Gaza: i nomi e i volti dei 16 bambini palestinesi uccisi nell’assalto israeliano

Redazione di MEE

8 agosto 2022 – Middle East Eye

Almeno 45 palestinesi sono stati uccisi e più di 360 feriti nel corso dei tre giorni di attacchi aerei israeliani sulla Striscia assediata.

Questi sedici bambini palestinesi non vedevano l’ora di trascorrere un’estate piena di gioia. Avevano in programma di giocare a pallone, andare in spiaggia e frequentare un campo estivo.

Ma nel corso di tre giorni orribili le forze israeliane hanno scatenato un’ondata di attacchi aerei sulla Striscia di Gaza assediata, uccidendo 45 persone, tra cui i 16 bambini, e ferendone almeno altre 360.

“Non c’è uno spazio sicuro nella Striscia di Gaza per i bambini palestinesi e le loro famiglie, che sempre di più pagano le conseguenze delle ripetute offensive militari di Israele”, ha dichiarato Ayed Abu Eqtaish, direttore del programma di accertamento di responsabilità presso l’ONG Defense for Children International – Palestina (DCIP) [la DCI è una ONG internazionale impegnata nella promozione e protezione dei diritti del fanciullo, ndt.].

Anche se domenica è entrato in vigore un cessate il fuoco a seguito di un accordo mediato dall’Egitto, i palestinesi hanno denunciato la devastante campagna di bombardamenti ed emergono maggiori dettagli sulle persone uccise.

L’esercito israeliano ha affermato che alcune delle vittime civili sono state uccise da razzi fuori bersaglio, senza fornire prove provenienti da verifiche indipendenti. Il Ministero della Salute palestinese afferma che tutte le persone uccise, compresi i 16 bambini, sono morte a causa degli attacchi aerei israeliani.

Alcune famiglie si sono rese disponibili a condividere le loro storie, mentre altre hanno mantenuto lo stato di lutto e hanno chiesto il rispetto della privacy.

Ecco i nomi e i volti dei bambini morti:

Alaa Abdullah Qaddoum, cinque anni

Alaa Abdullah Qaddoum è stata tra le prime vittime venerdì, dopo la decisione di Israele di lanciare gli attacchi aerei sulla Striscia di Gaza assediata.

È morta il 5 agosto mentre giocava con gli amici fuori casa, nel quartiere di Shujaiya, nel nord della Striscia di Gaza.

Durante l’attacco suo fratello di sette anni e suo padre sono rimasti feriti.

Suo cugino, Abu Diab Qaddoum, ha detto a Middle East Eye: “Alaa era una bambina innocente di cinque anni che giocava per strada con i suoi fratelli e cugini. Cosa ha fatto per essere uccisa?”.

Momen Muhammed Ahmed al-Nairab, cinque anni

Momen Muhammed ِAhmed al-Nairab, cinque anni, è stato ucciso sabato in un presunto attacco aereo israeliano nel campo profughi di Jabalia, nel nord della Striscia di Gaza.

Il campo è uno dei luoghi più densamente popolati della Terra e ospita più di 114.000 persone.

Hazem Muhammed Ali Salem, nove anni

Secondo la documentazione raccolta da Defense for Children International, Hazem Muhammed Ali Salem, nove anni, è tra i quattro bambini vittime dell’esplosione di sabato nel campo profughi di Jabalia.

Israele sostiene di non essere responsabile dell’attacco, ma fonti palestinesi affermano che non avrebbe potuto provenire da nessun’altra parte.

Ahmed Muhammed al-Nairab, 11 anni

Ahmed Muhammed al-Nairab, di 11 anni, è uno dei quattro bambini uccisi sabato quando presunti aerei da guerra israeliani hanno colpito il campo profughi di Jabalia.

Ahmed Walid Ahmed al-Farram, 16 anni

Anche Ahmed Walid Ahmed al-Farram, di 16 anni, è stato ucciso sabato quando presunti aerei da guerra israeliani hanno colpito il campo profughi di Jabalia.

Secondo l’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (Unrwa) il campo risente di un’elevata disoccupazione, interruzioni regolari dell’elettricità e inquinamento dell’acqua potabile.

Muhammed Iyad Muhammed Hassouna, 14 anni

Muhammed Iyad Muhammed Hassouna, di 14 anni, è stato ucciso quando un attacco aereo israeliano ha preso di mira la sua casa a Rafah, nel sud della Striscia di Gaza.

Adeeb Ahmad, un testimone oculare dell’attacco, ha detto a MEE che nel corso del raid sono state uccise almeno otto persone.

“La casa è stata colpita senza alcun preavviso”, ha detto Ahmad. “Qui le case sono sovraffollate, ospitano da sette a otto persone ciascuna, e sono molto vicine l’una all’altra, quindi quando una casa viene colpita sono coinvolte diverse abitazioni intorno”.

Fatma Aaed Abdulfattah Ubaid, 15 anni

Fatma Aaed Abdulfattah Ubaid, 15 anni, è una dei nove minorenni uccisi nell’arco di 30 minuti, poco prima dell’annuncio del cessate il fuoco di domenica.

Ubaid è stata uccisa domenica a Beit Hanoun, nel nord della Striscia di Gaza.

Ahmed Yasser Nimr al-Nabahin, nove anni [a sinistra]

Muhammed Yasser Nimr al-Nabahin, 12 anni [al centro]

Dalia Yasser Nimr al-Nabahin, 13 anni [a destra]

Domenica un attacco aereo israeliano contro il campo profughi di Bureij ha ucciso Yasser al-Nabahin e i suoi tre figli, Muhammed Yasser Nimr al-Nabahin, 13 anni (a sinistra); Ahmed Yasser Nimr al-Nabahin, nove (al centro); e la loro sorella, Dalia Yasser Nimr al-Nabahin, 13 (a destra).

Muhammed Salah Nijm, 16 anni

Domenica un presunto attacco aereo israeliano al cimitero di Falluja, nella zona nord di Gaza, ha ucciso cinque ragazzi mentre stavano seduti vicino a una tomba.

Tra le vittime, Muhammed Salah Nijm, di 16 anni.

Hamed Haidar Hamed Nijm, 16 anni

Hamed Haidar Hamed Nijm, di 16 anni, è un’altra delle vittime del raid di domenica al cimitero. Il testimone oculare Mohammad Sami ha detto a MEE che quattro dei ragazzi erano cugini e il quinto era un loro amico.

“Venivano a sedersi qui ogni giorno”, dice Sami. “Questa è una zona sicura.”

Jamil Nijm Jamil Nijm, quattro anni

Jamil Nijm Jamil Nijm è il bambino più piccolo ucciso durante l’offensiva israeliana sulla Striscia di Gaza. Aveva solo quattro anni.

Jamil Ihab Nijm, 13 anni

Jamil Ihab Nijm, 13 anni, è il quarto bambino facente parte della famiglia Nijm ad essere stato ucciso nel presunto attacco aereo di domenica.

Nazmi Fayez Abdulhadi Abukarsh, 16 anni

Anche Nazmi Fayez Abdulhadi Abukarsh, di 16 anni, amico dei ragazzi Nijm, è rimasto ucciso nel sospetto attacco aereo al cimitero.

Hanin Walid Muhammed Abuqaida, 10 anni

Hanin Walid Muhammed Abuqaida, di 10 anni, è stata ferita domenica in un attacco aereo sul campo profughi di Jabalia, ma lunedì è deceduta per le ferite riportate.

Aveva 10 anni.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La relatrice speciale per l’ONU afferma che gli attacchi israeliani su Gaza sono “illegali”.

Redazione Al Jazeera

7 agosto 2022 – Al Jazeera

Francesca Albanese chiede alle Nazioni Unite di indagare se Israele abbia violato il diritto internazionale e di accertare le responsabilità.

La relatrice speciale delle Nazioni Unite per i territori palestinesi occupati afferma che i raid aerei israeliani sulla Striscia di Gaza assediata “non solo sono illegali, ma irresponsabili”, invocando una soluzione diplomatica all’ultimo scoppio di violenza iniziato venerdì, quando Israele ha lanciato gli attacchi aerei su Gaza City.

La situazione a Gaza è sull’orlo di una crisi umanitaria”, ha detto Francesca Albanese ad Al Jazeera.

Il solo modo per garantire il benessere dei palestinesi ovunque siano è togliere l’assedio e permettere l’ingresso degli aiuti”.

Israele ha definito l’attacco come azione “preventiva” di autodifesa contro il gruppo della Jihad Islamica palestinese e ha detto che l’operazione sarebbe durata una settimana.

Albanese ha esecrato gli Stati Uniti per aver detto di ritenere che Israele aveva il diritto di difendersi. “Israele non può sostenere che si sta difendendo in questo conflitto”, ha detto Albanese.

L’ambasciatore statunitense in Israele, Tom Nides, venerdì ha scritto su twitter: “Gli Stati Uniti credono fermamente che Israele abbia il diritto di proteggersi. Ci stiamo impegnando con le diverse parti e invitiamo tutti alla calma.”

La sua posizione è stata ripresa dalla Ministra degli Esteri britannica Liz Truss, che ha detto che il Regno Unito “sta dalla parte di Israele e del suo diritto a difendersi” e ha condannato i gruppi terroristi che sparano ai civili e la violenza che ha provocato vittime da entrambe le parti.”

A partire da venerdì a Gaza sono stati uccisi almeno 31 palestinesi e 260 sono stati feriti. A sabato non sono stati riferiti feriti gravi dal lato israeliano, in quanto secondo l’esercito il sistema di difesa Iron Dome ha intercettato il 97% dei razzi lanciati dalla striscia assediata.

La protezione è ciò che ho chiesto in Palestina e non solo io. È necessario…proteggere le vite dei civili”, ha detto Albanese. “Non è possibile che Israele si stia difendendo dai civili dal 1967.”

La relatrice speciale, che è un’esperta indipendente responsabile del monitoraggio delle violazioni dei diritti umani nei territori palestinesi occupati e di riferirne all’ONU, ha chiesto all’ente internazionale di accertare se a Gaza sia stato violato il diritto internazionale e di garantire l’attribuzione delle responsabilità.

Ritengo che la mancanza di attribuzione di responsabilità rafforzi Israele”, ha detto Albanese. “Vedo come soluzione la fine dell’occupazione.”

Una commissione di inchiesta indipendente istituita dal Consiglio per i Diritti Umani dell’ONU dopo la brutale guerra contro Gaza nel maggio 2021 ha affermato che Israele deve fare di più che “porre semplicemente fine all’occupazione” della terra che i dirigenti palestinesi esigono per un futuro Stato.

Di per sé la fine dell’occupazione non sarà sufficiente”, conclude il rapporto pubblicato a giugno. Aggiunge che devono essere prese misure per assicurare un uguale godimento dei diritti umani per i palestinesi.

Tuttavia fornisce prove che Israele “non ha intenzione di porre termine all’occupazione”, ma al contrario persegue il “completo controllo” dei territori occupati nel 1967.

La commissione conclude che il governo israeliano “ha agito in modo da alterare la demografia tramite il mantenimento di un contesto repressivo per i palestinesi e favorevole ai coloni israeliani.”

Gli USA hanno lasciato il Consiglio (per i Diritti Umani) nel 2018 imputando “un cronico pregiudizio” contro Israele e vi sono pienamente rientrati solo quest’anno.

Nel maggio 2021 un’offensiva militare durata 11 giorni contro Gaza ha ucciso oltre 260 palestinesi e ne ha feriti più di 2.000. In Israele sono state uccise 13 persone.

(Traduzione dall’inglese di Cristiana Cavagna)




Israele uccide almeno 10 palestinesi nella nuova campagna di bombardamenti contro Gaza

Ahmed Al-Sammak, Lubna Masarwa, Huthifa Fayyad da Gaza City, Palestina occupata

5 agosto 2022 – Middle East Eye

Un dirigente della Jihad Islamica è stato assassinato in un attacco che ha ucciso anche una bambina di 5 anni e ferito più di 55 civili

Nell’ultimo bombardamento contro la Striscia di Gaza di venerdì l’esercito israeliano ha ucciso almeno 10 palestinesi, tra cui una bambina di 5 anni e un importante leader militare.

Taiseer al-Jabari, capo della divisione nord delle Brigate di al-Quds (Saraya al-Quds), l’ala militare del movimento Jihad Islamica, è stato ucciso durante attacchi aerei che hanno colpito varie località di Gaza. Secondo il ministero della Sanità palestinese almeno 55 persone sono rimaste ferite.

Gli attacchi iniziali hanno colpito tre diverse zone: Khan Younis nel sud della Striscia, Shujaiya a nord e un edificio residenziale nel centro di Gaza.

L’esercito afferma di aver preso di mira la Jihad Islamica con l’operazione denominata “Breaking Dawn” [Sorgere del sole].

Hamas, che governa di fatto Gaza, e la Jihad Islamica, la seconda più importante organizzazione armata della Striscia, hanno promesso una dura risposta all’aggressione israeliana. 

Ziad al-Nakhalah, capo della Jihad Islamica, ha affermato che non ci sono limiti in questa guerra e che Tel Aviv verrà presa di mira.

Non ci sono linee rosse in questa battaglia e Tel Aviv, come tutte le città israeliane, finirà sotto i razzi della resistenza,” ha affermato.

Gaza è stata colpita da attacchi aerei e dal fuoco dell’artiglieria. La Jihad Islamica ha affermato di aver sparato 100 razzi venerdì notte come risposta iniziale.

Fawzi Barhoum, portavoce di Hamas, ha detto che le fazioni della resistenza a Gaza sono unite e pronte a rispondere con “tutta la forza”.

Nel contempo il primo ministro israeliano Yair Lapid ha affermato che il Paese “non consentirà alle organizzazioni terroristiche della Striscia di Gaza di dettare le regole” e che l’esercito israeliano continuerà ad agire contro l’organizzazione Jihad Islamica “per eliminare la minaccia che rappresenta per i cittadini di Israele.”

Un vero e proprio crimine”

Khalil Kanon vive al dodicesimo piano della Palestine Tower, un edificio nel centro di Gaza che è stato colpito venerdì durante il primo attacco aereo israeliano. Dice a MEE che il bombardamento ha ferito sua moglie e sua madre, ha terrorizzato i suoi figli e tutta la famiglia è stata macchiata di sangue.”

Stavo leggendo le notizie. Improvvisamente abbiamo sentito bombardamenti assordanti. Una mano di mia madre e una gamba di mia moglie sono state ferite, e i miei figli erano terrorizzati,” racconta Kanon.

Dopo il bombardamento, un vicino di Kanon è corso ad aiutare e ha portato fuori dall’edificio i suoi figli e sua moglie, mentre Kanon aspettava gli infermieri per aiutarli a portare via sua madre dallo stabile.

Eravamo tutti sporchi di sangue. Guarda, c’è una macchia di sangue sulla mia maglietta.

Non avrei mai pensato che questo edificio potesse essere bombardato. Che razza di vita abbiamo?”

Ahmed al-Bata, un giornalista, quando l’edificio è stato bombardato stava aspettando l’ascensore per salire al quattordicesimo piano della Palestine Tower, dove si trova il suo ufficio.

Improvvisamente ho sentito tre massicci, intensi bombardamenti,” racconta a MEE.

La scena è stata inimmaginabile. Dopo qualche minuto decine di abitanti hanno iniziato a scappare urlando. Quasi tutti erano bambini e donne. Decine di loro erano ferite. La scena era talmente orribile. È un vero e proprio crimine.”

Arresto di un leader della Jihad Islamica

L’attacco è giunto dopo giorni di blocco imposto dalle autorità israeliane agli abitanti che vivono nei pressi di Gaza, e il dispiegamento di truppe nella zona. Le misure hanno incluso la chiusura di strade e il blocco del servizio ferroviario vicino a Gaza.

L’esercito israeliano ha affermato di averle messe in atto a causa del timore di attacchi di rappresaglia da parte della Jihad Islamica a Gaza dopo l’arresto nella città di Jenin, nella Cisgiordania occupata, di un importante dirigente dell’organizzazione, Bassam al_Saadi.

Nell’incursione in città è stato ucciso anche il diciassettenne palestinese Dirar al-Kafrayni, colpito a morte dalle forze israeliane. 

Nell’incursione è stato arrestato anche il genero di Saadi, Ashraf al-Jada. Durante l’arresto la moglie di Saadi è stata ferita e portata in ospedale per essere curata. Immagini di una telecamera di sorveglianza dell’arresto di Saadi mostrano soldati israeliani che trascinano sul pavimento il sessantaduenne. Sarebbe anche stato ferito da un cane dell’esercito israeliano.

Quando si sono diffuse notizie dell’incursione mortale, gruppi di persone si sono riuniti nel campo di rifugiati di Jenin e nella vicina città di Nablus, mentre sostenitori hanno espresso solidarietà a un personaggio molto rispettato. La Jihad Islamica, considerata la seconda milizia più importante della resistenza armata palestinese dopo Hamas, ha affermato di aver messo in allerta ovunque i propri combattenti.

Ameer Makhoul, un importante attivista e scrittore palestinese, dice a MEE: “Nessuno dovrebbe essere sorpreso dall’aggressione israeliana contro Gaza e del fatto che siano stati presi di mira i dirigenti delle brigate di al-Quds e i civili.”

Makhoul ha aggiunto che il massiccio schieramento dell’esercito sul e attorno al confine con Gaza non è stato “un’iniziativa difensiva” o per prevenire la risposta della Jihad Islamica all’arresto di Saadi.

Al contrario, l’arresto è avvenuto come parte della preparazione di una nuova aggressione con obiettivi e strategie, anche se di portata limitata,” ha affermato.

Meron Rapoport, un esperto commentatore israeliano, ha affermato che la tempistica dell’operazione israeliana è stata strana e che Israele ha essenzialmente punito l’organizzazione Jihad Islamica perché non attaccasse come rappresaglia per l’arresto di Saadi, dato che il gruppo armato ha lanciato razzi solo dopo che Israele ha iniziato attacchi aerei contro Gaza.

Israele arresta un importante membro della Jihad Islamica in Cisgiordania, e il gruppo non risponde,” continua Rapoport, in riferimento all’arresto di Bassam al-Saadi all’inizio di questa settimana a Jenin.

Ma poi “Israele ha imposto il coprifuoco a decine di migliaia di abitanti nelle zone adiacenti a Gaza in base al fatto che la Jihad Islamica progettava una risposta, poi uccide importanti membri dell’organizzazione e civili a Gaza, in base al fatto che pianificavano di attaccare Israele. Il risultato, dopo che Israele avrebbe tentato di impedire attacchi della Jihad Islamica, è che ora arrivano razzi, cosa che a quanto pare non sarebbe avvenuta se Israele non avesse attaccato per primo.”

Gli USA difendono Israele, l’ONU sollecita una riduzione della tensione

In risposta al bombardamento di Gaza da parte di Israele gli Stati Uniti hanno detto che il Paese ha il “diritto di difendersi”.

L’attacco giunge poche settimane dopo che il presidente USA Joe Biden ha visitato Israele. Prima del viaggio la sua amministrazione avrebbe chiesto a Israele di rimandare ogni escalation contro i palestinesi “a dopo la visita di Biden” a metà luglio.

La richiesta è stata condannata dagli attivisti palestinesi, che hanno detto a MEE che ciò è “indicativo della vera politica degli Stati Uniti nei confronti di Israele,” in quanto gli USA non si preoccupano di come Israele tratta i palestinesi.

Nel contempo l’ONU ha emanato un comunicato più severo, affermando che non ci sono “giustificazioni” per gli attacchi contro i civili.

Sono profondamente preoccupato dalla continua escalation tra i miliziani palestinesi e Israele, compresa l’odierna uccisione mirata di un dirigente della Jihad Islamica palestinese all’interno di Gaza,” ha affermato venerdì sera in un comunicato Tor Wennesland, il coordinatore speciale dell’ONU per il processo di pace in Medio Oriente.

La continua escalation è molto pericolosa,” ha affermato Wennesland.

Israele impone dal 2007 un durissimo blocco contro la Striscia di Gaza, che secondo le associazioni per i diritti umani rappresenta una punizione collettiva per i due milioni di abitanti dell’enclave. Israele impedisce l’importazione di materiali ed attrezzature a Gaza ed ha imposto rigide restrizioni alle esportazioni, che hanno portato a una condizione di “paralisi” in molti settori dell’economia di Gaza.  

Anche l’Egitto sostiene l’assedio, controllando i movimenti in entrata e in uscita da Gaza sulla propria frontiera.

Secondo il ministero della Sanità di Gaza nel maggio dello scorso anno un attacco militare israeliano contro Gaza ha ucciso più di 260 palestinesi, tra cui 66 minorenni, e sfollato almeno 72.000 persone.

In un rapporto Human Rights Watch [prestigiosa ong per i diritti umani con sede negli USA, ndt.] ha affermato che gli attacchi aerei israeliani del 2021 hanno preso di mira zone nelle cui vicinanze non c’erano prove dell’esistenza di obiettivi militari, il che rappresenta un crimine di guerra.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




La vergognosa “Lista nera” delle Nazioni Unite: equivalenza tra colpevole israeliano e vittima palestinese

Ramzy Baroud

18 luglio 2022 – Middle East Monitor

“Ci dispiace di non essere riusciti a proteggerti.”Questa frase fa parte di una dichiarazione rilasciata dagli esperti dei diritti umani delle Nazioni Unite il 14 luglio, in cui si esorta il governo israeliano a rilasciare il prigioniero palestinese Ahmad Manasra. Arrestato e torturato dalle forze israeliane a soli 14 anni, Manasra ora ha 20 anni. Il suo caso è una raffigurazione del trattamento complessivamente disumano che Israele riserva ai minori palestinesi.

La dichiarazione degli esperti è forte e sincera. Accusa Israele di aver privato il giovane Manasra “della sua infanzia, dell’ambiente familiare, della protezione e di tutti i diritti che avrebbero dovuto garantirgli da piccolo”. Definisce il caso come “inquietante”, considerando le “condizioni mentali in via di deterioramento” di Manasra. La dichiarazione va oltre, affermando che questo caso … è una macchia su tutti noi come parte della comunità internazionale per i diritti umani”.

La condanna di Israele per il maltrattamento dei minorenni palestinesi, che siano quelli sotto assedio nella Gaza colpita dalla guerra o sotto occupazione militare e apartheid nel resto dei territori occupati in Cisgiordania e Gerusalemme est, è usuale.

Eppure, in qualche modo, a Israele è stato comunque risparmiato un posto nell’elenco poco lusinghiero, pubblicato ogni anno dal Segretario generale delle Nazioni Unite, che cita e denuncia pubblicamente governi e gruppi che commettono gravi violazioni contro bambini e minori in qualsiasi parte del mondo.

Stranamente il rapporto riconosce il raccapricciante primato di Israele nella violazione dei diritti dei minorenni in Palestina. Descrive in dettaglio alcune di queste violazioni, che i collaboratori delle Nazioni Unite hanno verificato direttamente. Ciò include “2.934 gravi violazioni contro 1.208 minorenni palestinesi” solo nel 2021. Tuttavia, il rapporto equipara il primato di Israele, uno dei più tristi al mondo, a quello dei palestinesi, cioè al fatto che in tutto il 2021 9 minorenni israeliani sono stati vittime della violenza palestinese.

Sebbene provocare volutamente dei danni nei confronti di anche solo un minore sia deplorevole indipendentemente dalle circostanze o dall’autore, è sbalorditivo che il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres abbia ritenuto appropriato equiparare l’evento abituale delle violazioni sistematiche perpetrate dall’esercito israeliano ai danni recati, intenzionalmente o meno, ai 9 minori israeliani da gruppi armati palestinesi.

Occupandosi dell’evidente discrepanza tra le vittime minorenni palestinesi e quelle israeliane, il rapporto delle Nazioni Unite ha raggruppato tutte le categorie per distrarre dall’identità dell’autore, riducendo così l’attenzione sui crimini israeliani. Ad esempio, il rapporto afferma che un totale di 88 bambini sono stati uccisi in tutta la Palestina, di cui 69 a Gaza e 17 in Cisgiordania e Gerusalemme est. Tuttavia, il rapporto analizza questi omicidi in modo tale da mettere assieme i minori palestinesi e israeliani come se si cercasse intenzionalmente di confondere il lettore. Con una lettura attenta si scopre che tutti questi omicidi, tranne due, sono stati perpetrati dalle forze israeliane.

Inoltre il rapporto utilizza la stessa logica per analizzare il numero di minori mutilati nel conflitto, sebbene dei 1.128 mutilati solo 7 fossero israeliani. Dei restanti, 661 sono stati mutilati a Gaza e 464 in Cisgiordania, compresa Gerusalemme est.

Il rapporto prosegue incolpando “gruppi armati palestinesi” per alcune delle vittime palestinesi, che sarebbero rimaste ferite a seguito di “incidenti che hanno coinvolto minorenni che si trovavano nei pressi di esercitazioni militari”. Supponendo che sia così, incidenti di questa natura non possono essere considerati “gravi violazioni” in quanto, secondo la stessa definizione dell’ONU, sono accidentali.

L’analisi confusa di questi dati, tuttavia, non è di per sé casuale, in quanto ha concesso a Guterres la possibilità di dichiarare che “se la situazione si ripetesse nel 2022 senza miglioramenti significativi, Israele dovrebbe essere inserito nell’elenco”.

Peggio ancora, il rapporto di Guterres è andato oltre nel rassicurare gli israeliani che sono sulla strada giusta affermando che “finora quest’anno non abbiamo assistito a un numero simile di violazioni”, come a suggerire che il governo israeliano di destra di Naftali Bennett e Yair Lapid ha volutamente cambiato la politica riguardo a individuare come bersaglio minori palestinesi. Naturalmente non esiste nessuna prova di questo tipo.

Il 27 giugno, Defense for Children International-Palestine (DCIP) [ONG internazionale impegnata nella promozione e difesa dei diritti del fanciullo, ndt.] ha riferito che dall’inizio del 2022 Israele “ha intensificato le sue aggressioni” contro i minori in Cisgiordania e a Gerusalemme est. Il DCIP ha confermato che ben 15 minorenni palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane nei primi sei mesi del 2022, quasi lo stesso numero di morti nelle stesse zone nel corso dell’intero anno precedente. Questa cifra include 5 minori nella sola città occupata di Jenin. Israele ha anche preso di mira i giornalisti che hanno tentato di riferire su queste violazioni, tra cui la giornalista palestinese Shireen Abu Akleh, che è stata uccisa l’11 maggio, e Ali Samoudi, che è stato colpito alla schiena lo stesso giorno.

Si può dire molto di più, ovviamente, sull’assedio di centinaia di migliaia di minorenni nella Striscia di Gaza, nota come la “prigione a cielo aperto più grande del mondo”, e molti altri nella Cisgiordania occupata. La mancanza di diritti umani fondamentali, comprese le medicine salvavita e, nel caso di Gaza, l’acqua potabile, non suggerisce alcun tangibile miglioramento nel bilancio di Israele per quanto riguarda i diritti dei minori palestinesi.

Se pensate che il rapporto delle Nazioni Unite sia un passo nella giusta direzione, ricredetevi. Il 2014 è stato uno degli anni più tragici per i minori palestinesi in cui, secondo un precedente rapporto delle Nazioni Unite, 557 minorenni sono stati uccisi e 4.249 feriti, la stragrande maggioranza dei quali è stata presa di mira durante la guerra israeliana a Gaza. Human Rights Watch [ONG internazionale che si occupa dei diritti umani, ndt.] ha affermato che il numero di palestinesi uccisi “è stato in quell’anno il terzo più alto al mondo”. Tuttavia Israele non è stato inserito nella “Lista della vergogna” delle Nazioni Unite. Il messaggio chiaro qui è che Israele può prendere di mira i bambini palestinesi a suo piacimento, poiché non dovrà scontare alcuna conseguenza legale, politica o morale per le sue azioni.

Questo non è ciò che i palestinesi si aspettano dalle Nazioni Unite, un’organizzazione che presumibilmente esiste per porre fine ai conflitti armati e portare pace e sicurezza per tutti. Per ora, il messaggio inviato dalla più grande istituzione internazionale del mondo a Manasra e al resto dei minori palestinesi rimane invariato: “Siamo spiacenti di non essere riusciti a proteggervi”.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dall’Inglese di Aldo Lotta)




L’immagine astratta del mio mondo

Nada Almadhoun

Striscia di Gaza – Wearenotnumbers

 

Pioveva quel giorno di dicembre quando, addossata a un muro sbriciolato di Omar Mukhtar Street a Gaza, aspettavo un’amica. Guardavo le gocce di pioggia cadere ed ero affascinata dalla scena: davanti a me c’era un muro sopravvissuto non solo ai conflitti antichi, ma anche a quello oggi al centro della mia vita e di quelle di tutti i palestinesi. Dentro questo vecchio muro c’erano tante storie che volevo raccontare con la mia arte.

Tornata a casa il mio sguardo è caduto sulla tela bianca intonsa appoggiata sul cavalletto nella mia camera da letto. Volevo realizzare un quadro realistico del muro, ma più dipingevo più diventava astratto. Un paradosso intrigante. Una volta finito mi è subito piaciuto da morire! Sebbene non sia uno dei miei migliori, ogni volta che lo guardo scopro significati segreti. Talvolta mi comunica la nostalgia per il tempo passato con gli amici che hanno lasciato Gaza per studiare all’estero. I suoi colori mi fanno venire in mente quelli del vecchio caffè dove, per l’ultima volta, io e il gruppo dei miei amici ci siamo incontrati e promessi di non essere tristi e di non piangere. È stata l’ultima promessa che ci siamo fatti prima di essere assorbiti dalle nostre vite. Anche se mi tengo in contatto con i miei amici, il quadro mi ricorda di quanto abbia bisogno di stare con loro e quando questo succede la nostalgia lascia il posto alla solitudine.

Quasi sempre però il dipinto mi rammenta che sono intrappolata dentro ai muri che circondano Gaza. Mi ricorda di quando avevo 17 anni ed ero superfelice perché avevo ricevuto una borsa di studio per un campo estivo per studenti delle superiori all’University of North Georgia. Io e tutti gli altri giovani di Gaza che conosco sogniamo un’opportunità simile, un’occasione per fare un’esperienza in un’altra parte del mondo. Ma da Gaza per andare negli Stati Uniti bisogna passare dalla Giordania perché in Palestina non c’è un aeroporto e agli abitanti di Gaza  è proibito volare da Israele. Per andare in Giordania avevo bisogno di un permesso di ingresso e anche di un nullaosta giordano.

Dopo che la Giordania me li ha rifiutati entrambi senza spiegazioni sono sprofondata in una grave depressione. Era la prima volta che mi capitava. Mi sentivo intrappolata, senza speranza di fuga. Prima che la Giordania mi negasse l’ingresso avevo un sogno, ma da allora credo sia inutile persino sognare. Non essere andata negli USA per il campo estivo quando ero una ragazzina è solo una delle conseguenze dell’occupazione israeliana della Palestina e del suo blocco di Gaza.

Quando guardo il mio quadro, la prima cosa che vedo sono muri dietro muri. Questo mi ricorda i muri invisibili della prigione che privano i gazesi dei loro diritti più elementari. La superficie annerita con cui ho reso il vecchio muro è una metafora delle vite deprimenti che noi palestinesi viviamo: a Gaza la disoccupazione è elevata, supera il 50%, e parecchi dei miei amici hanno cercato un lavoro per mesi senza alcun successo. Adesso abbiamo otto ore di fornitura elettrica al giorno. Ci sono stati periodi in cui il nostro accesso alla rete elettrica era ridotto a quattro ore. Non è mai sufficiente per vivere le nostre vite come vorremmo.

Le due strisce che si intrecciano e formano quattro angoli in basso a sinistra del mio quadro mi ricordano gli angoli della mia casa e le volte in cui ci siamo rifugiati lì durante gli attacchi israeliani. Uno che non dimenticherò mai è avvenuto la notte di Eid al-Fitr [festa per la fine del Ramadan, ndtr.]. Il bombardamento era intenso e c’erano esplosioni ovunque nella Striscia. Anche se ero già sopravvissuta a tre attacchi precedenti contro Gaza e pensavo di essermi abituata, quel giorno è stato veramente terrificante. Per prepararci, se ci fosse stata un’esplosione vicino a casa o se fossimo stati avvertiti che la nostra casa sarebbe stata bombardata dopo pochi minuti, io e la mia famiglia abbiamo raccolto le nostre carte di identità, passaporti e altri documenti importanti. Quella è stata una notte strana e diversa. Mi sono sentita obbligata a ispezionare ogni angolo della mia casa per mettere in salvo i ricordi delle nostre vite nel caso in cui quelli fossero i miei ultimi momenti nella nostra casa.

Guardando il quadro mi tornano in mentre altri muri che raccontano altre storie, come quella della mia amica Sally che ha visto la sua casa distrutta da un attacco israeliano. Quando è successo Sally ha solo detto: “Grazie a Dio è stato solo un danno economico, nessuno è rimasto ucciso.”

La mia opera non mi ricorda solo sofferenze e avversità. Il colore bianco che ho spennellato in mezzo e sul fondo della tela rappresenta la speranza. Ho ancora speranza, una speranza fondata sulla dedizione mia e degli altri giovani palestinesi di acquisire un’istruzione, di lavorare sodo per il nostro Paese e, un giorno, di metter fine all’occupazione.

Mi piace il modo in cui la mia opera racconta così tante storie. Mi piace che non imponga una narrazione precisa, ma che offra piuttosto frammenti di qualcosa di misterioso eppure familiare. Guardando il quadro sotto questa luce mi accorgo che rivela l’essenza della lotta palestinese come è incisa sui muri reali e invisibili di Gaza, muri che mi ricordano non solo la sofferenza provata durante l’assedio di Gaza o la paura sotto i precedenti attacchi israeliani, ma anche la speranza che un giorno la Palestina sarà libera.

NOTA. Il contenuto pubblicato dal sito WANN e dalle piattaforme social non è editato da Euro-Med Monitor [Euro-Mediterranean Human Rights Monitor Monitoraggio Euromediterraneo dei Diritti Umani, organizzazione non governativa con sede a Ginevra, ndtr.]. Esso rappresenta solo le opinioni dell’autrice e non riflette in alcun modo le politiche e le posizioni di Euro-Med Monitor

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




Chomsky sull’apartheid israeliano, le celebrità impegnate, il BDS e la soluzione dello Stato unico

Ramzy Baroud & Romana Rubeo

28 Giugno 2022 – The Palestine Chronicle

Questo è, secondo il socialista italiano Antonio Gramsci, l'”interregno” – il momento raro e sismico della storia in cui si verificano grandi cambiamenti, quando degli imperi crollano e altri nascono, con la conseguenza di nuovi conflitti e battaglie.

L'”interregno” gramsciano, tuttavia, non è un passaggio facile, perché questi profondi cambiamenti spesso incarnano una “crisi”, che “consiste proprio nel fatto che il vecchio sta morendo e il nuovo non riesce a nascere”.

“In questo interregno compare una grande varietà di sintomi morbosi”, scrisse l’intellettuale antifascista nei suoi famosi “Quaderni dal carcere”.

Anche prima della guerra Russia-Ucraina e del successivo aggravamento della crisi Russia-NATO il mondo stava chiaramente vivendo una sorta di interregno: la guerra in Iraq, la guerra in Afghanistan, la recessione globale, la crescente disuguaglianza, la destabilizzazione del Medio Oriente, la ‘primavera araba’, la crisi dei profughi, la nuova ‘spartizione dell’Africa’, il tentativo statunitense di indebolire la Cina, l’instabilità politica degli stessi USA, la guerra alla democrazia e il declino dell’impero americano.

Gli eventi recenti, tuttavia, hanno finalmente dato a questi cambiamenti sconvolgenti una maggiore chiarezza, con la Russia che si è mossa contro l’espansione della NATO e con la Cina e altre economie emergenti – le nazioni BRICS [associazione che vede riuniti al suo interno cinque Paesi caratterizzati da uneconomia in forte ascesa: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica, con recente richiesta di adesione da parte di Argentina e Iran, ndt.].

Per riflettere su tutti questi cambiamenti e altro ancora abbiamo parlato con l’intellettuale “più citato” e rispettato al mondo, il professor Noam Chomsky del MIT [Massachusetts Institute of Technology, una delle più importanti università di ricerca del mondo, ndt.]

L’obiettivo principale della nostra intervista era di esaminare le sfide e le opportunità che la lotta palestinese deve affrontare durante questo “interregno” in corso. Chomsky ha scambiato con noi le sue opinioni sulla guerra in Ucraina e le sue vere cause profonde.

Tuttavia l”intervista si è concentrata in gran parte sulla Palestina, sulle opinioni di Chomsky riguardo il linguaggio, le tattiche e le soluzioni connesse alla lotta e alla questione palestinesi. Di seguito sono riportati alcuni dei pensieri di Chomsky su questi problemi, tratti da una conversazione più lunga che può essere visualizzata qui. 

Chomsky sull’apartheid israeliano

Chomsky crede che chiamare le politiche israeliane nei confronti dei palestinesi “apartheid” sia in realtà un “regalo per Israele”, almeno se per apartheid si intende l’apartheid in stile sudafricano.

Ho sostenuto per molto tempo che i Territori Palestinesi Occupati sono molto peggio del Sud Africa. Il Sudafrica aveva bisogno della sua popolazione nera, faceva affidamento su di loro”, dice Chomsky, aggiungendo: “La popolazione nera costituiva l’85% della popolazione. Era la forza lavoro; il paese non poteva funzionare senza quella popolazione e, di conseguenza, hanno cercato di rendere la loro situazione più o meno tollerabile da parte della comunità internazionale. (…) Speravano in un’approvazione internazionale, che non hanno ottenuto”.

Quindi, se i Bantustan [territori del Sudafrica e della Namibia assegnati alle etnie nere dal governo sudafricano nell’epoca dell’apartheid, ndt.] erano, secondo Chomsky, “più o meno vivibili”, lo stesso “non vale per i palestinesi nei Territori Occupati. Israele vuole solo sbarazzarsi delle persone, non le vuole. E le sue politiche degli ultimi 50 anni, con poche variazioni, hanno in qualche modo reso la vita invivibile, in modo che le persone vadano da qualche altra parte”.

Queste politiche repressive si applicano all’intero territorio palestinese: “A Gaza, (loro) [Israele, ndt.] li annientano e basta”, dice Chomsky. Ci sono oltre due milioni di persone che ora vivono in condizioni orribili, sopravvivono a malapena. Le organizzazioni di sostegno dei diritti internazionali affermano che probabilmente fra un paio d’anni non saranno nemmeno in grado di sopravvivere. (…) Nei Territori Palestinesi Occupati, in Cisgiordania, le atrocità (si verificano) ogni giorno”.

Chomsky pensa anche che Israele, a differenza del Sudafrica, non stia cercando l’approvazione della comunità internazionale. La sfrontatezza delle azioni israeliane è piuttosto sorprendente. Fanno quello che vogliono, sapendo che gli Stati Uniti li sosterranno. Bene, questo è molto peggio di quello che è successo in Sud Africa; non è un tentativo di accogliere in qualche modo la popolazione palestinese come forza lavoro subordinata, è solo [un tentativo, ndt.] di sbarazzarsene”.

Chomsky sulla nuova unità palestinese

Gli eventi del maggio 2021 e l’unità popolare tra palestinesi costituiscono, secondo Chomsky, “un cambiamento molto positivo”. Per prima cosa, ciò che ha gravemente ostacolato la lotta palestinese è il conflitto tra Hamas e l’OLP [le due principali organizzazioni politiche palestinesi che competono per garantirsi il controllo dei territori palestinesi, ndt.]. Se non viene risolto, ciò costituisce un grande regalo ad Israele”.

Secondo Chomsky i palestinesi sono comunque riusciti a superare la frammentazione territoriale: Inoltre, la divisione tra i confini legali” che separa Israele dall’”area larga della grande Palestina” è sempre stata un ostacolo all’unità palestinese. Ora questo viene superato, poiché la lotta dei palestinesi si sta trasformando nella stessa lotta. I palestinesi sono tutti nella stessa barca”.

Tuttavia la descrizione di B’tselem e Human Rights Watch [organizzazioni per i diritti umani, la prima israeliana, la seconda internazionale, ndt.] dell’intera regione come regione di apartheid – anche se non sono del tutto d’accordo con la definizione per i motivi che ho menzionato, perché penso che non sia abbastanza dura – è un passo verso il riconoscimento che c’è qualcosa di fondamentalmente in comune all’interno di tutta quest’area”.

Quindi penso che questo sia un passo positivo. È saggio e promettente per i palestinesi riconoscere che “siamo tutti sulla stessa barca”, comprese le comunità della diaspora. Sì, è una lotta comune”, conclude Chomsky.

Chomsky su uno Stato o due Stati

Sebbene negli ultimi anni il sostegno a uno Stato unico sia cresciuto in modo esponenziale, al punto che un recente sondaggio dell’opinione pubblica condotto dal Jerusalem Media and Communication Center (JMCC) [organizzazione no profit costituita da giornalisti e ricercatori palestinesi impegnata nella diffusione di informazioni e nella realizzazione di sondaggi su fatti e temi riguardanti la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme Est, e la Striscia di Gaza, ndt.] ha concluso che la maggioranza dei palestinesi in Cisgiordania è attualmente favorevole alla soluzione ad un unico Stato, Chomsky mette in guardia contro discussioni che non diano priorità alla questione più urgente riguardante l’obiettivo coloniale di Tel Aviv per un “grande Israele”.

Non dovremmo illuderci nel pensare che le cose stiano evolvendo verso la realizzazione di uno Stato unico o di una confederazione, come ora viene argomentato da parte della sinistra israeliana. Non ci si sta muovendo in quella direzione, non è nemmeno un’opzione per ora. Israele non la accetterà mai finché avrà l’opzione di un grande Israele. E, inoltre, nella comunità internazionale non c’è nessun sostegno per tale opzione, da parte di nessuno. Nemmeno degli Stati africani”.

“I due Stati, beh, possiamo parlarne, ma bisogna riconoscere che si deve lottare contro l’opzione attualmente in gioco di un grande Israele”. In effetti, secondo Chomsky, “gran parte della discussione su questo argomento mi sembra fuori luogo”.

È soprattutto un dibattito tra soluzione a due Stati o a uno Stato che tiene fuori l’opzione più importante, l’opzione in gioco, quella che viene perseguita, ovvero un grande Israele. La costituzione di un grande Israele, per cui Israele si impossessa di tutto ciò che vuole in Cisgiordania, schiaccia Gaza e annette – illegalmente – le alture del Golan siriano .., prende semplicemente ciò che vuole, impedisce le concentrazioni di popolazioni palestinesi in modo da non incorporarle. Non vogliono i palestinesi a causa di quello che viene chiamato lo Stato ebraico democratico, la pretesa di uno Stato ebraico democratico in cui lo Stato è lo Stato sovrano del popolo ebraico. Quindi, il mio Stato, ma non lo Stato di una manciata di abitanti di un villaggio palestinese”.

Chomsky continua: “Per mantenere questa pretesa, è necessario mantenere un’ampia maggioranza ebraica, per cui si può in qualche modo fingere l’assenza di repressione. Ma in tal modo la politica è quella di un grande Israele, in cui non ci sarà alcun problema demografico. Le principali concentrazioni di palestinesi sono emarginate in altre aree, in pratica vengono espulse”.

Chomsky su BDS e Solidarietà Internazionale

Abbiamo anche chiesto a Chomsky la sua opinione sulla crescente solidarietà con i palestinesi nella scena internazionale e sui social media e sul sostegno alla lotta palestinese da parte di molte personalità pubbliche e celebrità.

Non credo che le celebrità popolari significhino così tanto. Ciò che conta è ciò che sta accadendo tra la popolazione in generale negli Stati Uniti. In Israele, purtroppo, la popolazione si sta spostando a destra. È uno dei pochi Paesi che conosco, forse l’unico, in cui i giovani sono più reazionari dei più anziani”.

“Gli Stati Uniti stanno andando nella direzione opposta”, continua Chomsky, poiché “i giovani sono più critici nei confronti di Israele e sempre più favorevoli ai diritti dei palestinesi”.

Per quanto riguarda il movimento per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni (BDS), Chomsky ha riconosciuto il ruolo significativo svolto dal movimento di base globale, sebbene abbia notato che il BDS “ha risultati non sempre positivi”. Il movimento dovrebbe diventare “più flessibile (e) più attento agli effetti delle azioni”, osserva Chomsky.

“Le basi ci sono”, conclude Chomsky. “È necessario pensare attentamente a come svilupparle”.

Il dottor Ramzy Baroud è un giornalista e caporedattore di The Palestine Chronicle. È autore di sei libri. Il suo ultimo libro, curato insieme a Ilan Pappé, è “Our Vision for Liberation: Engaged Palestinian Leaders and Intellectuals Speak out” [La nostra visione per la liberazione: parlano i leader palestinesi e gli intellettuali coinvolti”. Baroud è ricercatore anziano associato presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA) [Centro no profit di ricerca sociale e politica sul mondo islamico, con sede ad Istambul, ndt.]. Il suo sito web è www.ramzybaroud.net

Romana Rubeo è una scrittrice italiana e caporedattrice di The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi su molti giornali online e riviste accademiche. Ha conseguito una master in Lingue e Letterature Straniere ed è specializzata in traduzione audiovisiva e giornalistica.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




La striscia di Gaza: una crisi israeliana, non climatica

Dotan Halevy

28 giugno 2022 – Haaretz

L’Institute for National Security Studies [INSS- Istituto per gli Studi sulla Sicurezza Nazionale, centro di studi indipendente, ma legato all’esercito e diretto dall’ex-generale Amos Yadlin, ndtr.] di Tel Aviv ha pubblicato recentemente un rapporto allarmante sulle catastrofiche conseguenze nella Striscia di Gaza in conseguenza della crisi climatica. Il documento, pubblicato anche da Ynet, [sito di notizie del quotidiano Yedioth Ahronot, ndtr.] solleva preoccupati interrogativi sulle pessime condizioni della popolazione civile palestinese a Gaza e suggerisce varie possibili misure per bloccarne il declino.

Questa è davvero una questione cruciale. Il cambiamento climatico sta rapidamente colpendo il Medio Oriente e richiede analisi e azioni urgenti. Tuttavia l’INSS sembra ritenere che la situazione umanitaria a Gaza sia un dato di fatto, causato da una “combinazione di fattori”, fra cui il conflitto con Israele. Questo è un punto di vista errato che nasconde deliberatamente il fatto che il motivo principale per cui gli abitanti di Gaza sono significativamente più esposti agli effetti della crisi climatica è il blocco israeliano.

Condurre la popolazione civile di Gaza sull’orlo del disastro umanitario è un obiettivo deliberato e quasi dichiarato delle politiche israeliane nei confronti di Gaza. Perciò, indipendentemente da qualsiasi misura fantasiosa si prenda per alleviare la crisi idrica o quella energetica nella Striscia, il governo israeliano deve prima riconoscere che isolare Gaza dalla Cisgiordania e da Israele è immorale e inefficace e deve essere fermato.

Nel mondo in cui viviamo non esistono più le economie autarchiche basate sulle risorse. Eppure con il blocco di Gaza ci si aspetta che un territorio con 2,1 milioni di abitanti sussista con acqua desalinizzata pompata principalmente nel proprio territorio. La scadente qualità dell’acqua a Gaza è presentata dagli israeliani come il risultato di “estrazione eccessiva” dalle falde acquifere locali, nonostante il fatto che non esista una sola regione in Israele, o più precisamente nel mondo, che sia costretta a fornire acqua a milioni di persone con questo metodo.

L’INSS afferma che la fornitura elettrica di Gaza è limitata per mancanza di soldi e combustibile, ma quello che non dice è che Israele usa spesso misure punitive collettive contro la popolazione locale e impedisce l’ingresso al carburante anche quando ci sarebbero i fondi. Ma anche se il carburante fosse abbondante, quasi nessuna delle infrastrutture e degli impianti disponibili per distribuire l’energia sono funzionanti a causa dei recenti bombardamenti israeliani.

Israele sta ritardando l’ingresso di migliaia di pezzi di ricambio necessari al buon funzionamento di sistemi idrici ed elettrici e questo ne compromette la continuità operativa. Secondo l’organizzazione Gisha, [ong israeliana che protegge la libera circolazione dei palestinesi, in particolare di Gaza, ndtr] gli impianti idrici ed elettrici a Gaza hanno bisogno di migliaia di pezzi di ricambio. L’INSS concorda che limitare l’ingresso di parti che Israele classifica come a “doppio uso”, cioè di materiali necessari per la costruzione e lo sviluppo, ma che possono anche avere scopi militari, mina qualsiasi tentativo di ricostruire la rete elettrica. 

In breve, Israele sta deliberatamente condannando gli abitanti di Gaza a gelare d’inverno e a morire di caldo d’estate (immaginate una notte di agosto nelle pianure costiere israeliane senza un condizionatore d’aria o un ventilatore), limitando il pompaggio di acqua e il drenaggio fognario e restringendo a poche ore al giorno tutti i servizi essenziali, inclusi quelli medici.

L’inchiesta afferma, in un certo senso favorevolmente, che a Gaza la fornitura di elettricità si affida sempre di più ai pannelli solari. L’INSS la vede come un’opportunità per incoraggiare la dipendenza da energie rinnovabili. Che cinismo! Magari seguendo il modello della fornitura idrica, la rete elettrica di Gaza sarà limitata solamente allo sfruttamento dei raggi di sole che passano fra le recinzioni lungo i confini.

Potremmo analizzare molti altri esempi: dovremmo preoccuparci dell’aumento della concentrazione di CO2 nelle acque del Mediterraneo e del declino di pesce disponibile da consumare a Gaza come risultato della crisi climatica? Israele comunque espande e limita come meglio crede le zone di pesca di Gaza e impedisce intenzionalmente ai suoi pescatori di guadagnarsi da vivere con la loro unica risorsa naturale direttamente accessibile. Persino le discussioni sul declino della quantità d’acqua piovana possono aspettare. Per prima cosa gli elicotteri israeliani per l’irrorazione di pesticidi dovrebbero smettere di usarli quando distruggono le zone erbose intorno alle aree di confine (“ripulire il terreno”) danneggiando le zone agricole di Gaza adiacenti alle recinzioni perimetrali.

La Striscia di Gaza non è particolarmente esposta ai danni del cambiamento climatico a causa della sua posizione geografica o del suo clima. Non è una regione climaticamente unica e autonoma, ma è al contrario un’enclave politica incastrata entro confini artificiali. Dal 1949, con l’accordo sul cessate il fuoco con l’Egitto, Gaza è stata isolata dalle zone di espansione agricola e dai bacini idrici che la rifornivano d’acqua. Dopo il 1967 è stata utilizzata da Israele come un serbatoio di manodopera a basso costo e un mercato monopolizzato dai prodotti israeliani e dal 2007 con il blocco militare israeliano è stata trasformata in quello che molti considerano “la più grande prigione a cielo aperto nel mondo.” Oggi la tragica situazione umanitaria a Gaza non è un errore, ma una componente delle politiche israeliane. Con o senza la crisi climatica.

Se volessimo stabilire un nesso fra la situazione a Gaza e la crisi climatica sarebbe più preciso pensarlo come una finestra affacciata sul panorama da incubo di un mondo immerso nella rivalità per le risorse e la creazione di enclave ambientali per popolazioni indesiderabili. La Striscia di Gaza è essenzialmente un aquario dimenticato in cui forze esterne onnipotenti determinano l’ammontare, i tempi e le circostanze dell’ingresso di cibo e risorse. A seconda delle intenzioni di questo potere esterno il livello di sussistenza potrebbe precipitare al punto da mettere a rischio la sopravvivenza (un disastro umanitario) o, se invece lo volesse, il benessere sarebbe a disposizione.

In un momento di peggioramento delle condizioni ambientali non è da escludere il timore che Paesi potenti adottino il modello dell’Acquario Gaza, imprigionando popolazioni nemiche, restringendo il loro accesso ad acqua ed energia e nutrendole o affamandole a loro piacimento. Tutto ciò, naturalmente, in base a considerazioni di sicurezza nazionale e alle leggi degli Stati sovrani per proteggere se stessi. La miseria, la fame e la disperazione risultanti possono essere convenientemente spiegate come il risultato del riscaldamento globale.

Molti sostengono che Israele abbia un importante ruolo da giocare nell’implementare riforme globali verso una transizione verso energie pulite ed economie sostenibili. Non perché Israele sia un grande inquinatore di diossido di carbonio, ma perché la sua capacità tecnologica e la sua rilevanza geopolitica ne possono fare un modello e una fonte di soluzioni per altri Paesi. Noi possiamo solo sperare che il modello che gli altri sceglieranno di implementare non sia quello che Israele ha adottato per la Striscia di Gaza.

È buono e giusto considerare seriamente la nostra preparazione per gli scenari da incubo che potrebbero verificarsi a causa della crisi climatica. Ma è persino più decisivo che questo dibattito non nasconda il fatto che le ragioni per cui certe popolazioni sono più esposte di altre sono chiaramente politiche. 

Le soluzioni della crisi a Gaza non saranno trovate con metodi fantasiosi per evitare questo problema, mantenendo allo stesso tempo l’isolamento di Gaza dal resto del mondo, ma riconnettendola al suo contesto geografico ed economico, aprendo prima di tutto i checkpoint al flusso regolare di merci e persone e poi connettendo la Striscia alle reti energetiche e idriche israeliane. Vale la pena di menzionare che, a causa del considerevole controllo israeliano del territorio palestinese, il diritto internazionale e l’etica impongono che si occupi della popolazione civile sotto il suo controllo. 

Che a Israele piaccia o no, 40 anni di occupazione de facto e altri 15 anni di blocco militare di Gaza implicano delle responsabilità. I danni causati durante tutto questo tempo e che stanno ancora continuando non si possono più imputare alla crisi climatica.

Dotan Halevy è un ricercatore post-dottorato della Polonsky Academy presso il Van-Leer Jerusalem Institute.

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




15 anni di troppo

Al Mezan Center for Human Rights

14/06/2022 – Al Mezan Center for Human Rights

Una scheda informativa sugli effetti devastanti del blocco israeliano della striscia di Gaza

Centro per i Diritti Umani Al Mezan

Scheda informativa

14 giugno 2007 14 giugno 2022

Al Mezan Center for Human Rights è un’organizzazione per i diritti umani indipendente, apartitica e non governativa fondata nel 1999. Al Mezan si impegna a proteggere e promuovere il rispetto dei diritti umani, con particolare attenzione ai diritti economici, sociali e culturali, sostenere le vittime di violazioni del diritto internazionale attraverso iniziative legali e rafforzare la democrazia, la partecipazione della comunità e dei cittadini e il rispetto dello stato di diritto a Gaza come parte della Palestina occupata.

INTRODUZIONE E CONTESTO

  • Le condizioni di vita dei palestinesi nella Striscia di Gaza sono notevolmente peggiorate: nel 2021 i tassi di povertà e disoccupazione si sono attestati rispettivamente al 53% e al 47%, mentre il tasso di insicurezza alimentare è stato del 64%.Anche il settore dell’istruzione è stato colpito dalla chiusura prolungata della Striscia di Gaza. Tra il 14 giugno 2007 e il 14 giugno 2022 le forze israeliane hanno distrutto 536 scuole e 32 edifici universitari e allo stesso tempo hanno ostacolato la costruzione di nuove strutture educative, causando così il sovraffollamento scolastico. Oggi la dimensione media della classe in una scuola dell’UNRWA è di 41 studenti rispetto ai 39 delle scuole pubbliche. Molte strutture educative rimangono inadeguate per gli studenti con disabilità.
  • La realizzazione dei diritti culturali nella Striscia di Gaza è in peggioramento, principalmente perché le restrizioni imposte da Israele hanno precluso la ricostruzione delle biblioteche e delle istituzioni culturali distrutte durante gli attacchi militari israeliani, tra cui la biblioteca nazionale. L’inasprimento delle restrizioni ha anche aumentato le difficoltà di sviluppo e aggiornamento del patrimonio di libri e periodici dellIl 6 giugno 1967 le autorità israeliane dichiararono la Striscia di Gaza un’area militare chiusa in base a un ordine militare rimasto in vigore anche dopo la firma degli accordi di Oslo [serie di accordi politici ratificati il 13 settembre del 1993 come parte di un processo di pace che mirava a risolvere il conflitto arabo israeliano, ndt.]È significativo che le restrizioni israeliane verso la Striscia di Gaza siano iniziate già negli anni ’90, per mezzo di una serie di misure adottate dalle autorità israeliane, tra cui la riduzione della zona di pesca nelle acque territoriali palestinesi, il divieto per i lavoratori palestinesi di Gaza di lavorare in Israele e l’imposizione di restrizioni al movimento dei palestinesi attraverso il valico di Erez [valico di frontiera con Israele nel nord della Striscia di Gaza, ndt.].

    Con lo scoppio dell’Intifada di Al Aqsa o Seconda Intifada il 28 settembre 2000, e in particolare a partire dal 9 ottobre 2000, le forze israeliane dichiararono e imposero la chiusura della Striscia di Gaza e assediarono le aree residenziali vicino alle colonie israeliane allora presenti, come le aree di al-Mawasi e al-Syafa, chiusero la grande maggioranza dei valichi compromettendo il funzionamento di alcuni altri. Dopo il “disimpegno” israeliano da Gaza del 2005 [in base al piano dell’allora primo ministro israeliano Ariel Sharon, applicato nell’agosto 2005 per rimuovere tutti gli abitanti israeliani dalla Striscia di Gaza e da quattro insediamenti in Cisgiordania settentrionale, ndt.], le autorità israeliane chiusero la sezione merci del valico di Erez e del tutto i valichi di Sufa, Karni e Nahal Oz, che vennero sostituiti dal valico Karem Abu Salem, l’unico attraversamento commerciale di Gaza. Inoltre, prima dell’ottobre 2000, veniva utilizzato il valico di Rafah, controllato dalle autorità israeliane fino al 2005, che operava 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e chiudeva solo due giorni all’anno. Tuttavia, da allora, il valico ha funzionato per un numero limitato di ore e per alcuni giorni alla settimana. Ci sono stati anche periodi in cui Rafah è stato chiuso per mesi.

    Quando nel 2007 Hamas divenne l’autorità di governo della Striscia di Gaza le autorità israeliane inasprirono le misure di chiusura preesistenti, raddoppiarono le restrizioni alla libertà di circolazione e alle merci e il 21 giugno 2007 sospesero il codice doganale di Gaza. Inoltre il 18 settembre 2007 il Gabinetto di sicurezza israeliano dichiarò la Striscia di Gaza un'”entità ostile/nemica”, ponendo così ostacoli insormontabili all’accesso da parte dei palestinesi di Gaza alle cause civili nei tribunali israeliani.

    La chiusura e il blocco da parte di Israele della Striscia di Gaza, che costituisce una punizione collettiva, vietata dal diritto umanitario internazionale, è attuata nel contesto dell’occupazione coloniale da parte di Israele dei territori palestinesi occupati (TPO) e del suo sistema di discriminazione razziale, dominio e oppressione contro il popolo palestinese, aspetti che soddisfano la definizione di apartheid secondo il diritto internazionale.

    Durante 15 anni di chiusura e blocco della Striscia di Gaza da parte di Israele la libertà di movimento dei palestinesi è stata gravemente limitata, anche attraverso la creazione di aree militari interdette o zone cuscinetto sulla terra e sulle acque palestinesi note come “aree ad accesso limitato”. Inoltre dal 2007 Israele ha condotto contro la Striscia di Gaza quattro offensive militari su vasta scala, uccidendo in un periodo di 13 anni (2008-21) circa 4.041 palestinesi, di cui 1.005 minori e 461 donne, e distruggendo decine di migliaia di abitazioni, strutture industriali e commerciali e infrastrutture fondamentali per la sopravvivenza della popolazione civile, comprese reti elettriche, idriche, sanitarie e strade, deteriorando ulteriormente le condizioni umanitarie e facendo crescere i tassi di povertà e disoccupazione. Parallelamente, la popolazione di Gaza, che alla fine del 2006 ammontava a 1,5 milioni di palestinesi, ha raggiunto alla fine del 2021 i 2,1 milioni, rendendo la Striscia una delle aree più densamente popolate al mondo.

    Questa scheda informativa, supportata da cifre, presenta risultati e indicatori che mostrano l’entità delle violazioni israeliane nei 15 anni di chiusura e blocco che hanno reso la Striscia di Gaza invivibile per i suoi oltre due milioni di abitanti.

    • Tra il 14 giugno 2007 e il 14 giugno 2022 gli attacchi militari israeliani hanno ucciso 5.418 palestinesi, il 23% dei quali minori e il 9% donne, e ferito migliaia di altri; distrutto 3.118 strutture commerciali, 557 fabbriche, 2.237 veicoli e 2.755 strutture pubbliche; distrutto 12.631 unità abitative e danneggiato parzialmente altre 41.780. Inoltre le autorità israeliane hanno inasprito le restrizioni all’ingresso all’interno della Striscia di Gaza di materiali da costruzione, impedendo così ai palestinesi di ricostruire le loro case distrutte.
    • Le forze israeliane hanno anche impiegato una forza eccessiva e letale contro i minori palestinesi che tentavano di attraversare la recinzione perimetrale e hanno ucciso 15 minorenni, ne hanno ferito sette e arrestato 204.
    • Tra il 14 giugno 2007 e il 14 giugno 2022 le forze israeliane hanno effettuato circa 872 incursioni circoscritte nelle aree adiacenti la recinzione del confine orientale e settentrionale del territorio palestinese, spianando i terreni agricoli e distruggendo i raccolti. Nello stesso periodo, le forze israeliane hanno preso ripetutamente di mira i lavoratori agricoli palestinesi, uccidendone 136. Le forze israeliane hanno spianato e cosparso di pesticidi chimici 33.100 donum [3.310 ettari, ndt.] di terreni agricoli palestinesi.
    • La marina israeliana prende regolarmente di mira i pescatori palestinesi in mare aprendo il fuoco contro di loro, arrestandoli, sequestrando le loro attrezzature, perseguitandoli e ostacolando il loro lavoro. Tra il 14 giugno 2007 e il 14 giugno 2022 Al Mezan ha documentato 2.514 violazioni contro pescatori, che hanno provocato sette morti, 179 feriti e 750 arresti. Inoltre la marina israeliana ha sequestrato 237 pescherecci danneggiandone altri 131 oltre ad un grande quantità di attrezzature per la pesca e beni di prima necessità.
    • La marina israeliana ha ripetutamente ed estesamente impedito ai pescatori palestinesi di navigare nelle acque territoriali palestinesi e ha anche ripetutamente vietato le attività ittiche nella zona di pesca autorizzata.
    • Le autorità israeliane arrestano arbitrariamente i palestinesi che cercano di entrare in Israele attraverso Erez per raggiungere la Cisgiordania, inclusa Gerusalemme est, o per viaggiare all’estero, utilizzando il valico come trappola. Tra il 14 giugno 2007 e il 14 giugno 2022 hanno arbitrariamente arrestato 204 palestinesi, tra cui 48 studenti di scuole superiori, dipendenti iscritti a corsi e scuole di formazione esterne e 85 commercianti.
    • Tra le restrizioni imposte dalle autorità israeliane c’è un sistema di permessi volubile e discriminatorio a cui devono sottostare tutti i palestinesi che desiderano lasciare Gaza via Erez. Una delle categorie più vulnerabili colpite dal regime vessatorio e macchinoso di permessi di Israele sono i pazienti clinici. Tra il 2010 e il febbraio 2022 le autorità israeliane hanno respinto o ritardato il 30% delle richieste di permesso dei pazienti. Inoltre le autorità israeliane hanno arrestato a Erez 43 pazienti palestinesi in possesso di referti medici e 28 dei loro accompagnatori dopo aver concesso loro i permessi di uscita. I dati di Al Mezan mostrano che negli ultimi 15 anni 72 pazienti, tra cui dieci minorenni e 25 donne, sono morti dopo che Israele ha negato o rinviato i loro permessi.
    • A seguito delle restrizioni israeliane imposte alla Striscia di Gaza il volume delle importazioni è drasticamente diminuito. Nel 2005 sono entrati a Gaza 111.480 camion di merci importate, per ridursi rapidamente a 26.838 nel 2008. Nel 2020 sono entrati nella Striscia di Gaza 96.651camion di merci importate, il che può essere spiegato considerando la crescita della popolazione e l’aumento della domanda di servizi.
    • Dopo l’imposizione della chiusura è diminuito anche il volume delle merci esportate. Mentre nel 2005 la Striscia di Gaza ha esportato 9.319 camion di merci, nel 2008 il volume delle esportazioni si è ridotto drasticamente a 33 camion. Nel 2020 la Striscia di Gaza ha esportato 3.118 camion di merci, che corrisponde a circa un terzo della quantità esportata prima della chiusura.
    • Dal momento dell’imposizione delle misure di chiusura le autorità israeliane hanno regolarmente vietato l’ingresso di carburante nell’unica centrale elettrica di Gaza, esacerbando ulteriormente la crisi elettrica esistente e spingendo le persone a ricorrere all’uso di candele, stufe a cherosene e generatori di corrente. Ciò ha causato molti incendi e incidenti dovuti ai generatori che solo nel 2012 hanno causato la morte di 35 persone, tra cui una donna e 28 minorenni, e il ferimento di altre 36, di cui 20 minori e sei donne.
    • Mentre a Gaza il fabbisogno di elettricità è stimato tra 600-660 MW, la fornitura disponibile non supera i 205 MW, il che ha portato negli ultimi 15 anni all’interruzione dell’elettricità ad orari determinati per più di 16 ore al giorno. La crisi della carenza di energia e il divieto da parte di Israele di introduzione di carburante hanno spinto molti comuni della Striscia di Gaza a rilasciare in mare liquami non trattati, causando un inquinamento delle acque. Nel 2021 un test effettuato dall’Autorità per la qualità dell’acqua e dell’ambiente ha mostrato che il 75% dell’acqua di mare lungo la costa di Gaza, che si estende per circa 40 km, è inquinata.
    • Anche gli abitanti di Gaza stanno attraversando una grave crisi per quanto riguarda la mancanza di acqua potabile sicura. Le autorità competenti affermano che il 96,2% dell’acqua estratta dalle falde acquifere di Gaza non soddisfa gli standard di qualità dell’acqua dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, soprattutto in termini di concentrazione di nitrati. Tra il 14 giugno 2007 e il 14 giugno 2022 le forze israeliane hanno attaccato e distrutto o danneggiato 292 pozzi idrici utilizzati sia per uso domestico che per terreni agricoli.
    • Le condizioni di vita dei palestinesi nella Striscia di Gaza sono notevolmente peggiorate: nel 2021 i tassi di povertà e disoccupazione si sono attestati rispettivamente al 53% e al 47%, mentre il tasso di insicurezza alimentare è stato del 64%.

      Anche il settore dell’istruzione è stato colpito dalla chiusura prolungata della Striscia di Gaza. Tra il 14 giugno 2007 e il 14 giugno 2022 le forze israeliane hanno distrutto 536 scuole e 32 edifici universitari e allo stesso tempo hanno ostacolato la costruzione di nuove strutture educative, causando così il sovraffollamento scolastico. Oggi la dimensione media della classe in una scuola dell’UNRWA è di 41 studenti rispetto ai 39 delle scuole pubbliche. Molte strutture educative rimangono inadeguate per gli studenti con disabilità.

      La realizzazione dei diritti culturali nella Striscia di Gaza è in peggioramento, principalmente perché le restrizioni imposte da Israele hanno precluso la ricostruzione delle biblioteche e delle istituzioni culturali distrutte durante gli attacchi militari israeliani, tra cui la biblioteca nazionale. L’inasprimento delle restrizioni ha anche aumentato le difficoltà di sviluppo e aggiornamento del patrimonio di libri e periodici della biblioteca e l’organizzazione di mostre librarie che coinvolgano editori esterni.

    CONCLUSIONI E RACCOMANDAZIONI

Sebbene il governo israeliano pretenda di giustificare la chiusura e le relative restrizioni con il pretesto di “sicurezza”, queste politiche dimostrano l’intenzione di Israele di separare e dividere i palestinesi e riprogrammare la demografia dell’intera popolazione palestinese per affermare il proprio dominio su di loro. In particolare, questa scheda informativa ha tenuto conto delle numerose violazioni del diritto internazionale perpetrate dalle autorità israeliane nel contesto di una continua chiusura e blocco, compreso l’uso eccessivo della forza e ricorrenti attacchi militari a civili e loro abitazioni, con uccisione di migliaia di persone; arresto e detenzione arbitraria di minori, pazienti, pescatori e altre categorie vulnerabili; e l’imposizione deliberata ai palestinesi di Gaza di condizioni di vita inadeguate. Come evidenziato da Al Mezan nel suo rapporto The Gaza Bantustan – Israeli Apartheid in the Gaza Strip[Il Bantustan Gaza – Apartheid israeliano nella Striscia di Gaza, ndt.], questi atti disumani soddisfano la definizione del crimine contro l’umanità dell’apartheid sia ai sensi della Convenzione internazionale del 1973 sulla Repressione e punizione del crimine di apartheid che dello Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale.

Di conseguenza, in questo triste quindicesimo anniversario, Al Mezan ribadisce il suo appello alla comunità internazionale perché faccia valere i suoi obblighi morali e giuridici nei confronti del popolo palestinese chiedendo con forza ad Israele di revocare immediatamente, completamente e incondizionatamente la sua chiusura e blocco, porre fine a tutte le relative restrizioni illegali imposte sulla circolazione di persone e merci da e verso la Striscia di Gaza e garantire responsabilità e giustizia per violazioni diffuse, gravi e sistematiche, compreso il crimine di apartheid, contro il popolo palestinese.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




I pericoli non dissuadono i bambini dal lavorare nelle discariche di Gaza 

Ola Mousa 

16 giugno 2022The Electronic Intifada

Ogni giorno i bambini rovistano nella discarica di Deir al-Balah.

Fra loro c’è Fadi, undici anni. Va alla discarica nel centro di Gaza ogni giorno, dopo la scuola.

Non abbiamo scelta,” dice Mustafa, suo padre, che lo accompagna per cercare materiali che si possano recuperare e vendere agli impianti di riciclaggio. “Se non lo facessimo, moriremmo di fame.”

Mustafa è un meccanico, ma è disoccupato da sette anni. Entrambi si sono feriti mentre lavoravano alla discarica.

I pericoli di questo lavoro sono risultati evidenti all’inizio di quest’anno.

A gennaio, Osama al-Sirsik, 14 anni, è morto in una discarica a Johr al-Deek, a sud di Gaza City.

Osama ci era andato a lavorare con suo padre, Arafat. Insieme avrebbero raccolto plastica e metalli, particolarmente rame e alluminio, qualsiasi cosa che potessero vendere.

Dobbiamo guadagnarci da vivere”

Era una giornata fredda e piovosa,” dice Arafat. “Ma il brutto tempo non ci ha fermati. Dovevamo guadagnarci da vivere.”

Erano alla discarica da circa due ore quando Arafat si è reso conto che Osama non c’era più. Arafat all’inizio ha pensato che il figlio fosse stato attaccato dai cani.

Il corpo di Osama è stato trovato dopo una lunga ricerca ed è stato accertato che era morto per asfissia traumatica.

Arafat conta sui suoi miseri guadagni derivanti dalla raccolta di materiali riciclabili per sfamare la famiglia. Negli ultimi quattro anni non ha avuto altra fonte di guadagno.

Osama era il più grande dei suoi cinque figli.

La morte del ragazzino ha spinto il comune di Gaza a vietare l’accesso alla discarica ai non addetti ai lavori. Il divieto è stato contestato da varie persone la cui vita dipende dalla raccolta di rifiuti riutilizzabili o riciclabili.

Secondo Marwan al-Ghoul, un impiegato del comune, quasi tutti quelli che raccolgono materiali nella discarica non sono a conoscenza di quanto il loro lavoro possa essere pericoloso.

Stanno solo cercando di sbarcare il lunario,” dice. “Stiamo cercando di trovare urgentemente una soluzione, specialmente perché il lavoro minorile è in aumento.”

Lavorare o morire di fame

Omar, padre di sette figli, si è rifiutato di smettere di raccogliere rifiuti nella discarica. Due dei suoi figli, di 18 e 10 anni, lavorano con lui.

Qualche volta non riesco a dare abbastanza da mangiare alla mia famiglia,” dice.

Omar, un fabbro, è disoccupato da lungo tempo. Con la raccolta di scarti guadagna solo una piccola somma, fino a 9 dollari al giorno.

Quando ho cominciato a fare questo lavoro mi vergognavo,” dice. “Adesso non più. Nessuno può impedirmelo. Le autorità vogliono farci smettere, ma io e molti altri continueremo. Non vorrei farlo, ma non voglio neanche che i miei bambini muoiano di fame.”

Secondo gli ultimi dati disponibili il Palestinian Central Bureau of Statistics [Ufficio centrale palestinese di statistica] ipotizza che meno dell’uno per cento dei minori di Gaza tra i 10 e i 17 anni faccia un lavoro, retribuito o non retribuito.

Ciononostante il Ministero dello Sviluppo Sociale di Gaza crede che il lavoro minorile sia in aumento.

All’inizio dell’anno il ministero ha svolto un’indagine in varie parti di Gaza tra 10.000 famiglie con un reddito inferiore ai 250 dollari.

Secondo l’indagine, fino ad ora inedita, il 60% dei genitori che hanno risposto accetterebbe che i propri figli lavorino, ma solo come ultima risorsa.

Il lavoro minorile a Gaza è conseguenza della povertà, del blocco israeliano e della disoccupazione,” dice Iman Omar, un assistente sociale del ministero. “La maggioranza dei minori che lavorano va comunque a scuola. Lavorano nelle discariche con i padri o i fratelli o vendono materiali.”

Ogni giorno Sharif, 9 anni, raccoglie plastica, lattine vuote e altri metalli per le strade di Gaza. Lavora lui per mantenere la famiglia dato che suo padre è morto,

E voglio risparmiare abbastanza per comprarmi un telefonino,” dice. “Tutti i miei compagni di scuola ne hanno uno e guardano soap e cartoni animati. A casa noi non abbiamo né computer né telefono.”

Un altro che fa un lavoro simile è l’undicenne Husam. Il padre disabile è disoccupato da lungo tempo.

Netturbini e altre persone hanno cercato di impedirgli di raccogliere materiali, ma lui continua.

Carica tutta la plastica e i metalli raccolti nelle discariche e per strada su un carretto che poi il fratello maggiore porta all’impianto di riciclaggio. L’unica precauzione significativa che prende è evitare le discariche vicino agli ospedali per paura delle siringhe.

Husam e il fratello riescono a guadagnare circa 6 dollari al giorno. Lui va a una discarica ogni mattina presto nella speranza di arrivare per primo.

A volte non riesco a raccogliere niente,” dice Husam. “È perché ci sono molti altri bambini e persino adulti che fanno questo tipo di lavoro.”

Ola Mousa è un’artista e scrittrice di Gaza.

(tradotto dall’inglese da Mirella Alessio)




Rapporto OCHA del periodo 31 maggio – 13 giugno 2022

1). In Cisgiordania, in due distinte circostanze, le forze israeliane hanno ucciso una donna ed un ragazzo palestinesi [seguono dettagli].

Il 1° giugno, vicino all’ingresso del Campo profughi di Al Arrub (Hebron), le forze israeliane hanno sparato, uccidendo una donna palestinese 31enne. Secondo fonti militari israeliane, citate dai media israeliani, la donna avrebbe tentato di accoltellare un soldato israeliano; secondo testimoni oculari palestinesi, non c’è stato alcun tentativo di aggressione e le riprese video mostravano che la donna non aveva alcuna arma. In un altro caso, accaduto il 2 giugno nel villaggio di Al Midya (Ramallah), le forze israeliane hanno sparato, uccidendo un ragazzo palestinese di 17 anni. Secondo testimoni oculari e fonti della Comunità locale, il ragazzo stava facendo un picnic con due amici a 50 metri dalla Barriera della Cisgiordania, quando le forze israeliane hanno aperto il fuoco contro i tre ragazzi. Secondo fonti mediche, il ragazzo è stato colpito alla schiena. Secondo fonti militari israeliane citate dai media israeliani, le forze israeliane avrebbero aperto il fuoco dopo che era stata lanciata contro di loro una bottiglia molotov. In entrambe le circostanze non è stato riportato alcun ferito israeliano. Questo caso porta a 13 il numero di minori palestinesi uccisi dalle forze israeliane in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est, dall’inizio del 2022.

2). In Cisgiordania, nel corso di due operazioni di ricerca-arresto, le forze israeliane hanno ucciso due palestinesi e ne hanno feriti altri dieci [seguono dettagli]. Il 2 giugno, dopo l’irruzione di forze israeliane nel Campo profughi di Ad Duheisha (Betlemme) ed i conseguenti scontri con i residenti, un uomo di 30 anni è stato ucciso con arma da fuoco. Le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e lacrimogeni contro i residenti che lanciavano pietre; due palestinesi sono stati feriti da proiettili veri e altri due sono stati arrestati. Il 9 giugno, nella città di Halhul (Hebron), un palestinese 27enne è stato ucciso con arma da fuoco, ed altri otto sono rimasti feriti, dopo l’irruzione delle forze israeliane finalizzata alla confisca di più di 1 milione di NIS (circa 300.000 dollari USA) ad un cambiavalute che, secondo quanto riferito, era accusato di trasferire fondi illegalmente. L’episodio ha innescato scontri con i residenti, durante i quali le forze israeliane hanno sparato proiettili veri, proiettili gommati e lacrimogeni contro persone che, secondo quanto riferito, lanciavano pietre; altri quattro palestinesi, tra cui due minori, sono stati feriti da proiettili veri e altri quattro da proiettili gommati. In entrambi gli episodi non è stato riportato alcun ferito israeliano. In totale, durante il periodo di riferimento, le forze israeliane hanno effettuato 177 operazioni di questo tipo ed hanno arrestato 166 palestinesi, inclusi 21 minori.

3). Durante una demolizione “punitiva” avvenuta nella città di Ya’bad (Jenin), due palestinesi sono stati uccisi dalle forze israeliane [seguono dettagli]. Il 1° giugno, le forze israeliane hanno demolito la casa di famiglia di un palestinese che nel marzo 2022, in Israele, aveva sparato uccidendo tre israeliani. La demolizione ha provocato lo sfollamento di tre famiglie (maggiori dettagli di seguito). Durante l’operazione, un palestinese di 26 anni è stato colpito con armi da fuoco, e ucciso, mentre un altro uomo di 37 anni è stato gravemente ferito con proiettili veri e, per le ferite riportate, è deceduto l’11 giugno.

4). In Cisgiordania, complessivamente, sono stati feriti dalle forze israeliane 114 palestinesi, inclusi undici minori [seguono dettagli]. Circa 59 feriti sono stati registrati vicino a Beita e Beit Dajan (entrambi a Nablus) in manifestazioni contro gli insediamenti e altri quattro in due ulteriori manifestazioni ad Al Jwaya e Tarqumiya (tutte a Hebron) contro la confisca israeliana di terre palestinesi in quell’area. In altri quattro episodi, registrati a Silwan a Gerusalemme Est, Halhul (Hebron), Izbat at Tabib (Qalqiliya) e An Nabi Salih (Ramallah), 21 persone sono rimaste ferite dopo che coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, sono entrati nelle Comunità palestinesi, innescando scontri con residenti. In uno di questi episodi, coloni israeliani, accompagnati da forze israeliane, sono entrati ad Halhul (Hebron) per eseguire rituali religiosi vicino alla moschea di An Nabi Younes. Le forze israeliane hanno sparato proiettili veri e proiettili di metallo gommato contro i residenti che lanciavano pietre; otto palestinesi sono rimasti feriti e sono stati segnalati danni alla proprietà. Altri 15 palestinesi sono rimasti feriti durante cinque operazioni di ricerca-arresto condotte a Gerusalemme, Betlemme, Qalqiliya e Hebron. Altri due sono rimasti feriti durante una demolizione “punitiva” a Ya’bad (Jenin), che ha provocato anche la morte di due palestinesi (vedi sopra) e uno durante un episodio di confisca a Jayyus (Qalqiliya). Tre palestinesi, tra cui due minori, sono rimasti feriti dopo che forze israeliane hanno sparato proiettili veri contro palestinesi che lanciavano pietre contro forze dislocate presso un checkpoint stabilito tra le aree H1 e H2 della città di Hebron. I restanti nove feriti sono stati aggrediti fisicamente e feriti da forze israeliane, in tre episodi separati registrati ai checkpoints di Qalqiliya, Tulkarm e Jenin. Di tutti i feriti palestinesi, 16 sono stati colpiti da proiettili veri e 29 da proiettili gommati; la maggior parte dei rimanenti ha richiesto cure mediche per aver inalato gas lacrimogeni.

5). A Gerusalemme Est e nell’Area C della Cisgiordania, adducendo la mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, le autorità israeliane hanno demolito, confiscato o costretto persone a demolire 23 strutture di proprietà palestinese [seguono dettagli]; nove delle strutture erano state fornite come aiuti umanitari finanziati da donatori. Di conseguenza, 52 persone, tra cui 20 minori, sono state sfollate e sono stati colpiti i mezzi di sussistenza di circa altre 60. Circa 18 delle strutture prese di mira si trovavano nell’Area C, di cui nove in aree designate [da Israele] come “zone di tiro” destinate alle esercitazioni militari; qui le Comunità palestinesi sono a rischio di trasferimento forzato. Cinque strutture sono state demolite a Gerusalemme Est, inclusa una casa demolita dai proprietari per evitare di pagare multe.

6). Il 1 giugno, nel villaggio di Ya’bad (Jenin), in Area B, le autorità israeliane hanno demolito, per motivi “punitivi”, due appartamenti, facenti parte di un edificio a più piani [seguono dettagli]. Di conseguenza, una famiglia di cinque persone, compreso un minore, è stata sfollata, mentre è stata colpita un’altra famiglia di sette persone, di cui tre minori. La casa apparteneva alla famiglia del palestinese che, nel marzo 2022, in Israele, sparò uccidendo tre israeliani e che successivamente fu ucciso. Durante la demolizione un palestinese è stato ucciso con armi da fuoco e un altro è morto successivamente per le ferite riportate (vedi sopra). Il 31 maggio le autorità israeliane hanno emesso un ordine di demolizione punitiva contro una struttura residenziale nel villaggio di Rummana (Jenin), appartenente alla famiglia di un palestinese accusato dell’uccisione di tre israeliani, avvenuta in Israele il 5 maggio. L’8 giugno, l’Alta Corte di Giustizia Israeliana ha anche approvato la demolizione “punitiva” delle case di famiglia di due palestinesi sospettati di aver ucciso, nell’aprile 2022, una guardia di un insediamento israeliano. Dall’inizio del 2022, per motivi punitivi sono state demolite sei case, rispetto alle tre di tutto il 2021 e alle sette del 2020. Le demolizioni “punitive” sono una forma di punizione collettiva e, in quanto tali, secondo il diritto internazionale, sono illegali; infatti prendono di mira le famiglie di un autore, o presunto autore, che non sono coinvolte nel presunto atto.

7). In diverse località della Cisgiordania, le forze israeliane hanno limitato il movimento dei palestinesi [seguono dettagli]. Il 2 ed il 10 giugno, le forze israeliane hanno chiuso i cancelli di metallo dei villaggi di Beita (Nablus) e Abud (Ramallah), impedendo a circa 20.000 palestinesi di accedere ai loro mezzi di sussistenza e ai servizi, e costringendoli a lunghe deviazioni; si ritiene che queste chiusure siano collegate al lancio di pietre da parte di palestinesi contro veicoli di coloni israeliani. In diverse occasioni, a causa di lanci di pietre, le forze israeliane hanno impedito a pedoni e residenti palestinesi di entrare e uscire dalla città vecchia di Hebron ed hanno costretto i proprietari di negozi a chiudere per diverse ore nell’arco di due giorni. Inoltre, nell’area H2 della città di Hebron, le autorità israeliane hanno continuato i lavori di costruzione di un ascensore elettrico per facilitare l’ingresso dei fedeli ebrei alla moschea di Ibrahimi [condivisa fra musulmani ed ebrei], ostacolando l’accesso dei palestinesi alla moschea, compresi i dipendenti musulmani della Waqf [Ente responsabile della gestione].

8). Coloni israeliani hanno ferito sette palestinesi e persone conosciute come coloni israeliani, o ritenute tali, hanno danneggiato proprietà palestinesi in 20 casi [seguono dettagli]. Il 31 maggio, a Silwan, Gerusalemme Est, un gruppo di coloni israeliani ha lanciato pietre contro una famiglia palestinese e l’ha aggredita fisicamente, ferendo due persone, tra cui un anziano, e danneggiando il loro veicolo. Il 10 giugno, a Khirbet Zanuta (Hebron), un gruppo di coloni, alla presenza di forze israeliane, ha lanciato pietre contro un palestinese e l’11 giugno, vicino a Mantiqat Shib Al Butum a Hebron, coloni hanno aggredito e ferito fisicamente un pastore palestinese. Altri tre feriti sono stati segnalati dopo che coloni hanno attaccato due manifestazioni palestinesi in svolgimento ad Al Jwaya e Khirbet Bir al ‘Idd (entrambe a Hebron). In nove casi separati, accaduti vicino agli insediamenti israeliani prossimi a Duma (Nablus), Al Khadr (Betlemme) e Turmusayya (Ramallah), circa 255 alberi e alberelli di proprietà palestinese sono stati sradicati o vandalizzati. Gli pneumatici di tre auto di proprietà palestinese sono stati forati e scritte offensive sono state spruzzate su tre veicoli e sui muri di due case, secondo quanto riferito, ad opera di coloni provenienti da insediamenti limitrofi, tra cui Bet El e Bracha. Nove episodi sono stati segnalati a Nablus, Salfit, Ramallah e Hebron, tra cui l’irruzione in una casa, il furto di attrezzature agricole e il danneggiamento di colture, bestiame e cisterne d’acqua. Ad Al Jab’a (Hebron) e Kifl Haris (Salfit) coloni hanno lanciato pietre e bottiglie di vernice contro case e veicoli palestinesi, danneggiando almeno una casa e tre veicoli.

9). Persone conosciute come palestinesi, o ritenute tali, hanno ferito due israeliani e danneggiato 20 veicoli israeliani che percorrevano strade della Cisgiordania, nei governatorati di Hebron, Ramallah, Nablus e Gerusalemme. In altri 19 casi, due coloni israeliani sono stati feriti da pietre lanciate contro i loro veicoli, ed i veicoli danneggiati da pietre o bottiglie incendiarie.

10). Il 7 giugno, nella zona centrale della Striscia di Gaza, un ragazzo palestinese 17enne è rimasto ferito dall’esplosione di un residuato bellico che aveva raccolto e stava maneggiando.

11). Nella Striscia di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale israeliana o al largo della costa, in almeno 35 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento [verso palestinesi], presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso [loro imposte da Israele]. Come conseguenza, due pescatori palestinesi sono rimasti feriti e due barche e una struttura abitativa sono state danneggiate. Le forze navali israeliane hanno arrestato quattordici pescatori e sequestrato due barche da pesca. In due occasioni, le forze israeliane hanno anche effettuato operazioni di spianatura e scavo all’interno di Gaza, vicino alla recinzione perimetrale. Hanno arrestato sei palestinesi, inclusi quattro minori, per aver tentato di entrare illegalmente in Israele.

¡

Ultimi sviluppi (successivi al periodo di riferimento)

All’alba del 17 giugno, nel Campo profughi di Jenin, tre palestinesi sono stati uccisi e almeno altri otto sono rimasti feriti durante un raid militare israeliano.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

323

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it