribuenti australiani, alla nostra integrità. Il bilancio degli aiuti australiani è stato sottoposto ad un’indagine e tuttavia nessun denaro dei contribuenti è scomparso. Ci deve essere una risposta ufficiale del governo australiano, anche se a porte chiuse e in privato, per condannare la sentenza [contro Halabi]”.

Fino al momento in cui scrivo, il governo australiano è rimasto in silenzio, anche se tre senatori verdi del parlamento federale hanno condannato la sentenza. L’Australia è da molti anni uno degli alleati più fedeli di Israele.

È una decisione chiaramente ideologica”, dice Costello a +972. Israele vuole dire: siamo una democrazia con uguaglianza davanti alla legge, ma i palestinesi non godono di questa uguaglianza. Lascia che la giustizia scorra come un fiume” [ “Let justice roll on like a river” è una famosa frase, tratta dalla Bibbia, che Martin Luther King pronunciò nel 1963 a Washington, ndt.].

Confessione sotto costrizione

Halabi afferma di essere stato torturato dalle autorità israeliane durante la detenzione nel 2016, e di aver ricevuto tra l’altro un pugno alla testa che gli ha lasciato persistenti problemi di udito. È stato sottoposto forzatamente a prolungate posizioni di stress, privato del cibo e del sonno e rinchiuso in una cella con un informatore palestinese, un sedicente membro di Hamas. Tali tattiche coercitive non sono insolite: Israele ha una lunga storia di torture nei confronti dei palestinesi sotto custodia per costringerli a una falsa confessione e ad accettare un patteggiamento con una pena ridotta.

Dopo essere rimasto intrappolato per giorni in una stanza con quell’uomo Halabi ha detto al suo avvocato palestinese, Maher Hanna, che non poteva più sopportare quel trattamento. Halabi ha ammesso tutto ciò che volevano gli inquisitori dopo essere stato sottoposto a una coercizione intollerabile, ha detto Hanna. Diversi relatori speciali delle Nazioni Unite hanno ritenuto che la detenzione e l’interrogatorio di Halabi “potrebbero essere equiparati a tortura”.

Nel frattempo Halabi non credeva che nessun tribunale israeliano credibile avrebbe preso sul serio il processo, e così ha ritrattato la sua confessione. Ma per sei lunghi anni ha dovuto sopportare interminabili ritardi, mancanza di prove in aula e un sistema giudiziario israeliano che ha rifiutato di consentire l’audizione di testimoni credibili.

Per l’accusa israeliana il semplice fatto che i numeri non tornassero – che Halabi non avesse mai avuto accesso a nessun quantitativo di denaro che si avvicinasse a 50 milioni di dollari – era irrilevante. Avevano quella che sostenevano fosse un’ammissione da parte dell’operatore umanitario durante la sua detenzione, e questo era sufficiente. Niente di tutto questo è mai stato sottoposto a verifica in un tribunale equo e pubblico; al contrario, l’accusa è stata autorizzata a presentare tutte le sue cosiddette “prove segrete” nel corso di udienze a porte chiuse.

Durante questo processo-farsa la maggior parte della comunità internazionale è rimasta in silenzio o ha affermato di non poter intervenire fino alla sua conclusione, una posizione che andava a pennello per Israele.

Dopo la sentenza di fine agosto, ad esempio, il consolato britannico a Gerusalemme si è limitato a twittare di essere “preoccupato”, mentre la delegazione dell’Unione europea presso i palestinesi ha twittato che “si rammarica dell’esito“. L’UE è il principale partner commerciale di Israele, una solida relazione che sta crescendo nonostante la preoccupazione pubblica per i tentativi di Israele di schiacciare importanti organizzazioni della società civile palestinese, molte delle quali ricevono fondi da governi europei.

“Un moderno processo Dreyfus”

Il nocciolo della questione, come la scorsa settimana ha rilevato l’avvocato Maher Hanna a +972, è stata la riluttanza di Halabi ad ammettere un crimine che non ha commesso. Durante un’udienza del marzo 2017 un giudice del tribunale distrettuale israeliano lo ha incoraggiato a patteggiare perché avrebbe avuto “poche possibilità” di non essere ritenuto colpevole. “Ha letto i numeri e le statistiche”, ha continuato il giudice, alludendo ai tassi di condanna dei tribunali militari. “Sa come vengono gestite queste situazioni.”

“All’inizio gli sono stati offerti tre anni, poi quattro, poi sei e infine otto”, spiega Hanna da Gerusalemme. Ma Halabi ha rifiutato di accettare ognuna di queste offerte, e di conseguenza è stato condannato a 12 anni di carcere.

Nonostante la sentenza l’accusa ha minacciato di ricorrere in appello per ottenere una sentenza più severa. “È difficile capire il cambio di posizione dell’accusa”, dice Hanna. “Era disposta ad accontentarsi di una condanna a tre anni in caso di confessione, ma non ad accettare una condanna a 12 anni quando l’imputato si è dichiarato innocente per lo stesso presunto reato“.

Hanna aggiunge: “L’accusa, e anche la corte, ritengono importante trasmettere un messaggio a tutti i detenuti e prigionieri palestinesi secondo cui chiunque non accetti una pena detentiva in un patteggiamento e costringa il tribunale ad ascoltare la propria difesa sarà severamente punito”.

In un’indagine del 2019 per la rivista +972 Magazine ho dettagliato la serie dei motivi per cui il processo non è riuscito a soddisfare nemmeno i più elementari standard internazionali di equità. Lo stesso Halabi mi ha detto nello stesso anno che credeva che l’intero caso contro di lui fosse una battuta di pesca per tentare di accentuare l’assedio contro gli abitanti di Gaza. Non stavano attaccando soltanto me, ma l’intero sistema di aiuti umanitari a Gaza, di cui ero solo una parte”.

Hanna è rimasto scioccato dalla sentenza della corte e sconvolto dal fatto che i giudici abbiano respinto la maggior parte delle rimostranze di Mohammed. Hanno puntualmente ignorato tutte le incongruenze presenti nel caso come se quelle rimostranze non fossero state presentate. Sono rimasti molto sorpresi quando hanno ascoltato le rimostranze durante le argomentazioni per la condanna e hanno ammesso la possibilità di aver sbagliato, ma per loro “è necessario mantenere una coerenza”.

Israele sta attualmente conducendo una guerra più estesa contro la società civile palestinese, con la determinazione di chiudere le ONG principali e neutralizzare la loro autorevolezza nella battaglia davanti all’opinione pubblica globale. Come per il caso Halabi, in cui non esistono prove per dimostrare la sua colpevolezza, il governo israeliano spera che le sue false accuse di terrorismo contro le principali ONG palestinesi le metteranno a tacere e le dissuaderanno.

Intanto Hanna continua a nutrire delle speranze per Halabi. “A questo punto ci aspettiamo che la Corte Suprema annulli una simile sentenza”, afferma. “Questo è un moderno processo Dreyfus e lo Stato di Israele non può permettersi di portare una macchia del genere nel suo sistema giudiziario”.

Antony Loewenstein è un giornalista indipendente, autore di best seller, regista e co-fondatore di Declassified Australia [Rivista australiana progressista di giornalismo investigativo, ndt.]. Ha scritto per The Guardian, The New York Times, The New York Review of Books e molte altre testate. I suoi libri includono Pills, Powder and Smoke: Inside The Bloody War On Drugs, Disaster Capitalism: Making A Killing Out Of Catastrophe e My Israel Question. I suoi documentari includono Disaster Capitalism e i film inglesi di Al Jazeera: West Africa’s opioid crisis e Under the Cover of Covid. Ha lavorato a Gerusalemme Est dal 2016 al 2020. Il suo prossimo libro, in uscita nel 2023, è The Palestine Laboratory: How Israel Exports the Technology of Occupation Around the World.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La Cisgiordania sta per esplodere e Israele fa poco per impedirlo

Amos Harel

4 settembre 2022 – Haaretz

L’accordo nucleare iraniano e la disputa marittima con il Libano proseguono, ma i funzionari della difesa israeliana sono più preoccupati per quello che sta succedendo in Cisgiordania

Quasi tutte le frequenti riunioni sulla sicurezza di Israele si concentrano sul nuovo accordo nucleare fra le potenze mondiali e l’Iran. La disputa sul confine marittimo tra Israele e Libano sta ancora infuriando, accompagnata da minacce violente da parte di Hezbollah. Ma, nelle ultime settimane, in tutti i colloqui con i funzionari della difesa in cima alla lista delle potenziali zone di escalation c’è il contesto palestinese, e in particolare la Cisgiordania.

Questa estate, agli inizi di agosto, nella Striscia di Gaza ci sono stati scontri durati tre giorni. La miccia che li ha accesi è stata l’arresto in Cisgiordania da parte israeliana del comandante del Jihad islamico palestinese. Come le precedenti, l’operazione a Gaza ha evidenziato la limitata capacità delle organizzazioni palestinesi nella Striscia di danneggiare Israele. Il muro costruito da Israele intorno al territorio ne limita notevolmente la penetrazione attraverso i tunnel e lo scudo antimissile Iron Dome [Cupola di Ferro] intercetta la maggior parte dei missili lanciati da Gaza. Hamas ha rivendicato il suo principale successo l’anno scorso durante l’operazione israeliana Guardiano delle Mura quando l’organizzazione ha incoraggiato le violenze sul Monte del Tempio a Gerusalemme e nelle città entro i confini israeliani antecedenti il 1967 dove la popolazione è mista, arabo-ebraica.

Maggiore è il rischio potenziale in Cisgiordania, come si è visto nella seconda intifada e, successivamente, in periodi più brevi, con attacchi di “lupi solitari” per circa sei mesi dall’autunno 2014 e, più recentemente, per circa due mesi questa primavera. La sfida principale, come anche dimostrato quest’anno, è l’impossibilità di impedire completamente ai potenziali terroristi di entrare in Israele dalla Cisgiordania attraverso brecce in alcuni punti nel muro o nella recinzione di separazione. Il risultato: sparatorie e accoltellamenti in Israele e la conseguente maggiore tensione con combattenti palestinesi quando le Forze di Difesa Israeliane [IDF, l’esercito israeliano, ndt.] rispondono con arresti in Cisgiordania.

La più recente ondata di attacchi terroristi è stata fermata a maggio, ma rimpiazzata da aspri e frequenti scontri nel nord della Cisgiordania, nelle zone di Jenin e Nablus. Gli scontri a fuoco durante le operazioni di arresto sono aumentati di dozzine di punti percentuali, come anche i tentativi di attacchi in zone remote contro campi militari e zone civili in Cisgiordania.

Qui abbiamo elencato più di una volta le ragioni: un declino della capacità dell’Autorità Palestinese (ANP) di controllare gli eventi, l’ingresso di organizzazioni locali nel vuoto creatosi, l’esitazione dei meccanismi di sicurezza palestinesi nell’affrontarli e la passività israeliana, espressa anche nella totale paralisi del processo diplomatico (e nella taccagneria quando si tratta di gesti economici). Il timore che questa miscela esplosiva diventi ancora più infiammabile, invischiando Israele e i palestinesi in un altro lungo periodo di escalation, una terza intifada o una versione leggermente più contenuta, emerge in conversazioni con alti funzionari nella sicurezza: il servizio di sicurezza Shin Bet, l’intelligence militare, il Comando Centrale dell’ IDF e l’ufficio del coordinatore delle attività governative nei Territori.

In tutti questi dialoghi si descrive un lento ma quasi certo sprofondare verso il conflitto. L’ANP raramente manda le sue forze di sicurezza nei campi profughi, nei centri delle città e in certi villaggi della Cisgiordania settentrionale. Hamas infiamma la tensione, ma non la controlla. In assenza di attività del meccanismo di sicurezza dell’ANP, l’IDF incrementa le proprie. Nel passato questo metodo è stato descritto come un’efficace “falciatura”: numerosi arresti multipli portano a indagini che a loro volta producono intelligence e altri arresti e gradualmente riducono la portata del terrorismo.

Ma ora si teme che si sia creato un circolo vizioso: la maggior parte degli arresti prende di mira non i veterani fra gli attivisti, ma giovani militanti che hanno sparato contro le forze israeliane. E ogni altra morte di palestinesi durante le azioni dell’IDF intensifica il desiderio di vendetta e trascina altri giovani nel circolo vizioso delle tensioni. L’esercito stima che circa 200 combattenti palestinesi siano stati coinvolti negli scontri recenti, solo a Nablus. Questi sono numeri mai visti in Cisgiordania da anni, probabilmente fin dall’operazione Scudo Difensivo nel 2002, il punto di svolta della seconda intifada. 

Un’altra profonda differenza è la grande quantità di armi presenti oggi in Cisgiordania. Al culmine dell’intifada anche le forze di sicurezza dell’ANP avevano preso parte agli scontri. Fino ad ora questo non è successo, ma le armi automatiche sono molto più comuni nelle strade palestinesi, disponibili a ogni cellula locale. Questo è il risultato di anni di contrabbando dalla Giordania e di furti nel territorio israeliano e dalle basi dell’IDF. In qualche modo il fenomeno è simile a quello che è successo nelle comunità arabe in Israele, dove le pistole sono usate principalmente a scopi criminali, non ideologici. Un funzionario della difesa ha detto ad Haaretz: “Nel corso degli anni la crescita del numero delle armi ricorda quella dei telefonini”.

Le agenzie israeliane di intelligence non possono prevedere se e quando il punto di non ritorno trascinerà la Cisgiordania verso una drammatica escalation. Un allarme strategico lanciato dall’intelligence militare circa sei anni fa è finito nel nulla, ma in questo periodo c’è stato un significativo aumento della frustrazione in Cisgiordania e delle critiche nei confronti del presidente palestinese Mahmoud Abbas, sulla cui successione è in atto uno scontro aperto.

In questo contesto si deve anche citare il Monte del Tempio. L’operazione Guardiano delle Mura è stata scatenata quando i leader di Hamas a Gaza hanno lanciato razzi in risposta agli scontri all’interno del complesso [la Spianata delle Moschee, ndt.] durante il mese di Ramadan, quando i sentimenti religiosi si accendono e ogni divergenza locale sulla moschea Al-Aqsa è vista come una questione di vita o morte. Passato un anno le dispute intorno al sito hanno minacciato di innescare un’altra serie di violenze che poi sono scoppiate ad agosto, ma per altre ragioni.

Il Ramadan arriverà anche il prossimo anno, ma quello che sta succedendo nel frattempo è l’erosione continua dello status quo nel complesso [della Spianata delle Moschee, ndt.] a favore della parte ebraica, in un modo che irrita i musulmani. Ha a che fare con l’erosione della proibizione religiosa ebraica sulle loro visite al sito, accompagnata dalla volontà del governo e della polizia di permettere troppi visitatori. I cambiamenti richiedono un aumento della coordinazione fra Israele, Giordania e il Waqf, l’istituzione religiosa che gestisce il complesso di Al-Aqsa, per rivedere i vecchi accordi la cui storia e le esatte disposizioni sono note a pochi. Abdullah, il re di Giordania, esprime regolarmente la sua collera per la condotta israeliana, ma successivi governi israeliani hanno fatto ben poco a questo proposito. Hanno invece lasciato che i rabbini e le organizzazioni di ebrei che frequentemente visitano il luogo dettino nuove regole inaccettabili per la Giordania e i palestinesi. Come nel passato ciò potrebbe avere risultati drammatici per l’area.

Più sicurezza

Tutto quello qui descritto è ben noto ai leader politici di Israele. Ma guardare sempre alla destra, a quello che dirà il capo dell’opposizione Benjamin Netanyahu, rende difficile per il governo a interim di muoversi per sostenere l’ANP e ancor più riprendere i negoziati di pace.

Sembra che influiscano sulla situazione anche la gara e le rivalità tra il primo ministro Yair Lapid e il ministro della Difesa Benny Gantz (l’unico politico che mantiene ancor contatti diretti e regolari con i leader dell’ANP). Il timore di essere visti come troppo di sinistra paralizza i membri del cosiddetto governo del cambiamento. E bisogna ammettere che persino gli esperti nei vari ministeri del governo, che espongono le loro preoccupazioni in discussioni riservate, non fanno molto per lanciare l’allarme pubblicamente. La luce rossa è accesa: è probabile che a un certo punto ci sarà un’esplosione.

C’è un’altra cosa da tener presente: quando scoppiò la seconda intifada nel settembre 2000, in Cisgiordania vivevano circa 200.000 israeliani. Oggi (secondo l’ufficio centrale di statistica) sono circa 450.000 escludendo i circa 300.000 che stanno nei quartieri di Gerusalemme al di là della Linea Verde [il confine tra Israele e Cisgiordania prima dell’occupazione nel 1967, ndt.]. Come per i palestinesi, una larga parte di loro non ha vissuto di persona la seconda intifada. Il maggiore rischio per la sicurezza a cui sono abituati sono le pietre tirate contro le macchine in autostrada, non gli scontri a fuoco. Nel corso degli anni le colonie in Cisgiordania si sono allargate e in pratica hanno annesso enormi estensioni di terreno come avamposti delle colonie. Un nuovo conflitto in Cisgiordania dovrà garantire la protezione di aree popolate più ampie e la sicurezza costante a molti più israeliani.

Uno strano consenso

Cinquant’anni fa proprio in questo mese il giornalista americano David Halberstam pubblicò “The Best and the Brightest,” [I migliori e i più intelligenti], un classico che documentava il ruolo degli USA nella guerra del Vietnam. Halberstam ha descritto come l’America fosse sprofondata in un conflitto sanguinoso e futile proprio con due presidenti, John Kennedy e Lyndon Johnson, che apparentemente erano circondati dai migliori consulenti.

Potrebbe benissimo essere che il conflitto israelo-palestinese sia più complesso. Inoltre si svolge non a 13.000 chilometri di distanza da casa, ma anzi nel quartiere dall’altra parte della strada. Eppure non è difficile notare alcune somiglianze, a cominciare dall’insistenza con cui si ignora tutto quello che i palestinesi comunicano e segnalano, come se Israele agisse in un vuoto. Questa è l’origine dello strano consenso che è prevalso qui in anni recenti, per cui in Israele, in assenza di un accordo politico sulla soluzione auspicata, sarebbe possibile continuare a gestire il conflitto per sempre, senza subire alcune conseguenze. Questa sembra un’illusione che, alla fine, svanirà davanti alla realtà.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)

 




Dejà vu, in bianco e nero

Malak Reyad Alhaw

5 agosto 2022 –WeAreNotNumbers

Striscia di Gaza – L’odore di incenso si sprigiona dall’incensiere dorato in una sottile scia di fumo a zig zag. Mi piace quell’odore. La pace della mente, i complimenti che ricevo quando cucino un piatto gustoso e l’odore di incenso sono rituali indispensabili del venerdì.

C’è un altro evento che può rendere il 5 agosto un venerdì davvero eccezionale: è il giorno del matrimonio di mio cugino!

Mamma, qual è il vestito più carino? Quello bianco avorio o quello nero?” chiedo ansiosamente. “Quello nero”, mi risponde.

Mentre sollevo il vestito nero in modo da accostarlo a quello bianco avorio, una piccola mano mi batte sulla spalla. Mi giro piano e guardo in basso. È la mia nipotina Malak di 5 anni, una bimba dagli occhi luminosi, le guance rosse e affascinanti fossette. Mio fratello ha chiamato sua figlia come me perché sono l’unica sorella nella famiglia. Io e lei abbiamo in comune non solo il nome, ma anche il modo di parlare e sorridere e la timidezza.

Zia Malak, zietta, voglio accompagnarti, per favore”. Mi chino e la guardo negli occhi chiari; non riesco a dire di no quando li guardo. “Certo, cara”, rispondo. “Prima lascia che la mamma ti vesta.”

Le chiedo di andare piano mentre scendiamo le scale. Non sopporterei che si ferisse o si facesse male.

Una fiamma improvvisa si riflette nel vetro della finestra, seguita immediatamente da un devastante bombardamento. Non è una scia di fumo, è una massiccia nube nera insieme ad una fiammata rossa. Non spande incenso, ma polvere soffocante con terribili schegge e odore di esplosivo.

Sono una giovane di vent’anni di Gaza, che ha vissuto l’esperienza di cinque guerre israeliane. Quel che posso fare è chiudere gli occhi e fare un profondo respiro. Con gli occhi chiusi mi rivedo piccola e terrorizzata. Sono una bambina di sei anni in preda al panico, che chiede alla mamma: “Quando finirà l’operazione Piombo Fuso *?” Mia mamma risponde calma: “Andrà tutto bene”.

Sento delle grida e allora apro gli occhi. È mia nipote Malak che sta gridando come una pazza. Corre da me e mi si getta in grembo; mi abbraccia stretta. Posso sentire il suo cuore battere forte e il suo corpo tremare. Cerca aiuto da me, una protezione.

La mia calma e il mio contegno tranquillo la rassicurano. Non sa che dietro questa calma c’è una lotta violenta; non sa che dentro di me sto gridando e piangendo, proprio come lei. Non sa che mi ritrovo dentro l’operazione Piombo Fuso, cercando di assumere l’atteggiamento tranquillo di mia madre per darmi sollievo.

Le faccio una carezza e le dico: “Andrà tutto bene”. Lei annuisce più volte.

Un quarto d’ora dopo la piccola Malak si addormenta in braccio a me, stringendo con la manina la mia camicetta. La guardo in viso da vicino: le fossette sono sparite, le sue guance rosse sono diventate sottili e giallastre. La piccola Malak cede al sonno ed io ai miei pensieri.

Mi rendo conto che l’ennesima tortura che una persona può subire è fingere di star bene mentre affronta un conflitto interiore. Questa è la situazione degli adulti di Gaza durante ogni aggressione israeliana.

Mi rendo conto che il pensiero di trascorrere un venerdì eccezionale per via di un matrimonio è un errore di calcolo. A Gaza gli attacchi israeliani e le aggressioni possono verificarsi in ogni momento. Massacri e genocidi possono essere compiuti ogni volta che stanno per svolgersi le elezioni israeliane. I riti del venerdì possono essere rovinati da un inatteso scoppio di violenza.

Dopotutto, ogni abitante di Gaza è fatalmente segnato, sia che scelga di indossare il vestito bianco o quello nero. Uno è la divisa nera del lutto e l’altro è la bara bianca del martire.

* ‘Operazione Piombo Fuso’ è il nome che Israele ha dato alla sua guerra contro Gaza del 2008-09.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Cancelliere Olaf Scholz, ecco quello che è veramente ripugnante

Amira Hass

21 agosto 2022 – Haaretz

Evidentemente Europa e Stati Uniti credono talmente ai libelli antisemiti da pensare che Israele, una moderna entità totalmente ebraica, sia una piovra onnipotente multitentacolare che non si deve far arrabbiare

Al di sopra delle leggi internazionali e senza confini: questo è lo spazio infinito di Israele dove conduce la sua guerra infinita contro il popolo palestinese.

Il “nostro” Olocausto è durato 12 anni e il sionismo ne ha beneficiato fin d’allora. Il non-Olocausto palestinese dura ormai da 75 anni. E il mondo, in altre parole Stati Uniti ed Europa, guidati dalla Germania, non sta semplicemente a guardare.

Gli autoproclamatisi Paesi illuminati danno ripetutamente a Israele il via libera per continuare il non-Olocausto che si è perpetuato così a lungo. Le loro occasionali e deboli condanne, la mancanza di allarmi e sanzioni da parte delle diplomazie, servono solo a segnalare a Israele che può continuare a prevaricare, umiliare, schiacciare e torturare, bombardare, uccidere, imprigionare ed espellere, impossessarsi di terre e acqua. E tutto ciò sfruttando vergognosamente e cinicamente le nostre famiglie assassinate dalla Germania nazista e dai suoi alleati. Onorevole cancelliere Olaf Scholz, lei è disgustato? Ecco quello che è veramente disgustoso.

Il ministro della Difesa Benny Gantz avrebbe bloccato il processo per mettere fuori legge sette organizzazioni civili palestinesi se avesse saputo che i Paesi europei avrebbero imposto anche una sola sanzione contro Israele. Giovedì scorso gli scassinatori israeliani armati non avrebbero fatto irruzione negli uffici di quelle organizzazioni saccheggiandone quanto vi si trovava se funzionari di alto livello nell’amministrazione USA del Democratico presidente Joe Biden avessero ordinato in anticipo a Gantz di evitarlo.

Ma l’Europa e gli Stati Uniti sono forti, capaci ed efficaci nell’imporre varie sanzioni su quella Nazione che è occupata, spossessata, espulsa. Come se credessero che i libelli antisemiti che Israele (quale moderna organizzazione ombrello di tutti gli ebrei) fosse una piovra onnipotente multitentacolare che si deve far attenzione a non irritare.

Israele apre continuamente nuovi fronti nella sua lunga guerra contro il popolo palestinese e sceglie quanti più bersagli possibile. A questo scopo dispone di inestinguibili risorse: denaro, soldati, esperti legali, yes-men, cittadini che se ne fregano e falsità che avvolge in mantra a base di sicurezza e documenti classificati.

Non c’è bisogno di aspettare 50 o 60 anni fino all’apertura degli archivi perché i documenti rivelino qualche altro segreto piano governativo dietro a un atto orrendo presumibilmente perpetrato da individui (come il massacro di Kafr Qasem [villaggio in cui, il 29 ottobre 1956, soldati israeliani massacrarono 49 palestinesi n.d.t.]) o svelino le intenzioni che differirebbero da quelle dichiarate (come la Legge Militare imposta ai cittadini arabi di Israele dal 1948 al 1966 allo scopo di impedire a loro il ritorno alle terre e completarne invece la nostra occupazione).

Anche senza documenti noi sappiamo perché Israele proibisce l’esistenza di sette associazioni civili palestinesi, tra cui importanti organizzazioni per i diritti umani:

1. L’attività delle organizzazioni rafforza la determinazione, o sumud, palestinese contro l’occupazione e la sua invasività.

2. Informazioni, testimonianze, documenti e analisi fornite da queste organizzazioni sono un’importante banca dati per qualsiasi denuncia palestinese contro l’occupazione israeliana in forum legali internazionali ora e in futuro.

3. Le organizzazioni e i loro attivisti hanno anche mosso critiche contro l’Autorità Palestinese, le sue pratiche oppressive, i suoi fallimenti nel campo della giustizia sociale e le sue politiche neoliberali. La persecuzione israeliana contro di loro intensifica i sospetti e gli interrogativi sui motivi per cui anche l’ANP le vuole chiudere. Seminare sospetti e accuse reciproche fra i palestinesi è una pratica comune delle agenzie israeliane di intelligence.

4. Le organizzazioni conservano e promuovono lo spirito di unità palestinese che prevale sulla hamula, o famiglia allargata, contrastando così le intenzioni e attività israeliane per dividere ed erodere la società palestinese in modo tale che ogni persona, o al massimo ogni famiglia, sia sola nello scontro contro l’intrinseca crudeltà del dominio imposto da Israele.

I Paesi europei anche se pubblicamente aderiscono alla “soluzione dei due Stati,” non hanno sospeso le relazioni diplomatiche con Israele in risposta all’azione divoratrice della rimanente terra palestinese in Cisgiordania, in violazione delle risoluzioni dell’ONU e del diritto internazionale. Non hanno richiamato i loro ambasciatori per costringere Israele ad interrompere l’imprigionamento di oltre 2 milioni di persone in quel carcere chiamato Striscia di Gaza. Non hanno sospeso gli accordi commerciali con Israele, anche se dal primo giorno degli Accordi di Oslo Israele ha violato il principio base su cui poggiano gli accordi: la Striscia di Gaza e la Cisgiordania sono una sola unità territoriale.

Questi Paesi non cancellano gli accordi commerciali relativi ad armi e sistemi di spionaggio, perché Israele ha schiacciato e continua a schiacciare Gaza con le sue armi e usando metodi fantascientifici per spiare ogni palestinese dalla culla alla tomba. Non limitano l’ingresso degli israeliani nel loro territorio in risposta alle continue restrizioni sui movimenti che Israele impone ai palestinesi e alle loro mogli.

Israele continua a distruggere e confiscare attrezzature umanitarie (pannelli solari, condutture idriche e strutture mobili) pagate da Paesi europei ed è ben conscia che non ci sarà nulla di più di una inefficace condanna verbale. Israele assegna anche terre e acqua che ha sottratto ai palestinesi a cittadini ebrei di Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Canada e Argentina, sicura che quegli Stati non puniranno nessuno per questa rapacità.

Dopo la chiusura delle sette organizzazioni, Israele e i suoi obbedienti cittadini ebrei, che traggono vantaggio da questo furto ufficiale, continuerà così e valicherà altre linee rosse, perseguiterà altri gruppi della società civile e zittirà altri attivisti, con l’autorizzazione di Europa e Stati Uniti.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Gaza: il carcere israeliano con un milione di minori è in emergenza riguardante la salute mentale

Omar Aziz

19 agosto 2022 – Palestine Chronicle

“Far del male durante un conflitto a qualsiasi bambino è fortemente inquietante”, ha affermato giovedì scorso Michelle Bachelet, l’alto commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, esprimendo allarme per il numero di minori palestinesi uccisi questo mese da Israele.

“L’uccisione e la mutilazione di così tanti minori durante questo anno è inaccettabile“, ha continuato.

Quindi cosa dire del fatto che Israele effettua ogni anno attacchi aerei con una tecnologia militare industrializzata all’avanguardia su un’enclave assediata composta per lo più da minori?

Il diritto umanitario internazionale è chiaro. È proibito lanciare un attacco che potrebbe uccidere o ferire accidentalmente civili, o danneggiare strutture civili, in modo sproporzionato rispetto ai concreti ed espliciti obiettivi militari. Tali attacchi devono cessare,” ha detto Bachelet.

Secondo l’Ufficio centrale di statistica palestinese il 47% dei 2,2 milioni di abitanti di Gaza sono minorenni, altri collocano la percentuale oltre il 50%.

E la popolazione di Gaza è notoriamente ammassata soprattutto all’interno degli otto campi profughi ufficialmente riconosciuti dall’UNRWA, che sono considerati alcuni dei luoghi più densamente popolati al mondo. Eppure ognuno è ancora considerato un obiettivo legittimo da parte degli aerei da guerra israeliani.

Con questa consapevolezza ciò che diventa inequivocabilmente evidente è che ogni bomba che Israele sgancia sull’enclave assediata, crimine di guerra dopo crimine di guerra, viene sganciata con la consapevolezza che i minori sono le probabili vittime.

Che si tratti di minorenni massacrati come “danni collaterali” dei cosiddetti “attacchi di precisione mirati” o colpiti semplicemente per essere palestinesi, proprio come i cinque palestinesi uccisi il 7 agosto da un attacco missilistico mentre si trovavano sulla tomba del nonno nel cimitero di Al-Falluja, a est di Jabalya. Un crimine che l’esercito israeliano ha inizialmente negato di aver commesso, una bugia che le pubblicazioni dei principali organi di informazione occidentali hanno volutamente ripetuto a pappagallo senza esitazione nonostante la comprovata reputazione di Israele di diffondere bugie e disinformazione.

 Minori che non hanno altra scelta che subire ogni ferita inferta dallo sconvolgente potere distruttivo di Israele mentre si trovano imprigionati in questa minuscola striscia di terra.

Le cifre non sono più scioccanti, ma da incubo, distopiche. Una situazione difficilmente credibile per coloro che non hanno assistito in prima persona alla realtà o prestato attenzione alle testimonianze palestinesi.

L’accademico palestinese-americano Yousef Munayyer afferma che è ora di smettere di chiamare Gaza una “prigione a cielo aperto”, ma quello che è veramente: una camera di tortura.

Immaginate un po’: un ambiente progettato con cura per incubare e infliggere traumi psicologici, sofferenza fisica e privazione economica ha prodotto proprio questo. Che sorpresa.

Secondo Save the Children, oggi l’80% dei minorenni di Gaza dichiara di vivere con depressione, dolore e paura.

Nel corso dell’attacco a Gaza del 2014 Israele ha ucciso 547 minorenni palestinesi in sette settimane. Nel maggio 2021 ne ha ucciso 67. E questo mese a Gaza sono stati uccisi almeno 17 minori.

Ma queste non sono le uniche vittime di quell’età a Gaza.

In questo momento a Gaza c’è un milione di minori brutalizzati e traumatizzati da almeno 29 aggressioni militari dal 2003, ognuno con una voce da ascoltare, con una storia da raccontare e una vita che merita molto di più.

Gli ultimi tre giorni dell’attacco sono stati davvero tragici per me. Ho avuto molti flashback delle aggressioni vissute in precedenza.

Mi hanno fatto pensare molto a dove in realtà vivo, alla prigione in cui mi trovo, sapendo che potrei morire letteralmente da un momento all’altro mentre parlo con qualcuno, mentre sono seduto, mentre guardo la TV, mentre penso a qualcosa, perché questo è quello che è successo agli altri ragazzi”.

Ma mentre i minori palestinesi cercavano di riadattarsi alla “normalità” dell’assedio e dell’impoverimento in corso dopo gli attacchi, gli esperti militari israeliani si congratulavano via etere con il primo ministro israeliano Yair Lapid per la sua operazione “pulita”.

Lunedì 9 agosto, parlando alla stazione radio FM del quotidiano Maariv [giornale popolare israeliano, ndt.], il generale Amos Yadlin, ex capo della direzione dell’intelligence militare israeliana ed esperto ricercatore di Harvard, si rallegrava:

È stato un attacco ben riuscito. È stato davvero pulito, abbiamo colpito duramente l’ala militare di Hamas (in seguito si è corretto dicendo che intendeva la Jihad islamica), abbiamo colpito marginalmente degli innocenti e non militanti, neanche un israeliano è stato colpito, ritengo che sia un risultato eccezionale” (in ebraico).

Nel frattempo il giornalista di Haaretz [quotidiano israeliano progressista, ndt.] Amos Harel e Neri Zilber dell’Israel Policy Forum [organizzazione ebraica americana che lavora per una soluzione negoziata a due Stati al conflitto israelo-palestinese, ndt.] in un podcast di un’ora di valutazione degli attacchi del 10 agosto non hanno menzionato le morti di civili palestinesi, elogiando invece i “millimetrici” attacchi di Israele.

Era già noto in quel momento che almeno 15 minori palestinesi erano stati uccisi, mettendo in luce ciò che i palestinesi affermano da decenni: la cancellazione della Palestina e la disumanizzazione dei minori palestinesi sono le fondamenta grottesche su cui fioriscono l’apartheid e la colonizzazione israeliane.

Offrendo il punto di vista di una madre sull’educazione dei figli a Gaza, la scrittrice palestinese e madre di tre figli Rana Shubair racconta a Palestine Deep Dive [Approfondimenti sulla Palestina, rivista on-line palestinese, ndt.]:

Ho cercato di proteggere (i miei figli) dal vedere le immagini in TV, ma l’ambiente in cui vivono i nostri figli non è censurato, il che significa che ovunque andranno vedranno le immagini dei martiri.

Nell’ultima aggressione (del maggio 2021) una delle amiche di mia figlia che si trovava nella sua scuola è stata uccisa. Non credo che le mie figlie l’abbiano mai davvero dimenticata perché una di loro mi dice che la vede sempre nei suoi sogni, ed è molto difficile per loro afferrare semplicemente il concetto o la nozione di morte e tutto il resto. Tutti i bambini qui a Gaza sono molto eroici, va detto, perché sono più maturi della loro età e sono stati costretti ad assorbire cose di cui i bambini di altre parti del mondo non sanno nulla. Chiedete a qualsiasi bambino qui, vi dirà che tipo di aereo ci sta sorvolando, che si tratti di un drone o di un F-16. Conoscono tutta questa terminologia di guerra, ma come genitori, cerchiamo di trovare, credo, i modi giusti per affrontare il trauma dei nostri figli.

Dopo ogni aggressione e dopo ogni mese del continuo rigido assedio di Israele e della conseguente deprivazione economica, la salute mentale dei minori di Gaza continua inevitabilmente a deteriorarsi.

Ad esempio, nel 2018 il 60% di essi riferiva di sentirsi meno al sicuro lontano dai propri genitori ma, secondo Save the Children, poco prima dei recenti attacchi questa cifra ha raggiunto il 90%.

Nel 2018 il 50% dei minorenni riferiva di avere paura e il 55% di provare sentimenti di dolore e pochi mesi prima di questo attacco il 78% affermava di sentirsi spaventato e l’84% di provare sentimenti di dolore.

Si può solo immaginare come si sentono oggi.

Nel corso di una trasmissione di Palestine Deep Dive, il Dr. Yasser Abu Jamei, Direttore del Programma di salute mentale della comunità di Gaza, ha sottolineato la natura persistente degli eventi traumatici che pone un limite all’applicabilità [a Gaza, ndt.] del [termine ndt.] disturbo nel modo in cui viene inteso dalla psichiatria occidentale, come “Disturbo da stress post-traumatico”, rendendo così difficile la vera e propria guarigione.

In primo luogo, la condizione pre-traumatica non consiste in una vita facile, tranquilla, ecc. No, si tratta di un assedio, di un’occupazione, con più di due terzi della popolazione di Gaza nella situazione di rifugiati. E parliamo di decenni. (L’inizio) di ciò non risale solo al 1967, arriva anche al 1948. Ma oltre a questo, vivi sotto assedio, e non solo, ma all’interno di questo assedio sei soggetto ad operazioni su larga scala … e come se ciò non bastasse avverti continuamente dei segnali, cose che ti ricordano gli eventi traumatici che accadono intorno a te. Ascolti il ​​telegiornale e vedi come sia critica la situazione. Guardi il cielo e senti di continuo i rumori intensi dei droni e tutto ciò ti fa tornare alla mente i brutti ricordi.

Poi, nel periodo successivo… non c’è un vero ritorno alla vita normale. C’è di nuovo la vita come al solito sotto l’occupazione, sotto i droni, sotto il blocco ecc. Direi che la tradizionale nozione occidentale di disturbo da stress post-traumatico non è applicabile ad un posto come Gaza, ma direi che la situazione a Gaza è più grave di così. Non possiamo davvero descriverlo semplicemente come un disturbo da stress post-traumatico nel significato comune del termine. No, è molto di più“.

Nel 1991 Israele ha ratificato la Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti dell’infanzia, che afferma che tutti i minorenni hanno i diritti fondamentali alla vita, alla sopravvivenza, allo sviluppo, alla protezione dalla violenza e a un’istruzione che consenta loro di realizzare il proprio potenziale.

Eppure, sotto il suo [regime di] apartheid Israele viola impunemente questa convenzione in tutta la Palestina. Nello stesso Israele le scuole palestinesi o arabe ricevono spesso un finanziamento per ogni alunno quasi sei volte inferiore rispetto alle scuole per studenti ebrei poiché non possono essere ammesse al finanziamento da parte dell’istituzione sionista. Successivamente subiscono discriminazioni nel mercato del lavoro e sono anche soggetti alle 65 leggi razziste di Israele.

In Cisgiordania i minorenni palestinesi sono soggetti a leggi e pratiche discriminatorie. Viene loro regolarmente negato il diritto all’istruzione nel momento in cui vengono costretti ad aspettare ai posti di blocco e le loro lezioni possono essere interrotte in qualsiasi momento dall’esercito israeliano.

Secondo [l’Associazione] Defense for Children International, in Palestina ogni anno circa 500-700 minorenni palestinesi, alcuni dei quali di appena 12 anni, sono detenuti e perseguiti nei tribunali militari israeliani illegali. L’accusa più comune contro di loro è il lancio di pietre.

Il disprezzo di Israele per i diritti più fondamentali dei bambini palestinesi, incluso il diritto stesso alla vita, rivela il proposito di Israele di raggiungere una pace futura per ciò che è veramente, una palese bugia.

Ma non solo,: il travolgente silenzio della comunità internazionale mostra che la disumanizzazione dei bambini palestinesi si estende ben oltre l’apartheid di Stato di Israele.

All’indomani dell’ultimo attacco il presidente Biden ha elogiato Israele per aver “difeso il suo popolo” e i suoi sistemi militari per “aver salvato innumerevoli vite”.

Nel frattempo, questa settimana, i politici conservatori britannici in competizione per diventare il prossimo Primo Ministro, Rishi Sunak e Liz Truss, sembrano entrambi favorevoli al trasferimento dell’ambasciata a Gerusalemme.

Da parte dell’Occidente continua ad essere all’ordine del giorno l’istigazione in luogo delle sanzioni, senza che nulla venga proposto per scoraggiare, ogniqualvolta si verifichino, ulteriori brutali bombardamenti da parte di Israele. Le armi continuano ad affluire e la protezione diplomatica continua a fare scudo contro la giustizia.

Eppure i minori palestinesi, che saranno gli artefici di un futuro veramente stabile, dimostrano continuamente di desiderare ardentemente una vita migliore, libertà, e di niente di meno che una totale liberazione.

Con tassi di alfabetizzazione tra i più elevati a livello mondiale, formazione di compagnie di danza, società di parkour e produzione di artisti di talento come l’astro nascente rapper tredicenne MC Abdel, i minori palestinesi a Gaza stanno offrendo insegnamenti di vita al resto del mondo mentre camminano tra le macerie:

Mi piace sempre sottolineare quel lato positivo di noi che viviamo in una prigione a cielo aperto. Stiamo facendo del nostro meglio qui. Come ho detto, non abbiamo molte opportunità, ma dall’altra parte stiamo cercando di tirar fuori quelle opportunità da tutte le macerie tra cui viviamo da più di 15 anni”, dice Hind a Palestine Deep Dive.

Anche il dottor Yasser Abu Jamei illustra in maniera limpida su Palestine Deep Dive questa verità, raccontando come ha visto i bambini di Gaza indossare con orgoglio gli abiti dell’Eid [Eid Al Fitr, letteralmente “festa della rottura del digiuno”, che segna la fine del Ramadan, ndt.] che non erano stati in grado di indossare nel maggio 2021 a causa degli attacchi di Israele:

Era un abbinamento paradossale. Guidi la tua macchina o cammini per strada, vedi da un lato le macerie, le rovine e le case distrutte, e dall’altro bambini molto ben vestiti che, in mezzo alle macerie, cercano di andare a scuola e ottenere la licenza media ”.

Naturalmente, l’emergenza riguardo alla salute mentale a Gaza e le continue ingiustizie del brutale apartheid e della colonizzazione di Israele non si limitano ai minorenni, ma colpiscono i palestinesi di tutte le età.

Tuttavia ultimamente ciò che è diventato del tutto chiaro è che ogni bomba sganciata da Israele e ogni giorno che l’assedio di Gaza da parte di Israele continua, costituisceono un’ingiustizia intollerabile contro coloro che sono universalmente considerati i più innocenti: i minorenni.

Sotto l’assedio di Israele Gaza continua ad essere una prigione di un milione di minorenni e attendiamo da troppo tempo che i governi di tutto l’Occidente riconoscano finalmente questa verità per porre fine all’impunità di Israele, e che le istituzioni internazionali, comprese le Nazioni Unite, agiscano senza esitazione contro questa situazione.

Omar Aziz è Direttore Associato di Palestine Deep Dive. Ha scritto questo articolo per The Palestine Chronicle.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Reportage: Israele ammette la responsabilità del raid contro Gaza che ha ucciso dei minorenni

Redazione di Al Jazeera

16 agosto 2022 – Al Jazeera

Contraddicendo le prime affermazioni, fonti ufficiali hanno detto al quotidiano Haaretz che Israele è responsabile del l’attacco del 7 agosto nei pressi del campo rifugiati di Jabalia.

Secondo un nuovo reportage, contraddicendo precedenti dichiarazioni fatte a media locali da importanti funzionari militari, fonti ufficiali della difesa israeliana hanno confermato che durante l’attacco di inizio agosto un raid israeliano contro un cimitero di Gaza ha ucciso cinque minorenni palestinesi.

Varie fonti della difesa hanno detto al quotidiano Haaretz che un’indagine dell’esercito sull’attacco del 7 agosto ha concluso che cinque minori – Jamil Najm al-Deen Naijm, 4 anni, Jamil Ihab Najim, 13, Mohammad Naijm e Hamed Naijm, 17, e Nazmi Abu Karsh, 15 anni – sono stati uccisi da un raid aereo israeliano contro il cimitero di Al-Faluja, nei pressi del campo profughi di Jabalia nel nord della Striscia di Gaza.

All’indomani dell’attacco, avvenuto durante l’aggressione israeliana di tre giorni dal 6 all’8 agosto contro l’enclave assediata, alcuni ufficiali israeliani avevano detto ad Haaretz che probabilmente le morti erano state causate da un razzo della Jihad Islamica fuori traiettoria.

L’esercito non ha pubblicamente assunto la responsabilità delle morti e non ha risposto a una richiesta di commenti sull’ultimo resoconto da parte di Al Jazeera.

Martedì, qualche ora dopo la pubblicazione del reportage di Haaretz, la famiglia Najim ha tenuto una veglia presso il cimitero di Gaza e ha chiesto che Israele risponda di queste accuse davanti alla Corte Penale Internazionale. Quattro minori della famiglia sono rimasti uccisi nel raid.

Decine di persone hanno partecipato all’evento, e alcuni dei presenti hanno esposto cartelli che dicevano: “I nostri figli hanno il diritto di vivere in pace e sicurezza.”

Ihab Najim, padre di quattro dei minori uccisi nell’attacco, ha detto ad Al Jazeera che la famiglia era sicura che Israele fosse responsabile della morte dei figli dopo aver sentito i racconti di testimoni oculari.

“I nostri figli erano giovani innocenti, e si trovavano nel cimitero davanti a casa nostra in visita alla tomba del nonno. Sono stati uccisi a sangue freddo. Chiediamo a tutti i partiti di stare dalla nostra parte e sostenere la causa dei nostri figli presso i tribunali internazionali.”

“Per noi l’ammissione di responsabilità di Israele non è una notizia,” ha aggiunto. “Era chiaro fin dal primo momento in cui i nostri quattro figli e quello dei nostri vicini sono stati uccisi che il missile era israeliano, secondo i testimoni oculari.”

In un altro incidente avvenuto il giorno prima dell’attacco al cimitero l’esercito israeliano aveva subito incolpato il Jihad islamico dopo che otto persone, tra cui minorenni, erano stati uccisi in un’esplosione nel campo profughi di Jabalia.

L’esercito israeliano aveva affermato di non aver effettuato nessun bombardamento al momento dell’attacco, e in seguito ha reso pubblico un filmato in cui si vedevano vari razzi lanciati da Gaza, uno dei quali caduto troppo presto a metà volo.

Dei 49 palestinesi uccisi nell’attacco di tre giorni, descritto da Israele come un’“operazione preventiva” in seguito all’arresto il giorno prima di un dirigente della Jihad islamica nella Cisgiordania occupata, i minorenni sono stati 17.

Parlando con Al Jazeera dopo le uccisioni del 7 agosto, la madre di Hamed Najim ha segnalato che l’attacco è arrivato a poche ore dall’entrata in vigore del cessate il fuoco, che è stato in seguito rispettato.

“Solo due ore prima che venisse annunciata la tregua lui mi ha detto che sarebbe uscito per cinque minuti con i suoi cugini,” ha affermato. “Passato qualche minuto abbiamo sentito un’esplosione. Siamo corsi fuori per cercare mio figlio e i suoi tre cugini. Erano tutti ridotti in pezzi.”

Il Norwegian Refugee Council [Consiglio Norvegese per i Rifugiati, ong indipendente che si occupa dei diritti dei profughi, ndt.] ha affermato che prima della morte tre dei ragazzini uccisi nell’attacco stavano seguendo una terapia per i traumi subiti.

Secondo i dati raccolti dal Norwegian Refugee Council, dal 2000, anno d’inizio della Seconda Intifada, almeno 2.200 minori sono stati uccisi dall’esercito e da coloni israeliani nei Territori Palestinesi Occupati.

Maram Humaid ha contribuito a questo reportage da Gaza.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




‘Abbiamo ucciso un bambino, ma abbiamo rispettato le regole di ingaggio’

Yuval Abraham

11 agosto 2022 – +972 magazine

Ex soldati delle Forze di Difesa Israeliane rivelano che, se ritiene che il numero delle vittime sarà contenuto, l’esercito autorizza attacchi contro Gaza pur sapendo che saranno uccisi dei civili.

L’ultimo attacco di Israele contro Gaza si è concluso con l’uccisione di 48 palestinesi, fra cui 16 minori. Israele sostiene che 15 sono morti a causa di razzi vaganti lanciati dal Jihad Islamico Palestinese (PIJ) caduti nella Striscia e che gli attacchi aerei israeliani hanno ucciso 24 miliziani del PIJ e 11 “non-combattenti.”

Ynet, il sito israeliano di notizie [del quotidiano Yedioth Ahronot, ndt.] riporta che alcuni ufficiali dell’esercito si sono vantati perché il rapporto fra “non-combattenti” e combattenti uccisi è stato “il migliore di tutte le operazioni.” Eppure Israele ammette di aver ammazzato almeno 11 persone, tra cui una bambina di cinque anni, che non avevano nulla a che fare con attività militari.

Stando a una soldatessa che ha rilasciato un’intervista a Ynet dopo l’ultimo attacco, l’esercito ha anche riconosciuto di aver ucciso persone disarmate. “Il miliziano (del PIJ) era uscito dalla sua postazione disarmato e io ho fatto fuoco,” ha detto. “Quando è caduto, ho continuato a sparare.”

La maggioranza degli israeliani crede che i minori, o le famiglie, uccisi a Gaza durante le operazioni militari israeliane, il cui unico obiettivo è naturalmente la sicurezza, siano stati uccisi involontariamente. Si pensa infatti che, a differenza delle organizzazioni terroristiche, l’esercito israeliano non ammazzi intenzionalmente degli innocenti. Questo meccanismo permette alla società israeliana di dimenticare scene di sangue e orrore e scacciare dalla nostra coscienza le centinaia di minori che l’esercito ha ucciso a Gaza nel corso degli anni.

Ma la realtà è molto più complessa. Israeliani che hanno prestato servizio in varie unità dei servizi di intelligence dell’IDF negli ultimi mesi hanno rivelato che in molti casi durante le operazioni militari l’esercito sapeva in anticipo che un attacco avrebbe ucciso civili disarmati. Ammazzarli non è stato un errore, ma piuttosto una decisione calcolata e consapevole.

Gli ex soldati hanno testimoniato che i loro superiori avevano detto loro che c’è un certo numero di “non-combattenti”, famiglie e bambini, che l’esercito può uccidere durante attività operative. Finché non si supera questo numero, le uccisioni possono essere approvate in anticipo.

Hanno ucciso un militante di Hamas e il figlioletto’

Dana, che ha chiesto di usare uno pseudonimo come tutti gli ex soldati intervistati per questo articolo, è una maestra d’asilo e vive nel centro di Tel Aviv in un appartamento arredato in legno pieno di libri di filosofia. Durante il servizio militare ha partecipato a un’operazione a Gaza in cui è stato anche assassinato un bambino di cinque anni.

Quando ho servito nella Divisione Gaza stavamo seguendo uno di Hamas perché [l’esercito] sapeva che nascondeva dei razzi,” afferma. “Avevano preso la decisione di eliminarlo.”

Dana era analista del traffico dati nella sala operativa dove il suo compito era di confermare se il missile aveva colpito la persona giusta. “Abbiamo mandato un drone per seguirlo e ucciderlo,” dice, “ma abbiamo visto che era con suo figlio. Un maschietto di cinque o sei anni, penso. Prima di una uccisione bisogna confrontare le informazioni provenienti da due fonti diverse in modo da essere sicuri di uccidere il bersaglio giusto,” spiega Dana. “Ho detto al comandante, un tenente colonnello, che non potevo identificare con precisione il bersaglio. Ho chiesto di non confermare l’azione. Lui mi ha risposto: ‘Non m’importa,’ e l’ha confermata. E aveva anche ragione. Era l’obiettivo giusto. Hanno ucciso il militante di Hamas e il bambino che era con lui.”

Dana mi offre un bicchiere d’acqua, aleggia nell’aria l’odore di segatura proveniente da un vicino deposito di legname. “Come ti sei sentita dopo?” le chiedo. “Quando ero nell’esercito avevo dei meccanismi di difesa,” aggiunge Dana spiegando che aveva rimosso.

I comandanti hanno detto che era conforme alle regole e quindi consentito,” continua. “Nell’esercito avevamo delle regole riguardo a quanti non-combattenti che si trovavano insieme ai bersagli era permesso uccidere a Gaza. Il motivo di questo numero? Ancora non lo so. Adesso mi sembra folle. Ma ci sono regole e la logica interna che hanno escogitato lo rende più facile. Lo rende accettabile.” Dana ha prestato servizio nel reparto di intelligence fino al 2011.

Il dolore dei palestinesi serve a imparare l’arabo

Alle parole di Dana hanno fatto eco parecchi altri ufficiali dei servizi di intelligence con cui ho parlato che vi hanno fatto il servizio militare durante le precedenti guerre contro Gaza in anni recenti.

Tre di loro, fra cui Dana, raccontano che in seguito a un bombardamento israeliano su Gaza nel corso del quale erano stati uccisi dei palestinesi, ai soldati fu chiesto di monitorare le conversazioni telefoniche con i familiari per sentire quando si comunicavano che il loro caro era morto.

È un altro modo per controllare chi è stato ucciso e per essere sicuri che la persona morta era quella che volevamo,” spiega Dana. Questo è stato il suo compito dopo l’assassinio del bambino di cinque anni. “Ho sentito una donna dire: ‘È morto. Il bambino è morto.’ È così che ho avuto la conferma di quello che era successo.”

Alcune di queste conversazioni sono salvate e usate in seguito per insegnare l’arabo ai soldati, come ha testimoniato Ziv che ha terminato il suo servizio militare in un’unità di intelligence top-secret tre anni fa. La prima volta che ha sentito una conversazione così è stato durante l’addestramento. Dice che è un momento scolpito nella mente dei soldati come “particolarmente scioccante.”

Durante l’addestramento abbiamo imparato l’arabo tramite le telefonate fra palestinesi,” ricorda. “Un giorno i comandanti hanno presentato una chiamata di una donna il cui marito le stava dicendo al telefono che il loro figlio era stato ammazzato. Lei ha cominciato a urlare e piangere, era molto difficile stare ad ascoltare. Ti spezzava il cuore. Abbiamo dovuto tradurre in ebraico quello che urlava. Eravamo un gruppo di diciottenni, dei ragazzi. Siamo usciti dalla lezione totalmente sconvolti.

Non era neppure una questione politica, fra noi c’era uno di destra, anche lui inorridito,” continua Ziv. “La conversazione aveva colpito di più i ragazzi che le ragazze, non so perché. Poi ho chiesto ai comandanti se dovevamo proprio imparare l’arabo da questo tipo di dialoghi, ma non sapevano cosa rispondere. Anche loro erano dei ragazzi, avevano 19 anni.”

Il Truman Show’ a Gaza

L’anno scorso Adam, 23 anni, ha terminato il suo servizio militare con l’Intelligence dopo tre anni nell’unità SIGNIT che supervisionava Gaza. Afferma che il controllo delle frontiere e la dipendenza da Israele degli abitanti della Striscia procura a Israele ottime informazioni e rende possibile reclutare collaboratori. “Non hanno modo di andarsene,” dice. “Anche gli egiziani lavorano con noi in totale cooperazione.”

Noi controlliamo tutti i loro varchi, questo ci dà molto potere,” afferma un altro soldato che ha prestato servizio nell’unità tecnologica dei servizi segreti nel 2019. “Se Gaza fosse connessa alla Cisgiordania perderemmo in parte questo potere. Oggi controlliamo tutto quello che entra ed esce fisicamente, elettronicamente o in termini di persone. Ciò rende possibili più modalità di azione: per esempio, gli abitanti di Gaza implorano di ottenere la possibilità di viaggiare per studiare all’estero o andare a trovare parenti fuori dalla Striscia. Questo può essere usato per farli diventare dei collaboratori.”

C’erano persone per cui non avevo alcuna empatia. Tutti i membri più anziani di Hamas che erano molto ideologici, si sentiva veramente che volevano morire per la patria,” dice Adam. “Io non mi riconosco nel loro nazionalismo. Questo è il motivo per cui mi sentivo giustificato a colpirli. Ma abbiamo anche raccolto informazioni su molte persone meno importanti che stavano semplicemente facendo il proprio lavoro. Andavano in ufficio. Chiedevano alla moglie cosa c’era per cena.”

Secondo Adam le informazioni personali che l’esercito raccoglie sono usate per reclutare collaboratori. “La privacy non esiste,” dice. “Si sa tutto di una persona. Cosa gli piace, cosa ha fotografato (con il telefonino), se ha un’amante e il suo orientamento sessuale. Tutto è completamente svelato. Si possono raccogliere informazioni su chiunque uno voglia. E sai che queste persone non vorrebbero che noi sapessimo queste cose.”

Shira, una soldatessa anche lei nei servizi segreti, dice di essere rimasta sorpresa da quanti collaboratori palestinesi lavorino per l’esercito. “Ricordo gli ufficiali che me li indicavano: ‘Lui è un collaboratore. E lui. E anche lui.’ Gli appartenenti ad Hamas e Fatah ci forniscono informazioni a non finire. A un certo punto mi sembrava che tutti cooperassero con noi. Come se ci fosse solo Israele, senza conflitto, e noi vivessimo tutti in una versione del film ‘The Truman Show.’”

Yuval Abraham è un giornalista e attivista che vive a Gerusalemme

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Le ripercussioni del trauma: Gaza, agosto 2022

Agosto 2022 – Wearenotnumbers

Sono praticamente le stesse notizie, gli stessi eventi, le stesse sensazioni di impotenza e di debolezza. Tutto quanto è familiare. Dai bambini uccisi senza pietà alla tristezza per i giovani le cui vite sono state strappate via a causa del trauma, alle donne che lasciano dietro di sé i propri figli. Mi sento svuotata dal continuare a scrivere della situazione a Gaza. Niente è cambiato. L’ultima aggressione contro Gaza è finita proprio ieri, ma la sofferenza è continua. Sono sicura che quelli che sono fisicamente sopravvissuti hanno perso qualcosa dentro di sé, o forse sono morti nell’anima. Cerchiamo di resistere a tutto questo, ai traumi, alle sconvolgenti perdite dei nostri cari. Dopotutto siamo persone. Dobbiamo chiedere che le aggressioni finiscano. Di fatto dobbiamo chiedere a Israele di smettere quello che sta facendo, che pare sia impossibile da ammettere per molti occidentali. Israele non è stato affatto provocato, eppure questa volta ci hanno massacrati senza ritegno.

Pochi giorni fa mi sono svegliata con la notizia che Gaza era sotto attacco. La prima cosa che ho pensato è stata: non c’è nessuno che ci aiuti. Ed è tristemente vero. Sono grata che questa pesante aggressione sia durata solo tre giorni, ma chi riporterà in vita i bambini che sono morti? Chi riporterà in vita Khalil Abu Hamada, figlio unico consegnato ai suoi genitori dopo 15 anni e sei cicli di fecondazione in vitro? Immaginate di avere un bambino dopo 13 anni di matrimonio e molti tentativi di rimanere incinta. Poi immaginate che dopo 19 anni dalla sua nascita lo perdiate! Chi curerà Soad Hassouna, che si era laureata con una media alta ed è stata recentemente registrata mentre parlava della sua aspirazione a diventare dentista, dai traumi che deve subire ora perché la sua casa è stata colpita da un attacco aereo? È stata ritrovata proprio fra le macerie. È stata tirata fuori, ma non si sa se sopravviverà. Ha anche perso suo fratello.

I bambini di Gaza sono abituati agli incidenti di guerra

Le mie piccole figlie ricordano vividamente la precedente aggressione,” dice Deema Aydieh. “Hanno aperto le finestre prima ancora che glielo dicessi io. Sapevano che in questo modo la nostra casa sarebbe stata più sicura, i vetri non si sarebbero rotti e non sarebbero andati in frantumi attorno a noi.

Hanno preparato i loro vestiti per la preghiera e mi hanno chiesto di impacchettare le nostre carte e le nostre cose importanti in modo da non dimenticarle se avessimo dovuto scappare improvvisamente da casa.

Per un momento mi sono sentita come se le mie bambine avessero acquisito troppo rapidamente anni di saggezza, benché i loro sogni e speranze siano molto semplici. Volevano solo essere al sicuro. Tutto ciò che volevano proteggere erano i loro vestiti e giocattoli favoriti e i soldi risparmiati dallo scorso Eid [festa religiosa musulmana, ndt.], che pensavano di utilizzare per comprare materiale scolastico. La loro infanzia è un insieme di innocenza e saggezza, cose che raramente vanno insieme. Ma è Gaza, la terra dei paradossi,” aggiunge.

È assolutamente chiaro che tali aggressioni, in altre parole, diventano traumi dolorosi che i bambini della Striscia di Gaza conoscono molto bene. Io stessa sono una sopravvissuta all’età di cinque anni e posso ricordare il momento in cui ero davanti alla finestra di un’aula scolastica e vidi la carne di esseri umani volare nell’aria durante un attacco aereo dei nostri occupanti israeliani. Ricordo lo shock e il freddo che avvolse il mio corpo. In quel momento tutto divenne bianco nella mia mente, tutto si fermò e c’era solo vuoto. Da allora la vita non è stata realmente importante, perché mi sono resa conto di quanto poco valiamo per il resto del mondo. Avvenne durante la seconda aggressione contro Gaza. Ricordo che ciò successe quando ero in una scuola della United Nations Relief and Works Agency [UNRWA, l’agenzia dell’ONU per i rifugiati palestinesi, ndt.]. Per me è paradossale che esse vengano considerate rifugi sicuri, mentre Israele colpisce bambini, civili, moschee e persino scuole. In un attacco non ci sono posti sicuri a Gaza, e i gazawi lo sanno molto bene.

Le aggressioni israeliane contro i gazawi li lasciano traumatizzati

Una volta, mentre stavo parlando a una terapista, Cheryl Qamar, le chiesi se fosse vero che ogni gazawi soffre di disturbo da stress post-traumatico, o PTSD. Mi ha risposto che ogni essere umano che sperimenta questo tipo di incidenti soffrirà probabilmente di PTSD, quindi c’è una notevole probabilità che tutti i gazawi ne patiscano. Ha aggiunto che potremmo soffrire anche di CPTSD (disturbo da stress post traumatico complesso) in conseguenza del fatto di aver sperimentato traumi prolungati o ripetuti.

Ricordo quando la mia amica Raya ha visitato Gaza e mi ha chiesto cosa avessero ragazze e ragazzi di Gaza, perché tutti abbiamo paura dei gatti. Non ne sono sicura, ma penso che sia a causa del fatto che i traumi si manifestano in noi attraverso paure e fobie. Anch’io l’ho notato, in quanto sono solita aver paura dei gatti e anche di molte altre cose, ma, grazie a Dio, ho superato molte delle mie fobie e sto cercando di superare quelle che mi rimangono.

I giovani di Gaza si interrogano sulla loro situazione e sul loro destino

Mi domando se uccidere civili in tempo di guerra sia permesso, anche se per ragioni di autodifesa, e mi domando come possa essere accettabile uccidere Alaa Qadoum, di cinque anni. Alaa era solo una bambinetta e non era mai stata un pericolo per nessuno. Quest’anno l’avrebbero iscritta all’asilo.

Mi domando come possa essere in qualche modo vantaggiosa per Israele l’uccisione di Daniana Alamour, ventiduenne studentessa all’università Al-Aqsa. Daniana aveva la mia stessa età e viveva nel mio quartiere, studiava dove studio io. Entrambe amavamo l’arte, però lei era più intelligente e talentuosa, e prima di morire aveva fatto una serie di bellissimi ritratti e li aveva appesi nella galleria d’arte del nostro quartiere. Se agli occhi di Israele è lecito ucciderla, allora può essere molto probabile che uccidano anche me nelle future aggressioni.

Mi domando chi dovrebbe essere chiamato terrorista: Ashraf Al Qesi, che non ha esitato a consentire alla Difesa Civile Palestinese di demolire parte della sua casa per salvare i suoi vicini dopo che edifici accanto al suo erano stati distrutti dagli attacchi aerei israeliani, o chi spara contro i civili dal cielo.

La sofferenza che Israele provoca a Gaza non si limita alle aggressioni, ma va oltre. Israele ha imposto dal 2007 un blocco totale contro di noi. Qui alla gente non è consentito viaggiare se non per scopi specifici come salute e studio, e nonostante ciò possa essere la ragione, ho incontrato molti palestinesi che soddisfacevano le condizioni richieste a cui Israele non ha consentito di lasciare Gaza. Alcuni di essi hanno tentato invano molte volte di avere il permesso da Israele.

Mi ha fatto molto male quando il mio amico Hossam Abu Shammala ha detto di volersene andare all’estero perché in quel modo avrebbe vissuto una vita dignitosa. Intendeva dire che vivere a Gaza è una forma di umiliazione, ed è difficile da ammettere, però è vero. Ci vogliono un’incredibile forza, coraggio, spirito e resilienza per riuscire a vivere in un posto simile. Non si sa nemmeno quale sia il nostro destino di giovani. Quando guardiamo al futuro, tutto quello che vediamo è un caos totale. Non è che siamo intrinsecamente confusi o persi, è la situazione qui che ci rende infelici. Eppure cerchiamo di resistere e di trarre il meglio da questa situazione. Cerchiamo di vivere serenamente nella più grande prigione a cielo aperto del mondo, non sapendo quale crimine abbiamo commesso. Cerchiamo ogni giorno di avere speranza e ci riusciamo. A volte è molto duro, ma noi siamo dei sopravvissuti.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Gaza: i nomi e i volti dei 16 bambini palestinesi uccisi nell’assalto israeliano

Redazione di MEE

8 agosto 2022 – Middle East Eye

Almeno 45 palestinesi sono stati uccisi e più di 360 feriti nel corso dei tre giorni di attacchi aerei israeliani sulla Striscia assediata.

Questi sedici bambini palestinesi non vedevano l’ora di trascorrere un’estate piena di gioia. Avevano in programma di giocare a pallone, andare in spiaggia e frequentare un campo estivo.

Ma nel corso di tre giorni orribili le forze israeliane hanno scatenato un’ondata di attacchi aerei sulla Striscia di Gaza assediata, uccidendo 45 persone, tra cui i 16 bambini, e ferendone almeno altre 360.

“Non c’è uno spazio sicuro nella Striscia di Gaza per i bambini palestinesi e le loro famiglie, che sempre di più pagano le conseguenze delle ripetute offensive militari di Israele”, ha dichiarato Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma di accertamento di responsabilità presso l’ONG Defense for Children International – Palestina (DCIP) [la DCI è una ONG internazionale impegnata nella promozione e protezione dei diritti del fanciullo, ndt.].

Anche se domenica è entrato in vigore un cessate il fuoco a seguito di un accordo mediato dall’Egitto, i palestinesi hanno denunciato la devastante campagna di bombardamenti ed emergono maggiori dettagli sulle persone uccise.

L’esercito israeliano ha affermato che alcune delle vittime civili sono state uccise da razzi fuori bersaglio, senza fornire prove provenienti da verifiche indipendenti. Il Ministero della Salute palestinese afferma che tutte le persone uccise, compresi i 16 bambini, sono morte a causa degli attacchi aerei israeliani.

Alcune famiglie si sono rese disponibili a condividere le loro storie, mentre altre hanno mantenuto lo stato di lutto e hanno chiesto il rispetto della privacy.

Ecco i nomi e i volti dei bambini morti:

Alaa Abdullah Qaddoum, cinque anni

Alaa Abdullah Qaddoum è stata tra le prime vittime venerdì, dopo la decisione di Israele di lanciare gli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza assediata.

È morta il 5 agosto mentre giocava con gli amici fuori casa, nel quartiere di Shujaiya, nel nord della Striscia di Gaza.

Durante l’attacco suo fratello di sette anni e suo padre sono rimasti feriti.

Suo cugino, Abu Diab Qaddoum, ha detto a Middle East Eye: “Alaa era una bambina innocente di cinque anni che giocava per strada con i suoi fratelli e cugini. Cosa ha fatto per essere uccisa?”.

Momen Muhammed Ahmed al-Nairab, cinque anni

Momen Muhammed ِAhmed al-Nairab, cinque anni, è stato ucciso sabato in un presunto attacco aereo israeliano nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza.

Il campo è uno dei luoghi più densamente popolati della Terra e ospita più di 114.000 persone.

Hazem Muhammed Ali Salem, nove anni

Secondo la documentazione raccolta da Defense for Children International, Hazem Muhammed Ali Salem, nove anni, è tra i quattro bambini vittime dell’esplosione di sabato nel campo profughi di Jabalia.

Israele sostiene di non essere responsabile dell’attacco, ma fonti palestinesi affermano che non avrebbe potuto provenire da nessun’altra parte.

Ahmed Muhammed al-Nairab, 11 anni

Ahmed Muhammed al-Nairab, di 11 anni, è uno dei quattro bambini uccisi sabato quando presunti aerei da guerra israeliani hanno colpito il campo profughi di Jabalia.

Ahmed Walid Ahmed al-Farram, 16 anni

Anche Ahmed Walid Ahmed al-Farram, di 16 anni, è stato ucciso sabato quando presunti aerei da guerra israeliani hanno colpito il campo profughi di Jabalia.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) il campo risente di un’elevata disoccupazione, interruzioni regolari dell’elettricità e inquinamento dell’acqua potabile.

Muhammed Iyad Muhammed Hassouna, 14 anni

Muhammed Iyad Muhammed Hassouna, di 14 anni, è stato ucciso quando un attacco aereo israeliano ha preso di mira la sua casa a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Adeeb Ahmad, un testimone oculare dell’attacco, ha detto a MEE che nel corso del raid sono state uccise almeno otto persone.

“La casa è stata colpita senza alcun preavviso”, ha detto Ahmad. “Qui le case sono sovraffollate, ospitano da sette a otto persone ciascuna, e sono molto vicine l’una all’altra, quindi quando una casa viene colpita sono coinvolte diverse abitazioni intorno”.

Fatma Aaed Abdulfattah Ubaid, 15 anni

Fatma Aaed Abdulfattah Ubaid, 15 anni, è una dei nove minorenni uccisi nell’arco di 30 minuti, poco prima dell’annuncio del cessate il fuoco di domenica.

Ubaid è stata uccisa domenica a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza.

Ahmed Yasser Nimr al-Nabahin, nove anni [a sinistra]

Muhammed Yasser Nimr al-Nabahin, 12 anni [al centro]

Dalia Yasser Nimr al-Nabahin, 13 anni [a destra]

Domenica un attacco aereo israeliano contro il campo profughi di Bureij ha ucciso Yasser al-Nabahin e i suoi tre figli, Muhammed Yasser Nimr al-Nabahin, 13 anni (a sinistra); Ahmed Yasser Nimr al-Nabahin, nove (al centro); e la loro sorella, Dalia Yasser Nimr al-Nabahin, 13 (a destra).

Muhammed Salah Nijm, 16 anni

Domenica un presunto attacco aereo israeliano al cimitero di Falluja, nella zona nord di Gaza, ha ucciso cinque ragazzi mentre stavano seduti vicino a una tomba.

Tra le vittime, Muhammed Salah Nijm, di 16 anni.

Hamed Haidar Hamed Nijm, 16 anni

Hamed Haidar Hamed Nijm, di 16 anni, è un’altra delle vittime del raid di domenica al cimitero. Il testimone oculare Mohammad Sami ha detto a MEE che quattro dei ragazzi erano cugini e il quinto era un loro amico.

“Venivano a sedersi qui ogni giorno”, dice Sami. “Questa è una zona sicura.”

Jamil Nijm Jamil Nijm, quattro anni

Jamil Nijm Jamil Nijm è il bambino più piccolo ucciso durante l’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza. Aveva solo quattro anni.

Jamil Ihab Nijm, 13 anni

Jamil Ihab Nijm, 13 anni, è il quarto bambino facente parte della famiglia Nijm ad essere stato ucciso nel presunto attacco aereo di domenica.

Nazmi Fayez Abdulhadi Abukarsh, 16 anni

Anche Nazmi Fayez Abdulhadi Abukarsh, di 16 anni, amico dei ragazzi Nijm, è rimasto ucciso nel sospetto attacco aereo al cimitero.

Hanin Walid Muhammed Abuqaida, 10 anni

Hanin Walid Muhammed Abuqaida, di 10 anni, è stata ferita domenica in un attacco aereo sul campo profughi di Jabalia, ma lunedì è deceduta per le ferite riportate.

Aveva 10 anni.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La relatrice speciale per l’ONU afferma che gli attacchi israeliani su Gaza sono “illegali”.

Redazione Al Jazeera

7 agosto 2022 – Al Jazeera

Francesca Albanese chiede alle Nazioni Unite di indagare se Israele abbia violato il diritto internazionale e di accertare le responsabilità.

La relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati afferma che i raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza assediata “non solo sono illegali, ma irresponsabili”, invocando una soluzione diplomatica all’ultimo scoppio di violenza iniziato venerdì, quando Israele ha lanciato gli attacchi aerei su Gaza City.

La situazione a Gaza è sull’orlo di una crisi umanitaria”, ha detto Francesca Albanese ad Al Jazeera.

Il solo modo per garantire il benessere dei palestinesi ovunque siano è togliere l’assedio e permettere l’ingresso degli aiuti”.

Israele ha definito l’attacco come azione “preventiva” di autodifesa contro il gruppo della Jihad Islamica palestinese e ha detto che l’operazione sarebbe durata una settimana.

Albanese ha esecrato gli Stati Uniti per aver detto di ritenere che Israele aveva il diritto di difendersi. “Israele non può sostenere che si sta difendendo in questo conflitto”, ha detto Albanese.

L’ambasciatore statunitense in Israele, Tom Nides, venerdì ha scritto su twitter: “Gli Stati Uniti credono fermamente che Israele abbia il diritto di proteggersi. Ci stiamo impegnando con le diverse parti e invitiamo tutti alla calma.”

La sua posizione è stata ripresa dalla Ministra degli Esteri britannica Liz Truss, che ha detto che il Regno Unito “sta dalla parte di Israele e del suo diritto a difendersi” e ha condannato i gruppi terroristi che sparano ai civili e la violenza che ha provocato vittime da entrambe le parti.”

A partire da venerdì a Gaza sono stati uccisi almeno 31 palestinesi e 260 sono stati feriti. A sabato non sono stati riferiti feriti gravi dal lato israeliano, in quanto secondo l’esercito il sistema di difesa Iron Dome ha intercettato il 97% dei razzi lanciati dalla striscia assediata.

La protezione è ciò che ho chiesto in Palestina e non solo io. È necessario…proteggere le vite dei civili”, ha detto Albanese. “Non è possibile che Israele si stia difendendo dai civili dal 1967.”

La relatrice speciale, che è un’esperta indipendente responsabile del monitoraggio delle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati e di riferirne all’ONU, ha chiesto all’ente internazionale di accertare se a Gaza sia stato violato il diritto internazionale e di garantire l’attribuzione delle responsabilità.

Ritengo che la mancanza di attribuzione di responsabilità rafforzi Israele”, ha detto Albanese. “Vedo come soluzione la fine dell’occupazione.”

Una commissione di inchiesta indipendente istituita dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU dopo la brutale guerra contro Gaza nel maggio 2021 ha affermato che Israele deve fare di più che “porre semplicemente fine all’occupazione” della terra che i dirigenti palestinesi esigono per un futuro Stato.

Di per sé la fine dell’occupazione non sarà sufficiente”, conclude il rapporto pubblicato a giugno. Aggiunge che devono essere prese misure per assicurare un uguale godimento dei diritti umani per i palestinesi.

Tuttavia fornisce prove che Israele “non ha intenzione di porre termine all’occupazione”, ma al contrario persegue il “completo controllo” dei territori occupati nel 1967.

La commissione conclude che il governo israeliano “ha agito in modo da alterare la demografia tramite il mantenimento di un contesto repressivo per i palestinesi e favorevole ai coloni israeliani.”

Gli USA hanno lasciato il Consiglio (per i Diritti Umani) nel 2018 imputando “un cronico pregiudizio” contro Israele e vi sono pienamente rientrati solo quest’anno.

Nel maggio 2021 un’offensiva militare durata 11 giorni contro Gaza ha ucciso oltre 260 palestinesi e ne ha feriti più di 2.000. In Israele sono state uccise 13 persone.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)