In Israele martirizzare Gaza procura vantaggi politici

Ramzy Baroud

29 agosto 2020 – Chronique de Palestine

Fino a poco tempo fa Hamas, che è parte della resistenza palestinese, e l’occupante israeliano sembravano sul punto di concludere un accordo di scambio di prigionieri.

Nell’ambito di questo accordo diversi soldati israeliani detenuti a Gaza sarebbero stati liberati, mentre Israele avrebbe rilasciato un numero ancora imprecisato di prigionieri palestinesi detenuti nelle carceri israeliane.

Il 10 agosto, invece dell’annuncio molto atteso di una forma di accordo, le bombe israeliane hanno iniziato a cadere sulla Striscia assediata e palloni incendiari provenienti da Gaza sono finiti sul lato israeliano della barriera.

Poi che cosa è successo?

La risposta si trova in gran parte – ma non del tutto – in Israele, nel conflitto politico tra il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu ed il suo schieramento politico, da un lato, ed i suoi partner di governo guidati dal Ministro della Difesa Benny Gantz, dall’altro.

La contesa tra Netanyahu e Gantz si incentra su un feroce conflitto relativo al bilancio nella Knesset [parlamento israeliano, ndtr.], che non ha molto a che vedere con le spese governative o con le competenze in materia fiscale.

Gantz, che è previsto occupi la carica di Primo Ministro a partire da novembre 2021, pensa che Netanyahu voglia fare approvare un bilancio della durata di un anno per far fallire l’accordo di coalizione e chiamare a nuove elezioni prima dell’avvicendamento alla carica di Primo Ministro.

Insiste quindi per un bilancio che riguardi due anni, per evitare ogni possibile tradimento da parte del partito Likud di Netanyahu.

Il gioco di Netanyahu, che è stato rivelato dal quotidiano Haaretz il 29 luglio, non è esclusivamente motivato dall’attaccamento al potere del dirigente israeliano, ma dalla sua diffidenza riguardo alle motivazioni stesse di Gantz. Se quest’ultimo diventerà il Primo Ministro del Paese è probabile che nominerà nuovi giudici che saranno ben disposti nei confronti del suo partito Blu e Bianco e, di conseguenza, saranno d’accordo per mettere sotto accusa Netanyahu nell’ambito del processo per corruzione in corso.

Per Netanyahu e Gantz si tratta forse della lotta più importante nella loro carriera politica: il primo si batte per rimanere libero, il secondo per la sua sopravvivenza politica.

I due dirigenti tuttavia si intendono su un punto: il fatto che l’uso della forza militare permetterà sempre di ottenere un maggiore sostegno dell’opinione pubblica israeliana, soprattutto se diventassero inevitabili nuove elezioni. È probabile che, se nella battaglia sul bilancio non troverà un compromesso, si terrà una quarta tornata elettorale.

Dal momento che una prova di forza militare nel sud del Libano risulta impensabile a causa dell’enorme esplosione che ha sconvolto Beirut il 4 agosto, i due dirigenti israeliani hanno spostato la loro attenzione su Gaza. Con una reazione rapida, come se fossero in campagna elettorale, Gantz e Netanyahu sono intenti a difendere la loro causa presso gli israeliani che vivono nelle città del sud al confine con la Striscia di Gaza.

Gantz ha fatto visita ai dirigenti di queste comunità il 19 agosto. Si è riunito con una delegazione accuratamente selezionata di alti responsabili del governo e dell’esercito israeliani, tra cui il Ministro dell’Agricoltura, Alon Schuster, ed il comandante della divisione di Gaza, generale di brigata Nimrod Aloni, che era presente in videoconferenza.

In aggiunta alle solite minacce di prendere di mira chiunque a Gaza osi minacciare la cosiddetta sicurezza di Israele, Gantz si è impegnato in una campagna elettorale di tipo autopromozionale. “Abbiamo cambiato l’equazione a Gaza. Dopo la mia entrata in carica c’è stata una risposta ad ogni violazione della nostra sicurezza”, ha dichiarato, mettendo in evidenza le proprie azioni in contrasto con quelle del governo di coalizione – negando così qualunque merito a Netanyahu.

Netanyahu d’altra parte ha minacciato severe rappresaglie contro Gaza se Hamas non impedirà il lancio di palloni incendiari. “Abbiamo adottato una politica in base alla quale un lancio incendiario viene considerato al pari di un razzo,” ha dichiarato il 18 agosto ai sindaci delle città del sud.

Netanyahu mantiene l’opzione di una guerra aperta contro Gaza nel caso questa diventasse la sua unica risorsa. Gantz, in quanto Ministro della Difesa e rivale di Netanyahu, gode tuttavia di un più ampio margine di manovra politica.

Dopo il 10 agosto ha ordinato al suo esercito di bombardare Gaza ogni notte. Ad ogni bomba sganciata su Gaza la credibilità di Gantz presso gli elettori israeliani, soprattutto nel sud, aumenta leggermente.

Se l’attuale violenza porterà ad una guerra totale, sarà tutto il governo di coalizione – compreso Netanyahu ed il suo partito Likud – ad avere la responsabilità delle sue conseguenze potenzialmente disastrose. Questo pone Gantz in una posizione di forza.

La presente prova di forza militare a Gaza non è solo il risultato del conflitto politico all’interno di Israele. La società di Gaza in questo momento è a un punto di rottura.

La tregua tra i gruppi della resistenza a Gaza ed Israele, che era stata conclusa sotto l’egida dell’Egitto nel novembre 2019, non è servita a niente.

Nonostante le numerose assicurazioni che i gazawi assediati avrebbero beneficiato di una tregua tanto necessaria, la situazione si è invece aggravata ad un punto senza precedenti ed insopportabile: l’unico generatore elettrico di Gaza è a corto di carburante e non funziona più; il 16 agosto la ridottissima zona di pesca della Striscia di Gaza, di sole tre miglia nautiche, è stata dichiarata da Israele zona militare chiusa; il valico di Karem Abu Salem, attraverso il quale entrano a Gaza via Israele scarsi approvvigionamenti, è ufficialmente chiuso.

L’assedio israeliano della Striscia di Gaza, che dura da 13 anni, mostra attualmente il suo aspetto peggiore, persino con poco spazio perché la popolazione di Gaza possa almeno esprimere la propria indignazione di fronte alla sua miserabile situazione.

A dicembre 2019 le autorità di Hamas hanno deciso di limitare la frequenza delle manifestazioni note col nome di “Marcia del Ritorno di Gaza”, che dal marzo 2018 si sono svolte quasi ogni giorno.

Durante queste manifestazioni più di 300 palestinesi sono stati uccisi dai cecchini israeliani.

Nonostante il numero di morti e il fallimento nel suscitare una protesta internazionale contro l’assedio, le manifestazioni non violente hanno permesso ai comuni palestinesi di esprimersi, di organizzarsi e di prendere iniziative.

La crescente frustrazione a Gaza ha costretto Hamas ad aprire uno spazio perché i manifestanti possano ritornare alla barriera, nella speranza che la questione dell’assedio venga riportata all’ordine del giorno nei mezzi di comunicazione.

I palloni incendiari, che hanno recentemente scatenato la collera dell’esercito di occupazione israeliano, sono uno dei tanti messaggi palestinesi che dicono che i gazawi rifiutano di accettare che l’assedio sia ormai la loro realtà permanente.

Se la mediazione egiziana può alla fine offrire ai palestinesi una soluzione temporanea ed evitare una guerra totale, la violenza israeliana a Gaza, stanti gli attuali rapporti politici, non cesserà comunque.

È certo che finché i dirigenti israeliani continueranno a considerare una guerra contro Gaza come un’opportunità politica ed una tribuna per le proprie ambizioni elettorali, l’assedio proseguirà senza alcun allentamento.

Ramzy Baroud è giornalista, scrittore e direttore di The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo saggio è “Queste catene saranno spezzate: storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Pluto Press). Baroud è dottore di ricerca in studi sulla Palestina presso l’università di Exeter e associato presso il centro Orfalea di studi mondiali e internazionali dell’università della California.

(traduzione dal francese di Cristiana Cavagna)




“Morire per pescare”: come la pirateria israeliana ha distrutto la prospera industria ittica di Gaza

Ramzy Baroud

28 agosto 2020 – Middle East Monitor

Il 16 agosto la marina israeliana ha dichiarato zona militare chiusa il mare di Gaza. Il giorno dopo un gruppo di pescatori di Gaza ha deciso di cercare di pescare a meno di due o tre miglia nautiche dalla costa di Gaza. Appena gettate le reti attorno a loro hanno iniziato a fischiare le pallottole della marina israeliana.

Poco dopo lincidente ho parlato con uno dei pescatori. Il suo nome è Fathi.

Mia moglie, i miei otto figli ed io, tutti viviamo della pesca. La marina israeliana oggi ci ha sparato e ci ha chiesto di lasciare il mare. Ho dovuto tornare dalla mia famiglia a mani vuote, senza pesce da vendere e senza niente da dare ai miei figli, dice Fathi.

La storia di questo pescatore è tipica. Secondo lassociazione israeliana per i diritti umani BTselem circa il 95% dei pescatori di Gaza vive al di sotto del livello di povertà.

I pescatori di Gaza sono dei veri eroi. Contro ogni previsione, per assicurare la sopravvivenza delle loro famiglie ogni giorno affrontano il mare.

In questo contesto la marina israeliana equivale agli odierni pirati, apre il fuoco contro questi uomini – e in qualche caso donne – palestinesi, a volte affondando le barche e riportandole sulla costa. A Gaza da quasi 13 anni questa è stata la routine.

Appena Israele ha dichiarato la chiusura completa della zona di pesca di Gaza, ha impedito a migliaia di pescatori di poter mantenere le loro famiglie, distruggendo così un ulteriore settore della falcidiata economia di Gaza.

Lesercito israeliano ha giustificato la sua azione come una rappresaglia contro i manifestanti palestinesi che, a quanto è stato affermato, negli ultimi giorni hanno lanciato palloni incendiari contro Israele. Quindi, in base alle carenti regole dei principali giornali, la decisione israeliana può sembrare razionale. Tuttavia una semplice verifica sullargomento rivela tuttaltra storia.

Di fatto i manifestanti palestinesi hanno lanciato contro Israele palloni incendiari che, a quanto si dice, provocano incendi in alcune zone agricole nei pressi di Gaza occupata. Tuttavia lazione in sé è stata una disperata richiesta di attenzione.

Gaza è quasi priva di carburante. Lunico generatore di energia della Striscia è stato spento ufficialmente il 18 agosto. Anche il valico di Karem Abu Salem, che consente che approvvigionamenti appena sufficienti arrivino a Gaza attraverso Israele, è stato chiuso per un ordine militare israeliano. Il mare, lultima risorsa di Gaza, è diventato di recente una guerra unilaterale tra la marina israeliana e la sempre più ridotta popolazione di pescatori di Gaza. Tutto ciò ha inflitto gravi danni a una zona che ha già dovuto patire terribili sofferenze.

Una volta florido, il settore della pesca a Gaza è stato quasi distrutto in seguito all’assedio israeliano. Nel 2000, per esempio, l’industria ittica di Gaza contava più di 10.000 pescatori. Gradualmente il loro numero si è ridotto a 3.700, benché molti di essi siano pescatori solo di nome, dato che non possono più uscire in mare, riparare le proprie imbarcazioni danneggiate o permettersene di nuove.

Quelli che continuano a praticare la professione lo fanno perché è, letteralmente, il loro ultimo mezzo di sopravvivenza: se non pescano, le loro famiglie non mangiano. La storia dei pescatori gazawi è anche la storia dellassedio di Gaza. Nessunaltra professione è stata così direttamente legata ai mali di Gaza quanto la pesca.

Quando nel 1993 vennero firmati gli accordi di Oslo tra il governo israeliano e lOrganizzazione per la Liberazione della Palestina, si disse ai palestinesi che uno dei molti frutti della pace sarebbe stato lallargamento della zona peschiera di Gaza, esattamente fino a 20 miglia nautiche (circa 37 km).

Come il resto delle promesse non rispettate di Oslo, neppure laccordo sulla pesca venne mantenuto. Invece fino al 2006 lesercito israeliano consentì agli abitanti di Gaza di pescare allinterno di una zona che non ha mai superato le 12 miglia nautiche. Nel 2007, quando Israele impose lattuale assedio contro Gaza, la zona di pesca venne ulteriormente ridotta, prima a sei miglia nautiche e, infine, a tre.

Dopo ogni guerra israeliana o scontro violento a Gaza la zona di pesca viene completamente chiusa. Viene riaperta dopo ogni tregua, insieme ad altre vuote promesse che la zona di pesca verrà estesa a varie miglia nautiche per migliorare i mezzi di sussistenza dei pescatori.

Dopo la tregua negoziata dallEgitto, che ha fatto seguito a una breve ma letale campagna israeliana nel novembre 2019, la zona di pesca è stata di nuovo estesa fino ad arrivare a 15 miglia nautiche, la maggior estensione da molti anni.

Tuttavia questa tregua è stata di breve durata. Poco tempo dopo la marina israeliana si è messa ad affondare barche, sparando ai pescatori e respingendoli indietro nei ridotti spazi originari nei quali operavano.

Benché nel 2005 Israele abbia ritirato le proprie forze fuori da Gaza, in base al diritto internazionale continua ad essere considerato una potenza occupante, obbligata a garantire il benessere e i diritti dei palestinesi occupati che vi abitano. Ovviamente Israele non ha mai rispettato il diritto internazionale, né a Gaza né in nessun altro luogo della Palestina occupata.

Nel febbraio 2018 Isma’il Abu Ryalah è stato assassinato dalla marina israeliana mentre pescava con la sua piccola imbarcazione a cinque miglia nautiche dalla costa di Gaza. Come era immaginabile, nessun israeliano è stato considerato responsabile per lassassinio di Abu Ryalah. Poco dopo lincidente, la disperazione, ma anche il coraggio, hanno fatto sì che migliaia di pescatori di Gaza ritornassero in mare, nonostante il pericolo immediato che rappresentavano i pirati di oggi che si fanno passare per un esercito.

Le opinioni espresse in questo articolo sono dellautore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Monitor.

(traduzione dallo spagnolo di Amedeo Rossi)




La crisi energetica minaccia la già fragile situazione a Gaza

Rasha Abou Jalal

26 agosto 2020 – Al-Monitor

Mentre la crisi legata alla interruzione di corrente nella Striscia di Gaza per più di 20 ore al giorno paralizza tutti i settori sanitari ed economici, gli abitanti di Gaza aspettano che Israele permetta che il carburante possa entrare nell’enclave per far funzionare la loro unica centrale elettrica.

GAZA CITY, Striscia di Gaza – Khamis Murad, 61 anni, ha necessità di regolari sedute di dialisi, della durata di quattro ore ciascuna, presso lo Shifa Hospital, nella parte occidentale di Gaza City. Ma durante la sua ultima seduta in ospedale a causa di un’interruzione della corrente la macchina si è improvvisamente fermata dopo meno di due ore.

In un comunicato stampa del 18 agosto Mohammed Thabet, il portavoce della Gaza Electricity Distribution Company (GEDCO) [Azienda di distribuzione dell’energia elettrica, ndtr.] nella Striscia di Gaza, ha annunciato che la fornitura di elettricità a case e imprese a Gaza si sarebbe ridotta a tre o quattro ore al giorno, con più di 20 ore di interruzione. Il precedente programma di distribuzione era razionato attorno alle otto ore di fornitura alternate a otto ore di interruzione di corrente.


Thabet ha spiegato che la nuova misura è stata decisa dopo che nella stessa giornata la GEDCO è stata ufficialmente informata dalla Gaza Power Generating Company [azienda di produzione energetica di Gaza, ndtr.] che il processo di generazione dell’unico impianto di produzione energetica di Gaza era stato completamente interrotto a causa dell’esaurimento del carburante. L’11 agosto, Israele aveva sospeso le spedizioni di carburante all’enclave assediata in seguito al ripetuto lancio di palloni incendiari da Gaza verso il sud di Israele.

Inoltre l’11 agosto Israele ha chiuso il valico commerciale di Kerem Shalom [sui confini tra la Striscia di Gaza, Israele e Egitto, ndtr.].

Murad, che soffre di insufficienza renale da quattro anni, per rimanere in vita deve sottoporsi a una procedura di dialisi completa tre volte alla settimana allo Shifa Hospital.


“Il blackout fa sì che le sedute di dialisi vengano posticipate o annullate, e questo mette a rischio la vita di dozzine di pazienti con problemi renali”, ha detto Murad ad Al-Monitor in ospedale. “Molti pazienti dormono nei corridoi e persino nel giardino dell’ospedale, in attesa che torni la corrente per sottoporsi a una seduta di dialisi. La situazione è molto grave.

“Abdullah al-Qaishawi, responsabile del dipartimento di nefrologia dell’ospedale Shifa di Gaza, ha detto ad Al-Monitor: “Nella Striscia di Gaza ci sono 820 pazienti che soffrono di insufficienza renale, la maggior parte dei quali sottoposti a cicli di dialisi presso lo Shifa Hospital, il più grande dell’enclave.”

Ha affermato che il dipartimento non è in grado di fornire a questi pazienti le prestazioni mediche a causa delle interruzioni di corrente e dell’ impossibilità di far funzionare i generatori di energia poiché Israele vieta l’accesso di carburante a Gaza.


In una dichiarazione del 18 agosto, il Ministero della Salute di Gaza ha messo in allarme sulle gravi ripercussioni del mancato funzionamento della centrale elettrica e dell’ impatto sui reparti ospedalieri e sui trattamenti di unità neonatali, terapia intensiva, nefrologia e dialisi, chirurgia e parti cesarei.

Il responsabile del Comparto di Neonatologia degli ospedali di Gaza, Nabil al-Barqouni, ha detto ad Al-Monitor: “La crisi legata ai blackout minaccia la vita di 120 neonati che hanno bisogno di cure neonatali per sopravvivere. Gli ospedali dell’enclave comprendono sette unità di assistenza neonatale, con 135 incubatrici. Tutte funzionano con l’elettricità.”

Barqouni ha osservato che le interruzioni di corrente colpiscono anche altri dispositivi medici per la cura dei neonati, come rianimatori e ventilatori, il che aumenta il rischio per le loro vite.

Ha detto che il funzionamento regolare nelle unità neonatali richiede una fornitura costante di elettricità. “Fornire energia alternativa agli incubatori tramite l’energia solare è molto costoso e non abbiamo la capacità finanziaria per installarla. Non possiamo fare affidamento sui generatori di corrente a causa della mancanza di carburante”, ha aggiunto.


In una dichiarazione pubblicata sulla sua pagina Facebook il 18 agosto, il Comitato Internazionale della Croce Rossa nei territori occupati ha messo in guardia dalle ripercussioni del mancato funzionamento della centrale, affermando che questo peggiorerà ulteriormente il carico che affligge il fragile sistema sanitario nella Striscia di Gaza. Ha aggiunto che la crisi energetica ostacolerà la disponibilità di acqua e porterà a gravi problemi ambientali.


Thabet ha detto ad Al-Monitor: “La Striscia di Gaza ha bisogno di 500 megawatt di energia elettrica al giorno. Nelle situazioni migliori forniamo solo 180 megawatt, di cui 60 megawatt dalla centrale elettrica di Gaza, oltre a 120 megawatt da Israele “.


Ha spiegato che la Striscia di Gaza riceveva 18 megawatt di elettricità dall’Egitto, ma che la fornitura è stata interrotta a marzo in relazione ai problemi di sicurezza nella penisola del Sinai.


In una dichiarazione pubblicata il 19 agosto sul suo sito web la Rete delle Organizzazioni Non Governative Palestinesi ha messo in guardia riguardo “le pericolose ripercussioni delle continue interruzioni di corrente sulla situazione sanitaria, ambientale, economica e umanitaria nella Striscia di Gaza”. Ha affermato che le interruzioni di corrente e il divieto da parte di Israele dell’accesso di carburante a Gaza avranno un grave impatto sui servizi fondamentali, in particolare sul settore sanitario, sui servizi di igiene ambientale, sulle forniture di acqua potabile e sui servizi igienico-sanitari forniti agli oltre 2 milioni di abitanti di Gaza.

Due giorni prima anche la Federazione dei Comuni della Striscia di Gaza, che comprende 25 Comuni, aveva lanciato l’allarme sulla gravità delle interruzioni di corrente. In una dichiarazione del 17 agosto, ha avvertito che il servizio di fornitura dell’acqua alle case dei cittadini ne avrebbe risentito e la pianificazione sulla distribuzione idrica sarebbe stata notevolmente alterata, dato che i pozzi dipendono principalmente dall’elettricità ([per il pompaggio dell’acqua) “.


La federazione ha affermato che questa crisi ha bloccato gli impianti di trattamento delle acque reflue, il che si tradurrà in un disastro sanitario e ambientale.


La sospensione del funzionamento degli impianti di depurazione ha portato allo scarico in mare di oltre 110.000 metri cubi di acque reflue non trattate. Con una dichiarazione del 19 agosto l’Autorità per la qualità ambientale di Gaza ha affermato che ciò ha causato “un inquinamento quasi completo della costa della Striscia di Gaza”. Ciò, ha aggiunto l’autorità, priva i cittadini della possibilità di trascorrere le loro vacanze estive sulla spiaggia.

Nel frattempo, il sottosegretario al ministero dell’Economia nazionale Rushdi Wadi ha dichiarato ad Al-Monitor: “La sospensione del funzionamento della centrale elettrica di Gaza infligge grandi perdite all’industria e all’economia di Gaza”.

L’elettricità è la componente fondamentale del processo produttivo nei settori economici.

Wadi ha affermato che le interruzioni di corrente nelle fabbriche aumenteranno i costi di produzione, ridurranno la capacità di produzione e incrementeranno i costi di manutenzione delle apparecchiature. Ha aggiunto: “Questo porterà automaticamente a un aumento dei prezzi delle materie prime”.

Una prolungata crisi dovuta all’ interruzione di corrente influenzerà il sostentamento dei cittadini. Quando i frigoriferi non funzionano alimenti come carne, latticini e pesce potrebbero marcire. Questa è una minaccia per la sicurezza alimentare dei cittadini”, ha concluso.

(traduzione dall’inglese di Aldo Lotta)




Hamas afferma che si è raggiunto un accordo con Israele per placare la violenza

Redazione di MEE

31 agosto 2020 – Middle East Eye

L’annuncio giunge dopo settimane di crescenti tensioni e mentre Gaza deve fare i conti con la pandemia da coronavirus

Lunedì Hamas ha annunciato che, grazie alla mediazione del Qatar, è stato raggiunto un accordo per evitare un’escalation con Israele dopo una fiammata durata quattro settimane che ha visto Gaza bombardata quasi quotidianamente.

In un comunicato l’ufficio del leader di Hamas Yahya Sinwar afferma che “dopo una serie di colloqui, mediati dal rappresentante del Qatar Mohammed al-Amadi, si è raggiunta un’intesa per evitare un’escalation e stabilizzare la situazione.”

Israele ha ripetutamente bombardato Gaza dal 6 agosto, con quella che sostiene essere una risposta agli ordigni incendiari inviati in volo e, meno frequenti, razzi lanciati oltre il confine.

Secondo dati dei vigili del fuoco, le bombe incendiarie, ordigni artigianali attaccati a palloni, aquiloni, preservativi gonfiati o buste di plastica, hanno innescato più di 400 incendi nel sud di Israele.

I palloni incendiari sono generalmente visti come un tentativo da parte di Hamas di migliorare le condizioni di una tregua informale in base alla quale Israele si era impegnato ad alleggerire il suo blocco durato 13 anni in cambio della calma sul confine.

Ma finora la risposta di Israele è stata di inasprire il blocco, che secondo i critici rappresenta una punizione collettiva dei due milioni di abitanti della zona impoverita.

Anche l’Egitto ha mantenuto l’assedio, restringendo sul suo confine gli spostamenti in entrata e in uscita da Gaza. In seguito ai tentativi di mediazione, Hamas afferma che “verranno annunciati vari progetti a favore del nostro popolo nella Striscia di Gaza e per contribuire a migliorare” le difficili condizioni di vita. Il suo comunicato non specifica nessuno dei progetti, ma afferma che le condizioni torneranno a essere “quelle che erano prima dell’escalation.”

In base a precedenti accordi non ufficiali raggiunti attraverso mediatori, Hamas ha tentato progetti economici su larga scala per contribuire a ridurre la disoccupazione che si aggira intorno al 50%, un ampio alleggerimento delle restrizioni agli spostamenti e un incremento delle forniture di energia elettrica da parte di Israele. Accusa Israele di muoversi troppo lentamente o di non rispettare i propri impegni.

Lunedì sera il COGAT, un ente militare israeliano responsabile delle questioni dei civili palestinesi, ha annunciato che avrebbe immediatamente riaperto l’unico valico commerciale di Gaza e ripreso la fornitura di carburante al territorio. Ha anche affermato che avrebbe riaperto una zona di pesca di 25 km dalle coste di Gaza.

Questa decisione verrà verificata sul terreno: se Hamas, che è responsabile di ogni azione intrapresa nella Striscia di Gaza, non rispetta i suoi obblighi, Israele si comporterà di conseguenza,” ha affermato.

L’inviato dell’ONU nella regione, Nickolay Mladenov, ha accolto favorevolmente l’accordo.

Porre fine al lancio di ordigni e proiettili incendiari, ripristinare la fornitura dell’elettricità consentirà all’ONU di concentrarsi sulla gestione della crisi da COVID-19”, ha twittato.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Rapporto OCHA del periodo 11 – 24 agosto 2020

In Cisgiordania in due distinti episodi, due palestinesi, uno di essi minore, sono stati colpiti e uccisi dalle forze israeliane; altri tre sono rimasti feriti

Il 17 agosto, a una delle porte che conducono alla moschea di Al Aqsa nella Città Vecchia di Gerusalemme, forze israeliane hanno sparato, uccidendo un palestinese 30enne che aveva accoltellato e ferito un ufficiale della polizia di frontiera. In seguito all’accaduto, le forze israeliane hanno limitato i movimenti all’interno della Città Vecchia; secondo fonti mediche palestinesi, tale provvedimento ha impedito loro di raggiungere l’area in cui era stato colpito l’aggressore. Anche una donna, passante palestinese, è rimasta ferita da un proiettile vagante. Il 19 agosto, a Deir abu Mash’al (Ramallah), nel secondo episodio [dei due sopra citati], un 16enne palestinese è stato ucciso ed altri due minori sono stati feriti. Le circostanze in cui il ragazzo è stato ucciso rimangono poco chiare, nondimeno fonti militari israeliane hanno asserito che i minori erano in procinto di lanciare bottiglie incendiarie e che i soldati hanno sparato quando li hanno visti sistemare a terra dei pneumatici, con l’intento di incendiarli. Secondo testimoni oculari palestinesi, nell’area non ci sono stati scontri, né incendio di pneumatici. Al momento della pubblicazione di questo Rapporto, entrambi i corpi dei palestinesi uccisi sono ancora trattenuti dalle forze israeliane. I due decessi portano a 19 il numero di palestinesi uccisi in Cisgiordania, dall’inizio dell’anno.

Le intensificate ostilità nella Striscia di Gaza e nel sud di Israele hanno causato il ferimento di 12 palestinesi e 6 israeliani. Le tensioni sono aumentate a partire dal 12 agosto, quando palestinesi hanno lanciato palloni igniferi da Gaza verso Israele, provocando l’incendio, secondo fonti israeliane, di terreni agricoli nel sud di Israele. Gruppi armati palestinesi hanno anche lanciato una serie di razzi contro Israele: benché alcuni siano stati intercettati dal sistema di difesa “Cupola di Ferro”, sei israeliani sono rimasti feriti e proprietà sono state danneggiate. Successivamente, le forze israeliane hanno colpito diverse aree aperte e postazioni militari [di Gaza] appartenenti a gruppi armati, provocando il ferimento di quattro minori e una donna, oltre a danni ai siti presi di mira ed a proprietà civili adiacenti, comprese almeno nove abitazioni ed una scuola. Inoltre, un palestinese è stato ferito dalle schegge di un razzo [palestinese] ed altre sei persone sono rimaste ferite vicino alla recinzione, in scontri con forze israeliane. Le autorità israeliane hanno anche bloccato l’ingresso in Gaza della maggior parte delle merci, compreso il carburante che transitava dal valico di Kerem Shalom, ed hanno ridotto l’area di pesca consentita lungo la costa di Gaza, inizialmente ad otto miglia nautiche e, successivamente, a zero. Il blocco dell’ingresso di carburante ha causato, il 18 agosto, la chiusura completa della Centrale Elettrica di Gaza, determinando interruzioni di corrente fino a 20 ore al giorno in tutta Gaza, con ripercussioni sulla fornitura dei servizi di base.

In Cisgiordania, in molteplici episodi e scontri, le forze israeliane hanno ferito 81 palestinesi [seguono dettagli]. La maggior parte (45) dei feriti si sono avuti nel villaggio di Turmus’ayya (Ramallah), durante una dimostrazione svolta nel corso di un evento pubblico di protesta contro l’accordo tra Emirati Arabi Uniti e Israele, annunciato il 13 agosto. Inoltre, a Gerusalemme Est, forze israeliane intervenute a disperdere un raduno all’ingresso dell’ospedale Al Maqased, nel quartiere di At Tur, hanno sparato lacrimogeni e bombe assordanti all’interno del complesso ospedaliero, provocando lesioni a 20 palestinesi appartenenti al personale medico dell’ospedale. In un episodio separato, forze israeliane hanno fatto irruzione nel medesimo ospedale per arrestare un palestinese ferito in uno scontro avvenuto durante una demolizione (vedi di seguito, al quinto paragrafo). Nei governatorati di Tulkarm, Qalqiliya e Jenin, altri dieci palestinesi sono rimasti feriti mentre tentavano di oltrepassare la Barriera attraverso varchi non autorizzati. Altri quattro palestinesi sono rimasti feriti durante altrettante operazioni di ricerca-arresto condotte nei governatorati di Tulkarm e Ramallah e a Gerusalemme Est; in Cisgiordania durante il periodo in esame sono state effettuate 153 operazioni di questo tipo. Inoltre, un palestinese è stato ferito dall’esplosione di un ordigno; questo si trovava all’interno di una scatola collocata nei pressi dell’area dove si svolgono le manifestazioni settimanali a Kafr Qaddum (Qalqiliya) ed è esploso al contatto. Si tratta di uno dei tre dispositivi trovati lungo il percorso delle manifestazioni e vicino a un parco pubblico: secondo media israeliani sarebbero stati collocati dalle forze israeliane. Un palestinese è stato ferito vicino alla città di Betlemme, a quanto riferito, dopo aver lanciato una bottiglia incendiaria; ed un altro al checkpoint di Qalandiya (Gerusalemme), perché sospettato di avere indosso un coltello. In quest’ultimo caso, l’uomo soffriva di problemi di udito e quindi potrebbe non aver sentito l’alt dei soldati; fonti di media israeliani hanno in seguito riferito che l’uomo non aveva con sé alcun coltello. Degli 81 feriti, dieci sono stati colpiti da armi da fuoco, nove da proiettili rivestiti di gomma, due sono stati aggrediti fisicamente; i rimanenti hanno dovuto essere curati per inalazione di gas lacrimogeno.

Nella Striscia di Gaza, presumibilmente per far rispettare le restrizioni di accesso alle aree prossime alla recinzione perimetrale israeliana e al largo della costa, in almeno 26 occasioni, le forze israeliane hanno aperto il fuoco di avvertimento, provocando il ferimento di un pescatore, danni a una barca e la perdita di reti da pesca. In una occasione, le forze israeliane sono entrate a Gaza, a nord di Beit-Lahiya, ed hanno effettuato operazioni di spianatura del terreno e di scavo vicino alla recinzione perimetrale.

Per mancanza di permessi di costruzione rilasciati da Israele, 25 strutture di proprietà palestinese sono state demolite o sequestrate, sfollando 32 palestinesi e creando ripercussioni di diversa entità su altri 160 circa [seguono dettagli]. Quindici di queste strutture sono state demolite in otto Comunità dell’Area C, comprese due nelle Comunità di Mughayyir al Abeed e Al Fakheit (entrambe a Hebron), che si trovano in “aree chiuse” dai militari per consentire l’addestramento dell’esercito israeliano; le strutture in questione erano tutte correlate al sostentamento, tranne due. Altre sei strutture di sostentamento sono state demolite nell’Area C di Al ‘Isawiya (Gerusalemme). Il resto delle strutture si trovava a Gerusalemme Est, compreso un edificio residenziale in costruzione nel quartiere di Jabal al Mukkabir; in questo caso si sono avuti scontri e un ferito [vedi sopra, al terzo paragrafo]. Cinque delle strutture di Gerusalemme Est sono state demolite dai proprietari, costretti a farlo per evitare multe. Finora, quest’anno, circa la metà di tutte le demolizioni a Gerusalemme Est (118) sono state effettuate dai proprietari, a seguito dell’emissione di ordini di demolizione da parte delle autorità israeliane.

Un palestinese è stato ferito e 650 alberi e alberelli e altre proprietà palestinesi sono stati vandalizzate da aggressori ritenuti coloni [segue dettaglio]. In un caso, a Huwwara (Nablus), coloni hanno ferito con pietre un lavoratore palestinese impegnato in un progetto di censimento di terreni. In altri quattro casi, coloni hanno sradicato 400 piantine di ulivo e mandorlo ad ‘Asira ash Shamaliya e sei piantine di vite a Qaryut (entrambi a Nablus); hanno abbattuto 244 ulivi a Khirbet at Tawamin (Hebron); hanno danneggiato 1,6 ettari coltivati a grano e orzo, pascolando le loro pecore su terreni prossimi al villaggio di Sa’ir (Hebron). Inoltre, coloni hanno danneggiato sette auto nel villaggio di Yasuf (Salfit) e una cava vicino al villaggio di Urif (Nablus), dove hanno anche imbrattato muri con graffiti mentre lanciavano pietre contro le auto [palestinesi] in transito in vicinanza degli insediamenti colonici di Yitzhar (Nablus) e Kiryat Arba’ (Hebron). Gli altri due episodi si sono verificati ad At Tuwani e nell’area H2 della città di Hebron, dove gli aggressori, ritenuti coloni, hanno danneggiato un rifugio per animali e recinzioni, ed hanno rubato proprietà. Infine, durante il periodo di riferimento di questo Rapporto, è morto un palestinese 21enne: a quanto riferito era stato investito da un veicolo guidato da un colono nei pressi del checkpoint di Kafriat, a sud di Tulkarm, mentre stava attraversando la strada 557 sul lato israeliano della Barriera (non incluso nel totale riportato sopra).

Secondo fonti israeliane, una ragazza israeliana è rimasta ferita e 17 veicoli sono stati danneggiati da pietre lanciate da palestinesi contro veicoli israeliani in transito su strade della Cisgiordania.

Ultimi sviluppi (fuori dal periodo di riferimento)

Il 26 agosto, nella città israeliana di Petah Tikva, un civile israeliano è stato pugnalato mortalmente; la polizia ha arrestato un palestinese sospettato dell’aggressione.

nota 1:

I Rapporti ONU OCHAoPt vengono pubblicati ogni due settimane in lingua inglese, araba ed ebraica; contengono informa-zioni, corredate di dati statistici e grafici, sugli eventi che riguardano la protezione dei civili nei territori palestinesi occupati.

sono scaricabili dal sito Web di OCHAoPt, alla pagina: https://www.ochaopt.org/reports/protection-of-civilians

L’Associazione per la pace – gruppo di Rivoli, traduce in italiano (vedi di seguito) l’edizione inglese dei Rapporti.

nota 2: Nella versione italiana non sono riprodotti i dati statistici ed i grafici. Le scritte [in corsivo tra parentesi quadre]

sono talvolta aggiunte dai traduttori per meglio esplicitare situazioni e contesti che gli estensori dei Rapporti

a volte sottintendono, considerandoli già noti ai lettori abituali.

nota 3: In caso di discrepanze (tra il testo dei Report e la traduzione italiana), fa testo il Report originale in lingua inglese.

Associazione per la pace – Via S. Allende, 5 – 10098 Rivoli TO; e-mail: assopacerivoli@yahoo.it

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Vittoria in tribunale per i 3 di Humboldt e per la Palestina

Qassam Muaddi

24 agosto 2020  Quds News Network

Il movimento di solidarietà con la Palestina nel mondo sta crescendo. Così come la pressione esercitata contro di esso da gruppi di lobby ed organizzazioni pro-Israele; alcune sponsorizzate dallo stesso governo d’Israele.

In Europa, dove il movimento BDS ha affrontato gravi tentativi di delegittimazione, il movimento è stato al centro di un dibattito pubblico negli ultimi anni, soprattutto in Francia e in Germania, polarizzando le posizioni intorno alla questione palestinese.

La vittoria giudiziaria dei tre attivisti nei tribunali tedeschi, due settimane fa, ha segnato un precedente in questa storia. I tre di Humboldt – Ronnie Barkan, Stavit Sinai e Majed Abusalama – hanno affrontato un’accusa per aver protestato contro la visita dell’israeliana Aliza Lavie, membro della Knesset,  a Berlino nel 2017, e la Corte tedesca ha alla fine li ha assolti, condannando solo Sinai per accuse di lievissima entità.

Il caso è particolarmente importante in Germania, un paese che ha stretti legami con lo Stato di occupazione e il cui parlamento ha condannato il movimento BDS come forma di antisemitismo.

Il Network Quds News ha intervistato Majed Abusalama, che ha condiviso le sue opinioni sul caso Humboldt 3, così come alcuni dettagli del processo, che è diventato una storia a sé quando gli attivisti lo hanno usato per dar voce al loro messaggio.

Ha condiviso anche le sue opinioni e quelle dei suoi compagni sul rapporto tra la Germania e lo Stato di occupazione, la battaglia per la narrazione storica, e il ruolo del movimento di solidarietà con la Palestina in questo momento.

Qual è l’importanza della vostra vittoria per il movimento di solidarietà con la Palestina in Europa e nel mondo?

Dovremmo considerare che il nostro caso è avvenuto in un contesto molto complicato, in cui la lobby sionista cerca continuamente di far sembrare noi, il movimento di solidarietà con la Palestina, dei perdenti senza alcuna possibilità di vincere. Siamo stati in grado di dimostrare che non lo siamo. L’abbiamo fatto nell’ambiente più ostile, perché la Germania, come Stato, è smisuratamente complice dello Stato di apartheid di Israele.

I palestinesi in Germania costituiscono la più grande comunità palestinese in Europa, ma noi siamo soffocati. Il nostro diritto di protestare ed esprimerci ci è rubato, sempre intimiditi dalle accuse di antisemitismo, fatta sparire completamente ed esclusa la nostra narrativa palestinese.

Che cosa definisce esattamente come complicità tedesca con lo Stato di apartheid, e come lo spiega?

La Germania è in prima linea nel nascondere i crimini d’Israele contro l’umanità. Attraverso il suo ruolo guida nell’Unione Europea, lo Stato tedesco impone la soppressione del movimento di solidarietà con la Palestina e la sua condanna.

La Germania ha persino venduto sottomarini nucleari allo Stato dell’apartheid. In parte ciò deriva dal senso di colpa tedesco verso la Seconda Guerra Mondiale. Ma questo uso della colpevolezza, a mio parere, non si basa sui valori umani. Si tratta più che altro di un tentativo da parte dello Stato tedesco di costruire un atteggiamento di comodo nei confronti del passato della Germania, anche se è a scapito del discorso sui diritti umani del popolo palestinese.

Credo che questo atteggiamento, e ripulitura dell’apartheid israeliana e del crimine contro l’umanità che ne deriva, dicano molto di quanto questo Stato non abbia imparato la lezione della Seconda Guerra Mondiale. Questa lezione non riguarda la protezione di un gruppo specifico o di uno Stato, ma piuttosto la protezione dei diritti umani e dei valori umani. Questo è il motivo per cui diciamo che lo Stato tedesco ha fallito sul piano dell’umanità nella questione della Palestina.

Vede qualche evoluzione nella società tedesca rispetto alla posizione verso la causa palestinese?

Recenti sondaggi mostrano che un numero crescente di tedeschi è favorevole alla causa palestinese e direi piuttosto che la maggioranza sostiene la Palestina. Questo sostegno è aumentato dopo la seconda Intifada e l’assedio e l’aggressione continua a Gaza.

Inoltre, il pubblico tedesco non poteva restare cieco di fronte all’atteggiamento di Israele verso i diritti umani degli attivisti, come la deportazione del direttore locale in Palestina di Human Rights Watch, Omar Shakir, lo scorso novembre. Il flusso di informazioni libere grazie a Internet ha mostrato troppo perché i tedeschi rimanessero ciechi e indifferenti.

Come ha reagito il pubblico tedesco al vostro caso?

C’era una solidarietà schiacciante con noi, nel tribunale e fuori di esso. Abbiamo trasformato il nostro processo in un processo in cui eravamo gli accusatori, e siamo andati con un messaggio e il pubblico tedesco lo ha ricevuto. Poiché vogliamo che lo Stato dell’apartheid sia processato in un tribunale tedesco, abbiamo deciso di ricorrere al nostro stesso processo per farlo.

Ci siamo concentrati sul membro della knesset Aliza Lavie. Eravamo sotto processo per aver protestato contro la sua visita a Berlino nel 2017. Aliza Lavie è stata direttamente responsabile dell’attacco a Gaza nel 2014 perché ha partecipato nel prendere la decisione di quell’attacco, che ha ucciso oltre 2000 palestinesi, tra cui 500 bambini.

E’ anche la presidentessa della lobby anti-BDS, che promuove la repressione del BDS e di tutti gli attivisti palestinesi. La lobby sionista ha cercato di manipolare il caso, come al solito rigirando e fabbricando la verità sul fatto che saremmo violenti, ma questo non ha avuto successo. Era un tentativo di spostare l’attenzione nostra e del pubblico, ma ci siamo concentrati sul nostro messaggio politico e morale.

Ho detto al giudice che sono di Gaza e che Lavie aveva la responsabilità criminale dell’uccisione dei miei amici e della mia gente a casa, e che era a pochi metri da me. L’ho sfidato su come si sarebbe sentito al mio posto.

I miei compagni hanno anche sfidato Lavie direttamente e le hanno detto che è una criminale e che appartiene alla prigione della Corte Penale Internazionale. Quella era l’intera discussione durante il processo. Non abbiamo deviato da essa.

Com’è stato l’atteggiamento della corte nei confronti del vostro messaggio?

Non hanno trovato niente e siamo stati assolti. Ma hanno multato Sinai per la pena minima di 450 euro, perché ha bussato alla porta tre volte, chiedendo di chiedere i dettagli di qualcuno che l’aveva assalita quando eravamo stati tirati fuori. La decisione della corte è ridicola. Era solo un tentativo di salvare la faccia del tribunale difronte alla lobby sionista e a Israele, e dice quanto le istituzioni tedesche sono prigioniere della pressione di questa lobby, e persino complici dell’occupazione e dello Stato di apartheid.

Qualcuno potrebbe dire che è un’accusa dura per le istituzioni tedesche. Perché, secondo voi, sono complici?

Il parlamento tedesco dichiarò il movimento BDS antisemita contro il sistema giudiziario tedesco. In tutta la Germania, molti tribunali hanno dichiarato il movimento BDS una forma legittima di libertà di espressione e di protesta, ma il parlamento tedesco mantiene la sua accusa diffamatoria verso di noi, cosa che mostra che quella del BDS è solo una dichiarazione politica.

Ora c’è anche una decisione giuridica europea, dopo che la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata a favore dei nostri compagni in Francia, anch’essi accusati di antisemitismo nei tribunali francesi. Questa complicità è politica ai massimi livelli.

Quali lezioni si possono trarre dal vostro caso?

Vogliamo chiarire che questa storia non riguarda noi personalmente. Questa è la storia della Palestina e della solidarietà globale con essa. La nostra vittoria è una vittoria per la lotta palestinese, che è lotta di tutti gli uomini e le donne di coscienza in tutto il mondo. In secondo luogo, vogliamo potenziare la nostra comunità, in Germania, in Europa, in tutto il mondo e in Palestina. Noi non siamo soli. Tutti quelli che si oppongono al colonialismo, alle violazioni dei diritti umani e all’apartheid nel mondo intero sono dalla parte della lotta palestinese.

Quale messaggio trasmette la vostra storia al popolo palestinese, nel momento in cui alcuni Stati arabi stanno normalizzando le loro relazioni con lo Stato di occupazione, specialmente dopo gli accordi di pace tra Israele e gli Emirati?

La narrazione di Israele è rimasta così a lungo perché molte persone non conoscevano la realtà della nostra causa, ma questa narrazione sionista sta cadendo a pezzi e Israele non può più nascondere il suo vero volto criminale e di apartheid. Questo è il momento giusto per il nostro popolo di diventare più autosufficiente e contare su se stesso nella lotta.

Sappiamo troppo bene che gli Stati cercheranno di normalizzare, ma noi possiamo contare sul movimento di base di persone coscienti nei paesi arabi e su tutte le persone di coscienza nel mondo per continuare a sfidare la normalizzazione, intensificando il BDS e tutte le forme di resistenza per ritenere Israele responsabile. La causa palestinese sarà sempre sul tavolo per esaminare la coscienza delle persone in tutto il mondo ed è un movimento di cittadinanza globale che la sostiene.

Ma siamo noi, palestinesi, a dover condurre questa lotta. Noi, il popolo palestinese, e la Palestina siamo al centro della nostra lotta.

Traduzione di Flavia Lepre

da Contropiano




A Gaza il sistema sanitario è a rischio mentre da una settimana continuano gli attacchi aerei israeliani

Yumna Patel

21 agosto 2020- Mondoweiss

È già successo tante di quelle volte,” ha detto a Mondoweiss il giornalista palestinese Omar Ghraieb, 33 anni, “ma adesso con una pandemia globale e l’intero mondo che sta andando a pezzi, senza elettricità né acqua è più dura.”

Israele bombarda Gaza ininterrottamente da otto giorni (dal 13 agosto, ndtr.), secondo Israele come parte della risposta al lancio di palloni incendiari da Gaza sul territorio israeliano. 

Ogni notte, da oltre una settimana, il cielo notturno di Gaza si accende di rosso e arancione, giovedì è stata l’ottava notte consecutiva di raid aerei israeliani. 

Nonostante si parli di tentativi da parte di alcuni funzionari egiziani di mediare un cessate il fuoco, non sembra che le tensioni ai confini finiranno tanto presto, stando alla dichiarazione rilasciata dal movimento Hamas secondo cui “non esiterà a combattere” le forze israeliane, “se continuano l’escalation, i bombardamenti e l’assedio (di Gaza).”

L’esercito israeliano sostiene che i bombardamenti sono diretti su avamposti che appartengono all’ala militare di Hamas che, secondo Israele, è responsabile dei “lanci di palloni esplosivi e incendiari dalla Striscia di Gaza verso Israele”.

I media locali palestinesi nell’ultima settimana hanno riportato vari episodi in cui i bombardamenti israeliani hanno causato danni a strutture residenziali e non legate ad Hamas e che, in alcuni casi, hanno ferito dei civili. 

All’inizio di questa settimana, Wafa, l’agenzia stampa (palestinese), ha sostenuto che in seguito a un attacco aereo su Bureij, il campo profughi situato nella zona centrale della Striscia di Gaza, una bambina di 3 anni, un ragazzo di 11 e una donna sono stati ricoverati in ospedale dopo essere stati gravemente feriti. Sono anche stati riportati “danni seri” a case nella zona. 

Un’altra donna è stata ricoverata in seguito un attacco aereo separato contro la cittadina di Beit Hanoun, nel nord di Gaza. 

Domenica i media palestinesi hanno riferito che un palestinese di 35 anni è stato gravemente ferito a causa dello scoppio di un ordigno israeliano inesploso nei dintorni di al-Zaytoun, nel sud della Striscia. 

Ci siamo passati migliaia di volte,” dice a Mondoweiss Omar Ghraieb, 33 anni,

riferendosi a bombardamenti e attacchi israeliani contro Gaza, che nel passato sono andati avanti ogni volta per settimane. 

Ma adesso con una pandemia globale e l’intero mondo che sta andando a pezzi, è più dura senza elettricità né acqua,” afferma. 

Ghraieb sottolinea che, sebbene gli abitanti di Gaza siano “abituati a cose terribili e traumi,” situazioni come queste “non miglioreranno mai.” 

È semplicemente troppo .”

Interruzioni di corrente elettrica mentre salgono i casi di COVID-19

I recenti bombardamenti arrivano in un momento difficile per i 2 milioni di abitanti di Gaza che soffrono per i problemi quotidiani con acqua, elettricità, crescita della disoccupazione e, più recentemente, a causa della pandemia da coronavirus. 

Anche se Gaza ha avuto successo nel mantenere il tasso di contagi da coronavirus straordinariamente basso, rispetto a Cisgiordania e Gerusalemme Est occupate, il ministero della Salute ha riportato ora nove nuovi casi, arrivando mercoledì a un totale di 18. 

Oltre alla costante minaccia del COVID-19, all’inizio di questa settimana l’unica centrale elettrica di Gaza ha chiuso e interrotto le attività a causa del blocco israeliano di importazioni di gasolio nel territorio.

Il divieto è una punizione di Israele, anche in risposta ai palloncini incendiari che sono stati la ragione dell’ultima serie di attacchi aerei. 

Da anni gli abitanti subiscono interruzioni di corrente e ore di blackout, ma adesso dicono che le cose sono più difficili per via del COVID-19. 

Abbiamo subito interruzioni giornaliere di elettricità per oltre dieci anni,” dice Ghraieb. “[Ma] in estate, con una pandemia globale e gli attacchi israeliani, è più difficile restare in contatto con il mondo e condividere l’inferno in cui stiamo vivendo senza luce o Internet.”

Uno si sente isolato e condannato a vivere in un inferno in fiamme,” dice. 

Martedì il CIRC [Comitato internazionale della Croce Rossa, ndtr.] ha espresso preoccupazione per la carenza di energia elettrica a Gaza, segnalando che i recenti blackout potrebbero colpire in maniera sproporzionata il già fatiscente settore sanitario, dato che le otto ore di elettricità al giorno sono state ridotte ad appena tre o quattro.

Quando gli abbiamo chiesto che messaggio avesse per la comunità internazionale circa i recenti attacchi, Ghraieb ha detto a Mondoweiss di “non avere un messaggio per un mondo che ci ha delusi per decenni e che ci vede vittime di violenze, occupazione, apartheid e pulizia etnica da parte degli israeliani. Al mondo non importa niente di noi e io non imploro giustizia,” afferma Ghraieb. “Ma prima o poi giustizia sarà fatta.”

(traduzione dall’inglese di Mirella Alessio)




La guida essenziale per i palestinesi ai fini dell’attraversamento di un posto di controllo israeliano.

George Zeidan

19 agosto 2020 – + 972 MAGAZINE

Per non creare dei problemi ai nostri oppressori, ecco una guida in 10 passaggi per aiutare i palestinesi a evitare la profilazione razziale ai posti di blocco e magari arrivare puntuali.

Anni fa, un palestinese abitante a Ramallah – chiamiamolo “Ahmad” – aveva programmato un colloquio per il visto presso il consolato americano a Gerusalemme.

Appassionato fondista, Ahmad voleva recarsi negli Stati Uniti per partecipare ad una importante maratona. Ma per presenziare al colloquio aveva bisogno di un permesso rilasciato da Israele per entrare nella Gerusalemme Est occupata. Se non fosse stato per i posti di blocco militari e il muro di separazione israeliani, il consolato sarebbe stato a pochi minuti di auto da casa sua.

Purtroppo la richiesta di permesso di Ahmad venne negata dalle autorità israeliane. Quindi, un amico, che chiameremo “Tamer”, decise di aiutarlo con un piano un po’ sfrontato.

Mentre si avvicinavano al checkpoint, Tamer sorrise al soldato israeliano di guardia e agitò la mano con sicurezza, come se stesse salutando un conoscente. Poteva sentire Ahmad dietro di lui che recitava sottovoce ansiosamente quante più preghiere poteva.

Il soldato diede un’occhiata ai passeggeri e, invece di fermarli per controllare i loro documenti, fece cenno perché l’auto passasse.

Ahmad alla fine avrebbe ricevuto il suo visto per gli Stati Uniti e in seguito, quell’anno, completò la sua gara con un ottimo risultato e si qualificò anche per un’altra importante maratona. I suoi amici erano entusiasti per lui, ma erano anche contenti di aver trovato un modo per ingannare il sistema dei posti di controllo: usando il razzismo degli israeliani contro di loro.

Diversi posti di controllo, diverse carte d’ identità

Non tutti i palestinesi hanno il “privilegio” di attraversare un posto di controllo israeliano per entrare nella Gerusalemme est occupata o in Israele. In effetti, molti non sono mai stati “dall’altra parte” perché non è mai stato concesso loro un permesso e nemmeno la possibilità di richiederlo. Ad esempio, a circa 2 milioni di palestinesi di Gaza, sotto assedio dal 2007, è stato impedito di lasciare la Striscia, anche verso altre parti dei territori occupati, se non in circostanze umanitarie eccezionali.

I palestinesi con maggior facoltà di spostarsi attraverso la cosiddetta “linea verde” [confine convenzionale che separa i territori palestinesi dai “territori occupati”, ndtr.] sono quelli che detengono la cittadinanza israeliana essendo in possesso di documenti di identità blu e quelli con residenza a Gerusalemme est e in possesso di documenti di identità rossi. Durante i loro viaggi dalla Cisgiordania in Israele, questi palestinesi hanno due opzioni: o attraversare i posti di controllo del tipo di quelli presenti nei terminal degli aeroporti o utilizzare quelli che vengono chiamati “bypass”.

I posti di controllo in stile aeroporto presentano corsie pedonali e automobilistiche. I palestinesi della Cisgiordania con i permessi possono entrare in Israele solo attraverso questi posti di controllo. Le corsie per le auto sono solitamente lente e trafficate, ma sono l’unica opzione se palestinesi con documenti di identità diversi viaggiano nella stessa macchina. Ad esempio, nel caso di una coppia palestinese di cui una persona ha la residenza a Gerusalemme e l’altra una carta d’identità della Cisgiordania con un permesso, quest’ultima dovrebbe attraversare da sola a piedi mentre la prima rimarrebbe in macchina e si riunirebbe al proprio partner dall’altro lato.

I posti di blocco bypass sono molto più insidiosi in quanto i valichi non sono utilizzati solo dagli arabi; sono destinati soprattutto a mettere in collegamento i coloni israeliani in Cisgiordania con il resto di Israele. Attraversare questi posti di blocco è un’esperienza molto diversa che assomiglia più al passaggio attraverso un casello autostradale. I soldati israeliani stanno ai lati di ogni terminal cercando di identificare le “minacce” – palestinesi – da selezionare per [sottoporli] a perquisizioni più invasive.

Come sembrare un “non-arabo”

Ciò che è diventato noto a tutti i palestinesi è come attraversare questi posti di blocco nel modo più efficiente possibile. Il trucco, in parole povere, è avvicinarsi al valico come un “non arabo”.

Dopotutto la fatica per i soldati israeliani è notevole: molti di loro devono annoiarsi a stare al sole tutto il giorno, consultando le liste di profilatura razziale per facilitare il proprio lavoro. Deve anche essere difficile a volte distinguere tra un arabo e un ebreo israeliano solo dal loro aspetto: ci somigliamo moltissimo.

E così, per non affaticare troppo i nostri oppressori, ho messo insieme una guida in 10 passaggi per aiutare i palestinesi a nascondere o attenuare la loro “arabicità“:

1) Avete considerato la possibilità di allevare un animale domestico? In caso contrario, iniziate a tenerne uno ora e portatelo fuori spesso. I soldati israeliani non pensano che gli arabi siano abbastanza in gamba da avere animali domestici. I gatti vanno bene, ma io consiglierei i cani perché sono molto più grandi e più visibili nelle auto. Evitate di prendere un cane carino perché è meglio non rischiare che i soldati fermino l’auto per giocare con lui.

2) Tatuaggi, piercing e altri accessori per il corpo sono molto utili. Per i soldati israeliani gli uomini arabi non sono abbastanza fichi da indossare orecchini; quindi, conducenti uomini, se non li indossate già, assicuratevi di tenere un orecchino magnetico in macchina. Per le conducenti donne, consiglierei di farvi tatuaggi all’henna; sono a buon mercato e facilmente rimovibili, assicuratevi solo che siano chiaramente visibili. Inoltre, l’uso dell’henna significa che potete far rivivere la cultura palestinese facilitando il vostro viaggio attraverso il posto di controllo.

3) Chiudete i finestrini dell’auto durante l’attraversamento. Gli arabi hanno l’abitudine di tenere la mano fuori dal finestrino. Questa pratica è utile quando guidate in una città palestinese e per strada dovete salutare 50 persone che conoscete, ma a un posto di blocco state solo cercando guai.

4) Lavate la vostra auto ogni giorno: è un segno di agiatezza. Macchine sporche o confezioni di fazzoletti con scritte in arabo sono una cattiva idea.

5) Tingetevi i capelli di biondo. È sia di moda che utile; più bianchi appaiono i passeggeri, meno ragioni avranno i soldati per fermare l’auto. La probabilità di un arabo biondo, credono alcuni israeliani, è molto bassa e, di conseguenza, i soldati non saranno inclini a fermarvi.

6) Lavorate duro per permettervi di avere continuamente un’auto nuova. Per i soldati israeliani, le vecchie auto sono un segno di arretratezza e implicano che l’autista abbia lasciato solo di recente il cammello come mezzo per andare al lavoro. Evitate però di prendere una Mercedes: a quanto pare si sa che gli arabi preferiscono quella marca. Sì, è un’ottima macchina, ma non a questo fine.

7) È dimostrato che anche guidare con donne che fumano riduce le possibilità di essere fermati dai soldati; pensano che alle donne palestinesi non sia permesso fumare. Naturalmente, mi interessa la salute generale delle donne palestinesi, quindi non incoraggerò le donne palestinesi a fumare ogni volta che attraversano un posto di controllo, ma tenetelo a mente.

8) Uomini, dovete stare molto attenti alla barba; in realtà possono capitare entrambe le cose: che vi aiuti o vi danneggi. O volete assicurarvi di stare al passo con gli stili da intellettuale anticonformista più contemporanei, altrimenti sembrerà solo una pratica religiosa e vi si ritorcerà contro.

9) Mostrate il vostro sostegno alla comunità LGBTQ . I soldati israeliani pensano che tutti i palestinesi siano omofobi.

10) Ascoltare musica in ebraico mentre si attraversa il posto di blocco ha dimostrato di funzionare per alcune persone. La musica mizrahi [combina elementi della musica araba, turca e greca con i ritmi e le melodie della musica dei sefarditi e degli ebrei mizrahì, cioè provenienti da Paesi arabi o musulmani, ndtr.] può essere una buona via di mezzo per combinare melodie arabe con parole ebraiche. Ma fate attenzione perché questa tattica è stata troppo utilizzata.

La guida di cui sopra rimane la soluzione migliore per un palestinese che voglia arrivare al lavoro o agli appuntamenti in tempo. In un mondo giusto non dovremmo ridurre la nostra “arabicità” per muoverci liberamente da un luogo all’altro. Ma molti di noi sono diventati troppo insensibili per provare anche solo il dolore e l’umiliazione di questi posti di blocco. Fino a quando il nostro diritto di spostarci non sarà soddisfatto, potrebbe essere l’unica strategia che abbiamo sotto il dominio dell'”unica democrazia in Medio Oriente”.

George Zeidan è un co-fondatore di Right to Movement Palestine [Diritto al movimento Palestina, ndtr.], un’iniziativa che utilizza lo sport per mettere in luce la condizione della vita dei palestinesi e la libertà di movimento.

(traduzione dall’inglese di Aldo lotta)




Può l’Egitto contribuire a ridurre le tensioni tra Israele ed Hamas?

Ahmad Abu Amer – Gaza City, Striscia di Gaza

19 agosto 2020 – Al-Monitor

Una delegazione dell’intelligence egiziana ha intrapreso nuove iniziative tra Israele e Hamas per ridurre la tensione su entrambi i lati della frontiera della Striscia di Gaza dopo che negli ultimi giorni la situazione è peggiorata.

L’Egitto sta avviando nuovi passi nella Striscia di Gaza nel tentativo di ridurre la tensione che recentemente è in aumento tra Israele e Hamas dopo che il 6 agosto, facendo seguito a una pausa di due mesi, gruppi palestinesi hanno ripreso il lancio di palloncini incendiari verso il sud di Israele.

Israele ha risposto al fuoco che ha devastato i campi nel sud di Israele bombardando numerosi siti militari di Hamas a Gaza. L’11 agosto ha parzialmente chiuso il valico di Kerem Shalom e impedito l’ingresso nella Striscia di Gaza di materiali da costruzione e carburante.

Ciò il 18 agosto ha portato alla chiusura dell’unica centrale elettrica di Gaza. Il 16 agosto ai pescatori palestinesi è stato totalmente vietato l’accesso al mare al largo della Striscia di Gaza.

L’escalation si è prodotta dopo che Hamas ha accusato Israele di ritardare la messa in atto degli accordi di tregua raggiunti nell’ottobre 2018. Essi intendevano alleggerire il blocco e stabilivano la creazione di due zone industriali a est di Gaza City per l’assunzione di decine di migliaia di disoccupati. Come parte degli accordi di tregua avrebbero dovuto essere messi in pratica progetti per l’elettricità e l’acqua, così come piani intesi a incrementare il volume di importazioni ed esportazioni verso e dalla Striscia di Gaza.

In questo contesto il 17 agosto nella Striscia di Gaza è arrivata una delegazione della sicurezza egiziana guidata da Ahmed Abdel Khaleq, responsabile per le questioni palestinesi presso il servizio generale di intelligence egiziano. La delegazione, prima di recarsi in Israele lo stesso giorno per trasmettere le richieste del movimento, si è incontrata per molte ore con i dirigenti di Hamas a Gaza. Era previsto che tornassero a Gaza il 18 agosto con la risposta, ma la visita si è prolungata fino a data indefinita, in quanto Israele ha respinto la maggior parte delle richieste di Hamas.

Un funzionario di Hamas informato sui colloqui ha detto in forma anonima ad Al-Monitor che il movimento ha chiesto alla delegazione egiziana di fare pressione su Israele per l’attuazione degli accordi raggiunti in precedenza e perché si cominci immediatamente a realizzare i progetti riguardanti l’elettricità, l’acqua e le due zone industriali ad est di Gaza City. La fonte ha aggiunto che il movimento non porrà fine alla tensione sul confine con Israele finché quest’ultimo non risponderà alle richieste che ha ricevuto tramite la delegazione egiziana.

Il funzionario ha spiegato che [Hamas] non vuole uno scontro militare, ma non lo teme nel caso Israele rifiutasse di mettere in pratica queste richieste.

Ha rivelato che è stato consentito al Qatar di continuare a finanziare la Striscia di Gaza fino alla fine del 2020 e ha sottolineato che il movimento chiede che il contributo venga esteso fino alla fine del 2021, includendo 200.000 famiglie – invece di 100.000, come nei mesi scorsi – a causa dell’aumento delle famiglie povere nella Striscia di Gaza in seguito al blocco israeliano e alla pandemia da coronavirus.

Il 17 agosto il giornale israeliano Yedioth Ahronoth ha informato che le richieste di Hamas presentate ad Israele tramite la delegazione egiziana sono eccessive e le probabilità di raggiungere un accordo tra Israele e Hamas sono ancora scarse, come evidenziato dal continuo lancio di palloncini incendiari verso il sud di Israele durante e dopo la visita della delegazione egiziana nella Striscia di Gaza.

Il ministro della Difesa israeliano e futuro primo ministro in alternanza Benny Gantz il 18 agosto ha messo in guardia Hamas riguardo al continuo lancio di palloni incendiari da Gaza nel sud di Israele, affermando che “Hamas sta giocando col fuoco e farò in modo che gli si ritorca contro.”

Un parlamentare egiziano vicino ai servizi di intelligence egiziani ha detto in forma anonima ad Al-Monitor: “È vero che le richieste di Hamas ricevute dalla delegazione il 17 agosto sono consistenti, ma rientrano in quello che si era stabilito con Israele nei mesi scorsi.” Prevede che nei prossimi giorni si raggiungerà un nuovo accordo, in quanto nessuna delle due parti vuole arrivare a un’escalation militare.

Il parlamentare egiziano ha sottolineato che al momento la delegazione dell’intelligence sta cercando di mettere d’accordo le due parti nella speranza di riportare rapidamente la calma sul confine tra Gaza ed Israele. Secondo questa fonte la delegazione sta anche tentando di alleggerire le misure prese da Israele dopo la recente escalation, che includono la chiusura del valico di Kerem Shalom e il blocco all’importazione di alcuni prodotti, consentendo la fornitura di carburante all’impianto per la produzione di energia elettrica di Gaza e permettendo ai pescatori di riprendere la loro attività.

Il portavoce del ministero della Sanità di Gaza Ashraf al-Qidra ha detto ad Al-Monitor che se il carburante non venisse rapidamente fornito all’impianto per la produzione di energia elettrica si profilerebbe un disastro sanitario per i pazienti della Striscia di Gaza. Ha segnalato che le gravi ripercussioni della mancanza di elettricità minacciano i pazienti nelle unità di terapia intensiva, nelle sale operatorie e nelle stanze per la quarantena.

Da parte sua Israele attribuisce il ritardo nella messa in pratica di quanto concordato con Hamas nell’ottobre 2018 alla difficoltà, a causa del coronavirus, di tenere incontri con funzionari internazionali per mettere in pratica importanti progetti nella Striscia di Gaza riguardanti specificamente elettricità, acqua e zone industriali.

Mustafa al-Sawaf, analista politico ed ex-caporedattore del giornale locale Felesteen [principale quotidiano della Striscia di Gaza, ndtr.], ha detto ad Al-Monitor che il successo della missione della delegazione egiziana per ridurre la tensione tra Hamas e Israele dipende dalla sua capacità di fare pressione su Israele per ottenere progressi per quanto riguarda gli accordi di tregua.

Sawaf si aspetta che la delegazione riesca ad ottenere risposte positive ad alcune, non a tutte, le richieste che Hamas ha presentato ad Israele, considerando che, dopo che Israele ha ripetutamente fatto marcia indietro sui suoi impegni, il compito per la delegazione egiziana non è facile.

(traduzione dall’inglese di Amedeo Rossi)




Crepe nel muro di separazione israeliano e la fragilità del potere di Netanyahu

Shir HeverNadia Nasser-Najjab

19 agosto 2020 – MiddleEastEye

Anche se quest’estate con l’allentamento delle misure di sicurezza alcuni palestinesi sono potuti andare in spiaggia, dietro questo si celano i problemi che affliggono il primo ministro israeliano.

Questa estate i media israeliani hanno riferito con sorpresa una scena inaudita: migliaia di famiglie palestinesi sulle spiagge di Tel Aviv e di altre città israeliane. Gli israeliani si sono abituati a svolgere la loro routine senza vedere i 2 milioni e mezzo di vicini della Cisgiordania occupata, che vivono giusto dall’altra parte del muro di separazione.

Da una spiaggia di Tel Aviv, dei palestinesi hanno condiviso il video di un bagnino israeliano che lasciava entrare i palestinesi di Nablus. La voce che i soldati stessero chiudendo un occhio di fronte ai famosi varchi nel muro si è diffusa rapidamente tra i palestinesi, che si sono affrettati ad approfittare dell’occasione, pagando prezzi esorbitanti ai taxi per andare oltre il muro.

Molti giovani palestinesi hanno visto per la prima volta il mare (che dista meno di 100 chilometri da gran parte della Cisgiordania occupata) e alcune famiglie hanno approfittato dell’occasione per visitare le zone in cui vivevano le loro famiglie prima della Nakba del 1948.

Qualche giornalista ha aspettato a riferire questi fatti finché i passaggi nel muro non sono stati nuovamente chiusi. In effetti la scorsa settimana, non appena la notizia delle famiglie palestinesi sulle spiagge è apparsa sulle pagine dei giornali israeliani, l’esercito ha rapidamente e aggressivamente richiuso i varchi per evitare l’accusa di essere indulgente con i palestinesi.

Rafforzare il potere coloniale

Negli ultimi anni, migliaia di lavoratori palestinesi sono entrati in Israele attraverso i buchi nel muro di separazione in cerca di lavoro e spesso muovendosi proprio sotto gli occhi dei soldati israeliani. La richiesta di manodopera palestinese a buon mercato, e la consapevolezza tra i politici israeliani del fatto che il reddito ricavato dal lavoro fatto in Israele sia un’ancora di salvezza essenziale per l’economia palestinese in rovina hanno dissuaso l’esercito israeliano dal sigillare quei buchi.

Ma nell’epoca del coronavirus è stato davvero sorprendente vedere che i buchi nel muro venivano usati non solo dai lavoratori, ma anche da intere famiglie.

La politica arbitraria di apertura e chiusura dei passaggi attraverso il muro crea tra i palestinesi un senso di incertezza, e rafforza il potere coloniale delle autorità israeliane sulla popolazione palestinese.

Quando l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) ha impartito direttive alle persone perché rispettassero il blocco del Covid-19 e rimanessero a casa, sapeva benissimo che le sue istruzioni sarebbero state ignorate. E con il coordinamento della sicurezza con Israele sospeso per via dei piani di annessione del primo ministro Benjamin Netanyahu, le forze di sicurezza palestinesi non si sono nemmeno preoccupate di impedire alle persone di entrare in Israele – un’ulteriore umiliazione e indebolimento per l’autorità e la legittimità dell’ANP.

I palestinesi però sanno che l’improvvisa e inaspettata clemenza rispetto ai valichi non è un segno della generosità israeliana. Il colonizzatore “non regala niente per niente”, come disse una volta il filosofo Frantz Fanon.

Per anni, un piccolo gruppo di donne israeliane ha fatto entrare clandestinamente [in Israele] dei palestinesi sulle proprie auto attraverso i posti di blocco, prendendo le corsie riservate agli ebrei israeliani. La più famosa è Ilana Hammerman, che ha spesso sfidato le autorità israeliane portando palestinesi attraverso il checkpoint.

Non è mai stata arrestata, probabilmente perché ciò svelerebbe regole dell’apartheid che consentono agli ebrei di attraversare i posti di blocco solo se non hanno palestinesi in auto. Ma lasciando che le aperture nel muro rimangano aperte, le autorità israeliane rendono irrilevante l’attivismo di Hammerman e altri.

Distogliere l’attenzione del pubblico

Una spiegazione ancora migliore per la decisione presa dal governo di allentare il blocco è la precaria situazione politica di Netanyahu. Ogni volta che le proteste contro il suo governo si fanno sentire, Netanyahu utilizza una crisi nella sicurezza per distogliere l’attenzione pubblica dai problemi economici e legali che affliggono la sua amministrazione.

Dieci anni fa, mentre i manifestanti invocavano giustizia sociale, Netanyahu ha falsamente accusato gli abitanti della Striscia di Gaza di essere coinvolti in un attacco che aveva avuto origine in Egitto, e ha ordinato il bombardamento del territorio costiero. Allo stesso modo, nel 2014-15, mentre gli investimenti stranieri in Israele crollavano e il Paese affrontava una crisi abitativa, Netanyahu spostò l’attenzione sull’Iran, affermando che prima di potersi prendere cura della qualità della vita bisogna prendersi cura della “vita stessa”.

Adesso i manifestanti stanno protestando contro le pesanti conseguenze economiche provocate dal blocco del Covid-19, la massiccia disoccupazione e il fatto che Netanyahu sia piuttosto impegnato a combattere le accuse di corruzione che ad affrontare la crisi – e niente può essere più utile di una piccola guerra o di una rivolta palestinese per dichiarare elezioni anticipate e vincerle come “Mr. Security”.

Sembra ormai chiaro che Benny Gantz, il “primo ministro di rimpiazzo” e rivale di Netanyahu, abbia interessi opposti. Nella sua qualità di ministro della Difesa è nella posizione ideale per mettere a frutto quanto appreso come comandante dell’esercito israeliano, vale a dire che le restrizioni alla libera circolazione dei palestinesi non creano sicurezza per gli israeliani, anzi – e che lasciare le famiglie palestinesi passare attraverso i varchi del muro diminuisce la loro motivazione immediata ad attaccare Israele.

Provocazioni fallite

Netanyahu non ha perso l’occasione di scatenare un po’ di violenza e cavalcare l’ondata di paura per un altro mandato come primo ministro, ma i suoi tentativi di provocare uno scontro con Hezbollah in Libano sono falliti, con l’esplosione di Beirut che rende il momento particolarmente inopportuno perché le forze israeliane scatenino attacchi mentre il resto del mondo invia aiuti.

Quindi, proprio come il suo predecessore Ehud Olmert, Netanyahu ha spostato l’attenzione dal Libano alla Striscia di Gaza. All’inizio di questo mese, alcuni palloni che trasportavano materiali incendiari sono stati lanciati da Gaza in Israele, provocando incendi nei campi israeliani. Non sono stati riportati feriti, tuttavia Netanyahu li ha usati come giustificazione per lanciare attacchi aerei, chiudere posti di blocco, fermare l’importazione di combustibile a Gaza e persino bloccare gli aiuti del Qatar al territorio assediato.

Tutto ciò, tuttavia, non è riuscito finora a indurre Hamas ad un attacco di ritorsione. Hamas ha già una chiara comprensione della politica israeliana e sa esattamente cosa Netanyahu stia cercando di ottenere.

Qualche gita al mare non farà dimenticare ai palestinesi il dolore dell’occupazione, né allevierà lo stress e la paura di una vita senza diritti – ma questa breve storia è sufficiente a dimostrare che il muro non ha mai riguardato la sicurezza israeliana, e che separare le diverse popolazioni che vivono sotto il controllo israeliano non è sostenibile.

Le opinioni espresse in questo articolo appartengono all’autore e non riflettono necessariamente la politica editoriale di Middle East Eye.

Shir Hever è membro del consiglio di Jewish Voice for a Just Peace in the Middle East [Voce ebraica per una pace giusta in Medio Oriente].

(traduzione dall’inglese di Luciana Galliano)